Università di Sassari
I sacerdotes e la scientia interpretandi.
PAROLE INTRODUTTIVE
Alla Conferenza di l. Franchini «Il
problema dell’esistenza di un ius controversum in età arcaica»
(Sassari, 19 maggio 2015)
I primi giuristi dell’esperienza
giuridica romana furono i sacerdotes.
I loro responsi, frutto di sapientia (teologica
e giuridica), erano vincolanti, tanto da inibire le stesse scelte politiche dei
reges[1].
Nel collegio sacerdotale dei pontefici[2] aveva luogo l’interpretandi scientia, il sapere di interpretazione del ius, nonché la competenza in
materia di azioni[3]. I pontefici, dunque, potevano essere
consultati da tutti, per risolvere questioni di interesse
religioso-privatistico, in quanto padroneggiavano, per mutuare una felice
espressione di Emilio Betti, «l’arte della tecnica giuridica»[4].
Con il tempo, intorno al III sec. a.C.,
l’operato di alcuni singoli giuristi si affiancò
all’interpretazione sacerdotale. Così, gli
“scienziati” del diritto, che spesso al contempo erano sacerdotes, iniziarono a offrire i loro responsa staccandosi dalle logiche
interne ai collegi sacerdotali. Le loro riflessioni giuridiche erano offerte
esclusivamente sulla base di una auctoritas
e di una maxima dignatio unanimemente
riconosciuta, talvolta attribuita dallo stesso Popolo Romano: è questo
il caso, ad esempio, del giurista Publio Sempronio Sofo, appartenente
all’ordine plebeo, console nel 304, censore nel 300 a.C. e nello stesso
anno cooptato dal collegio pontificale, al quale, secondo Pomponio, giurista
del II sec. d.C., il popolo gli attribuì l’appellativo di sophós, specificando che
“né mai altri, prima di lui o dopo di lui, fu così
denominato”[5].
Tra
questi giuristi non sussisteva una linea di pensiero unitario, le soluzioni
giuridiche da loro offerte erano frutto delle singole prospettive personali:
questo dissenso tra i prudentes in
senso tecnico è chiamato ius controversum, espressione di derivazione oratoria[6].
La sententia che veniva scelta dal giudice,
chiamato a decidere una controversia tra privati, al fine di risolvere un caso
concreto, diveniva vincolante. Attraverso questo procedimento il sistema
giuridico-religioso romano si caratterizza come sistema aperto. Dieter
Nörr nel 1974, parla in proposito di iperstabilità e
instabilità: in astratto tutti i pareri giurisprudenziali erano fonti di
produzione del diritto (e quindi iperstabili), ma solo nel momento in cui la
singola posizione giuridica era scelta come soluzione del caso concreto questa
diveniva diritto (e dunque instabile perché non si sapeva fino alla sua
concreta applicazione quale parere divenisse diritto)[7].
Il
diritto controverso, il complesso di dialettica e discussioni di singole menti
scientifiche al fine di arrivare alla soluzione adeguata, rimanda
all’Università: universitas,
infatti, non è da intendersi come uniformità di pensiero, ma
condivisione e discussione.
[1] Numerose fonti, sebbene con qualche variante, ricordano
l’episodio della opposizione dell’augure Atto Navio al progetto di
riforma delle centurie equestri di Tarquinio Prisco (vedi spec.: Cicero, de re publica 2.36; Livius 1.36.2-8,
Festus, v. Navia, 168 L., de viribus illustribus 6.7, epitoma de Tito Livio 1.5.2-5;
Augustinus Hipponensis, de civitate dei 10.16.2,
PL 41, col. 294). Secondo la
tradizione, il re, al fine di rafforzare la cavalleria, si proponeva di
istituire nuove centurie a cui avrebbe attribuito il suo nome.
L’autorità dell’augure impedì di effettuare la
riforma ideata dal re, nonostante il sarcastico, ma inutile, tentativo di
Tarquinio di opporsi al sacerdote. Nell’illustrare il diniego di Atto
Navio, Livio utilizza il verbo negare
(1.36.3: Id quia inaugurato Romulus
fecerat, negare Attus Navius, inclitus ea tempestate augur, neque mutari neque
novum constitui, nisi aves addixissent, posse), proprio del linguaggio
precettivo sacerdotale (su cui rinvio a F.
Sini, Negazione e linguaggio
precettivo dei sacerdoti romani, in Archivio
storico e giuridico sardo di Sassari 4 n.s., 1997, 25 ss. = Id., Sua cuique civitati religio.
Religione e diritto pubblico in Roma antica, Torino 2001, 227 ss.), da cui si desume che il
parere all’augure fosse stato richiesto proprio dal rex (così M.L. Haack, Les haruspices dans le monde romain,
Bordeaux 2003, 131).
Sull’episodio vedi, ad es.: P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale. I, Torino 1960, 567 ss.; L.-R. Ménager, Les collèges sacerdotaux, les tribus
et la formation primordiale de Rome, in Mélanges
de l’Ecole française de Rome. Antiquité 88, 1976, 477 ss.;
C. Fayer, Aspetti di vita
quotidiana nella Roma arcaica, Roma 1982, 159 s.; J. Linderski, The
Augural Law, in Aufstieg und
Niedergang der römischen Welt II.16.3, Berlin-New York 1986, 2207 s.; M. Taglialatela Scafati, Appunti sull’ordinamento militare di
Roma arcaica. Con una lettura di Dion. 3.71.1 e note a Flor. 1.1(5)2 e 1.1(1)15,
in Ricerche sulla organizzazione
gentilizia romana, a cura di G. Franciosi, II, Napoli 1988, 63 ss.
[2] Sui pontefici vedi specialmente: A. Bouché-Leclercq: Les pontifes dans l’ancienne Rome.
Étude historique sur les institutions religieuses de Rome, Paris
1871 [rist. an., New York 1975]; J. Marquardt,
Le culte chez les Romains,
trad. fr. di M. Brissaud, I, Paris 1889, 281 ss.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., München
1912, 501 ss.; N. Turchi, La
religione di Roma antica, Bologna 1939, 40 ss.; K. Latte, Römische Religionsgeschichte,
München 1960, 400 ss., 195 ss.; M. Le
Glay, La religion romaine,
Paris 1971, 142 ss.; G. Dumézil, La religion romaine archaïque, 2ª ed., Paris 1974, 116 ss.; G.J. Szemler, v. Pontifex, in Paulys
Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Suppl. XV, München
1978, coll. 331 ss.;
R. Seguin, Remarques sur les origines des pontifes
romains: Pontifex Maximus et Rex Sacrorum,
in Hommages à H. Le Bonniec. Res Sacrae,
a cura di D. Porte e J.-P. Néraudau, Bruxelles
1988, 405 ss.; A.M.
Smorchkov,
Коллегия понтификов и понтификальное право в российской историографии, in Ius Antiquum - Древнее Право 5, 1999, 109 ss.; Id., Коллегия понтификов, in Aa.Vv., Collegia sacerdotum Romae Primordialis. Ad problemam de incremento iuris sacri et publici, Moskva 2001, 100 ss.; F. Van Haeperen, Le
collège pontifical (3ème s. a. C.-4ème s. p. C.). Contribution à l’étude de la religion
publique romaine, Bruxelles–Rome
2002; C.M.A. Rinolfi, Livio 1.20.5-7: pontefici, sacra, ius sacrum, in Diritto@Storia 4, 2005 (http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Rinolfi-Pontefici-sacra-ius-sacrum.htm); L. Franchini, Aspetti giuridici del pontificato romano.
L’età di Publio Licinio Crasso (212-183 a.C.), Napoli 2008.
[3] D. 1.2.2.6 (Pomponius, libro
singulari enchiridii): Omnium tamen
harum et interpretandi scientia et actiones apud collegium pontificum erant, ex
quibus constituebatur, quis quoquo anno praeesset privatis. Et fere populus annis propre centum hac consuetudine
usus est. In
letteratura questa tradizione è stata largamente intesa come prova
dell’esistenza di un monopolio pontificale del diritto e della
giurisprudenza nella fase arcaica della storia romana, ma vedi contra: F. Cancelli, La
giurisprudenza unica dei pontefici e Gneo Flavio tra fantasie e favole romane e
romanistiche, Roma 1996 (fonti e lett. ivi).
[4] E. Betti, Diritto romano. I. Parte generale,
Padova 1935, 38 s.: «l’arte, cioè, di mettere a profitto con
sobria economia gli strumenti offerti dal diritto positivo per risolvere
problemi e soddisfare bisogni sopravvenienti, facendo servire vecchi organi,
opportunamente modificati, a nuove funzioni: l’arte di conciliare
l’esigenza della certezza, che importa fermezza della norma, con
l’esigenza della giustizia, che ne postula la elasticità,
l’adattabilità al caso singolo: l’arte di mettere in rilievo
nei rapporti della vita sociale quegli aspetti e lineamenti che solo debbono
interessare e rilevare per il regolamento giuridico e, in pari tempo, di
cogliere nella legge gli spunti e appigli più adatti cui appoggiarlo».
[5] D. 1.2.2.37 (Pomponius, libro singulari enchiridii):
Fuit
post eos maximae scientiae Sempronius, quem populus Romanus σοφὸν appellavit, nec quisquam ante hunc aut post hunc
hoc nomine cognominatus est. Per
i frammenti di questo giurista rimando alla monumentale opera di Francesco Sini, A quibus iura civibus
praescribebantur. Ricerche sui giuristi
del III secolo a.C., Torino 1995, 71 ss.
[6] In materia vedi ex
multis, tra i più recenti: C.
Beduschi, Il «ius
controversum» fra razionalità e giustizia, in Rivista di Diritto Romano 10, 2010; M. Brutti, Gaio e lo ius controversum, in Annali
del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 55, 2012,
75 ss. Cfr. anche L. Franchini, Il diritto casistico: esperienza romana
arcaica e ‘common law’, in Diritto@Storia
10, 2011-2012
(http://dirittoestoria.it/10/Tradizione-Romana/Franchini-Esperienza-romana-arcaica-common-law.htm).