Il diritto romano nel mondo
contemporaneo secondo Henryk Kupiszewski
JANUSZ
SONDEL
Università
Jagellonica
di Cracovia
[Relazione presentata, in lingua polacca, nel “Symposio internazionale Il mondo antico negli occhi di Henryk Kupiszewski. In occasione del 20. anniversario della Sua scomparsa”.
Aula del Senato
dell’Università di Varsavia – Palazzo Casimiro, 3 aprile
2014. La traduzione italiana
è stata curata dalla Prof. Joanna
Sondel-Cedarmas, Istituto di Studi Europei dell’Università
Jagellonica di Cracovia. N.d.r.]
Nell’accingermi ad illustrare
l’idea di Henryk Kupiszewski sul ruolo del diritto romano nel mondo
contemporaneo mi è difficile non narrare alcune esperienze e riflessioni
di natura del tutto personale. Ho avuto modo di conoscere personalmente
Kupiszewski nel 1958, all’epoca ero un giovane assistente
dell’Università Jagellonica alle prime armi, in circostanze assai
tristi ossia alle esequie del Suo Maestro Rafał Taubenschlag al Cimitero
Rakowicki di Cracovia. Il fatto che entrambi avessimo frequentato lo stesso
Liceo Casimiro il Grande di Bochnia ed avuto gli stessi professori, oltre ad
alcune particolarità delle nostre biografie, per esempio entrambi i nostri
padri durante la prima guerra mondiale avevano prestato servizio presso le
Legioni, ha favorito il nostro rapporto. Conservo ancora fra i ricordi
personali dell'epoca i suoi racconti su come avesse ingannato i funzionari
dell’Ufficio di Sicurezza che cercavano invano nella Casa dello Studente
di Bochnia un ritratto di Józef Piłsudski da lui nascosto oppure di
quando ha letto l’intera Lalka
[Bambola] di Bolesław Prus durante un suo viaggio, circa 20 kilometri a
piedi da Bochnia fino ad un traghetto sulla Vistola per raggiungere il suo
paese d’origine Książnice Wielkie, etc. Fin dall’epoca ho
avuto il modo di apprezzare la sua preparazione culturale e di comprendere il
suo ruolo nel mondo scientifico. Nel 1988 è stato pubblicato il suo
lavoro Prawo rzymskie a
współczesność [Diritto romano e il mondo contemporaneo]
in quella circostanza sono stata onorato del privilegio di poter scrivere una
recensione a sostegno della concessione di un riconoscimento al suo autore.
All’epoca lessi per la prima volta e non nascondo che trovai questa
pubblicazione dal significato scientifico straordinario e non ho ad oggi ancora
cambiato parere. Ritengo che questo studio nasca in contrapposizione ai
tentativi più volte intrapresi durante la Repubblica Popolare [PRL] di
escludere il diritto romano dai programmi di studio, il che – detto tra
parentesi - ha sortito un risultato del tutto inatteso per i suoi promotori
dato che tutto il mondo giuridico si è trovato unito nell'avversare la
trasformazione delle facoltà giuridiche universitarie in scuole
professionali. Nel contempo ha favorito la ripresa degli studi sui valori non
solo antichi ma anche contemporanei di questo diritto e di conseguenza ha
contribuito alla nascita di diverse pubblicazioni su questo argomento. Henryk
Kupiszewski si è spinto tuttavia oltre la problematica trattata da altri
autori, facendosi apprezzare non solo come uno studioso di erudizione fuori dal
comune ma anche da eminente umanista per il quale i valori etici del diritto
romano sono importanti tanto quanto le istituzioni create da questo sistema e
ripresi dalle future legislazioni dei paesi civili. Partendo dal presupposto
che il diritto romano, assieme alla filosofia greca e la religione cristiana,
costituisce uno dei tre pilastri della cultura antica, che ebbero un influenza
fondamentale sulla formazione del volto culturale e spirituale
dell’Europa. L’Autore ha riepilogato brevemente la sua storia fino
ai tempi moderni. Sostenendo la tesi sulla continuità della cultura e
civiltà romana dopo le invasioni germaniche, il Prof. Kupiszewski ha
sottolineato due fattori che hanno una particolare rilevanza per
l’attuale esistenza del diritto romano ossia il sistema scolastico ed il
notariato. Secondo lui in particolare questo secondo elemento merita di essere
menzionato, perché le formule dei documenti ricopiati nella prassi dai
notai, divennero di fatto una salvaguardia del diritto romano fino al Medioevo.
Questa osservazione è rilevante, tenendo conto che di solito questo
ruolo del notariato viene sottovalutato, sebbene numerose citazione ed
allocuzioni delle fonti del diritto romano ritrovati da Rafał Taubenschlag
nei documenti polacchi antichi lo portino alla conclusione che nella Polonia
del XII e XIII secolo si era svolto il processo di romanizzazione della vita
giuridica. Eppure questa riflessione ha avviato una accesa polemica da parte di
Stanisław Kutrzeba ed in particolare del suo allievo Adam Vetulani.
Quest’ultimo era dell’idea che queste formule non erano altro che
degli ornamenti eruditi, con i quali uno scriba dell’epoca voleva far
colpo sul lettore. Non credo che sia corretto in questa sede cercare di
risolvere questa diatriba, ma dobbiamo riconoscere che lo scriba
dell’epoca per poter citare il diritto romano, doveva necessariamente
conoscerlo. Riprendendo invece il filo del nostro discorso bisogna rilevare che
nello studio di Kupiszewski si trovano anche delle riflessioni assai
interessanti sulle massime, regole e definizioni del diritto romano, e l’Autore
vi ha introdotto un ordine terminologico per quanto riguarda l’uso di
questi concetti ed ha spiegato il loro significato al mondo contemporaneo. La
affissione di più di cento di queste formule sulle colonne della Corte
Suprema testimonia che aveva pienamente ragione.
Ovviamente le questioni finora menzionate non
esauriscono l’intera problematica trattata da Henryk Kupiszewski. Si
possono ancora citare le osservazioni sui successi dei glossatori e dei
post-glossatori, sul ruolo del diritto romano dopo l’entrata in vigore
del codice civile tedesco quando esso perse la sua applicazione nella prassi
diventando di fatto una disciplina storica, sul significato della sistematica
di Gaio, sul diritto romano quale sempre viva fonte d’ispirazione e su
tante altre questioni. Per dar giustizia della ricchezza del pensiero
dell’Autore si dovrebbe citare il suo lavoro per intero, perché
perfino le singole frasi contengono un grande carico di nozioni. Pertanto
non intendo cambiare la mia opinione di tanti anni fa che si tratti di un
opera, che presenta in un modo assai vasto, originale ed innovativo il ruolo
del diritto romano nella formazione della cultura giuridica contemporanea.
Anzi, dirò di più, con il passar del tempo ha rafforzato questa
mia opinione positiva.
Il lavoro di Henryk Kupiszewski è
dedicato a tre eminenti studiosi, considerati i suoi Maestri, ossia a
Wacław Osuchowski, al quale doveva il suo primo approccio con la storia e
con le istituzioni del diritto romano, oltre all’introduzione nel grande
mondo del pensiero giuridico, a Max Kaser, sotto la guida del quale ha
approfondito la scienza romanista e del quale dal maestro è diventato
amico personale ed infine a Rafał Taubenschlag, grazie al quale ha
conosciuto i misteri della papirologia giuridica. Secondo Henryk Kupiszewski
quest’ultima costituisce “una sottodisciplina storico-giuridica, a
cavallo tra il diritto greco, quello ellenistico e quello giuridico”,
mentre “è assai singolare che i papiri presentino il diritto non dal
punto di vista delle raccolte di norme stanziate dalle autorità,
né di quello delle elaborazioni scientifiche, bensì dal punto di
vista della sua applicazione da parte del uomo comune. Va rilevato che
l’incontrare questo uomo comune dell’epoca ellenista al lavoro,
nell’ufficio, sul mercato, dal notaio, in viaggio, nel tribunale durante
un processo perfino per futili richieste, a casa ed infine con la famiglia
è per uno storico del diritto un’esperienza particolare e molto
interessante”. Il Prof. Kupiszewski non ha mai nascosto l’importanza
degli studi papirologici, i quali, come ha sempre sostenuto, “avevano
allargato enormemente gli orizzonti della romanistica”. Vale la pena di
inchinarsi davanti a questa affermazione dell’eminente romanista e
papirologo, soprattutto in replica ad una dichiarazione infelice di un suo
allievo, il quale durante il Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza e
dell’Amministrazione dell’Università di Varsavia ha
dichiarato che la papirologia è una cosa non si sa bene cosa sia e che
quale settore disciplinare non ha carattere scientifico. Aggiungendo pure,
nell'occasione, alcune osservazioni rozze su due papirologi di rango mondiale,
facendo soprattutto riferimento alla loro età. Lo lascio senza un
commento! Tornando invece alle idee di Henryk Kupiszewski, vorrei rivolgere
attenzione sul suo particolare intuito scientifico. Il lavoro Prawo rzymskie a
współczesność è stato scritto nella fase del
disfacimento della Repubblica Popolare Polacca, quando nessuno era in grado di
prevedere non solo la III Repubblica Polacca, ma neppure quanto la
creatività dei nostri parlamentari avrebbe contribuito alla
sovrapproduzione di atti normativi. A questo fenomeno patologico, Henryk
Kupiszewski, prevedendo un’inflazione di norme giuridiche, ha
contrapposto i cittadini della Utopia
di Tommaso Moro (Morus), i quali avevano poche leggi e guardavano con
disappunto a quelli nazioni ricolme di testi legislativi e relativi commenti e
consideravano un male assoluto il fatto che la gente dovesse attenersi a tante
leggi, talmente astruse e complicate da non potersi leggere e comprendere.
Purtroppo sappiamo bene di essere testimoni e anche vittime di tale fenomeno,
del quale ci mettevano in guardia Moro prima ed in seguito Kupiszewski. Le sue
osservazioni si sono dimostrare alquanto attuali, come pure una serie di altri
riferimenti al mondo contemporaneo. In molti casi, del resto, analizzando
un’istituzione o un principio giuridico non mette il proverbiale punto
sulla “i”, ma suggerisce tacitamente ai lettori di riflettere su
cosa il diritto contemporaneo determina con questo argomento. Spesso coglie
l'occasione nel contesto di riflessioni generiche di aggiungere spiegazioni
assai approfondite, il che fa sì che tutto il suo lavoro abbia un valore
tanto importante per i romanisti professionisti. Mi permetto di aggiungere che
questi dovrebbe costituire per loro formazione una lettura obbligatoria. E
così, p.es.
esplicitando le diverse tipologie di letteratura giuridica nel corso dei
secoli, spiega in modo convincente i motivi che portarono Giustiniano a
promulgare il divieto di commentare le sue opere anche in futuro, il che
risulta singolare ai giuristi contemporanei. Nei manuali non si trovano
informazioni approfondite al riguardo, anche se diversi autori sono propensi ad
attribuire questo divieto alla convinzione dell’Imperatore della
perfezione della sua codificazione e del timore che un commento avrebbe potuto
ridimensionarne l'autorevolezza. Henryk Kupiszewski ha dimostrato che il motivo
della decisione di Giustiniano era invece legato alla volontà di evitare
divergenze interpretative, così tipiche dell’ Editto perpetuo (Edictum Salvianum), questo pone il
problema sotto una luce diversa. Il Prof. Kupiszewski dà un peso
particolare al ruolo d’ispirazione del diritto romano, considerandolo il
più significativo nel momento attuale. Difficile non essere
d’accordo con questa osservazione, tenendo conto che vi è
un’affermazione detta quasi per caso che cito “la compilazione giustinianea
è un arsenale assai ricco, da cui si può ricavare tutto di cui
attualmente abbiamo bisogno” trova sempre conferme nei lavori dei nostri
esperti del diritto civile. Basti rammentare che non molto tempo fa con piglio
trionfale, quasi fosse una innovazione del momento, è stata annunciata
l’introduzione nel nostro ordine giuridico del legatum per vindicationem che sappiamo benissimo
essere un’istituzione nota e usata nell’antica Roma molti secoli or
sono. Conosciamo diversi casi, che hanno visto la dottrina del diritto civile
contemporanea allontanarsi dalle regolamentazioni romane introducendo delle
innovative soluzioni dover poi tornare di nascosto, dopo un periodo di fascino
per le nuove norme, ai modelli classici del diritto romano. Potrei citare come
esempio la responsabilità del venditore per i difetti della merce nel
caso della vendita dei beni di consumo. Un eventuale reclamo dipende in questi
casi dalla capacità del compratore di poter dimostrare che la
merce non corrisponde al contratto, invece conformemente alle norme attualmente
in fase di elaborazione e destinate ad essere messe in vigore il 13 giugno 2014
dovrebbe verificarsi il ripristino delle norme della responsabilità per
vizi e difetti del diritto romano, ormai abbandonate. Si possono citare altri
esempi simili che testimoniano la fondatezza delle opinioni sul significato
attuale del diritto romano ed in particolare della Codificazione di
Giustiniano. Non intendo approfondire questo motivo, ma vorrei dedicare qualche
parola ad una caratteristica del diritto romano: la sua humanitas. Proprio la sua humanitas,
oltre a aequitas, fides, benevolentia, favor, benignitas e iustitia, costituì una base della natura etica del diritto
nell’antica Roma, ed a ciò, come ho già scritto, Henryk
Kupiszewski diede particolare importanza.
Ad occuparmi della humanitas sono stato spinto da un acquisto del tutto casuale al
mercato di un’opera di non grandi dimensioni e poco nota, intitolata Od filantropii do humanitaryzmu i humanizmu
[Dalla filantropia all’umanitarismo
ed all’umanesimo ] di Tadeusz Sinko, professore di filologia classica
dell’Università Jagellonica. E’ stata scritta nel 1939, ma
il suo autore non è riuscito a pubblicarla prima della seconda guerra
mondiale e così vede la luce solo nel 1960. Entrambi esperti conoscitori
dell’antichità, indipendentemente tra di loro e utilizzando fonti
diverse (Kupiszewski quelle filosofiche e giuridiche, Sinko quasi
esclusivamente filologiche) sono arrivati alle medesime conclusioni non solo
confermando reciprocamente il proprio pensiero, ma in un certo senso perfino
completandosi. Sinko inizia le sue riflessioni dall’affermazione, con la
fondatezza della quale è difficile polemizzare, che “malgrado
volessimo conservare la purezza linguistica in un modo più rigoroso, non
riusciamo a sostituire due parole polacche con equivalenti stranieri dello
stesso significato. Si tratta delle due parole (umanitarismo e umanesimo) che
hanno la stessa radice della parola latina homo
ossia “uomo”e entrambi descrivono una caratteristica
dell’uomo o della umanità”. E continua:
“l’umanitarismo è una trasformazione dell’humanitas tramite un aggettivo scomparso humanitarius (umano). Se auctoritas latina fu colonizzata in
autorità (prestigio), immunitas
in immunità, e paritas in
parità (bancaria), avremmo potuto da humanitas
creare “humanitet”, così come i tedeschi hanno Humanität. Abbiamo preferito
tuttavia umanità (humanitarność) e umanitarismo
(humanitaryzm). E’ la conoscenza dell’etimologia che ci consente di
definire semplicemente umano il modo di comportarsi con pietà con uomini
e animali, chiamato umanitario, mentre non ci permette di nominare le opere
umanitarie, cioè benefiche, come “umane”. In questo caso
viene adottato un aggettivo preso in prestito dal greco “filantropo”,
in quanto un uomo misericordioso e caritativo viene chiamato
“filantropo” come se fosse “un amante degli
uomini”… Di conseguenza Tadeusz Sinko arriva alla conclusione che
“l’umanismo è un valore intellettuale mente
l’umanitarismo e l’umanità (come pure la filantropia)
è un valore etico; l’umanesimo si riferisce al giudizio, mentre
l’umanitarismo al cuore. Il collegamento tra di loro è costituito
dal termine “umanità”. Esso nasce e si sviluppa quale
humanitas, diventando uno degli elementi della cultura europea.” Henryk
Kupiszewski non fa delle distinzioni semantiche altrettanto approfondite come
Sinko, ciò nonostante analizzando la definizione della humanitas la colloca quale idea che
mette al primo piano un ampia educazione spirituale e la preparazione accurata
alla vita civile. Nel contempo mette in rilievo il fatto che la humanitas vinse la severitas e atrocitas del
diritto ed influì sul miglioramento delle condizioni di vita degli
schiavi ai tempi dell’Impero e di conseguenza attribuì a questo
termine una definizione che fu nominata da Tadeusz Sinko
“umanitaria” (humanitaryzm). Entrambi gli autori attribuiscono la
formazione della humanitas romana ad
un influsso della filosofia greca, differenziandosi tuttavia nel giudizio su
Marco Porcio Catone, una figura del resto assai controversa, da alcuni
considerata un apologeta dell’antico primitivismo italico, da altri un
difensore delle antiche virtù cittadine. Per Sinko, Catone Censore era
un tipico cittadino romano di vecchio stampo, un misantropo che odiava filosofi
greci e disprezzava l’arte e la letteratura greca. Nella sua condanna di
Catone, Sinko cita un frammento della sua biografia di Plutarco, il quale
accusandolo di trattare schiavi anziani in un modo non umanitario scrisse:
“il trattare schiavi come bestie, cacciarli via da vecchi o venderli, lo
considero un segno di un cuore troppo duro dell’uomo che pensa che un
uomo non ha con un altro niente da spartire, oltre ai vantaggi. E noi invece
sappiamo che la benevolenza ha un raggio di azione più ampio rispetto
alla giustizia. Di norma noi utilizziamo il diritto e la giustizia solo nei
confronti degli uomini, ma la bontà e la benevolenza si riversano anche
sugli animali privi di ragione, come da una fonte ricca della nostra
umanità. All’uomo <umano> conviene dar da mangiare sia ai
cavalli usurati che ai cani giovani e vecchi, etc.”. Plutarco conclude le
sue riflessioni con un’affermazione assai significativa: “Le
creature vive non vanno usate come scarpe o attrezzi che si buttano via quando
sono usurate e vecchie; se non vi è un altro motivo per esercitarsi
nella “filantropia” bisogna abituarsi a essere indulgenti e miti
con gli altri.” Molto più favorevole a Catone è Henryk
Kupiszewski, il quale lo considera un padre del fondamentalismo politico e
morale, il quale si caratterizzava per la rigidità ed il sarcasmo,
tipici delle menti conservative. Pur riconoscendo che Catone era
contrario alle influenze del pensiero greco nell’antica Roma, lo loda per
il fatto di promulgare la virtù di tenacità, laboriosità,
moderatezza e disciplina e la volontà di crescere suo figlio
conformemente a questi ideali. Catone non solo si occupò personalmente
dell’educazione del figlio, ma perfino scrisse un manuale, la cui semplicità
e praticità fecero sì che questo venisse utilizzato da
almeno tre generazioni dei romani. Così Catone
nell’interpretazione di Henryk Kupiszewski diventa assai più
simpatico di quello proposto da Tadeusz Sinko. Sembra tuttavia che il mondo
contemporaneo, a cui frequentemente fa riferimento Henryk Kupiszewski, dia
ragione al secondo studioso. Ciò trova conferma tra l’altro con le
leggi sulla protezione degli animali che derivano direttamente dalla
filantropia greca e sono considerate una applicazione pratica dell’umanitarismo
che comprende anche il comportamento umano nei confronti degli animali e non
dalle suggestioni di Catone relative alla parsimonia.
D’altra parte è difficile non riconoscere che Tadeusz Sinko si sia
un po’ spinto oltre nella ricerca delle manifestazioni dell’umanitarismo
nell’antica Roma, riconoscendo per esempio nella concessione
dell’imperatore Caracalla, nel 212, della cittadinanza romana a tutti i
liberi cittadini dell’Impero (tranne peregrini
dediticii) compresa nella Constitutio Antoniniana, una conferma del suo
pensiero. Ora sappiamo che alla base della decisione di Caracalla ci furono non
tanto dei motivi umanitari, ma assai più pragmaticamente economici quali
l'estensione della fiscalità, visto che in questo modo egli
riuscì ad aumentare il numero dei contribuenti. Entrambi gli autori
citati rilevavano invece il valore dell’humanitas quale idea di
educazione, il quale nell’antica Roma comprendeva la conoscenza
filosofico-giuridica. Secondo il prof. Kupiszewski l’homo humanus romano non era addestrato per produrre,
bensì per agire, governare ed amministrare. Di conseguenza i romani
riuscirono nell’opera dove erano falliti tutti i loro predecessori ed
ossia ad organizzare e governare totus
orbis terrarum. Preparati dal punto di vista teorico e pratico alla vita politica
e sociale, regolata dal diritto, usando abilmente l’esperienza dei
precursori, conquistarono ed organizzarono l’intero mondo
dell’epoca… L’educazione secondo i principi dell’humanitas garantiva una
legittimazione nella vita sociale e politica, apriva la strada agli onori e
cariche, al denaro ed al potere.” D’altra parte
l’osservazione di Henryk Kupiszewski: “L’idea dell’humanitas basata sulle basi
filosofico-giuridiche fece sì che i postulati del diritto fossero
impregnati degli elementi etici. In modo più generico nacque così
una convergenza dei postulati etici e giuridici”. Questa affermazione di
Henryk Kupiszewski spiega molto. Tadeusz Sinko riprende invece la testimonianza
di Aulo Gellio delle Noctes Atticae, secondo il quale humanitas significa ciò che i
greci chiamano paidéia ossia
l’educazione mentre i romani “l’istruzione grazie alle arti
liberali”. Nel contempo Gellio rilevò che con questo significato
il termine era presente negli scritti di Varrone e Cicerone. Non entrando nel
merito di questo problema, il quale non rientra nell’argomento trattato,
va rilevato che le artes liberales
ossia gli studi degni dell’uomo libero costituirono per tutto il medioevo
il canone della conoscenza base, e mantennero il requisito di conoscenza
propedeutica che dava accesso agli studi superiori anche quando presso le
università dell’epoca furono costituite le cosiddette
facoltà superiori ed in particolare quelle di medicina, giurisprudenza e
teologia. Il primo livello, cosiddetto trivium,
ossia tres viae comprendeva grammatica con letteratura, dialettica con
filosofia e retorica, mentre il livello superiore cosiddetto quadrivium - aritmetica, musica,
geometria ed astronomia. Le prime erano chiamate anche artes sermocinales e contribuivano ad imparare la pronuncia, il che
era considerato fondamentale nella prassi giuridica e faceva sì che
nelle scuole inferiori, ossia quelle cattedrali ed alcune parrocchiali anche in
Polonia, p.es.
nella scola cattedrale di Sandomierz, ancora prima della fondazione
dell’Accademia di Cracovia, venisse insegnato anche il diritto canonico e
romano nell’ambito della retorica. Commentando questo programma
dell’istruzione dell’elite intellettuale dell’antica Roma e
delle società posteriori, Henryk Kupiszewski deplorava il fatto che
rispetto alla versione originale fossero cancellate matematica e fisica, il che
avrebbe avuto effetti negativi nel futuro, in quanto bloccò lo sviluppo
delle scienze naturali e tecniche. Bisogna convenire con questa osservazione,
come del resto con quasi tutte affermazioni di Henryk Kupiszewski. Nella mia
convinzione la sua opera Prawo rzymskie a
współczesność, nonostante le trasformazioni del
sistema politico e malgrado il passar del tempo dal momento della sua pubblicazione
non perde la sua attualità, e credo che non succederà
mai. Una grande erudizione dell’autore che oltrepassa
considerevolmente il settore professionale, oltre alla sua spiccata intuizione
che gli permetteva di prevedere le direzioni dello sviluppo di ciò che
chiamiamo “la cultura giuridica” fanno sì che l’opera
dello studioso varsaviense costituisce uno dei più validi contributi
scientifici. Bisogna solo rammaricarsi che finora non sia stata tradotta in una
lingua straniera.
Aggiungo una ultima osservazione per
concludere. Anticipando la domanda se vi sia spazio per la modernità e
dove nelle riflessioni sull’humanitas,
voglio dar risposta in un modo un po’ singolare utilizzando la citazione
dall’Autore di Menandro, che conclude il suo lavoro: “Non dimenticare
mai che sei un uomo” e soprattutto nel relativo commento di Henryk
Kupiszewski: “questo memento - ammonizione dobbiamo ascoltare oggi
più attentamente che mai”. Ed a questa affermazione non posso
aggiungere altro, al massimo solo di non dimenticare questo memento mai.