UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI DI CAGLIARI
DIPARTIMENTO
DI GIURISPRUDENZA / FACOLTÀ DI SCIENZE ECONOMICHE, GIURIDICHE E
POLITICHE
SOCIETÀ
ITALIANA DI STORIA DEL DIRITTO
CONVEGNO
DI STUDI
“IL
PROCESSO E LE SUE ALTERNATIVE: STORIA, TEORIA E PRASSI”
Cagliari
– Aula Magna Rettorato / Aula Magna Economia – 25-27 settembre 2014
Organizzato
dal Dipartimento di Giurisprudenza della Facoltà di Scienze Economiche,
Giuridiche e Politiche dell’Università degli Studi di Cagliari, in
collaborazione con la Società Italiana di Storia del Diritto e con l’Istituto di Scienze Umane di
Firenze, si è tenuto a Cagliari, dal 25 al 27 settembre 2014,
il Convegno di Studi “Il processo e
le sue alternative: storia, teoria, prassi”.
I lavori hanno avuto inizio,
nell’Aula Magna del Rettorato, con gli indirizzi di saluto delle
Autorità accademiche dell’Università di Cagliari: PAOLA PIRAS, Prorettore alla didattica,
in sostituzione del Magnifico Rettore GIOVANNI
MELIS, impossibilitato per altri impegni istituzionali; PIERANGELA FLORIS,
Coordinatore del Corso di Laurea in Giurisprudenza, che ha rappresentato anche
il Prof. Massimiliano Piras, Presidente della Facoltà di Scienze
Economiche, Giuridiche e Politiche; FABIO
BOTTA, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, il quale, con il Prof.
FRANCESCO CORDOPATRI, ha organizzato
l’importante iniziativa scientifica.
La prima sessione dei lavori,
presieduta da ALDO SCHIAVONE (Istituto italiano di Scienze
Umane, Firenze), si è aperta con la relazione di LUIGI FERRAJOLI (Università degli Studi Roma Tre), dal
titolo “La giurisdizione nello
Stato costituzionale di diritto e il suo futuro”: lo studioso ha
mostrato come la giurisdizione, da garanzia costituzionale nel modello
illuminista, nel tempo abbia ampliato notevolmente la sua funzione originaria,
soprattutto a causa della confusione normativa che caratterizza il nostro
Paese, con la conseguenza di alterare in tal modo la tradizionale divisione dei
poteri.
La prima giornata si è
chiusa con l’intervento di CARMINE
PUNZI (Università di Roma La Sapienza) su “Le nuove frontiere dell’arbitrato”,
in cui è stata posta in evidenza la varietà degli attuali
strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e della loro
regolamentazione, facendo, in particolar modo, riferimento alle pronunce della
Corte Costituzionale italiana che, a partire dal 2001, attestano una apertura
significativa nei confronti dell’arbitrato.
La seconda giornata ha avuto
inizio nell’Aula Magna di Economia, sotto la presidenza di VINCENZO PROTO, Presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, con la
relazione di GIOVANNI NICOSIA
(Università di Catania), intitolata “Ius dicere: dalle legis actiones alle riforme augustee”.
L’illustre relatore, dopo aver puntualmente analizzato i tria verba (do, dico e addico), attraverso i quali si esplicava
la giurisdizione, ha illustrato come, nell’evoluzione storica, essa sia
passata da una attività totalmente vincolata ad una funzione
discrezionale produttiva di effetti costitutivi e attributivi.
Di seguito c’è
stata la riflessione di MASSIMO BRUTTI
(Università di Roma La Sapienza) su “Giurisdizione e giuristi nel principato”, che ha evidenziato
come la coesistenza, possibile in virtù alla natura pattizia del
processo formulare, a partire dal Principato, tra questo e la cognitio extra ordinem abbia in
realtà permesso, grazie alla elaborazione giurisprudenziale, di superare
il carattere definitivo delle sentenze formulari, sia attraverso il nuovo
istituto dell’appellatio, sia
per mezzo dell’exceptio doli e della restitutio in integrum, cioè di istituti tipici del processo
formulare, utilizzati, però con un fine diverso da quello originario.
I lavori sono proseguiti con
la relazione di VALERIO MAROTTA
(Università di Pavia), dedicata a “Processo imperiale e formazione del consenso”.
L’indagine si è sviluppata su un una lunga serie di fonti che
attestano come il governatore provinciale, nell’esercitare la
giurisdizione, dovesse attenersi ad molteplicità di regole etiche che
trovavano la loro origine nella filosofia greca. L’elaborazione di tale
figura di governatore, moderato e controllato, ebbe un effetto sulla normazione
tardoantica, che aggiunse a tali regole, forme di consenso e di controllo
popolare.
La sessione si è
conclusa con VINCENZO ZENO ZENCOVICH
(Università di Roma Tre) che è intervenuto su “L’evoluzione del concetto di
giurisdizione nel diritto europeo”. Dopo aver illustrato quali sono,
alla luce del diritto comunitario, i soggetti che esercitano la giurisdizione,
il relatore ha dimostrato come, nella normazione comunitaria, il concetto
stesso di giurisdizione sia andato, nel corso del tempo, innovandosi. A causa
del condizionamento ad opera della realtà economica e sociale su cui la
giurisdizione produce i suoi effetti, si vedono in essa coinvolti soggetti che
non sono propriamente terzi rispetto alla controversia. Anche alla luce di
questo, quindi, la distinzione, un tempo netta, tra procedure giudiziali e non
giudiziali, sta andando verso l’affievolimento.
La sessione pomeridiana,
presieduta da UMBERTO APICE,
Sostituto Procuratore Generale della Suprema
Corte di Cassazione, è stata aperta dalla relazione di LETIZIA VACCA (Università di
Roma Tre), dal titolo “La rilevanza
delle res iudicatae nella formazione del diritto casistico”.
L’insigne studiosa, illustrando il metodo casistico utilizzato dai
giuristi repubblicani, a suo avviso ancora utile nell’attualità,
ha messo in evidenza come le sentenze del processo formulare fossero oggetto
dell’attività interpretativa dei giuristi, che, analizzando il
fatto in essa risolto, lo collegavano ad un nuovo accadimento simile. Nel
consolidare, poi, questa scelta, sarebbero intervenuti magistrati e giudici, in
un perfetto equilibrio di poteri che, a partire dal principato viene messo in
crisi dal fatto che i giuristi, grazie allo ius
respondendi ex auctoritate principis, ebbero una posizione più
importante rispetto alle altre figure parte del sistema casistico.
Di seguito,
l’intervento di FRANCESCO
CORDOPATRI (Università di Cagliari) su “La crisi del giudicato”, in cui si è evidenziato come,
seppure da un lato vi sia una tendenza a riconoscere la possibilità che
le sentenze della Corte di Giustizia europea possano intervenire sul giudicato
interno degli stati membri, mandando così in crisi il concetto stesso di
giudicato, in realtà non pare essere vero poiché, come confermato
dalla stessa Corte di Giustizia, sono gli stessi principi comunitari ad imporre
l’intangibilità del giudicato interno, con l’unica eccezione
data dalle sentenze pronunciate da giudici in difetto di giurisdizione, solo se
riguardanti il diritto comunitario.
La sessione è
proseguita con ANDREA PROTO PISANI
(Università di Firenze) che ha parlato di “Nuove misure alternative alla giurisdizione: una proposta”.
Lo studioso ha sostenuto che, per smaltire l’esorbitante numero di
processi civili pendenti nel nostro Paese ogni anno, si potrebbe operare la
stessa scelta fatta in materia processual-penalistica con la legge n. 689 del
1981, attraverso la depenalizzazione di molti illeciti penali. Nel caso del
processo civile, si potrebbe prevedere il tentativo di conciliazione come
obbligatorio, da svolgersi davanti ad un collegio composto da i due avvocati delle
parti e un soggetto terzo, che nell’ipotesi della mancata conciliazione,
potrebbe emettere una decisione provvisoria che diventerebbe definitiva, in
caso di mancata opposizione ad essa nelle forme del decreto ingiuntivo.
Il pomeriggio si è,
quindi, concluso, con la relazione di FABIO
BOTTA (Università di Cagliari), dal titolo “Sui limiti soggettivi del giudicato nel
processo romano”. L’indagine si è svolta sulle fonti
dedicate al giudicato nelle azioni popolari, soffermandosi, in modo
particolare, sul punto che tra soggetti contitolari dell’azione, chi era
ancora terzo, relativamente al rapporto deciso, si trovasse in subordinazione
rispetto a chi era già parte in causa. Questa situazione è stata,
tradizionalmente, ricondotta al concorso alternativo tra l’azione
esperita e l’azione in capo al terzo, a causa degli effetti preclusivi
della litis contestatio. In
realtà, come ha dimostrato lo studioso, la preclusione opponibile erga omnes scattava, invece, con il
pagamento della litis contestatio,
cioè con l’effettivo perseguimento dell’ultio publica.
L’ultima sessione del
Convegno si è aperta, sotto la presidenza di GIOVANNI LUCHETTI (Università di Bologna), con la
riflessione di GIOVANNI COSI
(Università di Siena) sul tema “Giudicare, transigere, mediare: una lettura filosofica”. Il
relatore ha mostrato che, nei metodi alternativi di risoluzione delle
controversie, il punto cruciale sta nell’ottenere l’ accordo tra i
litiganti, attraverso un metodo che è molto più simile al modello
negoziale che non al modello della sentenza (decisione eteronoma). Pertanto,
per incentivare la mediazione, da un lato, il metodo risolutivo dovrebbe
concentrarsi sul conflitto degli interessi delle parti e non sui diritti
formalmente riconosciuti, di cui i soggetti coinvolti sono titolari,
dall’altro, si dovrebbero trattare gli strumenti informali di risoluzione
non come “obbligatorietà sanzionate”, ma
“opportunità incentivate”, nel caso di una loro interazione
con i sistemi procedurali normali.
I lavori sono proseguiti con la relazione di JAVIER PARICIO (Universidad Complutense de Madrid) intitolata
“Arbitri e pretori fra repubblica e
principato”, in cui si è tentato di delineare la funzione
dell’arbitro, in tarda età repubblicana e nel principato, cercando
di cogliere le reali differenze tra questa figura e quella dei magistrati
giusdicenti. Le fonti testimoniano che nella causa davanti agli arbitri la pena
doveva essere equivalente o maggiore rispetto al valore della causa
controversa, che gli arbitri, a differenza dei pretori, ricevevano un compenso
da entrambe le parti e infine che nell’ambito del giuramento rem sibi
non liquere, la sanzione prevista
per l’arbitro era, probabilmente, solo una multa amministrativa.
Il successivo intervento è stato quello di SALVATORE PULIATTI (Università
di Parma), dal titolo “La
giurisdizione episcopale”, che nel descrivere la disciplina della episcopalis audientia introdotta intorno
alla metà del IV secolo, ha illustrato come da un iniziale giudizio ad
iniziativa unilaterale, con un atto conclusivo inappellabile, divenne, nel V
secolo, con la sostituzione dell’iniziativa unilaterale con il requisito
del consenso di entrambe le parti, un’attività per molti aspetti,
assimilabile a quella degli arbitri privati, pur mantenendo, rispetto alla
procedura arbitrale, alcune delle caratteristiche originarie. Difatti, non era
in essa previsto un compromesso formale tra le parti e le sentenze del vescovo
erano immediatamente esecutive e inappellabili.
Il convegno si è
concluso con la relazione di FRANCESCO
SITZIA (Università di Cagliari) su “L’arbitrato nel diritto delle Novellae”, che mette a
confronto la legislazione giustinianea degli anni 529 e 530 d.C., relativa
all’obbligatorietà per le parti di attenersi alle decisioni
contenute nelle sentenze emesse da arbitri da esse scelti e verso cui si erano
vincolate per mezzo di un iusiurandum
e la legislazione successiva dello stesso Giustiniano del 539 d.C., che
abrogò la precedente normazione in materia. Tale controriforma fu,
probabilmente, resa necessaria da una prassi in ci si ritrovava spesso di
fronte all’inconveniente dato dal fatto che un lodo poteva essere emanato
da arbitri molto impreparati, ma investiti di ampi poteri grazie al giuramento.
Questo portò, ad avviso del relatore, non tanto ad un ripensamento
organico dell’intera disciplina, ma ad un ritorno al carattere non
vincolante del lodo, senza però negarne la natura decisoria.
Università di Sassari