Università
di Sassari
Sommario: 1. Premessa. – 2. La visione della
croce. – 3. Il Battesimo di Costantino. – 4. Conclusioni. – Abstract
La tradizione agiografica costantiniana si sviluppa in età
tardoantica in due filoni relativi alle differenti modalità di conversione[1] di
Costantino ivi presenti: il filone più antico è rappresentato dal racconto
della visione avuta dall’imperatore prima della battaglia di Ponte Milvio; il
secondo dalla leggendaria guarigione narrata dagli Actus Beati Sylvestri. I due differenti modelli di conversione si
ritrovano nell’agiografia della Sardegna rispettivamente nella Passio Sancti Ephysii e nel Condaghe di San Gavino.
Lattanzio nel De mortibus
persecutorum tramanda per primo la storia della conversione che precede la
battaglia contro Massenzio. Il retore africano afferma che Costantino, mentre riposava,
ricevette l’ordine divino di mettere sugli scudi dei suoi soldati un coeleste signum, che descrive nei
particolari:
Commonitus
est in quiete Constantinus, ut caeleste signum Dei notaret in scutis, atque ita
praelium committeret. Fecit ut iustus est, et transversa X littera, summo
capite circumflexo, Christum in scutis notat. Quo signo armatus exercitus capit
ferrum[2].
La visione è narrata in maniera più articolata nella Vita Constantini[3] composta
dal vescovo di Cesarea di Palestina, Eusebio[4], che
nutriva un’immensa stima per il “beato” imperatore[5]. Secondo
Eusebio sarebbe stato Costantino stesso a raccontargli l’evento, «confermandolo
con giuramenti»[6]. Il «trofeo luminoso a
forma di croce che sovrastava il sole»[7] era
apparso in cielo quando il sole cominciava a declinare[8], proprio
nel momento in cui l’imperatore aveva invocato in soccorso il Dio di suo padre:
tale visione aveva lasciato sbigottiti l’imperatore e il suo esercito,
«spettatore del prodigio»[9]. Mentre
Costantino rifletteva sull’avvenimento era calata la notte, durante la quale
gli era apparso in sogno Cristo stesso, che gli aveva ordinato «di costruire un
oggetto a immagine del simbolo che si era palesato in cielo e di servirsene
come protezione nei combattimenti contro i nemici»[10]. Il mattino
successivo, al risveglio, l’imperatore aveva svelato l’arcano ai suoi amici;
poi, convocati alcuni orefici, aveva descritto nei particolari il monogramma
cristologico ed aveva ordinato loro di riprodurlo «in oro e pietre preziose»[11]. Tale
manufatto, «perché così piacque a Dio»[12], era
stato mostrato dallo stesso Costantino ad Eusebio.
Il racconto della descrizione del monogramma di Cristo nella Vita Constantini rivela una precisa
consonanza con i capitoli del libro dell’Esodo
(25.9-40), nei quali Dio fa vedere a Mosè un modello dell’arca dell’alleanza,
affinché possa crearne una copia[13]. Il
parallelismo fra Costantino e Mosè, il legislatore per eccellenza nella
letteratura giudaica e cristiana[14], è
importante nella biografia eusebiana, dove peraltro l’imperatore viene
paragonato ai grandi monarchi della storia antica, quali Ciro il Grande e
Alessandro Magno[15]. Costantino, “allevato”
al pari di Mosè nelle «dimore dei tiranni»[16], è
presentato da Eusebio «come il nuovo legislatore prescelto da Dio per salvare
l’umanità dall’errore del paganesimo e per farsi garante della morale
cristiana»[17]; egli è divenuto «nel
nuovo orizzonte cristiano» isapòstolos:
l’uguaglianza con gli apostoli è, infatti, il motivo della sua sepoltura al
centro dei dodici cenotafi nella Chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli[18]. La
celebrazione eusebiana di Costantino «quale icona-mimesi di Dio»[19] ha
fatto sì che il primo imperatore cristiano fosse considerato santo a breve
distanza dalla morte e divenisse «oggetto di culto nella Chiesa orientale senza
interruzione fino ai nostri giorni»[20].
Da questa tradizione agiografica discende la presenza della
tipologia costantiniana nella Passio
Sancti Ephysii. Il martire Efisio, originario di Aelia Capitolina (Gerusalemme), è descritto come un dux dell’esercito romano, che
l’imperatore Diocleziano aveva inviato dall’Oriente in Italia per perseguitare
i cristiani. Giunto in Apulia, mentre
si dirigeva con l’esercito a Gaeta e si trovava a trenta stadi da Urittania, Efisio sentì un grande e
terribile suono ed una voce che gli chiedeva dal cielo[21]:
«Efisio, da dove vieni? Dove vai?»:
O
Ephyse, unde venis, vel quo vadis?[22].
Sconvolto, il dux rispose
che proveniva dalla città di Antiochia ed era stato mandato in Italia per
ricondurre i sudditi dell’impero al culto degli dei; la voce divina gli
comunicò che la sua missione sarà del tutto differente: egli avrebbe dovuto
conseguire la palma del martirio per testimoniare la fede nel vero Dio. Nello
stesso momento gli apparve in cielo una croce luminosa e Cristo si rivelò a lui
quale figlio di Dio, preannunciandogli che in virtù della croce egli avrebbe
ottenuto la vittoria su tutti i suoi nemici[23] e la
pace del Signore:
In
ipsa autem hora apparuit et crux in similitudine crystalli, et vox de coelo
audita est: Ego sum Christus, Filius Dei vivi, quem crucifixerunt Iudaei, quem
tu persequeris … In virtute crucis quam tibi ostendi vinces omnes inimicos tuos
et pax mea semper tecum erit[24].
Al suo arrivo a Gaeta, Efisio convocò gli artigiani della città
per chieder loro di riprodurre la croce vista in cielo; per paura delle
persecuzioni tutti rifiutarono l’incarico, fuorché uno di nome Giovanni, al
quale Efisio mostrò come modello la croce riprodotta nella sua mano destra:
Tunc
Ephysus vocavit ad se quendam, nomine Ioannem, quem audierat peritum esse
magistrum in auro et argento; et demonstravit illi crucem quam habebat in
dextera manu, ut ad illius similitudinem
crucem sibi diligenti componeret studio[25].
La riproposizione del modello costantiniano in questo passo
della Passio Sancti Ephysii non
proviene direttamente dalla Vita
Constantini, ma è mediata dagli Acta
di San Procopio di Cesarea, principale ipotesto della passione sarda[26]. In
particolare nella cosiddetta “seconda leggenda”, una rielaborazione agiografica
della passione di San Procopio[27], è
contenuto l’interessante racconto delle immagini che si formarono
miracolosamente durante la notte nella croce costruita dall’argentarius[28]; le
iscrizioni sottoscritte indicavano che sulla parte superiore della croce era
riprodotta l’effigie di Cristo, l’Emmanuele, a destra quella dell’arcangelo
Michele e a sinistra dell’arcangelo Gabriele:
Cumque consummata esset crux in nocte atque erecta,
tres in ea apparuerunt imagines litteris descriptae graecis: in titulo
superiori Emmanuel, in dextera crucis parte Michael, in sinistra
Gabriel[29].
L’artigiano Giovanni, perterritus,
cercò disperatamente di cancellare le tre immagini[30] ma
queste permasero per volere divino; quando Efisio, giunto ante gallorum cantum a casa dell’argentarius[31], venne
a conoscenza del fatto, si prostrò per adorare la “venerabile croce” ed
effondendosi in lacrime l’avvolse in un drappo di porpora:
Tunc
Ephysus, hoc evenisse Dei voluntate intelligens, tulit secum quam Ioannem
fecerat venerabilem crucem, et adorans eam magno amore, fusisque ante eam
plurimis lacrimis, post orationem diligentissime involvit eam in purpura[32].
Il riferimento alle immagini acheropite è di grande importanza,
perché del corrispondente passo degli Acta
di San Procopio è stata data lettura nel 787, come prova a favore
dell’iconodulia[33], nella quarta sessione
del II Concilio di Nicea[34]. Non è
improbabile, quindi, che l’agiografo di Efisio se ne sia servito per conferire
maggiore prestigio alla sua opera.
L’exemplum
costantiniano si ritrova un’altra volta all’interno della Passio di Efisio, in quella che può essere definita la “sezione
sarda” dell’opera, perché assente negli Atti
di San Procopio: è l’excursus relativo[35] alle
vicende belliche del dux[36] con la gens
barbarica, quae Sardinian insulam tenebat[37]. Dopo
aver esposto con toni romanzeschi il difficile approdo della flotta romana alla
foce del Tirso, l’agiografo narra l’addentrarsi di Efisio con le sue truppe nell’isola,
lungo il corso del fiume, sino al luogo in cui si trovava accampata, in assetto
di guerra, la popolazione barbarica. Qui, mentre i due eserciti stavano per
affrontarsi, apparve ad Oriente su un cavallo bianco un uomo, simile ad un
“eunuco cubiculario”[38],
che teneva nella mano destra una spada affilata da entrambi i lati ed aveva su
di sé l’immagine della santa e vivifica croce:
Factum
est autem, dum utriusque partis gentes magno clamore sibi invicem appropiarent,
vidit beatus Ephysus ad dexteram suam in orientis parte virum Eunucho
cubiculari ac palatii primo similem, in equo albo sedentem, et in dextera manu
sua rompheam utraque parte acutam tenentem et desuper sanctae et vivificae
crucis similitudinem portantem[39].
Colpito da tale visione Efisio smontò
da cavallo e, deposte le armi, si prostrò davanti al vir divino, che gli
consegnò la romphaea e lo invitò a seguirlo: Sequere me[40].
A seguito di questo evento i barbari terrorizzati si diedero disordinatamente
alla fuga ed Efisio ottenne la vittoria che il Signore gli aveva promesso[41].
L’exemplum costantiniano in
questa sezione del racconto mi pare possa rappresentare una spia del processo
di composizione della Passio Sancti Ephysii[42]: l’agiografo potrebbe essere stato indotto ad utilizzare per la riscrittura
latina gli Acta di San Procopio di Cesarea proprio per la presenza della
medesima tipologia costantiniana anche nella leggenda sarda di Sant’Efisio.
Nell’arricchire la tradizione autoctona con il riuso di un documento
agiografico tanto illustre, egli poteva esaltare la Chiesa sarda sia per l’azione
evangelizzatrice nei confronti delle riottose popolazioni della Barbagia[43] sia per
la posizione iconodula tenuta durante la crisi iconoclasta[44].
Il secondo filone della tradizione agiografica costantiniana è
rappresentato dagli Actus Beati Sylvestri,
opera sulla quale si dibatte da più di un secolo in merito alla struttura
testuale ed alla collocazione culturale, geografica e cronologica[45]. Si tratta
di un documento che, sebbene annoverato generalmente fra i racconti
agiografici, può anche essere definito «un apocrifo, secondo l’accezione più
estesa del termine che intende per apocrifo qualsiasi “falso”»[46].
Gli Actus Sylvestri,
che «nascono per modificare la memoria delle origini dello stato cristiano»[47], hanno
come protagonista Papa Silvestro, nel ruolo di guida alla conversione di
Costantino[48]. Secondo questa leggenda
l’imperatore non sarebbe stato battezzato in fin di vita dal vescovo ariano di Nicomedia,
Eusebio[49], ma dal
vescovo ortodosso di Roma, Silvestro. Costantino, pagano[50] e
ammalato di lebbra[51], non
riuscendo a guarire nonostante il ricorso a medici e maghi, si rivolse ai Capitolii Pontifices, i quali gli
consigliarono di fare un bagno nel sangue di tremila bambini; l’imperatore
rinunciò, però, a tale atto crudele in nome della pietas e della iustitia
romana[52]. La
notte stessa egli vide in sogno gli apostoli Pietro e Paolo, che lo invitavano
a cercare papa Silvestro, rifugiatosi sul monte Soratte per sfuggire alle
persecuzioni: solo il santo vescovo di Roma avrebbe potuto indicargli la piscina pietatis, nella quale immergersi
per guarire dalla lebbra. Dopo aver incontrato Silvestro, Costantino si
convertì ed entrò nel fonte battesimale in palatio Lateranensi[53], dal
quale riemerse mondato dal peccato e dalla lebbra:
Tu
emunda hunc servum tuum omnium terrenorum principem Constantinum. Et sicut
animam eius ab omni stercore peccati mundasti: ita corporis eius ab omni hac
lepra elephantiae ablue: ut ex persequente credentem et defendentem se habere
virum hunc sancta tua ecclesia glorietur per dominum nostrum Iesum Christum
filium tuum[54].
Gli Actus Sylvestri, che narrano «del trionfo del cristianesimo e dell’inizio, con il
battesimo di Costantino, di una nuova più gloriosa fase dell’impero»[55],
hanno svolto un importante ruolo nei rapporti fra la Chiesa ed i regni
romano-barbarici, «sancendo e fondando in un passato divenuto mitico, il
modello del corretto rapporto fra potere spirituale e temporale»[56].
Importante è la testimonianza offerta da
Gregorio di Tours negli Historiarum libri,
dove è istituito un preciso parallelismo fra Costantino e Clodoveo, che si è
accostato al lavacro battesimale come un novus
Costantinus, per essere «mondato
dall’antica lebbra e purificato dalle macchie dei peccati»[57].
L’exemplum costantiniano, funzionale
al riconoscimento della stretta correlazione fra regalità e fede[58],
ha avuto in epoca carolingia «une exploitation sans précédent»[59],
poiché è stato impiegato per sottolineare il legame tra i sovrani franchi e il
papato, realizzatosi con la renovatio
imperii.
Da questa ideologia[60] ha
tratto origine nella Sardegna tardogiudicale il racconto dell’inventio delle reliquie dei martiri
turritani, Gavino, Proto e Gianuario, a noi pervenuto attraverso due fonti: l’Officium dei santi in latino[61] e il Condaghe[62] di San
Gavino di Torres in sardo[63]. I due
testi riportano, pur con molte varianti, la stessa notizia: Comita, “giudice”
del Logudoro, è ammalato di lebbra[64]; i medici
non riescono a curarlo ed egli dispera ormai di poter guarire; ma gli appare in
sogno san Gavino, che lo esorta a ritrovare le sue reliquie e quelle dei suoi
compagni nel martirio, Proto e Gianuario. Per ottenere la guarigione, Comita
dovrà edificare in loro onore una nuova chiesa sul monte Agellus, nell’antica città di Torres, e lì deporre i corpi dei tre
martiri. Il pio[65] “giudice” si reca in
pellegrinaggio a Turris insieme con
il clero, gli alti funzionari e tutto il popolo del suo Giudicato, esegue
fedelmente gli ordini del santo e miracolosamente viene risanato dalla lebbra.
La leggenda agiografica dell’inventio
è assente nei manoscritti che tramandano la passione dei martiri[66] e di
certo successiva alla sua composizione[67]; è
comunque collocabile in un periodo in cui il giudicato del Logudoro esisteva
ancora ed il giudice aveva tutto l’interesse a vedere legittimato il suo potere
regale secondo l’exemplum
costantiniano divulgato dagli Actus
Sylvestri[68].
La presenza del modello costantiniano nell’inventio, accennata cursoriamente nell’Officium turritano[69], viene
esplicitata dall’arcivescovo di Sassari Salvatore Alepus[70] nella Homilia in libellum certaminis beatorum
martyrum Gavini, Prothi et Ianuariii, pubblicata a Roma nel 1532[71]. Di
questa omelia, pronunciata per la ricorrenza della dedicazione della basilica
dei santi martiri a Porto Torres, è pervenuto soltanto un compendio riportato
da Giovanni Arca nel De Sanctis Sardiniae[72]; in
questa breve sintesi è istituito il parallelismo fra il racconto agiografico
turritano e la conversio Constantini,
alla fine della puntuale esegesi tipologica il dotto arcivescovo turritano
definisce «pari» per dignità di fede e di governo il primo imperatore cristiano
ed il rex sanctissimus Comita[73].
Come traspare dai testi esaminati, l’agiografia della Sardegna
ha utilizzato in periodi differenti entrambi i paradigmi costantiniani[74]: nella Passio Sancti Ephysii, che riflette una
realtà ancora influenzata dalla cultura bizantina, è presente l’exemplum eusebiano, mentre nell’Inventio delle reliquie dei martiri
turritani, che rivela l’avvenuto passaggio dell’isola al sistema culturale
occidentale, è utilizzato quello degli Actus
Sylvestri. Entrambe le opere agiografiche evidenziano, comunque, il
radicamento del culto dell’imperatore Costantino nella realtà devozionale sarda
e ribadiscono la «straordinaria capacità di adattamento»[75] dei
testi agiografici, che nel loro riuso cambiano funzionalità ed ambiente di
ricezione.
The two different conversion models of Emperor Constantine, passed down
through tradition, both the one told in Vita Constantini
by Eusebius of Caesarea and the other described in anonymous Actus Beati Sylvestri can be found in the hagiography of Sardinia:
the first one in Passio Sancti Ephysii, the second one in the Condaghe
of San Gavino of Torres.
I due differenti
modelli di conversione dell’imperatore Costantino pervenuti attraverso la
tradizione, quello raccontato nella Vita
Constantini da Eusebio di Cesarea e quello presente negli anonimi Actus Beati Sylvestri, si ritrovano
nell’agiografia della Sardegna: il primo nella Passio Sancti Ephysii, il secondo nel Condaghe di San Gavino di Torres.
[Per la pubblicazione degli articoli della
sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review.
Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] Sulla
«natura problematica della c.d. “conversione” dell’imperatore al cristianesimo»
si veda SALVATORE CALDERONE in Letteratura
costantiniana e «conversione» di Costantino, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio su
Cristianesimo nel mondo antico (Macerata, 18-20 dicembre 1990), Macerata 1992, 231-252
(231).
[3]
Nell’introduzione alla traduzione italiana da lei operata, Laura Franco fa
presente che «si tratta di un’opera “mista”, difficilmente inquadrabile in un
genere letterario preciso» (Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, Introduzione, traduzione e note di L. FRANCO,
Milano 2009, 18).
[4]
Sull’attribuzione della Vita Constantini
ad Eusebio di Cesarea vi è stato, soprattutto intorno agli anni Trenta del
Novecento, un serrato dibattito: si veda l’introduzione di Luigi Tartaglia in
Eusebio di Cesarea, Sulla vita di
Costantino, Introduzione, traduzione e note a cura di L. TARTAGLIA, Napoli
1984, 13-17.
[5] Il
titolo esatto della biografia è: «Vita del beato imperatore Costantino».
Eusebio ricorda che in occasione del concilio dei vescovi, convocato da
Costantino a Gerusalemme per il trentennale del suo regno, «uno dei ministri di
Dio, in sua presenza, osò dichiararlo beato
(μακάριον) perché già nella vita
terrena aveva ricevuto l’onore del potere assoluto su tutti gli uomini e in
futuro avrebbe regnato insieme al figlio di Dio» (Eus. Caes. V.C. II.48: Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, Introduzione, traduzione e
note di L. FRANCO, 399).
[6] Eus.
Caes. V.C. I.28.1 (119): «… fu lo
stesso imperatore vittorioso, tempo dopo, a riferire l’episodio, confermandolo
con giuramenti, proprio a noi che siamo gli estensori di questa opera quando
fummo onorati della sua amicizia e confidenza, sicché chi potrebbe diffidare al
punto di non prestar fede al racconto? Tanto più che anche gli eventi
successivi testimoniarono la fondatezza di quelle dichiarazioni».
[7] Eus.
Caes. V.C. I.28.2 (120-121): «e
accanto a esso una scritta che diceva: “vinci con questo”». Lucio DE GIOVANNI precisa
che le «due versioni di Lattanzio e di Eusebio sono state variamente poste in
relazione dalla storiografia e, tra gli studiosi, perdura ancora il dibattito
sul significato del così detto monogramma costantiniano» (Istituzioni scienza giuridica codici nel mondo tardoantico. Alle radici
di una nuova storia, Roma 2007, 176, cfr. la bibliografia in nota).
[8] Nella
nota al passo L. FRANCO evidenzia che la notizia potrebbe essere una
rielaborazione cristiana di un passo del panegirico pagano latino a Massimiano
e Costantino (Panegyrici Latini
VI.21.3-7), in cui viene descritta l’apparizione di Apollo a Costantino
(Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino,
119). Come avverte Luigi Tartaglia, il racconto della visione è, infatti, «uno
dei capitoli maggiormente incriminati della VC»
(L. TARTAGLIA, Introduzione a Eusebio
di Cesarea, Sulla vita di Costantino,
59, nt. 80). L’autenticità della Vita
Constantini, ricorda Marilena Amerise, «è stata oggetto di una querelle paragonabile forse alla
questione omerica» (M. AMERISE, Il
battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart
2005, 17). Per una disamina delle varie posizioni sull’argomento assunte dagli
studiosi – il più scettico dei quali è stato H. GRÉGOIRE, Eusèbe n’est pas l’auteur de la “Vita Constantini” dans sa forme
actuelle et Constantin ne s’est pas “converti”en 312, «Byzantion» 13
(1938), 561-583 – si veda l’introduzione di Tartaglia in Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, 13-21.
[14] Si
pensi alla Vita di Mosè scritta da
Filone Alessandrino: TARTAGLIA, Introduzione
a Eusebio di Cesarea, Sulla vita di
Costantino, 10.
[15]
Tartaglia, Introduzione a Eusebio di
Cesarea, Sulla vita di Costantino,
7-13. L’idea di sovranità di Eusebio è il risultato di una «originale
rielaborazione in chiave cristiana» di teorie presenti nella tradizione
filosofico-letteraria classica e imperiale, in particolare «in testi
ascrivibili al genere dello Speculum
Principis, di cui la vita di Costantino contiene diversi elementi» (FRANCO,
Introduzione a Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, 27).
[17]
FRANCO, Introduzione a Eusebio di
Cesarea, Vita di Costantino, 12 s.
Cfr. Eus. Caes. V.C. I.24 (113): «In
tal modo Dio signore di tutto il cosmo, di sua volontà, scelse Costantino, che
era nato da un tale padre, quale governatore e guida di tutti, e avvenne così
che, nel suo caso soltanto, nessun uomo si poté attribuire il merito della sua
designazione, mentre gli altri sovrani furono insigniti della carica per
deliberazione altrui».
[18]
L’imperatore è isapostolos, “eguale agli apostoli” o «addirittura il
tredicesimo tra essi», come vuole indicare la sua sepoltura al centro dei
dodici cenotafi degli Apostoli (M. RIZZI, Filosofia,
Teologia e potere in Eusebio di Cesarea, «Enciclopedia Costantiniana» I,
2013).
[19]
AMERISE, Il battesimo di Costantino il
Grande, 9. La studiosa ricorda che la posizione di Eusebio nei confronti
dell’Arianesimo «contribuì non poco all’obliterazione della Vita Constantini nel IV secolo» (ibid., 10). Per le implicazioni
politiche del pensiero di Eusebio nel contesto della sua teologia è
fondamentale: R. FARINA, L’impero e l’imperatore cristiano in Eusebio di
Cesarea. La prima teologia politica del cristianesimo, Zurigo 1966. Un novo
approccio alla controversia ariana e quello di Jon M. ROBERTSON nella
monografia Christ as mediator. A Study of the Theologies of Eusebius of Caesarea,
Marcellus of Ancyra and Athanasius of Alexandria, Oxford 2007.
[20] G.
BONAMENTE, Costantino santo,
«Cristianesimo nella Storia» 27 (2006), 735. Costantino, afferma Constantinos
G. PITSAKIS, è «surtout un saint – un vrai saint, à juste titre, à ses propres
mérites» nella leggenda e nella tradizione popolare, perché è così che «le
regarde la conscience générale des fidèles: un vrai saint beaucoup plus qu’un
grand personnage historique canonisé» (L’idéologie
impériale et le culte de Saint Constantin dans l’Église d’Orient, in Poteri religiosi e istituzioni: il culto di
San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. SINI - P.P.
ONIDA, Torino 2003, 271). Sul culto tributato al primo imperatore cristiano in
Sardegna si vedano in particolare: A.F. SPADA, Santu Antine. Il culto di Costantino il Grande da Bisanzio alla
Sardegna, Nuoro 1989; L. PANI ERMINI, Una
testimonianza del culto di S. Costantino in Sardegna, in Memoriam Sanctorum
Venerantes. Miscellanea in onore di V.
Saxer, Città del Vaticano 1992, 613-625; R. FARINA, La pietas del servo di Dio
Costantino Imperatore. Santità e culto di Costantino Imperatore nella “Vita di
Costantino” di Eusebio di Cesarea, in Poteri
religiosi e istituzioni, cit., 297-304; V. POGGI, Perché in Sardegna Costantino è santo, in Poteri religiosi e istituzioni, cit., 325-342.
[22] Passio Ephysii 5 (Passio Sancti Ephysii martiris Carali in Sardinia, «Analecta
Bollandiana» 3 [1884], 364). Il testo è quello del ms. Vat. Lat. 6453.
L’edizione critica della Passio Sancti
Ephysii, con collazione di tutti i codici, è stata preparata da Graziano
Fois ed è in corso di stampa all’interno del Corpus Christianorum. La domanda rivolta ad Efisio riecheggia il
famoso episodio del Quo vadis,
presente negli Atti di Pietro
(sull’evento leggendario presente nel famoso testo apocrifo si veda E. NORELLI,
L’episodio del Quo vadis? Tra discorso apocrifo e discorso
agiografico, «Sanctorum» 4 (2007), 15-45.
[23] Sulla
vittoria per grazia di Dio: F. HEIM, La
théologie de la victoire de Constantin à Théodose, Paris 1992. È
«soprattutto nei panegirici costantiniani» che la figura dell’avversario della sacra maiestas viene presentata in
maniera piuttosto fosca, mentre l’imperatore «è particolarmente protetto dalla
divinità ed è con essa in continuo contatto» (D. LASSANDRO, Sacratissimus
Imperator. L’immagine del princeps nell’oratoria tardoantica, Quaderni di
«Invigilata Lucernis» 8, Bari 2000, 36).
[26] La dipendenza
della Passio di sant’Efisio dagli Atti
di San Procopio, segnalata dai Bollandisti in AA SS Ian. I, col. 997 (Plane similia sunt [scilicet: Acta Ephysii]
Actis S. Procopii, quae ex Metaphraste VIII Iulij dabimus), è stata
ribadita da Baudouin DE GAIFFIER, il quale ritiene che la leggenda di Procopio
di Cesarea sia stata «à peine remaniée» dall’agiografo di Sant’Efisio: Les
“doublets” en hagiographie latine («AB» 96, 1978, 266 [261-269]). Sulle
nuove linee di ricerca relative ai concetti di riscrittura e di reimpiego del
prodotto agiografico si vedano: M. VAN UYTFANGHE, Le remploi dans
l’hagiographie: une ‘loi du genre’ qui etouffe l’originalité?, in Ideologie
e pratiche del reimpiego nell’alto medioevo, XLVI Settimana di studio del
CISAM (Spoleto 16-21 aprile 1998), Spoleto 1999, 359-411; M. GOULLET - M. HEINZELMANN (Hg.), La réécriture hagiographique dans l'Occident médiéval.
Transformations formelles et idéologiques, Stuttgart 2003; e le
sezioni monografiche: Le riscritture agiografiche («Hagiographica» 10,
2003, 109-214) e L’edizione critica delle fonti agiografiche
(«Sanctorum», 1, 2004, 9-112).
[27]
Hyppolte DELEHAYE ritiene che tali leggende si siano formate attraverso le
«alterazioni» subite dalla storia del martirio di San Procopio «per lo sforzo
combinato della leggenda e degli agiografi» (Le leggende agiografiche, trad. it., Firenze 1906 [rist. anast.
1987], 181).
[28] Negli
Acta di Procopio l’argentarius si chiama Marco, mentre
nella Passio di Efisio si chiama
Giovanni.
[30] Passio S. Ephys. 8 (365): Videns itaque Ioannes tres illas
imagines perterritus nimis crucem et eius imagines destruere laboravit; sed minime quod voluit perficere valuit, quia Dei voluntati contraire non potuit.
[33]
DELEHAYE, Le leggende agiografiche, 198. Come immagini “acheropite”
vanno intese «non soltanto quelle generate per contatto diretto con il volto o
il corpo del Signore, ma anche le immagini apparse per “ierofania”» (E. BRUNET,
Le icone acheropite a Nicea II e nei Libri
Carolini, in Sacre impronte e oggetti
«non fatti da mano d’uomo» nelle religioni, Atti del Convegno
Internazionale (Torino, 18-20 maggio 2010), a cura di A. MONACI CASTAGNO,
Torino 2011, 208). Sulle immagini acheropite nella religiosità bizantina: P.
MIQUEL, Icône, «DS» 7,2, 1971, coll. 1224-1239.
[34] Il
brano è stato letto dal diacono Stefano (Deo amabilis diaconus, notarius et
referendarius venerabilis patriarchici secreti: J.D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima
collectio, Florentiae 1767, vol. XII, 89). Fu il secondo Concilio di Nicea
(4 settembre - 23 ottobre 787), convocato dall’imperatrice Irene, a promulgare
il decreto dogmatico sul culto delle immagini. La vittoria iconodula di Nicea
dava «alle immagini un ruolo gnoseologico, di conoscenza di Dio stesso, nel
segno visibile della sua incarnazione, o del suo ripresentarsi nei santi» (C.
LEONARDI, Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, Firenze
2004, 326).
[36] Il
titolo di δούξ indica la carica amministrativa di un
funzionario nell’amministrazione bizantina; tale titolo è attestato per la
prima volta sotto Diocleziano e veniva attribuito al comandante dei limitanei; come
ricorda Andrea LAI, «il δούξ di Sardegna dipendeva dal magister militum Africae, comandante
supremo dell’esercito della diocesi africana» (Flavio Pancrazio ΔΟΥΞ
ΣΑΡΔΙΝΑΣ: un contributo alla
prosopografia altomedievale sarda dal codice Laudiano Greco 35, «Sandalion»
31 [2008] 188); di tale diocesi era
entrata a far parte la Sardegna nel 534, dopo la conquista bizantina.
[37] Passio S. Ephys. 11 (367). Nel
manoscritto Vaticano la gens barbarica
non viene identificata, mentre nella recensio
contenuta nel ms. dell’Archivio della Curia Arcivescovile di Cagliari (BHL Novum Supplementum, 2567), una
riscrittura cinquecentesca della passio,
la gens è identificata con le
popolazioni barbariche degli Iolenses
e degli Ilienses. La campagna di
Efisio contro la gens barbarica
riecheggia, secondo Raimondo TURTAS, «la campagna del dux Sardiniae Zabarda contro i barbaricini attestata da Gregorio
Magno» (Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma
1999, 44). Sul sintagma barbarica gens
si sofferma Piergiorgio SPANU in Martyria
Sardiniae, 70-71; si veda inoltre: ID., Le Barbariae sarde
nell’Alto medioevo: sulla possibile esistenza di un “ducato” dei Barbaricini,
in Alétes, Miscellanea per R. Caprara, Massafra 2000, 504-508. Un
riferimento alla Barbaria sarda è
presente nel dossier agiografico dei santi Senzias e Mamiliano (E. SUSI,
Osservazioni preliminari sul dossier agiografico dei santi Senzias e
Mamiliano, in «Sanctorum» 1 [2004], 82).
[38] L’espressione eunuchus cubicularius si
riferisce ad una funzione gerarchica relativa alla burocrazia della corte
imperiale di Bisanzio. In un sigillo ritrovato presso Tharros è presente il
termine cubicularius (P.G. SPANU - R. ZUCCA, I sigilli
bizantini della ΣΑΡΔΗΝΙΑ, Roma
2004, 101; 104 s.).
[39] Passio S. Ephys. 8 (365).
Il vir angelico viene definito Eunuchus Augustalis palatii
cubicularius in AASS Ian. I, 1000. Come ha rilevato Guglielmo
CAVALLO, intorno al X secolo la classe dirigente è locale, ma continua ad usare
titolature bizantine (Le tipologie della cultura nel riflesso delle
testimonianze scritte, in Roma, Bisanzio e l’Italia nell’Alto Medioevo,
XXIV Settimana di studio del CISAM, [Spoleto 3-9 aprile 1986], Spoleto 1988,
II, 475). Paolo MANINCHEDDA rileva che, nella Sardegna del periodo, epigrafi e
sigilli restituiscono un ambiente bilingue e con due tradizioni scritte, greca
e latina, ed afferma: «In ultima analisi, le iscrizioni del X secolo
rappresentano più un gusto grecizzante che una realtà linguistica e culturale
greca come, a nostro avviso, confermano i più antichi documenti scritti in
sardo» (Medioevo latino e volgare in
Sardegna, Cagliari 2007, 100)
[41] Nel
consegnare la spada ad Efisio, infatti, il vir
angelico aveva detto di essere stato mandato in suo aiuto dal re del cielo per
permettergli di sbaragliare tutti i suoi avversari ed i barbari: Rex ille, respondit, de quo me interrogas,
misit me in adiutorium tibi, cum romphea quam manu mea gestare cernis, in qua
cunctos vinces inimicos et barbaros. Cumque eam acceperis et cum ea tibi
resistentes prostraveris, memor illius qui tibi mittere eam curaveris semper
eris (Passio S. Ephys. 14
[365]).
[42] Di
certo, come sostiene Giampaolo Mele, la «documentazione medievale, compresa
quella di interesse liturgico e musicale, ha navigato in un mare magnum di oralità» (G. MELE, I condaghi: specchio storico di devozione e
delle tradizioni liturgiche nella Sardegna medievale, in La Civiltà Giudicale in Sardegna nei Secoli
XI-XIII. Fonti e Documenti Scritti, Atti del Convegno Nazionale a cura
dell’Associazione “Condaghe di S. Pietro in Silki” [Sassari 16-17 marzo 2001 -
Usini 18 marzo 2001], Sassari 2002, 173). Ma non è improbabile che per la
celebrazione liturgica del santo martire Efisio esistesse una memoria scritta,
come lascia trapelare la presenza del termine stratilates, di chiara ascendenza bizantina; sulla presenza di
questo termine all’interno della passio
si veda in particolare: TURTAS in Storia
della Chiesa in Sardegna, 43-45.
Per un illuminante panoramica sull’interrelazione tra “scrittura” e “oralità”
nella Sardegna giudicale: G. MELE, Codici
agiografici, culto e pellegrini nella Sardegna medioevale. Note storiche e
appunti di ricerca sulla tradizione monastica, in Gli Anni Santi nella Storia, Atti del Congresso Internazionale
(Cagliari 16-19 ottobre 1999), a cura di L. D’ARIENZO, Cagliari 2000, 535-569.
[43]
L’influsso del greco bizantino sulle popolazioni delle Barbagie, convertite al
cristianesimo «soltanto quando l’isola, a partire dal 533 d.C., entrò a far
parte dell’Impero bizantino», è stato evidenziato da Giulio PAULIS (Il corvo,
55). Attilio MASTINO precisa che «gli stessi rustici, i contadini al servizio della chiesa sarda, per la
negligenza dei rispettivi vescovi, risultavano ancora pagani alla fine del VI
secolo» (La Sardegna in età tardoantica,
in La Sardegna paleocristiana tra Eusebio
e Gregorio Magno, Atti del Convegno Nazionale di studi [Cagliari 10-12
ottobre 1996], a cura di A. MASTINO, G. SOTGIU, N. SPACCAPELO, con la
collaborazione di A.M. Corda, Cagliari 1999, 275).
[44] Dà
notizia di un tentativo di infiltrazione iconoclasta nell’isola la biografia di
san Teodoro Studita, risalente alla seconda metà del IX sec. (TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna, 161).
[45] Sugli
Actus Sylvestri si vedano in
particolare: W. POHLKAM, Privilegium
ecclesiae Romanae pontifici contulit. Zur
Vorgeschichte der Konstantinischen Schenkung, in Fälschungen im
Mittelalter. II. Gefälschte
Rechtstexte. Der bestrafte
Fälscher (Schriften der Monumenta Germaniae Historica; 33,2), Hannover
1988, 41-490; V. AIELLO, Costantino, la
lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino
il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel
mondo antico (Macerata, 18-20 Dicembre 1990), a cura di G. BONAMENTE - F.
FUSCO, Macerata 1992, t. I, 17-58; AMERISE,
Il battesimo di Costantino il Grande,
93-119; T. CANELLA, Gli Actus Silvestri.
Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto 2006.
[46] T.
CANELLA, Modelli letterari e varianti
mitiche fra gli Actus Silvestri e
alcuni apocrifi mediorientali, «Sanctorum» 4 (2007), 81.
[48] Con
il battesimo impartito a Costantino papa Silvestro (314-355) «si avvia a
divenire figura emblematica di vescovo, dotata, come è stato detto, di forte
carisma e di efficace autorità mondana» (AIELLO, Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro, 56). Su papa
Silvestro e sulle trasformazioni operate dalla tradizione agiografica per
modellarne la figura si veda del medesimo studioso: Cronaca di una eclisse. Osservazioni sulla vicenda di Silvestro I
vescovo di Roma, in Il tardoantico
alle soglie del Duemila. Diritto Religione Società, Atti del Quinto
Convegno Nazionale dell’Associazione di Studi Tardoantichi, a cura di G.
LANATA, Pisa 2000, 229-248.
[49] Il
vescovo Eusebio di Nicomedia era stato insieme con Ario «discepolo di Luciano
d’Antiochia» M. SIMONETTI, La crisi
ariana nel IV secolo, Roma 1975, 31. Come nota Vincenzo AIELLO il battesimo
impartito ad Ancyrona da Eusebio poteva «creare un notevole imbarazzo alla
chiesa post-teodosiana, impegnata nel recupero delle frange eretiche» (Aspetti del mito di Costantino in Occidente:
dalla celebrazione agiografica alla esaltazione epica, «Annali della
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata» 21 [1988], 91).
[51] Actus Sylv. Redazione A (1) (POHLKAMP, Privilegium ecclesiae Romanae, 449). Il
«mitema» del re malato, guarito e convertito, che si trova anche nella leggenda
di Tiridate IV, re d’Armenia contemporaneo di Costantino (298-330 d.C.), ha
come modello il passo vetero testamentario di II Re 5,1-19, dove Naaman, capo dell’esercito degli Aramei, viene
guarito dal profeta Eliseo attraverso sette immersioni nel Giordano (M. CIRESE,
Il battesimo di Costantino e l’ingresso
di Alessandro nell’Islam, in L’albero
della Croce prima, dopo, nell’esilio nell’Islam, a cura di R. FAVARO,
«Studi sull’Oriente Antico» 7,2 [2003], 194). La maggior parte dei «mitemi» che
compongono gli Actus trova «riscontro
in alcune tradizioni letterarie circolanti in area siro-palestinese fra fine
del IV e inizi V secolo» (CANELLA, Modelli
letterari e varianti mitiche, 85): si tratta di testi apocrifi quali la Dottrina di Addai, gli Atti di Giuda Ciriaco, gli Atti di Pietro e Simone (ibid. 85-97). Cfr. F. PARENTE, Qualche appunto sugli Actus Beati
Sylvestri, «AB» 100 (1982), 878-897.
[52] Costantino,
rinunciando al gesto crudele, si pone la domanda: Quid iuvat barbaros superasse, si a crudelitate vincamur? Alla
quale risponde: Vincat ergo nos pietas in
isto congressu. Vere enim omnium adversantium poterimus esse victores, si a
sola pietate vincamur. Omnium et enim se esse verum dominum comprobat, qui
verum se servum ostenderit esse pietatis (Vita Sancti Sylvestri, in B.
MOMBRITIUS, Sanctuarium seu Vitae
Sanctorum, Hildesheim-New York 1978 [= Paris 1910], II, 511,6-7; 18-21).
Nell’Historia ecclesiastica di
Eusebio di Cesarea (X.8.6) «la virtù che distingue Costantino è la pietas (eusebeia) verso Dio, che è da Dio ricambiata con l’essergli amico,
protettore e custode» (P. SINISCALCO, Qualche
notazione su San Costantino, in Poteri
religiosi e istituzioni, 291).
[53] «Il
ruolo di questa residenza crebbe indiscutibilmente con il crescente significato
del papato, un significato che si doveva misurare all’interno della città,
nell’ambito della Chiesa universale e nel gioco delle parti con le potenze laiche»
(I. HERKLOTZ, Gli eredi di Costantino. Il
papato, il Laterano e la propaganda visiva nel XII secolo, trad. it., Roma
2000, 10).
[55] S.
BOESCH GAJANO, Le metamorfosi del
racconto, in Lo spazio letterario di
Roma antica, G. CAVALLO - P. FEDELI - A. GIARDINA (dir.), Roma 1990,
219-220.
[56] CANELLA, Gli Actus Silvestri, XXI. Tale versione
è stata ufficializzata dal Liber
Pontificalis, che la tramanda
nella Vita Silvestri: (Silvestro) cum gloria baptizavit Constantinum Augustum, quem curavit dominus per
baptismo a lepra (Liber Pontificalis
III, ed. T. MOMMSEN, Gesta Pontif. Rom. 1, 1898, 47). La leggenda costantiniana
veicolata dagli Actus «lavava
anzitutto una macchia che, agli occhi di un mondo ormai cattolicizzato, gravava
sull’immagine del primo imperatore cristiano, colui che aveva convocato il
concilio che aveva condannato la dottrina trinitaria di Ario» (G. ARNALDI, La leggenda dell’imperatore Costantino e di
Papa Silvestro. A proposito del libro di Tessa Canella sugli Actus
Silvestri, «Sanctorum» 5 [2008], 212). Ambrogio, con il racconto dell’inventio crucis nel De obitu Theodosii, è il primo «a recuperare in positivo la figura
di Costantino» (V. AIELLO, Il tempo del
potere negli auspici di Ambrogio vescovo di Milano, in Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione cristiana del
tempo e della storia, a cura di L. De Salvo - A. Sindoni, Soveria Mannelli
2002, 129). Infatti, come ha di recente evidenziato Cesare ALZATI, Ambrogio
«lega esclusivamente a Costantino la fine delle persecuzioni e ne fa il discrimen tra la tirannide dei
persecutori pagani e la compiuta realizzazione – nella fede cristiana –
dell’ideale istituzionale romano di una potestas
che si esercita in conformità alla iusta
moderatio» (Beatus Constantinus nel
ricordo di sant’Ambrogio a Milano, in «Diritto @ Storia. Rivista
internazionale di scienze Giuridiche e Tradizione Romana» 12 [2014], < http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Alzati-Beatus-Constantinus-ricordo-S-Ambrogio-Milano.htm >
2-3).
[57] Greg.
Tur. Hist. II, 31 (MGH SS I,1, 77): Procedit novos Costantinus ad lavacrum,
deleturus leprae veteris morbum sordentesque maculas gesta antiquitus recenti
latice deleturus.
[58]
Facendosi battezzare e accettando l’ingiunzione di Remigio (Greg. Tur. Hist. II, 31: mitis depone colla) il re dei Franchi si sottometteva all’autorità
della Chiesa; pertanto «era inevitabile che Clodoveo e i successivi sovrani
Franchi, ormai cattolici, fossero sentiti, da parte cattolica, coadiutori
dell’opera ecclesiastica di diffusione e consolidamento della fede cristiana»
(B. LUISELLI, La formazione della cultura
europea occidentale, Roma 2003, 200). Gregorio di Tours sottolineava anche
in tal modo la centralità del ruolo episcopale nella società cristiana
contemporanea, fortemente minacciata dall’atteggiamento dispotico dei re, cfr.
M. HEINZELMANN, Histoire, rois et
prophètes. Le rôle des éléments autobiographiques dans les Histoires de
Grégoire de Tours: un guide épiscopal à l’usage du roi chrétien, in De Tertullien au Mozarabes.Antiquiteé
Tardive et Christianisme Ancien (IIIe-VIe siècles), Paris 1992, 537-550. Peraltro
l’agiografia, come precisa Antonio DE PRISCO, costituiva per Gregorio di Tours
«un validissimo strumento per veicolare temi forti della sua pastorale» (Il pubblico dei santi nei Miraculorum
libri octo di Gregorio di Tours, in Il pubblico dei santi. Forme e livelli di ricezione
dei messaggi agiografici, Atti del III Convegno di studio dell’AISSCA,
Verona 22-24 ottobre 1998, a cura di P. GOLINELLI, Roma 2000, 27).
[59] Ph. GABET, Constantin
et Clovis, développements et transformations rémois aux IXe et Xe siècles,
in Clovis, histoire et mémoire, dir. M. ROUCHE, Paris 1997, t. II, 75.
[60]
Sull’importanza della tradizione agiografica costantiniana in riferimento alla
regalità in età medievale si veda F. MONFRIN, La conversion du roi et des siens, in Clovis, t. I, 289-320. Questa leggenda costantiniana è stata
utilizzata ampiamente dalla Chiesa di Roma (V. AIELLO, Aspetti del mito di Costantino in Occidente, 98.) e ha avuto molta
importanza nel pensiero politico-religioso e nel giudizio di Dante su
Costantino (L. BANFI, Costantino in Dante,
in Costantino il Grande, 91-103).
Dante, Mon. III, 10,1: Dicunt adhuc quidam quod Constantinus
imperator, mundatus a lepra intercessione Silvestri tunc summi pontificis,
Imperii sedem scilicet Romam, donavit Ecclesiae cum multis aliis Imperii
dignitatibus.
[61] Dell’Officium pubblicato a Venezia nel 1497
dallo stampatore Pietro de Quarengiis di Palazzolo Bergamasco, sono pervenute
solo due copie: una è conservata nella Biblioteca Comunale di Sassari (fondo Pasquale
Tola); l’altra nella British Library di Londra (esemplare acquistato nel 1910
dal bibliofilo Tammaro de Marinis; cfr. British
Museum General Catalogue of printed books to 1955 compact edition, XV, New
York 1967, 510, c. 191, n. 3). L’incunabolo conservato a Sassari è stato
riprodotto in anastatica: Ufficio
Liturgico dei santi martiri Turritani Gavino, Proto e Gianuario, Sassari
1997. Sull’Officium si vedano, in
particolare, gli studi di B.R. MOTZO, La
passione dei santi Gavino, Proto e Gianuario, «Studi Cagliaritani di Storia
e Filologia» 1927, 129-161 (ora in ID., Studi
sui Bizantini in Sardegna e sull’agiografia sarda, a cura della Deputazione
di Storia Patria per la Sardegna, Cagliari 1987, 187-221) e di G. ZICHI, Dall’incunabolo del 1497 all’Officium
proprium del 1917, in Officia propria
Sanctorum Gavini, Proti et Ianuarii Martyrum Turritanorum, secc. XV – XX, a
cura di G. ZICHI - M. PISCHEDDA, Sassari 2000, 19-22.
[62] Il
termine “condaghe” non ha, nel caso del Condaghe
di san Gavino, il significato di registro amministrativo-giuridico che
solitamente si attribuisce a questo tipo di documenti sardi (G. MELONI, Il condaghe di San Gavino, in Dal mondo antico all’età contemporanea,
Studi in onore di M. Brigaglia, Roma 2002, 192; dello stesso studioso si vedano
inoltre: G. MELONI, Il Condaghe di San
Gavino, Sassari, 2004; ID., Il
Condaghe di San Gavino, Cagliari 2005). Giampaolo MELE ritiene che «il
termine Condaghe derivi direttamente dal libro Kontákion, inteso come manoscritto liturgico paradigmatico del rito
bizantino, diffuso prima sotto forma di rotolo e poi di codex. Tale denominazione (Condaghe < Kontákion) poteva contribuire a sancire la sacralità di una serie
di scritture di natura amministrativa e giuridica, avvolte in un’aura di ufficiale e solenne religiosità»
(I condaghi, 148). Nel ciclo
agiografico turritano il termine «condaghe» viene utilizzato per indicare sia
la Passio sia l’Inventio, come traspare dal poema in lingua sarda composto prima
del 1479 dall’arcivescovo di Sassari Antonio Cano; il poeta espone in versi la
passione dei martiri mentre rimanda ad un “altro” condaghe la storia di Comita:
«comente custu ateru condaghe designat» (A. CANO, Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu,
a cura di D. MANCA, Cagliari 2002, 54, v. 1082). Sulla base di questo verso
Raimondo TURTAS ritiene che «l’Inventio
ci restituisca sostanzialmente, in latino e sotto forma di nona lezione
adattata per l’ufficio liturgico dei martiri turritani, il testo di una
composizione in sardo (cioè l’«ateru condaghe») contenente la narrazione del
ritrovamento dei corpi dei martiri da parte del giudice Comita, della
costruzione della chiesa in loro onore, della traslazione nel nuovo tempio» (A proposito del condaghe di San Gavino,
«Cooperazione Mediterranea, Cultura Economia Società» 15 [2003], 228)
[63] Nel
Cinquecento sono state operate traduzioni e riscritture in lingua latina del
condaghe (Riletture cinquecentesche del Condaghe di San Gavino di Torres, in Chiesa, potere politico e cultura in
Sardegna dall’età giudicale al Settecento, a cura di G. MELE, Oristano
2005, 367-388).
[65]
Comita viene descritto come uomo devoto e attento, secondo il dettato
evangelico, alle esigenze dei più deboli (Officium
IX). Il comportamento di Comita è
esemplato su quello del «pio» re, esaltato da gli «specchi dei principi»
medievali (M. ROUCHE, Miroirs des princes
ou miroir du clergé?, in Committenti
e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo occidentale, XXXIX
Settimana di Studio del CISAM [Spoleto, 4-10 aprile 1991], Spoleto 1992,
341-364).
[66] I
codici che contengono la Passio sono
il Montepessulanus H 1,1 ex
Claraevallensis Q73 ed il Montepessulanus
H 1,2 ex Claraevallensis Q72, appartenenti rispettivamente al sesto ed al
quinto volume del Liber de Natalitiis,
il Legendario cistercense in uso presso l’abbazia di Clairvaux. Entrambi i
codici, della seconda metà del XII sec., sono conservati nella Biblioteca della
Facoltà di Medicina di Montpellier (B. DE GAIFFIER, La passion de Saint Gavin martyr de Sardaigne, «AB» 78 [1960],
312-313; G. ZICHI, Note introduttive,
in Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti
et Ianuarii, Testo latino a cura di G. Zichi, Versione italiana di K.
Accardo, Sassari 1989, 23-26).
[67] La Passio turritana, databile tra la fine
dell’XI secolo ed i primi del XII, è strettamente collegata alla presenza a
Clairvaux del giudice Gonario di Torres, che dopo aver abdicato al regno era
divenuto monaco nell’abbazia cistercense. Qui il monaco Erberto, vescovo di
Turris dal 1181 al 1195/6 (TURTAS, Storia
della Chiesa in Sardegna, 949), lo incontrò nel 1178 e «ammirò la sua
perfezione e lo spirito di penitenza» (P.F. SIMBULA, Gonario e i Cistercensi nel Regno di Torres, in Il Regno di Torres, Atti di Spazio e Suono 1992-1993-1994, a cura di
G. MELONI - G. SPIGA, Porto Torres 2002, 91). La composizione dell’inventio è certamente successiva a
quella della passio, perchè «n’est guère probable», come ha giustamente
osservato Baudouin De Gaiffier, che la passione trasmessa da Gonario abbia
«omis le paragraphe de l’Inventio qui
célèbre le rôle d’un de ses ancêtres dans la translation des reliques» DE
GAIFFIER, La passion de Saint Gavin,
321.
[68] L’Inventio potrebbe essere stata composta,
a mio avviso, nel primo quarto del XIII secolo, sotto Mariano II di Torres (L’inventio delle reliquie dei martiri turritani e la
figura agiografica di Costantino, in Culti, Santuari, Pellegrinaggi in
Sardegna e nella Penisola Iberica tra Medioevo ed Età Contemporanea, a cura
di M.G. MELONI - O. SCHENA, nota introduttiva di G. CRACCO, C.N.R. Istituto di
Storia dell’Europa Mediterranea, Genova 2006, 502, n. 60); questo giudice,
infatti, ha goduto dell’appoggio di papa Onorio III, il quale ha dato ampio
spazio alla tradizione della dedicazione della basilica lateranense nell’omelia Celestis providentia maiestatis, che è
stata definita dal suo editore James M. POWELL «a celebration of the role of
the Lateran in the salvation history of the Chrurch» (Honorius III Sermo in Dedicatione Ecclesiae Lateranensis I and the Historical Liturgical Traditions
of the Lateran, «Archivum Historiae Pontificiae» 21 [1983], 198).
[69] Officium IX: Regnante igitur super amba loca tam<quam> Sanctissimo imperatore
contingit illum gravissima teneri infirmitate. L’abbreviazione tā dell’incunabolo veneziano è stata resa in modo
paleograficamente corretto con tam da
Bachisio Raimondo MOTZO (La passione,
217); tale abbreviazione, presente nell’incunabolo, potrebbe derivare sia dal codice
deperdito, utilizzato per la stampa, sia da una errata lettura del medesimo da
parte di Pietro de Quarengiis. Nell’incunabolo, peraltro, gli errori di stampa sono numerosi, come
avverte Giancarlo ZICHI (Dall’incunabolo
del 1497, 14). Sulla base di queste considerazioni ho ritenuto utile
emendare tam, presente nelle edizioni
dell’Officium, con tamquam, più corretto anche sotto il
profilo grammaticale e logico (L’inventio delle reliquie dei martiri turritani e la
figura agiografica di Costantino, 496).
[70]
Salvatore Alepus, definito da Pasquale TOLA uno «dei più celebri e dotti
arcivescovi della chiesa turritana» (ALEPUS
Salvatore, in ID., Dizionario
biografico degli uomini illustri di Sardegna, a cura di M. Brigaglia, Nuoro
2001, t. A-C, 112), partecipò al Concilio di Trento e si attivò per introdurre
le riforme nella sua diocesi. Di questo arcivescovo ci sono pervenuti i
discorsi tenuti nelle sinodi turritane e nelle visite pastorali (A. RUZZU, La Chiesa Turritana dall’episcopato di
Pietro Spano ad Alepus [1420-1566], Sassari 1974, 173-216) e quello
pronunciato in apertura della terza sessione del Concilio di Trento (Oratio in publica solemni Sessione a
resumpto Concilio tertia, ad Patres habita Tridenti undecima mensis octobris,
quae fuit Dominica coena nuptiarum, Venetiis Anno Domini MDLI).
Quest’ultima omelia viene definita una praeclara
oratio da G.F. Fara (I.F. FARAE, Opera
3. De rebus Sardois libri III-IV, Introduzione, edizione critica, apparato
e traduzione italiana a cura di E. Cadoni, Sassari 1992, 294). Sull’Alepus: G.
ALBERIGO, Alepus, Salvatore Alessio, «Dizionario
Biografico degli Italiani» 2 (1960), coll. 155-157; A. VIRDIS, Giubilei “Turritani” del Cinquecento. L’Anno
Santo del 1550 e i giubilei del 1552, 1556, 1560 nella diocesi di Sassari,
«Sacer» 7 (2000), 39-44.
[71]
L’opera, pubblicata presso la tipografia di Valerio Dorico, è stata censita in
un catalogo del primo Novecento dal bibliofilo Tammaro DE MARINIS (Cat. De Marinis XI, 1911, no 108, fr. or 40):
M. SANDER, Le livre à figures italien
depuis 1467 jusqu’à 1530, Milano 1942, vol. I, 48: «283. Allepus, De. Homelia. Roma, Valerio Dorico,
1532. In-8°. Homelia Revereñ. Dñi Salvatoris de Allepus elec. Archiepi.
Turritani in Libellum Certaminis beatorum Martyrum Gavini Prothi et Ianuarii
qui Passi sunt in eadem Turritana. A la fin, verso f. 39: Impressum Rome per accuratissimum Magistrum
Valerium de Dorich Brixianum. Visum & approbatum per Dominos Vicarium D.N.
Papae & Magistrum Sacri palacii Apostolici Anno Virginei Partus. M.D.-XXXII.
40 ff. n. ch.,
sign.: A-F; car. Rom. Au verso du titre, une lettre. Recto
f. 40, bois: St. Laurent. Au verso, autre bois: la “Casa di Loreto”; au dessous
de cette figure, en gros car, goth.: Eterna fac cum sanctis / tuis gloria numerari». Questa
omelia dell’Alepus è menzionata nell’inventario dei libri posseduti dal
magistrato cagliaritano Monserrat Rosselló (E. CADONI - M.T. LANERI, Umanisti e cultura classica nella Sardegna
del ‘500, 3. L’inventario dei beni e dei libri di Monserrat Rosselló,
“Quaderni di Sandalion” 9, Sassari 1994, vol. II, 624: “N. 4085. Salvatoris
Allepusii Homilia in libellum certaminis bb. Martyrum Gavini, Prothi et
Ianuarii, 8 fol., Romae 1532”); e in un’opera inedita di Gavino Gillo y
Marignacio, che rende noto il nome del dedicatario dell’omelia, l’«Ill.mo
Cardenal Hippolito de’ Medicis del Tit. de s. Lorenço in Damaso Vice
Cancellario delas Iglesia» e cita anche il titolo di un compendio «Ex serie antique historie compendium autoris
Salvatoris Alepusii» (Ms S.P.6.6.27, f. 173, Collezione Baylle della
Biblioteca Universitaria di Cagliari, cfr. P. MARTINI, Catalogo della biblioteca sarda del cavaliere Lodovico Baille,
Cagliari 1844, 208, n. 591). A questo compendio, evidentemente si riferisce
anche Giovanni Francesco Fara nel IV libro De
rebus Sardois (I.F. FARAE, Opera,
300), si vedano anche la Carta familiar
e il De primatu. Un fascicolo
manoscritto, non datato, conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Sassari
(Fondo capitolare, SR 3, n. 16, 8r-8v) fa riferimento all’opera di Salvatore
Alepus con queste parole: «la hystoria de san Gavino, Proto y Januario,
impressa en Roma y aprobada por el maestro del sacro Palacio, año de 1532 que
empieça Serie antique historie Compendium»
(secondo Raimondo TURTAS il ms. pare sia stato redatto dopo il 1620, A proposito del condaghe, 229, n. 59).
[72] Il
bollandista Benjamin BOSSUE, che ha composto il Commentarius Praevius e le note alla Passio e all’inventio dei
martiri turritani per gli Acta Sanctorum
di ottobre, ha ritenuto opportuno non riportare il compendio dell’Alepus, che
così sintetizza: «Homilia fere tota consistit
in comparanda dedicatione templi Turritani cum consecratione ecclesiæ
Lateranensis sub S. Silvestro papa, agente Constantino Magno. Piis, inquit, ille humeris imponit cophinos Augustus; hic
sanctus rex» (Comita)
divertens ab oneribus dorsum, mundandas manus extendit in sarculum, et
his similia (AASS oct. XI, Brussels 1864, c. 568D).
[73] I. ARCA Sardi, De Sanctis Sardiniae libri tres, Calari 1598, II, 29-30: «Amplificat Augustus solemnem Ecclesiam,
erigit princeps aedem augustam: complent ambo, ille super apostolorum, hic
super martyrum corpora altaria erigunt lapidea, intendunt omnes consecrationi
dispares non minori impensa, immo aequales a fidei dignitate et principatus
effecti».
[74] Per
la storia del mondo cristiano Costantino costituisce «un personaggio a vario
titolo nodale», egli è infatti «figura imprescindibile per la comprensione
degli ordinamenti istituzionali che la società ha assunto in Europa e non solo»
(C. ALZATI – Ş. TURCUŞ, Idea
imperiale e continuità romana. Aspetti del culto di san Costantino in ambito
romeno, «Enciclopedia Costantiniana» II, 2013, 501).
[75] S.
BOESCH GAJANO, L’agiografia, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra
Tarda antichità e Alto Medioevo, XLV Settimana di Studio del CISAM
(Spoleto, 3-9 aprile 1997), Spoleto 1998, t. II, 810. La capacità di trasformazione dei testi agiografici dimostra, come sottolinea Henry Fros, che i santi «ne sont pas
seulement les intercesseurs et les modèles d’une vie chrétienne, mais qu’ils
nous aident aussi à mettre le sceau à une société et à promouvoir sa cohésion»
(H. FROS, Cultes des Saints et sentiment
national. Quelques
aspects du probléme, «AB» 100 [1982], 733).