LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DELL’ATTIVITÀ CROCIERISTICA *
Università di Sassari
SOMMARIO: 1. La
vicenda della «Costa Concordia». – 2. Mancanza di specificità della tipologia del traffico
crocieristico rispetto alla prevenzione degli incidenti con implicazioni
ambientali. – 3. Mancanza di specificità della tipologia del
traffico crocieristico rispetto alla gestione degli incidenti con implicazioni
ambientali. – 4.
Mancanza di specificità
della tipologia del traffico crocieristico rispetto alla responsabilità per
incidenti con implicazioni ambientali. – 5. La
sostenibilità ambientale del traffico crocieristico. – 6. Conclusioni. – Abstract.
Accanto
alle problematiche in tema di sicurezza della navigazione in senso ampio, ed
alle considerazioni sullo specifico contesto, le implicazioni ambientali sono state fra
i fattori che più hanno avuto risalto sui mezzi di comunicazione di massa, a
seguito della sfortunata vicenda che il 13 gennaio 2012 ha coinvolto la nave «Costa Concordia» davanti
all’Isola del Giglio. Del resto, l’attenzione dell’opinione pubblica per le
conseguenze ambientali del naufragio di una nave da crociera nel Mediterraneo
era stata già catalizzata, in tempi relativamente recenti, dall’episodio, in
parte analogo, del
5 aprile 2007, di fronte all’isola greca di Santorini, che
aveva coinvolto la nave «Sea Diamond»[1].
Quest’ultima, originariamente impiegata, con il nome di «Birka Princess», in servizi di linea fra
Finlandia e Svezia, dopo aver cambiato bandiera, era stata impiegata dalla
compagnia di navigazione cipriota Louis Hellenic Cruise Lines, pur essendo di
proprietà della società maltese Elona Maritime Ltd, ed
essendo iscritta
nel registro marittimo greco, al Pireo[2].
Era certamente doveroso
che gli organi di stampa si soffermassero su entrambe le vicende testé
menzionate, ed è comprensibile che su di esse si concentrasse l’attenzione
dell’opinione pubblica, e che, al di là dei sentimenti evocati dalla perdita
delle vite umane, e dello sconcerto per la sicurezza marittima[3],
sia stata espressa più di una preoccupazione per i profili ambientali. Dai
sinistri in questione è derivata l’effettiva immissione in mare di sostanze
estranee, ed in parte il potenziale rischio che altre sostanze potessero essere
immesse, inducendo la necessità di provvedere ad un’adeguata attività
antinquinante, in particolare (ma non esclusivamente), per quanto concerneva
carburanti e lubrificanti; ciò a prescindere, poi, dalle implicazioni (anche,
ma non solo) paesistiche della presenza di relitti parzialmente emersi nelle
acque di aree di considerevole rilievo ambientale, e comunque a forte vocazione
turistica. A ciò si sono aggiunte le preoccupazioni per le attività di
rimozione[4]
e smantellamento del relitto[5],
per le quali si è provveduto al rigalleggiamento del relitto ed al suo traino
fino a Genova[6]. È
appena il caso puntualizzare che, al di là dei fattori collegati alle
dimensioni considerevoli del relitto[7],
con le relative complicazioni tecniche, ed il maggior rischio che ne poteva
derivare, sotto il profilo ambientale marittimo la vicenda non presentava
aspetti peculiari rispetto ad analoghe situazioni che avessero coinvolto altre
tipologie di navi.
Dal punto di vista
operativo, nel caso specifico della Costa Concordia, l’evacuazione
dell’ingente quantità di idrocarburi presente a bordo (circa 2500 tonnellate) è
rimasta condizionata all’esaurimento delle operazioni relative alla messa in
sicurezza dello scafo[8]. È da sottolineare come
la vicenda abbia avuto come teatro un’area di mare che avrebbe dovuto essere
interessata dalla ancora non istituita Area marina protetta dell’Arcipelago
Toscano, pur prevista dalla legge 31 dicembre 1982 n. 979 sulla difesa del mare[9],
in un contesto caratterizzato comunque dall’istituzione del Parco Nazionale
dell’Arcipelago Toscano, con una perimetrazione a mare che non interessa di per
sé l’Isola del Giglio, ma comprende lo scoglio Le Scole, su cui è avvenuto
l’impatto[10].
Certamente il contesto
delicato in cui l’incidente ha avuto luogo ha contribuito a destare allarmi
sotto più profili. Alle considerazioni più propriamente di carattere
ambientale, si sono aggiunte le comprendibili preoccupazioni di carattere
economico della popolazione rivierasca che ha potuto temere conseguenze
negative sulle proprie prospettive di reddito[11].
È, infatti, innegabile la vocazione turistica dell’Isola del Giglio, così come
lo è quella dell’Isola di Santorini in Grecia: in altri termini, si tratta di
territori, in cui i redditi sono collegati al turismo, con un considerevole
rilievo dell’accessibilità e fruibilità dei siti balneari, e su cui certamente
episodi come quello a cui stiamo facendo riferimento possono incidere in
maniera oltremodo negativa. Anche sulla base di tali considerazioni, a seguito
della vicenda della «Costa Concordia», è stato dichiarato lo stato di emergenza[12],
per il quale si è ovviamente tenuto conto anche del «potenziale pericolo per lo svolgimento di tutte le attività marittime» che
derivava dalla permanenza dello scafo[13].
Se queste sono le
ineludibili premesse, va innanzitutto dato atto che i naufragi delle navi da
crociera (e, a monte, la stessa navigazione di tali navi) non comportano certo
rischi ambientali maggiori di quelli delle navi impiegate in traffici per il
trasporto di merci. In particolare producono certo minor rischio ambientale di
un sinistro che coinvolga navi adibite al trasporto di idrocarburi alla
rinfusa, o di sostanze pericolose, ipotesi che, non a caso, sono state oggetto
di una disciplina uniforme specifica, per le prime già in vigore, ormai da
tempo (il c.d. sistema della «CLC»)[14],
sia pure assoggettata a vari emendamenti ed integrazioni[15],
e, per le seconde, con qualche prospettiva più concreta di poter entrare in
vigore, grazie agli adattamenti recati da un recente protocollo di emendamento
(l’allusione è al regime della c.d. «HNS»)[16].
Tuttavia, è inevitabile
che un evento spettacolare, quale può essere appunto un naufragio marittimo,
ingeneri preoccupazioni maggiori, anche rispetto ai profili ambientali, di
quanto non possa accadere per una fonte di inquinamento costante che,
attraverso un apporto di sostanze estranee senza soluzione di continuità,
costituisca in concreto un vulnus
idoneo ad incidere perniciosamente sull’ecosistema, in misura maggiore e, in
assenza di interventi correttivi efficaci, in maniera irreversibile[17].
D’altronde, come è stato
messo ampiamente in evidenza, la spinta all’adozione di un regime speciale per
la disciplina dei danni derivanti dallo spandimento in mare di idrocarburi
(così come quella verso la definizione di un regime per l’intervento in mare
volto a prevenire le conseguenze dell’inquinamento)[18]
è stata dovuta principalmente ad un incidente di gravi proporzioni al largo
delle coste della Cornovaglia[19],
ed il medesimo rilievo è, mutatis
mutandis, riproponibile anche per i successivi interventi di emendamento
delle convenzioni CLC e FUND; un’analoga considerazione è pure proponibile per
l’Oil Pollution Act degli Stati Uniti
rispetto alla vicenda della Exxon Valdez[20].
Non può certo stupire,
dunque, che la spinta dell’emozione determinata dalla vicenda della Costa
Concordia, abbia finito per indurre all’adozione del c.d. decreto «anti-inchini»[21], il cui ambito di
applicazione non a caso, però, è tutt’altro che circoscritto alle navi da
crociera. In realtà, con il d.m. 2 marzo 2012 si è affermato il divieto di
navigazione, ancoraggio e sosta, nella «fascia di mare che si estende per due
miglia marine dai perimetri esterni dei parchi e delle aree protette nazionali,
marini e costieri, istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6
dicembre 1991, n. 394», e all'interno dei medesimi perimetri»[22]
non solo per le navi da crociera, ma in genere per le «navi mercantili adibite
al trasporto di merci e passeggeri superiori alle 500 tonnellate di stazza
lorda» (art. 1) e si sono dettate norme di navigazione specifica nelle acque
del cosiddetto «Santuario dei Cetacei»[23],
e nel Canale di San Marco, nonché nel Canale della Giudecca, nell’ambito della
Laguna di Venezia (art. 2)[24].
Anche in queste ultime
due ipotesi, la disciplina dettata non è specificamente riferita alle navi da
crociera; anzi, la prima è riferita a tutt’altra tipologia di traffici e di
navi, ovvero quelle «che trasportano su ponti scoperti e in colli sostanze
rientranti nelle tipologie di cui all'allegato III della convenzione
internazionale per la prevenzione dell'inquinamento da navi Marpol 73/78 e al
Codice marittimo internazionale per il trasporto delle merci pericolose (Imdg
Code), anche in rimorchi, semirimorchi, container, camion e vagoni, devono
adottare sistemi di ritenuta del carico che ne garantiscano la massima tenuta e
stabilità in ogni condizione meteomarina, al fine di prevenire e impedire
perdite accidentali dei carichi»[25].
D’altronde, non era
necessario affermare un divieto di tenere rotte eccessivamente vicine alla
costa e potenzialmente pericolose, sia rispetto alla sicurezza della nave e
della comunità a bordo, sia rispetto alla sicurezza dell’ambiente, che è già
presente nell’ordinamento e che vale anch’esso per ogni tipologia di nave, e
non soltanto per le navi da crociera[26].
È appena il caso di
aggiungere che i vincoli alla navigazione sopra riferiti vanno coordinati
(come, del resto, espressamente affermato dal testo che li introduce) con gli
schemi di canalizzazione del traffico[27],
e sono da ritenersi compatibili con i princìpi in materia di esercizio del
diritto di passaggio inoffensivo e, dunque, applicabili anche a navi di diversa
nazionalità[28].
Anche
per quanto concerne la reazione alle vicende patologiche, volte ad arginare le
conseguenze ambientali, non si rinvengono peculiarità per il traffico
crocieristico in quanto tale. Così, anche per la vicenda del Giglio, il primo
intervento è stato operato sulla base del piano antinquinamento locale della
competente Capitaneria di Porto, in conformità all’art. 11 della l. 3 dicembre
1982, n. 979 [29]. In
concreto, si è provveduto a predisporre panne assorbenti attorno alla nave per
contenere le possibili fuoriuscite di carburante. Anche le attività successive
in funzione antinquinante non sono state diverse da quelle che avrebbero potuto
essere adottate per un incidente di pari gravità che avesse coinvolto un’altra
tipologia nave, non adibita al trasporto di sostanze inquinanti o pericolose[30]. La medesima
considerazione vale anche per la fase di rimozione del relitto, con i rischi
che può comportare[31].
Può condividersi in
linea di principio l’assunto che, rispetto a vicende potenzialmente dannose, la
via del risarcimento è soltanto una delle possibili risposte dell’ordinamento
giuridico, con la necessità di prevedere meccanismi di imputazione tanto più
rigidi, quanto meno sia possibile introdurre altri meccanismi di controllo del
fattore di rischio[32].
È stato al riguardo ipotizzato come i cosiddetti sistemi di imputazione
oggettiva possano svolgere una funzione deterrente[33]
e si è anche affermato (fra l’altro svolgendo la tesi proprio nel settore dei
trasporti) che la responsabilità possa svolgere un adeguato ruolo succedaneo
dei controlli pubblici[34].
Peraltro le Convenzioni
CLC e FUND sono il paradigma su cui sono stati costruiti, nell’ottica del
principio «chi inquina paga» («polluter pays»), i regimi di
responsabilità oggettiva («strict
liability»)[35],
che, precorrendo la sua consapevole ed esplicita affermazione nell’ambito della
Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo[36],
hanno caratterizzato le successive convenzioni sulla responsabilità ambientale
marittima[37],
ad iniziare dalla menzionata e non ancora vigente HNS[38],
fino alla c.d. «Bunker Convention» (Convenzione di Londra del 23 marzo 2001
sulla responsabilità per inquinamento da combustibili delle navi), in vigore
per l’Italia a decorrere dal 18 febbraio 2011 [39], chiamata a
disciplinare la responsabilità per i danni da inquinamento, come definiti dal
suo art. 1, punto 9, ovvero quelli consistenti in «perdita o danno all'esterno
della nave causati da inquinamento che risulti da una fuga o dallo scarico di
combustibile ovunque tale fuga o scarico avvengano» (lett. a) e in «costo delle misure
preventive e … perdite o i danni
ulteriori causati da tali misure» (lett. b), nell’ambito del campo di applicazione definito dal successivo
art. 2, ovvero i danni che si verifichino nel territorio dello Stato, ivi
compreso il mare territoriale, e nella zona economica esclusiva (lett. a), nonché le «misure preventive,
ovunque esse siano adottate, destinate a evitare o ridurre al minimo» i
suddetti danni da inquinamento (lett. b).
Va sottolineato,
peraltro come significativa peculiarità rispetto al sistema della CLC, il
superamento della canalizzazione sul proprietario, con estensione dell’ambito
dei soggetti che possono essere chiamati a rispondere anche a «bareboat charterer, manager and operator of
the ship»[40].
Si è così adottata una soluzione diversa da quella della canalizzazione
dell’imputazione, che, nella sua applicazione nel sistema della CLC (pur
giustificata da ragioni economiche connesse alla razionalizzazione delle
coperture assicurative)[41],
è stata fortemente contestata, in particolare dopo la vicenda della nave Erika[42].
Posto che il naufragio
della Costa Concordia risale, come si
è detto, al 13 gennaio scorso, per i danni da inquinamento, si doveva, appunto,
fare applicazione della Convenzione Bunker,
che, a quella data, era in vigore sia a livello internazionale, sia in Italia,
e che non richiedeva, per operare, alcun elemento di estraneità rispetto alla lex fori[43].
La Convenzione, in definitiva, va applicata, ancorché la nave battesse bandiera
italiana, ed il danno di cui si tratta si fosse verificato sul territorio e nel
mare territoriale italiano, per quanto concerne i danni conseguenti alla
fuoruscita di idrocarburi per la propulsione e per i servizi della nave, senza
particolari peculiarità per la particolare tipologia di nave («da crociera»),
che rientra sic et simpliciter nella
definizione di «nave» («ship»)
contemplata dall’art. 1, punto 1, della stessa Convenzione Bunker (ovvero «any seagoing
vessel and seaborne craft, of any type whatsoever»).
Nemmeno dubiterei, peraltro,
che, nell’ambito del danno risarcibile a titolo di misura preventiva, ai sensi
dell’art. 2, lett. b, della
Convenzione in questione debbano ricadere anche le misure adottate
antecedentemente alla fuoruscita effettiva di bunker, purché finalizzate effettivamente ad evitare una tale
conseguenza (c.d. «pre-spill measures»),
sulla base delle medesima considerazioni che, a suo tempo, si sono svolte, per
l’analogo problema che si poneva con riferimento alle pre-spill measures nel sistema della CLC[44].
Deve darsi atto della
persistenza di un profilo alquanto dubbio, connesso alla scarsa tempestività
del legislatore italiano nell’operare l’introduzione di convenzioni
internazionali: la Convenzione Bunker, a differenza del sistema della
Convenzione CLC, pur richiamando nelle premesse il presunto indissolubile
legame fra responsabilità oggettiva e limitazione risarcitoria, non ha un
proprio sistema di limitazione, ma si limita a dichiarare che la sua
applicazione non comporta l’esclusione dei sistemi di limitazione dei crediti
marittimi, di cui alla Convenzione LLMC[45],
o di altra normativa nazionale od uniforme eventualmente applicabile[46].
La Convenzione LLMC non è stata (almeno per ora) ratificata dall’Italia,
nonostante l’autorizzazione di cui alla l. 23 dicembre 2009 n. 201, e
nonostante le difficoltà di coordinamento logico con il d. lgs. 28 giugno 2012,
n. 111, che ha dato attuazione alla direttiva 2009/20/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 23 aprile 2009 sull’assicurazione degli armatori per i crediti
marittimi, che sembra in qualche modo presupporre, con i riferimenti ai
minimali, la ratifica della LLMC[47]. Neanche è ravvisabile
(almeno per l’immediato futuro), una soluzione «anticipatoria», sulla scìa di
altri analoghi interventi[48],
che passi per un regolamento UE, che pure si era intravista nella prima
versione del terzo pacchetto comunitario sulla sicurezza marittima, ma che si è
risolta[49],
nella versione definitiva, nel semplice auspicio di una ratifica da parte degli
Stati membri; ne consegue che, per le navi italiane, il regime risarcitorio de
quo, va coordinato con la limitazione globale del debito armatoriale, di cui
all’art. 275 c. nav., da cui, in qualche caso, potrebbe derivare
un’eccessiva contrazione delle pretese
vantate a titolo di risarcimento, non solo per danno ambientale, ed in genere
delle pretese creditorie[50].
Le
cronache recenti, che abbiamo dovuto evocare, non possono comunque distogliere
dalla necessità di dare atto che la navigazione per acqua resta più sostenibile
da un punto di vista ambientale rispetto a qualsiasi altra modalità di
trasporto[51], e
ciò vale anche quando, in luogo che alla movimentazione di merci, si fa
riferimento a quella di passeggeri[52]. Tale considerazione è
confermata, a maggior ragione, lì dove si abbia come termine di confronto, per
le crociere, un pacchetto turistico che comprenda la combinazione di trasporto
aereo ed alberghi, per consentire un analogo piano di visite su più
destinazioni: è intuitivo quanto, in termini ambientali, la seconda soluzione
ipotizzata abbia incidenza di gran lunga maggiore. Ciò non toglie che la sosta
in porto di navi con un numero elevato di passeggeri e membri di equipaggio
possa dare luogo a problematiche specifiche, in particolare per quanto concerne
lo smaltimento di liquami e residui[53];
è da segnalare, infatti, la tendenza all’ampliamento dimensionale delle navi
impiegate in tale particolare settore, in corrispondenza della diffusione della
crociera come vacanza di massa[54].
A questo riguardo, occorre assicurarsi che le strutture portuali che ricevono
navi da crociera, e navi passeggeri in genere, siano adeguatamente attrezzate a
tal fine. E occorrerebbe anche vigilare perché le tariffe portuali siano
strettamente collegate, secondo principi di trasparenza e non discriminazione,
all’effettivo livello ed efficienza dei servizi resi[55],
ivi compresi quelli di carattere ambientale e non (o almeno non soltanto) al
grado di quanto concerne l’inquinamento atmosferico cagionato dai combustibili;
a questo riguardo è da segnalare che la giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea ha precisato che, ai fini dell’applicazione della direttiva
1999/32/CE del Consiglio, del 26 aprile
1999, relativa alla riduzione del tenore di zolfo di alcuni combustibili
liquidi[56],
rientrano nella nozione di «servizi di linea» anche le crociere «con o senza scali intermedi, che si concludano nel porto di partenza o in
un altro porto, purché tali crociere siano organizzate con una determinata
frequenza, in date precise e, in linea di principio, a orari di partenza e di
arrivo precisi, e gli interessati possano scegliere liberamente tra le diverse
crociere offerte»[57].
Va, d’altro canto, considerato che frequentemente l’esigenza di ridurre
l’impatto sull’ambiente dell’attività crocieristica (come in genere di ogni
navigazione) può essere soddisfatta attraverso l’adozione di accorgimenti che
consentono altresì di ridurre i consumi e che ciò può di per sé costituire uno
stimolo per gli armatori ad adeguare le proprie flotte sotto tale profilo.
Come si è visto,
l’attività di navigazione crocieristica non sembra presentare problematiche
ambientali particolari, rispetto ad altre tipologie di navigazione, al di là
delle implicazioni per il gran numero di persone a bordo, che ha certamente
implicazioni (anche di carattere ambientale) sia sulla gestione dell’ordinaria attività di navigazione della
nave, sia sulla reazione alle situazioni di emergenza. In confronto con le più
diffuse forme di fruizione del turismo, sembra doversi ammettere che le
crociere si presentino fra quelle maggiormente eco-sostenibili.
Occorre anche dare atto
della crescente sensibilità che le imprese di un settore crocieristico maturo
stanno dimostrando, in un contesto caratterizzato dall’attenzione dell’opinione
pubblica, che induce ad una maggiore considerazione degli utenti verso i
profili ambientali. Si sta diffondendo l’assoggettamento volontario a standard
ulteriori rispetto a quelli di legge, o comunque all’anticipazione
dell’applicazione di standard legali
con l’acquisizioni di certificazioni idonee[58].
Queste si basano sul paradigma della verifica e certificazione
dell’affidabilità delle navi da parte dei registri di classe, che tanto rilievo
ha avuto nello sviluppo dei traffici marittimi[59]. Nell’ambito di queste
ultime, va fatta menzione delle notazioni addizionali di idoneità ambientale,
come quelle Green Star/Green Plus del
RINA, o Six Golden Pearls del Bureau
Veritas, che tengono conto, in particolare, di prevenzione dell'inquinamento
marino e di riduzione di emissioni nocive per l'atmosfera, che si stanno
diffondendo fra le imprese del settore crocieristico. Va
anche evidenziato che le compagnie armatoriali che operano nel settore
crocieristico si stanno dotando di navi che rispondono a standard ambientali particolarmente rigorosi. Non sembra inutile
sottolineare che anche in altri settori della navigazione marittima si è assistito
ad un’anticipazione, da parte degli operatori, di criteri che sono stati poi
adottati a livello normativo: un esempio particolarmente significativo è stato,
nel più volte citato settore del trasporto marittimo di idrocarburi, quello dei
fondi risarcitori integrativi e complementari[60].
Al di là di quella che può essere stata la ragione di tale tendenza, è
auspicabile che possa essere seguita anche per quanto riguarda i profili di cui
ci stiamo occupando. Può formularsi l’augurio che sempre di più il rispetto
degli standard ambientali sia uno dei
fattori di cui i potenziali utenti terranno sempre più conto nella scelta degli
operatori di cui avvalersi.
Despite
the outcry about some recent events (Costa Concordia,
Sea Diamond) the cruise
industry does not show problems of environmental
sustainability more serious than
other sector of shipping; on the other hand, cruise activity is more environmentally sustainable than most forms of
tourism. It does not seem necessary to invoke for cruising a special legislation in the field
of environmental protection and safety. It has to
be appreciated the growing sensitivity to the environmental profiles
of ship-owners and
users of the cruise industry.
Nonostante il clamore
suscitato da alcune recenti vicende (Costa Concordia, Sea Diamond) l’industria
crocieristica non presenta problemi di sostenibilità ambientale più gravi
rispetto ad altre forme di navigazione; d’altra parte l’attività crocieristica
è più compatibile per l’ambiente di quanto non lo siano molte altre forme di
turismo. Non sembra necessario immaginare una disciplina ambientale e di
sicurezza diversa da quella che si applica alla navigazione in generale. Si
apprezza la crescente sensibilità verso i profili ambientali del mondo
armatoriale e degli utenti del settore crocieristico.
[Per la pubblicazione degli articoli della
sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review.
Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]
* Il
presente contributo costituisce la rielaborazione della relazione svolta
dall’autore nell’ambito del convegno «La rilevanza delle Crociere nel settore
del Trasporto e del Turismo», svolto a Roma, il 23 novembre 2012, nella Sala
Capitolare del Senato della Repubblica, in ricordo del prof. Antonio Lefebvre
d’Ovidio per i 70 anni del Codice della Navigazione.
[1] A
riprova, v. l’interrogazione scritta E-2185/07 davanti al Parlamento europeo di
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL) alla Commissione relativamente
all’inquinamento marino causato dal naufragio della nave da crociera Sea
Diamond nel golfo di Caldera a Santorini
[2] è stata calcolata la fuoruscita di 50
tonnellate di idrocarburi. Nonostante gli sforzi volti a contenere le
conseguenze dell’incidente, ben due chilometri di costa a Santorini sono
risultati contaminati. Fonte:
Imo, GISIS: Marine Casualties and
Incidents – Incid. ref.: C0006112.
[3] La
letteratura sul caso, nei suoi vari profili, è ormai piuttosto ampia; darne
conto integralmente trascende gli scopi del presente contributo. Vari
contributi sono stati pubblicati nell’ambito delle principali riviste
giuridiche di settore. Inter alia, si
richiamano: R. CARLEO, Caso Costa e class action italiana: le ragioni
di un mancato avvio, in Riv.
dir. nav., 2013, 35; A. Boglione, L’assicurazione della
«Costa Concordia» e la protezione P&I, ivi, 2014, 289; P. Bonassies, Sinistre du Concordia, droit de la mer et problèmes de compétence judiciaire
pour les victimes françaises, in Dr.
mar. fr., 2012; Ph. Boisson, Du
Titanic au Concordia: 100 ans de droit de la sécurité des navires de croisière
- Les grandes étapes, ivi, 2012, 328. Molto ampio, ovviamente, è
stato anche il contenzioso provocato dalla vicenda, non ancora esaurito: al di
là delle azioni risarcitorie e del tentativo di instaurarle al di fuori
dell’Italia (cfr. inter alia App.
Versailles, 9 maggio 2012, in Dr. mar.
fr., 2012, 598, con Observations
di C. Lienhard, ivi, 601; US Distr.
Court, Southern Distr. of California, Giglio
Sub E F. Onida c. Carnival Corp., Costa Crociere ed altri, in Dir. maritt., 2013, 205, con nota di M.F. Sturley, The Forum Non Conveniens
Doctrine in the United States, ivi, 206, e C. Gambino, Costa Concordia, cause risarcitorie e forum non
conveniens: una decisa – e condivisibile – presa di posizione contro la
possibilità di azioni davanti ai tribunali statunitensi, ivi, 209; P. Pisa, Il naufragio della Costa Concordia: i profili di responsabilità penale,
in Dir. pen. processo, 2012, 367; U. LA Torre, Funzione di comando e sicurezza della navigazione, in Rev. Der. Transp.,
12, 2013, 31; Id., Equipaggio, comando e determinazione della
rotta nella navigazione marittima, in Riv.
dir. nav., 2013, 95) si segnalano i procedimenti relativi al licenziamento
ed all’accertamento della responsabilità penale del comandante della nave, fra
cui: Trib. Genova, 9 gennaio 2013, in Foro
it., 2013, I, 1360; Cass., ord. 18 febbraio 2014, n. 3838, in Riv. it. dir. lav., 2014, II, 381, con
note di D. Dalvino, Obbligatorietà del c.d. rito Fornero (anche
per il datore di lavoro) e decisione di questioni nella fase sommaria, ivi,
396, e D. Buoncristiani, Successivo o anche preventivo controllo di
validità di un licenziamento?, ivi, 405; Cass., sez. un., ord. 31 luglio
2014, n. 17433; Cass. pen., 10 aprile 2012-16 maggio 2012, n. 18851, in Riv. dir. nav., 2012, 455 (relativa
all’adozione di misure cautelari personali).
[4] La
rimozione di navi ed aeromobili sommersi in porte, rade, canali o comunque
nelle acque territoriali italiane è oggetto della specifica previsione
dell’art. 73 c. nav., in base alla quale l'autorità marittima può disporla a
spese del proprietario, ove ravvisi un pericolo o un intralcio per la
navigazione (in tema, v. G. Righetti,
Trattato di diritto marittimo, I,
Milano, 1987, 752 ss.; M. Grigoli,
Il
problema della sicurezza nella sfera nautica, I, La sicurezza dei beni
prodromici dell'esercizio nautico, Milano, 1989, 133). A livello
internazionale, sia pure con un ambito geografico piuttosto limitato (si
riferisce ai relitti situati nella zona economica esclusiva od in aree
equivalenti, con esclusione del mare territoriale in quanto tale), va segnalata
in materia la non ancora vigente Convenzione di Nairobi del 18 maggio 2007,
relativa ai relitti che potrebbero portare pregiudizio alla sicurezza di
persone o cose in mare, ovvero all’ambiente marino o costiero (in tema, F. Berlingieri, Le convenzioni
internazionali di diritto marittimo e il codice della navigazione, Milano,
2009, 500 ss.; J.-S. Rohart, La Convention internationale de Nairobi sur
l’enlèvement des épaves (18 mai 2007), in Dir. maritt., 2010, num. spec. in onore di Francesco Berlingieri,
844; V. Rossi, The Dismantling of End-of-Life Ships: the
Hong Kong Convention for the Safe and Environmentally Sound Recycling of Ships,
in IYIL, 2010, 275; R. Shaw, The Nairobi Wreck Removal Convention, in J. Int. Mar. Law, 13, 2007, 429).
[5] È
noto il problema della diffusione delle cattive pratiche in tema di smantellamento
di navi, che hanno condotto, a livello internazionale, all’adozione. Sotto gli
auspici dell’Organizzazione marittima internazionale e dell’Organizzazione
internazionale del lavoro, della (non vigente) Convenzione di Hong Kong del 15
maggio 2009 per un riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l’ambiente
(cfr. M. Le Bihan Guenole, La convention internationale de Hong
Kong du 15 mai 2009 pour le recyclage sur et écologiquement rationnel des
navires, in Dr. mar. fr., 2009, 947); a livello di Unione europea,
la materia ricade nell’ambito del regolamento UE n. 1257/2013 del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, in vigore, ma con applicazione
differita, secondo quanto precisato dal suo art. 32 (in tema, con riferimento
alla fase antecedente all’approvazione del testo definitivo, cfr. L. Krämer, La proposta della Commissione europea per un regolamento sul
riciclaggio delle navi, la Convenzione di Basilea e la protezione
dell'ambiente. Analisi giuridica riassuntiva, in Riv. giur. amb., 2013, 293).
[6] Le
operazioni di traino fino a Genova si sono concluse il 27 luglio 2014. La
vicenda viene evocata come paradisgmatica del complesso rapporto che si
riscontra, in particolare rispetto al danno ambientale, fra misure di
ripristino e misure risarcitorie: cfr. M.
Comporti, Il danno ambientale e
l’operazione rimediale, in Dir. amm.,
2013, 117, ivi, 125 s.
[9]
L’Arcipelago Toscano era in effetti inserito nell’elenco, di cui all’art. 31,
della menzionata l. 979 del 1982, rispetto alla quale la Consulta per la difesa
del mare, ai sensi dell’art. 26, comma 2, avrebbe dovuto procedere agli
accertamenti finalizzati all’istituzione di aree marine protette. La sua
istituzione risulta «prossima» nel sito web
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare: cfr. http://www.minambiente.it/pagina/aree-marine-di-prossima-istituzione.
Sulle aree marine protette ai sensi della l. 31 dicembre 1982, n. 979, v. M. Casanova, La legge sulla difesa del mare e le riserve marine: alcuni spunti
critici, in Quad. reg., 1983, 407; da ultimo G. Garzia, Le aree
marine protette. Funzione amministrativa e nuovi strumenti per lo «sviluppo
sostenibile», Milano, 2011. Nell’ambito di studi dedicati alla tutela delle
coste in generale, v. anche N. Greco,
Le aree marine protette nel quadro della
gestione integrata delle coste, in Dir.
gest. ambiente, 1/2002, 102; E. A.
Imparato, La tutela della costa.
Ordinamenti giuridici in Italia e in Francia, Napoli, 2006, 177 ss.
[11] La
valutazione di tale tipologia di danni sembra incontestabile rispetto a vicende
di questo segno: cfr. (rispetto al sistema della CLC), v. L. Ferroni, Il danno risarcibile nella C.L.C. 1960 e nei protocolli successivi,
in Inquinamento del mare e sicurezza
della navigazione, atti del convegno presso il Castello di Santa Severina (14-15 giugno 2002), a cura di A. Zanelli, Napoli, 2004, 85,
ivi, 115; L. Schiano di Pepe, Inquinamento marino da idrocarburi e
pure economic loss, in Riv. giur. amb.,
1999, 747, ivi, 758; A. Xerri, Il danno all'ambiente marino per
inquinamento causato da navi, in Studi
in onore di Antonio Lefebvre D'Ovidio in occasione dei cinquant'anni del
diritto della navigazione, a cura di E. Turco Bulgherini, Milano, 1995,
1383, ivi, 1393 ss. In giurisprudenza, v. (con riferimento all’incidente che
coinvolse la petroliera Patmos nello
Stretto di Messina) App. Messina, 24 dicembre 1993, in Dir. trasp., 1994, 585, con nota di D. Bocchese, Quali
criteri per quantificare il danno all'ambiente marino?; sulle difficoltà
probatorie, v. D. Gallo, Profili problematici in tema di
responsabilltà civile per danni da inquinamento marino da idrocarburi proveniente
da navi, in Dir. commercio intern., 2013, 167, ivi, 185.
Peraltro,
nella valutazione complessiva delle conseguenze economiche sull’isola, dovrebbe
tenersi conto anche delle entrate derivate dal turismo «macabro» e un po’
voyeuristico dei non pochi che hanno voluto posare direttamente lo sguardo sul
teatro della tragedia e sul relitto della nave coinvolta, oltre che dalla
prolungata presenza dei tecnici che operavano nelle operazioni di rimozione e
degli addetti dei mezzi di comunicazione di massa (si rinvia, sul punto ai
numerosi articoli apparsi sulla stampa quotidiana, fra cui, ad es., Boom di turismo al Giglio per vedere la
Costa Concordia arenata ne Il Sole 24
Ore, 11 agosto 2012. L’attrattività del relitto è proseguita anche dopo il
suo trasferimento a Genova per la demolizione: Genova, la Costa Concordia diventa meta per i turisti in taxi, ne Il Secolo XIX, 28 luglio 2014). Inoltre,
va considerata l’ipotesi che soggetti che
abbiano visto danneggiata la propria attività principale, come pescatori od
imprenditori della ricettività, possano trarre una fonte di guadagno dalle
conseguenze dell’incidente (ad esempio, impiego dei pescatori nell’attività
antinquinante; impiego dell’industria ricettiva nell’ospitalità al personale
impegnato nell’emergenza, o ai giornalisti che seguono l’evento, ecc.
[12] DPCM
20 gennaio 2012 «Dichiarazione dello stato di emergenza per il naufragio della
nave Costa Concordia nel comune dell’Isola del Giglio», nelle cui premesse
veniva evidenziata «l’esigenza di adottare misure urgenti di carattere
straordinario di assistenza alle persone colpite dal disastro e per accelerare
le procedure di rimozione del carburante
e di recupero della nave, la cui ulteriore permanenza nel luogo
dell'affondamento determina il rischio immediato ed attuale di un grave danno
ambientale con la conseguente compromissione dell'habitat naturale e
dell'economia dell'Isola del Giglio che vive essenzialmente di turismo» (il
corsivo è aggiunto).
[13] Oltre
al provvedimento richiamato nella nota precedente, v. anche le premesse
dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 gennaio 2012
recante «Disposizioni urgenti di protezione civile in relazione al naufragio
della nave da crociera Costa - Concordia, nel territorio del comune dell’Isola
del Giglio», con cui si è provveduto alla nomina del commissario straordinario
per gestione dell’emergenza (Ordinanza n. 3998, in G.U. 26 gennaio 2012, n.
21). Gli effetti di tale ordinanza sono poi stati prorogati dell'art. 2, comma
1, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla l.
27 febbraio 2014, n. 15.
[14] Su
tale «sistema», che è andato a costituirsi alla stregua della Convenzione di
Bruxelles del 29 novembre 1969 sulla responsabilità civile (c.d. «CLC Convention») e della Convenzione di
Bruxelles del 18 dicembre 1971 sul fondo internazionale (c.d. «Fund Convention»), v. in generale, G. Camarda, Convenzione «Salvage 1989» e
ambiente marino, Milano, 1992, 59; M.
M. Comenale Pinto, La
responsabilità per inquinamento da idrocarburi nel sistema della C.L.C. 1969,
Padova, 1993. Prima dell’adozione della Convenzione CLC, si era lamentata
l’insufficienza assoluta dei regimi generali di limitazione dei crediti marittimi
applicabili anche alle conseguenze delle fuoruscite di idrocarburi, ed in
genere l’inadeguatezza della disciplina applicabile all’inquinamento marino da
idrocarburi (con riferimento al caso «Torrey
Canyon», v. L. Juda, IMCO and the Regulation of Ocean Pollution
from Ships, in Intern. Comp.
Law Quart., 26/2007, 558; I. Corbier, Les
créances non limitables, in Dr. mar.
fr., 2002, 1038, ivi, 1043.
[15]
Entrambe le convenzioni su cui si fonda il sistema in questione sono state
oggetto di vari emendamenti, sulla base (in particolare) dei due Protocolli di
Londra del 19 novembre 1976 e dei due successivi due successivi protocolli di
Londra del 27 novembre 1992, nonché del Protocollo di emendamento di Londra del
16 maggio 2003 alla (sola) Convenzione Fund.
Non sono mai entrati in vigore i due Protocolli di emendamento di Londra del 25
maggio 1984, che, tuttavia, sono sostanzialmente riprodotti in quelli del 1992.
[16]
Convenzione di Londra del 3
maggio 1996 sulla responsabilità per inquinamento da sostanze nocive e
pericolose. In tema v. S. Zunarelli,
La Convenzione di Londra sulla
responsabilità nel trasporto di sostanze pericolose e nocive, in Dir. trasp., 1996, 727; L. Schiano di Pepe, La Convenzione intemazionale del 1996 sulla
responsabilità ed il risarcimento per i danni causati dal trasporto per mare di
sostanze nocive e potenzialmente pericolose, in Riv. giur. ambiente, 1998, 977; R.
Cleton, Damage caused during the
carriage of hazardous and noxious substances by sea, in Dir. maritt., 1992, 998. L’Italia, ad
oggi, non ha ratificato tale convenzione, che non ha avuto in generale
successo, tanto da non aver mai raggiunto le condizioni per l’entrata in
vigore. È stato però successivamente approvato un Protocollo di emendamento del
30 aprile 2010, anch’esso ancora non in vigore, che potrebbe facilitare la
ratifica: per informazioni al riguardo, v. N.
A. Martinez Gutierrez, Limitation
of Liability in International Maritime Conventions. The Relationship Between
Global Limitation Conventions and Particular Liability Regimes, London,
2010, 155; G. Olimbo, Il nuovo regime giuridico per il trasporto
marittimo di HNS. Una nuova strategia a protezione dell'eco-sistema marino,
in Riv. mar., febbraio 2012, 29.
[17] Sul
rilievo dell’inquinamento tellurico, oltre che di quello proveniente da navi,
fra le cause dell’impoverimento delle risorse alieutiche, v. A. del Vecchio, Politica comune della pesca e cooperazione internazionale in materia
ambientale, in Dir. Ue, 2005,
529, ivi 534. Secondo una stima, circa l’ottanta per cento dell’inquinamento
marino avrebbe tale origine: cfr. A.
Merialdi, S. Trevisanut, La
protezione dell'ambiente marino, ne La
protezione dell’ambiente nel diritto internazionale, a cura di A- Fodella e
L. Pineschi, Torino, 2009, 315, ivi, 321. Non a caso l’inquinamento tellurico è
espressamente considerato nell’ambito delle fonti inquinanti considerate
nell’ambito della Parte XIII della Convenzione della Nazioni Unite sul diritto
del mare, adottata a Montego Bay il 10 dicembre 1982; v. al riguardo G. Camarda, L'evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale
vigente in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione
dell'inquinamento marino, in Riv.
giur. ambiente, 2001, 699, ivi, 704 ss.
[18]
Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 969 sull’intervento in alto mare (c.d.
Convenzione «intervention»).
[19] Si
allude qui all’incidente che coinvolse la petroliera liberiana Torrey Canyon (marzo 1967): la
letteratura su tale vicenda è particolarmente amplia: v., fra gli altri: J.-P. Quéneudec, L'incidence de l'affaire du Torrey Canyon sur le droit de la mer,
in AFDI, 1968, 701; E. du Pontavice, La pollution des mers par les hidrocarbures, Paris, 1968; G. Kojanec, Equilibre écologique et pollution de la mer; données d'une réglementation
internationale, in Comun. intern.,
1971, 384; J. L. Azcarraga y Bustamante, Algunas
reflexiones en torno al siniestro del Torrey-Canyon, in Anuario Hispano-Luso Americano de Derecho
Internacional, III (1967), 165.
[20] Sul
ruolo catalizzatore degli incidenti rispetto alla produzione normativa, v.
anche S. M. Carbone, Diritto internazionale e protezione
dell'ambiente marino dall'inquinamento: sviluppi e prospettive, in Dir.
maritt., 2001, 956, ivi, 959.
[21] D.m.
(Infrastrutture e trasporti) 2 marzo 2012, n. 79, in G.U. 7 marzo 2012, n. 56,
che detta «Disposizioni generali per limitare o vietare il transito delle navi
mercantili per la protezione di aree sensibili nel mare territoriale», come
modificato dal d.m. (Infrastrutture e trasporti) 30 aprile 2012, n. 60620, in
G.U. 5 maggio 2012, n. 504.
[22] Non è
possibile dar conto dell’ormai amplissima letteratura riferita alle discipline
in questione. V. comunque, per una riflessione sugli sviluppi della l. 6
dicembre 1991, n. 394, G. di Plinio, Aree protette vent’anni dopo. L’inattuazione
«profonda» della legge 394/1991, in
Rivista quadrimestrale di diritto
dell'ambiente, 2011, 29, che denunziava, in particolare, a fronte di un
incremento numerico delle aree protette, una «caduta verticale del grado di
tutela effettiva» (ivi, 30).
[23]
All’origine dell’istituzione di tale area è l'Accordo relativo alla creazione
nel Mar Mediterraneo di un Santuario per i mammiferi marini, firmato il 25
novembre 1999 da Francia, Italia e Monaco hanno firmato a Roma, nell’ottica degli
strumenti di cooperazione regionale auspicati dall’art. 197 della Convenzione
delle Nazioni Unite sul Diritto del mare del 1982. In tema, v. C. Martignoni, Il santuario per la protezione dei mammiferi marini nel Mare
ligure-provenzale, in Riv. giur. ambiente,
2000, 587; G. Camarda, L. Micciché,
Le riserve marine nell'ottica
pluriordinamentale, in Dir. maritt.,
399, ivi, 410 ss.; T. Scovazzi, Lo sviluppo sostenibile nelle aree protette
del Mediterraneo e il Protocollo di Barcellona del 1995, in Riv. giur. ambiente, 2010, 421, ivi, 430
ss.
[24] Il
problema del transito nel Canale della Giudecca è oltremodo controverso.
L’ordinanza 5 dicembre 2013 n. 153 della Capitaneria di porto di Venezia, con
cui si stabilivano limiti di transito per navi passeggeri di stazza lorda
superiore a 40.000 GT, è stata oggetto di impugnazione davanti al Tribunale
amministrativo regionale del Veneto che, con ordinanza 3 ottobre 2014, n. 1253,
ha ordinato la produzione di un documento adottato dal Comitato ex art.
4 della legge n. 798/1984 che anticipa la determinazione di adottare un «decreto interministeriale, volto a
confermare ed applicare le restrizioni al traffico crocieristico lungo il canale di San Marco previste nell’ordinanza
n. 153 del 2013». D’altronde, per evitare il passaggio delle grandi navi
crociera davanti a San Marco, è allo studio l’utilizzazione del canale Contorta
S. Angelo, con progetto a sua volta non immune da suscitare preoccupazioni di
carattere ambientale (si veda, inter alia,
nel sito del Fondo Ambiente Italiano: http://www.fondoambiente.it/Visto-Dal-FAI/Index.aspx?q=grandi-navi-no-al-progetto-del-canale-contorta.
Sulle fasi antecedenti, v. L. N. Meazza,
Inquinamento atmosferico da navi da
crociera e divieto di transito nella Laguna di Venezia, in Amb & Svil., 2014, 613, ivi, 617 ss.
Mentre il presente scritto era in fase di predisposizione grafica, è stata
pubblicata la decisione del Tribunale amministrativo del Veneto che ha accolto
i ricorsi proposti da alcuni operatori avverso la ricordata ordinanza 153/2013:
Trib. amm. reg. Veneto, 10 gennaio 2015, n. 13.
[26] Al
riguardo, deve farsi menzione della regola 34.2.2 della Convenzione SOLAS
(Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare di
Londra del 1° novembre 1974 e successivi emendamenti). In tema, v. da ultimo U. La Torre, Equipaggio, comando e determinazione della rotta nella navigazione
marittima, in Riv. dir. nav.,
2013, 95, ivi, 122. Sulle interrelazioni fra sicurezza della navigazione e
tutela ambientale, v. per tutti E. Turco
Bulgherini, Sicurezza della
navigazione, in Enc. diritto,
XLII, Milano, 1990, 461, ivi, 480. Va comunque dato atto della prassi della
navigazione sottocosta effettuata specialmente da navi da crociera, in
prossimità di località turistiche, in occasione di festività patronali ed
analoghe circostanze: cfr. U. La Torre,
Equipaggio, comando e determinazione
della rotta nella navigazione marittima, cit., 121; S. Girgenti, Un importante segnale istituzionale per la
protezione dell’ambiente marino, in Gazz. ambiente, 3, 2012, 95,
ivi, 98.
[27] Ai
sensi dell’art. 1, comma 2, del d.m. (Infrastrutture e trasporti) 2 marzo 2012,
n. 79, «Sono fatti salvi i provvedimenti riguardanti gli schemi di separazione
del traffico e le rotte raccomandate ovvero obbligatorie nonché le discipline
vigenti nei parchi e nelle aree protette nazionali, marine e costiere,
istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n.
394».
[28] Conf.
U. La Torre, Equipaggio, comando e determinazione della rotta nella navigazione
marittima, cit., 122 s. In generale, sul rilievo della conservazione
dell’ambiente nella regolamentazione del traffico, ai sensi degli art. 21, § 1,
lett. f e 211, § 4, della Convenzione
di Montego Bay del 10 dicembre 1982 sul diritto del mare, cfr. G. Cataldi, Il passaggio delle navi straniere nel mare territoriale, Milano,
1990, 171 ss.
[29] Sul
necessario coordinamento con la Protezione civile nei piani di intervento
locali e nazionale, v. G. Romanelli,
Problemi giuridici della difesa del mare,
in Dir. trasp., I/1988, 73, ivi, 80.
V. anche A. Xerri, Inquinamento del mare: cooperazione
internazionale e legge interna per la difesa del mare, in Riv. guardia fin., 1983, 733, ivi 746 s.
[30] È
stato reso operativo un «piano di contenimento per la fuoriuscita accidentale
di idrocarburi», che
prevede un recupero attivo di eventuali inquinanti con panne assorbenti, panne
di contenimento e pulizia della costa. Sulla possibilità di inquinamento a
terra, sono stati sensibilizzati i comuni di costieri ad adottare e
implementare un piano di risposta in caso di sversamento di idrocarburi. Per
questo sono stati organizzati anche corsi di formazione dal Dipartimento della
Protezione Civile in collaborazione con Ispra – Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale, Legambiente e le istituzioni locali per
istruire volontari e amministratori sulle tecniche di pulizia della costa. I
corsi sono stati realizzati nei comuni della costa e sull’isola del
Giglio. Per monitorare la qualità delle
acque Arpat - Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana e
Ispra hanno avviato un monitoraggio che prevede il prelievo quotidiano delle
acque in prossimità della nave e del dissalatore (fonte: Protezione civile,
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/emergenza_concordia.wp)
[31] In
concreto, nel caso «Costa Concordia», il piano di recupero è stato oggetto di
valutazione di impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica, trasmessa,
con parere favorevole, dalla Direzione generale per le valutazioni ambientali
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del Mare al
Dipartimento della Protezione civile, con nota del 15 maggio 2012.
[32] Cfr.
i rilievi di C. Salvi, Il danno extracontrattuale. Modelli e
funzioni, Napoli, 1985, 86. Si tratterebbe di una conseguenza dello
sviluppo industriale e del progresso tecnologico, che, portando all’«anonimato
del danno», indurrebbe ad una minore attenzione sulla ricerca di una condotta
sanzionabile di un soggetto, da ritenere «autore del danno»: cfr.
V. Carbone, Il fatto dannoso nella responsabilità civile, Napoli, 1969, 9 s. Si
è peraltro sottolineato come si tratti di questione di politica legislativa e
come, nell’ottica della tutela delle vittime, possa essere ipotizzabile, in
alternativa, il ricorso a forme di assicurazione obbligatoria: cfr. in
proposito G. Romanelli, I danni da aeromobile sulla superficie,
Milano, 1970, 57 s.
[33] Ma in
senso diametralmente opposto, v. ad esempio P.
G. Monateri, Responsabilità civile,
in Dig. disc. priv., sez.
civ., XVII, Torino, 1988, 1, ivi, 11. D’altronde, è stato pure
osservato come «da identiche premesse sulla “funzione” che si assume propria
del giudizio di responsabilità, le diverse teorie pervengono poi a risultati
diversificati proprio per quanto attiene al criterio di imputazione ritenuto
ottimale, con riferimento alla premessa adottata» (così C. Salvi, Responsabilità
extracontrattuale (dir. vig.), in Enc.
dir., XXXIX, Milano, 1988, 1186, ivi, 1221 e nota 191. Sulla non raggiunta
soluzione della questione della preferibilità di un criterio di imputazione
all’altro, rispetto alla problematica del «contemperamento di deterrence e compensation», v. (traendo spunto da G. Ponzanelli, La
responsabilità civile. Profili di diritto comparato, Bologna, 1992) S. Sica, La responsabilità civile tra struttura funzione e «valori» (a proposito
di un recente libro), in Resp. civ.
prev., 1994, 543, ivi, 554.
[34] Nell’ottica riportata, con riferimento
specifico all’ambito della sicurezza aeronautica, v. J. M. Jakubiak, Maintaining
Air Safety at Less Cost: a Plan for Replacing FAA Safety Regulations with
Strict Liability, in Cornell J. L. & Pub. Pol'y,
6/1997, 421.
[35] G. Romanelli – M. M. Comenale Pinto, Trasporto, turismo e sostenibilità
ambientale, in Dir. trasp., 2000,
659, ivi, 676. Nella medesima direzione: Responsabilidad civil por contaminación
marina por vertido de hidrocarburos. A propósito del Prestige, Oviedo, 2004, 79.
[36] Sul
rilievo di questa conferenza (che seguiva a quella di Stoccolma del 1972 (su
cui v. A. Ferone, La conferenza delle Nazioni unite
sull'ambiente, in Riv. dir. intern.,
1972, 701; V. Starace, Recenti ·sviluppi della cooperazione internazionale
in materia di protezione dell'ambiente, in Comun. internaz., 1974, 50), v. T.
Treves, Il diritto dell'ambiente a
Rio e dopo Rio, in Riv. giur.
ambiente, 1993, 377; A.-C. Kiss, S.
Doumble-Bill, Conférence des
Nations Unies sur l'environnement et le développement (Rio de Janeiro-juin
1992), in A.F.D.I., 1992, 823.
Per gli sviluppi successivi (vertice di Johannesburg del 2002 e c.d. Conferenza
Rio+20) v. A. Fodella, Il vertice di Johannesburg sullo sviluppo
sostenibile, in Riv. giur. ambiente,
2003, 385; G. G. Nucera, La governance ambientale internazionale. L'UNEP e la necessità di una riforma verso
Rio+20, in Rivista quadrimestrale di
diritto dell'ambiente, 3/2011, 145).
[37] Il
principio «chi inquina paga» («polluter
pays»), reiteratamente affermato a livello internazionale (F. M. Palombini, Il significato del principio «chi inquina paga» nel diritto
internazionale, in Riv. giur.
ambiente, 2003, 871; L. Butti,
L’ordinamento italiano ed il principio
«chi inquina paga», in Contratto e impresa, 1990, 56) sia a livello di
quella che è l’odierna Unione europea (v. M.
Meli, Le origini del principio
«chi inquina paga» e il suo accoglimento da parte della comunità europea,
in Riv. giur. ambiente, 1989, 217; V. Parisio, Caratteri e rilevanza del principio comunitario «chi inquina paga»
nell’ordinamento nazionale, in Foro
Amministrativo: Consiglio di Stato, 2009, 2711; B. Pozzo, Danno
ambientale ed imputazione della responsabilità. Esperienze giuridiche a
confronto, Milano, 1996, 283 ss.). Secondo una lettura ampiamente diffusa
ed autorevolmente sostenuta va assunto come parametro al quale conformare i
regimi di responsabilità civile che operano rispetto al danno ambientale (S. Patti, La tutela civile dell’ambiente, Padova, 1979, 179; C. Petrini, Bioetica, ambiente, rischio: evidenze, problematicità, documenti
istituzionali nel mondo, Soveria Mandelli, 2003, 131 ss.; F. Pellegrino, Sviluppo sostenibile dei trasporti marittimi comunitari, Milano,
2010, 60). Si è peraltro sottolineata l’inadeguatezza di un modello di tutela
ambientale fondato sul solo principio «chi inquina paga» (L. Francario, Danni ambientali e tutela civile,
Napoli, 1990, 16 ss.).
[38]
Convenzione di Londra del 3
Maggio 1996. In tema v. S.
Zunarelli, La Convenzione di
Londra sulla responsabilità nel trasporto di sostanze pericolose e nocive,
in Dir. trasp., 1996, 727; R. Cleton, Damage caused during the carriage of hazardous and noxious substances
by sea, in Dir. maritt., 1992,
998; M. I. Martínez Jiménez, Comentarios al convenio internacional sobre responsabilidad e
indemnización de daños por el transporte marítimo de sustancias nocivas y
potencialmente peligrosas (Londres, 3 mayo 1996), in Anuario de derecho maritimo, 1998, 91. L’Italia, ad oggi, non ha ratificato tale convenzione, che
non ha avuto in generale successo, tanto da non aver mai raggiunto le
condizioni per l’entrata in vigore. Peraltro, anche in tale ottica, è stato
successivamente approvato un Protocollo di emendamento del 30 aprile 2010,
anch’esso ancora non in vigore: per informazioni al riguardo, v. N. A. Martinez Gutierrez, Limitation of Liability in International
Maritime Conventions. The Relationship Between Global Limitation Conventions
and Particular Liability Regimes, London, 2010, 155 ss.; G. Olimbo, Il nuovo regime giuridico per il trasporto marittimo di HNS. Una nuova strategia a protezione
dell'eco-sistema marino, in Riv. Mar.,
febbraio 2012, 29.
[39]
Convenzione di Londra del 23
marzo 2001. Il deposito dello strumento di ratifica italiano presso il
Segretariato Generale dell’IMO è stato effettuato il 18 novembre 2010, alla
stregua della legge di autorizzazione 1° febbraio 2010, n. 19. Su tale
convenzione, v. C. Wu, Liability and Compensation for Bunker Pollution,
in Journal of Maritime Law & Commerce,
33/2002, 55.
[40] Circa
le ragioni di tale soluzione, cfr. S. M.
Carbone, Strumenti
internazionalistici e privatistici-internazionali relativi al risarcimento dei
danni provocati da idrocarburi all’ambiente marino, ne Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale ed
europeo dell'ambiente, atti del XI Convegno della SIDI (Alghero, 16-17
giugno 2006), a cura di P. Fois, Napoli, 2007, 3999, ivi, 420; S. M. Carbone, L. Schiano Di Pepe, Uniform law and conflicts in private
enforcement of environmental law: The Maritime Sector and Beyond, in Dir. maritt., 2009, 50, ivi, 65. V.
anche F. Berlingieri, Verso una ulteriore unificazione del diritto
marittimo, in Dir. maritt., 2010,
377, ivi, 389
[41] La Convenzione
in questione risponde al modello, sempre più frequente, a decorrere dal secondo
dopoguerra, di testo di diritto uniforme che non richiede come condizione di
applicazione la presenza di elementi di internazionalità o di estraneità
rispetto alla lex fori: cfr. F.
Berlingieri, Le convenzioni
internazionali di diritto marittimo e la loro attuazione nel diritto interno,
(relazione al convegno per il centenario della rivista «Il diritto marittimo»),
in Dir. maritt., 1999, 54 cit., 79
ss.; A. Malintoppi, Diritto uniforme e diritto internazionale
privato in materia di trasporto, Milano, 1955, 39 ss.; P. Ivaldi, Diritto uniforme dei trasporti e diritto internazionale privato,
Milano, 1990, 19.
[42]
Nell’ambito dell’allora Comunità europea, si discusse in particolare circa
l'opportunità di promuovere una revisione del testo della CLC per eliminare il
divieto di azione del danneggiato dei confronti del charterer contestando il principio della canalizzazione dell’imputazione
risarcitoria: v., nell'ambito dell'illustrazione del c.d pacchetto «Erika 2»
(Comunicazione della Commissione U.E. al Parlamento europeo - Seconda serie di
provvedimenti comunitari in tema di sicurezza marittima in seguito al naufragio
della petroliera Erika. doc. COM (2000) 800 def., sub relazione, § 4.4.3, p. 63, nonché sub azione proposta, § 5, p. 67). In generale sui pacchetti «Erika»
ed il loro contesto, v. F. Pellegrino,
Sviluppo sostenibile dei trasporti marittimi comunitari, cit., 119 ss.
[43]
L’ambito di applicazione della Convenzione è definito dal suo art. 2, lett. a, con riferimento al «danno da
inquinamento», come definito dall’art. 1. Si tratta di un esempio di quella
tendenza del diritto marittimo uniforme ad estendersi al di là dei casi che
presentino elementi di estraneità ad un ordinamento, affermatasi (salvo che per
quanto riguarda la responsabilità vettoriale) nella fase storica successiva
alla seconda guerra mondiale: cfr. F.
Berlingieri, Diritto marittimo,
in Digesto delle discipline privatistiche,
Sez. Commerciale, IV, Torino, 1989, 647, 650. Per analoga conclusione, con
riferimento specifico all’ambito di applicazione della CLC 1969 (definito in
maniera analoga a quello della Convenzione Bunker),
v. I. Arroyo, The application
of the International Convention on Civil Liability for Oil Pollution Damage to
the «Urquiola» Case, in LMCLQ,
1977, 337, ivi, 339 ss.
[44] Cfr. M. Rémond
Gouilloud, Les mesures de sauvegarde (De quelques difficultés liées à l'indemnisation des frais de lutte contre
la pollution), in
D.M.F., 1980, 387, ivi, 395; cfr. S.
Mankabady, The International
Maritime Organization, I, International
Shipping Rules, London, 1986, 383.
[45]
Convenzione di Londra del 19 novembre 1976 sulla limitazione dei crediti
marittimi, come modificata dal Protocollo di Londra del 2 maggio 1996.
[46] Ai sensi dell’art. 6, infatti: «Nothing in this Convention shall affect the
right of the shipowner and the person or persons providing insurance or other
financial security to limit liability under any applicable national or
international regime, such as the Convention on Limitation of Liability for
Maritime Claims, 1976, as amended». È stata, non a torto, evidenziata
l’ambiguità della previsione che « can in turn refer to the international regime
regarding limitation of liability for maritime claims (and, particularly, to
the Conventions adopted to this effect in 1957 and in 1976, with additional
modifications agreed in 1996) or, alternatively, to the limits embodied in the
1992 CLC as regards those States that have extended the relevant provisions so
as to cover also so-called bunker spills (as exemplified e.g. by the United
Kingdom and Canada), or to the national legislation of those States that have
introduced ad hoc provisions relating to bunker spills (e.g. the USA),
or, finally, of States (as is the case with China) that do not stipulate a
liability limit for pollution incidents» (S.
M. Carbone - L. Schiano di Pepe, Uniform
law and conflicts in private enforcement of environmental law, in Dir. maritt., 2009, 50, ivi, 66).
[47] In
tema, v. per tutti F. Berlingieri,
Le convenzioni internazionali di diritto marittimo e il codice della
navigazione, cit., 1027.
[48] Si
allude qui agli interventi operati dal legislatore comunitario, perlopiù con
riferimento al trasporto di persone, caratterizzati dal rinvio ad una normativa
di diritto uniforme, estesa al di là dell'ambito originario di applicazione ex se: il prototipo di tale tecnica normativa
va rinvenuto nel regolamento (CE) n. 889/2002 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 13 maggio 2002 di modifica del regolamento (CE) n. 2027/97 sulla
responsabilità del vettore aereo in caso di incidenti, che ha richiamato le
corrispondenti previsioni della convenzione di Montreal del 1999. Nella scia si
pongono il regolamento (CE) n. 392/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 23 aprile 2009, relativo alla responsabilità dei vettori che trasportano
passeggeri via mare in caso di incidente (che ha anticipato ed esteso l'ambito
di applicazione della disciplina della convenzione di Atene del 1974 sul
trasporto marittimo di passeggeri, nel testo emendato dal protocollo di Londra
del 2002), nonché del regolamento (CE) n. 1371/2007 del 23 ottobre 2007
relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.
[49]
Nell’ambito del terzo pacchetto comunitario sulla sicurezza marittima (c.d.
pacchetto «Erika 3») era in effetti contemplata una «Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa
alla responsabilità civile ed alle garanzie finanziarie degli armatori»
(/* COM/2005/0593 def. - COD 2005/0242 */), che, però, non è arrivata a
concretizzarsi in un provvedimento effettivo. Il 9 ottobre 2008, tuttavia, gli
Stati membri hanno adottato una dichiarazione in cui hanno riconosciuto
all'unanimità l'importanza dell'attuazione del Protocollo del 1996 della
Convenzione del 1976 sulla limitazione della responsabilità per crediti
marittimi da parte di tutti gli Stati membri (cfr. considerando 3 della
direttiva 2009/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile
2009, sull’assicurazione degli armatori per i crediti marittimi).
[50] Cfr. F. Berlingieri, Alcune note sul d.
lgs. 28 giugno 2012, n. 111 di attuazione da parte dell’Italia della Direttiva
2009/27/CE del 23 aprile 2009 sull’assicurazione (della responsabilità) degli
armatori per crediti marittimi, in Dir. maritt., 2012, 963; A. Claroni, Decreto legislativo 28 giugno
2012, n. 111 «Attuazione della direttiva 2009/20/CE recante norme
sull’assicurazione degli armatori per i crediti marittimi» (G.U. n. 173 del 26
luglio 2012): una breve nota di commento, in Riv. dir. nav., 2012,
1033.
[52] È il
presupposto su cui si basa il
regolamento 1692 del 24 ottobre 2006, con cui il Parlamento Europeo ed
il Consiglio hanno approvato il c.d. programma Marco Polo II (cfr. L. Marfoli, Trasporti, ambiente e mobilità sostenibile in Italia, in Riv. giur. amb., 2013, 305, 337, sub nt. 67), su una linea che era stata
già tracciata con il Libro Bianco dei trasporti del 2001 (Libro Bianco - La
politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte,
COM/2001/370 definitivo, 12 settembre 2001). V. amplius: M. Nino, La politica dei trasporti dell'Unione
Europea e le problematiche riguardanti la tutela ambientale e lo sviluppo
sostenibile, in Dir. comm. internaz.,
2013, 227, ivi, 241. Sulla maggior sostenibilità ambientale rispetto ad altre
modalità di trasporto della navigazione per acqua, v., ex plurimis, E. Turco
Bulgherini, Cabotaggio, feederaggio, short sea shipping e autostrade
del mare, in Aa. Vv., Trattato breve di diritto marittimo, a cura di
A. Antonini, Milano, 2007, 466; C.
Vagaggini, Autostrade del mare e recenti provvedimenti legislativi in
materia di ecobonus, in questa Rivista di diritto dell’economia dei
trasporti e del’ambiente, vol. VI, 2008; G.
Vermiglio, Pianificazione di un sistema integrato di viabilità
terra-mare, in Aa. Vv., Autostrade
del mare. Sicilia piattaforma logistica del Mediterraneo, a cura di G.
Vermiglio, Messina, 2009.
[53] Si
veda, al riguardo, il d.lgs. 24 giugno 2003 n.182, recante «Attuazione della
direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti
prodotti dalle navi ed i residui del carico». In generale cfr. S. Bevilacqua, L’inquinamento da rifiuti
prodotto da navi, in Giureta,
2012, 143; M. Grigoli, Un apprezzabile progetto normativo per
ovviare ai perniciosi effetti degli scarichi in mare dei rifiuti prodotti dalle
navi e dei residui del carico, in
Giust. civ., 2004, II, 285; M. Deiana, Problematiche
giuridiche della raccolta e gestione nei porti dei rifiuti prodotti dalle navi,
in Raccolta e gestione nei porti dei rifiuti prodotti da navi, a cura di M. Deiana, Cagliari, 2006, 19.
Circa il ruolo dell’Autorità portuale nella raccolta dei rifiuti (con l’esclusione
del potere impositivo dei comuni), v. Cass., 6 novembre 2009, n. 23583, in Riv. dir. nav., 2011, 385, con nota di C. Verrigni, È esclusa la competenza del comune nella gestione dei rifiuti prodotti
nell’ambito dell’area portuale, ivi, 388.
[54] Cfr.,
nella prospettiva degli studi di storia economica: P. Fragiacomo, L'industria
come continuazione della politica. La cantieristica italiana (1861-2011),
Milano, 2012, 292 ss. Sull’evoluzione del mercato crocieristico, v. in
generale: M. Rispoli, F. Di Cesare, R.
Manzelle, La produzione
crocieristica: i prodotti, le imprese, i mercati, Torino, 1997.
Specificamente sui problemi di sicurezza indotti dal gigantismo navale nel
trasporto di persone: A. Sam-Lefebvre,
Le gigantisme naval à l'épreuve de la
sécurité dans le transport marititme de passagers, in Dr. mar. fr., 2012, 338.
[55]
Sarebbe opportuno, al riguardo, generalizzare, come è avvenuto in campo
aeronautico (documento ICAO 9082, IX ed., fra le «best practices» viene espressamente affermato che «In order to promote transparency, efficiency
and cost-effectiveness in the provision of an appropriate quality of services
and facilities, airports and ANSPs should apply management best practices in
all areas of their business» (ivi, I-2, sub
§ 10), i principi di trasparenza ed aderenza ai costi nella
determinazione tariffaria relativa all’impiego delle infrastrutture.
[56]
Disciplina attuata in Italia con il c.d. «codice dell’ambiente», d. lgs. 24 giugno 2003 n.182, nel testo emendato
dal d. lgs. 6 novembre 2007, n. 205 (cfr. artt. 295 e 296).
[57] C.
giust. UE, 23 gennaio 2014, in causa C-537/11, in Riv. giur. amb., 2014, 335 (s.m.), con nota di A. Gratani, Le navi da crociera. l'Unione
europea detta alcuni parametri ecologici anche per i soggetti oltreconfine. La pronunzia è stata adottata su rinvio del
Tribunale di Genova (ordinanza 18 giugno 2011), rispetto alla contestazione
della sanzione irrogata ad una nave da crociera di bandiera panamense sorpresa
ad utilizzare combustibili per uso marittimo il cui tenore di zolfo superava i
parametri consentiti (ordinanza-ingiunzione n. 166/2010 della Capitaneria di
Porto di Genova). Sulla vicenda v. anche M.
Gasparinetti, Il caso
Manzi: la nornativa europea non si applica alle navi da crociera?, in Riv. giur. amb., 2013, 815; L. N. Meazza, Inquinamento
atmosferico da navi da crociera e divieto di transito nella Laguna di Venezia,
cit., 613 ss.
[58] Sul
rilievo delle certificazioni volontarie di qualità, in un contesto più
generale, v. A. Gentili, La rilevanza giuridica della certificazione
volontaria, in Europa dir. priv.,
2000, 59.
[59] Per
una sintesi dell’evoluzione del ruolo delle società di classificazione, v. G. Ciliberti, Il ruolo delle società di classificazione, in Inquinamento del mare e sicurezza della navigazione, a cura di A.
Zanelli, cit., 115. V. anche, ex plurimis,
F. d’Aniello, Registro Italiano Navale, in Enc.
giur. it., XXVI, Roma, 1991; P. Rossi, Registro Italiano Navale,
in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 500.
[60] Si allude,
qui, in particolare, agli ormai cessati fondi TOVALOP e CRISTAL, su cui v. ex plurimis, G. L. Becker, A Short
Cruise on the Good Ships. TOVALOP AND CRISTAL, in J. Mar. L. & Com. 5, 1973-75, 609. V. anche S. M. Carbone, Strumenti internazionalistici e privatistici-internazionali relativi al
risarcimento dei danni provocati da idrocarburi all’ambiente marino, cit.,
406 ss.