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Università «Cardinale Stefan Wyszyński»

Varsavia

 

Concessioni idriche nel diritto romano del periodo repubblicano

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SommariO: 1. Introduzione. – 2. Problemi terminologici. – 3. Organi concedenti. – 4. Concessionari. – 5. Forme di elargizione delle concessioni idriche. – 6. Osservazioni finali. – Abstract.

 

 

 

1. – Introduzione

 

Il problema delle concessioni nel diritto romano, ancorché oltremodo complesso e controverso, non suscita un interesse pari al suo peso. Il numero di contributi sull’argomento è relativamente scarso[1].

Il problema è complesso per vari motivi. In primo luogo, non si hanno ragguagli sui principi giuridici del sistema delle concessioni. Pur essendo assai ben informati sulla prassi amministrativa, non possiamo riferirci ad alcuna legge che della concessione definisse sostanza, forma, procedure e limiti[2]. La terminologia è discordante, il che allarga il campo del dubbio. Lo studioso si imbatte in difficoltà dovute alla pluralità di espressioni e dizioni, spesso non univoche[3] che il diritto romano, a differenza di quello odierno, adoperava riguardo alle concessioni. Ma la difficoltà più grave sta nella scarsezza delle fonti.

La fonte principale è De aquaeductu urbis Romae di Frontino, un trattato coscienzioso e preciso sia nella parte tecnica che giuridica, scritto – particolare non indifferente – ai tempi di Nerva (96-98 d.C.), quando l’autore ricopriva la carica di curator aquarum.

 

 

2. – Problemi terminologici

 

Per la dottrina odierna, per concessione si intende «una forma di attività economica regolamentata dallo Stato. Con essa l’autorità pubblica consente a un imprenditore di intraprendere e svolgere un’attività economica»[4]. La genesi della concessione è remota, com’è naturale che sia, in quanto le competenze di regolamentazione dell’amministrazione pubblica appartengono alle più antiche prerogative del potere[5]. Di solito, ricercandone le prime radici, gli studiosi indietreggiano fino alla Francia del Cinquecento[6] convinti che non ci si possa spingere oltre. Sarebbe, quindi, la concessione un istituto dei tempi moderni, estraneo all’antichità? Laddove, tutt’al più, si ebbe un istituto solo per qualche verso analogo, e per molti tanto differente da non dovervi ricercare i primordi della concessione moderna.

Or dunque: l’istituto della concessione era noto al diritto romano? Concessio deriva dal verbo concedere. Le accezioni di sostantivo e verbo sono noti e, in buona parte, vivi nell’italiano[7]. Nelle fonti il vocabolo è ospite raro. Anche Frontino vi preferì espressioni più immediate: ius dandae vendendaeve aquae[8], per il diritto di dare e vendere l’acqua, ius impetratae aquae, per il diritto, elargito su richiesta, di usufruirne[9]. Nel diritto polacco vigente, per concessione si intende una facoltà soggettiva di diritto pubblico, elargita per decisione dell’organo amministrativo competente a un determinato soggetto, che abbia i requisiti legali per svolgere una precisa attività economica[10]. Semplificando, si tratta di un atto amministrativo varato da un organo concessivo in virtù del quale si autorizza il concessionario a svolgere una determinata attività economica. Le similitudini tra l’accezione romana e odierna di concessio sarebbero quindi abbastanza forti. In ambo i casi si ha a che fare con un organo statale che, con un apposito atto, consente lo svolgimento di certe attività. In secondo luogo, si tratta di creare, a beneficio di un soggetto privilegiato, condizioni in cui possa sfruttare in esclusiva determinati beni pubblici. Tali regole generali valgono per tutti i casi di concessione noti al diritto romano, quindi anche alla concessione di presa d’acqua da acquedotti pubblici.

 

 

3. – Organi concedenti

 

Per la legge polacca sulla libertà d’impresa (Dz. U. 2010 n. 220, p. 1447) organo concedente è quell’organo della pubblica amministrazione autorizzato per legge a conferire, negare, modificare e ritirare una concessione (art. 5 p. 1). Una definizione alquanto generica, che leggi specifiche si preoccupano di precisare[11]. A leggerla bene ci si avvede, tuttavia, che potrebbe applicarsi anche al diritto romano, in quanto indica gli organi amministrativi autorizzati in esclusiva all’elargizione di concessioni, incluse quelle idriche. Agli organi romani competenti in materia si riferisce il seguente brano tratto dal De aquaeductu urbis Romae:

 

Front., De aq. 95: Ad quem autem magistratum ius dandae vendendaeve aquae pertinuerit in iis ipsis legibus variatur. interdum enim ab aedilibus, interdum a censoribus permissum invenio; sed apparet quotiens in re publica censores erant, ab illis potissimum petitum, cum non erant, aedilium eam potestatem fuisse.

 

Frontino riconosce di essersi trovato in difficoltà dovendo indicare i magistrati muniti di ius dandae vendendaeve aquae: ciò perché le leggi erano discordi. Le une indicavano quale magistrato competente l’edile, le altre il censore, la cui competenza era da ritenersi prevalente ancorché, osserva, ciò non fosse statuito espressamente da alcuna legge[12]. Soltanto in assenza del censore intervenivano gli edili[13]. L’osservazione di Frontino sembra condivisibile, tanto più che i censori non venivano eletti ogni anno, ma ogni cinque anni per un periodo di 18 mesi[14].

 

 

4. – Concessionari

 

De aquaeductu urbis Romae risponde anche alla domanda relativa a chi, nel periodo repubblicano, appartenesse alla cerchia dei concessionari:

 

Front., De aq. 94.4: Et haec ipsa non in alium usum quam in balnearum aut fullonicarum dabatur, eratque vectigalis statuta mercede quae in publicum penderetur.

 

Front., De aq. 94.6: Aliquid et in domos principium civitatis dabatur concedentibus reliquis.

 

Frontino nomina due gruppi di concessionari: nel primo rientravano le terme e le botteghe di lavandai, nel secondo i principes civitatis[15]. Per le botteghe, la concessione era a titolo oneroso: ovvero, per poter attingere l’acqua da acquedotti pubblici, i proprietari delle botteghe dovevano versare una certa quota (vectigal) nonché farsi carico dei costi di allacciamento[16]. Ben altre norme regolamentavano le concessioni idriche a beneficio dei principes civitatis. Prima di ricostruirle, precisiamo chi vi appartenesse.

 

Front., De aq. 1: … sitque nunc mihi ab Nerva Augusto, nescio diligentiore an amantiore rei publicae imperatore, aquarum iniunctum officium, ad usum tum ad salubritatem atque etiam securitatem urbis pertinens, administratum per principes semper civitatis nostrae viros, primum ac potissimum existimo, sicut in ceteris negotiis institueram, nosse quod suscepi.

 

Frontino promette al popolo di assolvere con diligenza e spirito di sacrificio il proprio ufficio: ciò per innata responsabilità, fedeltà alla parola data e prestigio dell’ufficio sempre ricoperto a Roma dai migliori cittadini (aquarum officium administratum per principes semper civitatis nostrae viros).

Parrebbe quindi che nel periodo repubblicano si annoverassero tra i principes civitatis tutti i magistrati superiori: pertanto anche i censori. A conferma dell’alta considerazione di cui godevano a Roma andrebbero ricordati vari privilegi, tra cui il diritto di sedere in tribune speciali a teatro, al circo e in altre manifestazioni pubbliche[17]. Tra i loro privilegi v’era anche quello, ricordato da Frontino (Front., De aq. 94.6) di portarsi l’acqua dagli acquedotti direttamente a casa, per di più senza alcuna spesa. Ne consegue che i principes civitatis potevano usufruirne solo per sé. Tale concessione era subordinata unicamente al consenso generale (concedentibus reliquis), espresso verosimilmente dal senato[18].

Ben diverse le modalità di concessioni idriche per terme e lavandai, elargite a titolo oneroso solo ad aziende poste al servizio del pubblico. In altre parole, l’imprenditore non otteneva l’approvvigionamento di un bene pubblico, qual era l’acqua degli acquedotti, per una propria comodità come privato, ma solo per rendere servizio alla cittadinanza. Un rigore, con ogni probabilità, legato allo status delle terme, che nel II sec. a.C. erano ancora stabilimenti privati, esclusi dall’utenza dell’acqua pubblica, a meno di un apposito permesso. Le terme private venivano costruite dai cittadini più facoltosi, fra cui vi erano anche senatori e cavalieri[19].

Nel periodo repubblicano, pertanto, i requisiti del concessionario determinavano procedura, contenuto e, stando alla testimonianza di Frontino, anche la durata della concessione.

 

Front., De aq. 107.1-3: Ius impetratae aquae neque heredem neque emptorem neque ullum novum dominum praediorum sequitur. balneis quae publice lavarent privilegium antiquitus concedebatur ut semel data aqua perpetuo maneret; sic ex veteribus senatus consultis cognoscimus, ex quibus unum subieci.

 

Frontino precisa che, qualora il concessionario fosse un princeps civitatis, la concessione aveva carattere soggettivo e non era trasmissibile né al successore, né a qualsiasi nuovo proprietario dell’immobile. Tal concessione sembra affine alle servitù personali, in quanto si elargiva a un privato definito con nome e cognome e si estingueva con la morte del concessionario[20].

Di diverso tenore le concessioni elargite alle botteghe di lavandai e alle terme:

 

Front., De aq. 108: Quod Q. Aelius Tubero Paulus Fabius Maximus cos. V.F. constitui oportere quo iure intra [extra]que urbem ducerent aquas quibus adtributae essent, Q.D.E.R.F.P.D. <E.R.> I. <C.> uti usque eo maneret adtributio aquarum, exceptis quae in usum balinearum essent datae aut haustus nomine, quoad idem domini possiderent id solum in quod accepissent aquam.

 

Frontino informa che dovendo rifornire di acqua pubblica gli immobili di privati a Roma e dintorni, il senato decise di ritenere valida l’attribuzione d’acqua, finché l’immobile si trovasse nelle mani del beneficiario. Ne consegue che terme e lavandai, che avessero ottenuto il privilegio di accesso all’acqua, lo conservavano anche dopo la morte del proprietario che l’avesse richiesto. In altre parole, nel caso di tali aziende lo ius impetratae aquae era eterno, non si estingueva con la morte del richiedente e risultava indipendente dalla sua persona[21]; fermo restando che si elargiva a titolo oneroso.

L’ambito del privilegio era quindi determinato dai requisiti del soggetto richiedente lo ius impetratae aquae. Ad ogni modo, indipendentemente dalla persona del richiedente, la concessione poteva contemplare unicamente le cosiddette acque caduche:

 

Front., De aq. 94.3-5: Apud antiquos omnis aqua in usus publicos eroga<ba>tur et cautum ita fuit: ‘ne quis privatus aliam ducit<o>, quam quae ex lacu humum accidit’ (haec enim sunt verba legis), id est quae ex lacu abundavit; eam nos caducam vocamus. et haec ipsa non in alium usum quam in balnearum aut fullonicarum dabatur, eratque vectigalis, statuta mercede quae in publicum penderetur.

 

Frontino precisa che gli avi concepivano unicamente l’erogazione d’acqua ad uso pubblico. A riprova richiama la legge che consentiva ai privati di accedere a quell’acqua che, travasando dai recipienti, veniva chiamata caduca[22]: era di troppo e finiva per terra. Gli acquedotti erano concepiti anzitutto per erogare l’acqua potabile, quindi, l’acqua caduca poteva considerarsi meno preziosa. Forse per questo era anche l’unica a potersi, previa un’apposita concessioni, elargire a privati[23].

 

 

5. – Forme di elargizione delle concessioni idriche

 

Come si è detto, nel periodo repubblicano le concessioni idriche venivano date dai censori ovvero, in loro assenza, dagli edili, titolari dello ius dandae vendendaeve aquae (Front. De aq. 95), che autorizzava tali magistrati ad attribuire a certi soggetti privati, quali i proprietari di terme e lavandai, nonché ai princeps civitatis, il diritto di accedere all’acqua portata in città dagli acquedotti pubblici. Nell’ambito di tali prerogative, come operavano questi magistrati?

Il quesito principale recita: v’era, in epoca repubblicana, una procedura ufficiale che si avvicinasse in qualche modo agli odierni processi concessivi[24]?

Oggidì è oltremodo difficile precisare le modalità di attuazione dello ius dandae vendendaeve aquae. Taluni studiosi osservano giustamente che il ricorso a questa espressione, per definire le competenze dei magistrati, spinge a riflessioni di natura contrattuale[25]. Ma di quale contratto si trattava: di vendita d’acqua? o forse, piuttosto, di locazione?[26] A favore della contrattualità, e quindi a discapito di un forte radicamento nel diritto amministrativo, si osserverà inoltre che censori ed edili operavano soltanto quando l’interessato faceva domanda di concessione dello ius impetratae aquae.

Sembrerebbe pertanto che, nell’età repubblicana, non si fosse delineata alcuna procedura concessiva – forse per le affinità tra concessione e servitù personali, e per le differenze tra concessione e decisione amministrativa, come è oggi intesa.

D’altro canto l’espressione ius impetratae aquae, che è il diritto di usufruire dell’acqua elargito su domanda, consente di intravedere qualche somiglianza tra la concessione romana e contemporanea. Quanto alla forma di concessione praticata dai censori, una interpretazione letterale di ius dandae vendendaeve aquae potrebbe far pensare ad una vendita di acqua pubblica, effettuata dal magistrato su domanda del concessionario. Tuttavia le peculiarità della concessione, i doveri del richiedente, nonché i connotati della compravendita romana porterebbero a escluderlo. L’emptio venditio obbligava l’alienante a trasmettere la cosa e ad assicurare all’acquirente di poterne godere senza ostacoli; mentre l’acquirente doveva pagare il prezzo pattuito. Due quindi gli essentialia negotii: la definizione della merce e del prezzo. Per res doveva intendersi qualsiasi res in commercio; quanto al prezzo, doveva essere chiaramente definito e sostenziarsi in una somma di denaro[27]. Nessuno di questi due elementi si rinviene nella concessione in oggetto. La merce, essendo res in usu publico, si annoverava tra le res extra commercium[28]. Anche il corrispettivo difettava degli elementi tipici del pretium, caratterizzandosi piuttosto come una bolletta[29].

L’analisi dello ius impetratae aquae porta quindi ad assimilare la concessione a una locatio. I censori stipulavano con privati un contratto di locazione dell’acqua portata in città dagli acquedotti pubblici, che assumeva forma di una concessione. Queste locationes censoriae, in particolare riguardo a terme e lavandai, in quanto a titolo oneroso, si approssimano alla locatio conductio di diritto privato. Perché ci fosse locatio conductio, era imprescindibile concordare l’ammontare dell’affitto[30]. Ma a questo punto, sorge il dubbio sul fatto che lo ius impetratae aquae, riconosciuto ai principes civitatis, avesse i requisiti della concessione come la intende il diritto amministrativo. Si ritiene che i censori stipulassero locationes per far svolgere lavori pubblici (sarta tecta) sulla scorta di delibere del senato[31]; per certo, i senatori venivano consultati anche nel caso di concessioni idriche a beneficio di principes civitatis. Lo lascia intendere Frontino, laddove afferma che le decisioni di portar l’acqua alle residenze private venivano prese dall’insieme della cittadinanza (concedentibus reliquis; Front., De aq. 94.6); ormai rappresentata dal senato. Tanto la gratuità, quanto la particolare procedura di concessione, portano a concludere che, riguardo ai principes civitatis, lo ius impetratae aquae era più un privilegio, meno una locatio censoria, e ancor meno una decisione amministrativa.

Come si è già osservato, le concessioni avevano i caratteri tipici delle servitù che, a seconda del concessionario, si connotavano come personali o prediali. Tale affinità riguardava anche l’estinzione. Poiché le concessioni venivano date in correlazione con le locationes stipulate tra censori e privati, è d’uopo chiedersi se potessero ritirarsi. In altre parole: lo ius dandae vendendaeve contemplava anche il ritiro della concessione? E, qualora lo autorizzasse: come doveva motivarsi una tale decisione? Pare lecito supporre che anche in questa circostanza l’organo competente fossero i censori. Essendo le concessioni correlate alle locazioni, che comportavano il pagamento dell’affitto, sembrerebbe che in primo luogo la concessione venisse ritirata qualora il concessionario non avesse ottemperato a questo suo dovere[32].

Che i censori si avvalessero del diritto di ritirare la concessione, viene confermato, tra altro, da un brano di Livio:

 

Liv. 39.44.4: ... aquam publicam omnem in priuatum aedificium aut agrum fluentem ademerunt.

 

Nel 184 a.C. i censori Marco Porzio Catone e Lucio Valerio Flacco[33] decisero di tagliare i tubi che portavano l’acqua pubblica a case e campi privati. Pur in assenza dell’espressione ius impetratae aquae, si può ragionevolmente supporre che i censori avessero deciso di ritirare delle concessioni. Pertanto, per buoni motivi, la concessione poteva ritirarsi anche a un princeps civitatis che, in linea di massima, ne aveva l’uso vitalizio. Si suppone che potesse esserne privato, qualora fosse sospettato di utilizzare più acqua di quanta ne avesse avuta in concessione; o quando se ne imponesse il risparmio.

Sembra confermarlo Plutarco laddove, trattando della vita di Catone il Vecchio, s’imbatte nella stessa storia. Plut., Cat. Mai. 19.1:

 

ajposkovtwn me;n ojcetou;", oi|" to; pararrevon dhmovsion u{dwr uJpolambavnonte" ajph'gon eij" oijkiva" ijdiva" kai; khvpou".

 

Lo storico greco conferma che Catone aveva fatto tagliare i tubi che portavano l’acqua a case e giardini privati[34]. Plutarco ne tace i motivi, ma si può supporre che fossero due: le molte tubature legali stimolavano il flagello degli allacciamenti abusivi. E ciò all’epoca era particolarmente pericoloso perché il rifornimento di acqua si aveva soltanto da due acquedotti: Aqua Appia[35] e Anio Vetus[36]. L’Aqua Marcia sarebbe stata portata a termine soltanto tra il 144 e il 140 a.C.[37]. Le ruberie e il degrado degli acquedotti diminuivano sensibilmente nell’Urbe la quantità di acqua, a dispetto della domanda in costante crescita, a causa dell’incremento della popolazione[38].

Nel caso in parola ebbero probabilmente un peso non indifferente il carattere del censore e la sua visione dell’ordine sociale. Romano integerrimo, magistrato specchiato, uomo austero, assimilava al lusso e al voluttuario la pretesa di avere l’acqua corrente in casa[39]. Non gli fu, pertanto, difficile comprimere i privilegi anche dei cittadini eccellenti[40].

Con ogni probabilità il ritiro della concessione poteva avere luogo anche riguardo ai proprietari di terme e ai lavandai. Però non conveniva: a costoro la concessione veniva elargita a titolo oneroso. V’è da supporre, quindi, che avveniva principalmente per inadempienza, ovvero aver destinato ad altro l’immobile originariamente adibito ad attività balneare o a lavanderia; ovvero in caso di distruzione dello stesso[41].

Tenendo conto del carattere della concessione, nonché i metodi radicali cui fecero ricorso i censori Catone e Valerio Flacco, concluderemo affermando che lo ius dandae vendendaeve era comprensivo non solo della facoltà di elargire, ma anche di togliere l’acqua pubblica ai concessionari[42].

 

 

6. – Osservazioni finali

 

A Roma le cose pubbliche erano accessibili a tutta la cittadinanza[43]. Lo Stato si faceva carico di non limitarne l’accesso a nessuno[44]. A tale scopo i pretori prevedevano nei loro editti degli interdetti destinati a garantire ai cittadini il pieno ed incontrastato accesso alle cose pubbliche[45], in primo luogo all’acqua.

A parte l’accesso generale, lo Stato concedeva ad alcuni cittadini il privilegio di un accesso esclusivo accresciuto. Per concordarlo, si ricorreva alle concessioni, tra cui quelle idriche.

La concessione romana è per vari versi affine a quella odierna. Le similitudini si radicano anzitutto nella quintessenza di ogni concessione: il privilegio, concesso ad alcuni, per risaltarne la posizione sociale; ma anche nella lunga durata. La concessio accordata ad un princeps civitatis vigeva per tutta la vita; quella destinata a un imprenditore si estingueva di fatto solo in caso di inadempienza. Indipendentemente dai requisiti del concessionario, tanto la concessione romana, quanto quella odierna, sono atti di carattere costitutivo.

Ciò che più distingue la concessione romana  da quella odierna è la persona del concessionario e il fine che intende conseguire. A Roma le concessioni venivano accordate tanto a privati quanto a imprenditori; oggidì può accordarsi invece a imprenditori che svolgano un’attività imprenditoriale conforme al dettato della legge sulla libertà di impresa[46]. Sebbene tale soggetto possa rinvenirsi tanto in una persona fisica o giuridica, quanto in un ente senza personalità giuridica cui la legge accordi la capacità di agire; tuttavia, in ogni caso, deve trattarsi di un soggetto che faccia impresa per conto proprio ai sensi della legge[47]. All’odierna nozione di concessionario corrisponderebbero quindi soltanto i romani titolari di terme e di botteghe di lavanderia, ai quali la concessione serviva per poter svolgere la loro attività. Quanto allo ius impetratae aquae accordato ai principes civitatis, il legislatore odierno non lo avrebbe in nessun caso assimilato alla concessione.

La concessio romana, non soltanto quella idrica, non era omogenea e nell’arco dei secoli fu soggetta a molteplici modifiche, determinate in buona parte da trasformazioni di ordine costituzionale.

 

 

Abstract

 

The public water delivered to the city of Rome by the aqueducts was one of the things intended to the public use. The concessions granted to the certain private individuals - principes civitatis as well as balnea and fullonicae were a kind of a special privilege which enabled them to use public water under special conditions. Especially, they had an exclusive opportunity to bring water to their private estates. During the Republic the water concessions were given on the basis of the ius impetratae aquae, which means a right to use water given on request. It were censors and in their absence, aediles who had the power to grant it to the privileged individuals, since those magistrates had the ius dandae vendendaeve aquae.

 

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

[1] L’approccio finora più articolato in S.C. Pérez-Gómez, Régimen jurídico de las concesiones administrativas en el derecho romano, Madrid 1996.

 

[2] S.C. Pérez-Gómez, op. cit., 96-97.

 

[3] Discorrendo di concessioni di presa d’acqua da acquedotti pubblici, ricorreremo unicamente a termini adoperati dagli studiosi di questa materia.

 

[4] C. Kosikowski, Koncesje i zezwolenia na działalność gospodarczą [Concessioni e permessi di attività economica], Warszawa 2002, 47; K. Strzyczkowski, Prawo gospodarcze publiczne [Diritto economico pubblico], Warszawa 2010, 203.

 

[5] C. Kosikowski, Wolność gospodarcza w prawie polskim [Libertà economica nel diritto polacco], Warszawa 1995, 114.

 

[6] Più diffusamente sulla nozione francese di concessione O. Soutet, La concession en français des origines au XVIe siècle. Problèmes généraux. Les tours prépositionnels, Genève1990, 4 s.

 

[7] Per le traduzioni in polacco si vedano i dizionari di M. Plezia e J. Sondel: M. Plezia, s.v. concedo, concessio, Słownik łacińsko-polski, I, Warszawa 1998, 643, 646; J. Sondel, s.v. concedo, concessio, Słownik łacińsko-polski dla prawników i historyków, Kraków 2005, 187, 188.

 

[8] Front., De Aq. 95.

 

[9] Front., De Aq. 107.

 

[10] Sentenza della Corte Suprema 8 maggio 1998, III ARN 34/98, OSNAP 1999, nr 5, poz. 157.

 

[11] C. Kosikowski, Koncesje i zezwolenia..., cit., 53.

 

[12] G. Hahn,De censorum locationibus, Lipsiae 1879, 47-48; M.E. Labatut, L’administration des travaux publics à Rome, Paris 1867, 7; M. Kuryłowicz, Tresviri capitalesoraz edylowie rzymscy jako magistratury policyjne [‘Treseviri capitales’ ed edili romani come magistrature di polizia], «Annales UMCS», Sec. G Ius, 40/1993, 75; R. Kamińska, ‘Cura aquarum w prawie rzymskim [Cura aquarum’ nel diritto Romano], «Zeszyty Prawnicze» [Quaderni giuridici] 10.2/2010, 96-97.

 

[13] M. Peachin, Frontinus and the curae of the curator aquarum, Stuttgart 2004, 97-99; G. de Kleijn, The Water Supply of Ancient Rome. City Area, Water and Population, Amsterdam 2001, 94; O.F. Robinson, Ancient Rome. City Planning and Administration, London-New York 1992, 96-97; A. Malissard, Les romains et l'eau : fontaines, salles de bains, thermes, égouts, aqueducs, Paris 1994, 290.

 

[14] A. Tarwacka, Wybór i objęcie urzędu przez cenzorów w starożytnym Rzymie [Elezione ed entrata in carica dei censori nell’antica Roma], «Zeszyty Prawnicze» 10.2/2010, 113.

 

[15] Front., De aq. 94.4; 94.6.

 

[16] A. Malissard, op. cit., 288.

 

[17] G. Nicosia, Lineamenti di storia della costituzione e del diritto di Roma, Catania 1977, 178; C. Edwards, The Politics and Immorality in Ancient Rome, Cambridge 1993, 111.

 

[18] A. Malissard, op. cit., 289.

 

[19] G.G. Fagan, Bathing in Public in the Roman World, Ann Arbor 2002, 107; F. Yegül, Bathing in the Roman World, Cambridge 2010, 48.

 

[20] D. 43.20.1.43 (Ulp. 70 ad ed.): Et datur interdum praediis, interdum personis. Quod praediis datur, persona extincta non extinguitur: quod datur personis, cum personis amittitur ideoque neque ad alium dominum praediorum neque ad heredem vel qualemcumque successorem transit. Art. 4 ust. 1 s.d.g. Vedi anche B. Biondi, Le servitù prediali nel diritto romano (corso di lezioni), Milano 1954, 101.

 

[21] A. Malissard, op. cit., 291; R. Kamińska, Koncesje wodne w rzymskim prawie publicznym okresu republiki, [w:] Interes prywatny a interes publiczny w prawie rzymskim [Concessioni idriche nel diritto Romano pubblico del periodo repubblicano [in:] Interesse privato e interesse pubblico in diritto Romano], a cura di B. Sitek, C. Lázaro Guillamón, K. Naumowicz, K. Zaworska, Olsztyn 2012, 145.

 

[22] S.C. Pérez-Gómez, op. cit., 234-236; G.M. Gerez Kraemer, El derecho de aguas en Roma, Madrid 2008, 167-168.

 

[23] M.G. Zoz, Riflessioni in tema di res publicae’, Torino 1999, 134, sostiene che l’acqua caduca sia «un’acqua sovrabbondante e altrimenti inutilizzata». Non siamo d’accordo con l’A., infatti, se fosse stata inutilizzata, perché mai i privati, per potervi attingere, avrebbero avuto bisogno di una concessione? Perché non sarebbe stata accessibile a tutti senza alcuna restrizione? Il regime concessivo induce, invece, a considerare che anche questo tipo di acqua fosse ritenuto rilevante dalle autorità. Per informare su come venisse utilizzata l’acqua caduca, Frontino richiama le parole del mandato del principe. Front., De aq. 111: Caducam neminem volo ducere nisi qui meo beneficio aut priorum principium habent. nam necesse est ex castellis aliquam partem aquae effluere, cum hoc pertineat non solum ad urbis nostrae salubritatem sed etiam ad utilitatem cloacarum abluendarum. Se ne evince che l’acqua caduca non era superflua, ancorché sovrabbondante e, travasando dai recipienti, come potabile meno preziosa, ma utilissima a sciacquare le strade e pulire le fogne. Vedi anche Front., De aq. 88.3; Strab., Geogr. 5.3.81; M. Biernacka-Lubańska, Zaopatrzenie Rzymu w wodę za Augusta [Erogazione di acqua nella Roma di Augusto], AUW, Antiquitas XIV [in:] Rzym na przelomie republiki i cesarstwa [Roma a ridosso di repubblica e impero], a cura di W. Wrzesiński, Wrocław 1988, 19.

 

[24] Nel diritto odierno la concessione è una decisione amministrativa presa nell’ambito di un processo concessivo inoltrato su domanda di imprenditori e svoltosi in conformità con apposite norme di legge. Vedi C. Kosikowski, Koncesje i zezwolenia [Concessioni e permessi], cit., 61, 64.

 

[25] A. Tarwacka, Prawne aspekty urzędu cenzora w starożytnym Rzymie [Aspetti giuridici della magistratura censoria nell’antica Roma], Warszawa 2012, 291-292.

 

[26] Contro la venditio vale l’appartenenza dell’acqua alle res in usu publico, nonché la mancanza di un essentialium negotium della compravendita: il pagamento del prezzo pattuito. A seconda del concessionario, la concessione era gratuita (principes civitatis) o subordinata al versamento di un vectigal (terme e lavandai). Vedi Fest., s.v. 516 L., s.v. vend<itiones>: Venditiones ... dicebantur censorum locationes; quod vel<ut fr>uctus locorum publicorum venibant. Vedi anche A. Malissard, op. cit., 288; A. Tarwacka, Prawne aspekty ..., cit., 292, per la quale Festo risulta convincente nel ritenere che lo ius aquae vendendae non consistesse nella vendita, bensì nel contratto di locazione. Vedi anche A. Torrent, La polemica sobre la tricotomiares’, ‘operae’, ‘opusy los origenes de lalocatio-conductio’, in «Teoria e Storia del Diritto Privato» 4/2011 <http://www.teoriaestoriadeldirittoprivato.com/index.php?com=statics&option=index&cID=198 >

 

[27] Gai. 3.140: Pretium autem certum esse debet … Vedi anche Gai. 3.141: Item pretium in numerata pecunia consistere debet.

 

[28] Front., De aq. 95: … ea aqua quam privati ducebant ad usum publicum pertineret. Vedi anche N.N. Karadgé-Iskrow, Les choses publiques en droit romain, Paris 1928, 84-89; G. Scherillo, Lezioni di diritto romano. Le cose, Milano 1945, 120, 137.

 

[29] D. 18.1.2.1; A. Tarwacka, Prawne aspekty …, cit., 292.

 

[30] Gai. 3.142: Locatio autem et conductio similibus regulis constituitur, nisi enim merces certa statua sit, non videtur locatio et conductio contrahi.

 

[31] G. Hahn, op. cit., 9; A. Trisciuoglio, ‘Sarta tecta, ‘ultrotributa, ‘opus publicum faciendum locare: sugli appalti relativi alle opere pubbliche nell’età repubblicana e augustea, Napoli 1998, 100-103.

 

[32] A. Tarwacka, Prawne aspekty …, cit., 293.

 

[33] T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, I, New York 1951, 374-375.

 

[34] R. Rodríguez López, El huerto en la Roma antigua. Su problemática urbanística y agraria, Madrid 2008, 174, la quale mette in risalto l’enorme sfruttamento di acqua nelle zone suburbane, dovuto all’irrigazione di campi, vigne e giardini che spiegherebbe i molteplici abusi.

 

[35] Front., De aq. 5; Liv. 9.29.5-6; M. Humm, Appius Claudius Caecus et la construction de la via Appia, «MEFRA» 108.2/1996, 735.

 

[36] Front., De aq. 6; T. Ashby, The Aqueducts of Ancient Rome, Oxford 1935, 54, przyp. 6.

 

[37] Front., De aq. 6-7; M.G. Morgan, The Introduction of the Aqua Marcia into Rome, 144-140 B.C., «Philologus» 122/1978, 25.

 

[38] D.R. Blackman, A.T. Hodge, Frontinus’ Legacy. Essays on Frontinus’ de aquis urbis Romae, An  Arbor 2001, 129; G. Alföldy, Römische Sozialgeschichte, Wiesbaden 1984, trad. pol.: A. Gierlińska, Historia społeczna starożytnego Rzymu, Poznań 2003, 70.

 

[39] Liv. 40.10: Asperi procul dubio animi et linguae acerbae et immodice liberae fuit, sed invicti a cupiditatibus animi, rigidae innocentiae, contemptor gratiae, divitiarum. Vedi R. Kamińska, Koncesje wodne..., cit., 150.

 

[40] Dello stesso avviso è A. Tarwacka, Prawne aspekty [Aspetti giuridici] ..., cit., 295, che sotolinea l’incorruttibilità e l’attaccamento ai più fermi principi di quel singolare magistrato. Con il collega Valerio Flacco varò norme che prendevano di petto il lusso sconsiderato dei nobili, suscitandone forti malumori. Cfr. inoltre A. Tarwacka ‘Censores edixerunt’. Przedmiot i cele edyktów cenzorskich [Oggetto e scopi degli editti censori], «CPH» 63.1/2011, 202-203.

 

[41] R. Kamińska, Koncesje wodne ..., cit., 149; A. Tarwacka, Prawne aspekty ..., cit., 293.

 

[42] O.F. Robinson, op. cit., 96; M. Hainzmann, Untersuchungen zur Geschichte und Verwaltung der stadtrömischen Wasserleitungen, Verlag 1975, 89; R. Kamińska, ‘Cura aquarum’..., cit., 99.

 

[43] N.N. Karadgé-Iskrow, op. cit., 90-91; U. Robbe, La differenza sostanziale frares nulliuse res nullius in bonise la distinzione dellerespseudo-marcianea che non ha né capo né coda”, I, Milano 1979, 143-144.

 

[44] S. Ruiz Pino, J.M. Alburquerque, Algunas notas referentes a la experiencia administrativa romana de protección de los recursos naturales, «RGDR» 13/2009, 5.

 

[45] N.N. Karadgé-Iskrow, op. cit., 103-107; N. De Marco, I loci publici dal I al III secolo. Le identificazioni dottrinali, il ruolo dell’usus, gli strumenti di tutela, Napoli 2004, 10-11; R. Kamińska, Ochrona dróg i rzek publicznych w prawie rzymskim w okresie republiki i pryncypatu [Tutela di strade e fiumi pubblici nel diritto romano dell’età repubblicana e del principato], Warszawa 2010, 69 s.

 

[46] Art. 4 ust. 1 s.d.g.

 

[47] Conformemente all’art. 2 … per attività economica [d’impresa] si ritiene ogni attività produttiva, edile, commerciale, di servizio nonché di ricerca, ricognizione ed estrazione di minerali da giacimenti, come pure ogni attività professionale svolta in modo organizzato e continuato.