Universitŕ di Sassari
I TRATTATI E LA GUERRA: LA LUNGA TRACCIA DELLA CONSUETUDINE
INTERNAZIONALE.
L’ANTICO TESTAMENTO
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il testo biblico: cenni. – 3. Pacta sunt servanda: l’archetipo abramitico e il
Patto dell’Alleanza. – 4.
I trattati
vetero-testamentari nel quadro della prassi del tempo: trattati paritetici e
trattati vassallitici. – 5. Guerra santa e guerra permessa. Il trattamento dei
prigionieri. –
6. Appendice.
– Abstract.
Il Novecento si č incaricato di mostrare quanto l’ancorare il
fenomeno del diritto internazionale a una societŕ di “Stati” sia inutile – se
non addirittura dannoso – sul piano politico ed erroneo sul piano storico, cosě
come il riferire la sua esistenza solo alla storia europea[1].
In effetti, la dottrina internazionalistica si č orientata ad affermare che non
č lo Stato inteso come popolo-territorio-governo, lo Stato-persona del diritto
interno che si rivela partecipe delle relazioni internazionali, bensě il solo
governo, in quanto esprima una organizzazione capace di costituire effettivamente
ed efficacemente un centro autonomo di volontŕ e di azione, un nucleo di
<potere>[2].
Concepita come storia delle relazioni fra enti di tal genere, la storia del
diritto internazionale acquista una diversa ampiezza e profonditŕ. Essa si
rivela, cioč, storia di lungo periodo, nella quale istituti consuetudinari
propri dell’attuale prassi delle relazioni internazionali, si lasciano
comprendere nella loro sedimentazione secolare[3].
Sul piano storico si puň parlare di un
ordinamento giuridico internazionale, di fronte a un ambiente sociale nel quale
almeno due soggetti del tipo anzidetto si riconoscono come soggetti autonomi di
diritto e fra di essi vi sia uno scambio continuato di natura culturale,
economica e politica che necessita di regolamentazione giuridica[4].
Nel mondo che gravitava intorno al bacino del mediterraneo (e
non solo), tali condizioni si sono verificate piů volte, nel corso della storia
antica. Se ci svincoliamo da quella sorta di “chimera dell'uguaglianza” che
viene vista come una delle caratteristiche imprescindibili dell’attuale diritto
internazionale, possiamo ammettere che questo non sia se non uno di quelli
possibili, e che di tempo in tempo si possa tenere conto del ruolo eventuale
giocato da entitŕ politiche di secondo e terzo livello, purchč al principio
della coordinazione non si sostituisca quello del dominio[5].
Ma ancora adesso la pretesa “modernitŕ” di questa branca del diritto sembra a
molti un dogma di fede[6]:
sia fra gli internazionalisti[7],
sia fra gli storici del diritto – romanisti[8]
e italianisti[9] – č
stata a lungo diffusa la convinzione del
carattere di novitŕ di tale corpo di norme, alla cui origine sarebbero sia la ragione, uscita con la Riforma dal preteso
oscurantismo medievale, sia la politica, finalmente svincolatasi, con la
guerra dei trent’anni, a un tempo dal
dominio del Sacro Romano Impero e del Papato[10].
A lungo, infatti, se ne č vista la fondazione nella prassi e nella dottrina, da
un lato, nella Pace di Westfalia, risultante dai due trattati di Osnabrück del
6 agosto 1648 e di Münster del 24 Ottobre dello stesso anno, dall'altro
nell'opera di Grozio. E’ facile rendersi conto di quanto questa visione sia
viziata da un pregiudizio illuministico[11]:
basta aprire il De jure belli ac pacis,
proprio l’opera indicata come inizio della scienza del diritto internazionale,
per trovare sconcertante che una tale tesi abbia potuto affermarsi per tanto
tempo. Perché se č vero che Grozio del diritto internazionale vede due radici,
la consuetudine e i trattati, per provare l’esistenza di norme osservate
consuetudinariamente nelle relazioni fra i diversi potentati, egli si avvale
della sua amplissima cultura per richiami che assai raramente sono tratti dalla
storia a lui contemporanea, mentre per lo piů traggono argomento dalle testimonianze
della cultura tradizionale: la filosofia e la letteratura greco-romana, la
Patristica, la storia sacra. La massa di questi richiami rende il de jure belli ac pacis un testo assai
piů simile a un repertorio di casi che a un moderno manuale di diritto
internazionale. Naturalmente, la visione groziana č strettamente legata
all’idea che il diritto č espressione di una natura umana concepita come
invariante. Nell’ottica groziana, č appunto la loro natura (razionale e
sociale) che da sempre spinge gli individui
ad unirsi in societŕ ed a obbedire ad alcune norme fondamentali, quali il
rispetto della vita e dei beni altrui, il restituire i debiti, il mantenere i
patti, il risarcire i danni. E poiché si fondano sulla natura umana queste
norme sono comuni ai diversi popoli e alle diverse etŕ storiche[12].
In questo quadro si spiega la massa di citazioni groziane tratte dall’antico
testamento.
Dunque, proprio il giurista cui viene riconosciuto un ruolo
determinante per il sorgere della scienza del diritto internazionale ci
incoraggia a sondare questo testo per rinvenirvi le tracce dell’esistenza di
norme e istituti di diritto internazionale. Questo vuol dire che la Bibbia non
attirerŕ qui la nostra attenzione in quanto testo religioso, fondamentale sia
per la religione ebraica sia per quella cristiana, ma in quanto testo
suscettibile di fare luce sulla cultura giuridica dell’antico Medio Oriente.
Non mi soffermerň sugli enormi e ancora non del tutto risolti problemi di
datazione, tuttora oggetto di dibattito. Basti dire che, mentre la composizione
della Genesi e anche di altri libri o parti di essi, č sempre piů
problematica, un certo consenso sembra raggiunto, sia pure in via provvisoria e
non senza modifiche e ripensamenti, su alcuni elementi acquisiti a partire
dalle ricerche dei biblisti tedeschi dell’Ottocento. Cosě la datazione in etŕ
monarchica di alcuni Salmi e di certi libri o parti di libri profetici;
l'attribuzione a etŕ relativamente tarda (secondo molti nettamente
post-esilica) di una redazione finale del Pentateuco; la visione unitaria dei
libri narrativi detti “Profeti anteriori” come opera di una personalitŕ o
scuola detta “deuteronomistica” per i suoi rapporti di impostazione ideologica
con il Deuteronomio, ultimo libro del Pentateuco; infine la datazione
post-esilica, e certo successiva a quella deuteronomista, dei due libri delle Cronache[13].
E’ interessante notare che i dati
dell’Antico Testamento, che rileveremo in questa sede, si collegano con – e ricevono
conferma da – quelli dedotti da altre fonti, prime fra tutte quelle
archeologiche, di cui oggi gli studiosi dispongono, e dalle quali č possibile
trarre una serie di interessanti deduzioni, proprio riguardo al tema che ci
interessa. Penso ai grandi archivi diplomatici trovati a El Amarna[14]
(attuale Egitto) e a Hattous[15]
(Boghazkeuyi, nell’odierna Turchia). Grazie a questi archivi
(in tavolette d’argilla scritte in caratteri cuneiformi) č possibile
ricostruire la politica estera egiziana e ittita, e le norme cui essa si
ispirava.
Particolarmente rilevanti, ad esempio,
sono le tavolette che definiscono i termini di un accordo di pace fra Ittiti ed Egiziani al tempo di Ramsete II
(circa 1283 a. C.), pace giŕ qualificata come “perpetua”, dunque inviolabile[16].
Questi documenti provano, al di lŕ di ogni ragionevole dubbio,
che molto prima della nostra era, tutt’attorno al Mediterraneo, si era in
effetti formata una comunitŕ internazionale i cui soggetti intrattenevano fra
loro regolari rapporti diplomatici servendosi
di una lingua comune, l'idioma di Akkad, e di una comune scrittura, la
cuneiforme. I re si chiamavano l'un l'altro “fratelli” – se di uguale potenza –
o “servi” del loro sovrano – se vassalli[17],
e si consideravano membri di una stessa “famiglia” legata a norme ben precise
di “cortesia”[18].
Dal XV a tutto il XIII secolo a.C., si
puň dire che queste norme, tese a regolare i rapporti fra tali soggetti, non
solo esistessero, ma avessero raggiunto un certo livello di raffinatezza,
comprendente una forma di equilibrio e di concerto fra le principali potenze, e
di una concezione della guerra come executio
juris[19].
Peraltro, grazie agli scavi di Lagash,
sappiamo come giŕ a partire dal terzo millennio a.C., rapporti giuridici di
pace e di guerra siano esistiti fra i principati cittadini sumeri. Grazie al
ritrovamento, a Lagash[20],
di circa 30.000 tavolette d’argilla (1877), ci č pervenuto il testo di un
trattato teso a porre termine a una lunga controversia di frontiera fra le due
cittŕ-stato di Lagash e di Umma. Mesilim, re di Kish, cui le parti avevano
affidato la controversia con un apposito compromesso, avrebbe segnato il
confine e innalzato una stele fra i due territori a memoria della definizione
della frontiera[21]. La
pronuncia di Mesilim appare resa in conformitŕ alle indicazioni di Kadi, dea
della giustizia, dalla quale il re avrebbe appreso in quali termini le
rispettive divinitŕ delle due cittŕ
erano state a loro volta riconciliate da Enlil, “re della terra e padre degli
dei”, cioč a dire un loro superior in
quanto dio del Nippur[22].
E questo ci porta a una questione
cruciale. Se ammettiamo che la consuetudine – nel lungo periodo fonte primaria
del diritto internazionale – possa essere rilevata, soprattutto nell’evo
antico, su fonti di cognizione non necessariamente
giuridiche, allora dobbiamo scontare un problema di linguaggio, e non lasciarci
fuorviare dal diaframma mitico-religioso che ai nostri occhi vela il modo in
cui l’evo antico discorre di scienza e di diritto[23].
Solo cosě puň aprirsi alla nostra indagine il linguaggio dell’Antico
Testamento, di cui ormai, tramite la Patristica, si riconosce l’importanza
nella genesi del diritto internazionale europeo[24].
Vi č chi ritiene che l’antico Israele abbia preso inizio da un
accordo di federazione fra tribů diverse. Per il Mendenhall[25],
bisognerebbe partire dall’assunto che tale federazione – che appare giŕ formata
nell’etŕ dei Giudici – sia la consapevole continuazione di una tradizione piů
antica, risalente al tempo di Mosč. Presso il Sinai avrebbe preso vita un
accordo formale, un covenant, con il
quale clan semi-nomadi, usciti dalla recente schiavitů in Egitto, si sarebbero
uniti in una comunitŕ di impronta religiosa
e politica. Il testo di questo patto, a un tempo sociale e religioso, sarebbe
il Codice dell’Alleanza, cioč Esodo 21-23. Qui si legge che Mosč:
«… prese il libro dell'alleanza e lo
lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto ha detto il Signore, lo
eseguiremo e vi presteremo ascolto”. Mosč prese il sangue e ne asperse il
popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con
voi sulla base di tutte queste parole!”»[26].
Si tratta, come si vede, di un vero e proprio patto sociale, che
viene sancito da forme solenni (il sacrificio rituale, l’aspersione del sangue
della vittima sui convenuti). Dunque, il primo e piů importante principio di
diritto internazionale, il groziano “pacta
sunt servanda”, divenuto poi norma-base del monismo kelseniano, sarebbe
anche il principio fondante della comunitŕ stessa dell’antico Israele e del suo
rapporto con Dio.
Per la veritŕ, l’obbligatorietŕ di un patto di tal genere č un
concetto centrale in tutto l’Antico Testamento, anzi č un concetto posto alle
radici stesse del sorgere del monoteismo abramitico. Abramo, nel corso di
un’esperienza soprannaturale nella quale intuisce la sua unicitŕ, riceve da Dio
una promessa apparentemente assurda: egli si insedierŕ nella terra che Dio gli
darŕ e avrŕ, sebbene vecchio e ancora senza eredi, una discendenza numerosa
come le stelle del cielo. A questo punto, il testo sembra porci di fronte ad
una contraddizione. Perché da un lato ci dice che Abramo crede alla promessa,
del che Dio gli rende merito; dall’altro che chiede: «come potrň sapere che ne
avrň il possesso?» Come se Dio volesse farsi capire, il racconto prosegue con
l’indicazione delle vittime sacrificali, la loro divisione in due, Abramo in
vigile attesa. Infine: «Quando, tramontato il sole si era fatto un buio fitto
ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali
divisi».
Questa sequenza di atti, che risultano incomprensibili ai nostri
occhi, in realtŕ doveva essere nota ad Abramo come quella atta a sancire gli
accordi solenni[27]: i
contraenti passavano fra le carni sanguinanti degli animali uccisi, e
invocavano su di sé la sorte riservata alle vittime, se avessero trasgredito il
loro impegno. Infatti il testo prosegue:
«In quel giorno il Signore concluse questa
alleanza con Abramo: “Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume
d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate; il paese dove abitano i Keniti, i
Kenniziti, i Kadminiti, gli Hittiti, i Perriziti, i Refaim, gli Amorrei, i
Cananei, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei”»[28].
Della prassi abbiamo una conferma in Geremia:
«Gli uomini che hanno trasgredito la mia alleanza…io li renderň
come il vitello che spaccarono in due passando fra le due metŕ»[29];
ma se ne trova traccia anche nell’Iliade:
«Una negr’agna adunque
svenate,
o Teucri, all’alma Terra, e un agno
di
bianco pelo al Sole: un terzo a Giove
offrirassi
da noi»[30].
A partire dallo stesso Abramo, sappiamo di alleanze strette da
Israele[31].
Si poteva trattare di accordi di
vassallaggio o di trattati stipulati su di un piano di paritŕ. Di quest’ultimo
tipo era, ad esempio, quello fra Salomone e il re di Tiro, che non solo
prevedeva lo scambio di alcuni villaggi di confine, ma anche il commercio fra i
due paesi[32].
Un’analisi strutturale di testi analoghi a quelli citati ha
portato gli studiosi a rilevare molte analogie fra i trattati della Bibbia e
quelli dell’intero Antico Oriente. Lo stesso modo in cui viene formulata e
sancita l’alleanza mosaica sembra iscriversi nella piů lunga tradizione dei
trattati vassallitici della regione, che nel prologo cominciavano con
l’enunciare le ragioni della gratitudine e dell’obbedienza dovuta dal vassallo
– salvato dai pericoli, difeso dai nemici, sollevato dalla sua miseria e
colmato di onori e dignitŕ – e terminavano con la dichiarazione che assicurava
al vassallo un territorio, descritto con tutte le sue risorse. Cosě nel
Deuteronomio, insieme al memento del
miracoloso esodo dall’Egitto, si rinviene una descrizione dell’area della
Transgiordania simile alle indicazioni di territori incluse nei documenti
ittiti, babilonesi, neo-assiri e aramei[33].
Gli elementi essenziali del trattato erano quindi le clausole dell’accordo,
l’elenco degli dei che venivano invocati, le formule di maledizione[34].
Per fare un esempio, il trattato fra Mursilis, re degli Ittiti, e Kupanta-Kal,
re di Mira e Kuwallya menziona anzitutto la fedeltŕ degli antenati del
vassallo, ma anche la sua ribellione e ostinazione (nel trattato, Mursilis
ricorda come il predecessore di Kupanta-Kal avesse incitato alla ribellione e
per questo fosse stato deposto)[35].
Gli stessi formulari dei trattati accadici e ittiti riecheggiano nella
terminologia dell’Antico Testamento: il trattato appena citato contiene una
clausola che recita: "Non desidererai alcun territorio della terra di
Hatti"[36]. E’ di
tutta evidenza la somiglianza sia di forma sia di contenuto con il decimo
comandamento.
L’impegno sancito nel trattato era vincolante perché assunto
davanti alla divinitŕ che ne diveniva garante e perché era accompagnato da
sacrifici e maledizioni, per chi lo avesse violato, che connettevano la
stipulazione dei trattati ad antiche tecniche magiche di analogia e sostituzione:
non solo nell’antico Israele, ma anche nel mondo dei Sumeri, dei Babilonesi,
degli Ittiti, degli Egiziani, gli accordi di questo genere venivano
accompagnati da una cerimonia che, con maggiore o minore enfasi, enunciava
anche le penalitŕ conseguenti alla sua violazione. Gravissimo era rompere la
fede data[37]. Nel
mondo antico, gli accordi cosě conclusi godevano di garanzie squisitamente
religiose: la loro violazione era punita direttamente dalla divinitŕ o dal
gruppo di divinitŕ garanti. L’obbligatorietŕ del trattato era infatti sancita
da un giuramento che veniva scambiato con un cerimoniale nel quale, invocando
le divinitŕ dell’una e dell’altra parte[38],
si enunciavano le benedizioni che esse avrebbero elargito su chi avesse tenuto
fede all’accordo e le maledizioni che avrebbero afflitto chi l’avesse violato.
Cosě nella III stele di Sefira[39]
si legge:
«Come questa cera č bruciata dal
fuoco, cosě Mattiel sarŕ consumato dal fuoco; come questo arco e queste freccie
vengono spezzate, cosě Inurta e Hadad (divinitŕ locali) spezzeranno il busto di
Mattiel e dei suoi nobili; come quest’uomo di cera č accecato, cosě Mattiel
sarŕ accecato; come questo vitello č sgozzato cosě sarŕ sgozzato Mattiel e i
suoi nobili»[40].
La forza di un patto cosě stipulato, pertanto, era tale per cui
esso era considerato inviolabile anche quando in contrasto con altri comandi
divini. Illuminante in questo senso il caso dell’accordo di pace di Giosuč con
i Gabaoniti [Appendice:
testo N. IV][41],
divenuto nella letteratura successiva lo spunto per discutere della
obbligatorietŕ dei trattati stipulati sulla base di un inganno. Il “Codice del
Sinai” vietava agli Israeliti di stringere alcuna alleanza con le popolazioni a
loro vicine[42]: essi
potevano farlo solo con quelle lontane. Temendo di essere sconfitti e
sterminati, i Gabaoniti dissimulano la loro prossimitŕ, inducendo cosě Giosuč
in inganno. Eppure la rottura del giuramento prestato pare al capo israelita
piů grave della trasgressione del comandamento divino.
Grozio troverŕ ineccepibile la decisione e negherŕ la
possibilitŕ di considerare nulla la parola data, anche in presenza di un vizio
della volontŕ (gli Israeliti, pur nell’inganno, si erano legati ai Gabaoniti
con un foedus de vita conservanda[43])
e Hobbes affermerŕ l'obbligatorietŕ dei trattati indipendentemente dalla
violenza con cui sia stata coartata la volontŕ, a meno che essi non siano
contrari al diritto[44].
E qui sta il punto, che spingerŕ l’olandese Voet – convinto che ad rem turpem et iniustam nulla per
conventionem perduci possit obligatio – a sostenere che Giosuč avrebbe
dovuto ritenersi libero dal giuramento[45].
All’idea di Jahwe come
dio che ha stretto col popolo un patto di alleanza, č associata quella
dell’essere Egli scudo e spada del popolo stesso. Il carattere religioso delle
guerre israelitiche (mitzva) venne
rilevato in questo senso da Friedrich Schwally[46],
che usa in proposito l’espressione heilige
Krieg[47]. Nel
rinviare al patto con cui Israele era nata come federazione e si era alleata
con Dio, Schwally ricorre proprio al termine Bund: il culto costituiva il contesto nel quale una tale guerra si
collocava. Si trattava di una guerra santa, nella quale Israele agiva come
l’esercito di Dio, in difesa della federazione di cui Dio era sovrano[48].
Weber raccoglie e amplifica la teoria di Schwally. In “Ancient judaism” insiste sulla
connessione fra culto e alleanza: Jahwe č il dio dell’alleanza, e questa idea
costituisce al contempo la base della coesione sociale di Israele, cioč del Bund, di cui lo stesso Jahwe č parte e
difensore[49].
Permanendo il carattere federale di Israele, i profeti (Deborah,
Samuele) dovevano esercitare in guerra il ruolo di leaders, ruolo che si appanna con la monarchia, pur continuando
essi a svolgere una funzione politico-ideologica[50].
Le teorie di Schwally e Weber informarono poi le ricerche di Gerhard von Rad[51], che vi portava il peso dei suoi
precedenti studi sul Deuteronomio e sull’Esateuco.
Von Rad focalizza l’attenzione sui rituali che precedevano e
accompagnavano la guerra santa, spesso difesi dai profeti in opposizione alla
prassi della corte. L’idea centrale č che la guerra puň essere ordinata da Dio
stesso[52]:
in questo caso č definita come mitzva.
Forte del comando divino, la mitzva č
una guerra tesa alla sopravvivenza di Israele come popolo e come cultura, cioč
come nazione. Israele č consapevole che questa non puň essere un’impresa solo
umana. In forza del patto dell’Alleanza, č lo stesso Jahwe che partecipa al
combattimento per la sua federazione e ne regola le modalitŕ[53].
Dunque non č concepibile alcuna neutralitŕ né alcuna trasgressione ai Suoi
comandi.
Nella guerra santa la chiamata alle armi veniva effettuata con
uno squillo di tromba. Una forma piů arcaica doveva essere quella di inviare
tramite messaggeri pezzi di carne sacrificale, come si vede nell’episodio di
Gŕbaa, nella cui crudezza emerge chiarissimo l’uso della forza come executio juris[54].
L’esercito di Jahwe (tutti gli abili alla guerra, divisi per
tribů[55]
senza cavalli né carri) si riuniva in un accampamento ove l’armata soggiaceva a
severe restrizioni rituali: gli uomini erano consacrati[56];
l’intero accampamento doveva essere stato purificato[57],
anche le armi, perché Dio stesso era presente nel campo e combatteva con
Israele e alla sua guida[58]partecipando
con le forze della natura, come vento, grandine, inondazioni. Perciň venivano
offerti sacrifici[59]
e consultato l’oracolo di Dio[60],
il quale sulla base della visione divina proclamava “Dio ha messo i nemici
nelle nostre mani”[61].
L’espressione non č nuova in veritŕ, come non nuova era la
prassi di chiamare alle armi mediante l’invio di membra sacrificali: il Weippert ha citato fonti cuneiformi assire ove Ishtar, la dea della guerra,
si esprime allo stesso modo. In opposizione al von Rad, che ne sosteneva la
tipicitŕ, il Weippert ha avvicinato la “guerra santa” israelita alle tradizioni
dell’Antico Oriente[62].
La prassi dell’antico Israele avrebbe, cioč, seguito da presso quella dei
Semiti loro vicini e degli Assiri conquistatori[63],
mostrandosi come una variante delle piů antiche tradizioni orientali del
diritto di guerra[64].
Dopo la vittoria il territorio nemico č votato allo sterminio,
che secondo Giosuč[65]
e Samuele[66] deve
colpire tutti i viventi [67]. Il
bottino deve essere consacrato a Jahwe e parte dato alle fiamme, parte diviso[68].
Giŕ nel X secolo, al tempo di Saul e Davide, la guerra si era, perň,
molto secolarizzata. Dall’essere tesa ad assicurare ad Israele la terra
promessa, č ora piuttosto diretta alla sua espansione. Questa guerra, diciamo
cosě “opzionale” (reshut), distintasi nel tempo dalla prima, deve
essere autorizzata dal Sinedrio[69].
Fra le norme del Deuteronomio figurano quelle dedicate
espressamente al diritto di e in guerra e sono norme tese a configurare le
prime linee di una guerra giusta non solo perché permessa o addirittura
ordinata da Dio, ma anche perché iniziata e condotta secondo norme considerate
vincolanti: insieme a quelle sullo sterminio, relative alla mitzva, altre ve ne sono di profonda
conoscenza dell’animo umano e sorprendente pietas
nei confronti cosě degli stessi Israeliti come dei nemici.
«Quando ti avvicinerai a una cittŕ per attaccarla, le offrirai
prima la pace. Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che
vi si troverŕ ti sarŕ tributario e ti servirŕ. Ma se non vorrŕ fare la pace con
te e vorrŕ la guerra, allora l’assedierai»[70].
Non era abitudine dell’antico Israele massacrare i prigionieri
di guerra. Lo si vede chiaramente da un passaggio concernente la vita del
profeta Eliseo: gli Aramei sono stati colpiti da cecitŕ. Quando riacquistano la
vista si trovano circondati dagli Israeliti.
«Il re di Israele, quando li vide,
disse ad Eliseo: li devo uccidere padre mio? Quegli rispose: Non ucciderli.
Forse uccidi uno che hai fatto prigioniero con la spada e con l’arco?»[71].
E ancora: sconfitto dal re di Israele, Ben Hadad gli invia i
suoi ministri con segni esteriori di sottomissione al fine di perorare per la
sua vita. Segue un accordo stipulato su un piano di paritŕ[72].
Si trattava di una normativa che non mancava di tenere in
considerazione i sentimenti degli Israeliti:
«I capi diranno al popolo: C’č
qualcuno che abbia costruito una casa
nuova e non l’abbia abitata? Vada, torni a casa perché non muoia in battaglia e
altri inauguri la casa. …C’č qualcuno che si sia fidanzato con una donna e non
l’abbia ancora sposata? Vada, torni a casa perché non muoia in battaglia e
altri la sposi…»[73].
Quest’ultimo provvedimento era teso evidentemente anche alla
protezione della famiglia, e confermato dalla successiva previsione:
«Quando un uomo si sarŕ sposato da
poco non gli sarŕ imposto alcun incarico; sarŕ libero per un anno di badare
alla sua casa e farŕ lieta la moglie che ha sposata»[74].
Colpisce inoltre la precoce sensibilitŕ ecologica tesa alla
protezione dell’ambiente:
«Quando cingerai d’assedio una cittŕ
per lungo tempo per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi
colpendoli con la scure: ne mangerai il frutto ma non li taglierai, perché
l’albero della campagna č forse un uomo per essere coinvolto nell’assedio?»[75].
Insomma, dall’antico Testamento emerge lo sforzo straordinario
del mondo antico per superare il puro esercizio della violenza bellica,
istituzionalizzandola con norme fissate nel sistema religioso e filosofico e
assoggettandola a principi giuridici[76].
Nell’antico Oriente, come poi nel sistema delle cittŕ-Stato della Grecia o nel
periodo della espansione romana, la dichiarazione di guerra e la sua conduzione
soggiacevano al verificarsi di condizioni e all’espletamento di cerimonie
determinate. E pur nel variare di queste ultime, si mantiene ferma l’idea della
loro necessitŕ.
G. A. BARTON, Inscription of Entemena #7, in: The Royal Inscriptions of Sumer and Akkad
, New Haven 1929, 61,62,65.
Doc. n.I
“By the
immutable word of Enlil, king of the lands, father of the gods, Ningirsu and Shara
set a boundary to their lands. Mesilim, King of Kish, at the command of his
deity Kadi, set up a stele [a boundary marker] in the plantation of that field.
Ush, ruler of
Umma, formed a plan to seize it. That stele he broke in pieces, into the plain
of Lagash he advanced. Ningirsu, the hero of Enlil, by his just command, made
war upon Umma. At the command of Enlil, his great net ensnared them. He erected
their burial mound on the plain in that place.
Doc. n. II
Eannatum,
ruler of Lagash, brother of the father of Entemena [who put up this
inscription] ... for Enakalli, ruler of Umma, set the border to the land. He
carried a canal from the great river to Guedin . He opened the field of
Ningirsu on its border for 210 spans to the power of Umma. He ordered the royal
field not to be seized. At the canal he inscribed a stele. He returned the
stele of Mesilim to its place. He did not encroach on the plain of Mesilim. At
the boundary-line of Ningirsu, as a protecting structure, he built the
sanctuary of Enlil, the sanctuary of Ninkhursag .... By harvesting, the men of
Umma had eaten one storehouse-full of the grain of Nina [goddess of Oracles],
the grain of Ningirsu; he caused them to bear a penalty. They brought 144,000 gur,,
a great storehouse full, [as repayment]. The taking of this grain was not to be
repeated in the future.
Urlumma, ruler
of Umma drained the boundary canal of Ningirsu, the boundary canal of Nina;
those steles he threw into the fire, he broke [them] in pieces; he destroyed
the sanctuaries, the dwellings of the gods, the protecting shrines, the
buildings that had been made. He was as puffed up as the mountains; he crossed
over the boundary canal of Ningirsu. Enannatum, ruler of Lagash, went into
battle in the field of Ugigga, the irrigated field of Ningirsu. Entemena, the
beloved son of Enannatum, completely overthrew him. Urlumma fled. In the midst
of Umma he killed him. He left behind 60 soldiers of his force [dead] on the
bank of the canal "Meadow- recognized-as-holy-from-the-great-dagger."
He left these men-their bones on the plain. He heaped up mounds for them in 5
places. Then Ili Priest of Ininni of Esh in Girsu, he established as a vassal
ruler over Umma.
Doc. n. III
Ili, took the
ruler of Umma into his hand. He drained the boundary canal of Ningirsu, a great
protecting structure of Ningirsu, unto the bank of the Tigris above from the
banks of Girsu. He took the grain of Lagash, a storehouse of 3600 gur .
Entemena, ruler of Lagash declared hostilities on Ili, whom for a vassal he had
set up. Ili, ruler of Umma, wickedly flooded the dyked and irrigated field; he
commanded that the boundary canal of Ningirsu; the boundary canal of Nina be
ruined.... Enlil and Ninkhursag did not permit [this to happen]. Entemena,
ruler of Lagash, whose name was spoken by Ningirsu, restored their canal to its
place according to the righteous word of Enlil, according to the righteous word
of Nina, their canal which he had constructed from the river Tigris to the
great river, the protecting structure, its foundation he had made of stone
....”
***
ESODO, 24
“4 Mosč scrisse tutte le parole del Signore. Si alzň di buon
mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribů
d’Israele. 5 Incaricň alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e
di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. 6 Mosč
prese la metŕ del sangue e la mise in tanti catini e ne versň l’altra metŕ
sull’altare. 7 Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del
popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo
ascolto». 8 Mosč prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il
sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte
queste parole!»”.
I SAMUELE, 10.25
“Tutto il popolo proruppe in un grido: «Viva il re!». 25 Samuele
espose a tutto il popolo il diritto del regno e lo scrisse in un libro, che
depositň davanti al Signore”.
***
GENESI, X, 16,4
“7 E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da
Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». 8 Rispose: «Signore Dio,
come potrň sapere che ne avrň il possesso?». 9 Gli disse: «Prendimi una
giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora
e un colombo». 10 Andň a prendere tutti questi animali, li divise in due e
collocň ogni metŕ di fronte all'altra; non divise perň gli uccelli. 11 Gli
uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciň.
12 Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su
Abram, ed ecco terrore e grande oscuritŕ lo assalirono. 13 Allora il Signore
disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra
non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. 14 Ma
la nazione che essi avranno servito, la giudicherň io: dopo, essi usciranno con
grandi ricchezze. 15 Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai
sepolto dopo una vecchiaia felice. 16 Alla quarta generazione torneranno qui,
perché l'iniquitŕ degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo».
17 Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un
braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi.
18 In quel giorno il Signore concluse quest'alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal
fiume d'Egitto
al
grande fiume, il fiume Eufrate;
19
la terra dove abitano i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, 20gli Ittiti, i
Perizziti, i Refaěm, 21gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei e i Gebusei».”
***
GIOSUE, IX, 3
Invece gli abitanti di Gŕbaon, quando ebbero sentito ciň che
Giosuč aveva fatto a Gerico e ad Ai, 4
ricorsero da parte loro ad un'astuzia: andarono a rifornirsi di vettovaglie,
presero sacchi sdrusciti per i loro asini, otri di vino consunti, rotti e
rappezzati, 5 si misero ai piedi
sandali strappati e ricuciti, addosso vestiti logori. Tutto il pane della loro
provvigione era secco e sbriciolato. 6
Andarono poi da Giosuč all'accampamento di Gŕlgala e dissero a lui e agli
Israeliti: «Veniamo da un paese lontano; stringete con noi un'alleanza». 7 La gente di Israele rispose loro:
«Forse abitate in mezzo a noi e come possiamo stringere alleanza con voi?». 8 Risposero a Giosuč: «Noi siamo tuoi
servi!» e Giosuč chiese loro: «Chi siete e da dove venite?». 9 Gli risposero: «I tuoi servi vengono
da un paese molto lontano, a causa del nome del Signore Dio tuo, poiché abbiamo
udito della sua fama, di quanto ha fatto in Egitto, 10 di quanto ha fatto ai due re degli Amorrei, che erano oltre il
Giordano, a Sicon, re di Chesbon, e ad Og, re di Basan, che era ad Astarot. 11 Ci dissero allora i nostri vecchi e
tutti gli abitanti del nostro paese: Rifornitevi di provviste per la strada,
andate loro incontro e dite loro: Noi siamo servi vostri, stringete dunque
un'alleanza con noi. 12 Questo č
il nostro pane: caldo noi lo prendemmo come provvista nelle nostre case quando
uscimmo per venire da voi e ora eccolo secco e ridotto in briciole; 13 questi otri di vino, che noi
riempimmo nuovi, eccoli rotti e questi nostri vestiti e i nostri sandali sono
consunti per il cammino molto lungo». 14
La gente allora prese le loro provviste senza consultare l'oracolo del Signore.
15 Giosuč fece pace con loro e
stipulň l'alleanza di lasciarli vivere; i capi della comunitŕ s'impegnarono
verso di loro con giuramento.
16 Tre giorni dopo avere
stipulato con essi il patto, gli Israeliti vennero a sapere che quelli erano
loro vicini e abitavano in mezzo a loro. 17 Allora gli Israeliti partirono e il terzo giorno entrarono
nelle loro cittŕ: le loro cittŕ erano Gŕbaon, Chefira, Beerot e Kiriat-Iarim. 18 Ma gli Israeliti non li uccisero,
perché i capi della comunitŕ avevano loro giurato per il Signore, Dio di
Israele, e tutta la comunitŕ si lamentň dei capi.
….
24 Risposero a Giosuč e
dissero: «Era stato riferito ai tuoi servi quanto il Signore Dio tuo aveva
ordinato a Mosč suo servo, di dare cioč a voi tutto il paese e di sterminare dinanzi
a voi tutti gli abitanti del paese; allora abbiamo avuto molto timore per le
nostre vite a causa vostra e perciň facemmo tal cosa. 25 Ora eccoci nelle tue mani, trattaci pure secondo quanto č buono
e giusto ai tuoi occhi».
GIUDICI, 20
Allora tutti gli Israeliti uscirono, da Dan fino a Bersabea e al
territorio di Gŕlaad, e la comunitŕ si radunň come un sol uomo dinanzi al
Signore, a Mispa. 2 I capi di tutto il popolo e tutte le tribů d'Israele si
presentarono all'assemblea del popolo di Dio, in numero di quattrocentomila
fanti che maneggiavano la spada. 3 I figli di Beniamino vennero a sapere che
gli Israeliti erano venuti a Mispa. Gli Israeliti dissero: «Parlate! Com'č
avvenuta questa scelleratezza?». 4 Allora il levita, il marito della donna che
era stata uccisa, rispose: «Io ero giunto con la mia concubina a Gŕbaa di
Beniamino, per passarvi la notte. 5 Ma gli abitanti di Gŕbaa insorsero contro
di me e circondarono di notte la casa dove stavo. Volevano uccidere me; quanto
alla mia concubina, le usarono violenza fino al punto che ne morě. 6 Io presi
la mia concubina, la feci a pezzi e mandai i pezzi a tutti i territori
dell'ereditŕ d'Israele, perché costoro hanno commesso un delitto e un'infamia
in Israele. 7 Eccovi qui tutti, Israeliti: consultatevi e decidete qui». 8
Tutto il popolo si alzň insieme gridando: «Nessuno di noi tornerŕ alla tenda,
nessuno di noi rientrerŕ a casa. 9 Ora ecco quanto faremo a Gŕbaa: tireremo a
sorte 10 e prenderemo in tutte le tribů d'Israele dieci uomini su cento, cento
su mille e mille su diecimila, i quali andranno a cercare viveri per il popolo,
per quelli che andranno a punire Gŕbaa di Beniamino, come merita l'infamia che
ha commesso in Israele».
I SAMUELE, 11-7.
«Poi prese un paio di buoi, li fece a pezzi e ne inviň in tutto
il territorio d’Israele mediante messaggeri con questo proclama: Se qualcuno
non uscirŕ dietro Saul e dietro Samuele, la stessa cosa avverrŕ dei suoi buoi».
The
article is focused on the State relations of the Jewish politics in old
Palestine and on the patterns reflected in diplomatic treaties and war making
practices, as studied in the Bible scholarship.
[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza,
rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti della sezione “Memorie” sono stati
oggetto di valutazione “in chiaro” da parte dell’organizzazione scientifica
delle “Conferenze Romanistiche Sassaresi” (anno 2015 – MMDCCLXXVIII dalla
fondazione di Roma); d'intesa con la direzione di Diritto @
Storia]
[1] A
mettere in dubbio l’idea dominante relativa alla natura dei soggetti del
diritto internazionale fu Pasquale Stanislao Mancini, il quale – verso la metŕ del
XIX secolo – asserě che non gli Stati andavano considerati tali, ma le nazioni
intese come comunanze storiche, etniche e culturali. Al momento tale dottrina
suscitň molte perplessitŕ e anche successivamente venne criticata dal punto di
vista politico. Vedi G. KOJANEC, voce Stato
(dir. Internaz.), in Enciclopedia
del diritto, XLIII, 1990, 788; T. PERASSI, Lezioni di diritto internazionale, Roma
1939, 76.
[2]
Per una definizione del diritto internazionale come jus inter potestates era Santi ROMANO, Corso di diritto internazionale, 4a, Padova 1939, 1. In realtŕ il
concetto č giŕ avanzato da Grozio, che interpretando la legge hostes equipara al popolo romano le
potenze che possono vantare potere sovrano sui sudditi: vedi De jure belli ac pacis, III, III, I, 449.
Secondo la definizione di G. ARANGIO-RUIZ, Diritto
internazionale e personalitŕ giuridica, Torino, 1971, 51 (estr. dal Novissimo Digesto Italiano, vol. XVIII,
voce Stati e altri enti, 23, 46 ss.): «Le persone primarie,
fra le quali i fenomeni normativi internazionali si svolgono sono insomma
quelle entitŕ collettive che in un modo o nell'altro si impongono nella societŕ
universale in guisa tale da non essere assoggettate ad una autoritŕ superiore
entro un sistema normativo interindividuale che le condizioni dal di dentro, e
da porsi cosě, in fatto, le une di fronte alle altre, come pares». E' stata la
letteratura italiana (oltre al qui citato Arangio-Ruiz, Marinoni, Quadri,
Giuliano, e infine anche Ago) quella che maggiormente ha contribuito a far riconoscere
nello Stato inteso come organizzazione, o meglio come apparato il vero
protagonista dei rapporti internazionali e nell'insieme degli Stati cosě
composti la base sociale dell'ordinamento internazionale. Sulla rilevanza di
tale dottrina nell’ottica della storia del diritto internazionale vedi L.
BUSSI, The growth of international law
and the mediation of the Republic of Venice in the Peace of Westphalia, in Parliaments, Estates and Representation,
19, 1999, 73 ss.
[3]
L. BUSSI, Mediazioni e arbitrati fra
Medioevo ed etŕ moderna, in Diritto@storia
N.4 – 2005 – Memorie < http://www.dirittoestoria.it/4/Memorie/Bussi-Mediazione-e-arbitrati.htm >.
[4] Cosě W. PREISER, Die Epochen der antiken Völkerrechtsgeschichte, in
Juristenzeitung, 1956, 738, nonchč Die Völkerrechtsgeschichte ihre Aufgabe und
ihre Methode, in Sitzungsberichte der Wissenschaftlichen Gesellschaft an der
Johann Wolfgang Goethe Universität Frankfurt-Main, Band 2, 1963, n. 2, 56 ss.,
e da ultimo Die völkerrechtliche Ordnung. Ein Beitrag zum System und zur
Geschichte des Völkerrechts, in Pensamiento juridico y Sociedad internacional.
Festschrift für Antonio Truyol y Serra, Madrid 1986, 1021.
[5] Tale tematica č stata affrontata in
W. PREISER, Frühe völkerrechtliche Ordnungen der ausserëuropäischen
Welt. Ein Beitrag zur Geschichte des Völkerrechts, in Sitzungsberichte der
Wissenschaftlichen Gesellschaft an der J.W.Goethe Universität, Frankfurt am
Main, IV, 5, Wiesbaden 1976, 89-292; trad. it. E. Bussi, Gli ordinamenti originali di
diritto internazionale del mondo extraeuropeo, in Archivio giuridico, CXCVI,
1978, 89-157 e 219-333. Anche secondo G. VISMARA vi sarebbe stata una pluralitŕ
di ordinamenti giuridici internazionali, tanti quante erano le comunitŕ
internazionali (Respublica christiana occidentale, Impero bizantino, Islam,
Comunitŕ dell'estremo Oriente), ma che non si potrebbe affermare che tali
comunitŕ abbiano costituito delle monadi senza comunicazione reciproca. Vedi
Problemi storici e istituti giuridici della guerra medievale, in Settimane di
studio del Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, 15, Ordinamenti
militari in Occidente nell'alto Medioevo, Spoleto 1968, 1127-1200, ora in
Scritti di Storia giuridica, cit., 7, 495.
[6] A «critically examine what has become
an article of faith in our discipline: that international law is a unique
product of the modern, rational mind» č ancora dedicato lo studio di D.J.
BEDERMAN, International Law in Antiquity,
Cambridge 2001.
[7] E. WHEATON, Storia dei progressi del diritto delle
genti in Europa e in America dalla Pace di Westfalia sino ai nostri giorni
(trad. Arlia), Napoli 1859, 11, «Prima che il Cristianesimo avesse dato al mondo
di novelle cognizioni, le leggi e le consuetudini su le quali erano regolati i
rapporti fra le nazioni europee, fondamentavansi su quel pregiudizio, il quale
fa che le differenti razze umane sieno riguardate tra loro come naturali
nemiche. Sinonimi erano pei Greci e pei Romani i vocaboli di straniero, barbaro e inimico». Contra R. AGO, La comunitŕ internazionale alle sue origini, in Studi in onore di G. Balladore Pallieri,
Milano, 1977, II, 31 dell'estr. Le norme del diritto internazionale nascerebbero,
per questo studioso, sotto l'impulso delle esigenze specifiche
dell'organizzazione e dello sviluppo di relazioni stabili fra entitŕ politiche
sovrane, dunque sarebbero semplicemente legate all’esistenza di queste e di
quelle. Cfr. A. MALINTOPPI, Comunitŕ
parziali e comunitŕ internazionale universale, Roma 1977, 68 ss.
[8]
Per l’evoluzione della dottrina romanistica in tema di “diritto internazionale
di Roma” vedi F. SINI, Bellum nefandum.
Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, Sassari 1991,
29; M.R. CIMMA, Reges socii et amici
populi romani, Milano 1976.
[9] A
difendere con forza l’esistenza di un “diritto internazionale” nell’evo antico
e medio č stato B. PARADISI. Vedine i vari studi raccolti in Civitas maxima, Studi di storia del diritto
internazionale, Firenze 1974.
[10]
La ricostruzione storica risentiva non solo della forma mentis di giuristi avvezzi – dall’etŕ delle codificazioni in
poi – a considerare il fenomeno giuridico nel quadro delle moderne societŕ
statuali, ma anche dell’impostazione che la scienza internazionalistica dava al
problema della giuridicitŕ, esistenza e definizione del diritto internazionale
attuale. Vedi L. BUSSI, Introduzione al
colloquio, in Diritto@storia, N.3
– Maggio 2004 – Memorie.
[11]
Oltre che a una concezione statualistica ed “evoluzionistica” del diritto, tale
opinione era evidentemente legata non solo alla damnatio illuministica del Medioevo, ma piů ancora alla tendenza a
vedere nella vittoria protestante del 1648 – tendenza che doveva cancellare per
molto tempo dalla memoria e dall’interesse degli studiosi gli sviluppi teorici
raggiunti in materia dalla scuola di Salamanca – la radice della spinta
“progressista” del diritto. Vedi
in materia H. THIEME, Qu’est ce-que nous,
les juristes, devons ŕ la seconde scolastique espagnole?, in Ideengeschichte und Rechtsgeschichte. Gesammelte Schriften,
Wien 1986, II, 908 ss.
[12]
Grozio riprende in proposito – rendendola famosa – la formula di Gregorio da
Rimini, condivisa da altri teologi del XV e del XVI sec., affermando: «Et haec quidem, quae iam diximus, locum
aliquem haberent, etiamsi daremus – quod sine summo scelere dari nequit – Deum
non esse aut ab eo non curari negotia humana». Su ciň
vedi P. HAGGENMACHER, Grotius et la doctrine de la guerre juste,
Paris 1983, 497; G. St. LEGER, The
“etiamsi daremus “ of Hugo Grotius . A Study in the Origins of International
Law, Romae 1962; G. FASSO’, Ugo
Grozio fra Medioevo ed etŕ moderna, in Rivista
di filosofia, 41 (2), 1950, 174-190; O.
GIERKE, Johannes Althusius und die
Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien, 1a ed., Breslau 1929, 74,
n. 45.
[13]
Tuttavia, anche questi punti fermi secondo la maggioranza degli studiosi sono
posti oggi in discussione da chi propone date piů basse, per esempio per il
Pentateuco, e colloca il Deuteronomio in etŕ post-esilica con (ma in
altri casi senza) un relativo abbassamento della fonte detta
“deuteronomistica”. Vedi C. GROTTANELLI, La religione d’Israele prima
dell'Esilio in Ebraismo (a cura di Giovanni Filoramo), Bari 2007, 6-7; Per la discussione di questi problemi
vedi J. WELLHAUSEN, Prolegomena zur
Geschichte Israels, Berlin 1883, 1 e ss. (= https://archive.org/stream/arl6267.0001.001.umich.edu#page/n3/mode/2up )
[14] A
El-Amarna, una localitŕ sita a 587 Km a sud del Cairo, fu ritrovato, nel 1887, l’archivio reale di Akhenaton, cioč
il faraone “eretico” Amenhotep IV. Questo archivio, meglio noto come “Lettere di
Amarna”, fa luce sull'organizzazione della politica estera dell’antico Egitto. Sul punto vedi é. Drioton - J. Vandier, Les
peuples de l’Orient méditerranéen, II L’égypte,
Paris 1952, 85.
[15]
Hattous (l’odierna Boğazköy o Boghazkeui, un villagggio della Turchia
centrale a 82 km. a Sud-Est di Çorum e a 208 km. da Ankara) era la capitale
dell’impero ittita (1400-1200 a.C.). Vi sono stati rinvenuti circa 10.000
documenti in scrittura cuneiforme, che hanno fornito preziose informazioni
sulla storia e la cultura degli ittiti per gli Studien zu den
Boğazköy-Texten curati
dalla Kommision für den Alten Orient der
Akademie der Wissenschaften und der Literatur.
[16] Una copia di
questo trattato č conservata a New York, nel Palazzo delle Nazioni Unite, quale
esempio di uno dei primi trattati di pace conosciuti Vedi J.B. WHITTON, La rčgle “pacta sunt servanda”, in Recueil des Cours de l’Académie de Drot
international, 1934, III, 165. E.
MEYER, Storia dell’antico Egitto, Milano
1911, 419; é. Drioton - J. Vandier, Les peuples, cit., 426.
[18]Vedi M. DE TAUBE, Les origines de l’arbitrage international, antiquité et moyen age,
in Recueil des cours, 1932, IV (42),
19. Cfr. S. FURLANI, Osservazioni sui
trattati internazionali hittiti, in Studia
et documenta Historiae et Juris, XI, 1945, 203-224; L. DELAPORTE, Les peuples de l'Orient Méditerranéen, I,
Le proche Orient asiatique, Paris, 1938, 181 ss.; Vedi anche, dello stesso
a., La Mčsopotamie. Les civilisations
babylonienne et assyrienne, Paris 1923, 22.
[19] J.PIRENNE, L'organisation de la paix
dans le proche-orient aux 3e et 2e millenaires, in La paix. Recueils de la société Jean Bodin pour l'histoire
comparative des institutions, 1961, I, 201; cfr. W. PREISER, Zum Volkerrecht, cit., 272 ss.; REY, Relations internationales de l'Egipte
ancienne du 15 au 13 sičcle avant Jesus Christ, in Rev. Gen. de dr. int. public, XLVIII, 1941-45, 35 ss.; L.
DELAPORTE, Les peuples, cit, 200.
[20]
Lagash (oggi Tell al-Hiba) si trova a poco meno di 16 Km dalla moderna cittŕ di
Shatra nel distretto di Nasiriyah, Iraq.
[21]
Dalla controversia sarebbero stati coinvolti tre principi di Lagash: Eanatum,
Enannatum I, fratello e successore di Eannatum e infine Entemenas, figlio e
successore di Enannatum I. Per ulteriori approfondimenti, vedi A. POEBEL, Der Konflikt zwischen Lagash und Umma zur
Zeit Enannatums I. und Entemenas, in Oriental
Studies, Paul Haupt Anniversary Volume, Baltimore-Leipzig, 1926, 220-266.
Un’analisi dei documenti concernenti la composizione del conflitto in
W.PREISER, Zum Völkerrecht der
vorklassischen Antike, in Archiv des
Völkerrechts, 4 Bd., 3, 1954, 260 ss.
[22] I
due re si impegnano a vivere eternamente in pace, a fornire mutua assistenza in
caso di attacchi di terzi, e a favorire l’estradizione dei rifugiati politici,
a condizione che essi, una volta restituiti al loro sovrano, fossero trattati
con clemenza. Gli dei dell’una e dell’altra parte sono chiamati a testimone
della sinceritŕ dei due segnatari. Essi proteggeranno chi osserverŕ fedelmente
il trattato, e puniranno chi lo trasgredirŕ. G. A. BARTON, Inscription of Entemena #7, in: The Royal Inscriptions of Sumer and Akkad,
New Haven 1929, 61, 62 ,65; cfr. D. BRENDAN NAGLE - STANLEY M. BURSTEIN, The Ancient World: Readings in Social and Cultural History , NJ 1995, 30-31. Vedi infra, appendice: testo N.
I.
[23]
In tema vedi G. DE SANTILLANA - H. von DECHEND, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo,
8a ed., Milano 1983.
[24] K.H. ZIEGLER, Biblische Grundlagen des
europäischen Völkerrechts,
in Zeitschrift des Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, Kan., 86 (2000), 3.
[25] G. MENDENHALL, Law and Covenant in Israel and the Ancient Near East, reprinted from The biblical archaeologist, Vol. XVII No. 2 (May, 1954)
26-44 and No.
3 (September, 1954), 49-76 = http://home.earthlink.net/~cadman777/Law_Cov_Mendenhall_TITLE.htm .
[26]
ESODO, 24. Vedi infra, appendice: testo N. II.
[27]
Vedi infra, appendice: testo N. III.
[31]
GENESI, 14, 13. Vedi ad es. l’alleanza di Isacco con Abimelech (GENESI,
26.26-32), di Giacobbe con Labano (GENESI, 31.44-46).
[32] «Poiché Chiram, re di Tiro, aveva fornito a
Salomone legname di cedro e legname di cipresso e oro secondo ogni suo
desiderio, Salomone diede a Chiram venti cittŕ nella regione della Galilea».
Vedi I RE, 9.10-14.
[34]
Vedi ad es. il trattato fra il re ittita Muwatalli II e Alaxandu re di Wilusa
(1280 c. ca a.C.), su cui D. J. BEDERMAN, op.
cit., 151.
[35] G. A. BARTON, The Treaty of Mursilis with Kupanta-Kal transliterated and translated
with vocabulary, in Hittite Studies, 1928.
[36] J. FRIEDRICH, Staatsverträge des
Hatti-Reiches in hethitischer Sprache, in Mitteilungen der vorderasiatische Gesellshaft, 31, 1926, I, 19.
[37]
Al tempo di Nabucodonosor II gli Edomiti contribuirono al saccheggio di
Gerusalemme e al massacro dei Giudei, ma gli accenti di particolare veemenza
con cui Edom viene condannata dai profeti non si comprendono se non ponendoli
in relazione con un precedente trattato fra Giuda e Edom. Vedi ISAIA,
34.5-8.16; GEREMIA, 49.7-22; SALMI 137.7.
[38]
Nell’ordinamento italiano, nonostante la laicitŕ della costituzione su cui esso
si fonda, ancor oggi chi viene chiamato a testimoniare in un processo č tenuto
a prestare giuramento. Fino al 1996 la formula era: «Consapevole della
responsabilitŕ religiosa e morale che col giuramento assumo davanti a Dio e
agli uomini». Dopo le critiche avanzate a suo tempo anche da G. Contini,
dall’art. 238 cpc sono state eliminate le parole “religiosa” e “davanti a Dio e
agli uomini”. Vedi G. CONTINI, Riflessi
costituzionali della mancata prestazione di giuramento per motivi religiosi,
in Rivista italiana di diritto penale, 1953,
I, 91-97.
[39]
Per i trattati Assiri sono una fonte importante le iscrizioni in aramaico di Al
Safira (vicino ad Aleppo) che datano dal 8° secolo a.C. Si tratta di tre
iscrizioni considerate, per l’epoca, tra
le migliori fonti extra-bibliche per conoscere la tradizione relativa alla
stipulazione dei trattati. Vedi
J. A. FITZMYER, The Aramaic inscriptions of Sefîre, Biblica et orientalia Sacra Scriptura antiquitatibus orientalibus
illustrata, 19, Roma 1995.
[42] «Perchč essi non vi insegnino a commettere
tutti gli abominii che commettono per i loro dei e voi non pecchiate contro il
Signore vostro Dio».
DEUTERONOMIO, 20.15-18. I contatti fra gli Israeliti e i Madianiti o i Cananei,
e piů ancora le relazioni sentimentali e i matrimoni misti sarebbero stati
esiziali per la fede di un popolo pervenuto – diversamente da quelli
circonvicini – a concepire Dio come pura essenza, al punto da non poterlo
pensare o raffigurare in alcun modo sensibile. Il rischio di contaminazione era
tanto forte che diversi sovrani, a cominciare da Salomone, e lo stesso popolo
vi si abbandonarono. L’osservazione č di N. JAEGER, Il diritto nella Bibbia, Assisi 1960, 101.
[43]
H. GROTII De iure belli ac pacis, l.
II, XIII, III, ed cit., 244: « ..Quare
cum credibile esset, si rem ipsam Gabaonitae indicassent, quod prae metu non
fecerunt, tamen vitam salvam sub parendi conditione impetraturos fuisse, valuit
iusiurandum, adeo quidem ut et de eo violato postea poenae sumtae sint
gravissimae Deo auctore.Ambrosius hanc tractans historiam: Iosue tamen pacem
quam dederat, revocandam non censuit, quia firmata erat sacramenti religione,
ne, dum alienam perfidiam arguit, suam fidem solveret» (https://archive.org/stream/hugonisgrottiide010grotuoft#page/244/mode/2up ).
[44] HOBBES, De cive, I, II , XVI . Vedi anche J. LOPEZ, De confoederatione principum et potentatum, I summarium , § I. in Tractatus
Universi Iuris, Venetiis 1584, 303 v.
[45] J.VOET De
jure militari liber singularis, I, XXVI, ed. Ultrajecti 1670,
41; cfr. U. MARIANI, Un contributo “elegante” in
materia di ius belli: il De jure militari di Johannes Voet in
Diritto@storia, N. 8 – 2009 –
Tradizione-Romana < http://www.dirittoestoria.it/8/Tradizione-Romana/Mariani-De-jure-militari-Voet.htm >
[46] F. SCHWALLY, Der heilige Krieg im alten Israel, Leipzig 1901. Negli
intenti, lo studio doveva essere parte
di un progetto piů ampio dedicato alla guerra nel mondo semita antico.
[47]
La scelta č valsa a Schwally molte critiche: si č osservato che l’Antico
Testamento non usa mai tale espressione, che potrebbe viceversa esser stata
suggerita dal concetto di gihŕd divenuto
ultimamente cosě tristemente famoso. Vedi P. CRAIGIE, The Problem of War in the Old Testament, Grand Rapids 1978, 48;
B.C. OLLENBURGER, Introduction , a G.
von RAD, Holy War, vedi infra,
nota 51.
[49] M. WEBER, Ancient Judaism, New York-London 1952, 81. Apparso
originariamente nell’Archiv fur
Sozialwissenschaft und Sozialforschung (1917-1919), lo studio venne
successivamente ripubblicato come terza parte delle Gesammelte Aufsatze zur Religionssoziologie nel 1920-1921. La morte
prematura (1920) impedě a Weber di dare seguito alla ricerca con la progettata
analisi dei Salmi, del Libro di Giobbe, del Talmud, del Cristianesimo delle
origini e dell’Islam.
[50] WEBER, op. cit., 112.
[51] G. von RAD, Der
heilige Krieg im alten Israel (Abhandlungen zur Theologie der Alten und Neuen
Testament, 20), Zurich 1951 (qui citato nella trad. inglese di M.D. Dawn
dalla III ed.) Goettingen 1958 (con introduzione di B.C. Ollenburger).
[52]
Il concetto di «guerra di Jahwe» ricorre tanto nell’Esodo quanto nei Salmi e
nel I e II libro di Samuele.
[53]
DEUTERONOMIO, 20.1.
[54]
Vedi appendice: Testo N. V.
[55]
GIUDICI, 5.11-13.
[56]
GIOSUE’, 35.
[57] DEUTERONOMIO,
23.9-14; I SAMUELE, 21.5.
[58]
DEUTERONOMIO 20.4; GIUDICI 4.14.
[59] I
SAMUELE 7.9; 13.9.
[60]
GIUDICI, 20.23-27.
[61]
GOISUE’ 2.24; 6.2; GIUDICI 3.27; 4.7-14; 7.9-15. Cfr. VON RAD, op. cit., 42 e
fonti ivi citate.
[62] M. WEIPPERT, “Heiliger
Krieg” in Israel und Assyrien, in Zeitschrift
für alttestamentliche Wissenschaft, 84 (1972), 460-493.
[63] Cosě G. MENDENHALL, Law and Covenant in Israel and the Ancient
Near East, 1955, seguito da D. J. BEDERMAN, op. cit., 30.
[64] C. STUMPF, Vom
heiligen Krieg zum gerechten Krieg, Ein Beitrag zur alttestamentlichen und
augustinischen Tradition des kanonistischen Kriegsvölkerrechts bei Gratian,
in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für
Rechtsgeschichte, Kan., 2001, 1-30.
[65]
GIOSUE’, 6.18.
[66] I
SAMUELE, 15.
[67]
DEUTERONOMIO, 20.16-18.
[68]
Vedi nota precedente. L’assoluto divieto di trasgredire al comando di sterminio
si riflette nella vicenda della conquista di Ai: Vedi GIOSUE’ 7.1-26.
[69]
Ma Geremia poteva ancora predicare addirittura una guerra combattuta da Dio contro
Israele per i suoi peccati. GEREMIA, 21.5.
[70]
DEUTERONOMIO, 20.10.
[71] 2
RE, 4.21.
[72]
«Si legarono sacchi ai fianchi e corde sulla testa quindi si presentarono al re
di Israele, e dissero: il tuo servo Ben Hadad dice su, lasciami la vita. Quegli
domandň č ancora vivo? Quegli č mio fratello. Gli uomini vi scorsero un buon
auspicio, si affrettarono a cercarne una conferma da lui. Dissero: Ben Hadad č
tuo fratello. Quegli soggiunse: andate a prenderlo. Ben Hadad si recň da lui,
che lo fece salire sul suo carro. Ben Hadad disse: Restituirň le cittŕ che mio
padre ha preso a tuo padre; tu potrai disporre di mercati a Damasco come mio
padre ne aveva in Samaria. Ed egli: Io a questo patto ti lascerň andare. E
concluse con lui l’alleanza e lo lasciň andare». Vedi I RE 30-34.
[73] DEUTERONOMIO, 20.5.
[74] Ivi, 24.5.
[75] Ivi, 20.19.
[76] J. von ELBE, The evolution of the concept of the just war in International Law,
in Am. Jour. Int. Law, 1939, 33, 665.