§
5.4. del capitolo V della monografia di CLAUDIO
COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, Roma, Aracne
editrice, 2014, 160 pp. ISBN 978-88-548-7133-5
Università di Sassari
I profili inerenti alla normativa
antiusura
5.4. – Sino all’entrata in vigore della
l. 7 marzo 1996, n. 108, la disciplina giuridica del fenomeno criminale
dell’usura e la tematica del credito bancario non presentavano
particolari punti di contatto tra loro: anzi, si può senz’altro
affermare che i due fenomeni fossero percepiti come caratterizzati da una
sostanziale antitesi.
La riforma del reato di usura, attuata
attraverso la riformulazione dell’art. 644 c.p. ed attraverso
l’abrogazione dell’art. 644–bis c.p., ha viceversa
determinato l’emersione di notevoli implicazioni circa la sorte
civilistica delle clausole determinative degli interessi, nell’ambito dei
contratti bancari con cui viene attuata la funzione di erogazione del credito[1].
Per quanto qui interessa, il principio
fondamentale che ispira l’attuale disciplina dell’usura è
rappresentato dall’irrilevanza, ai fini del perfezionamento della
fattispecie di reato, dell’elemento soggettivo configurato dall’approfittamento
dello stato di bisogno: in particolare, il terzo comma, primo periodo,
dell’art. 644 c.p. specifica che «la legge stabilisce il limite
oltre il quale gli interessi sono sempre usurari».
L’ipotesi contemplata dal secondo
periodo del terzo comma dell’art. 644 c.p. (c.d. usura “in
concreto”, che si realizza con il concorso del requisito soggettivo della
difficoltà economica o finanziaria del soggetto, che ha dato o promesso
il pagamento di interessi sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro
ricevuta) appare viceversa complessivamente estranea al dibattito in tema di
contratti bancari, anche se naturalmente la possibilità che la
fattispecie possa concretamente verificarsi in ambito bancario non appare
totalmente da escludere[2].
Il meccanismo della c.d. usura presunta
— ispirato all’esperienza francese — si basa sul concetto di
“tasso–soglia”, per tale intendendosi quel tasso di interesse
su base annua, che oltrepassi di una certa percentuale il c.d. TEGM (Tasso Effettivo
Globale Medio): quest’ultimo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, l.
7 marzo 1996, n. 108, viene rilevato trimestralmente dal Ministero del Tesoro
(oggi Ministero dell’Economia e delle Finanze, MEF), sentita la Banca
d’Italia, per categorie omogenee di operazioni creditizie, tenuto conto
della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi
e delle garanzie fornite[3].
Attualmente, le categorie omogenee di operazioni, individuate con Decreto del
MEF, sono le seguenti: aperture di credito in conto corrente, scoperti senza
affidamento, finanziamenti per anticipi su crediti e documenti e sconto di
portafoglio commerciale, crediti personali, crediti finalizzati
all’acquisto rateale, credito revolving e con utilizzo di carte di
credito, operazioni di factoring, operazioni di leasing, mutui,
prestiti contro cessione del quinto dello stipendio e della pensione, altri
finanziamenti a breve e medio/lungo termine.
A sua volta la Banca d’Italia ha
poi deliberato — sempre sulla scorta dell’articolato meccanismo
previsto dalla legge — le Istruzioni per la rilevazione dei tassi
effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, la cui ultima
versione, a tutt’oggi applicata, risale all’agosto 2009 [4].
Originariamente l’aumento
percentuale, che determinava l’automatica usurarietà del tasso,
era individuato nel superamento di oltre la metà del TEGM; recentemente
peraltro, con l’art. 8, comma 5, lett. d) del d.l. 13 maggio 2011, n. 70,
convertito — senza modifiche sul punto — con l. 12 luglio 2011, n.
106, è stato disposto che il superamento debba venire commisurato entro
un quarto, da maggiorarsi però di ulteriori quattro punti percentuali,
fermo restando che il differenziale tra TEGM e tasso–soglia non
può essere superiore ad otto punti percentuali.
Questa modifica è destinata ad
avere impatti differenti, a seconda che il TEGM sia più o meno elevato.
Ad esempio, ai sensi della disciplina previgente, ad un TEGM del 6%
corrispondeva un tasso-soglia del 9%; oggi, al medesimo TEGM del 6% corrisponde
un tasso-soglia dell’11,50%. In presenza, invece, di un TEGM del 16% non
cambia nulla rispetto alla disciplina previgente (tasso-soglia pari al 24%),
mentre il tasso-soglia è destinato a diminuire per le ipotesi in cui il
TEGM sia maggiore rispetto al 16%. La logica sottesa alla modifica normativa
è dunque evidentemente quella di consentire una maggiore
elasticità in relazione alle operazioni a tassi normalmente bassi (come,
ad esempio, il mutuo fondiario), mentre risultano più stringenti i
limiti posti per le operazioni condotte a tassi elevati (come, ad esempio, i
finanziamenti tramite carte revolving), per le quali varrà
indistintamente il limite pari ad otto punti oltre al TEGM[5].
Ai fini del computo sia del tasso
usurario, sia del TEGM, deve tenersi conto delle commissioni, delle
remunerazioni e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate
all’erogazione del credito (art. 644, terzo comma, c.p.; art. 2, primo
comma, l. 7 marzo 1996, n. 108), e dunque nella segnalata ottica della
considerazione del costo complessivo del credito, al netto ovviamente di quelle
poste, rispetto alle quali la banca non risulta essere il soggetto percipiente
finale. Si avrà peraltro modo di verificare, in seguito, come le
questioni inerenti agli oneri da includersi (o meno) del calcolo dei TEG
contrattuali (e, conseguentemente, del TEGM) sono state caratterizzate, e
tuttora in parte lo sono, da estrema vischiosità e da numerose
incertezze, rilevandosi — in materia — una notevole divergenza di
valutazioni da parte, da un lato della Banca d’Italia, e dall’altro
della giurisprudenza, inizialmente soprattutto penale, ma più di recente
anche civile.
Oltre ad intervenire sui profili penali,
la l. 7 marzo 1996, n. 108 ha tra l’altro modificato il secondo comma
dell’art. 1815 c.c.[6],
nel senso che — se sono convenuti interessi usurari — il mutuante
non ha diritto al percepimento di alcun interesse, così determinandosi
la conversione ex lege del prestito da oneroso a gratuito[7].
Dal momento che la formulazione
dell’art. 644 c.p. individua come momento perfezionativo del reato tanto
quello della promessa, quanto quello della dazione di interessi usurari, in
giurisprudenza si era posto immediatamente il problema
dell’applicabilità della nuova disciplina ai contratti ancora in
corso, ma stipulati antecedentemente all’entrata in vigore della l. 7
marzo 1996, n. 108 (meglio: anteriormente alla pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale, avvenuta in data 2 aprile 1997, della prima rilevazione
trimestrale dei TEGM, effettuata, come detto, con d.m. 22 marzo 1997), e
ciò in riferimento a quelle fattispecie nelle quali il tasso,
originariamente non usurario secondo i parametri previgenti, fosse divenuto
tale nel corso del rapporto per effetto dell’entrata in vigore della
nuova normativa.
Il tema era destinato a venire in
concreto inasprito, in conseguenza della considerevole discesa dei saggi di
interesse, cui si assistette nella seconda metà degli Anni Novanta, la
qual cosa determinò il frequente superamento del tasso–soglia in
numerosi casi di prestiti, specie a tasso fisso.
La giurisprudenza, proprio traendo
spunto dalla formulazione della norma, finì per schierarsi in prevalenza
a favore della tesi della possibile sopravvenienza
dell’usurarietà, anche in relazione ai contratti stipulati prima
della riforma, dovendosi dunque tenere presente — come momento rilevante
— quello del pagamento (id est, della dazione) degli interessi[8].
Ovviamente la non retroattività
delle disposizioni introdotte con la l. 7 marzo 1996, n. 108 faceva sì
che, quanto ai contratti stipulati prima della relativa entrata in vigore, non
si producessero, secondo la giurisprudenza, le conseguenze di cui al novellato
secondo comma dell’art. 1815 c.c.[9],
ma quelle — più attenuate — della conversione nel
tasso–soglia[10]
(o, secondo un’altra corrente, nel tasso legale[11]).
La compatta adesione della S.C. alle
tesi favorevoli all’applicazione ai contratti in corso dei principi
introdotti con la riforma — beninteso limitatamente alle obbligazioni di
pagamento di interessi aventi scadenza successiva alla sua entrata in vigore
— determinò una forte reazione nel mondo bancario, che, una volta
recepita a livello politico, si tradusse nell’emanazione del d.l. 29
dicembre 2000, n. 394, convertito con modificazioni nella l. 28 febbraio 2001,
n. 24.
Anche in tale settore, dunque,
così come in altri ambiti oggetto della presente indagine (emblematiche
sono, in proposito, le vicende, remote e recenti, già analizzate in tema
di anatocismo), ad una data presa di posizione della giurisprudenza è
seguito l’intervento del legislatore, volto nei fatti a neutralizzarne
gli effetti.
Se però in materia di anatocismo
era stata la giurisprudenza — come si è visto — ad operare
un sostanziale capovolgimento d’indirizzo, nel caso dell’usura il
problema era stato innescato da una formulazione normativa (quella di cui al
primo comma del novellato art. 644 c.p.), che certamente rendeva plausibile
un’interpretazione quale quella fatta propria dalle Corti.
Verosimilmente memore
dell’incostituzionalità, che aveva appena colpito la norma con cui
si era tentato di sanare il pregresso con riferimento alle clausole di
capitalizzazione automatica[12],
il legislatore ha ritenuto qui di muoversi con un differente approccio,
scegliendo cioè la strada della legge di interpretazione autentica.
In particolare, con il primo comma
dell’art. 1 del d.l. 29 dicembre 2000, n. 394 (non modificato dalla legge
di conversione), veniva stabilito che « ai fini dell’applicazione
dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo
comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il
limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque
convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento
».
La norma in questione viene, dunque,
incontro—con l’efficacia retroattiva propria delle leggi di
interpretazione autentica—all’interesse delle banche, mediante la
previsione dell’irrilevanza del momento della dazione, rispetto
alla valutazione in punto di usurarietà dei tassi, valutazione che
pertanto si va a concentrare esclusivamente sul momento della pattuizione.
Come contropartita in favore della
clientela, il legislatore, con il secondo ed il terzo comma dello stesso art. 1
(poi modificati dalla legge di conversione), ha previsto un meccanismo di
calmieramento dei saggi dei mutui a tasso fisso allora in corso[13].
L’intervento del legislatore, pur
accolto da diverse perplessità in dottrina[14],
ha poi complessivamente resistito alla prova del giudizio di
compatibilità con la Carta costituzionale.
La Consulta, infatti, ha ritenuto
infondata la questione sollevata con riferimento al primo comma dell’art.
1, d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, mentre la declaratoria di
incostituzionalità ha colpito parzialmente soltanto le disposizioni di
cui al secondo ed al terzo comma del medesimo d.l., ovverosia quelle dedicate
all’introduzione del cennato meccanismo di calmieramento dei mutui
immobiliari[15].
All’esito del giudizio di
legittimità costituzionale, dunque, la disciplina può così
essere sintetizzata:
a) per quanto concerne
le operazioni poste in essere successivamente alla pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale della prima rilevazione trimestrale dei TEGM, sono ovviamente
applicabili le disposizioni di cui alla l. 7 marzo 1996, n. 108 (ivi compreso
il novellato secondo comma dell’art. 1815 c.c.), sicché il
criterio per stabilire l’eventuale usurarietà del saggio è
rappresentato dal superamento del tasso–soglia, con riferimento al
momento della pattuizione degli interessi;
b) per quanto
concerne invece le operazioni precedenti, l’eventuale usurarietà
del saggio va rapportata ai parametri elaborati sulla scorta della normativa
previgente, anche in tal caso avendo esclusivo riferimento al momento della
pattuizione, con conversione del tasso usurario al tasso legale, secondo la
previgente disciplina, di cui al secondo comma dell’art. 1815 c.c.[16]
Tuttavia, nonostante l’intervento
del legislatore, e nonostante la conferma della relativa tenuta sul piano
costituzionale, non tutte le questioni risultano essere state dipanate. Anzi,
ed all’opposto, recentemente la tematica dell’usura — intorno
alla quale per qualche tempo l’attenzione della dottrina e della
giurisprudenza si era complessivamente attenuata — è tornata in
modo prepotente ad occupare il centro del dibattito relativo agli interessi nei
contratti bancari.
Un primo problema aperto concerne i
limiti entro i quali deve ritenersi confinato l’intervento legislativo di
interpretazione autentica: secondo un orientamento, che ha via via incontrato
— come si vedrà — sempre maggiori adesioni, la circostanza
che il tasso non possa considerarsi usurario, poiché tale non era al
momento della sua pattuizione, non escluderebbe comunque la necessità
che all’atto del pagamento gli interessi non superino il tasso soglia
vigente; in tal caso, la conseguenza non sarebbe quella prevista
dall’art. 1815, secondo comma, c.c., bensì quella della riduzione
del saggio superiore entro i limiti del tasso soglia[17].
Si è sostenuto, infatti, che
« altro è circoscrivere alla usurarietà originaria
l’applicazione di sanzioni penali e civili; altro è negare la
rilevanza, tutta oggettiva, della sopravvenuta eccedenza del tasso convenuto
rispetto alla sua misura massima, di tempo in tempo consentita, dall’art.
2, l. 7 marzo 1996, n. 108 »[18].
La tesi, peraltro, troverebbe conforto in un obiter dictum contenuto
nella testé menzionata decisione della Consulta, là dove vi si
afferma che esulano dall’ambito di applicazione della norma di
interpretazione autentica « gli ulteriori istituti e strumenti di tutela
del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti
contrattuali ».
Il vizio, dunque, si configurerebbe
— secondo questo indirizzo — nei termini di una parziale
impossibilità sopravvenuta della prestazione, rispetto alla quale il
mutuatario avrebbe dunque facoltà di liberarsi dall’obbligazione,
adempiendo nei limiti del tasso soglia[19].
Va detto che in un primo momento le
Corti territoriali si erano viceversa maggioritariamente orientate per
un’interpretazione differente, secondo la quale « la natura
usuraria o meno degli interessi deve essere stabilita avendo unicamente
riguardo alla data di conclusione del contratto di mutuo, senza che possa
più assumere rilievo la c.d. usurarietà sopravvenuta, in caso di
successivo ribasso del tasso soglia »[20].
Anche in dottrina era stato evidenziato come, ragionando nei termini sopra
riferiti, si sarebbe finito per svuotare di reale contenuto la disposizione di
cui all’art. 1, d.l. 29 dicembre 2000, n. 394; se, infatti, la
finalità di tale norma — si è scritto — era quella di
evitare che potesse essere messa in discussione la validità o
l’efficacia di clausole contrattuali legittimamente pattuite, per eventi
sopravvenuti indipendenti dalla volontà delle parti (quale, tipicamente,
è la fluttuazione dei tassi)[21],
questa verrebbe ad essere pregiudicata « non solo dall’applicazione
della sanzione “radicale” di cui all’art. 1815, comma 2,
c.c., ma anche dall’operatività di un meccanismo di sostituzione
automatica di clausole, comportante la riduzione generalizzata dei tassi di
interessi pattuiti quando il contratto di mutuo venne concluso »[22].
Il dibattito sarebbe stato
successivamente ravvivato da due decisioni di pari data della Corte di
Cassazione, con le quali — sia pure in riferimento a fattispecie
geneticamente collocabili in epoca antecedente all’entrata in vigore
della l. 7 marzo 1996, n. 108, ed in termini complessivamente laconici e non
molto diffusamente argomentati— la tesi della possibile rilevanza
dell’usurarietà sopravvenuta ha trovato ulteriore linfa, avendo la
S.C. affermato che « trattandosi di rapporti non esauriti al momento
dell’entrata in vigore della L. 108 (. . . ), va richiamato l’art.
1 L. n. 108 del 1996 che ha previsto la fissazione di tassi soglia
(successivamente determinati da decreti ministeriali), al di sopra dei quali,
gli interessi (. . . ) vanno considerati usurari (. . . ) e dunque
automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, secondo comma e
1339 c.c., circa l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai
diversi periodi, dai tassi soglia »[23].
La tesi della rilevanza
dell’usurarietà sopravvenuta, sotto il profilo
dell’inesigibilità degli interessi divenuti “sopra
soglia” nel corso del rapporto, è stata infine recentissimamente
sposata anche dall’Arbitro Bancario Finanziario, dapprima
(ancorché non del tutto unanime mente) a livello di Collegi territoriali[24],
ed in seguito anche a livello del Collegio di Coordinamento[25].
Quest’ultima decisione — resa con riferimento ad una fattispecie in
tema di prestito personale a tasso fisso—dopo avere escluso che il
superamento del tasso soglia in corso di rapporto possa implicare la
nullità (sopravvenuta) della clausola relativa agli interessi[26],
ha ritenuto comunque contrario al principio di buona fede il comportamento del
mutuante, il quale seguiti a pretendere il pagamento di interessi che, nelle
more, in conseguenza di un abbassamento dei tassi di mercato, hanno
oltrepassato la soglia anti–usura: gli interessi debbono così
venire ricondotti al tasso soglia tempo per tempo vigente[27],
il quale dunque finisce per fungere da sostanziale cap per tutti i
contratti di finanziamento a tasso fisso[28].
In ordine al tema qui in discussione, va peraltro segnalato che il 3 luglio
2013 la Banca d’Italia aveva con una circolare preso posizione sul punto[29],
operando una netta distinzione tra finanziamenti ad utilizzo flessibile (nei
quali rientrano: le aperture di credito in conto corrente, gli scoperti senza
affidamento, i finanziamenti per anticipi su crediti e documenti e lo sconto di
portafoglio commerciale, il credito revolving e con utilizzo di carte di
credito e le operazioni di factoring), e finanziamenti con piano di
ammortamento predefinito (crediti personali, crediti finalizzati
all’acquisto rateale, operazioni di leasing, mutui, prestiti contro
cessione del quinto dello stipendio e della pensione, altri finanziamenti a
breve e medio/lungo termine). Secondo la Banca d’Italia, solo rispetto
alla prima tipologia di finanziamenti andrebbe condotta « una verifica
trimestrale sul rispetto delle soglie vigenti, in ciascun periodo, per tutti i
finanziamenti di tale tipo in corso », mentre per quelli a piano di
ammortamento predefinito la verifica sul rispetto delle soglie dovrebbe essere
compiuta « solo al momento della stipula del contratto, in cui la misura
degli interessi è stabilita »[30].
Tale distinzione[31] finisce
di fatto per limitare la rilevanza dell’usurarietà sopravvenuta ai
finanziamenti ad utilizzo flessibile, mentre ne sarebbero esclusi i
finanziamenti con piano di ammortamento predefinito[32].
Orbene, chi scrive è
dell’avviso che la distinzione in parola, in realtà, colga nel
segno e che, dunque, la questione della rilevanza / irrilevanza
dell’usura sopravvenuta debba essere risolta operando un netto discrimine
tra le due macro–tipologie di finanziamenti.
Punto di partenza del ragionamento che
si intende condurre è rappresentato, ovviamente, dalla disposizione di
interpretazione autentica, analizzata nel più ampio contesto sistematico
dell’articolato provvedimento normativo in cui si trova inserita.
Ricordiamo infatti che il legislatore, al fine di fronteggiare le diverse
questioni critiche emerse a seguito della concomitanza tra entrata in vigore
delle nuove norme sull’usura ed andamento bruscamente discendente dei
tassi di mercato, era intervenuto — avendo come sostanziale punto di
riferimento la materia dei mutui a tasso fisso—per un verso statuendo il
principio dell’esclusiva rilevanza, a fini usurari, del momento della
pattuizione degli interessi, e per l’altro riducendo d’imperio i
tassi fissi contenuti nei contratti (di mutuo) in corso di ammortamento.
A tale ultimo riguardo, è
significativo osservare che il tasso fisso del 9,96%, imposto ex lege sui
mutui “non prima casa”, già nel terzo trimestre del 2001 (e,
dunque, nel corso dello stesso anno della sua entrata in vigore) sarebbe
risultato “sopra soglia”[33],
e che nessun meccanismo di automatica riconduzione entro la soglia di detti
saggi fissati ex auctoritate veniva previsto nell’ambito
dell’intervento normativo in esame.
Ad avviso di chi scrive,
quest’ultima circostanza è quanto mai sintomatica del fatto che il
chiaro intendimento del legislatore dell’interpretazione autentica fosse
quello di escludere ogni ipotesi di possibile rilevanza dell’usurarietà
sopravvenuta, con riferimento (quanto meno) ai finanziamenti direttamente
contemplati dalla norma, nonché a quelli ad essi tipologicamente
assimilabili (id est: a tutti i finanziamenti con piano di ammortamento
predefinito).
Sul piano dell’opportunità
economica, infatti, non può sottacersi che i finanziamenti (ed in
particolare i mutui immobiliari, c.d. prima casa) a tasso fisso sono quelli su
cui prevalentemente si orienta la clientela che dispone di un reddito fisso, la
quale è consapevole di potersi permettere il pagamento di un certo
saggio (che si riflette, come noto, nella misura fissa della rata) e non vuole
viceversa correre il rischio di un andamento a salire del tasso (che potrebbe
tradursi nell’impossibilità di seguitare ad onorare il piano di
ammortamento). Va da sé, naturalmente, che la previsione di un cap,
individuato nel tasso soglia, non superabile in corso di rapporto, pena la
qualificazione della diversa condotta in termini di contrarietà a buona
fede (secondo la prospettiva fatta propria nella decisione del Collegio di
Coordinamento dell’ABF), è destinata a tradursi in una naturale
ritrosia delle banche a proporre finanziamenti con piano di ammortamento
predefinito a tasso fisso (ovvero in una propensione a proporli a condizioni
notevolmente più elevate di quelli a saggio variabile), in quanto il
rischio di un’anomala oscillazione dei tassi finirebbe per gravare, nei
fatti, in misura nettamente prevalente, se non addirittura esclusiva, sul
finanziatore.
Sul versante invece più
squisitamente giuridico, non può non osservarsi che nei finanziamenti
con piano di ammortamento predefinito l’obbligazione relativa al
pagamento degli interessi sorge contestualmente alla stipulazione del
contratto, ancorché le relative scadenze siano ovviamente successive,
coincidendo esse con quelle del piano di ammortamento[34].
Non pertinente è, peraltro, in subiecta materia riferirsi al
concetto di maturazione degli interessi, anche perché se la regola
dell’acquisto giorno per giorno (art. 821, terzo comma, c.c.)
condizionasse in radice la stessa nascita dell’obbligazione (di pagamento
degli interessi), nei piani di ammortamento alla francese, che sono
quelli più frequentemente adottati, verrebbero ad essere corrisposti, in
seno ai primi ratei, interessi rispetto ai quali la relativa obbligazione non
sarebbe neppure sorta[35].
La circostanza, dunque, che
l’obbligazione nasca integralmente al momento della stipulazione del
contratto, fa sì, anzitutto, che i d.m. trimestrali di rilevazione dei
TEGM (e, conseguentemente, di determinazione dei tassi soglia) non possano in
alcun modo considerarsi alla stregua di uno ius superveniens[36],
la cui necessaria applicazione concerne unicamente le obbligazioni sorte
successivamente alla relativa entrata in vigore, come già si è detto
e soprattutto come ha chiarito in altre circostanze la Corte Costituzionale[37].
Tanto premesso, l’utilizzazione
del principio di buona fede, quale strumento correttivo—nella fase
esecutiva del contratto—della misura di un’obbligazione che, quando
sorse, era perfettamente conforme a legge, desta qualche perplessità, in
quanto finisce indirettamente per determinare l’applicazione del c.d. ius
superveniens, al di là dei precisi confini condivisibilmente
tracciati dal Giudice delle leggi.
Discorso diametralmente opposto vale,
ovviamente, per i finanziamenti ad utilizzo flessibile. In questi ultimi,
infatti, l’obbligazione di pagamento degli interessi sorge man mano che
gli utilizzi vengono effettuati da parte del finanziato, il che giustifica
ampiamente — proprio nell’ottica appena illustrata — il
necessario contenimento del TEG, entro i limiti stabiliti trimestralmente dai
d.m. di rilevazione dei TEGM.
Un altro profilo critico è quello
che concerne l’applicabilità dei principi introdotti con la
riforma ai rapporti diversi dal mutuo, sia sotto il profilo della possibile
estensione ad altre tipologie di rapporti della sanzione introdotta con il
novellato secondo comma dell’art. 1815 c.c., sia sotto il profilo
dell’operatività della regola in base alla quale il momento
determinativo dell’usurarietà del saggio debba individuarsi
unicamente in quello della pattuizione degli interessi[38].
La giurisprudenza di legittimità
si è espressa, a proposito di questo secondo profilo, nel senso che
« la l. 28 febbraio 2001 n. 24, di conversione del d.l. 29 dicembre 2000
n. 394, di interpretazione autentica della l. 7 marzo 1996 n. 108, che ha
fissato la valutazione della natura usuraria dei tassi d’interesse al
momento della convenzione e non a quello della dazione, non si applica solo ai
rapporti di mutuo ma a tutte le fattispecie negoziali che possano contenere la
pattuizione d’interessi usurari »[39].
Anche con riferimento ai finanziamenti ad utilizzo flessibile, la declaratoria
di usurarietà genetica non può, dunque, che intervenire con
riferimento al momento della pattuizione degli interessi. Di per sé la
questione potrebbe anche apparire di agevole (quasi scontata) soluzione, se
riferita al tasso di interesse nominale (comprensivo dell’eventuale
capitalizzazione, ove consentita), nonché agli oneri, inclusi nel TEG,
che sono destinati ad essere certamente applicati in concreto al finanziamento
(ad esempio, gli oneri correlati alla messa a disposizione dei fondi, sui quali
ci soffermeremo nell’ultimo punto del presente capitolo). Meno scontata
è, invece, la risposta, se si pone mente al fatto che, nei finanziamenti
ad utilizzo flessibile, nel calcolo del TEG rientrano alcune voci di costo (ad
esempio, la c.d. C.I.V., che a sua volta sarà oggetto di analisi nell’ultimo
punto), le quali non sono destinate a venire applicate con certezza, ma solo
se, e quando, abbiano a verificarsi nel corso dell’esecuzione del
rapporto determinati eventi (segnatamente, lo sconfinamento e il c.d.
scoperto). Atteso, peraltro, che — come detto — di tali istituti si
tratterà nel paragrafo conclusivo, rinviamo ad esso per ogni ulteriore
considerazione a riguardo.
In merito invece alla questione
attinente all’eventuale applicabilità del secondo comma
dell’art. 1815 c.c. a fattispecie diverse dal mutuo, la dottrina
largamente maggioritaria fornisce una risposta affermativa al quesito. Si
è infatti argomentato — ad esempio — che « ogni
contraria interpretazione confliggerebbe con la ratio della riforma,
determinando irragionevoli disparità di trattamento rispetto a
fattispecie che, seppur non assimilabili al mutuo, siano comunque
funzionalmente idonee a perseguire le medesime finalità illecite
sanzionate dalla nuova disciplina sull’usura e, come tali, suscettibili
della medesima valutazione in termini di riprovevolezza »[40].
Dal canto suo la giurisprudenza non sembra, ad oggi, avere affrontato funditus
la questione, la quale sovente viene data un po’ per scontata.
Sul punto, pur non essendo del tutto
prive di fondamento le argomentazioni poc’anzi esposte, non può
non suscitare qualche interrogativo la circostanza che, come si è visto,
il secondo comma dell’art. 1815 c.c. (così come novellato dalla
normativa qui in esame) ha introdotto quella che viene giustamente ed
unanimemente considerata alla stregua di una sanzione civile. Al di là,
infatti, dei profili di opportunità segnalati in dottrina, non
c’è dubbio che un’applicazione (analogica od estensiva che
sia) di una misura sanzionatoria (ancorché civile) oltre i confini del
tipo contrattuale (il mutuo) in cui la stessa è prevista, ed addirittura
rispetto a fattispecie che, come si è visto, non sono assimilabili al
tipo in questione, desti qualche perplessità.
D’altra parte, la stessa
collocazione della norma sugli interessi usurari all’interno della
disciplina codicistica delmutuo è palesemente sintomatica del fatto che
il legislatore del 1942 considerasse tale tipo contrattuale l’esclusivo
campo di esplicazione del fenomeno usurario, ben lungi essendo dal potersi solo
ipotizzare, secondo la sensibilità dell’epoca, che l’usura
potesse annidarsi nei contratti necessariamente bancari (come l’apertura
di credito, o lo sconto bancario). Il radicale mutamento di prospettiva operato
con la riforma del 1996 avrebbe dunque dovuto suggerire una diversa collocazione
della norma, che da disposizione meramente applicativa del principio di cui
all’art. 1419, secondo comma, c.c., su base sostanzialmente conformativa[41],
veniva tramutata in disposizione avente natura sanzionatoria.
De iure condito, emerge invece
un’evidente, quanto irrisolta, contrapposizione tra l’esigenza di
non assicurare una disciplina di favore per i finanziamenti diversi dal mutuo,
e quella di rispettare il principio di tassatività che caratterizza
l’applicazione delle norme sanzionatorie. Contrapposizione che,
auspicabilmente, andrebbe una volta per tutte risolta da un legislatore, il cui
affannoso interventismo in subiecta materia si è viceversa troppo
spesso connotato come fonte di complicazione, invece che di semplificazione,
dell’attività dell’interprete. Volendo comunque tentare di
fornire una risposta al quesito, tra le due soluzioni estreme potrebbe
risultare forse ragionevole quella intermedia, secondo cui l’applicazione
transtipica dell’art. 1815, secondo comma, c.c., andrebbe limitata alle
sole fattispecie contrattuali assimilabili al mutuo (e dunque, per quanto si
è argomentato in precedenza, ai soli finanziamenti con piano di
ammortamento predefinito): pur con una certa forzatura, si potrebbe infatti
ritenere che in tal modo verrebbe ad essere realizzata una mera applicazione
estensiva, e non analogica. Vero è, però, che — ad
alimentare l’estrema confusione che regna in materia — il
legislatore ha avuto modo di menzionare l’art. 1815, secondo comma, c.c.
in occasione di un intervento normativo appositamente dedicato alla materia
degli utilizzi flessibili (il secondo comma dell’art. 2–bis,
d.l. 29 novembre 2008, n. 185, e successive modifiche ed integrazioni, su cui
avremo occasione di soffermarci diffusamente nel punto seguente), il che
potrebbe sostanziare una sorta di (forse inconsapevole) interpretazione
autentica, nel senso dell’applicabilità transtipica della
disposizione sanzionatoria, anche ai finanziamenti ad utilizzo flessibile.
Altre questioni tuttora aperte (ed anzi, di recente particolarmente
inaspritesi) attengono alla necessità di includere o meno determinate
poste, ai fini del calcolo del tasso usurario. Nel corso del tempo, infatti,
come già si è accennato, si è assistito ad un netto
dissenso tra la Banca d’Italia, da un lato, la quale —
nell’elaborare le proprie Istruzioni ai fini del rilevamento dei
TEGM — ha dovuto confrontarsi con la necessità di porre in essere
un’opera interpretativa dell’art. 644, terzo comma, c.p. e
dell’art. 2, primo comma, l. 7 marzo 1996, n. 108, individuando
cioè le specifiche poste oggetto del rilevamento, e la giurisprudenza
dall’altro lato, la quale sovente ha dimostrato di non condividere le
scelte dell’Istituto di vigilanza, qualificandone non di rado i
provvedimenti come non vincolanti.
Vero è, peraltro, che — per
fondate o meno che fossero le interpretazioni via via fatte proprie dalla Banca
d’Italia sul punto — è indiscutibile che la mancata loro
condivisione finisce, inevitabilmente, per aprire un serio problema. Atteso,
infatti, che il giudizio in punto di usurarietà si basa sul raffronto
tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del
contratto oggetto di contenzioso) ed un dato astratto (il TEGM rilevato con
riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione),
è necessario che vi sia perfetta simmetria tra i due elementi posti a
confronto. Se, infatti, il TEG concreto del contratto x viene calcolato
comprendendovi l’onere y, il quale tuttavia non è stato
incluso tra gli oneri conteggiati in sede di rilevazione dei TEGM, è del
tutto palese che il risultato finale del confronto finisce per essere distorto:
non a caso, nelle occasioni in cui la Banca d’Italia ha provveduto a
rivedere la propria posizione precedente, a proposito della necessità di
sottoporre a rilevazione un determinato onere prima escluso, la conseguenza
è stata quella di un generalizzato aumento del TEGM (e dunque, per
proprietà transitiva, del tasso soglia)[42].
Uno dei profili di emersione del cennato
dissidio tra giurisprudenza e Banca d’Italia è individuabile nella
materia degli interessi moratori[43].
La Banca d’Italia, invero, ha
avuto — sul punto—una posizione non limpidissima nel corso del
tempo. Essa, infatti, originariamente si era limitata ad escludere dal calcolo
del TEGM gli interessi di mora, nonché tutti gli oneri ad essi
assimilabili e riconducibili all’inadempimento del finanziato. Tale
esclusione—del resto in linea con quanto statuito, a fini di trasparenza,
con riferimento al TAEG nella materia del credito al consumo, come si è
visto — risulta tuttora confermata nell’attuale versione delle
più volte menzionate Istruzioni[44],
ed è tradizionalmente motivata sulla scorta dell’assenza di
funzione remuneratoria negli interessi di mora.
Sennonché, la stessa Banca
d’Italia, anche nei recenti chiarimenti diffusi il 3 luglio 2013, ha
specificato che la materia degli interessi di mora non può considerarsi
del tutto estranea rispetto alla disciplina anti–usura. Lo stesso
Istituto, infatti, ebbe occasione — oltre dieci anni or sono — di
operare un rilevamento statistico (per vero un po’ oscuro, quanto alla
correttezza ed alla completezza dei parametri utilizzati, nonché del
campione indagato), in virtù del quale fu accertato uno spread medio
tra interessi corrispettivi ed interessi di mora, pari a 2,1 punti percentuali.
Tale rilevazione — scarsamente persuasiva, posto che appare del tutto
singolare il rilevamento di uno spread destinato a rimanere costante, e
non invece, come sarebbe da attendersi, caratterizzato da andamento
progressivo, al variare in aumento del tasso corrispettivo — è
stata poi tralatiziamente riportata all’interno della Nota
metodologica dei d.m. di rilevazione dei TEGM[45],
sia pure in chiave di previsione non cogente, ma in termini di indicazione
avente carattere meramente prudenziale: il che non ha contribuito a fare
chiarezza su una materia, dove viceversa la piena intellegibilità e
certezza dello ius conditus appaiono assolutamente essenziali.
Va detto che la questione risulta invero
fortemente influenzata da un dato testuale, contenuto nella legge di
interpretazione autentica, il quale sembrerebbe far propendere per la
necessità di includere gli interessi di mora nel calcolo: nella nozione
di corrispettivo usurario, infatti, sono compresi gli interessi « a
qualunque titolo » pattuiti, sicché a molti è parso
inevitabile concludere per la necessaria inclusione anche degli interessi
moratori, ai fini del calcolo medesimo[46].
A tale interpretazione, tuttavia, si
è da tempo contrapposto, come detto, che le rilevazioni dei tassi medi,
ai fini del calcolo del tasso soglia, vengono effettuate con esclusione delle
operazioni in sofferenza[47].
Dunque, secondo questo condivisibile indirizzo, il rimedio utilizzabile in caso
di pattuizione di interessi moratori in misura eccessiva non sarebbe
individuabile nell’applicazione della normativa anti–usura,
bensì nell’applicazione del potere riduttivo anche officioso del
giudice, ex art. 1384 c.c., assimilabili essendo gli interessi
convenzionali di mora alla clausola penale[48];
ovvero — sempre sulla scorta della medesima qualificazione —
nell’applicazione della nullità ex art. 33, secondo comma,
lett. f), del codice del consumo, allorché la pattuizione venga
disposta nell’ambito di un contratto con la clientela consumatrice[49].
D’altra parte, la stessa norma di
interpretazione autentica, se letta alla luce dell’intenzione del
legislatore e del contesto sistematico in cui è inserita, non può
non risultare finalizzata a ricomprendere ogni tipo di interesse destinato ad
operare nella fisiologia dell’operazione di finanziamento (il costo
totale della concessione del credito), e non invece quanto è destinato
ad essere praticato nella fase patologica dello stesso.
Questa soluzione appare peraltro
coerente con la natura risarcitoria propria degli interessi convenzionali di
mora, allorché questi siano pattuiti in misura superiore
all’importo degli interessi corrispettivi[50];
natura che, come detto, risulta difficilmente compatibile sul piano concettuale
con le finalità della normativa anti–usura, salvo che non si sia
in presenza di ipotesi di vera e propria frode alla legge[51].
D’altra parte non può
negarsi che la contraria interpretazione (che, a ben vedere, si fonda solo su
di una fragile e discutibile interpretazione strettamente letterale) finirebbe
per rischiare di trasformare la disciplina anti–usura in un meccanismo
premiale per il finanziato inadempiente, il quale potrebbe giovarsi della
propria condotta antigiuridica, beneficiando delle conseguenze per lui positive
dell’applicazione della sanzione prevista dall’art. 1815, secondo
comma, c.c.[52]
Queste considerazioni, da ultimo,
risultano essere state condivise anche da parte del Collegio di Coordinamento
dell’Arbitro Bancario Finanziario[53],
il quale ha opportunamente ricondotto la tematica degli interessi moratori
all’ambito applicativo dell’art. 1384 c.c., avendo cura di
precisare che, al fine di operare la valutazione in punto di manifesta
eccessività, occorrerà comunque tenere conto del differenziale,
contrattualmente stabilito, tra tasso corrispettivo e tasso di mora: la
previsione, dunque, di uno spread eccessivo, sarebbe di per sé
sintomatica dell’eccessività del saggio moratorio.
Tale indicazione, che ha una sua certa
ragionevolezza, in quanto facilita il formarsi di un orientamento applicativo
omogeneo, rischia tuttavia di disincentivare le banche a concedere
finanziamenti a tassi corrispettivi particolarmente favorevoli (così
premiando i sovvenuti adempienti), verso la previsione di un tasso di mora
particolarmente elevato (così penalizzando i sovvenuti inadempienti).
Sotto questo profilo, dunque, si segnala l’opportunità di lasciare
un più ampio spazio al potere equitativo del giudice, considerato che
solo una valutazione complessiva in concreto della fattispecie oggetto di contenzioso
può suggerire la soluzione più adatta, sia per quanto riguarda
l’an, sia per quanto riguarda il quantum della riduzione
equitativa. Relativamente all’esigenza di uniformità, questa
dovrebbe essere poi garantita dalla reiterazione delle casistiche più
comuni, idonea a far emergere una tipizzazione a livello
social–giurisprudenziale, sì da non tramutare il potere equitativo
del giudice in mero arbitrio.
La limitazione dell’ambito
operativo della disciplina anti–usura alle ipotesi di fisiologica
esecuzione del contratto di finanziamento dovrebbe senz’altro indurre ad
escludere che la stessa possa venire in rilievo in tutti i casi in cui abbia a
determinarsi lo scioglimento anticipato del contratto, con conseguente
estinzione del debito verso la banca, vuoi per recesso unilaterale del
finanziato (ove legalmente o contrattualmente possibile), vuoi per mutuo
consenso. Trattasi di fattispecie ricorrenti nell’ambito dei
finanziamenti con piano di ammortamento predefinito, nei quali si pone il
problema — in prevalenza — dell’incidenza degli oneri fissi
(ad esempio, le spese di assicurazione), che, se “spalmati” su
tutta la durata fisiologica del contratto, avrebbero una certa incidenza sul
TEG, mentre se applicati su di una durata ridotta, finiscono sovente per determinare
uno sconfinamento rispetto al tasso soglia[54].
Non appare, tuttavia, in alcun modo
coerente con la disciplina anti– usura l’eventualità che
possa essere un’iniziativa del cliente, messa in atto successivamente
alla conclusione del contratto, a determinare addirittura
l’usurarietà genetica del tasso, con conseguente applicazione
della sanzione di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., nonché
con conseguente integrazione degli estremi della fattispecie criminosa. Al
limite, qualora si ritenesse predicabile la via dell’usurarietà
sopravvenuta nell’ambito dei finanziamenti con piano di ammortamento
predefinito (cosa che, come si è visto, a nostro giudizio va esclusa,
nonostante le autorevoli ed ormai maggioritarie voci contrarie), di quest’ultima
potrebbe al limite parlarsi, con conseguente necessità di ricondurre il
TEG al tasso soglia (o, secondo quanto da alcuni opinato con riferimento
all’usurarietà sopravvenuta determinata dall’abbassamento
dei saggi di mercato, al TEGM).
Da ultimo, non può non rilevarsi
come il versante sul quale è stato particolarmente aspro il confronto
tra Banca d’Italia e giurisprudenza, circa la necessità o meno di
inserire determinate “voci”, ai fini del calcolo dei tassi
anti–usura, sia stato certamente quello della commissione di massimo scoperto.
Anche in tal caso, infatti, la Banca d’Italia, nell’ambito delle
proprie Istruzioni aveva escluso — come si vedrà meglio in
seguito — l’onere de quo dalla rilevazione del TEGM.
Viceversa la giurisprudenza, specie penale,
ma recentemente anche civile, ha avuto modo ripetutamente di statuire che
«ai fini della determinazione della fattispecie di usura, il chiaro
tenore letterale dell’art. 644, 4º comma, c.p. impone di considerare
rilevanti tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso
del credito; tra essi rientra la commissione di massimo scoperto, trattandosi
di un costo collegato all’erogazione del credito, giacché ricorre
tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto
corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui
l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria
provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente»[55],
ritenendo di fatto non vincolanti le scelte operate dalla Banca d’Italia,
in sede di individuazione dei parametri da utilizzare per il rilevamento dei
TEGM.
Considerato tuttavia che la commissione
di massimo scoperto è oggetto di trattazione nel punto che segue,
riserviamo ad esso le nostre osservazioni in proposito.
[1] La letteratura è, sul
punto, assai vasta. Tra i contributi più recenti, si segnalano in
particolare: M. COSSA, Commento alla l. 7 marzo 1996, n. 108, in Commentario
del c.c., diretto da E. GABRIELLI, Delle obbligazioni, vol. III, a
cura di V. CUFFARO, Torino, 2013, 698 ss.; D. COLAVINCENZO, Nullità e
rescissione dei contratti usurari, Napoli, 2011; F. SFORZA, La normativa
in materia di usura, in E. GALANTI (a cura di), Diritto delle banche e
degli intermediari finanziari, Padova, 2008, 1241 ss.; A. SASSI, Esegesi
e sistema del contratto usurario, in Riv. dir. civ., 2010, I, 247
ss.; P. DAGNA, Profili civilistici dell’usura, Padova, 2008; G.
PORCELLI, La disciplina degli interessi bancari, cit., 189 ss.; G.E.
NAPOLI, Usura (diritto civile), in Il diritto. Enc. giur.,
Milano, 2008, XVI, 432 ss.; M. CIAN, Appunti sul sistema dell’usura
civile: complessità del fenomeno reale e rigidità del modello
normativo, in Studium Iuris, 2008, 1379 ss.; V. LENOCI, Gli
interessi nei contratti bancari, cit., 89 ss.; G. PASSAGNOLI, Contratto
usurario e sopravvenienza normativa, Padova, 2005; V. PANDOLFINI, Gli
interessi usurari, Milano, 2002; A. RICCIO, Il contratto usurario nel
diritto civile, Padova, 2002; A. CIATTI, Successione di leggi, usura e
ragionevolezza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, 1101 ss. Tra
le analisi immediatamente successive all’entrata in vigore della legge,
cfr., tra gli altri: G. ALPA, Usura: problema millenario, questioni attuali,
in Nuova giur. civ. comm., 1996, II, 181 ss.; G. BONILINI, La
sanzione civile dell’usura, in Contratti, 1996, 223 ss.; E.
QUADRI, La nuova legge sull’usura: profili civilistici, in Nuova
giur. civ. comm., 1997, II, 62 ss.; ID., Usura (diritto civile), in Enc.
giur., XXXII, Roma, 1999, 1 ss.; ID., Usura e legislazione civile,
in Corr. giur., 1999, 890 ss.; G. MERUZZI, Usura, in Contr. e
impr., 1996, 759 ss.; ID., Il contratto usurario tra nullità e
rescissione, in Contr. e impr., 2009, 410 ss.; R. TETI, Profili
civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv.,
1997, 465 ss.; F. REALMONTE, Stato di bisogno e condizioni ambientali: nuove
disposizioni in tema di usura e tutela civilistica della vittima del reato,
in Riv. dir. comm., 1997, I, 771 ss.; G. OPPO, Lo « squilibrio
» contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir.
civ., 1999, 533 ss.; A. GENTILI, I contratti usurari: tipologie e rimedi,
in Riv. dir. civ., 2001, I, 353 ss.; B. INZITARI, Il mutuo con
riguardo al tasso « soglia » della disciplina antiusura, cit.
257 ss.; U. GRASSI, Il nuovo reato di usura: fattispecie penali e tutele
civilistiche, in Riv. dir. priv., 1998, 23 ss.
[2] Allo stato,
tuttavia, non consta che la giurisprudenza abbia avuto occasione di applicare,
nell’ambito del contenzioso bancario civilistico, la c.d. usura in
concreto, ancorché le richieste formulate in tal senso dalla clientela
vadano significativamente diffondendosi.
[3] La cadenza
trimestrale delle rilevazioni è stata sinora sempre rispettata. Pare
opportuno fornire l’indicazione di tutte le rilevazioni effettuate
sinora: d.m. 22 marzo 1997, il d.m. 24 giugno 1997, d.m. 25 settembre 1997,
d.m. 23 dicembre 1997, d.m. 23 marzo 1998, d.m. 24 giugno 1998, d.m. 24
settembre 1998, d.m. 21 dicembre 1998, d.m. 26 marzo 1999, d.m. 19 giugno 1999,
d.m. 22 settembre 1999, d.m. 20 dicembre 1999, d.m. 23 marzo 2000, d.m. 23
giugno 2000, d.m. 21 settembre 2000, d.m. 20 dicembre 2000, d.m. 23 marzo 2001,
d.m. 22 giugno 2001, D. Dirig. 21 settembre 2001, D. Dirig. 14 dicembre 2001,
D. Dirett. 22 marzo 2002, D. Dirett. 19 giugno 2002, D. Dirett. 18 settembre
2002, d.m. 20 dicembre 2002, Decr. 25 marzo 2003, Decr. 23 giugno 2003, Decr.
19 settembre 2003, Decr. 18 dicembre 2003, Decr. 17 marzo 2004, il Decr. 22
giugno 2004, Decr. 17 settembre 2004, Decr. 17 dicembre 2004, Decr. 17 marzo
2005, Decr. 15 giugno 2005, Decr. 21 settembre 2005, Decr. 20 dicembre 2005,
Decr. 15 marzo 2006, Decr. 21 giugno 2006, Decr. 21 settembre 2006, Decr. 19
dicembre 2006, Decr. 20 marzo 2007, Decr. 20 giugno 2007, Decr. 19 settembre
2007, Decr. 20 dicembre 2007, Decr. 18 marzo 2008, Decr. 23 giugno 2008, Decr.
24 settembre 2008, Decr. 19 dicembre 2008, Decr. 26 marzo 2009, Decr. 24 giugno
2009, Decr. 24 settembre 2009, Decr. 24 dicembre 2009, Decr. 26 marzo 2010,
Decr. 18 giugno 2010, Decr. 23 settembre 2010, Decr. 23 dicembre 2010, Decr. 29
marzo 2011, Decr. 27 giugno 2011; Decr. 26 settembre 2011; Decr. 20 dicembre
2011; Decr. 26 marzo 2012; Decr. 26 giugno 2012; Decr. 26 settembre 2012; Decr.
21 dicembre 2012; Decr. 25 marzo 2013; Decr. 24 giugno 2013; Decr. 24 settembre
2013; Decr. 19 dicembre 2013. Quanto, invece, alla normativa secondaria in tema
di classificazione delle operazioni creditizie, vedi il d.m. 23 settembre 1996,
il d.m. 24 settembre 1997, il d.m. 22 settembre 1998, modificato dal d.m. 4
aprile 2001, il d.m. 21 settembre 1999, il d.m. 20 settembre 2000, il d.m. 20
settembre 2001, il D. Dirett. 16 settembre 2002, il Decr. 18 settembre 2003, il
Decr. 16 settembre 2004, il Decr. 20 settembre 2005, il Decr. 20 settembre
2006, il Decr. 18 settembre 2007, il Decr. 23 settembre 2008, il Decr. 23
settembre 2009, il Decr. 25 marzo 2010, il Decr. 23 settembre 2011, il Decr. 25
settembre 2012, e da ultimo il Decr. 23 settembre 2013.
[4] È utile sin d’ora
anticipare che le Istruzioni in questione, i cui destinatari sono i
soggetti vigilati, ed in primis ovviamente le banche, prevedono due
formule matematiche diverse per il calcolo degli specifici TEG contrattuali
(sulla cui scorta viene poi effettuata la rilevazione dei TEGM): l’una
utilizzata per i c.d. utilizzi flessibili (aperture di credito in c/c e
scoperti, anticipi su crediti e documenti, sconto di portafoglio, factoring e
revolving), e l’altra utilizzata per tutte le altre operazioni,
c.d. a piano di ammortamento predefinito.
[5] In
realtà, ad una prima analisi, tenuto conto dell’entità
attuale dei tassi, sono assolutamente preponderanti le operazioni rispetto alle
quali il tasso–soglia è destinato ad aumentare.
[6] A riguardo, cfr. per tutti, S.T.
MASUCCI, Disposizioni in materia di usura—La modificazione del codice
civile in tema di mutuo ad interesse (art. 4 l. 7 marzo 1996 n. 108), in Nuove
leggi civ. comm., 1997, 1328 ss.; G. COLLURA, La nuova legge
sull’usura e l’art. 1815 c.c., in Contr. e impr., 1998,
602 ss.; L. FERRONI, La nuova disciplina civilistica del contratto di mutuo
ad interessi usurari, Napoli, 1997. Più recentemente, G. FAUCEGLIA, Commento
all’art. 1815, cit., 198 ss.
[7] Per questa impostazione, sulla
quale vi è un sostanziale unanime consenso in dottrina e giurisprudenza,
cfr. per tutti G. PORCELLI, op. ult. cit., 226 ss.; vedi anche G.
PASSAGNOLI, op. cit., 6, dove il fenomeno viene qualificato in termini
di sanzione civile per l’usuraio [e, prima ancora, per
l’utilizzo del concetto di pena privata, vedi G. BONILINI, op. cit.,
225; E. QUADRI, Usura (diritto civile), cit., 5].
[8] Trib. Velletri 3 dicembre 1997,
Trib. Milano 13 novembre 1997 e Trib. Velletri 30 aprile 1998, in Foro It.,
1998, I, c. 1609 ss., con nota di A. PALMIERI, Usura e sanzioni civili: un
meccanismo già usurato?; le prime due decisioni, insieme a Trib.
Roma 4 giugno 1998 (quest’ultima, di segno opposto a quelle sopra
menzionate), sono pubblicate anche in Banca, borsa, tit. credito, 1998,
II, 501 ss., con nota di U. MORERA, Interessi pattuiti, interessi
corrisposti, tasso « soglia » e. . . usuraio sopravvenuto, e di
P. SEVERINO DI BENEDETTO, Riflessi penali della giurisprudenza civile sulla
riscossione di interessi divenuti usurari successivamente all’entrata in
vigore della l. n. 108 del 1996; la prima è edita anche in Corr.
giur., 1998, 192 ss., con commento di G. GIOIA, Interessi usurari:
rapporti in corso e ius superveniens; Trib. Milano 13 novembre 1997
può consultarsi anche in Corr. giur., 1998, 435 ss., con nota di V.
CARBONE, Interessi usurari dopo la l. n. 108/1996. Vedi anche Trib.
Firenze 10 giugno 1998, Trib. Lodi 30 marzo 1998 (nonché ancora Trib.
Roma 4 giugno 1998), in Corr. giur., 1998, 805 ss., con commento di ID.,
Usura: nuovi rintocchi. In sede di legittimità, cfr. Cass. 22
aprile 2000, n. 5286 (« ove il rapporto negoziale non sia ancora
esaurito, non si può continuare a dare effetto alla clausola, contenuta
in un contratto di conto corrente bancario stipulato in epoca anteriore all’entrata
in vigore della nuova disciplina sull’usura, con la quale sono stati
pattuiti interessi ad un tasso divenuto superiore a quello di soglia »),
in Foro It., 2000, I, c. 2180 ss.; in Contratti, 2000, 688 ss.,
con nota di A. MANIACI, La nuova normativa in materia di usura ed i rapporti
negoziali in corso (insieme a Cass. 2 febbraio 2000, n. 1126, la
quale— ancorché in termini più laconici — aveva per
prima statuito il principio secondo cui « la l. n. 108/96, che ha
modificato l’art. 644 c.p., in difetto di previsione di retroattività,
non può operare rispetto ai precedenti contratti di mutuo, pur essendo
di immediata applicazione nei relativi rapporti limitatamente alla
regolamentazione di effetti ancora in corso »); in Corr. giur.,
2000, 878 ss., con nota di G. GIOIA, La disciplina degli interessi divenuti
usurari: una soluzione che fa discutere (insieme a Trib. Palermo 7 marzo
2000). In tema di mutuo, vedi poi Cass. 17 novembre 2000, n. 14899 (« nel
mutuo, ove il rapporto negoziale non sia ancora esaurito in quanto perduri
l’obbligazione di corrispondere, oltre ai ratei di somma capitale, anche
gli interessi, la rilevabilità d’ufficio della nullità
della clausola relativa agli interessi, che si assumano essere usurari in
applicazione dei criteri dettati dalla l. 108/96, non può ritenersi
preclusa per il solo fatto che il contratto sia stato stipulato anteriormente
all’entrata in vigore della nuova disciplina; momento significativo per
individuare se il tasso degli interessi nel mutuo stipulato anteriormente all’entrata
in vigore della l. 7 marzo 1996 n. 58 superi la soglia stabilita nei decreti
ministeriali trimestrali previsti dall’art. 2 detta legge è quello
della dazione di detti interessi, e non quello della stipula del contratto,
essendo tenuto il giudice a rilevarne anche d’ufficio
l’illegittimità qualora si controverta dell’esecuzione del
contratto »), in Foro It., 2001, I, c. 80 ss., con nota di A.
PALMIERI, Tassi usurari e introduzione della soglia variabile: ancora una
risposta interlocutoria; ivi, I, c. 918 ss., con nota di E.
SCODITTI, Mutui a tasso fisso: inserzione automatica di clausole o
integrazione giudiziale del contratto?; in Corr. giur., 2001, 43
ss., con nota di G. GIOIA, Usura: il punto della situazione; in Giur.
It., 2001, 311 ss., con nota di E. SPANO, Tassi usurari, mutui a tasso
fisso, contratto aleatorio e riflessi sulle operazioni di cartolarizzazione dei
crediti; ivi, 678 ss., con nota di G. TUCCI, Usura e autonomia
privata nella giurisprudenza della Corte di Cassazione; in Contratti,
2001, 151 ss., con nota di A.MANIACI, Contratti in corso ed
usurarietà c.d. sopravvenuta; in Nuova giur. civ. comm.,
2001, I, 129 ss., con nota di A. SPANGARO, Tassi di interesse divenuti
usurari alla luce della l. n. 108/1996: nullità sopravvenuta o
inefficacia?; in Impresa, 2000, 1942 ss., con commenti di S.
CAPPIELLO, P. SANINO e A. MONTONESE; in Banca, borsa, tit. credito,
2000, II, 621 ss., con nota di A.A. DOLMETTA, Le prime sentenze della
Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996; in Vita
not., 2001, 103 ss., con nota di P.M. PUTTI, I mutui usurari e la
rilevabilità d’ufficio della nullità; in Giust. civ.,
2000, I, 3103 ss., con nota di F. DI MARZIO, Il trattamento dell’usura
sopravvenuta tra validità, illiceità e inefficacia della clausola
interessi. In senso contrario, cfr. invece (oltre alla già
menzionata Trib. Roma 4 giugno 1998, cit.) Trib. Roma 10 luglio 1998, in Corr.
giur., 1998, con nota di A. MOLITERNI — A. PALMIERI, Tassi usurari
e razionamento: repressione e prevenzione degli abusi nel mercato del credito;
Trib. Avellino 12 aprile 1999, in Dir. fall., 1999, II, 916 ss., con
nota di G. LANDOLFI, Brevi note in tema di interessi usurari «
sopravvenuti » ai sensi della l. n. 108 del 1996; Trib. Venezia 20
settembre 1999, in Giur. It., 2000, 955 ss., con nota di V. PANDOLFINI, Sopravvenuta
usurarietà del tasso di interesse e tutela civilistica dell’usura:
incertezze e questioni di legittimità costituzionale.
[9]
L’applicabilità del novellato art. 1815, secondo comma, c.c. era
sostenuta in dottrina ad esempio da G. GIOIA, Interessi usurari: rapporti in
corso e ius superveniens, cit., 199 ss.
[10] Così, ad
es., Trib. Velletri 3 dicembre 1997, cit.; Trib. Firenze 10 giugno 1998, cit.;
Trib. Palermo 7 marzo 2000, cit. In dottrina, B. INZITARI, op. ult. cit.,
263 ss.; E. QUADRI, Usura e legislazione civile, cit., 898; F. DI
MARZIO, op. cit., 3112 s. Interessante è, peraltro, la tesi di L.
FERRONI, Jus superveniens, rapporti in corso e usurarietà
sopravvenuta, in Rass. dir. civ., 1999, 515 ss., secondo il quale il
tasso di conversione avrebbe dovuto essere individuato non già nel
tasso–soglia, ma nel TEGM.
[11] Trib. Milano 13 novembre 1997,
cit.
[12] Cfr. Corte
Cost. 17 ottobre 2000, n. 425, cit., in relazione all’art. 25 d.lgs. 4 agosto
1999, n. 342.
[13] Più
precisamente, i tassi venivano ridotti all’8% in relazione ai mutui
immobiliari c.d. prima casa (su abitazioni non di lusso) di importo non
superiore a Lire 150.000.000, ed al 9,96% per le altre ipotesi.
[14] Per alcuni primi commenti, cfr.
R. CONTI, L. 28 febbraio 2001 n. 24—Dall’usurarietà
sopravvenuta al tasso di sostituzione: mutui senza pace, nota a Trib.
Benevento 4 maggio 2011, in Corr. giur., 2001, 1345 ss.; B. MEOLI, Il
mutuo ad interessi usurari tra interpretazione giurisprudenziale e decretazione
d’urgenza, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, 120 ss.; M.
AVAGLIANO, Profili problematici in tema di usura: interessi di mora e ius
superveniens, in Riv. dir. priv., 2001, 399 ss.; A. MANIACI, Nuova
normativa in materia di usura (commento alla l. 28 febbraio 2001 n. 24), in
Contratti, 2001, 393 ss.; A.MANNA, Decreto sui mutui: primo
significativo indebolimento della tutela contro l’usura? (commento al
d.l. 29 dicembre 2000 n. 394), in Dir. pen. e proc., 2001, 540 ss.;
A.A. DOLMETTA, Il governo invade la giurisdizione e salva l’«
interesse » delle banche — Normativa innovativa spacciata per
interpretazione autentica, in Dir. e giust., 2001, fasc. 2, 8 ss.;
F. SFORZA, Quando un mutuo bancario è usurario? La soluzione offerta
dal d.l. 394/2000, in Nuovo dir., 2001, 219 ss.; G. GIOIA, La
storia infinita dei tassi usurari (commento alla l. 28 febbraio 2001 n. 24),
in Corr. giur., 2001, 430 ss.; V. FARINA, Gli interessi «
usurari » alla luce del d.l. n. 394/2000 convertito in l. n. 24/2001
(commento al d.l. 29 dicembre 2000 n. 394), in Notariato, 2001, 316
ss.; M. ROSSETTI, Violato un principio giurisprudenziale— I contratti
di durata da sempre « sensibili » allo ius superveniens (commento
al d.l. 29 dicembre 2000 n. 394), in Dir. e giust., 2001, fasc. 1,
15 ss.; A. ROSSI, Il nuovo provvedimento legislativo in tema di usura,
in Impresa, 2001, 192 ss.; F. GAMBINO, I mutui usurari tra logica
imperativa ed analisi economica del diritto, in Contr. e impr.,
2001, 644 ss.
[15] Corte Cost. 25 febbraio 2002, n.
29, in Foro It., 2002, I, c. 933 ss., con nota di A. PALMIERI, Interessi
usurari: una nuova partenza; in Corr. giur., 2002, 609 ss., con nota
di V. CARBONE, La corte legittima l’intervento del legislatore a favore
delle banche: scompaiono gli interessi divenuti usurari; in Contratti,
2002, 545 ss., con nota di O.T. SCOZZAFAVA, Interpretazione autentica della
normativa in materia di usura e legittimità costituzionale; in Giur.
It., 2002, 1125 ss., con nota di A. GENTILI, Usurarietà
sopravvenuta e interpretazione autentica del diritto giurisprudenziale; in Giur.
cost., 2002, 194 ss., con note di G. OPPO, Gli interessi usurari tra
costituzione, leggi e mercato, di P. PASSAGLIA, Dalla «
diversità nell’indistinzione » all’enunciazione di tests
di giudizio propri delle leggi di interpretazione autentica: la corte varca
il Rubicone?, di A. FIADINO, La rilevanza della pattuizione degli
interessi o vantaggi usurari nella sentenza n. 29 del 2002 della corte
costituzionale, di R. DEFINA, L’interpretazione autentica in
materia di tassi usurari al vaglio della corte costituzionale, e di L. DE
BERNARDIN, Il problematico vizio di illegittimità dei
decreti–legge ad efficacia differita. Vedi anche, per una successiva
ulteriore pronunzia della Consulta in tema, Corte Cost. 31 ottobre 2002, n. 436
(ord.), in Foro It., 2003, I, c. 17 ss.
[16] Cfr. Cass. 26 giugno 2001, n.
8742, in Giust. civ., 2002, I, 116 ss.: «l’art. 1, 1º comma,
d.l. 9 dicembre 2000 n. 394, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio
2001 n. 24, il quale dispone che, ai fini dell’applicazione
dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, 2º comma, c.c., si
intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge
nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo,
indipendentemente dal momento del loro pagamento, è norma
dichiaratamente interpretativa, e pertanto retroattiva, con la conseguenza che,
ove la controversia riguardi interessi convenuti in epoca antecedente
all’entrata in vigore delle norme antiusura, queste non possono trovare
applicazione»; Cass. 24 settembre 2002, n. 13868, in Rep. Foro It.,
2002, Usura, 41; Cass. 13 dicembre 2002, n. 17813, in Rep. Foro It.,
2002, Usura, 40; Cass. 25 marzo 2003, n. 4380, in Rep. Foro It.,
2003, Mutuo, 17; Trib. Napoli 12 febbraio 2004, in Giur. mer.,
2004, 1340 ss.; Trib. Roma 8 giugno 2005, in Dir. prat. soc., 2005,
fasc. 22, 75 ss., con nota di A.C. VACCARO BELLUSCIO; Cass. 22 luglio 2005, n.
15497, in Rep. Foro It., 2005, Usura, 18; Cass. 12 luglio 2007,
n. 15621, in Rep. Foro It., 2007, Usura, 9; Cass. 19 marzo 2007,
n. 6514, in Giust. civ., 2008, I, 2252 ss.; Trib. Nuoro 10 marzo 2008,
in Banca, borsa, tit. credito, 2009, II, 576 ss., con nota di C.M.
TARDIVO, Brevi note in tema di interessi anatocistici e usurari nel
finanziamento fondiario; Cass. 3 aprile 2009, n. 8138, in Rep. Foro It.,
2009, Mutuo, 29; Cass. 13 maggio 2010, n. 11632, in Rep. Foro It.,
2010, Usura, 9; Cass. 22 aprile 2010, n. 9532, in Rep. Foro It.,
2010, Usura, 8.
[17] In dottrina, cfr. G. PASSAGNOLI,
op. cit., spec. 82 ss. In giurisprudenza, tra le prime pronunce in tal
senso, Trib. Cagliari 17 febbraio 2006, in Riv. giur. sarda, 2006, 113
ss., con nota di C. CHESSA, Spunti in tema di anatocismo, usura ed efficacia
temporale della disciplina modificativa della fideiussione omnibus; Trib.
Benevento 2 gennaio 2009, in Riv. giur. Molise e Sannio, 2009, fasc. 2,
1 ss., con nota di P. IZZO, Usura e anatocismo: confine incerto e limiti
teorici., dove si è affermato che « nel caso di
usurarietà sopravvenuta, qualsiasi sia la causa di essa,
l’ordinamento non può ammettere il pagamento di interessi in
misura superiore al tasso soglia trimestralmente rilevato, essendo gli effetti
del contratto regolati oltre che dalla volontà delle parti anche
dall’eteroregolamento imposto da principi di ordine pubblico
(integrazione legale degli effetti contrattuali, art. 1374 c.c.), quale
è appunto quello che vieta qualsiasi effetto usurario ».
[18] Così, G. PASSAGNOLI, op.
cit., 85.
[19] Così, G. PASSAGNOLI, op.
cit., 131 ss., spec. 138 ss.
[20] In questi termini, ad esempio,
App. Napoli 1° ottobre 2010, in Dir. fall., 2011, II, 237 ss., con
nota di G. FASCIANO, L’inapplicabilità della disciplina
anti–usura di cui alla l. 7 marzo 1996 n. 108 ai contratti di mutuo
stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore.
[21] Diversa è, invece,
l’ipotesi — analizzata da M. CIAN, op cit., 1384 s. —
in cui il superamento del tasso–soglia intervenga per effetto
dell’esercizio, da parte della banca, dello ius variandi; ID., Costo
del credito bancario e usura. Ancora sulle commissioni bancarie, sullo ius
variandi e sull’azzeramento del tasso oltre soglia, in Obbl. e
contr., 2012, 1663 ss.
[22] Così, V.
LENOCI, op. ult. cit., 94; M. CIAN, Appunti sul sistema
dell’usura civile, cit., 1384.
[23] Si tratta di Cass. 11 gennaio
2013, n. 602, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 653 ss., con nota di
P. BONTEMPI, Usura e retroattività, nonché in Giur. comm.,
2013, II, 649 ss., con nota di N. MANCINI, Osservazioni su anatocismo e
conseguenze dell’usurarietà sopravvenuta, e di Cass. 11
gennaio 2013, n. 603, in www.ilcaso.it. Per una ricognizione giurisprudenziale
recente, cfr. A. QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di
proporzionalità, in Banca, borsa, tit. credito, 2013, II, 491
ss. È bene sin d’ora precisare — in relazione a quanto si
dirà tra breve — che la prima delle due decisioni concerne
un’ipotesi di finanziamento ad utilizzo flessibile, mentre la seconda
riguarda un caso di finanziamento con piano di ammortamento predefinito. In
realtà, sempre in riferimento ad un caso relativo ad un finanziamento
con piano di ammortamento predefinito, la tesi della rilevanza dell’usura
sopravvenuta era stata anticipata, due giorni prima, anche nell’ambito di
Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, in Banca, borsa, tit. credito, 2013, II,
498 ss., con nota di A.A. DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni
attuali. Trattando, peraltro, quest’ultima decisione la (parzialmente
diversa) questione della rilevanza degli interessi moratori ai fini del
superamento del tasso soglia, ne rinviamo l’analisi infra, laddove
la tematica sarà affrontata direttamente.
[24] Cfr. Arbitro Bancario
Finanziario—ABF, Collegio di Roma 5 luglio 2012, n. 2286; Collegio di
Roma 11 gennaio 2013, n. 174; Collegio di Roma 28 febbraio 2013, n. 1137;
Collegio di Roma 20 novembre 2013, n. 5885; Collegio di Napoli 3 aprile 2013,
n. 1796.
[25] Si tratta della
decisione 10 gennaio 2014, n. 77 (in www.dirittobancario.it, con commento di G.
MUCCIARONE).
[26] Con ciò, ponendosi
condivisibilmente in antitesi con il parzialmente diverso inquadramento operato
dalla S.C., la quale — come si è visto — ha viceversa
espressamente menzionato l’art. 1419, secondo comma, c.c.
[27] Va detto che, nella prospettiva
della condivisione del principio qui in discussione, una parte della dottrina
ritiene, invece, che la riduzione del tasso vada ricondotta al tasso medio
(TEGM) e non al tasso soglia (cfr. A.A. DOLMETTA, op. ult. cit., 510).
[28] Occorre
precisare che la decisione del Collegio di Coordinamento è stata resa
nell’ambito di un contenzioso con un intermediario non bancario, ed in
riferimento ad un contratto nel quale il tasso fisso contrattuale pattuito era
assai prossimo alla soglia. Quanto ai contratti a tasso variabile, è
altamente improbabile che si verifichi la fattispecie dell’usura
sopravvenuta: essendo infatti il tasso normalmente legato ad indici di mercato,
è molto difficile (anche se non del tutto impossibile) che il tasso
variabile possa collocarsi, in corso di rapporto, sopra soglia. V. tuttavia, a
riguardo, Trib. Santa Maria Capua Vetere 6 settembre 2011, in Banca, borsa,
tit. credito, 2013, II, 192 ss., con osservazioni di C.P. D’AIELLO.
[29] Va detto che la nota di Chiarimenti
qui in discussione contiene in sé un forte elemento di
discutibilità, là dove tiene a precisare che la posizione in essa
enunciata non possa considerarsi vincolante (id est: non avrebbe alcun
valore normativo), né per la giurisprudenza ordinaria, né per
l’Arbitro Bancario Finanziario. Si tratta, all’evidenza, di una
cautela da parte dell’Istituto di Vigilanza, memore di altre vicende (di
cui si tratterà tra breve), nel cui ambito la giurisprudenza anche di
legittimità ne ha sovente, in subiecta materia, sconfessato
l’operato. Va detto, tuttavia, che tale continuo confronto (rectius:
conflitto) tra funzione di vigilanza e funzione giurisdizionale, nella sua
massima espressione, non giova certo né alla certezza del diritto,
né ad un efficiente andamento del mercato.
[30] La circolare è
consultabile, tra l’altro, sul sito della Banca d’Italia.
[31] Criticata, ad esempio, da A.A.
DOLMETTA, op. ult. cit., 502, nota 2.
[32] Si osserva, per inciso, che la distinzione
qui in esame rispecchia esattamente gli ambiti di operatività delle due
diverse formule matematiche utilizzate per la rilevazione dei TEG contrattuali
(e, di conseguenza, dei TEGM).
[33] Il TEGM rilevato era, infatti,
pari al 6,56% e, di conseguenza, in virtù della formula allora
applicabile per il calcolo del tasso soglia, quest’ultimo era pari al
9,84%.
[34] Questa argomentazione,
curiosamente poco presente nelle analisi civilistiche, risulta invece formulata
da P. SEVERINO DI BENEDETTO, op. cit., 527 ss.
[35] Ad esempio, supponiamo —
per semplicità — di avere un mutuo di durata decennale,
dell’importo di C 100.000, al tasso effettivo (tenuto conto, cioè,
del principio dell’interesse composto) del 10% annuo, da restituirsi in
10 rate annuali di C 20.000 ciascuna. Come è noto, nel piano di
ammortamento c.d. alla francese le prime rate sono composte per la maggior
parte di interessi. Ebbene, gli interessi riferibili al primo anno sarebbero
pari a C 10.000, ma la prima rata di C 20.000 comprenderà certamente una
quota parte di interessi superiore a detto importo.
[36] È bene qui avvertire che
la stratificazione di fonti nella materia indagata (legge ordinaria, decreti
ministeriali, provvedimenti della Banca d’Italia) è talmente
profonda, che non c’è concordia tra gli interpreti su dove si
fermi la dimensione squisitamente normativa, e dove invece inizi quella
più propriamente amministrativa: dunque, l’utilizzo del termine ius
va qui assunto con una certa dose di cautela.
[37] Cfr. Corte Cost. 27 giugno 1997,
n. 204, cit.
[38] Per una
panoramica complessiva delle diverse opinioni, cfr. G. PORCELLI, op. ult.
cit., 242 ss.;
P. DAGNA, op. ult. cit., 56 ss.
[39] Così,
Cass. 12 luglio 2007, n. 15621, in Rep. Foro It., 2007, Usura, 9.
In senso opposto, tuttavia,
App. Milano 6 marzo 2002, cit., e App. Milano 10 maggio 2002, cit.
[40] In questi termini, G. PORCELLI, op.
ult. cit., 247; analogamente, M. CIAN, Appunti sul sistema
dell’usura civile, cit., p. 1382, il quale tuttavia ritiene
persuasivamente che un’eccezione vada fatta in ordine a quelle operazioni
che implicano lato sensu una forma di finanziamento, ma che in
realtà « si connotano per una sostanziale ibridazione che (. . . )
tende a colorarle almeno in parte di profili propri della prestazione di
capitali di rischio ».
[41] Come si evince chiaramente dalla
lettura della Relazione al codice civile, n. 735.
[42] Un esempio è
senz’altro rappresentato dalle spese per assicurazioni, dapprima escluse
e successivamente incluse nel calcolo operato dalla Banca d’Italia. Per completezza,
è opportuno ricordare quali sono attualmente gli oneri che la Banca
d’Italia considera rilevanti, ai fini del calcolo del TEGM: spese di
istruttoria e revisione del finanziamento; spese di chiusura della pratica e di
liquidazione periodica degli interessi; spese di riscossione dei rimborsi e di
incasso dei ratei; spese di mediazione; spese per assicurazioni; spese per
servizi accessori connessi con il contratto di credito; oneri per la messa a
disposizione dei fondi e per il passaggio a debito di conti non affidati,
ovvero per gli sconfinamenti; ogni altra spesa od onere connessi con il
finanziamento.
[43] In tema, cfr.
in generale G. PORCELLI, op. ult. cit., 248 ss.; P. DAGNA, op. ult.
cit., 127 ss.; G. PASSAGNOLI, op. cit., 54 ss.
[44] Oltre agli interessi moratori,
le attuali Istruzioni escludono: le imposte e le tasse; le spese
notarili; i costi di gestioni del conto corrente su cui su cui sono registrate
le operazioni di pagamento ed i prelievi, i costi relativi agli strumenti di
pagamento e di prelievo, salvo che non emerga che il conto è posto ad
esclusivo servizio del finanziamento; relativamente ai contratti di leasing e
di factoring, i compensi per prestazioni di servizi amministrativi non
direttamente connessi al finanziamento.
[45] Il primo in ordine cronologico
è stato il d.m. 25 marzo 2003. In tema, per tutti, cfr. P. DAGNA, op.
cit., 132 ss.
[46] Un’indicazione in tal
senso si rinviene, sia pure solo in obiter dictum, in Corte Cost. 25
febbraio 2002, n. 29, cit. In giurisprudenza vedi anche Cass. 4 aprile 2003, n.
5324, in Rep. Foro It., 2003, Mutuo, 16; App. Roma 22 novembre
2006, in Dir. prat. soc., 2007, fasc. 19, 73 ss., con nota di A. FUSARO;
ma soprattutto, e più di recente, Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, cit.
[47] Cfr. G. PORCELLI, op. ult.
cit., 255.
[48] ID., op. ult. cit., 258
(nonché gli Autori ivi citati in nota 162); sul punto ci sia permesso di
rinviare anche a C. COLOMBO, Art. 1224 c.c., in Commentario del c.c.,
diretto da E. GABRIELLI, Delle obbligazioni, vol. II, a cura di V.
CUFFARO, Torino, 2013, 208 ss. In giurisprudenza, per un’analoga
affermazione, Trib. Roma 1° febbraio 2001, in Corr. giur., 2001,
1082 ss., con nota di A. LAMORGESE, Interessi moratori ed usura.
Recentemente, sia pure nell’ambito di una fattispecie nella quale la
pattuizione degli interessi era anteriore all’entrata in vigore della l.
7 marzo 1996, n. 108, vedi anche Cass. 18 novembre 2010, n. 23273, in Rep.
Foro It., 2010, Contratto in genere, n. 434.
[49] In quest’ultimo caso deve
ritenersi che la previsione di un tasso di interesse di mora manifestamente
eccessivo, dovrebbe tradursi nel semplice azzeramento dello spread tra
interessi corrispettivi ed interessi moratori; né detto spread può
essere sostituito dal tasso legale, come del resto ha chiarito la Corte di
Giustizia dell’UE, nella sentenza 14 giugno 2012, n. 65, in causa
C–618/10 in Contratti, 2013, 16 ss., con nota di A. D’ADDA, Giurisprudenza
comunitaria e “massimo effetto utile per il consumatore”:
nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del
contratto (e v. anche la sentenza 30 maggio 2013, in causa C–488/11).
[50] Ovviamente l’ipotesi in
cui tasso corrispettivo e tasso di mora corrispondano (per vero
pressoché inesistente, nella prassi bancaria, per intuibili ragioni) non
pone alcun tipo di problema. Sul punto, ci sia ancora consentito di rinviare a
C. COLOMBO, op. ult. cit., 194.
[51] Il profilo è segnalato,
tra gli altri, da G. PORCELLI, op. ult. cit., 259, il quale ipotizza la
pattuizione di termini di restituzione del capitale talmente ristretti, da
rendere sostanzialmente inevitabile l’inadempimento del finanziato, e la
conseguente trasformazione degli interessi corrispettivi in interessi di mora.
[52] Il che dovrebbe, quanto meno,
indurre a ritenere che, nel caso degli interessi di mora, non dovrebbe comunque
mai parlarsi di usurarietà genetica (posto che la relativa applicazione
è subordinata ad una condotta antigiuridica del finanziato, e non del
finanziatore, con la conseguenza che il reato si perfezionerebbe proprio grazie
a tale contegno antigiuridico), ma—al limite—di usurarietà
sopravvenuta. In questo senso, anche A.A. DOLMETTA, op. ult. cit., 509
ss.
[53] Decisione n. 1875, del 28 marzo
2014, sulla scia — peraltro — di un orientamento abbastanza
consolidato presso i Collegi territoriali.
[54] La questione si prospetta, ad
esempio, con riferimento alle operazioni di finanziamento, assistite dalla
garanzia della cessione dei quinto dello stipendio o della pensione. In tema,
vedi, anche per riferimenti alla giurisprudenza dell’ABF, U. MALVAGNA, Cessione
del quinto ed estinzione anticipata: la sorte delle “commissioni
accessorie”, in www.ilcaso.it.
[55] Così, Cass. pen. 19
febbraio 2010, n. 12028, in Foro It., 2010, II, c. 382 ss., con nota di
A. DI LANDRO, La cassazione penale include la commissione di massimo
scoperto nel tasso d’interesse usurario: la l. 2/09, le questioni
intertemporali e un’inedita ricostruzione dell’elemento soggettivo;
nello stesso senso, Cass. pen. 14 maggio 2010, n. 28743, in Rep. Foro It.,
2010, Usura, 17. Vedi anche Trib. Palmi 8 novembre 2007, in Riv. it.
dir. e proc. pen., 2009, 1551 ss., con nota di G. MANTOVANO, Usura e
commissione di massimo scoperto: profili di indeterminatezza della fattispecie;
Trib. Verona 21 settembre 2007, in Corr. mer., 2008, 351 ss., con nota
di F. AGNINO, Usura e commissione di massimo scoperto; Trib. Ascoli
Piceno 4 febbraio 2010, in Giur. mer., 2011, 974 ss., con nota di V.
PICCININI, La commissione di massimo scoperto tra criteri di calcolo ed
accertamento del superamento del tasso soglia; Trib. Padova 10 giugno 2011,
in Banca, borsa, tit. credito, 2012, II, 761 ss., con osservazioni di L.
MASSIMO; Trib. Padova 26 luglio 2012, in Foro It., 2013, I, c. 1028 ss.
Ma implicitamente (in quanto l’assoluzione degli imputati è stata
motivata sulla scorta del difetto dell’elemento soggettivo del reato, e
non già della mancata integrazione dell’elemento oggettivo), v.
anche Cass. pen. 23 novembre 2011, n. 46669, in Dir. pen. e proc., 2012,
730 ss., con nota di M. PILONI, Usura bancaria e commissione di massimo
scoperto: l’elemento oggettivo e soggettivo del reato, secondo la
quale « in forza delle circolari della banca d’Italia, dei decreti
ministeriali vigenti all’epoca del fatto e di una consolidata
giurisprudenza di merito previgente ai fatti di causa che non comprendevano la
commissione di massimo scoperto (cms) nella base di calcolo del tasso soglia
usurario, va riconosciuta la pretesa buona fede degli organi apicali delle
banche che abbiano calcolato l’interesse praticato all’operazione
finanziaria senza tenere conto della commissione di massimo scoperto ».
In tema, cfr. anche P. SERRAO D’AQUINO, Questioni attuali in materia di
anatocismo bancario, commissione di massimo scoperto ed usura, in Giur.
mer., 2011, 1172 ss.