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SINERGIE FRA IMPERO E CHIESA NELLA LOTTA CONTRO LE ERESIE PELAGIANA E NESTORIANA

 

 

Cristiana M.A. Rinolfi

Università di Sassari

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Sommario: 1. La lotta sinergica di Chiesa e Impero contro l’eresie: due esempi del V secolo. – 2. La condanna ecclesiastica: brevi cenni. – 2.1. Il pelagianesimo. – 2.2. Il nestorianesimo. – 3. L’editto del 418 di Fl. Iunius Palladius: Monaxius e Agricola. – 4. Appendice i: i successivi interventi normativi in materia di pelagianesimo. – 5. L’editto del 435 di Fl. Anthemius Isidorus: Fl. Bassus e Fl. Simplicius. – 6. Appendice ii: la normativa successiva contro il nestorianesimo. – 7. Epilogo. – Abstract.

 

 

1. – La lotta sinergica di Chiesa e Impero contro l’eresie: due esempi del V secolo

 

La repressione normativa del pelagianesimo e del nestorianesimo rappresenta per il tardo antico un esempio significativo degli stretti rapporti tra le autorità secolari e quelle ecclesiastiche in ambedue le partes imperii.

Per entrambe le dottrine, le cui vicende si intrecciarono negli accadimenti storici, vi fu una costante e articolata repressione secolare proveniente non soltanto dalle cancellerie imperiali, dato che alcune norme furono emanate anche nelle “regioni” di riferimento dai vari funzionari.

Questo contributo rappresenta il sunto e il corollario di alcuni degli studi sugli editti prefettizi in materia religiosa da me compiuti per l’opera collettanea, pubblicata nel 2013, frutto della ricerca PRIN 2008 «Normativa primaria e normativa secondaria su amministrazione e giustizia nell’Oriente romano dei secoli IV-VI»[1]. Innanzitutto, qui procederò a un rapido accenno alle vicende ecclesiastiche, relative al pelagianesimo e al nestorianesimo, funzionale per la comprensione del discorso. In seguito esporrò brevemente le prime costituzioni imperiali conosciute, tramandate da fonti ecclesiastiche, dirette rispettivamente contro il pelagianesimo e al nestorianesimo, pubblicate in due specifici editti prefettizi da me già analizzati, e aggiungerò al contempo alcune notizie relative ai praefecti praetorio citati nel collegio prefettizio, i quali, tuttavia, non furono gli autori materiali della normativa secondaria. Farà seguito in appendice la descrizione della normativa, primaria e secondaria, in materia.

 

 

2. – La condanna ecclesiastica: brevi cenni

 

2.1. – Il pelagianesimo

 

La prima dottrina, il cui nome deriva da Pelagius (354 ca.–427 ca.)[2], monaco[3] di origine britannica[4], si affermò specialmente in Occidente[5] all’inizio del V secolo[6]. Il pelagianesimo, fra i suoi vari corollari, essenzialmente confutava l’occorrenza della grazia divina per l’individuo ed esaltava il libero arbitrio. In Occidente, il pelagianesimo fu avversato fortemente da figure di spicco della Chiesa cattolica[7], tra cui in particolare Agostino d’Ippona[8], il quale fu uno dei più accaniti e inflessibili oppositori[9]. Pelagius inizialmente riscosse notevole fortuna a Roma, tanto che il suo nome era accompagnato da grandi elogi[10], rivoltigli anche dallo stesso Agostino[11]. Dopo la discesa in Italia di Alarico, Pelagio e il suo discepolo Celestio si spostarono in Africa[12], dove ebbero molti seguaci[13]: pertanto qui si tennero alcuni dei concili episcopali riuniti per decidere sulla eterodossia della dottrina pelagiana.

Il primo sinodo cartaginese contra Pelagianos[14], si tenne sotto il pontificato di Innocenzo, nel 411 [15], e si concluse con la dichiarazione dell’ortodossia di Pelagio, e la condanna di Celestio[16], il quale, dopo aver provato inutilmente a far accogliere il suo ricorso a Roma, riparò a Efeso, luogo in cui venne elevato al sacerdozio[17]. Lo stesso Pelagio si recò in Oriente nel 411 dove ricevette ospitalità da Giovanni, vescovo di Gerusalemme. In questa città, quattro anni dopo, nel luglio del 415, si svolse un conventus, celebrato dal vescovo Giovanni, in cui il presbitero spagnolo Paolo Orosio, inviato dallo stesso Agostino, mosse le accuse verso Pelagio[18]. La conferenza si concluse positivamente per Pelagio, ed espresse forti critiche verso lo stesso Orosio[19]. Nel medesimo anno si convocò un concilio locale, a Diospolis in Palestina[20], dove si affermò nuovamente l’ortodossia di Pelagio, mentre si condannavano le posizioni di Celestio[21].

La condanna ecclesiastica di Pelagio, e del suo discepolo, fu sancita nel 416 da due sinodi africani, il Carthaginense contra Pelagianos ii[22] e il Concilium Milevitanum[23], presieduti entrambi dal vescovo Aurelio. I vescovi riuniti nei concili di Cartagine e di Milevi chiesero al pontefice, attraverso alcune lettere, di confermare con la propria autorità la condanna[24]. Innocenzo accolse la sollecitazione proveniente dai due sinodi e avvalorò la condanna delle posizioni di Pelagio e Celestio con due epistole di risposta, datate entrambe il 27 gennaio del 417 [25]. Con la condanna di Pelagio si ritenne che la disputa dottrinaria fosse stata appianata, tanto da far dire ad Agostino, rivolto ai fedeli il 23 settembre del 417, causa finita est[26]; in realtà, con l’insediamento al soglio pontificio di Zosimo, i vescovi occidentali dovettero esprimersi ulteriormente intorno alla dottrina pelagiana. Celestio, infatti, dopo essere stato allontanato da Costantinopoli dal vescovo Attico nel 416, si era trasferito l’anno dopo a Roma, per perorare la sua causa presso il pontefice, e ottenere la revisione della sua condanna[27]. Zosimo, nell’estate del 417, riunì il clero romano presso la basilica di S. Clemente al Laterano. Il procedimento si concluse con la professione di fede di Celestio, perciò il pontefice invitò i vescovi riuniti in Africa ad aprire nuovamente il dibattito e stabilì il termine di due mesi per presentare a Roma le accuse contro Celestio, in modo da pronunciarsi in merito avendo sentito entrambe le parti[28]. Nei giorni successivi a Zosimo fu recapitata la documentazione[29] che Pelagio aveva inoltrato a Innocenzo[30], prima che la notizia della sua morte raggiungesse la Palestina: una lettera[31], il libellum fidei[32] e il libro de libero arbitrio[33]. Il pontefice, così, convocò ancora il clero romano che affermò l’ortodossia di Pelagio; pertanto il 21 settembre del 417 Zosimo, discolpando Pelagio, scrisse nuovamente ad Aurelio e ai vescovi in Africa, allegando la documentazione in materia (come le professioni di fede di Pelagio e Celestio, e la lettera di raccomandazione del vescovo di Gerusalemme)[34]. Il ricevimento della lettera del pontefice favorevole alla dottrina pelagiana comportò che a novembre dello stesso anno si riunisse il concilio Carthaginense contra Pelagianos che condannò Pelagio e Celestio[35]. Nel 418 Zosimo, con un decreto (detto epistola tractoria)[36] inviato a tutti i vescovi dell’Impero[37], censurò il pelagianesimo e confermò la risoluzione del concilio di Cartagine[38]; non si conosce la data precisa di questo atto pontificale, e se quindi esso sia precedente o successivo alla sanzione imperiale del 30 aprile del 418, di cui dirò a breve. Sempre a Cartagine, il 1° maggio del 418, si adunò un ampio sinodo[39], che confermò la condanna dei pelagiani[40].

Non tutti i vescovi aderirono alla condanna ecclesiastica, in modo particolare Giuliano, vescovo di Eclane[41], il quale rimase fermo nelle sue posizioni, fatto questo che comportò ulteriori dissidi. In Oriente, il pelagianesimo fu condannato anche nel terzo concilio generale tenutosi a Efeso nel 431, diretto principalmente alla censura del nestorianesimo. In Occidente, dove alcune idee della dottrina pelagiana si stavano diffondendo nel nuovo fenomeno del semipelagianesimo[42], lo scontro non si chiuse ancora per lungo tempo.

 

2.2. – Il nestorianesimo

 

Il nestorianesimo, diffuso in Oriente, deve il suo nome a Nestorio, monaco di origine siriana (381 ca.-451 ca.)[43], scelto da Teodosio ii come patriarca di Costantinopoli, consacrato nell’aprile del 428, particolarmente interessato alle dottrine cristologiche. Durante il suo patriarcato Nestorio perseguì con forza una dura lotta contro numerose eresie, tanto da meritare l’appellativo di “incendiario”; eppure il patriarca si dimostrò tollerante nei confronti della dottrina di Pelagio, offrendo ospitalità ad alcuni pelagiani, tra cui Celestio e Giuliano d’Eclano, giunti a Costantinopoli nel 429 [44]. I pelagiani avevano esposto sia a Teodosio, sia al patriarca, le loro lamentele per le persecuzioni patite, insieme alla richiesta di un concilio per riaprire la questione. Nestorio, probabilmente fingendo di essere all’oscuro della materia, scrisse per due volte al papa Celestino per avere informazioni in merito[45]. In realtà, prima ancora di ricevere una risposta dalla sede pontificia, il patriarca ammise alla comunione i pelagiani; tuttavia, Mario Mercatore, benché fosse un laico, presentò nel 429 alla Chiesa di Costantinopoli, ad altri ecclesiastici, e a Teodosio un’opera dal titolo Commonitorium adversus haeresim Pelagii et Caelestii vel etiam scripta Iuliani[46], in merito all’intera questione, facendo in modo così che i pelagiani fossero scacciati da Costantinopoli. Il pontefice rispose severamente l’11 agosto del 430, quando aveva già riunito un concilio all’inizio di agosto contro lo stesso Nestorio, la cui dottrina aveva sollevato accesi scontri. Celestino, infatti, era stato informato intorno alle riflessioni teologiche nestoriane dal maggiore oppositore del patriarca, Cirillo, vescovo di Alessandria, sede episcopale in aperta rivalità con la scuola teologica di Antiochia dove il patriarca di Costantinopoli si era formato[47]. La dottrina nestoriana affermava l’indissolubile congiunzione in Cristo di due nature, divina e umana, e da ciò conseguiva il disconoscimento di Maria come qeotovvko". Il sinodo romano condannò Nestorio e assegnò al vescovo di Alessandria l’incarico di informare di tale decisione il patriarca. Cirillo allegò alla comunicazione un elenco di 12 anatemi che Nestorio avrebbe dovuto sottoscrivere al fine di sottrarsi alla condanna. Il rifiuto del patriarca condusse alla convocazione del Concilio Ephesinum Generale iii nel 431, segnato da accesi scontri, che portò alla deposizione di Nestorio, oltre che, come ho già detto, alla condanna degli errori pelagiani. Nestorio, in seguito alla sanzione ecclesiastica, fu fatto ritirare nel monastero di S. Euprepio in cui era divenuto monaco, per poi essere esiliato a Petra.

I conflitti dottrinari nelle chiese orientali, nonostante l’esito del concilio efesino, proseguirono, tanto da richiedere sia differenti interventi imperiali a partire dall’agosto del 435, sia ulteriori sinodi ecclesiastici.

 

 

3. – L’editto del 418 di Fl. Iunius Palladius: Monaxius e Agricola

 

Agostino d’Ippona ricorda come contro il pelagianesimo si posero tanto i concili episcopali e il pontefice, quanto l’autorità civile[48]. Il 30 aprile del 418 [49], dopo i travagliati accadimenti in seno alla Chiesa, fu promulgata a Ravenna da Onorio e Teodosio ii, una costituzione, indirizzata al prefetto del pretorio dell’Italia[50] Fl. Iunius Quartus Palladius[51], che condannava gli errori della dottrina pelagiana[52]. La norma si apre con l’affermazione, espressa in forma assai retorica, che gli Imperatori erano venuti a conoscenza della diffusione di una nuova idea che alterava, attraverso dolosi artifici, la semplicità della fede cattolica. Nella costituzione si contrappone tale semplicità alla volontà di distinguersi rispetto alla massa nel modo di intendere alcuni aspetti religiosi[53]: in un certo senso il comune sentire appariva degno di tutela imperiale. A questo iniziale attacco alquanto generico, poiché privo di specifica indicazione del nome della dottrina e delle sue posizioni, segue il richiamo a Pelagio e Celestio, qui definiti cuius impiae commentationis auctores, con una ridondante descrizione di alcuni dei principali errori pelagiani: l’idea per cui l’uomo è stato creato assoggettato alla morte, e il rifiuto del dogma della trasmissione agli uomini del peccato originale (anche se nel testo della costituzione non si nomina mai Adamo). A tal fine gli Imperatori affermano come invece sia evidente, richiamando i precetti religiosi definiti come lex catholica, che illum interitus omnium fuisse vestibulum, quem divinae praeceptionis sedulum liquet corrupisse mandatum. Bisogna, inoltre, evidenziare come nel dettato imperiale non si rinvenga il termine eresia, mentre si utilizzano colorite locuzioni come pestiferum virus, oppure fallacis scientiae obumbratam mendaciis, con un preciso richiamo metaforico dell’adombramento della fede cattolica, sempre brillante di luce pura. A Roma (intra sacratissimam urbem nostram) e in altri luoghi si propagava il pestiferum virus che comportava discussioni all’interno della Chiesa, e per questo gli Augusti, inoltre, chiedevano a Palladio, oltre alla pubblicazione della costituzione, anche l’espulsione dall’urbe di Pelagio e del suo allievo Celestio, i primi capi della esecrabile setta (Ob quam rem illustris auctoritas tua, victura in omne aevum lege nos statuisse cognoscat, ut pulsis ex urbe primitus capitibus dogmatis exsecrandi Caelestio atque Pelagio ...)[54]. La norma sanciva inoltre particolari misure per evitare la propagazione dell’eresia: chiunque era tenuto a condurre davanti al giudice competente (ad competentem iudicem pertrahantur) i settari di questo sacrilegio (sacrilegii sectatores) scoperti in qualsiasi luogo, o che tenessero discorsi pubblici relativamente agli errori condannati; è assente, tuttavia, la previsione di una sanzione per eventuali connivenze. A chiunque, chierici e laici, si attribuisce la potestas di deferire e di perseguire, senza alcuna prescrizione, coloro che attaccano la disciplina apostolica e la dottrina evangelica attraverso discorsi tortuosi (ambagibus disserendo). La costituzione ribadisce poi quanto detto, e dispone che gli infando scelere conferentes siano dedotti ad audientiam publicam e ab omnibus accusari. La sanzione prevista, nel caso di condanna, era l’esilio e la deportatio[55]. A conclusione del testo si reitera l’ordine di pubblicazione della norma in tutto l’Impero, per impedire che alcuno fomenti l’errore, e continui a seguire la dottrina pelagiana, dissimulando d’ignorare quanto è stato disposto vigore publico[56].

Alcuni studiosi attribuiscono la costituzione soltanto a Onorio, asserendone l’origine squisitamente occidentale[57]. Vi sono, infatti, in tal senso alcuni indizi, seppur non determinanti, come la citazione del solo Honorius quale autore della norma fatta da fonti patristiche[58], l’assenza di tutta la normativa primaria e secondaria di condanna del pelagianesimo nella codificazione teodosiana e in quella giustinianea, e la notizia che l’anno dopo la pubblicazione della costituzione in esame Onorio e Teodosio si rivolsero ai vescovi dell’Africa per la repressione della dottrina pelagiana e non al pontefice, Bonifacio, il quale sarebbe intervenuto in tutto l’Impero e non soltanto in Occidente.

Nel 418, sempre a Ravenna, il prefetto del pretorio Palladius emanò un editto al fine di pubblicare la costituzione imperiale e a dare effetto alla parte dispositiva della normativa primaria[59]. La costituzione imperiale è definita sententia principalis dall’atto prefettizio, rivelando in tal modo la natura della norma come decretum, o, in subordine, come rescriptum[60]. L’edictum segue la costituzione imperiale a grandi linee svelando una qualche autonomia nella normativa secondaria, arrivando persino a integrare il dettato imperiale, con la previsione, accanto all’esilio, della confisca dei beni. La chiusa dell’editto appare quasi una massima: “Infatti, la suprema maestà, come aumenta di rispetto per l’ignoranza dei segreti, così viene offesa dalle dispute inopportune” (Nam superna maiestas ut colligit ex secreti ignoratione reverentiam, ita ex ineptae disputationis praesumptione iniuriam). Il prefetto, quindi, in questo caso mostra una riflessione e un stile personale, dove sembra allinearsi alla prospettiva imperiale per cui è meglio aderire al sentire della moltitudine.

La titolatura dell’editto è la seguente: Exemplar Edicti Iunii Quarti Palladii. Iunius Quartus Palladius, Monaxius, et Agricola iterum, Praefecti Praetorio, edixerunt. Come ho già detto, il prefetto emanante fu Palladio, eppure qui si fa riferimento, seppure solo formalmente, ad altri due prefetti: Monaxius e Agricola.

Flavio Monassio[61] fu praefectus urbi di Costantinopoli nel biennio 408-409: le norme conosciute relative a questo periodo partono dalla data del 17 gennaio del 408 (C.Th. 6.30.19, anche se qui il personaggio è designato come p.p.) al 26 aprile del 409 (C.Th. 14.16.1, concernente una violenta sollevazione popolare per la penuria di pane, a causa di un ritardo nella spedizione del grano da Alessandria)[62]. Monassio rivestì la carica di prefetto del pretorio Orientis, attestata dal 10 maggio del 414 (C.Th. 6.2.23, sebbene Monassio sia indicato come p.u.) al 30 novembre dello stesso anno (C.Th. 13.3.16 = C. 10.53(52).11). Egli ricoprì nuovamente la stessa prefettura, in un periodo documentato tra il 26 agosto del 416 (C.Th. 12.1.182)[63] e il maggio del 420 (C. 8.10.10)[64]. La seconda prefettura di Monassio è ricordata in un’epigrafe, trovata a Eraclea in Tracia, da lui dedicata a Teodosio ii nel 418: (A)el(ius?) Monaxius vir inl(ustris) prae<fe>(ectus) praet(orio) II dedicavi(t) (CIL 3.14207 5). Monaxius, nello stesso periodo in cui gerì la seconda prefettura del pretorio, divenne console nel 419 insieme a Fl. Plinta[65]. Il suo successore alla prefettura orientale fu Flavio Eustazio[66], attestato con certezza come p.p. il 18 settembre del 420 (C.Th. 7.16.3 = C. 12.44(45).1).

Callinico monaco del monastero di Rufiniane in Bitinia, nel de vita S. Hypatii 21, racconta l’episodio della fuga di quattro servi, appartenenti a Monassio, accolti da Ipazio e consacrati monaci; dopo la sua iniziale opposizione, Monaxius cambiò idea in seguito a un incontro con lo stesso Ipazio[67]. Callinicus qualifica Monassio come ex console (21.1), e inoltre, nel ricordare la cultura del personaggio, sostiene che egli aveva retto per tre volte la prefettura (21.11)[68].

Il praefectus Agricola, il cui prenome potrebbe essere stato Iulius, nacque forse a Narbona, nelle Gallie, nel 365 ca.[69]. L’editto del 418 testimonia che Agricola fu due volte p.p. Galliarum, tuttavia non si hanno notizie circa la datazione della sua prima prefettura né intorno a quando egli iniziò a gerire la seconda; si sa solo che agli inizi del 418 si registra un certo Iulius, da identificarsi facilmente con lo stesso Agricola[70].

La norma di Onorio e Teodosio a lui inviata per la costituzione ad Arles del concilium delle septem provinciae testimonia che dal 17 aprile, data della costituzione, al 23 maggio del 418, data di ricevimento, Agricola resse la carica prefettizia nella città di Arelate[71]. Il suo successore alla seconda prefettura fu Exuperantius[72], la cui magistratura viene attestata nel 424, senza menzione del mese. Nel 421 Agricola resse il consolato insieme ad Eustathius[73] come dimostrano numerose costituzioni imperiali[74].

 

 

4. – Appendice I: i successivi interventi normativi in materia di pelagianesimo

 

In Occidente, come ho già ricordato, la dottrina pelagiana continuò a sussistere portando all’emanazione di ulteriori sanzioni imperiali.

Nel giugno del 419 (sotto il consolato di Monassio e di Plinta)[75] venne inviata da Ravenna un’epistola ad Aurelio, vescovo di Cartagine, i cui mittenti erano, almeno formalmente, entrambi gli imperatori, Onorio e Teodosio ii, con cui si procedeva a reiterare la condanna della dottrina pelagiana. Si tratta di una importante testimonianza degli stretti rapporti tra gli imperatori e le autorità ecclesiastiche[76]. La lettera riporta come destinatario Aurelio di Cartagine, primate della Chiesa africana, il quale, come si è visto, presiedette i concili cartaginesi contro il pelagianesimo; si apprende inoltre dalla stessa missiva che essa fu inviata ad Agostino, probabilmente visto il suo coinvolgimento nella lotta alla eresia pelagiana, tanto che nel suo epistolario viene conservata questa redazione[77]. L’invio a due esponenti della Chiesa africana conferma l’intuizione di un canale privilegiato con i vescovi per dirimere la controversia pelagiana, intendendoli come effettivi artefici nella lotta contro l’eresia. La lettera viene menzionata anche da un autore orientale, del IX sec., Pothius, il quale ricorda come destinatario il solo Aurelio e come mittente entrambi gli Imperatori[78].

La lettera inizia ricordando che già da tempo si era stabilito che Pelagio e Celestio fossero banditi da Roma, città che rispetto alla normativa precedente qui viene espressamente ricordata. Si ribadisce la necessità di impedire che questi nefandi dogmatis repertores potessero corrompere le menti degli ignoranti.

La norma imperiale ricorda che nella costituzione antecedente si era seguito il giudizio pronunciato dalla santità di Aurelio, da cui risultava una giusta condanna universale di Pelagio e Celestio: da ciò emerge la conferma che con la costituzione dell’aprile del 418 il potere secolare abbracciò i precetti stabiliti dal concilio africano.

Gli Augusti, oltre ad affermare di essere stati obbligati dalla criminale pertinacia a rinnovare la costituzione (constitutio geminaretur), sostengono di aver decretato recentemente (recenti quoque sanctione decrevimus) che colui che fosse venuto a conoscenza del luogo dove latitassero in quacunque provinciarum parte Pelagio e Celestio fosse sottoposto alla medesima pena, in qualità di complice, qualora indugiasse aut propellere, aut prodere (a bandire, o a deferire). Non si ha notizia di questa costituzione, che per alcuni autori dovrebbe coincidere con la costituzione del 418 [79]. Tuttavia, la sanzione richiamata per i conniventi non risulta presente nella norma del 418 né nella epistola, anche se alla fine della lettera si legge una affermazione simile, ma non perfettamente coincidente, e cioè che coloro che dissimulano la connivenza, o non condannano l’errore, prestando a questo un aiuto nocivo, si intendevano macchiati della medesima colpa (Una enim eademque est culpa eorum, qui aut dissimulando conniventiam, aut non damnando favorem noxium praestiterint). Appare chiaro che questa disposizione amplia la previsione della normativa precedente; il dubbio se vi fosse una costituzione intermedia tra quella del 418 e questa epistola rimane, e se si vuole interpretare la frase Religio itaque tua competentibus scriptis universos faciat admoneri, scituros definitione testimonii tui, hanc sibi definitionem esse praescriptam, presente nella lettera del 419, come una formula di pubblicazione, si potrebbe anche pensare che la recens sanctio sarebbe stata acclusa alla lettera stessa, come una epistola dello stesso Aurelio, di cui dirò tra breve, farebbe ipotizzare.

Gli Augusti, quindi, si rivolgevano al vescovo con degli aggettivi con cui erano soliti rivolgersi alle personalità pubbliche (pater carissime atque amantissime), facendo appello alla auctoritas[80] derivante dalla santità (sanctitatis tuae auctoritatem) di Aurelio (e di Agostino), per correggere la pertinacia di alcuni vescovi i quali, invece di censurarle pubblicamente, accreditavano tacito consensu le pravas ... disputationes dei pelagiani. Anche in questo caso la normativa imperiale sembra incentrata sulla repressione di pubblici discorsi eretici, piuttosto che sulla condanna delle opere scritte.

Si chiede ad Aurelio pertanto di notificare a tutti, attraverso appositi scritti (competentibus scriptis), la sanzione per il vescovo che non sottoscrivesse, con empia ostinazione, la condanna degli eretici: destituzione dall’episcopato, scomunica ed espulsione dalla propria civitas in perpetuo. In questo caso emerge un forte parallelo tra la figura del vescovo e quella di un pubblico funzionario, quando attraverso un proprio atto faceva conoscere il dettato imperiale[81].

Gli Augusti poi ribadiscono la propria conformità al Concilio di Nicea, collegando la loro venerazione per la divinità all’imperium (conditorem rerum omnium Deum imperiique nostri veneremur auctorem), e aggiungono che la santità di Aurelio (e di Agostino) non tollererà che gli affiliati a questa detestabile setta, già condannata dalla publica auctoritas, potessero escogitare nuove e inusitate teorie a danno della religione.

Si ha notizia, oltre a ciò, di una lettera di Aurelio, datata 1° agosto del 419, inviata ai presuli provinciae Byzacenae et Arzugitanae in ottemperanza alla epistola imperiale[82]. Aurelio inizialmente fa riferimento alla condanna della dottrina di Celestio e di Pelagio da parte del concilio plenario del 418, a cui gli stessi destinatari della lettera avevano partecipato. Questo richiamo introduttivo a quanto deciso dal sinodo ha lo scopo di affermare quali fossero i concetti fondamentali relativi alla controversia pelagiana. Così, Aurelio richiama la costituzione dei principi (da notare l’uso del plurale), i quali, custodi della fede cattolica, lo hanno incaricato di far conoscere (intimare) le loro disposizioni a tutti i vescovi. Per evitare che si potesse cadere negli errori di questa eresia, Aurelio ritiene che i suoi coepiscopi dovessero conoscere la costituzione imperiale definita tam necessaria, della quale egli aveva affermato poco prima di averne allegato copia (missis exemplaribus), tuttavia senza alcuna citazione testuale. Questo fa sorgere la questione se la norma imperiale coincidesse o meno con l’epistola inviata dagli Augusti ad Aurelio e ad Agostino, insieme alle lettere imperiali allegate alla missiva. Attraverso la lettura degli esemplari inviati da Aurelio i vescovi che non l’avevano ancora fatto, o che non avevano potuto assistere al concilio plenario africano, avrebbero appreso come sottoscrivere gli atti sinodali. Il fine è quello che, una volta avute tutte le sottoscrizioni alla condanna del pelagianesimo, non si potesse ricorrere alla simulazione, o dar prova di negligenza, o sperare nell’occultamento della malvagità.

Un’ulteriore norma da ricordare in materia è l’epistola di Costanzo iii avversa al pelagianesimo[83], inviata al praefectus urbi Volusiano[84]. Come ha evidenziato Sargenti, la costituzione presenta alcune singolarità, come la presenza nella inscriptio del solo nome di Constantius, con la titolatura di Imperator, mentre la subscriptio è priva di data[85]. La costituzione si deve collocare probabilmente nel periodo dell’impero di Costanzo tra l’8 febbraio e il 2 settembre del 421, giorno della sua morte[86].

Costanzo ordina a Volusiano di far ricercare ed espellere gli eretici dall’urbe, specificando il limite, 100 miglia, al di fuori del quale essi potevano insediarsi. L’Imperatore ingiunge, inoltre, di cacciare Celestio da Roma[87], poiché l’esilio avrebbe ristabilito una solida pace. Costanzo specifica che qualora avesse avuto conoscenza della mancata ottemperanza ai suoi ordini da parte del prefetto, questo sarebbe stato condannato a morte: si tratta di un avvertimento perentorio.

Volusiano eseguì le disposizioni imperiali e procedette all’emanazione di un editto di cui è pervenuto il testo[88]. Nella norma prefettizia si apprende dell’avvenuta espulsione da Roma del solo Celestio, in quanto Pelagio all’epoca si trovava a Gerusalemme.

La dottrina pelagiana è menzionata anche nel dettato di C.Sirm. 6 [89], costituzione pubblicata ad Aquileia nel 425 e indirizzata ad Amatius[90], prefetto del pretorio delle Gallie. La costituzione reintroduceva la normativa precedente in materia di privilegi della Chiesa cattolica e di chierici, abrogata dall’usurpatore Giovanni, condannava altresì le sette eretiche e colpiva con l’incapacità pagani e giudei[91]. Si tratta, sulla base di quanto afferma Gaudemet, di una redazione da attribuire alla cancelleria occidentale, nonostante nell’inscriptio vi sia la menzione di Teodosio accanto al nome di Valentiniano[92]. Il luogo di pubblicazione della norma in qualche modo sarebbe un segnale di come la dottrina pelagiana fosse ben radicata in Occidente[93].

Nella costituzione si menzionano i problemi causati nelle Gallie dai vescovi seguaci del pelagianesimo, qui chiamati pelagiani e caelestiani, la cui distinzione derivava da una differente prospettiva teologica. Il prefetto del pretorio, secondo la costituzione, doveva provvedere affinché Patroclo[94], vescovo di Arles, informasse gli episcopi pelagiani del comando imperiale di ravvedersi.

In questa costituzione si riscontra una procedura simile rispetto alla lettera imperiale inviata ad Aurelio e Agostino, ma con un incarico più ampio che non si ferma alla sola diffusione delle disposizioni imperiali, dato che al vescovo di Arles si conferiva una deliberandi facultas: qualora i vescovi pelagiani non fossero rientrati nell’ambito della fede cattolica entro 20 giorni, Patroclo doveva espellerli dalle regioni e sostituirli con sacerdoti fedeli all’ortodossia[95].

Il Codice Teodosiano conserva parti di questa costituzione relative ai privilegi ecclesiastici (C.Th. 16.2.47, 16.5.62 e 16.5.64, con data e destinatari differenti), ma non riporta quelle concernenti il pelagianesimo. Ciò prova come nel 439 l’eresia non doveva essere considerata più un problema. Gaudemet dal raffronto di C.Sirm. 6 con il testo contenuto nel Teodosiano ha accertato che della costituzione si ebbero, con variazioni minime[96], stesure diverse che vennero inviate a differenti destinatari. Le modifiche furono dovute proprio al bisogno di adeguare il testo al luogo a cui veniva diretto. Ci si deve chiedere, quindi, se la disposizione relativa all’eresia pelagiana fosse diretta soltanto alle Gallie[97].

Nonostante i continui interventi di imperatori, di prefetti, di vescovi e di pontefici, niente rimase della controversia nel Codice Teodosiano[98] e in quello Giustinianeo, eppure «I problemi del peccato originale, del libero arbitrio e della giustificazione per le opere o per la grazia agiteranno, in verità, ancora alle soglie dell’età moderna gli spiriti dell’Occidente»[99].

 

 

5. – L’editto del 435 di Fl. Anthemius Isidorus: Fl. Bassus e Fl. Simplicius

 

Nel 435, dopo ben quattro anni dalla condanna ecclesiastica avvenuta nel concilio di Efeso, venne emanata una costituzione, avversa a Nestorio e ai suoi seguaci, di Teodosio ii e, seppur formalmente, Valentiniano iii. La norma imperiale è conservata in due redazioni prive di destinatario: una lunga e ridondante in lingua greca, plausibilmente in veste integrale, negli Acta Graeca del Concilium Universale Ephesenum[100] e un’altra, in lingua latina, conservata anch’essa in atti conciliari[101]. Nel testo si afferma espressamente che la costituzione venne redatta in lingua greca e in latino, al fine di permettere una sua ampia conoscenza. Una epitome in lingua latina, datata 3 agosto 435 e indirizzata a Leontius p.u. di Costantinopoli, contenente la parte dispositiva della costituzione, fu inserita in C.Th. 16.5.66 (= C. 1.5.6)[102].

La norma ricorda la precedente condanna di Nestorio e proibisce per i nestoriani l’appellativo di cristiani, attribuendo loro la denominazione di simoniani. Nega, inoltre, ai seguaci di Nestorio la facoltà di riunirsi, a pena della confisca dei beni. Si sancisce anche la condanna degli scritti di Nestorio, di cui si vieta il possesso, la lettura e la trascrizione, destinandoli al rogo, in modo che nessuno, durante le dispute teologiche, potesse far menzione del suo nome: si disponeva così una sorta di damnatio memoriae[103].

Il prefetto del pretorio Orientis, Fl. Anthemius Isidorus[104], tramite un proprio editto pubblicò la costituzione imperiale, con tutta probabilità a Costantinopoli nel 435, sebbene il testo pervenuto sia privo di datazione e d’indicazione del luogo. La norma prefettizia, come la costituzione imperiale, si conserva negli atti conciliari in lingua greca[105] e in traduzione latina[106]. È molto probabile, come si è affermato, che, al pari della costituzione imperiale, anche l’editto sia stato pubblicato sia in lingua greca, sia in latino, al fine di attenersi alla volontà imperiale finalizzata a un’ampia conoscenza della normativa in materia[107]. Anche in questo editto prefettizio emergono alcune differenze rispetto al dettato imperiale, come, ad esempio, il diverso andamento delle disposizioni, sicuramente frutto di esigenze collegate alla amministrazione delle realtà “regionali”, e nello specifico il maggiore interesse del prefetto verso questioni legate al mantenimento dell’ordine pubblico, turbato dagli accesi scontri dottrinari[108].

La titolatura della norma prefettizia (Flauvio" !Anqevmio" !Isivdwro", Flauvio" Bavsso", kai; Flauvio" Simplivkio" !Rhgi'no" oij e[parcoi levgousin) conserva formalmente il nome di altri prefetti del pretorio: Flavius Bassus e Flavius Simplicius.

Flavius Anicius Auchenius Bassus[109], appartenente alla gens Anicia, nel 425 fu comes rerum privatarum in Occidente[110]. Nel 426 è documentata la sua prefettura del pretorio, probabilmente d’Italia[111]. Egli fu console, insieme a Flavio Antioco[112], nel 431 come testimoniano alcune iscrizioni[113] e C.Th. 11.1.36 = C. 11.75(74).5 del 29 aprile. Flavius Anicius Auchenius Bassus resse la prefettura del pretorio Italiae per la seconda volta nel 435 come è attestato dall’editto di Fl. Anthemius Isidorus. Lo precede nella lista dei Fasti della PLRE II, Petronio Massimo[114], probabilmente prefetto nel 433; non si hanno testimonianze né di quando Basso cessò da questa carica né di chi fu il suo successore, si sa soltanto che Anicius Acilius Glabrio Faustus[115] fu prefetto d’Italia, Africa e Illirico nel 437-438.

Secondo una tradizione, considerata però in gran parte apocrifa, Basso, indicato come ex console, avrebbe mosso accusa di stupro contro il pontefice Sisto iii (pontificato dal 432 fino al 19 agosto 440). Venuto a conoscenza della faccenda, Valentiniano iii ordinò la convocazione di un concilio a Roma per esaminare la questione: qui il pontefice venne riabilitato, mentre Basso, il quale morì di lì a poco, fu condannato, dapprima dal concilio e poi dallo stesso Imperatore, alla confisca dei suoi averi in favore della Chiesa romana[116].

Sulla carriera di Flavio Simplicio Regino[117] si sa soltanto che fu p.p. dell’Illirico nel 435 come è testimoniato sia da C.Th. 6.28.8 del 29 gennaio (il destinatario della norma è Valerio, magister officiorum, ma in calce si specifica: Eodem exemplo Isidoro praefecto praetorio, Regino praefecto praetorio Illyrici ...), sia dall’intestazione dell’editto di Fl. Anthemius Isidorus.

Il suo predecessore è Antioco attestato per il 477 (C. 1.50.2 del 14 ottobre)[118], mentre nel 436 il p.p. dell’Illirico è Ebulo (C.Th. 8.4.30 del 3 aprile)[119].

 

 

6. – Appendice II: la normativa successiva contro il nestorianesimo

 

Contro la dottrina nestoriana si registrano ulteriori interventi normativi mirati al rispetto delle decisioni conciliari[120]. Nello stesso anno della costituzione di Teodosio ii di cui ho già parlato sopra, il 435, l’Imperatore emanò una sanctio pragmatica che sanciva l’esilio di due sostenitori di Nestorio[121]: Ireneo, il comes che durante il Concilio di Efeso del 431 aveva appoggiato il patriarca[122], e un certo Fozio, con tutta probabilità un sacerdote[123]. La norma, inviata ai magnificentissimi et gloriosissimi præfecti, chiedeva di occuparsi dell’esecuzione dell’esilio[124].

Le disposizioni imperiali furono prontamente poste in essere dal prefetto del pretorio Fl. Antemio Isidoro, forse nel medesimo anno. Il praefectus, infatti, tramite un suo atto, plausibilmente una epistola inviata a un funzionario inferiore, organizzò la deportazione in Siria dei due personaggi[125]. Nell’atto prefettizio, conservato soltanto in lingua latina nella Collectio Casinensis[126], Isidoro predisponeva minuziosamente alcuni particolari: chi avrebbe effettuato la scorta, i cavalli da utilizzare per il trasporto, le istituzioni da cui trarre sostegno durante la traduzione degli esiliati[127].

L’esilio a Petra colpì anche lo stesso Nestorio, come si apprende negli Acta del concilio efesino, per ordine dell’Interpretatio sanctionis imp. datata da Schwartz nel 436 [128]. La costituzione imperiale, infatti, era destinata sempre a Fl. Antemio Isidoro come prefetto del pretorio e come console ordinario, carica che ricoprì proprio in quell’anno[129].

Negli atti conciliari si trova inoltre una costituzione del febbraio 448, la cui inscriptio reca il solo nome di Teodosio[130], conservata parzialmente in C. 1.1.3 [131], dove la titolatura riporta anche il nome di Valentiniano e del destinatario, Hormisdas, prefetto del pretorio dell’Illirico[132]. Tra le varie prescrizioni, innanzitutto si stabilisce che i libri di Porfirio fossero bruciati (nonostante il filosofo neoplatonico fosse morto nel 305). Inoltre si ordina che i nestoriani vescovi o chierici fossero allontanati dalla Chiesa, mentre per i seguaci laici di Nestorio viene comminata la scomunica. La norma stabilisce altresì che le opere vecchie o nuove contenenti la dottrina nestoriana, non conformi ai principi definiti dal concilio di Nicea, di Efeso e da Cirillo di Alessandria, fossero bruciate, prevedendo la condanna capitale, o la deportazione, per coloro che tenevano o leggevano tali scritti. Infine, circa Ireneo, divenuto vescovo di Tiro, richiamando la disposizione imperiale precedente che lo riguardava, si dispone la deposizione dal seggio episcopale, l’espulsione dalla città, e la privazione della condizione sacerdotale[133]. La costituzione, sia nella redazione delle fonti conciliari, sia nella versione abbreviata inserita nel Codice giustinianeo, non contiene le usuali formule di pubblicazione, ma direttamente la disposizione della applicazione del dettato legislativo.

Alla norma imperiale fece seguito l’editto, in lingua greca, emanato da un prefetto del pretorio ignoto (da identificarsi con Antiochus Chuzon[134], pp. d’Oriente), probabilmente a Costantinopoli, tra il 16 febbraio e il 18 aprile del 448 [135]. Con tale atto (diavtagma) il funzionario riassume, in modo stringato, la norma imperiale, e afferma l’avvenuta riduzione allo stato laicale di Ireneo; per questo più che un editto di pubblicazione l’atto prefettizio parrebbe una informativa dell’ottemperanza del funzionario al dettato imperiale.

Il 18 aprile del 448 fu data lettura della costituzione e dell’editto prefettizio nel monastero degli eremiti nel deserto egiziano[136]; proprio in Egitto le posizioni dottrinarie di Nestorio avevano sollevato forti tensioni: il dettato normativo appare quindi chiaramente diretto a dirimere questioni religiose.

La condanna imperiale del nestorianesimo venne più volte reiterata sotto Giustiniano a partire probabilmente dal 527 con C. 1.1.5 (vedi anche C. 1.1.6 e C. 1.1.7 entrambe del 533, e la corrispondenza tra l’Imperatore e Giovanni, arcivescovo di Roma, in C. 1.1.8), e ancora nella legislazione novellare (Nov. 42 del 536, Nov. 109 praef. del 541, Nov. 115.3.14 del 542, Nov. 131.1 e 14.2 del 545). La presenza così ampia nella legislazione giustinianea mostra come, al contrario del pelagianesimo, per l’Oriente la dottrina di Nestorio fosse percepita come un problema sempre attuale.

 

 

7. – Epilogo

 

Tirando le fila di quanto ho sin qui esposto posso innanzi tutto osservare, a proposito dell’annoso e mai risolto problema dell’effettiva collegialità degli Augusti nell’attività legislativa dopo la definitiva divisione dell’Impero[137], che non si hanno prove certe né della concreta pubblicazione delle costituzioni imperiali qui esaminate nell’altra pars imperii né del fatto che la presenza nella titolatura di una norma del nome dell’altro Augusto rispondesse a un suo reale coinvolgimento nella repressione di una determinata eresia: nessun dato appare dirimente. Nello specifico, l’assenza delle costituzioni avverse al pelagianesimo nel Codice Teodosiano e in quello Giustinianeo potrebbe testimoniare al contempo sia la mancanza della documentazione relativa presso gli archivi orientali, sia, al contrario, lo scarso interesse verso la materia da parte dei legislatori d’Oriente, probabilmente a fronte qui di una limitata diffusione del fenomeno. La scarsa conoscenza nella parte orientale della questione pelagiana emerge nel 428 quando i seguaci di Pelagio si rifugiarono a Costantinopoli presso Nestorio, il quale, fors’anche mentendo, si dichiarò all’oscuro della generale condanna dell’eresia. L’atteggiamento benevolo del patriarca nei confronti dei pelagiani provocò l’azione di Mario Mercatore, il quale informò della vicenda in maniera dettagliata sia i religiosi orientali, sia lo stesso Teodosio ii: il fatto che l’opera di Mercatore veda come destinatario proprio l’Imperatore, il quale appare nella titolatura della costituzione del 418, sembrerebbe provare che in realtà in Oriente la norma non era stata pubblicata, nonostante l’attribuzione ad ambedue gli Imperatori.

Poco si conosce anche sull’invio delle costituzioni analizzate a prefetture o funzionari ulteriori rispetto a quelli presi in considerazione. Appare molto probabile una loro ampia diffusione, dato l’intento comune di impedire la propagazione delle due eresie. È lecito pensare, però, che le diverse redazioni presentassero delle varianti, munite, nel loro aspetto dispositivo, di istruzioni da attuare soltanto localmente[138], quali, ad es., l’espulsione di Pelagio e di Celestio dall’urbs e la deposizione di Ireneo.

Va aggiunto ancora che anche nei testi della normativa secondaria non si fa alcuna distinzione tra le partes imperii. Inoltre, come si è visto nell’editto del 418 e in quello del 435, nella titolatura degli editti prefettizi si indica l’intero collegio, anche se l’autore effettivo dell’edictus viene citato per primo con i suoi tria nomina: si tratta di un modo del tutto voluto, e probabilmente codificato nella prassi normativa, per distinguere il praefectus emanante dai suoi colleghi. Un punto oscuro riguarda l’editto prefettizio del 435, dove non si cita il prefetto delle Gallie, Auxiliarius[139], la cui prefettura è attestata negli anni 435-437.

Come nella pratica potesse funzionare, qualora funzionasse, sia la formale collegialità prefettizia, sia la comunicazione tra i prefetti in relazione alla normativa edittale, non è dato sapere.

L’analisi compiuta, comunque, offre anche l’occasione per una rinnovata riflessione intorno ai rapporti tra la normativa primaria e quella secondaria. È emersa, infatti, la presenza di una, seppur contenuta, autonomia da parte dei funzionari nella pubblicazione delle norme imperiali, ed è quindi possibile chiedersi se anche i prefetti Monaxius, Agricola, Bassus e Simplicius procedettero alla pubblicazione delle costituzioni, in modo identico o con editti a contenuto differente sulla base delle contingenze locali.

La repressione del pelagianesimo e del nestorianesimo offre ampia materia di riflessione anche intorno ai rapporti tra Impero e Chiesa nel V secolo. La materia religiosa, come è noto, è aspetto rilevante della politica imperiale, tesa a limitare i dissidi interni. La persecuzione delle dottrine religiose contrarie alla ortodossia divengono elemento propagandistico nella legislazione. Gli Augusti perseguono le eresie solo in seguito alla condanna ecclesiastica, e gli atti normativi in materia si diramano in maniera capillare nel territorio e coinvolgono non soltanto i vari funzionari, ma talvolta anche le autorità religiose, come, ad es., nel caso dell’epistola inviata da Onorio e Teodosio ad Aurelio e ad Agostino. La figura del vescovo si conferma fondamentale nella amministrazione dell’Impero, interlocutore, promotore e promulgatore degli atti normativi, in virtù della sua auctoritas.

D’altra parte la Chiesa, anche e soprattutto in materia religiosa, appare come depositaria delle costituzioni imperiali, delle quali svolge una funzione di conservazione: non a caso, infatti, tutti gli atti normativi qui citati si ritrovano, in una redazione probabilmente originale, tramandati in fonti ecclesiastiche.

 

 

Abstract

 

La recherche analyse la répression des deux doctrines religieuses du Ve siècle: le pélagianisme et le nestorianisme. On procède d'abord dans un excursus sur la condamnation ecclésiastique des deux hérésies, depuis on décrit la première intervention normative concernant: la constitution impériale du 408 contraire au pélagianisme (Haenel 238 s.) et son édit de publication par la préfecture du prétoire (Haenel 239), ainsi que la constitution impériale du 435 contre Nestorius et ses disciples (ACO I.1.3, 68, I.3.1, 181 s., C.Th. 16.5.66 = C. 1.5.6) et l'édit conséquent des praefecti praetorio (ACO I.1.3, I.3.1, 182 s.). A cette occasion on dessine un profil prosopographique des préfets qui ne sont pas les auteurs de ces édits, mais que apparaissant dans leur titre. L’analyse est également accompagné d'annexes qui fournissent un cadre de règles postérieures, primaires et secondaires, par rapport aux deux doctrines. De l'examen se révèlent beaucoup des questions, telles que la collégialité effective des Empereurs et des fonctionnaires et la publication de la législation dans les deux partes imperii. En matière religieuse on confirme l'effort synergique de l’Empire et de l’Église, afin de supprimer toutes les formes de l'hétérodoxie.

 

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

[1] Aa.Vv., Edicta praefectorum praetorio, a cura di F. Goria-F. Sitzia, Cagliari 2013.

 

[2] Su Pelagio e sul pelagianesimo la letteratura è vasta e per economia del discorso posso dare conto soltanto di una minima parte, citando alcune opere fondamentali: J. Ussher, The whole works, V, Britannicarum Ecclesiarum Antiquitates, quibus inserta est pestiferæ adversus Dei gratiam a Pelagio britanno in Ecclesiam inductæ hæreseos Historia, Dublinii 1639, 250 ss.; G.I. Vossius, Historiæ de controversiis, quas Pelagius eiusque reliquæ moverunt, librim septem, 2ª ed., Amstelodami 1655; [L. Patouillet], La vie de Pélage, contenant L’Histoire des Ouvrages de Saint Jerosme et de Saint Augustin contre les Pélagiens, s.l. 1751; [Id.], Histoire du pélagianisme, 2 voll., Avignon 1776; B. Racine, Réflexions sur chaque siècle de l’Histoire ecclésiastique, Avec une Histoire abrégée de l’Arianisme & du Pélagianisme, II, 2ª ed., Cologne 1759, 405 ss.; F.H. De Noris, Historia pelagiana, Pisis 1764; D. Petavius, Dogmata theologica, IV, De pelagianorum et semipelagianorum. Dogmatus historia liber unus, editio nova, a cura di J.-B. Fournialis, Parisiis 1866, 597 ss.; F. Garipuy, Essai sur la vie et la doctrine de Pélage. Thèse, Toulouse 1869; R. Hedde-é. Amann, v. Pélagianisme, in Dictionnaire de théologie catholique, XII.1, Paris 1933, coll. 675 ss.; J.N.L. Myres, Pelagius and the End of Roman Rule in Britain, in The Journal of Roman Studies 50, 1960, 21 ss.; S. Prete, Pelagio e il pelagianesimo, Brescia 1961; F.W. Schlatter, The Pelagianism of the Opus imperfectum in Matthaeum, in Vigiliae Christianae 41, 1987, 267 ss.; B.R. Rees, Pelagius: life and letters. I. Pelagius. A Reluctant Heretic, rist. riveduta, Woodbridge-Rochester 1988; A. Kessler, Reichtumskritik im ‘pelagianischen’ Schrifttum. Kritische Überlegungen zum stand der Forschung, in Studia Patristica 33, Augustine and his opponents, Jerome, other Latin Fathers after Nicaea, Orientalia, a cura di E.A. Livingstone, Leuven 1997, 131 ss.; Id., Reichtumskritik und Pelagianismus. Die pelagianische Diatribe de divitiis: Situierung, Lesentext, Übersetzung, Kommentar, Fribourg 1999; M. Lamberigts, Le mal et le péché. Pélage: la réhabilitation d’un hérétique, in Revue d’histoire ecclésiastique 95.3, 2000, 97 ss.; S. Pricoco, Alle origini dell’agostinismo. Osservazioni sulla controversia pelagiana dai primi episodi al concilio di Diospoli (411-415), in L’adorabile vescovo d’Ippona. Atti del Convegno di Paola (24-25 maggio 2000), a cura di F.E. Consolino, Soveria Mannelli 2001, 217 ss.; A. Carpin, Agostino e il problema dei bambini morti senza battesimo, in Sacra doctrina 5, 2005, 9 ss.; R. Toczko, Rome as the Basis of Argument in the So-called Pelagian Controversy (415-418), in Studia Patristica 70, Papers presented at the Sixteenth International Conference on Patristic Studies held in Oxford 2011, 18. St Augustine and his Opponents, a cura di M. Vinzent, Leuven-Paris-Walpole, Ma 2013, 649 ss. Cfr., per gli aspetti economici alla base della riprovazione della dottrina pelagiana, J.H. Beck, The Pelagian Controversy. An Economic Analysis, in American Journal of Economics and Sociology 66, 2007, 681 ss.

 

[3] Lo stato monastico di Pelagio è attestato, ad es., da Augustinus, de haeres. ad Quodvultd. 88: ... a Pelagio monacho exorta (Patrologiae cursus completus ..., Series Latina, Patrologiae Latinae [da ora in poi PL] 42, ed. J.-P. Migne, Parisiis 1865, col. 47) e Marius Mercator, subnotat. in verb. Julian. praef. 2: Pelagium gente Britannum monachum tunc decepit (PL 48, col. 111).

 

[4] Orosius, apol. contr. Pelag. 12: Britannicus noster (PL 31, col. 1182); Augustinus, ep. 186.1.1: Pelagium, quem credimus, ut ab illo distingueretur qui Pelagius Tarenti dicitur, Britonem fuisse cognominatum (PL 33, col. 816); Marius Mercator, subnotat. in verb. Julian. praef. 2: Britannum monachum (PL 48, col. 111); Prosper Aquitanus, chron.: Pelagius Brito (PL 27, col. 709); de ingrat. 1: Pestifero vomuit coluber sermone Britannus (PL 45, col. 1684, vedi anche PL 51, col. 93); chron., ad ann. Chr. 413: Pelagius Brito (PL 45, col. 1691, vedi anche PL 51, col. 591); Gennadius Massiliensis, script. eccl.: Pelagius Brito (PL 45, col. 1679). Rimando, anche se dell’VIII sec., a Beda, hist. eccl. 1.10: Pelagius Britto (PL 95, col. 36). Vedi contra Hieronymus Stridonensis, in Jerem. Prophet. prol.: Scotorum pultibus praegravatus (PL 24, col. 682); 3: Habet enim progeniem Scoticae gentis, de Britannorum vicinia (PL 24, col. 758, vedi anche PL 45, col. 1696, PL 48, col. 543).

 

[5] Sebbene il dibattito religioso sollevato dai pelagiani abbia interessato in modo particolare l’Occidente, una testimonianza del IX sec. attesta la diffusione dell’eresia anche nella pars Orientis (Photius, bibl. 54, Patrologiae cursus completus ..., Series Graeca, Patrologiae Graecae [da ora in poi PG] 83, ed. J.-P. Migne, Parisiis 1860, col. 95: Au'th mevntoi h; Pelagianh; h[toi Kelestianh; ai'resi" h[kmasen ejn th' ajnatolh', diedovqh de; kai; ejn th' duvdei, tr. lat. a col. 94: Porro haec quidem Pelagiana, seu Celestiana haeresis, non in Oriente duntaxat viguit, sed etiam Occidente pervasit; vedi altresì PL 45, col. 1684). Vedi anche Hieronymus Stridonensis, il quale, in una lettera del 415, relativamente al pelagianesimo affermava che: ... ut novam mihi ex vetere mitteres quaestionem, quae ante litteras tuas plerosque in Oriente decepit ... (ep. 133 ad Ctesiphont. adv. Pelag. 1, PL 22, col. 1148). Inoltre, secondo alcune testimonianze, Pelagio fece sua la dottrina, di origine orientale, appresa da Rufino, un siriano trasferitosi a Roma all’inizio del V sec.: Marius Mercator, subnotat. in verb. Julian. praef. 1-2 (PL 48, coll. 109 ss.). Vedi anche Augustinus, de grat. Chr. 2.3.3, dove si riporta parte del concilio cartaginese del 411 (PL 44, coll. 386 s.). Invece, per Hieronymus, che collega la dottrina pelagiana all’origenesimo, il personaggio in questione era Rufino d’Aquileia (ep. 133 ad Ctesiphont. adv. Pelag. 3, PL 22, col. 1151. Cfr. G. Fedalto, Rufino di Concordia tra Oriente e Occidente, Roma 1990, 194, secondo il quale, a proposito della nascita del pelagianesimo, Girolamo confuse il Rufino, monaco siriano, con Rufino d’Aquileia). Come ha sottolineato M. Lamberigts, Le mal et le péché. Pélage: la réhabilitation d’un hérétique, cit., 97, la questione pelagiana «se déroula principalement dans la partie occidentale de l’Empire romain et laissa par sa réception des traces profondes dans l’histoire de la théologie occidentale»; per l’A., infatti, la controversia fu «une affaire de l’église d’Occident, mais il faut aussi en même temps admettre que l’Orient ne rejetait pas au début les idées de Pélage» (110).

 

[6] In realtà, secondo G. Martinetto, Les premières réactions antiaugustiniennes de Pélage, in Revue des études augustiniennes 17, 1971, spec. 85, 117, il vero inizio della controversia pelagiana sarebbe da collocare intorno agli anni 398-399.

 

[7] Ricordo, ad es., Orosius, apol. contr. Pelag. (PL 31, coll. 1173 ss.).

 

[8] Vedi, ad es., fra le innumerevoli opere a riguardo: G. Martinetto, Les premières réactions antiaugustiniennes de Pélage, cit., 83 ss.; J.-M. Salamito, Les virtuoses et la multitude. Aspects sociaux de la controverse entre Augustin et le pélagiens, Grenoble 2005.

 

[9] M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana 6, Città di Castello 1986, 349 (ora in Id., Studi sul diritto nel tardo impero, Padova 1936, 326) lo definisce «acceso protagonista».

 

[10] Augustinus, de gest. Pelag. 22.46: Nam, ut de me ipso potissimum dicam, prius absentis et Romae constituti Pelagii nomen cum magna ejus laude cognovi (PL 44, col. 346). Vedi ancora: retractat. 2.33: imo etiam in tertio libro, quae est epistola, sed in libris habita propter duos quibus eam connectendam putavi, Pelagii ipsius nomen non sine aliqua laude posui; quia vita ejus a multis praedicabatur (PL 32, col. 644); de peccat. mer. et remiss. et de bapt. parvul. 3.3.5: Verumtamen nos non negligenter oportet attendere, istum, sicut eum qui noverunt loquuntur, bonum ac praedicandum virum ... (PL 44, col. 188).

Come evidenzia L. Cracco Ruggini, I cristiani e le istituzioni politiche di Roma nel Tardo Impero, in Cristianesimo e istituzioni politiche. Da Costantino a Giustiniano, a cura di E. dal Covolo-R. Uglione, Roma 1997, 44, la dottrina pelagiana «per breve momento, con la sua intransigenza, aveva affascinato certe élites senatorie di Roma».

 

[11] Vedi quanto il vescovo d’Ippona scriveva nel 410 a Pelagio: Domino dilectissimo, et desideratissimo fratri Pelagio, Augustinus, in Domino salutem. Gratias ago plurimum quod me litteris tuis exhilarare dignatus es, et certum facere de salute vestra. Retribuat tibi Dominus bona, quibus semper sis bonus, et cum illo aeterno vivas in aeternum, domine dilectissime, et desideratissime frater. Ego autem etsi in me non agnosco praeconia de me tua, quae tuae Benignitatis epistola continet; benevolo tamen animo erga exiguitatem meam ingratus esse non possum: simul admonens ut potius ores pro me, quo talis a Domino fiam, qualem me jam esse arbitraris. Et alia manu: Memor nostri, incolumis Domino placeas, domine dilectissime, et desideratissime frater (ep. 146, PL 33, col. 596).

 

[12] Sulla data della fuga dall’Italia rimando a B.R. Rees, Pelagius: life and letters. I, cit., 2 nt. 4.

 

[13] Augustinus, de gest. Pelag. 22.46: Postea vero quam in Africam venit, me absente, nostro, id est, Hipponensi littore exceptus est, ubi omnino, sicut comperi a nostris, nihil ab illo hujusmodi auditum est: quia et citius quam putabatur, inde profectus est. Postmodum ejus faciem Carthagine, quantum recolo, semel vel iterum vidi, quando cura Collationis, quam cum haereticis Donatistis habituri eramus, occupatissimus fui: ille vero etiam ad transmarina properavit. Interea per ora eorum qui ejus discipuli ferebantur, dogmata ista fervebant: ita ut Coelestius ad ecclesiasticum judicium perveniret, et reportaret dignam sua perversitate sententiam (PL 44, coll. 346 s.).

 

[14] Sacrorum Conciliorum, 4, ed. J.D. Mansi [da ora in poi Mansi], Florentiae 1760, coll. 289 ss.

 

[15] In letteratura ormai si colloca questo sinodo nel 411, vedi ad es.: J.H. Koopmans, Augustine’s First Contact with Pelagius and the Dating of the Condemnation of Caelestius at Carthage, in Vigiliae Christianae 8, 1954, 149 ss.; A. Vanneste, Le Décret du Concile de Trente sur le péché originel. Le quatrième canon, in Nouvelle revue théologique 88, 1966, 587 s., 591; J. Gaudemet, La première mesure législative de Valentinien III, in Iura 20, 1969, 135 nt. 33 (ora in Id., études de droit romain. I. Sources et théorie générale du droit, Napoli 1979, 267 nt. 33); M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 355 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 332); B.R. Rees, Pelagius: life and letters. I, cit., 64, 66; Y.-M. Duval, Pélage est-il le censeur inconnu de l’Adversus Iovinianum à Rome en 393? Ou: Du «portrait-robot» de l’hérétique chez S. Jérôme, in Revue d’histoire ecclésiastique 75, 1980, 525; S. Thier, Kirche bei Pelagius, Berlin-New York 1999, 20; M. Lamberigts, Le mal et le péché. Pélage: la réhabilitation d’un hérétique, cit., 106 s. Vedi, però, J.N.L. Myres, Pelagius and the End of Roman Rule in Britain, cit., 23, il quale pone il sinodo tra i due anni. In passato si è sostenuta la data del 412, ad es.: [L. Patouillet], La vie de Pélage, contenant L’Histoire des Ouvrages de Saint Jerosme et de Saint Augustin contre les Pélagiens, cit., 45, 80; [Id.], Histoire du pélagianisme, I, cit., 30, 52; B. Racine, Réflexions sur chaque siècle de l’Histoire ecclésiastique, Avec une Histoire abrégée de l’Arianisme & du Pélagianisme, II, cit., 408, 435; J. Hermant, Histoire des conciles. Contenant en abrégé ce qui s’est passé de plus considérable dans l’Église, depuis sa Naissance jusqu’à présent, I, 4ª ed., Rouen 1730, 340; F.H. De Noris, Historia pelagiana, cit., 42 s.; G.F. Wiggers, Augustinism and Pelagianism from the original sources, tr. ingl. di R. Emerson, Andover-New York 1840, 44, 53, 58, 151, 163; J.L. Jacobi, Lehre des Pelagius. Ein Beitrag zur Dogmengeschichte, Leipzig 1842, 14; R.F. Rohrbacher, Storia universale della Chiesa Cattolica dal principio del mondo sino ai dì nostri, VII, tr. it. di L. Toccagni, Milano 1845, 511; K. Hase, Histoire de l’église, I, tr. fr. di A. Flobert dell’8ª ed., Tonneis (Lot-et-Garonne) 1860, 163; D. Petavius, Dogmata theologica, IV, cit., 598 s.; H. Frankfurth, Augustin und die Synode zu Diospolis, Berlin 1904, 7, 15, 27, 30.

 

[16] Vedi, ad es., Augustinus, de gest. Pelag. 35.62: Ista haeresis cum plurimos decepisset, et fratres, quos non deceperat, conturbaret; Coelestius quidam talia sentiens, ad judicium Carthaginensis Ecclesiae perductus, episcoporum sententia condemnatus est (PL 44, col. 355).

 

[17] Marius Mercator, comm. 1.2: Patres et episcopi regionis illius restiterunt Coelestio, et jusserunt ut eadem condemnaret, quia essent haeretici sensus. Sed Coelestius nullo modo acquiescens, quin immo resistens actis eisdem, ecclesiastica communione privatus est. A qua sententia ad Romani episcopi examen credidit appellandum; qua mox idem ipse appellatione neglecta, Ephesum Asiae urbem contendit, ibique ausus est per obreptionem locum presbyterii petere (PL 48, coll. 70 ss.).

 

[18] Mansi 4, coll. 307 ss.

 

[19] Vedi, ad es., Orosius, apol. contr. Pelag. 3-8 (PL 31, coll. 1176 ss.).

 

[20] Mansi 4, coll. 311-320.

 

[21] Per Agostino, Pelagio venne dichiarato cattolico in quanto i 14 vescovi di lingua greca, che componevano il sinodo, sentirono Pelagio attraverso l’uso di un interprete, per cui essi discutere non curarunt; hoc tantum intuentes, quid ille qui interrogabatur, sensisse se diceret, non quibus verbis eadem sententia in ejus libro scripta diceretur (de gest. Pelag. 1.2, PL 44, col. 321). Sulla condanna di Celestio vedi, ad es., de gest. Pelag. 35.64 (PL 44, col. 357).

 

[22] Mansi 4, coll. 321 ss.

 

[23] Mansi 4, coll. 325 ss.

 

[24] Mansi 4, coll. 321 ss. e 334 ss.

 

[25] Innocentius i, ep. 29-30 (PL 20, coll. 582 ss.), lettere conservate anche nell’epistolario di Agostino, ep. 181-182 (PL 33, coll. 780 ss.).

 

[26] serm. 131.10: Iam enim de hac causa duo concilia missa sunt ad Sedem Apostolicam: inde etiam rescripta venerunt. Causa finita est: utinam aliquando finiatur error! Ergo ut advertant monemus, ut instruantur docemus, ut mutentur oremus (PL 38, col. 734).

 

[27] Vedi, ad es.: Augustinus, de grat. Chr. 2.2.2: Et Coelestius quidem in hoc exstitit errore liberior, usque adeo, ut neque in episcopali judicio apud Carthaginem damnare voluerit eos qui dicunt, «Quod peccatum Adae ipsum solum laeserit, et non genus humanum; et quod infantes qui nascuntur, in eo statu sint, in quo Adam fuit ante praevaricationem». Et in urbe Roma in libello suo, quem beatissimo papae Zosimo dedit, id asseveravit expressius, «quod parvulorum neminem obstringat originale peccatum» (PL 44, col. 386); Marius Mercator, comm. 1.3-4: Inde post aliquantos annos, sub sanctae memoriae Attico episcopo, urbem Constantinopolitanam petiit, ubi in similibus detectus magno studio sancti illius viri ex praedicta alma urbe detrusus est, litteris super ejus nomine, et in Asiam, et Thessalonicam, et Carthaginem ad episcopos missis, quarum exemplaria habentes proferre sumus parati. 4. Praedictus tamen Coelestius etiam hinc ejectus, ad urbem Romanam sub sanctae memoriae Zosimo episcopo tota festinatione perrexit (PL 48, coll. 73 ss.).

 

[28] Zosimus papa, ep. 2 (PL 20, coll. 649 ss.); Marius Mercator, comm. 1.4 (PL 48, coll. 75 ss.). Sul ruolo di Zosimo in questa faccenda vedi, ad es., G.D. Dunn, Did Zosimus pardon Caelestius?, in Lex et religio in età tardoantica. XL incontro di studiosi dell’antichità cristiana. Roma 10-12 maggio 2012 [Studia Ephemeridis Augustinianum 135], Roma 2013, 647 ss.

 

[29] Su questa documentazione vedi, ad es.: G. de Plinval, Recherches sur l’œuvre littéraire de Pélage, in Revue de philologie, de littérature et d’histoire anciennes 60, 1934, 11 s.; Y.-M. Duval, Pélage est-il le censeur inconnu de l’Adversus Iovinianum à Rome en 393? Ou: Du «portrait-robot» de l’hérétique chez S. Jérôme, cit., 547 ss.

 

[30] Augustinus, de grat. Chr. 1.30.32: Ut ergo haec interim omittam, nempe ipse Pelagius et litteras nuper et libellum Romam fidei suae misit, scribens ad beatae memoriae papam Innocentium, quem defunctum esse nesciebat (PL 44, col. 376).

 

[31] La ricostruzione della lettera effettuata da Garnier (PL 48, coll. 610 s.) viene definita da Y.-M. Duval, Pélage est-il le censeur inconnu de l’Adversus Iovinianum à Rome en 393? Ou: Du «portrait-robot» de l’hérétique chez S. Jérôme, cit., 547 nt. 2, «habile, mais discutable».

 

[32] Vedi PL 45, coll. 1716 ss., PL 48, coll. 488 ss. Sulla professione di fede di Pelagio rimando a P.J. van Egmond, Haec fides est: observations on the textual tradition of Pelagius’s “Libellus fidei”, in Augustiniana 57, 2007, 345 ss.

 

[33] I frammenti del testo dell’opera di Pelagio, che constava di 4 libri, furono raccolti da Garnier (PL 48, coll. 611 ss.). Pelagio allegò inoltre altre epistole, unitamente a una lettera di raccomandazione del nuovo vescovo di Gerusalemme, Praile, poiché Giovanni era morto il 10 gennaio del 417.

 

[34] Zosimus papa, ep. 3 (PL 20, coll. 654 ss.).

 

[35] Vedi Mansi 4, coll. 373 ss.

 

[36] Vedi la ricostruzione di Coustant in PL 20, coll. 693 ss. Secondo M. Lamberigts, Le mal et le péché. Pélage: la réhabilitation d’un hérétique, cit., 108: il pontefice «sous la pression des évêques d’Afrique qui étaient consternés à propos de la décision de Zosime et avaient cherché et trouvé refuge auprès de l’empereur à Ravenne, condamna définitivement Célestius et Pélage dans son Epistula Tractatoria, il ne le fit certainement pas en des termes clairement “augustiniens”». Per l’autore la lettera, nonostante fosse stata inviata a tutti i vescovi dell’Impero, non produsse una grande impressione, specie ad Alessandria, e per questo motivo di essa rimasero pochi frammenti.

 

[37] Marius Mercator ricorda i destinatari della lettera di Zosimo: comm. 1.5: quorum scriptorum et nos hic habemus exemplaria, et ad Orientales Ecclesias, Aegypti dioecesim, et Constantinopolim, et Thessalonicam, et Hierosolymam, similia eademque scripta ad episcopos transmissa esse suggerimus (PL 48, coll. 81 ss.).

 

[38] Non si riesce a comprendere chiaramente la data di questo decreto, tanto che alcuni autori affermano che Zosimo la pubblicò nell’aprile del 418, prima del rescritto imperiale: così, ad es., J.N.L. Myres, Pelagius and the End of Roman Rule in Britain, cit., 23.

 

[39] Mansi 4, coll. 377 ss.

 

[40] Prosper Aquitanus, chron.: Concilio apud Carthaginem habito 217 episcoporum, ad papam Zosimum synodalia decreta perlata, quibus probatis, per totum mundum haeresis Pelagiana damnata est (PL 27, col. 713, vedi anche PL 45, coll. 1723 s., PL 51, col. 592).

 

[41] Vedi le considerazioni di M. Lamberigts, Le mal et le péché. Pélage: la réhabilitation d’un hérétique, cit., 100 nt. 15: «Julien représente pourtant une des figures les plus intéressantes du mouvement pélagien, précisément parce qu’il a questionnée, d’une manière profonde, souvent pertinente, les positions adoptées par Augustin».

 

[42] Per la controversia semipelagiana vedi, ad esempio, R. Harden Weaver, Divine Grace and Human Agency. A Study of the Semi-Pelagian Controversy, Macon, Georgia 1996.

 

[43] Su Nestorio e il nestorianesimo oltre a opere risalenti (L. Doucin, Histoire du nestorianisme, Paris 1698; M. Hermant, Histoire des conciles, I, cit., 442 ss.; L.S. Lenain de Tillemont, Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique des six premiers siècles, XIV, Venise 1732, spec. 283 ss., 297 ss., 606 ss.; P. Paletta, Storia ragionata delle eresie, IV, Verona 1796, 54 ss.; A.M. De Liguori, Istoria dell’eresie colle loro confutazioni, I, 3ª ed., Bassano 1822, 160 ss.; G.A. Orsi, Storia ecclesiastica, XXIV, Venezia 1824, 42 ss., 333 ss.; XXVI, Venezia 1825, 59 ss.; Ch.G. Neudecker, v. Nestorius, in Allgemeines Lexicon der Religions u. christlichen Kirchengeschichte für alle Confessionen, III, Weimar-Jlmenau 1835, 462 ss.; R.F. Rohrbacher, Storia universale della Chiesa Cattolica dal principio del mondo sino ai dì nostri, VIII, tr. it. di L. Toccagni-C. Questa, Milano 1846, 25 ss.; G.P. Badger, The Nestorians and their Rituals, 2 voll., London 1852; J.F. Bethune-Baker, Nestorius and his Teaching: a fresh examination of the evidence, Cambridge 1908; Ch.-J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des conciles d’après les documents originaux, II.1, Paris 1908, 219 ss.; F. Nau, Saint Cyrille et Nestorius. Contribution à l’histoire des schismes monophysite et nestorien, in Revue de l’Orient Chrétien 15, 1910, 365 ss.; 16, 1911, 1 ss.; L. Fendt, Die Christologie des Nestorius, München 1910; M. Jugie, Nestorius et la controverse nestorienne, Paris 1912; F. Loofs, Nestorius and his place in the history of christian doctrine, Cambridge 1914), vedi ex multis: L.I. Scipioni, Nestorio e il concilio di Efeso, Milano 1974; T.E. Gregory, Vox populi. Popular Opinion and Violence in the Religious Controversies of the Fifth Century A.D., s.l. 1979, 81 ss.; M. Lamberigts, Les évêques pélagiens déposés, Nestorius et Éphèse, in Augustiniana 35, 1985, 264 ss.; M. Redies, Kyrill und Nestorius: Eine Neuinterpretation des Theotokos-Streits, in Klio 80, 1998, 195 ss.; E. Wipszycka, Storia della Chiesa nella tarda antichità, tr. it. di V. Verdiani, Milano 2000, 190 ss.; M.V. Escribano Paño, La quema de libros heréticos en el Codex Thedosianus XVI,5, in !Ilu 19, 2007, 175 ss., 194 ss.; R. Kosiński, The Life of Nestorius and seen in Greek and Oriental sources, in Electrum 13, Kraków 2007, 155 ss.

 

[44] Secondo R. Hedde-é. Amann, v. Pélagianisme, cit., col. 709: «Ce n’est pas que Nestorius fût favorable a leur doctrine, mais peut-être ne lui déplaisait il pas d’attirer à lui quelques évêques occidentaux. De fait Théodose le Jeune évita de nommer les pélagiens dans la loi portée contre les hérétiques, le 30 mai 428, et dont Nestorius semble bien avoir été l’inspirateur».

 

[45] Nestoriana. Die Fragmente des Nestorius, a cura di F. Loofs, Halle 1905, 165 ss., 169 ss.

 

[46] PL 48, coll. 67 ss.

 

[47] Per le differenze di posizioni tedologiche dei due religiosi vedi, ad es., J.M. Hallman, The Seed of Fire: Divine Suffering in the Christology of Cyril of Alexandria and Nestorius of Constantinople, in Journal of Early Christian Studies 5, 1997, 369 ss. Intorno ai rapporti tra le sedi episcopali di Cirillo e Nestorio cfr. N.H. Baynes, Alexandria and Constantinople: A Study in Ecclesiastical Diplomacy, in The Journal of Egyptian Archaeology 12.3-4, 1926, 145 ss.

 

[48] Augustinus, de grat. Chr. 2.17.18: Quae cum ita sint, profecto sentitis, in tam nefandi erroris auctores, episcopalia concilia, et Apostolicam Sedem, universamque Romanam Ecclesiam, Romanumque imperium, quod Deo propitio christianum est, rectissime fuisse commotum, donec resipiscant de diaboli laqueis (PL 44, col. 394).

 

[49] Vedi invece M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 362 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 342), secondo il quale la costituzione imperiale sarebbe stata pubblicata dopo l’emanazione dell’editto prefettizio di cui parlerò infra in questo paragrafo.

 

[50] La prefettura Italiae di Palladio (P. Porena, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, Roma 2003, 231 nt. 103, afferma che fu p.p. d’Italia-Illirico-Africa) è attestata con certezza dal 7 gennaio del 416 (C.Th. 11.5.2 = C. 10.17.1) al 28 luglio del 421 (C.Th. 2.27.1).

 

[51] Le maggiori informazioni sulla carriera di Fl. Iunius Quartus Palladius sono offerte da un’iscrizione rinvenuta sull’Aventino: CIL 6.41383 = AE 1928, 80: Iunii Quarti Palladii v(iri) c(larissimi) amplissimorum honorum magnitudine et nobilitate conspicuo Iunio Quarto Palladio clarissimo et inl(ustri) viro avorum honores supergresso et diu in re p(ublica) perseveranti praet(ori) et quaest(ori) kandidato not(ario) et tri(buno) com(iti) sacrar(um) larg(itionum) praef(ecto) praetorii per annos sex Illyrici Italiae et Africae consuli ordinario legato senatus amplissimi quarto eius statuam ob egregiam propinquitatis affectionem ad decorem domus germanus eius inter se ac suos locari constituique ius habuit, su cui vedi: L. Cantarelli, L’iscrizione onoraria di Fl. Giunio Quarto Palladio, in Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma 54, 1926, 35 ss.; A. Degrassi, Appunti all’iscrizione onoraria di Flavio Giunio Quarto Palladio, in Rivista di Filologia e di Istruzione Classica n.s. 6, 1928, 516 ss. (= Id., Scritti vari di antichità, I, Roma 1962, 483 ss.). Per questo prefetto vedi da ultime E. Ravegnani, Consoli e dittici consolari nella tarda antichità, Roma 2006, 44 e C.M.A. Rinolfi, (Fl. Iunius Quartus) Palladius, in Edicta praefectorum praetorio, cit., 181 ss.

 

[52] Imperatores Honorius et Theodosius Augusti Palladio Praefecto Praetorio. Ad conturbandam catholicae simplicitatis lucem puro semper splendore radiantem dolosae artis ingenio, novam subito emicuisse versutiam pervulgata opinione cognovimus: quae fallacis scientiae obumbrata mendaciis et furioso tantum debacchata luctamine, stabilem quietem coelestis conatur attrectare fidei, dum novi criminis commendat inventum, insignem notam plebeiae aestimans vilitatis, sentire cum cunctis, ac prudentiae singularis palmam fore, communiter approbata destruere, cuius impiae commentationis auctores Pelagium Caelestiumque percrebuit exstitisse. Hi parenti cunctarum rerum Deo, praecipuaeque semper maiestati, intermine omnipotenti, et ultra omne principium transeunti, tam trucem inclementiam scaevae voluntatis assignant, ut quum formandi mundi opificem curam sumeret, qualitatemque hominis struendi profunda spiritus conceptione libraret, fundati muneris foedum anteferret exordium, et mortem promitteret nascituro: non hanc insidiis vetiti fluxisse peccati; sed egisse penitus legem immutabilis constituti: ad declinandum leti exitialis incursum nihil prodesse abstinentiam delinquendi, cuius vis ita putaretur adscripta, ut non possit aboleri deinceps: primitivi hominis errorem, in quem captae mentis inops rationis caecitas irruisset, delapsum ad posteros non fuisse; tantumque apud eum, quem malesuadae gratiae infelix rapuisset illecebra, transgressionem interdicti exstitisse discriminis: quum evidens catholicae legis omnifaria testetur auctoritas, illum interitus omnium fuisse vestibulum, quem divinae praeceptionis sedulum liquet corrupisse mandatum: aliaque quam plurima, quae sermo respuit, lex refutat: quae pertaesum sit recordari, etiam sub dispositione plectendi. Quae maturato remedio et celeritate festina oportet intercipi, ne corroborato usu nequitiae adolescentis vix valeant coerceri. Siquidem aures mansuetudinis nostrae recens fama perstrinxerat intra sacratissimam urbem nostram, aliaque loca, ita pestiferum virus quorumdam inolevisse pectoribus, ut interrupto directae credulitatis tramite, scissis in partes studiis asserendi, materia impacatae dissensionis inducta sit: novoque scandali fomite concitato beatissimae ecclesiae actu nutet attentata tranquillitas: aliis aliud ancipiti interpretatione sectantibus, et quum sit absoluta sanctorum apicum claritas, ac dilucide, quid sequi universitas debeat, explanans, pro captu versipellis ingenii novorum ausuum profanam moventibus quaestionem, Palladi parens carissime atque amantissime. Ob quam rem illustris auctoritas tua, victura in omne aevum lege nos statuisse cognoscat, ut pulsis ex urbe primitus capitibus dogmatis exsecrandi Caelestio atque Pelagio, si qui huiusce de cetero sacrilegii sectatores quibuscunque locis potuerint rursus reperiri, aut de pravitate damnata aliquem proferre sermonem, a quocunque correpti ad competentem iudicem pertrahantur: quos sive clericus, sive laicus fuerit, deferendi habeat potestatem, et sine praescriptione aliqua perurgendi, quos relicta communi scientiae luce novae disputationis tenebras introferre deprehenderit, contra apostolicam scilicet disciplinam, evangelicamque claram et sine errore sententiam vafra rudis sectae calliditate pugnantes, involventesque splendentem fidem veri ambagibus disserendo. Hos ergo repertos ubicunque de hoc tam infando scelere conferentes a quibuscunque iubemus corripi, deductosque ad audientiam publicam promiscue ab omnibus accusari: ita ut probationem convicti criminis stilus publicus insequatur, ipsis inexorati exsilii deportatione damnatis. Decet enim originem vitii a conventu publico sequestrari, nec in communi eos celebritate consistere, qui non solum facto nefario detestandi, verum etiam exemplo venenati spiritus sunt cavendi. Iuvat autem per omne paene imperium nostrum, qua mundus extenditur, huiusmodi promulgata diffundi: ne scientiae fortasse dissimulatio pastum praestet errori; atque impune se quisquam putet audere, quod, condemnatum vigore publico, sese finxerit ignorare (Corpus Legum ab Imperatoribus Romanis ante Iustinianum latarum quae extra constitutionum Codices supersunt, ed. G.F. Haenel, Lipsiae 1857 [da ora in poi Haenel], 238 s. Il testo viene conservato, con minime varianti, in PL 45, coll. 1726 s., PL 48, coll. 380 ss., PL 56, coll. 490 ss.).

 

[53] Vedi, in tal senso, Hieronymus Stridonensis, ep. 133 ad Ctesiphont. adv. Pelag. 11, che rivolto a un pelagiano scriveva: Audi Ecclesiasticam simplicitatem, sive rusticitatem, aut imperitiam, ut vobis videtur. Loquere, quod credis: publice praedica, quod secreto discipulis loqueris. Qui dicis te habere arbitrii libertatem, quare non libere quod sentis loqueris? Aliud audiunt cubiculorum tuorum secreta, aliud rostrorum populi. Etenim vulgus indoctum non potest arcanorum tuorum onera sustentare, nec capere solidum cibum, quod infantiae lacte contentum est (PL 22, col. 1159).

Secondo J.-M. Salamito, Les virtuoses et la multitude. Aspects sociaux de la controverse entre Augustin et le pélagiens, cit., 215, i temi della costituzione imperiale sono «étonnamment proches de ceux qu’orchestre Augustin contre Julien» quando parla di «arrogance aristocratique».

 

[54] Questa disposizione pone il problema dei rapporti fra il prefetto del pretorio e il prefetto urbano: sul punto vedi A. Chastagnol, La Préfecture urbaine à Rome sous le Bas-Empire, Paris 1960, 170: «en fait, le préfet du prétoire avait la charge de surveiller les deux hérétiques après leur bannissement, qui incombait au préfet de la Ville; le préfet urbain du recevoir de la cour une lettre analogue et exécuta la décision».

 

[55] Su questa sanzione per gli eretici vedi spec. M.V. Escribano Paño, El exilio del herético en el s. IV d.C. Fundamentos jurídicos e ideológicos, in Vivir en tierra extraña: emigración e intregración cultural en el mundo antiguo, a cura di F. Marco-F. Pina-J. Remesal, Barcelona 2004, 255 ss. In generale vedi R. Delmaire, Exil, relégation, déportation dans la législation du Bas-Empire, in Exil et relégation. Les tribulations du sage et du saint durant l'Antiquité romaine et chrétienne, Ier-VIe s. ap. J.-C. Actes du Colloque organisé par le Centre J.-Ch. Picard, Université de Paris XII-Val de Marne (17-18 juin 2005), a cura di Ph. Blaudeau, Paris 2008, 115 ss.

 

[56] Sulle questioni inerenti al generale obbligo di osservanza e di conoscenza delle norme imperiali e sulla loro diffusione, rimando, da ultimi, a S. Puliatti-E. Franciosi, Legem ne quis se ignorasse confingat. Osservanza e applicazione del diritto in età tardoimperiale, in Legal Roots 1, 2012, 63 ss.

 

[57] Vedi, ad es.: J.N.L. Myres, Pelagius and the End of Roman Rule in Britain, cit., 23; J.R. Martindale, v. Fl. Iunius Quartus Palladius 19, in The Prosopography of the Later Roman Empire, II. A.D. 395-527, Cambridge-London-New York-New Rochelle-Melbourne-Sydney 1980 [da ora in poi PLRE], 823; M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 360 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 340), il quale afferma che la norma venne «emanata da Onorio (e formalmente anche da Teodosio)»; M. Bianchi Fossati Vanzetti, Le novelle di Valentiniano III, I. Le fonti, Padova 1988, 50, 62.

 

[58] Possidius, vita Aug. cap. 18: Adversus Pelagianistas quoque novos nostrorum temporum haereticos et disputatores callidos, arte magis subtili et noxia scribentes, et ubicumque poterant publice et per domos loquentes, per annos ferme decem laboravit, librorum multa condens et edens, et in ecclesia populis ex eodem errore frequentissime disputans. Et quoniam iidem perversi Sedi apostolicae per suam ambitionem eamdem perfidiam persuadere conabantur, instantissime etiam conciliis Africanis sanctorum episcoporum gestum est, ut sancto papae Urbis, et prius venerabili Innocentio, et postea sancto Zosimo ejus successori persuaderetur, quam illa secta a fide catholica et abominanda et damnanda fuisset. At illi tantae sedis antistites, suis diversis temporibus eosdem notantes, atque a membris Ecclesiae praecidentes, datis litteris et ad Africanas Occidentis, et ad Orientis partis Ecclesias, eos anathemandos et devitandos ab omnibus Catholicis censuerunt. Et tale de illis Ecclesiae Dei catholicae prolatum judicium, etiam piissimus imperator Honorius audiens ac sequens, suis eos legibus damnatos, inter haereticos haberi debere constituit (PL 32, coll. 48 s.); Auctor incertus, In tomum decimum, Praef. XVIII. Pelagianos sancita lege mulctat Honorius imperator. Eosdem Zosimus decretoria tandem damnat sententia, quae ab Ecclesia universa suscipitur: Exstat hodieque lex illa Honorii, die aprilis trigesima anni quadringentesimi decimi octavi Ravennae data. Hac lege Imperator edicit, ut Coelestius et Pelagius Roma (modo isthic agerent, siquidem erat Pelagius id temporis in Palaestina) primitus pellantur; deinde ut quisque compertos haeresis eorum sectatores magistratibus deferat, et reis tandem exsilii poena irrogetur (PL 44, col. 69). Vedi anche Augustinus, contra Julian. 3.1.3, PL 44, col. 703, il quale fa riferimento a quanto ab Imperatore responsum est.

 

[59] Exemplar Edicti Iunii Quarti Palladii. Iunius Quartus Palladius, Monaxius, et Agricola iterum, Praefecti Praetorio, edixerunt. In Pelagium atque Caelestium catholici dogmatis fidem scaevis tractatibus destruentes sententia principalis incaluit, ut venerabili urbe summoti bonorum concilio mulctarentur. Hoc igitur omnes admoneri oportet edicto, ne quis sinistrae persuasionis erroribus credulum praestet assensum. Et si sit ille plebeius aut clericus, qui in caliginis huius obscoena reciderit, a quocunque tractus ad iudicem sine accusatricis discretione personae, facultatum publicatione nudatus, irrevocabile patietur exsilium. Nam superna maiestas ut colligit ex secreti ignoratione reverentiam, ita ex ineptae disputationis praesumptione iniuriam (Haenel 239, ma vedi ancora con alcune varianti che non ne alterano la sostanza: PL 45, col. 1728, PL 48, coll. 392 ss., PL 56, coll. 492 s.).

Per un commento di questo edictum vedi C.M.A. Rinolfi, Editto di Fl. Junius Quartus Palladius di pubblicazione di costituzione imperiale di tema religioso, in Edicta praefectorum praetorio, cit., 128 ss.

 

[60] Agostino in merito parla di responsum, ritenendolo una risposta imperiale a dei problemi di tipo teologico (contra Julian. 3.1.3: Sane, ut dicis, si «pro vobis potius ab Imperatore responsum est», cur non in medium prosilitis, et hoc ultro publicis potestatibus allegatis, vos esse monstrantes, quorum christianus princeps approbavit fidem? Verum si Dei legem non sicut sese habet, sed sicut vobis placet, intelligitis; quid mirum si et de lege Imperatoris hoc facitis? Sed haec te alias exsecuturum plenius polliceris. Quod si feceris, aut redarguetur sicut insidiosum; aut contemnetur sicut inane, quod feceris, PL 44, col. 703). Per M. Bianchi Fossati Vanzetti, Le novelle di Valentiniano III, I, cit., 50, l’atto in questione sarebbe una epistola.

 

[61] W. Enßlin, v. Monaxius, in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft [da ora in poi P.-W.] 16.1, Stuttgart 1933, coll. 75 s.; PLRE II, v. Fl. Monaxius, 764 s.; E. Ravegnani, Consoli e dittici consolari nella tarda antichità, cit., 45.

 

[62] Vedi ancora: C.Th. 14.17.15, del 408; C.Th. 15.1.47 = C. 8.11(12).17, C. 5.34.13, del 409.

 

[63] Il suo predecessore è il prefetto Aureliano (PLRE I, v. Aurelianus 3, 128 s., PLRE II, 199) la cui ultima attestazione si rinviene in C.Th. 7.9.4 del 10 maggio 416.

 

[64] Vedi all’interno di questo periodo: C. 1.46.2 del 27 agosto del 416; C.Th. 9.40.23 del 30 agosto del 416 = C. 9.47.24; C.Th. 11.28.11 del 9 settembre del 416; C.Th. 16.2.42 datata 29 settembre 416 = C. 1.3.17 iunge C.Th. 12.12.15 con data 5 ottobre 416 = C. 10.65(63).6; C.Th. 6.25.1 dell’11 novembre del 416 = C. 12.18.1; C.Th. 6.24.8 del 17 novembre del 416; C.Th. 6.24.9 del 18 dicembre del 416; C.Th. 8.12.9 del 14 marzo del 417 = C. 8.53(54).28; C.Th. 16.9.4 del 10 aprile del 417; C.Th. 7.11.2 del 28 luglio del 417; C.Th. 15.11.2 del 27 settembre del 417; C.Th. 16.2.43 del 3 febbraio del 418 = C. 1.3.18; C.Th. 12.1.183 del 17 aprile del 418; C.Th. 13.1.21 del 21 agosto del 418; C.Th. 11.30.66 dell’8 marzo del 419; C.Th. 9.40.24 del 24 settembre del 419 = C. 9.47.25.

 

[65] Attestano il consolato nel 419: C.Th. 11.30.66 dell’8 marzo; C.Th. 5.18.1 del 26 giugno = parte in C. 11.48(47).16; C.Th. 6.30.22 del 4 maggio; C.Sirm. 5 del 18 maggio; C.Th. 14.4.10 del 29 luglio; C.Th. 9.40.24 del 24 settembre = C. 9.47.25; C.Th. 14.6.5 del 4 ottobre; C.Sirm. 13 del 21 novembre.

 

[66] PLRE II, v. Fl. Eustathius 12, 436.

 

[67] In generale, sulla fuga dei servi nelle chiese vedi, ad es., M. Melluso, In tema di servi fugitivi in ecclesia in epoca giustinianea. Le Bullae Sanctae Sophiae, in Dialogues d’histoire ancienne 28.1, 2002, 61 ss., per il caso specifico 70 s.

 

[68] Nell’edizione dell’opera di Callinicus per i tipi della Teubner, ed. Seminarii Philologorum Bonnensis Sodales, Lipsiae 1895, xix, si colloca nel 420 la vicenda di quando Monaxius servos fugitivos ab Hypatio repetit.

 

[69] O. Seeck, v. Agricola 3, in P.-W. 1.2, 1894, col. 892; PLRE II, v. Agricola 1, 36 s.; E. Ravegnani, Consoli e dittici consolari nella tarda antichità, cit., 45 s.

 

[70] Vedi PLRE II, v. *!Iulius!* 3, 642.

 

[71] Monumenta Germaniae Historica, Epistulae, III.1, Berolini 1892, 13 ss., nr. 8 (= Haenel 238).

 

[72] PLRE II, v. Exuperantius 2, 448.

 

[73] PLRE II, v. Fl. Eustathius 12, 436.

 

[74] C.Th. 3.16.2 del 10 marzo = C. 9.9.34(35); C.Th. 4.15.1 iunge C.Th. 10.10.29 = C. 9.40.3 iunge C.Th. 10.10.30 = C. 10.1.10 iunge C. 10.10.4 e C.Th. 9.42.23 dell’8 luglio; C.Th. 16.2.45 del 14 luglio = C. 1.2.6 iunge C. 11.21(22).1; C.Th. 2.27.1 del 28 luglio. Vedi anche Sidonio Apollinare, carm. XV vv. 150-152: Palmatam parat ipsa patri, qua consul et idem / Agricolam contingat avum, doceatque nepotes / Non abavi solum, sed avi quoque jungere fasces (PL 58, coll. 716 s.).

 

[75] Per M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 356, 360 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 334, 338), l’epistula sarebbe del giugno del 418.

 

[76] Imperatores Honorius et Theodosius Augusti Aurelio episcopo Salutem. Dudum quidem fuerat constitutum, ut Pelagius et Caelestius, nefandi dogmatis repertores, ab urbe Roma, veluti quaedam catholicae veritatis contagia, pellerentur, ne ignorantium mentes saeva persuasione perverterent. In quo secuta est clementia nostra iudicium sanctitatis tuae, quo constat eos ab universis iustae sententiae examinatione esse damnatos. Sed quia obstinati criminis pertinax malum, ut constitutio geminaretur, coegit, recenti quoque sanctione decrevimus, ut si quis eos in quacunque provinciarum parte latitare non nesciens, aut propellere, aut prodere distulisset, praescriptae poenae velut particeps subiaceret. Praecipue tamen ad quorumdam episcoporum pertinaciam corrigendam, qui pravas eorum disputationes vel tacito consensu adstruunt, vel publica oppugnatione non destruunt, pater carissime atque amantissime, sanctitatis tuae auctoritatem cavere conveniet: quatenus in abolitione praeposterae haeresis omnium devotio Christiana consentiat. Religio itaque tua competentibus scriptis universos faciat admoneri, scituros definitione testimonii tui, hanc sibi definitionem esse praescriptam, ut quicunque damnationi supra memoratorum (quo pateat mens pura) subscribere impia obstinatione neglexerint, episcopatus amissione mulctati interdicta, in perpetuum, expulsi civitatibus, communione priventur. Nam quum ipsi nos iuxta synodum Nicaenam confessione sincera conditorem rerum omnium Deum imperiique nostri veneremur auctorem; non patietur sanctitas tua, sectae detestabilis homines in iniuriam religionis nova et inusitata meditantes secretis tractatibus occultare sacrilegium publica semel auctoritate damnatum. Una enim eademque est culpa eorum, qui aut dissimulando conniventiam, aut non damnando favorem noxium praestiterint. Et alia manu: Divinitas te per multos annos servet incolumem, pater carissime atque amantissime. Data V. Idus Iunias Ravennae Monaxio et Plinta Coss. (Haenel 239, vedi anche, con minime varianti, PL 48, coll. 395 ss., PL 56, coll. 493 s., il testo si rinviene parzialmente in PL 45, col. 1731).

 

[77] Augustinus, ep. 201, PL 33, col. 927.

 

[78] bibl. 53: #Egrafe de; kai; Qeodovsio" kai; !Onwvrio" oiJ basilei'" pro;" Aujrhvlion ejpivskopon kata; tw'n aujtw'n (PG 83, col. 93, tr. lat. a col. 94: Scripserunt vero et Theodosius, et Honorius imperatores contra eosdem haereticos ad Aurelium episcopum). Vedi anche PG 45, col. 1730.

 

[79] Vedi, ad es., M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 357 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 335), per cui la recens sanctio, con tutta probabilità, sarebbe la constitutio pubblicata il 30 aprile del 418.

 

[80] Rinvio, da ultima, alle osservazioni di C. Gabrielli, Cristianesimo e potere nell’antichità: un esempio dalla Hispania Tarraconensis, in Studia historica. Historia antigua 24, 2006, 212: «grande era il prestigio e la dignitas, di cui godevano i vescovi, e che si basava, usando una fine distinzione augustea confluita nel vocabolario politico romano, sull’esercizio non tanto della potestas, intesa come potere politico ed economico, quanto della auctoritas (aj"civhwma), che un vescovo esercitava nella propria sede episcopale». Vedi inoltre: R. Teja, Auctoritas versus Potestas: el liderazgo social de los obispos en la sociedad tardoantigua, in Vescovi e pastori in epoca teodosiana. In occasione del XVI centenario della consacrazione episcopale di S. Agostino, 396-1996. XXV Incontro di studiosi dell’antichità cristiana. Roma, 8-11 maggio 1996, I, Roma 1997, 73 ss.; E. Dovere, Il vescovo “teodosiano” quale riferimento per la normazione “de fide” (secc. IV-V), ivi, 161 ss. (già in ’Ilu 1, 1996, 53 ss.), il quale rileva la “costante affermazione normativa circa l’autorevolezza specifica della figura episcopale”; Id., “Auctoritas” episcopale e pubbliche funzioni (secc. IV-VI), in Studi economico-giuridici. Università di Cagliari. Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza 57, 1997-98 [ma 2000], 517 ss. (ora in Studi sull’Oriente Cristiano 5, 2001, 25 ss.).

 

[81] Secondo M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 358 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 337 s.), sarebbe una disposizione ulteriore rispetto alla costituzione del 418, per cui l’investitura di Aurelio per la sua esecuzione appare rilevante: «mentre l’autorità imperiale fa proprie e consacra in un testo normativo le proposizioni dommatiche dell’episcopato africano, l’autorità ecclesiastica applicherà contro i renitenti e gli occulti favoreggiatori della dottrina condannata le sanzioni spirituali e temporali che la normativa imperiale commina». Del resto, come ricorda J. Gaudemet, La formation du droit séculier et du droit de l’Église aux IVe et Ve siècles, [Paris] 1957, 150, i vescovi erano avvezzi a ricevere decretalia pontificali inviati al singolo presule «en l’invitant à communiquer la lettre aux évêques du voisinage afin d’en assurer une large application», pratica questa «qui rappelle le mode de diffusion des constitutions impériales».

 

[82] Dilectissimis ac desiderabilibus fratribus ac consacerdotibus, Donatiano primae sedis, Januariano, Felici, Palatino, Primiano, Cajano, et alii Cajano, Januario, Victorino, et caeteris per tractum provinciae Byzacenae et Arzugitanae constitutis, Aurelius episcopus. Super Coelestii et Pelagii damnatione, eorumque dogmatis, participem se sancta dilectio vestra in plenario concilio fuisse commeminit, dilectissimi ac desiderabiles Fratres. Sed quoniam, pro honore Dei, in cujus manu cor regis est constitutum, gloriosissimorum principum Christianorum fidem rectam et catholicam custodientium accessit auctoritas, quam per humilitatem meam universis coepiscopis voluerunt intimari: idcirco honorabilem fraternitatem vestram, missis exemplaribus, instruere festinavi, ne quid mali, in aliqua parte provinciae, ex supradictorum serpentina persuasione, ab universali Ecclesia totius orbis exclusa, fortasse subrepat. Ob hoc ergo tam necessaria constitutio Christianorum principum charitatem vestram latere non debet, et ad me ab eis datae litterae: quarum simul exemplaribus lectis, quemadmodum subscribere unusquisque vestrum debeat, dilectio vestra cognoscet, sive quorum synodalibus gestis subscriptio jam tenetur, sive qui non potuistis eidem plenario totius Africae interesse concilio; quo, cum in supradictorum haereticorum damnatione, omnium vestrum fuerit integra subscriptio, nihil omnino sit, unde ullius, vel dissimulationis, vel negligentiae, vel occultae forsitan pravitatis, aliqua videatur merito remansisse suspicio. (Et alia manu:) Opto, Fratres, bene vivatis mei memores. Dat. Kalend. Augusti, Carthagine, Monaxio et Plinta coss. (PL 20, coll. 1009 ss. = PL 45, coll. 1731 s. = PL 48, coll. 399 ss. = PL 56, coll. 495 s.).

 

[83] Imperator Constantius Volusiano PU. Quae quum praeteritae superstitionis, tum recentis, plena vanitatis iamdudum corrigi iusseramus; quotidianis insinuationibus maiora fieri nuntiantur. Et quoniam discordia animos commovet populorum, ea, quae iamdudum iusseramus, praecipimus iterari. Unde his lectis, eximietas tua, omnes, qui dei invident pietati, diligenter inquirat, et eos faciat statim e muris urbis expelli; ita tamen, ut ne intra centesimum quidem lapidem habeant licentiam consistendi. Caelestium quoque magis ac magis ex urbe pelli mandamus; constat enim iisdem e medio sublatis gratiam et concordiam tenere veterem firmitatem. Sane deinceps si tale quicquam fuerit nuntiatum, officium praestantiae tuae capitali sententiae subdendum esse cognosce. Non enim patimur impunitum esse, praecepta nostra exsecutionis negligentia protelari. Vale, parens carissime atque amantissime. Et adiecta subscriptio: Impleatur quod iussimus, quia hoc famae tuae expedit (Haenel 240 s., vedi anche PL 45, col. 1750, PL 48, coll. 404 ss., PL 56, coll. 499 s.).

 

[84] PLRE II, v. Rufus Antonius Agrypnius Volusianus 6, 1184 s.

 

[85] M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 359 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 339).

 

[86] M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 361 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 341 s.), a cui rimando per lett. prec. a 359 ss. = 339 ss., è incerto sulla datazione: «o la costituzione è, effettivamente, degli ultimi mesi del 418, o meglio ancora del 419, ed in tal caso va attribuita a Onorio, non a Costanzo, il cui nome sarebbe stato posto da solo nella inscriptio per errore di amanuense o per compiacente volontà di esaltare la sua personale iniziativa nelle misure antipelagiane; oppure, se Costanzo vi ha avuto parte come membro dell’équipe imperiale, essa dovrebbe essere datata al 421 e l’inscriptio dovrebbe essere corretta con la normale e completa titolatura dei tre imperatori, o, almeno, data l’anomala posizione di Costanzo nei confronti dell’Oriente, dei due colleghi occidentali».

 

[87] M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 362 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 342): «Celestio è tornato a Roma (o, forse, non se ne è mai allontanato e vi ha vissuto, malgrado il precedente bando, protetto da compiacenti complicità: “amica reis secreta”, come dirà Volusiano nell’editto con cui pubblica la costituzione imperiale). Gli animi sono ancora agitati dalle contese: “discordia animos commovet populorum”. Il potere imperiale ritiene necessario intervenire nuovamente per ribadire le precedenti sanzioni».

 

[88] Exemplar edicti propositi a Volusiano Praefecto Urbis. Volusianus Praefectus edixit: Hactenus Caelestium divinae fidei et quietis publicae turbatorem iudiciis amica reis secreta subduxerint. Iam leges et iam edicta persequentur absentem. Cui, quod primum est, aeternae urbis negatur habitatio: ut si vel in proximis fuerit diversatus, debitum non evadat exitium. Pro merito etiam temeritatis atque ausus sui, cunctos huius edicti cautione praemonemus, ne quis iniquus noxio latebram putet esse praebendam: cuique quum horridi sit posita poena supplicii, ac stilum necesse sit proscriptionis incurrere, quisquis reum divinis humanisque rebus apud se putaverit occultandum (Haenel 241. Vedi ancora PL 45, col. 1751, PL 48, coll. 408 s., PL 56, col. 500).

 

[89] C.Sirm. 6: (Impp. Theodosius A. et Valentinianus Caesar Amatio v. i. praefecto praetorio Galliarum) Privilegia ecclesiarum vel clericorum omnium, quae saeculo nostro tyrannus inviderat, prona devotione revocamus. scilicet ut quidquid a divis principibus singuli quique antistites impetrarunt, iugi solidata aeternitate serventur nec cuiusquam audeat titillare praesumptio, in quo nos nobis magis praestitum confitemur. clericos etiam, quos indiscretim ad saeculares iudices debere deduci infaustus praesumptor edixerat, episcopali audientiae reservamus, his manentibus, quae circa eos sanxit antiquitas. Fas enim non est, ut divini muneris ministri temporalium potestatum subdantur arbitrio. illustris itaque auctoritas tua omni aevo mansura quae iussimus in provinciarum missa notitiam praecipiet etiam sub poena sacrilegii custodiri, specialiter id illustribus comprehensura praeceptis, ut in omnibus circa ecclesiastica privilegia veterum principum statuta serventur. Diversos vero episcopos nefarium pelagiani et caelestiani dogmatis errorem sequentes per patroclum sacrosanctae legis antistitem praecipimus conveniri: quos quia confidimus emendari, nisi intra viginti dies ex conventionis tempore, intra quos deliberandi tribuimus facultatem, errata correxerint seseque catholicae fidei reddiderint, gallicanis regionibus expelli adque in eorum loco sacerdotium fidelius subrogari, quatenus praesentis erroris macula de populorum animis tergeatur et futurae bonum disciplinae iustioris instituatur. Sane quia religiosos populos nullis decet superstitionibus depravari, manichaeos omnesque haereticos vel schismaticos sive mathematicos omnemque sectam catholicis inimicam ab ipso aspectu urbium diversarum exterminari debere praecipimus, ut nec praesentiae quidem criminosorum contagione foedentur. Iudaeis quoque vel paganis causas agendi vel militandi licentiam denegamus: quibus christianae legis nolumus servire personas, ne occasione dominii sectam venerandae religionis inmutent. Omnes igitur personas erroris infausti iubemus excludi, nisi his emendatio matura subvenerit.

 

[90] Vedi, ad es., J.N.L. Myres, Pelagius and the End of Roman Rule in Britain, cit., 31, secondo cui, il rescritto di Valentiniano iii «coincided with some effective disciplinary action against heretical clerics inspired by Pope Celestine».

 

[91] Per la norma vedi in particolare: J. Gaudemet, La première mesure législative de Valentinien III, cit., 129 ss. (= Id., études de droit romain. I, cit., 259 ss.); M.R. Cimma, A proposito delle ‘constitutiones Sirmondianae’, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana 10, Napoli 1995, 378 ss.

 

[92] J. Gaudemet, La première mesure législative de Valentinien III, cit., 130 (= Id., études de droit romain. I, cit., 262).

 

[93] Secondo M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 350 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 327), il testo di C.Sirm. 6 si inserisce in una raccolta, plausibilmente costituita in Gallia, che «ha accolto l’esemplare del provvedimento imperiale qual era noto ed applicato in quel territorio, forse traendolo proprio dagli archivi della prefettura pretoriana». Per l’Autore, comunque, la norma aveva «una portata generale, per lo meno per tutta la parte occidentale dell’Impero sottoposta al governo del giovane Valentiniano, nella quale la controversia pelagiana aveva avuto, del resto, il suo centro».

 

[94] Per la scelta di Patroclo vedi J. Gaudemet, La première mesure législative de Valentinien III, cit., 136 (= Id., études de droit romain. I, cit., 268).

 

[95] Secondo J. Gaudemet, La première mesure législative de Valentinien III, cit., 136 (= Id., études de droit romain. I, cit., 268) l’usurpatore Giovanni favorì la diffusione in Occidente delle teorie pelagiane.

 

[96] Rileva invece varianti di tipo sostanziale: M.R. Cimma, L’‘episcopalis audientia’ nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, Torino 1989, 107 s.; Ead., A proposito delle ‘constitutiones Sirmondianae’, cit., 380 ss.

 

[97] Secondo J. Gaudemet, La première mesure législative de Valentinien III, cit., 139 (= Id., études de droit romain. I, cit., 271), può apparire «surprenant» l’assenza di una espressa menzione della questione pelagiana nella redazione della costituzione inviata a Fausto, praefectus urbi, conservata in C.Th. 16.5.62. Per l’Autore «On ne peut d’ailleurs exclure que le texte envoyé au préfet ait mentionné in terminis les Pélagiens dans une proposition qu’auraient omise les compilateurs du Code Théodosien. [...] Mais, qu’ils aient été ou non nommément désignées, ils nous paraissent être visés dans la constitution au préfet de Rome comme dans celle au préfet des Gaules. Les raisons de le faire étaient identiques car les Pélagiens étaient à Rome comme en Gaule» (141 = 273). Per quanto riguarda la redazione della norma inviata ad Anicius Auchenius Bassus, comes rerum privatorum, in C.Th. 16.5.64 e C.Th. 16.2.47, Gaudemet ritiene «impossible de faire une hypothèse sur la teneur complète du texte» (142 = 274).

 

[98] M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 362 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 342): «all’epoca della formazione del Codice Teodosiano, di Pelagio, di Celestio e dei loro seguaci non v’è più menzione. Ma questo silenzio è dovuto, forse, soprattutto alla scarsa eco che la controversia aveva avuto in Oriente».

Dalle ricerche di J.N.L. Myres, Pelagius and the End of Roman Rule in Britain, cit., 25, appare come la controversia teologica sul concetto di gratia si riscontra nei rescritti imperiali nell’arco temporale tra il 360 e il 419. Circa la metà di questi, diciannove interventi imperiali databili tra il 390 e il 419, sono rescritti emanati «in exactly the crucial years of the Pelagian controversy itself». Per l’A. appare significativo che gli «attacks on gratia» non si registrano dopo il 419, esattamente l’anno successivo al primo rescriptum contro il pelagianesimo. È ancora più notevole che nel Codice Teodosiano non appaia la legislazione antipelagiana, nonostante che al momento della compilazione «the Pelagian question was still a live issue». La spiegazione dell’assenza di tale normativa nel Codice Teodosiano viene indicata dall’Autore a pagina 31: «It is even possible to think that the omission of these anti-Pelagian rescripts from the Theodosian Code may have been due to something other than mere carelessness on the part of its compilers. After all the efforts of successive emperors for over 100 years to eliminate the pernicious influence of gratia in public life, may it not have seemed a trifle too embarrassing to put on public record the suppression of the inimici gratiae, and the all too obvious fact that on their expulsion there will be nothing to prevent gratia from recovering its former supremacy? The decision to suppress Pelagius thus fatally compromised future official efforts to purify the public service and there are in fact no more rescripts attacking gratia in the Code after 419. It is tempting, but doubtless idle, to speculate what might have been the consequences for the future of the Roman world if, by dome miracle, Pelagius had won his battle against Augustine and the bureaucrats and carried through a purge of gratia from public life».

 

[99] M. Sargenti, Contributi alla palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali. II. Momenti della normativa religiosa da Teodosio I a Teodosio II, cit., 362 (= Id., Studi sul diritto nel tardo impero, cit., 342).

Vedi ad esempio il pensiero del teologo Johannes Driedo (1480 ca.-1535), il quale percepiva il pelagianesimo e gli orientamenti moderni vicini a questa dottrina come un pericolo attuale, su cui T. Dhanis, L’anti-pélagianisme dans le «De captivitate et redemptione humani generis» de Jean Driedo, in Revue d’histoire ecclésiastique 51, 1956, 454 ss.

 

[100] Acta conciliorum Œcumenicorum [da ora in poi ACO], I.1.3, ed. E. Schwartz, Berolini-Lipsiae 1927, 68, vedi anche Haenel 247 s.

 

[101] ACO I.3.1, 181 s.: Rescriptum legis sacrae contra Nestorium Imperatores Caesares Theodosius et Valentinianus victores triumphatores maximi semper venerabiles Augusti. Debita a nobis piissimae religioni cultura eos qui circa divinitatem impie agunt, poenis puniri dignis et nominibus eorum pravitati convenientibus eos appellari vult, ut exprobationibus subditi aeternam contumeliam delictorum sustineant et neque viventes extra supplicium neque morientes sine contumelia esse noscantur. Nestorio igitur monstruosae doctrinae principe condemnato, superest unianimes eius et impietatis socios nomini subicere vituperando, ne Christianorum utentes vocabulo eorum nomine decorentur a quorum dogmate agentes impie recesserunt. Propter haec sancimus ubique Nestorii nefandae sectae communicatores Simonianos nominari (oportet enim eos qui in divinitatis aversione illorum imitantur impietatem, appellationem illi sortiri consimilem, quemammodum Arriani lege divinae memoriae Constantini Porphyriani propter similitudinem impietatis Porphyrii nominantur, qui veram religionem temptans verbi virtute comprimere libros sibimet sceleratos, non eruditionis commenta dereliquit) et ut nullus praesumat eiusdem Nestorii nefandi atque sacrilegi impios libros de venerabili orthodoxarum religione et contra dogmata episcoporum Epheseni sancti concilii retinere aut legere aut transcribere, quos oportet omni studio requisitos publice concremari (hoc enim modo omni impietate radicitus amputata simplex et quae potest seduci facile multitudo nullum erroris semen aliquando poterit invenire) et neque memoriam ita perditorum hominum in aliquo religionis colloquio aliter quam Simonis nomine nuncupari neque domum eis aut aperte praeberi. Tales enim decernimus omni licentia synodi esse privatos, cum omnibus palam sit quia qui transgreditur hanc legem et Nestorium imitatur, rerum suarum confiscatione multabitur. Sublimis igitur et clarissima tua potestas hanc constitutionem nostram ad notitiam universorum provincias habitantium praeceptis sollemnibus pervenire procuret. Hanc autem legem in Latina et Graeca lingua posuimus, ut omnibus aperta sit atque nota.

 

[102] C.Th. 16.5.66: (Impp. Theodosius et Valentinianus AA. Leontio praefecto Urbi) Damnato portentuosae superstitionis auctore Nestorio nota congrui nominis eius inuratur gregalibus, ne christianorum appellatione abutantur: sed quemadmodum arriani lege divae memoriae Constantini ob similitudinem impietatis porfyriani a Porfyrio nuncupantur, sic ubique participes nefariae sectae Nestorii simoniani vocentur, ut, cuius scelus sunt in deserendo deo imitati, eius vocabulum iure videantur esse sortiti. 1. Nec vero impios libros nefandi et sacrilegi Nestorii adversus venerabilem orthodoxorum sectam decretaque sanctissimi coetus antistitum Ephesi habiti scriptos habere aut legere aut describere quisquam audeat: quos diligenti studio requiri ac publice conburi decernimus. 2. Ita ut nemo in religionis disputatione alio quam supra dicto nomine faciat mentionem aut quibusdam eorum habendi concilii gratia in aedibus aut villa aut suburbano suo aut alio quolibet loco conventiculum clam aut aperte praebeat, quos omni conventus celebrandi licentia privari statuimus, scientibus universis violatorem huius legis publicatione bonorum esse coercendum.

 

[103] Vedi in tal senso S. Acerbi, Eterodossia e coercitio imperiale nei Concili Ecumenici del V secolo, in Gerión 24, 2006, 360: «Sembra quasi che per estirpare l’eresia nestoriana l’imperatore considerasse necessario cancellarne il nome in ogni parte dell’Impero».

 

[104] Sul prefetto vedi, da ultime, E. Ravegnani, Consoli e dittici consolari nella tarda antichità, cit., 51 s., e C.M.A. Rinolfi, (Fl. Anthemius) Isidorus, in Edicta praefectorum praetorio, cit., 178 s.

 

[105] ACO I.1.3, 69 s.: Flauvio" !Anqevmio" !Isivdwro", Flauvio" Bavsso", kai; Flauvio" Simplivkio" @Rhgi'no" oiJ e[parcoi levgousin. Oujde;n ou{tw fivlon toi'" kratou'sin wJ" to; dia; pavntwn eujsebei'n, oi} dh; eij th'" ejn tai'" pravxesi dihnekw'" ejpimelei'sqai kaq! eJkavsthn wJ" eijpei'n oujk ojknou'sin eujageiva", nuvkta" te kai; hJmevra" sunavptonte" ejpi; frontivsi, povswi ma'llon ejp! aujth'" th'" eujsebeiva" kai; th'" qrhiskeiva" ouj metav spoudh'" aJpavsh" parafulavttein ejgnwvkasi; mellouvsh" toivnun ajnafuvesqaiv tino" paralovgou te kai; ajnoiva" kai; tovlmh" ajnamevstou qrhiskeiva", ma'llon de; oujde; mellouvsh", ajlla; kai; h[dh tina; plavnhn aujqentiva" ejkdikhsavsh", th'i oijkeivai promhqeivai a[neu tino;" tarach'" meta; pavsh" galhvnh", o{per e[mfuton aujtoi'" ejstin ajei; kai; dia; pavntwn fivlon, th;n toiauvthn diovrqwsin genevsqai dievtaxan, tou;" me;n ajrchgevta" th'" paranomiva" ejpitimivoi" toi'" kaqhvkousi swfronivvsante", tw'n de; loipw'n provnoian poihsavmenoi, o{pw" a]n blaptovmenoi mhdevn, nouqesivai de; movnhi ejpi; to; bevltion peiqovmenoi metaruqmisqevnte" mhde;n tw'n prosovntwn ajpokthvsainto, to; de; tevleion kai; o{per ajivdion kai; meta; ajpobivwsin uJpavrcei kth'ma to; th'" eujsebeiva" bebaivw" ejpignovnte" fulavxwsin. ajll! ejpeidh; to; ajnqrwvpinon, prolhfqe;n a{pax kai; saghneuqe;n doleroi'" te lovgoi" kai; ceivrosi logismoi'", duspeiqe;" kai; dei' pro;" tou'to kai; fovbou pollou' kai; barutavtwn ejpitimivwn, tou;" me;n paracaravttonta" ta; th'" pivstew" dovgmata prostavttousin hJsucavzein te tou' loipou' kai; metabouleuvsasqai kavllion kai; mhvte aujtou;" ei[" tina, tovpon sunievnai mhvte eJtevroi" stavdion ajsebeiva" ajpodeiknuvnai ti tw'n aujtoi'" diaferovntwn cwrivwn h] ejn a[stei o]n h] ajpwikismevnon h] plhsiavzon povlei, »h]¼ aJplw'" 9d!Ì a[baton ei\nai toiauvth" sunovdou pa'san th;n gh'n : tou;" dev ge tai'" frenoblabevsi sunqevsesin Nestorivou tiqemevnou" kai; ejfovdia th'" plavnh" ta;" bivblou" e[conta" aujtou' oijkteivrante" ma'llon h] timwrhsavmenoi proaggevllousin ejkei'nav te puri; paradidovnai kai; ajfanivzein, o{pw" a]n mh; mnhmovsuna tosauvth" plavnh" ejn th'i politeivai kalindouvmena ejmpovdia th'i ajlhqei' givnointo pivstei, mhvte gravfein ge e{tera, oi|" mhde; th;n ajrch;n ejmpesei'n eujnagevsteron, mhde; ejntugcavnwsi toi'" toiouvtoi", ajf! w|n hJ zhmiva tou' panto;" th;n ajpwvleian e[cei. tiv ga;r yuch'" kai; pivstew" protimovteron; a} ta; toiau'ta tw'n ajnagnwsmavtwn blavptei kai; to; kaivrion th'" yuch'" tuflou'nta pro;" to; cei'ron ejpeivgesqai paraskeuavzei. kai; i{na mhde; lavqoien oi{tine" ei\en, h] ejpiklhsivn tina e[conte" provsforon uJpomimnhvskoien tou' aujqevntou th'" dramatourgiva" aujth'", eij" ajnavmnhsin a[gonte" o}n kavllion paradivdosqai lhvqhi, Simwnianou;" me;n aujtou;" prostavttousi kalei'sqai, barutavtoi" de; ejpitimivoi", eij parabai'en eij" to; mevllon, swfronivzonte". wJ" d! a]n gnoivhte th;n galhvnhn, th;n eujsevbeian tw'n prostetagmevnwn, th;n provnoian h}n dia; pavntwn toi'" uJphkovoi" nevmousi, tw'n eujsebestavtwn hJmw'n basilevwn tw'n movnwn ajpodidovntwn tw'i kreivttoni dia; pivstew" ajmoibh;n th;n ajxivan tw'n eij" aujtouv" te kai; th;n oijkoumevnhn a{pasan katablhqeisw'n eujergesiw'n, tou'de hJmw'n tou' progravmmato" kata; to; eijwqo;" to;n tou' qeivou fwto;" gevmonta novmon prolavmpein prosetavxamen, w|i peisqevnte" timwriva" eJautou;" ejleuqevrou" katasthvsete kai; eij" to; mhvllon tou' mevkou" tou' panto;" aijw'no" eujsebei'n maqovnte" ajqanavtoi" eujrgesivai" prosomilhvsete, tosau'ta wjfelhqevnte" o{sa te basileu;" nomoqetw'n qeov" te eujsebouvmeno" pevfuken wjfelei'n. Vedi anche Haenel 247. Per un commento di questo edictum vedi C.M.A. Rinolfi, Editto di Fl. Anthemius Isidorus di pubblicazione di costituzione imperiale contro Nestorio e i suoi libri, in Edicta praefectorum praetorio, cit., 133 ss.

 

[106] ACO I.3.1, 182 s. (Collectio Casinensis): Flavius Anthemius Isidorus, Flavius il Bassus et Flavius Simplicius Reginus praefecti dicunt. Nihil ita carum imperatoribus est quomodo semper agere pie aut actibus huiusmodi diligentiam adhibere; qui cottidie, ut ita dicatur, non differunt noctes et dies curis continuantes [et] quanto magis in ipsa pietate hoc cum omni studio servare consueverunt? Futura igitur emergere quadam inrationabili et insensata et praesumptione plena religione, magis autem non futura, sed iam etiam quandam erroris auctoritatem sibimet vindicante, sua providentia sine quolibet tumultu et cum omni tranquillitate, quae eis semper inserta est et amica per omnia, huiusmodi emendationem fieri praeceperunt, principes quidem iniquitatis poenis conpetentibus castigantes, reliquorum vero providentiam facientes, quatenus laesi nihil, sed ammonitione sola ad meliora deflexi atque conversi nihil quidem suorum amitterent, quae vero perfecta est et aeterna et post vitam consistit, possessionem pietatis cognoscentes, eam firmissime custodirent. Sed quoniam hominum genus praeventum semel et saginatum dolosis sermonibus, melioribus rationibus inpersuasum est et egent ad hoc etiam timore praecipuo poenisque gravissimis, eos quidem qui adulterantur fidei dogmata, de cetero cessare praecipiunt et cogitare quae meliora sunt, et neque eos in quemlibet locum convenire neque aliis stadium impietatis ostendere aliquod sibi competentium praediorum sive in urbe consistens sive extra urbem aut urbi vicinum, sed simpliciter inadibilem esse huiusmodi concilio omnem terram. Eos autem qui vesanis compositionibus Nestorii consentiunt et occasionem errorum libros habent eius, miserantes magis quam punientes, praedicunt illos quidem igni contradere atque exterminare, ne memoria tantae laesionis in re publica revoluta impedimenta verae fidei faciat, nec transcribi exemplar eorum quos neque scribere a principio neque invenire fuerat bonum, neque legere talia ex quibus damnum totius perditionis accidat. Quid enim animae et fidei praeponendum est? Quibus nocent huiusmodi lectiones, quae et integritatem animae excaecare possunt et ad peiora compellere. Et ut neque lateant qui sint, aut vocabulum quoddam conveniens habentes commemorent conpositionem fabulae ipsius, ad memoriam revocantes quod esset melius oblivioni contradi, Simonianos quidem eos nuncupari praecipiunt, gravissimis vero suppliciis, si in futuro transcenderint, castigantes. ut autem cognoscatis tranquillitatem, pietatem praeceptorum, providentiam quam per omnia subiectis attribuunt, piissimorum nostrorum principum, qui soli restituunt deo per fidem repensationem dignam beneficiorum quaae in eos et in universo terrarum orbe largitur, huic nostrae conscriptioni secundum consuetudinem divina luce plenam legem praefulgere praecipimus, cui oboedientes supplicio vosmet ipsos liberos facietis in futura longitudine totius aevi, agere pie discentes immortaliaque beneficia promerentes, et in tantum vobis proderit quantum imperator sanciens et deus recte adoratus solitus est prodesse.

 

[107] Così M.V. Escribano Paño, La quema de libros heréticos en el Codex Thedosianus XVI,5, cit., 198.

 

[108] F. Goria, La prefettura del pretorio tardo-antica e la sua attività edittale, Lezione tenuta presso la Sede napoletana dell'AST il 24 maggio 2011, nel sollevare la questione circa lo “spazio di autonomia” nelle “nuove formazioni territoriali” dell’Impero postcostantiniano, rileva «che gli editti prefettizi di pubblicazione di costituzioni imperiali potevano indirizzare l’interpretazione delle medesime in senso forse non pienamente conforme alla volontà del loro autore».

 

[109] Vedi: [O.] Seeck, v. Anicius 33, in P.-W., 1.2, 1894, col. 2020; Id., v. Bassus 28, in P.-W., 3.1, 1897, col. 108; PLRE II, v. Fl. Anicius Auchenius Bassus 8, 220 s.; R. Delmaire, Les responsables des finances impériales au Bas-Empire romain (IVe-VIe s.). études prosopographiques, Bruxelles 1989, 209 ss.; E. Ravegnani, Consoli e dittici consolari nella tarda antichità, cit., 49.

 

[110] C.Th. 16.2.47 iunge C.Th. 16.5.64 del 6 agosto del 425.

 

[111] C.Th. 10.26.1 = C. 11.72(71).1 del 6 marzo; C.Th. 4.10.3 = C. 6.7.4 del 30 marzo; C.Th. 16.7.7 = C. 1.7.4 del 7 aprile iunge C.Th. 16.8.28; vedi dello stesso anno anche C. 5.4.21, C. 11.48(47).18, C. 12.1.14, e C.Th. 4.6.7 senza data (collocata tra il 425 e 428 in PLRE II, 220).

 

[112] PLRE II, v. Anthiocus (Chuzon I) 7, 103 s.

 

[113] CIL 6.1783 del 3 settembre rinvenuta a Roma: ... Dedicata [3] Sept(em)b(res) [Bas]so et Antiocho vv(iris) cc(larissimis) conss(ulibus); CIL 10.7168 (Siracusa): Hic posita est Silbana quae quiescit in pace deposita est XI Kal(enda)s Dece(m)bris(!) cc(on)ss(ulibus) Fl(a)<v>(is) Basso et Anthioco vv(iris) cc(larissimis); CIL 3.9516 (Salona in Dalmazia): Depositio Victuri advocati die V Nonaru(m) Octobr(ium) Basso et Antiocho conss(ulibus) qui vixit ann(os) XXX et mens(es) II. Cfr. anche CIL 6.1791= AE 1993, 121, trovata a Roma: ... [inl]ustris ex consule ord(inis) Aucheni Bassi v(iri) c(larissimi) ...

 

[114] PLRE II, v. Petronius Maximus 22, 749 ss.

 

[115] PLRE II, v. Anicius Acilius Glabrio Faustus 8, 452 ss.

 

[116] Vedi l’ep. 3 di Sisto, e gli atti del concilio in Mansi 5, Florentiae 1761, rispettivamente in coll. 1054-1056 e 1061-1068.

 

[117] Vedi sul personaggio: [O.] Seeck, v. Reginus 1, in P.-W., 1.A.1, 1914, col. 475; PLRE II, v. Fl. Simplicius Reginus 4, 937.

 

[118] PLRE II, v. Antiochus 6, 102 s.

 

[119] PLRE II, v. Eubulus, 403.

 

[120] S. Acerbi, Eterodossia e coercitio imperiale nei Concili Ecumenici del V secolo, cit., 355 ss., da una analisi degli interventi imperiali emanati a cavallo tra il Concilio di Efeso del 431 e il Concilio di Calcedonia del 451, evidenzia le «linee di tendenza costanti nella impostazione di fondo della normativa romano-cristiana contro l’eterodossia religiosa» (368); nella repressione del nestorianesimo Teodosio ii «si sottordina alle decisioni sinodali facendosi esecutore delle disposizioni del concilio».

 

[121] Interpretatio, inquit, sacrae quae promulgata est magnificentissimis et gloriosissimis praefectis de exilio in Petram magnificentissimi comitis Irinaei. Damnato principe portentuosae culturae Nestorio, iustum est ut impiae eius culturae participes sentiant validissimam pœnam. Ob hoc Irinaeum, qui maledictum Nestorii cultum non solum secutus est, sed et instituit et studuit multas cum eo provincias, eo quod ipse tali culturae praeesset, evertere, nudatum cunctis dignitatibus et insuper ipsa propria facultate, et Photium vero eisdem impietatibus implicatum, adaeque facultate nudatum, quae et in publicam proficiet rationem, in Petris exiliari decernimus, ut paupertate perpetua et locorum solitidine crucientur, Isidore pater honorandissime. Gloriosa igitur atque magnifica auctoritas tua nostro huic decreto pragmatico competenter oboediet, deputato sufficiente solacio, ut ad praefatum exilii tramitem praefati religionis nostrae violatores abigantur (ACO I.4.2, 203).

 

[122] Su questo personaggio vedi da ultimi: S. Acerbi, Un’accusa di bigamia negli atti del II Conc. di Efeso (a. 449): Il caso di Ireneo, vescovo di Tiro, in Il matrimonio dei Cristiani: esegesi biblica e diritto romano. XXXVII Incontro di studiosi dell’antichità cristiana. Roma, 8-10 maggio 2008, Roma 2009, 295 ss., spec. 300 ss.; Ph. Blaudeau, Sources conciliaires et histoire de l’empire romain: une lecture de Fergus Millar, in Rome, a City and Its Empire in Perspective. The Impact of the Roman World through Fergus Millar’s Research, a cura di S. Benoist, Leiden 2012, 148 ss.

 

[123] Su Fozio vedi W. Enßlin, vv. Photios 6 e Photios 7, in P.-W., 20.1, 1941, col. 663.

 

[124] Sull’esilio di questi due personaggi vedi: M. Bianchi Fossati Vanzetti, Le novelle di Valentiniano III, I, cit., 119 ss.; F. Millar, A Greek Roman Empire. Power and belief under Theodosius II 408-450, Berkeley-Los Angeles 2006, 179 s.

 

[125] Per un commento dell’atto prefettizio vedi C.M.A. Rinolfi, Epistula (?) di Fl. Anth. Isidorus, a seguito di sanctio pragmatica di Teodosio II sull’esilio di Ireneo e Fozio, in Edicta praefectorum praetorio, cit., 138 ss.

 

[126] La redazione dell’atto prefettizio conosciuto, in assenza del testo originale in lingua greca, è una traduzione latina compiuta da Rusticus, un diacono del VI sec. (su cui vedi S. Petri, Il diacono Rustico, traduttore e teologo, in Koinonia 3, 2009, 171 ss.).

 

[127] Interpretatio, inquit, praefecti praecepti subuectus. Quae sint quae de Irinaeo et Photio sunt sancita a divino et immortali vertice, praefulgens divinarum litterarum tenor ostedit. Magnificentia igitur tua his quae sunt decreta divinitus, absque mora oboediens, ad loca in quibus iussi sunt duci, cum competenti solacio praeparet veredos duo cum duobus parippis Oresti et Stephano singulariis, qui directi sunt ad peragenda quae divinitus sunt decreta quaeque nostris praeceptionibus continentur, coadiuvantibus eos ex Syria tam regionum iudicibus quam provinciarum quarumque ordinibus, insuper et defensoribus et reliquo solacio vel auxilio et decurionibus vel curialibus (ACO I.4.2, 203).

 

[128] ACO I.1.3, 67: !Antivgrafon eJrmhneiva" basilikou' qespivsmato" grafevnto" pro;" !Isivdwron e[parcon praitwrivwn kai; u{paton peri; th'" ejxoriva" Nestorivou. Eij kai; th'" tw'n dhmosivwn pragmavtwn frontivdo" perifanhv" ejstin hJ hJmetevra spoudhv, o{mw" oujc h{ttwn par! hJmi'n th'" aJgiwtavth" qrhiskeiva" hJ ajsfavleia, h'Jsper qerapeuomevnh" par! hJmw'n kai; ejn tai'" dhmosivai" creivai" pisteuvomen eJautou;" bohqei'sqai. kai; dia; tou'to, ejpeidh; Nestovrio" oJ th'" kaqolikh'" pote ejkklhsiva" iJereuv", nu'n de; tn'" pivstew" prodovth", thlikouvtoi" musarw'n megevqesin ejndedemevno" faivnetai kai; ajnagkai'ovn ejstin i{na ajpofavsei th'" hJmetevra" galhnovthto" uJpoblhqei;" th'i aJrmozouvshi toi'" oijkeivoi" trovpoi" talaipwrivai katabarunqeivh, o{sti" kataleifqevntwn tw'n sebasmivwn novmwn th'" ejkklhsiva" ajqemivtou aiJrevsew" aujqevnth" ejfavnh kai; ejn tw'i diafqeivrein aujtw'n th;n pivstin ou{stina" th'i koinwnivai th'" eJautou' prodosiva" sunh'yen, eij" to; oijkei'on eJautou' provswpon ajnevlabe kai; to; e[gklhma th'" prodosiva" th'" ajllotriva", hJ e[ndoxo" toigarou'n sou aujqentiva tou' pragmatikou' touvtou h[toi ijdikh'" aujqentiva" uJpodeicqeivsh" to;n mnhmoneuqevnta Nestovrion eij" ejxoriva" Pevtra" eij" to; dihneke;" prostaxavtw uJpe;r tw'n hjsebhmevnwn aujtw'i katacqh'nai ou{tw" w{ste pavnta aujtou' ta; uJpavrconta th'i ejkklhsivai Kwnstantinoupovlew" proskurwqh'nai pro;" to; tou' sebasmiwtavtou tovpou ta; pravgmata aujxhqh'nai, ouJ' proevdwke prwvhn to; musthvrion. ou{tw ga;r e[stai ejn tai'" yucai'" tw'n ajnqrwvpwn hJ eujlavbeia th'" aJgiwtavth" pivstew" ajblabh;" kai; tou' hJmetevrou basileivou hJ eujdaimoniva ojcurwqei'sa th'i qrhiskeivai ajnqhvsei. Le collezioni ecclesiastiche conservano anche la versione latina: Interpretatio sanctionis imp. scriptae ad Isidorum gloriosissimum praefectum praefectum praetoriorum et cons. ordinarium. Licet circa sollicitudinem publicarum rerum clarum sit nostrum studium, non tamen minor apud nos est religionis cautela sanctissimae, qua videlicet a nobis custodita etiam in publicis utilitatibus nos audiuvari confidimus. Et propterea, quoniam Nestorius, catholicae ecclesiae aliquando sacerdos, nunc autem fidei proditor, tantis nequitiae molibus implicatus apparet et necessarium est ut sententiae nostrae tranquillitatis subditus congrua calamitate suis moribus oneretur, qui relictis venerabilis ecclesiae sanctionibus nefandae haeresis auctor apparuit, et sum corruperit fidem eorum quos sibi proditionis societate copulavit, in sua persona recepit etiam crimen proditionis alienae, tua igitur auctoritas gloriosa hoc pragmatico sive speciali auctoritate suscepta memoratum Nestorium in iuge exilium Petrae pro impietatibus suis deduci praecipiat, ita ut omnis eius substantia Constantinopolitanae applicetur ecclesiae, ut res eius accipiat reverentissimus locus, cuius pridem prodidit sacramentum. Sic enim erit in animabus hominum sincera sanctissimae reverentia fidei et felicitas nostri imperii munita religione florebit (ACO I.3.1, 180 s., vedi anche Haenel 246 s.).

 

[129] Vedi: C.Th. 10.20.18 = C. 11.9(8).5 dell’8 marzo, C.Th. 11.1.37 e C.Th. 11.5.4 = C. 10.17.2 del 28 agosto.

Così anche M. Bianchi Fossati Vanzetti, Le novelle di Valentiniano III, I, cit., 120.

 

[130] ACO I.1.4, 66, vedi anche Haenel 248 (per i problemi sollevati dalla collocazione di questa norma da parte dell’Haenel rimando a C.M.A. Rinolfi, Editto (?) di un pp. ignoto di pubblicazione di una costituzione imperiale contro i libri di Porfirio, Nestorio e Ireneo [prob. Anthiocus (Chuzon)], in Edicta praefectorum praetorio, cit., 142.

 

[131] C. 1.1.3: Aujtokravtore" Qeodovsio" kai; Oujalentiniano;" AA. @Ormivsda ejpavrcw praitwrivwn. 1. Qespivzomen pavnta, o{sa Porfuvrio" uJpo; th'" eJautou' maniva" ejlaunovmeno" h] e{terov" ti" kata; th'" eujsebou'" tw'n Cristianw'n qrhskeiva" sunevgraye, par! oiJwdhvpote euJriskovmena puri; paradivdosqai. pavnta ga;r ta; kinou'nta to;n qeo;n eij" ojrgh;n suggravmmata kai; ta;" yuca;" ajdikou'nta oujde; eij" ajkoa;" ajnqrwvpwn ejlqei'n boulovmeqa. 2. #Eti qespivzomen tou;" zhlou'nta" th;n ajsebh' Nestorivou pivstin h] th' ajqemivtw aujtou' didaskaliva ajkolouqou'nta", eij me;n ejpivskopoi eij'en h] klhrikoiv, tw'n aJgivwn ejkklhsiw'n ejkbavllesqai, eij de; laikoiv ajnaqemativzesqai. ejxousivan ejcovntwn tw'n boulomevnwn ojrqodovxwn tw'n eJpomevnwn th' eujsebei' hJmw'n nomoqesiva divca fovbou kai; blabh'" dhmosieuvein aujtou;" kai; ejlevgcein. 3. !Epeidh; de; hj'lqen eij" ta;" eujsebei'" hJmw'n ajkoav", w{" tine" didaskaliva" tina;" sunevgrayan kai; ejxevqento ajmfibovlou" kai; oujk ajkribw'" sumfwnouvsa" th' ejkteqeivsh ojrqodovxw pivstei para; th'" aJgiva" sunovdou tw'n sunelqovntwn ejn Nikaiva kai; ejn !Efevsw aJgivwn patevrwn kai; Kurivllou tou' th'" eujsebou'" mnhvmh" tou' gegonovto" th'" megavlh" !Alexandrevwn povlew" ejpiskopou, keleuvomen ta; me;n gegonovta toiau'ta suggravmmata h] pro; touvtou h] kai; nu'n ejmpivprasqai kai; diaferovntw" ta; Nestorivou, kai; teleivw ajfanismw' paradivdosqai, w{ste mhde; eij" ajnavgnwsivn tino" ejlqei'n: tw'n ta; toiau'ta suggravmmata h[toi bibliva e[cein kai; ajnaginwvskein ajnecomevnwn th;n ejscavthn timwrivan uJforwmevnwn. tou' de; loipou' mhdeni; ejxei'nai para; th;n ejkteqei'san pivstin, kaqavper eijrhvkamen, th;n ejn Nikaiva kai; ejn !Efevsw levgein ti h] didavskein (tr. lat.: Impp. Theodosius et Valentinianus AA. Hormisdae pp. 1. Sancimus, ut quaecumque Porphyrius insania sua compulsus sive alius quilibet contra religiosum Christianorum cultum conscripserit, apud quemcumque inventa fuerint, igni tradantur. omnia enim scripta, quae deum ad iracundiam provocant animasque offendunt, ne ad auditum quidem hominum venire volumus. 2. Praeterea sancimus, ut qui impiam Nestorii fidem adfectant vel nefariam eius doctrinam sequuntur, si episcopi vel clerici sint, sanctis ecclesiis eiciantur, sin laici, anathematizentur: data licentia orthodoxis, qui volunt et piam legislationem nostram sequuntur, absque metu et damno eos denuntiandi et accusandi. 3. Cum autem ad pias aures nostras pervenerit a quibusdam conscriptas et editas esse doctrinas ambiguas neque accurate congruentes cum orthodoxa fide proposita a sancto concilio patrum sanctorum, qui Nicaeae et Ephesi convenerunt, et a Cyrillo piae memoriae, Alexandrinae magnae civitatis quondam episcopo, iubemus tales libros sive antea sive hoc tempore scriptos, imprimis Nestorii, comburi et perfecto exitio tradi, ut ne in cognitionem quidem cuisquam veniant: his, qui tales scripturas aut libros habere et legere continuaverint, ultimum supplicium subituris. ceterum nulli licere praeter fidem, ut diximus, Nicaeae atque Ephesi expositam profiteri quicquam vel docere). Per la norma rimando a: G. Barone-Adesi, Intorno ad una costituzione di Teodosio II (C. I, 1, 3), in Rivista italiana per le scienze giuridiche 18, 1974, 45 ss.; E. Dovere, Ius principale e catholica lex (secolo V), 2ª ed., Napoli 1999, 243 ss.; Id., Normazione Teodosiana «de fide»: la scelta conciliare (aa. 435-449), in Vetera Christianorum 43, 2006, 67 ss. (ora in Studi per G. Nicosia, III, Milano 2007, 247 ss.).

 

[132] PLRE II, v. Hormisdas, 571.

 

[133] Dopo la condanna all’esilio del 435, Ireneo sarebbe rientrato in seno alla dottrina ortodossa, come emergerebbe da alcune lettere di Teodoreto di Cirro (ad es., ep. 110, PG 83, coll. 1304 ss.); egli riuscì quindi a conseguire il perdono imperiale dato che, da laico, fu eletto vescovo di Tiro intorno al 444, o nel 445, o nel 446.

Nella costituzione imperiale si fa menzione di un secondo matrimonio di Ireneo contrario ai canoni apostolici. Vedi in materia S. Acerbi, Un’accusa di bigamia negli atti del II Conc. di Efeso (a. 449): Il caso di Ireneo, vescovo di Tiro, cit., 295 ss.

 

[134] Per questa identificazione, vedi, ad esempio, P. Porena, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, cit., 231 nt. 103. Per il prefetto vedi da ultima C.M.A. Rinolfi, Antiochus (Chuzon), in Edicta praefectorum praetorio, cit., 170.

 

[135] Diavtagma proteqe;n para; tw'n ejpavrcwn meta; tou' qeivou pragmatikou' kata; Porfurivou kai; Nestorivou kai; Eijrhnaivou. Kai; novmwn kai; aujth'" th'" politeiva" suvstasin ei\nai th;n ojrqovdoxon qreiskeivan kalw'" dokimavsa" oJ qeiovtato" hJmw'n aujtokravtwr dia; ijdivou qespivsmato" pa'n ajsebeiva" ajnei'le spevrma, ijwvmeno" me;n dia; swfronismou' summevtrou tou;" tauvthn nosou'nta", oJdo;n de; eujzwiva" pa'sin uJpodeikuv". oi|a toivnun periv te tw'n biblivwn Porfurivou tw'n kata; th'" eujagou'" tw'n Cristianw'n qrhiskeiva" suggrafevntwn kai; tw'n ta;" ajqemivtou" Nestorivou didaskaliva" suggrayamevnwn ejqevspise kai; wJ" oujde;n dovgma peri; qrhiskeiva" dei' kratei'n, eij mh; to; dokimasqe;n para; tw'n sunelhluqovtwn eujlabestavtwn ejpiskovpwn pavlai te ejn Nikaivai kai; meta; tau'ta a{ma Kurivllwi tw'i th'" eujlabou'" mnhvmh" kata; th;n !Efesivwn povlin, e[ti mh;n kai; peri; th'" kaqairevsew" Eijrhnaivou tou' gegonovto" th'" Turivwn povlew" ejpiskovpou, a{pante" ei[sesqe ejk tou' prolavmponto" qeivou qespivsmato" dhloumevnou @Ellhnivdi fwnh'i, w{ste mhdevna touvtwn a[gnoian profasivzesqai. proshvkei toivnun a{panta" meta; pavsh" ajkribeiva" tau'ta parafulavxai, pro; ojfqalmw'n e[conta" th;n tw'i qeivwi gravmmati periecomevnhn ajganavkthsin. !Anegnwvsqh ejn th'i ejkklhsivai tw'n monazovntwn ejn toi'" ejrhmikoi'" Farmouqi; kÑgÑ ijndiktiw'no" aÐ e[tou" Dioklhtianou' rxÑdÑ (ACO I.1.4, 67, vedi anche Haenel 249). Vedi la traduzione latina: Edictum propositum a praefectis cum sacra pragmatica, adversus Porphyrium, et Nestorium, et Irenaeum. Piissimus Imperator noster quum probe noverit, orthodoxam religionem esse, qua leges et respublicae ipsae consistunt, suo edicto omne semen impietatis abstulit; eos quidem qui ea laborant, moderata castigatione sanans; viam vero bene vivendi omnibus indicans. Qualia ergo adversus libros Porphyrii, quos ille contra sanctam Christianorum religionem composuerat, nec non contra illos, qui nefariam Nestorii doctrinam conscripserunt, decreverit; et quod nullum de religione dogma vim ullam habere debeat, nisi quod a reverentissimis piissimisque episcopis, qui quondam in civitate Niceaea, et postea in Ephesina cum venerandae memoriae Cyrillo convenerunt, probatum est: praeterea de depositione Irenaei, qui fuit Tyriorum civitatis episcopus; ex superiori sanctione Graeco sermone declarata omnes cognoscetis, ut nemo harum rerum ignorationem praetexat. Decet proinde omnes summa cum diligentia haec observare, atque indignationem regiis literis insertam ante oculos habere. Lecta sunt haec in ecclesia monachorum in desertis degentium, die XXIII. Pharmuthi, indictione prima, anno Diocletiani CLXIV (Haenel 249). Per un commento dell’editto, C.M.A. Rinolfi, Editto (?) di un pp. ignoto di pubblicazione di una costituzione imperiale contro i libri di Porfirio, Nestorio e Ireneo [prob. Anthiocus (Chuzon)], cit., 141 ss.

 

[136] Come evidenzia M. Bianchi Fossati Vanzetti, Le novelle di Valentiniano III, I, cit., 53 nt. 15: «Per una ristretta comunità, che è possibile riunire per l’ascolto, la lettura è ancora il miglior modo di pubblicazione».

 

[137] La letteratura in materia è vasta. Ricordo, fra i più recenti, S. Pietrini, Sui rapporti legislativi fra Oriente ed Occidente, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 64, 1998, 519 ss.; G. de Bonfils, Commune imperium divisis tantum sedibus: i rapporti legislativi fra le partes Imperii alla fine del IV secolo, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana 13, Napoli 2001, 107 ss.; F. Pergami, Considerazioni sui rapporti legislativi tra Oriente e Occidente: unità normativa o partage législatif?, in Studi in onore di A. Metro, IV, Milano 2010, 527 ss.; P. Lepore, Riflessioni sui rapporti burocratico-legislativi tra Oriente ed Occidente nel tardo impero romano, Roma 2012, di cui vedi spec. Un problema ancora aperto: i rapporti legislativi tra Oriente ed Occidente nel tardo Impero romano, 9 ss. (già in Studia et Documenta Historiae et Iuris 66, 2000, 343 ss.).

 

[138] Il “valore territoriale delle costituzioni imperiali” è stato evidenziato da E. Volterra, specie nell’ambito di ricerche finalizzate allo studio dei metodi seguiti dai compilatori del Codice Teodosiano: Diritto romano e diritti orientali, Bologna 1937 (rist. Napoli 1983, [Antiqua 22]), spec. 278 ss.; L’efficacia delle costituzioni imperiali emanate per le provincie e l’istituto dell’expositio, in Studi di storia e di diritto in onore di E. Besta per il XL anno del suo insegnamento, I. Diritto romano, Milano 1937-1939, 447 ss. (ora in Id., Scritti giuridici. IV. Le fonti [Antiqua 64], Napoli 1993, 389 ss.); Il problema del testo delle costituzioni imperiali, in La critica del testo. Atti del II Congresso Internazionale della Società Italiana di Storia del Diritto, Firenze 1971, 821 ss., spec. 823 (ora in Id., Scritti giuridici. VI. Le fonti [Antiqua 66], Napoli 1994, 3 ss.). La questione è stata affrontata anche da J. Gaudemet: Le partage législatif dans la seconde moitié du IVe siècle, in Studi in onore di P. de Francisci II, Milano 1956, 319 ss., La législation du IVe siècle: programme d’enquête, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana 1, Perugia 1975, 153 s. (entrambi ora in Id., études de droit romain. I, cit., rispett. a 169 ss. e 193 s.); La formation du droit séculier et du droit de l’Église aux IVe et Ve siècles, cit., 19 ss. Vedi inoltre G.L. Falchi, Sulla codificazione del diritto romano nel V e VI secolo, Romae 1989, 25 ss. Cfr. F. Pergami, La legislazione di Valentiniano e Valente (364-375), Milano 1993, xxxiii ss.

 

[139] PLRE II, v. Auxiliaris 1, 206.