Università
di Brescia
Dal ‘Sistema romano dei contratti’ di Giuseppe Grosso
all’affermarsi del principio del consensualismo in America Latina*
SOMMARIO: 1. Il ‘Sistema romano dei
contratti’.
– 2. Il panorama degli studi sul contratto
all’epoca dell’apparizione del libro. – 3. La fortuna dell’opera. – 4. Dal contractus romano
all’affermarsi del principio del consensualismo in Europa: brevi cenni. – 5. L’America Latina e la penetrazione del
‘dogma del consenso’: Albornoz e García Goyena. – 6. L’epoca
pre-codicistica in America Latina e la resistenza degli insegnamenti
romanistici. – 7. I Codici latinoamericani della maturità e il ‘concetto
romano’ di contratto. – 8. Tra resistenze e cedimenti: il caso emblematico
dell’Argentina. – 9. Il rifiuto della categoria del contratto reale in nome del
consensualismo in alcuni Cc. recenti (Guatemala, 1963; Perù, 1984; Cuba, 1989). – 10. Il superamento del
concetto romano di contratto e il dilagare (più apparente che reale) del
principio del consensualismo. – 11. Alcune (parziali) conclusioni. – Abstract.
Giuseppe Grosso (1906-1973) è stato senza
dubbio uno dei massimi giuristi che il secolo XX abbia prodotto, e io non
potrei aggiungere nulla a quanto è già stato detto sulla Sua figura di giurista
e di uomo[1].
Peraltro io, per ragioni di tempistica, non ho
avuto il privilegio di poterlo conoscere, se non per il tramite di due
convergenti canali.
Da un primo punto di vista, ricordo una sua
foto, che campeggiava nello studio del mio Maestro, prof. Sandro Schipani, e
che, con il suo cipiglio severo, in qualche modo mi ammoniva di rivedere ancora
una volta le pagine che stavo per consegnare in lettura.
Da un secondo punto di vista, ho conosciuto il
Grosso studioso attraverso la lettura dei suoi lavori, alcuni perché
suggeritimi da studente, altri nel mio successivo lavoro di ricerca.
E Il Sistema romano dei contratti,
curiosamente, partecipa di tutte e due le categorie, avendolo io studiato da
studente nel corso di Diritto romano,
poi ripreso, in particolare, nelle indagini sulla condictio e sulla datio in
solutum, e, infine, suggerito come supporto alla didattica per gli
studenti.
Scritto in prima edizione (litografata) per i
tipi dell’editore Giappichelli nel 1945, un anno molto difficile per l’umanità
(«tempo di passione e di lotta, in cui le ore dedicate agli studi
rappresentavano intervalli di distensione dello spirito», come ebbe a scrivere
lo stesso a. nell’introduzione alla seconda edizione), il libro costituisce sin
da subito un elemento di rivoluzione nella statica dogmatica romanistica in
tema di contratti del tempo.
Nella seconda edizione, che seguirà da lì a
pochi anni (nel 1949), l’a. si limita a correggere alcuni errori, ma,
significativamente, chiarisce che i destinatari (e per questo dedicatari) delle
sue fatiche sono i giovani, «che debbono trovare nell’insegnamento romanistico
un contributo vivo e insostituibile ai problemi della costruzione e della
sistematica giuridica»[2].
La terza edizione, quella definitiva, è del
1963. Anche essa presenta pochissime modifiche rispetto alla prima, a
testimonianza del fatto che il libro, pur se composto in tempi difficili,
costituisce una «felice sintesi del pensiero dell’a.», come dice lo stesso
Grosso nell’introduzione a questa edizione[3].
Si avverte sin dall’inizio che il libro
rappresenta qualcosa di diverso all’interno del panorama degli studi
romanistici dell’epoca: il tempo, infatti, testimonia di una sua fortuna
diversa e nettamente migliore rispetto a tutti gli altri lavori, alcuni dei
quali anche di pregevole fattura, pubblicati sulla stessa tematica (il
contratto in diritto romano) nel medesimo tornio di tempo[4].
Alla metà degli anni ’50, cioè quando
pressappoco appare la prima edizione dell’opera, la romanistica stava appena
uscendo dall’epoca della Interpolationenjagd,
di cui, avvertite ormai chiaramente le insufficienze e gli estremismi, si
superavano di slancio le ultime propaggini, cercando, soprattutto attraverso la
costruzione sistematica, di rimediare ai disastri e al senso di isolamento
della romanistica provocati da tale tecnica di lavoro.
Per quanto riguarda la tematica del contratto
in diritto romano, frutto in qualche modo di tale superata metodologia,
lasciando da parte le posizioni di quanti ritenevano che contractus fosse per i giuristi romani termine non tecnico e privo
di contenuti positivamente determinabili[5], erano
essenzialmente due le principali
ricostruzioni imperanti all’epoca.
Da un lato, infatti, si ponevano i sostenitori
della ricostruzione del cd. ‘contratto-vincolo’, che vedeva tra i suoi
esponenti, dopo Schlossmann[6],
soprattutto Pernice[7],
Bonfante[8] e poi
anche de Francisci[9], e, in
qualche modo, Betti[10]; o del
cd. ‘contratto affare’, tra cui bisogna ricordare soprattutto l’ideatore, cioè
Perozzi[11], ma
anche Albertario[12],
o lo stesso Wieacker, con la sottolineatura del ruolo ‘apsicologico’ del
‘consenso’ nel sistema contrattuale romano[13].
Mi pare interessante notare, in via
incidentale, come da queste ricostruzioni, e come reazione al modello al tempo
imperante del negozio giuridico, nascerà, pressappoco nello stesso periodo, la
teoria del ‘faktische Vertragsverhältnis’[14], che,
per una sorta di nemesi storica, condurrà prima alla individuazione
(soprattutto in Italia) della categoria dei cd. ‘rapporti di fatto’[15] o dei
‘rapporti contrattuali di fatto’[16], o del
‘contratto di fatto’ o, infine, alla teorizzazione dell’esistenza di ‘scambi
senza accordo’[17]
(e poi, ora, alla enucleazione di una ‘responsabilità da contatto sociale’[18] o di
‘obbligazioni senza prestazione’[19]), fino
a giungere, per una sorta di nemesi storica che chiude il cerchio, a cercare
proprio in questa nozione di contratto in senso ‘oggettivo’ della dottrina
romanistica un addentellato storico per la costruzione di un ‘contratto senza
il consenso’[20].
Dall’altro lato si ponevano i cd.
‘volontaristi’, i quali, proiettando in qualche modo sulle fonti romane una
idea di contratto in chiave consensualistica elaborata soprattutto nell’ambito
della pandettistica tedesca[21], e in
qualche modo tributaria dell’idea del negozio giuridico, che all’epoca si
veniva valorizzando (anche se la discussione del tempo conteneva già i germi
delle successive critiche alla nozione), vedevano nel contractus romano l’«incontro ed il consenso di due o più persone…»[22]: tra
costoro, spiccavano, tra gli altri, Marchi[23],
Brasiello[24],
Bortolucci[25],
e più tardi anche Voci[26] e
Biondi[27], ma,
per l’energia dell’argomentazione, soprattutto Riccobono[28].
Entrambe le tesi, però, apparivano
eccessivamente tributarie di un astratto dogmatismo, che portava i suoi
sostenitori quasi a cercare nelle fonti la verifica di una costruzione
ideologicamente enunciata, forzando spesso i testi, che si muovevano invece nella
direzione di una mutevole concretezza.
A mio avviso, è proprio dalla concretezza,
termine così caro al Maestro, che è necessario partire per meglio intendere
quale fu l’impatto dell’opera grossiana. Ed è infatti dalla concretezza che
Grosso ricava l’idea ‘forte’ del libro, quella che, ipotizzata la relativa
‘gioventù’ del concetto di contractus,
e la conseguente anteposizione della quadripartizione re, verbis, litteris e consensu
rispetto alla bipartizione contratto-delitto[29], e
individua così solo successivamente alla nascita della prima quella che Egli
chiama la «elaborazione positiva del concetto di contractus», consistente nella intenzione rivolta alla creazione di
un vincolo (negotium contractum),
unita però pur sempre alla presenza dell’elemento obbligante (re,
verbis, litteris obligari).
Non mi pare condivisibile la critica, rivolta
al Grosso, secondo la quale questa impostazione peccherebbe di un eccessivo
dogmatismo, imputando all’a. il tentativo di cercare nelle fonti la risposta a
domande poste dalla dogmatica civilistica e aspettandosi dalle fonti risposte
coerenti con il modo di pensare dei moderni[30].
È solo alla elaborazione dei giuristi
bizantini, continua Grosso, che si deve una inversione nei riferiti rapporti,
per cui in primo piano viene posto l’elemento della conventio e a questo si aggiungono di volta in volta, come elemento
perfezionatore, le res, i verba o le litterae: significativo, per non fare che un solo esempio, appare
all’a. il fatto che la definizione di contratto di Teofilo (Par. 3.13.2) di fatto coincide con
quella che Ulpiano dà del patto (D. 2.14.1.2: duorum pluriumve in idem placitum et consensus).
Ne risulta un quadro che, lungi dall’essere
«bello, troppo bello per essere vero»[31], si
presenta come ‘concreto’, coerente, armonico ed esaustivo, ma soprattutto
aderente a ciò che avveniva (e ancora avviene) nella realtà, nelle operazioni
negoziali concretamente poste in essere dalle parti, laddove la compravendita è
consensuale e il mutuo reale non per risposta ad un astratto dogmatismo, ma
perché così le parti vogliono e così le parti, seguendo una consolidata
tradizione, ritengono che meglio corrisponda alla tutela dei loro interessi. E
pur nella consapevolezza che, per molti aspetti, l’avanzare degli studi romanistici
ha condotto a non poche revisioni delle conclusioni a suo tempo raggiunte dal
Grosso[32], non si
può che condividere, a distanza di oltre un cinquantennio, la valutazione che
dell’opera fece già Astuti, riconoscendo che essa raggiunge «risultati
veramente conclusivi su alcuni punti di importanza fondamentale»[33].
La storia, sotto la forma dei diversi studi che
si sono susseguiti negli anni successivi sulla materia del contratto, ha
lasciato degli evidenti segni sull’opera, che per molti aspetti rendono datato
il ‘Sistema’[34].
Ma l’eredità che esso lascia è proprio questa
concezione del contratto che, affidata ai secoli successivi, li attraversa e ne
esce rafforzata, consegnandosi di fatto a noi come modello proposto come
vincente dalla storia, e penetrato a fondo all’interno delle dogmatiche
moderne.
L’età moderna, però, assiste ad una lenta ma
inesorabile metamorfosi, per cui questo concetto di contratto, fondato sul
consenso a cui si aggiunge l’elemento obbligante/perfezionatore si trasforma
nel diverso e non sovrapponibile concetto di contratto come fondato solo ed
esclusivamente sul consenso (il contratto come solo ‘accordo’), in ossequio al
cd. principio del consensualismo, alla luce del quale, come è noto, solus consensus obligat[35].
Le tappe di questo processo, nei secoli che
precedono la nascita delle Codificazioni civili, sono lunghe, complesse, in
parte note e in parte ancora da scoprire[36].
Tra gli elementi che concorrono in questa
direzione, ma che mi limito qui soltanto ad accennare, possono senz’altro
individuarsi:
A.
L’affermarsi del concetto,
proprio del Rinascimento, ma con una sponda importante poi nel periodo
dell’illuminismo giuridico, che l’uomo, con la sua volontà, debba essere posto
al centro dell’universo[37];
B.
Il diffondersi di teorie
liberaliste in campo filosofico, così come in quello economico ma anche
giuridico[38],
alla luce delle quali appare perfettamente congruo che ognuno debba essere
libero di vincolarsi anche solo con lo scambio dei consensi.
C.
Le elaborazioni dei
canonisti cristiani, i quali, nel ribadire che il rispetto del principio ‘pacta sunt servanda’ è una questione che
attiene alla sfera delle coscienze[39],
concludono che, dal momento che non risponde alla morale del buon cristiano non
rispettare la parola data, il consenso deve essere considerato da solo fonte di
impegni che vanno rispettati[40].
Interessanti, e per certi aspetti meno
esplorati, appaiono gli esiti di questo dibattito in America Latina, sui quali
intendo ora brevemente concentrarmi.
Per il problema qui in questione
dell’affermarsi del consensualismo[41],
possiamo prendere come punto di partenza l’Ordinamiento
de Alcalà del 1348, nel quale viene sancita di fatto una vera e propria
riforma del sistema contrattuale precedentemente accolto nelle Partidas[42],
prevedendo che in tutti i contratti il consenso fosse condizione necessaria e
sufficiente per la nascita dell’obbligazione.
Ord. Alc. XVI ley
única
«Paresceiendo que
alguno se quiso obligar a otro por promisión o por algun contrato o en otra
manera, sea tenudo de cumplir aquello que se obligó, y no pueda poner
excepción, que no fué hecha estipulación…; mandamos que todavía vala la dicha
obligacion y contrato que fuere hecho, en qualquier manera que parezca que uno
se quiso obligar a otro».
L’importanza di questa Ley, la quale, come è stato correttamente notato, afferma nel derecho ‘clásico’ de Castilla y Léon il
principio per cui ‘solus consensus
obligat’ secoli prima del suo venire in auge in Francia ed in Europa[43], era
riconosciuta già nel XVI secolo.
A questo proposito, in primo luogo viene in
considerazione un gesuita spagnolo, Bartolomeo de Albornoz, il quale visse nel
XVI secolo ed ebbe una grandissima importanza per lo sviluppo del sistema
giuridico latinoamericano, soprattutto nell’ambito dei contratti. Bartolomeo de
Albornoz, nato nella città di Talavera, non lontano da Madrid, ebbe un ruolo
fondamentale nella trattazione di quello che allora veniva definito ‘derecho mercantil’ in America Latina[44], e, per
quello che qui rileva, a lui va attribuito il merito del diffondersi del
principio del consensualismo nel Nuovo Mondo: egli, infatti, fu il primo
professore di diritto civile nella recentemente fondata Università di Città del
Messico (1553 circa), dove venne a riunirsi una vera e propria elite letteraria
dell’intera America Latina[45]. La sua
opera principale è il libro intitolato ‘Arte
de los contratos’, dato alle stampe a Valencia nel 1573: tale opera ebbe al
tempo un notevole successo oltre oceano[46], e gli
fece guadagnare il titolo di ‘padre dei giuristi messicani’[47].
Nell’Arte
de los contratos, Albornoz afferma, con riferimento alla sopra riportata Ley de Alcalá, che: «esta ley es
admirable de grandisimo effecto y importancia. Y... corrige grandissima parte del derecho
positivo, assi del Civil como de las Partidas, que con ella cessan»[48]. A suo
avviso, questa Ley
avrebbe infatti derogato il sistema contrattuale del diritto romano, ribadito
dalle Partidas, non solo concedendo la possibilità di concludere contratti inter absentes, superando cioè la
necessità della contestualità dei contraenti imposta dalla stipulatio, ma soprattutto lasciando
sorgere il vincolo obbligatorio direttamente sempre dal solo consenso, senza la
necessità dei grossiani ‘elementi obbliganti’[49].
In realtà, la costruzione di Albornoz si
dimostra piuttosto debole e frammentata, anche a causa del fatto che egli non
riesce a liberarsi a pieno della tradizione. Infatti, rifiutata in nome di
questa nuova concezione del contratto la contrapposizione contratti
reali–contratti consensuali, evidenti appaiono le difficoltà concettuali di
costruzione dogmatica, che mettono in crisi la tenuta stessa del concetto di
contratto da egli proposto. Per non fare che un solo esempio, Albornoz,
all’interno del genus ‘contratti’
(per lui tutti necessariamente consensuali) elabora una species costituita dalla categoria dei contratti ‘reali’ come
contrapposta ai contratti ‘personali’: nei primi, si porrebbe in primo piano la
‘persona’ dei contraenti e gli obblighi a questi facenti capo; nei secondi,
invece, «se considera por principal la cosa contractada, y la persona es accessoria
a la cosa»[50].
La Ley dell’Ordinamiento de Alcalá, grazie anche
alla valorizzazione che ne fa Albornoz e alle fortune che nel Nuovo Continente
ha la sua opera, si trova successivamente ribadita anche nella Nueva Recopilación del 1567 [51]. Ma è
il fatto che la Novísima Recopilación dell’anno
1805 accolga questo testo, collocandolo addirittura in apertura del Titolo X[52], a dare
il senso dell’importanza che si attribuiva al principio stesso ancora verso il
finire del secolo XIX nel diritto ibero-americano.
Per altro verso, un ruolo verso l’affermarsi
del consenso come solo elemento obbligante in tutti i contratti fu giocato in
America Latina anche da un testo che trovò ampia diffusione nei territori del
Nuovo Mondo, cioè il Progetto di Codice civile spagnolo redatto da Florencio
García Goyena (1783-1855) nel 1851: come è noto, questo testo, pur non
riuscendo a diventare il Codice civile della Spagna[53], non
solo influenzò in maniera più o meno ampia la codificazione spagnola[54], ma,
per quello che qui interessa, circolò ampiamente in America Latina,
condizionando in maniera più o meno marcata dottrina e legislatori nazionali[55].
Sul punto che qui interessa, García Goyena,
sulla scia certamente della tradizione sopra ricordata, ma, verosimilmente,
anche di letture di ambito francese[56], che in
Spagna avevano comunque al tempo fatto breccia[57], il giurista spagnolo
afferma che «Ahora todos los contratos son consensuales, en cuanto todos ellos
obligan por el solo consentimento, lo que no sucedia entre los romanos»; egli però,
sostiene, con una argomentazione a dir poco sorprendente, che è preferibile
continuare a mantenere la categoria dei ‘contratti reali’, che sarebbero da
identificare con quei contratti in cui l’obbligazione principale consisterebbe
comunque nell’obbligo di consegnare la cosa[58].
L’affermarsi del principio del consensualismo,
però, non si spinse fino all’esautoramento della categoria del contratto reale,
che si mantenne ancora vitale in America Latina, almeno fino alle codificazioni
civili del secolo XIX[59]. Nella
realtà avvenne che i giuristi del periodo immediatamente precedente queste
prime Codificazioni continuarono ad adottare il sistema delle Partidas e del diritto romano, per la
forza intrinseca di quest’ultimo, limitandosi a ricordare la norma dell’Ordinamiento de Alcalá e delle
successive Recopilaciones, così come
il fatto che in Spagna si andava affermando un orientamento diverso in tema di
contratti[60].
In sostanza si affermò che interpretare in
senso stretto la norma dell’Ordinamiento
de Alcalá, cioè come se avesse voluto affermare la sufficienza del mero
consenso per la nascita del vincolo contrattuale, ad esclusione di ogni altro
requisito, finendo così in primo luogo per espellere dall’ordinamento la
categoria dei contratti reali, avrebbe significato non comprendere
correttamente la categoria del contratto nella sua portata storica e nella sua
dimensione dogmatica, spingendosi addirittura più in là di dove lo stesso
legislatore spagnolo avesse mai inteso arrivare[61].
Così, per quanto riguarda più strettamente
l’America Latina, la categoria del contratto reale, nella quale il mutuo
giocava un ruolo decisamente di primo piano, fu con forza difesa, in opposizione
al consensualismo, da Juan Sala (1731-1806), professore a Valencia, nella sua Ilustración del derecho de España, opera
apparsa per la prima volta nel 1803 e di grande diffusione in America Latina[62]; da
Eugenio de Tapia (1776-1860) con il suo Febrero
Novísimo[63];
dal giurista guatemalteco José María Álvarez (1777-1820) nelle Instituciones, la cui prima edizione è
del 1818, e che forse costituirono la prima opera sul diritto indiano da parte
di un giurista nato in America Latina[64]; da
Ignacio Jordán de Asso (1742-1814) nelle Instituciones[65]; da
Juan Eugenio de Ochoa nel Manual del
Abogado americano[66]; da
Joaquín Escriche y Martín (1784-1847) nel suo famosissimo Diccionario razonado de legislación, che si diffuse nel Nuovo mondo
grazie all’edizione curata dal giurista messicano Juan Nepomuceno Rodríguez de
San Miguel[67];
e, infine, dello stesso Rodríguez de San Miguel (1808-1877) nelle Pandectas Hispano-mexicanas, la cui
prima edizione risale al 1839 [68].
Procedendo schematicamente, si può ricordare
come la quadripartizione gaiana (contratti reali, letterali, verbali e
consensuali) era di fatto adottata in tutte le codificazioni latinoamericane
del secolo XIX-XX (i cd. Codigos de la
transfusión del derecho romano y de la independiencia o Codici della madurez), i quali rifiutano così, in
maniera implicita o esplicita, l’idea del consensualismo.
Mi limito qui ad esaminare brevemente l’opera
dei tre grandi codificatori latinoamericani del secolo passato: Augusto
Teixeira de Freitas (e poi Clovis Beviláqua) per il Brasile; Andrés Bello (per
il Cile e l’attuale Colombia); Dalmacio Vélez Sársfield (per l’Argentina)[69].
Ad esempio, la categoria del contratto reale,
che, nelle intenzioni, si aggancia direttamente alle fonti romane, si trova
difesa nella Consolidaçao des Leis civis di
Teixeira de Freitas (1816-1883), del 1858, dove l’a. chiarisce che per lui i
contratti sono o consensuali o reali, richiedendosi in questi ultimi qualcosa
di più del nudo consenso[70].
Del resto, lo stesso a., nell’Esboço (1859-1867), chiarisce senza
ombra di dubbio che:
art. 1903
«Os contratos são
consensuais ou reais».
Nello stesso senso, va letta la difesa della
categoria del contratto reale da parte del redattore del Progetto definitivo
del Cc. brasiliano del 1917, il giurista Clovis Beviláqua (1859-1944)[71].
Per quanto riguarda il Cile, Andrés Bello
chiarisce che il consenso da solo non sempre basta per la costituzione di un
contratto.
art. 1443 Cc. chi.
«El contrato es
real cuando, para que sea perfecto, es necesaria la tradición de la cosa a que
se refiere; … y es consensual, cuando se perfecciona por el solo
consentimento».
Egli,
quindi, rifiuta il modello del consensualismo, e adotta in pieno sul punto il
modello romano, che, del resto, si trovava già accolto in altre Codificazioni
precedenti a quella realizzata dal giurista venezuelano[72].
Analogamente a quanto finora visto, anche Vélez
Sársfield compì la stessa scelta nel Codice civile argentino del 1869. Ciò
risulta evidente oltre che dagli artt. 2240 e 2242, soprattutto da una lettura
degli artt. 1140-1142, i quali si riferiscono alla contrapposizione tra
contratti consensuali e reali:
art. 1140 Cc. arg.
«Los contratos son
consensuales o reales…»
art. 1141 Cc. arg.
«Los contratos
reales, para producer sus efectos propios, quedan concluidos desde que una de
las partes haya hecho a la otra tradición de la cosa sobre que versare el contrato».
Vélez, in una nota agli artt. 1141 e 1142,
aggiunge un chiarissimo commento, che vale la pena riportare per intero: «En
derecho francés las convenciones son obligatorias por el solo efecto del
consentimiento de las partes, sin necesidad ni de la entrega de la cosa que
forma el objecto, ni del cumplimiento del hecho por una de las partes, al cual
se hubiese obligado. Bajo este respecto, el derecho francés difiere
esencialmente del derecho romano y del nuestro, cuyas disposiciones reposan
sobre el principio contrario, es decir sobre el principio que el consentimiento
no basta por regla general para hacer una convención civilmente obligatoria».
Nello stesso tornio di tempo, l’unica
codificazione latinoamericana che si distacca da questo panorama pressoché
uniforme è il Cc. federale del Messico del 1928, il quale, dopo che le due
Codificazioni federali del 1870 e del 1884 si erano allineate ai Cc. loro
contemporanei, accoglie il principio del consensualismo, come è reso evidente
dalla scelta di codificare il mutuo come un contratto meramente consensuale
alla stregua di come vengono intesi in questo Cc. tutti i contratti[73].
Evidenti e dichiarati sono gli influssi su tale
scelta dell’Ordenamiento de Alcalá,
del Proyecto García Goyena, ma anche
dell’OR svizzero del 1911, nonché di
alcune letture di ambito dottrinario europeo (soprattutto Baudry-Lacantinèrie,
ma anche Jousserandot, Toullier, Planiol ecc.: vd. supra, nt. 56), che da tempo venivano difendendo il principio per
cui ‘tutti i contratti sono consensuali’[74].
In realtà la situazione del Messico si presenta
come piuttosto complessa. Infatti, in questo Paese, i Codici civili federali
del 1870 e del 1884, prevedevano che «los contratos se perfeccionan por el mero
consentimento» (art. 1392 Cc. méx. 1870), però, adottavano per il mutuo una
formulazione che evocava la realità del contratto[75]. Del
resto, la dottrina messicana fino alla fine dell’Ottocento non aveva dubbio
alcuno nel difendere il ruolo e l’importanza della categoria del contratto
reale[76].
La svolta del Messico in favore del
consensualismo si deve all’opera di un giurista messicano dei primi anni del
secolo passato, Roberto A. Esteva Ruiz, professore di diritto a Città del
Messico, il quale pubblica nel 1928 un lavoro di preparazione al pubblicando nuovo
Codice civile federale, nel quale accoglie in pieno il modello offerto dal
Codice svizzero delle obbligazioni e da una parte della dottrina francese, in
particolare Baudry-Lacantinèrie; seguendo questo giurista francese, Esteva Ruiz
si dichiara convinto del fatto che tutti i contratti devono essere consensuali,
e altresì del fatto che l’opposto orientamento del Code Napoléon, che accoglie la categoria dei contratti reali, si
sarebbe dovuto ad una non intelligente riproduzione del pensiero di Pothier[77].
Le argomentazioni di Esteva Ruiz risultano
decisive. Per questo il Codice federale del Messico del 1928, innovando sul
punto rispetto ai Progetti preliminari, espunge in maniera assoluta
dall’ordinamento la categoria del contratto reale (con la parziale e discussa
eccezione del pegno), trasformando anche il mutuo in un contratto meramente
consensuale[78].
Art. 2384 Cc. méx.
1928
«El mutuo es un
contrato por el cual el mutuante se obliga a transferir la propiedad de una
suma de dinero o de otras cosas fungibles al mutuatario, quien se obliga a
devolver otro tanto de la misma especie y calidad».
Attualmente, la struttura meramente consensuale
del contratto di mutuo in Messico non è posta in dubbio dalla dottrina
messicana, che riconosce come sul punto l’ordinamento di questo Paese si
distacchi dalla matrice romanistica[79],
sebbene la categoria del contratto reale ritorni nelle codificazioni di più di
uno degli Stati nazionali della Repubblica messicana, sia anteriori che
posteriori al Código federal del 1928
[80].
Ma le spinte consensualistiche continuano a
serpeggiare in maniera neanche tanto velata per tutto il Continente
latinoamericano.
Singolare ed emblematico appare il caso
dell’Argentina.
In questo Paese, la scelta di Vélez Sársfield
di seguire la tradizione delle fonti romane in tema di contratto fu contrastata
già, ad es., nel Progetto di riforma degli anni 1926-1932 (cd. Progetto Bibiloni). Questo Progetto,
seppure in materia di mutuo si limita a recepire gli artt. artt. 2240 e 2241
del Codice di Vélez Sársfield, ribadendo quindi in linea di principio
l’inquadramento reale di questo contratto[81],
nondimeno non manca di criticare aspramente la distinzione tra contratti reali
e contratti consensuali ivi accolta[82].
Negli anni successivi, il dibattito su questa
tematica prosegue in senso altalenante.
Infatti, da un lato incontriamo il Progetto del
1954, curato da Jorge Joaquín Llambías, che difende il modello rappresentato
dal contratto reale[83]. Al
contrario, il filone consensualistico è ripreso con forza dagli ultimi progetti
di riforma del Cc. argentino, quello del 1993, curato da una Commissione
incaricata dalla Camera dei deputati[84], e
quello del 1998, curato da una Commissione composta da diversi professori
universitari[85].
La stessa scelta è espressamente ribadita nel
recentissimo Anteproyecto de Código Civil
y Comercial de la Nación. Fundamentos, del 2012 [86].
Per quanto riguarda la dottrina argentina,
attualmente non mancano spinte consensualistiche, all’esito delle quali
dovrebbe giungersi al riconoscimento del principio per cui nei contratti il
solo consenso è elemento necessario e sufficiente per la nascita del vincolo
obbligatorio.
Secondo alcuni studiosi, in materia
contrattuale la regola di base deve essere quella per cui il mero consenso fa
nascere gli effetti del contratto, ma la legge può stabilire che, in casi
particolari, tali effetti risultino ‘postergati’ dalla necessità di adempiere
ad una qualche solennità o dalla volontà delle parti di postergarli[87]; in
tale ottica, la realità è considerata un «arcaísmo jurídico»[88], oppure
una categoria «hoy huérfana de todo sustento»[89], e si
parla diffusamente di ‘consensualizzazione’ dei contratti reali.
Altri ancora, infine, in maniera più raffinata,
e facendo leva sulla lettera dell’art. 1141, affermano essere la consegna nei
contratti reali un requisito di efficacia e non di validità del contratto[90],
seguendo una linea ampiamente diffusa anche in Italia ed in Europa[91].
In Guatemala, i Cc. del 1877 e del 1933 avevano
una norma che, contrapponendo i contratti consensuali a quelli reali sulla
scorta del modello dei Cc. cileno e argentino[92],
offriva una definizione dei contratti reali, come quei contratti per la
perfezione dei quali si richiede (anche) la consegna della cosa.
Nella Codificazione del 1963, la cassazione
della norma contenente la definizione del contratto reale rivela le intenzioni
del legislatore, del resto fatte chiare anche dai lavori preparatori, di
accogliere il principio ‘solus consensus
obligat’ ed abolire così la categoria del re contrahere[93]. Il
dubbio che lascia la definizione del mutuo contenuta nell’art. 1942 di questo
stesso Cc., che sembra continuare a richiedere la consegna della cosa[94], sono
ampiamente superabili alla luce della lettura sia dei lavori preparatori che
della dottrina[95].
Anche in Perù, in merito al problema qui in
esame, si sono verificate delle vicende almeno altrettanto articolate quanto
quelle (sopra descritte) verificatesi in Messico e in Guatemala. In Perù,
infatti, la qualifica di contratto reale era stata conosciuta e difesa non solo
dalla dottrina precodicistica[96], ma
anche dagli stessi Cc. del 1852 (cfr. ad es. art. 1800) e del 1936 (cfr. ad es. art. 1573).
La più recente codificazione del 1984, invece,
ha compiuto una decisa scelta di campo in favore della consensualità. La
cartina di tornasole, come al solito, è costituita dal contratto di mutuo, del
quale il Cc. ultimo, confermando sul punto le stesure dei precedenti progetti
del 1980, 1981 e 1984 [97], adotta
una struttura meramente consensuale, modificando gli orientamenti visti delle
precedenti codificazioni.
Art. 1648 Cc. per.
1984
«Por el mutuo, el
mutuante se obliga a entregar al mutuatario una determinada cantidad de dinero
o de bienes consumibles, a cambio de que se le devuelvan otros de la misma
especie, calidad o cantidad».
La dottrina peruviana ha affermato che questo
cambio non è «ni exotico, ni original», ma alla sua base si pone il fatto che
non deve esistere alcun impedimento al principio della libertà che le parti si
accordino sul prestito prima della consegna della cosa[98]. Chiara
e dichiarata è l’ispirazione sia al Cc. federale del Messico sopra visto ed al
principio consensualistico ivi adottato, sia a letture dottrinali di ambito
tedesco (soprattutto Larenz) o francese (soprattutto Mazeaud)[99].
Per quanto invece riguarda Cuba, l’isola
presenta una evoluzione per certi versi analoga a quella del Perù. Il Cc. del
1889, che era in realtà una adozione del Cc. spagnolo[100], pur
codificando all’art. 1258 il principio consensualistico (‘Los contratos se perfeccionan por el mero consentimiento’), nella
definizione del mutuo considerava come presupposta la datio[101].
Invece il nuovo Cc. cubano del 1987 [102], pur
non ribadendo la norma sul valore fondante del mero consenso nei contratti, fa
del mutuo tra privati un contratto consensuale[103].
Art. 379 Cc. cub.
1987
«Por el contrato
de préstamo una de las partes se obliga a entregar a la otra una cantidad de
dinero o de bienes designados solamente por su género, y está a devolver otro
tanto de la misma especie y calidad dentro del plazo convenido».
La dottrina cubana, dal canto suo, non fatica a
trovare nella rivalutazione del sopra visto Ordinamiento
de Alcalá le radici di questo cambiamento[104].
Però, al contrario di quanto avvenuto in Perù,
gli studiosi cubani non ammettono un indiscriminato trionfo del principio del
consensualismo, perché, al contrario, riconoscono che la distinzione tra
contratti reali e contratti consensuali «resulta de la naturaleza de las
prestaciones contractuales, naturaleza que el legislador no puede modificar a
su albedrío»[105]. Pertanto, a loro avviso, la categoria dei
contratti reali deve essere comunque riconosciuta e mantenuta, ad es. per
contratti come il pegno con spossessamento e la donazione di beni mobili, ma ad
essa non debbono appartenere contratti che da sempre invece la tradizione
qualificava come tali, come appunto il mutuo tra privati (ma sì il mutuo
concluso da un privato con una banca)[106].
Per quanto riguarda l’accoglimento del
principio consensualistico negli altri Paesi del continente latinoamericano, la
dottrina civilistica si presenta tutto sommato come divisa in almeno tre tronconi,
per la verità numericamente abbastanza disomogenei tra loro.
Da un lato si pongono quanti, difendono
strenuamente l’esistenza dei contratti reali, rifiutando espressamente il
principio per cui il solo consenso basti alla nascita dell’obbligazione[107].
Da un secondo punto di vista, ad es., la
dottrina venezuelana tende a considerare le norme sui contratti reali come
derogatorie di quelle generali, che fanno nascere il contratto al momento dello
scambio dei consensi[108]. In
Brasile, invece, alcuni affermano senza tema di smentita che «a classificação
dos contratos em consensuais e reais não anula o princípio do consensualismo»[109],
difendendo e giustificando in tal modo l’esistenza della categoria del
contratto reale[110].
Infine, da un terzo punto di vista, non si può
negare che la maggioranza della dottrina latinoamericana spinge verso
l’accoglimento del principio consensualistico, rivendicando la necessità di
legare il prodursi degli effetti del contratto al momento dello scambio dei
consensi.
In Cile, mentre la dottrina dei primi anni del
secolo passato, pur riconoscendo che l’accordo delle parti fosse di per sé solo
sufficiente alla perfezione del contratto, faceva salvi i contratti reali e quelli solenni, in
quanto «expresamente excetuados» dal legislatore stesso[111],
attualmente, si fa strada un filone dottrinario che considera la categoria del
contratto reale «en franca decadencia, y es muy posible que llegue a
desaparecer»[112].
In Uruguay, non manca chi afferma la necessità
di superare le scelte codicistiche, vedendo nei contratti reali un mero relitto
storico, che collide con l’idea moderna del principio del consensualismo e che,
de iure condendo, andrebbe eliminata[113].
Dell’Argentina e della tendenza ivi abbastanza
diffusa verso la ‘consensualizzazione dei contratti reali’ si è già detto supra, § 8.
In Colombia, il principio consensualistico
viene presentato come «una de las evoluciones históricas del derecho
contractual más importantes y trascendentales» dal diritto romano ai nostri
giorni[114]:
a questo proposito, alcuni studiosi giungono ancora a dire che la richiesta
della traditio per la perfezione di
un contratto è una «formalidad caprichosa y arbitraria»[115] o è
addirittura «inútil»[116].
In conclusione, possiamo affermare che il modello
di contratto fondato sul principio del consensualismo che, distaccandosi dalle
fonti romane, lega la produzione degli effetti del contratto al mero scambio
dei consensi, costituisce una opzione presente nel sistema giuridico
latinoamericano, a partire almeno dalla recezione nei territori del Nuovo Mondo
dell’Ordinamiento del Alcalà.
Tale teoria non riesce a penetrare all’interno
delle prime codificazioni latinoamericane del XIX secolo, le quali rimangono
fedeli agli insegnamenti romani, alla luce dei quali di norma non basta il solo
consenso per la costituzione del vincolo contrattuale.
Essa, però, ancorché sopita e quiescente,
rimane vitale, affermandosi, ad es., nel Cc. federale del Messico del 1928 e
poi ritornando in forme più o meno espresse in altri Progetti del secolo
passato (vd. ad es. il cd. Progetto
Bibiloni degli anni ’30 in Argentina).
A partire dagli anni ’80 del secolo passato
assistiamo ad una forte spinta in tal senso da parte della dottrina, indotta a
ciò da un lato da richieste semplificatorie provenienti dalla pratica,
dall’altro lato, da evidenti influssi del diritto nordamericano, che spesso
penetra per il tramite di progetti di unificazione del diritto dei contratti
(vd. ad es., in Europa, i cd. progetti di soft
law, come i principi UNIDROIT o i
PECL, o il recentissimo DCFR).
In tal modo, il principio del consensualismo (solus consensus sufficit) viene accolto
consapevolmente e deliberatamente nei Cc. del Guatamala del 1963, del Perù del
1984 (il quale innova sul punto rispetto ai passati Cc. del 1852 e del 1936), e
di Cuba, del 1987.
A mio avviso, si tratta di una scelta non
condivisibile, che ci allontana dal modello originariamente romano (così come
descritto già nel Sistema di Grosso);
che cancella un istituto ancora utile e vitale come il contratto reale; che si
presenta come eccessivamente tributaria a modelli di cd. common law; che consegna
la parte debole del rapporto nelle mani del contraente più forte, senza porre a
disposizione del primo le tutele che la civil
law ha da sempre conosciuto.
El ‘Sistema romano dei contratti’ de
Giuseppe Grosso ha tenido un papel fundamental en la teoría romana de los
contratos, que a su tiempo se dividía entre los denominados ‘objetivistas’ y los
‘voluntaristas’. La idea de Grosso, que conserva aún validez a pesar de haber
transcurrido más de medio siglo desde la primera edición del libro (1945),
consiste en que el ‘sistema’ ideado por los romanos en el ámbito de los
contratos gira alrededor de un ‘elemento obligante’, constituído por la res, por los verba o por las litterae,
acompañado por el consenso. Sólo los bizantinos, en opinión de Grosso,
invirtieron esta prospectiva, poniendo en primer lugar el consenso, al cual se
agrega según el caso un elemento ‘perfeccionador’ de la fattispecie (res, verba,
litterae).
Es
esta inversión de prospectiva la que sirvió de apoyo para la afirmación del
principio del consensualismo (solus
consensus obligat), tanto en Europa como en América Latina. En el Nuevo
Mundo este principio penetra, en primer lugar, gracias al Ordinamiento de Alcalá (1348), a la obra de Bartolomeo de Albornoz
(Arte de los contratos, 1573) y,
luego, gracias al Proyecto García Goyena (1851)
que tuvo una amplia circulación.
La
resistencia ofrecida por la doctrina, tanto anterior como posterior a las
primeras Codificaciones latinoamericanas (los
llamados Códigos de la madurez), así
como también por los Códigos del finales del siglo XIX, es superada, entre
otras vicisitudes, ya a inicios del siglo pasado (v. por ej. el Código de
México de 1928). En la actualidad, la afirmación del principio consensualista,
y la consiguiente supresión del contrato real, constituye un campo de batalla
abierto que ve a la doctrina ampliamente favorable, pero a las codificaciones
civiles recientes divididas (v. principalmente, por un lado, los cc. de
Guatemala de 1963, Perú de 1984 y Cuba de 1989; y por el otro, el Cc. de Brasil de 2003).
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione
Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review.
Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind].
* Testo rivisto e corredato di
note della relazione tenuta nel corso del II
Seminario di Studi sulla codificazione municipale. L’esempio della
consolidazione delle “leggi” del Municipio di Curitiba, svoltosi a Sassari,
nei giorni 13 e 14 dicembre 2013; il saggio è destinato alla pubblicazione nei
relativi Atti.
[1]
Vd. in particolare le affettuose parole di A.
Burdese, Presentazione degli
scritti di Giuseppe Grosso, in Rivista
di diritto romano, 1, 2001, 1 ss. Un bel profilo del Maestro è tracciato da
un altro suo allievo: F. Goria, s.v. Grosso Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani,
60, 2003; per altre notizie su Grosso e sulla sua vita politica, accademica e
scientifica, cfr. anche E. Volterra,
Giuseppe Grosso. 1906-1973, in BIDR, 77, 1974, 15 ss.; F. Gallo, Giuseppe Grosso (1906-1973), in SDHI,
40, 1974, 523 ss.; Idem, Giuseppe Grosso a venticinque anni dalla
morte, in BIDR, 98-99, 1995-96,
IX ss.; G. Pugliese, L’opera giuridica di Giuseppe Grosso, in
Studi in onore di G. Grosso, I,
Torino, 1968, XVII ss.
[3]
Sempre nell’Introduzione, a proposito
del libro Grosso scrive: «penso di aver raggiunto una rappresentazione limpida,
quale forse non si trova in altri miei scritti. E se in questa limpidità sembra
riflettersi una serenità di spirito, posso dire che non vi sento una
contraddizione con la durezza dei tempi in cui il lavoro fu redatto:
nell’asprezza e nel tormento di quelle ore, vi era, infatti, una grande luce,
la fede nell’ideale di un mondo libero e più umano, rinnovato nello spirito
oltreché negli ordinamenti».
[4]
Penso per es. (ma non solo) soprattutto a U.
Brasiello, In tema di categorie
contrattuali, in SDHI, 10,
1944, 101-149; a P. Voci, La dottrina romana del contratto,
Milano, 1946; a B. Biondi, Contratto e stipulatio, Milano, 1953; a G. Astuti, I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano. Parte
generale, I, Milano, 1952; a E. Levy,
Weströmisches Vulgarrecht. Das Obligationenrecht, Weimar, 1956; a S.E. Wunner, Contractus. Sein Wortgebrauch und Willensgehalt im
klassischen römischen Recht, Köln-Graz, 1964; o anche, qualche anno più
tardi, a C.A. Maschi, La categoria dei contratti reali. Corso di
diritto romano, Milano, 1973.
[5]
M. Lauria, Contractus, delictum,
obligatio. (A proposito di recenti studi),
in SDHI, 4, 1938, 177 s.; S.E. Wunner, Contractus cit., 216 ss., secondo il quale ancora Gaio
accoglierebbe un concetto di contractus del
tutto atecnico, comprendente in sostanza tutto ciò che non è delitto, mentre
una nozione fondata sulla «Willensübereinstimmung der Parteien» si sarebbe
consolidata solo con il diritto tardoclassico.
[6] Cfr. S.
Schlossmann, Der Vertrag, Leipzig, 1876 (rist. Aalen,
1980), 8 ss.; secondo questo a. (vd. 164 s.), il concetto di contratto accolto
dai giuristi romani, il cui ‘proprium’ non potrebbe comunque essere visto
nell’incontro delle volontà, è talmente poliedrico e multiforme che non avrebbe
senso (né sarebbe possibile) ridurlo sotto una unica definizione; esso, in
realtà, dovrebbe essere considerato come uno strumento o atto di pace, con il
quale gli uomini regolano i loro rapporti in maniera tale da scambiarsi
qualcosa in relazioni pacifiche («in friedlichen Verkeher») o da mantenere
tacitamente tra loro lo stato di pace («Friede mit einander zu halten»).
[7] A. Pernice, Parerga III. Zur Vertragslehre
der römischen Juristen, in ZSS RA,
9, 1888, 195 ss. e 219 ss. in particolare.
[8]
P. Bonfante, Sulla genesi e l’evoluzione del «contractus», in RIL, 40, 1907, 888 ss., cito da Scritti
giuridici varii, III, Obbligazioni,
comunione e possesso, Torino, 1926, 105 ss. (nel contractus romano «ciò che vi è di comune è lo stringere un
vincolo, una relazione duratura; che la volontà vi abbia o non vi abbia parte,
è indifferente», 110; «il contrahere
allude al vincolo, non alla volontà», 123); Idem,
Il contratto e la causa del contratto,
in RDComm., 6, 1908, 115 ss., cito da
Scritti III cit., 125 ss. («contratto
non è sinonimo del termine consenso», 126); Idem,
Sui «contractus» e sui «pacta», in RDComm., 18/1, 1920, 1 ss., cito da Scritti III cit., 134 ss. («il consensus o la conventio nel diritto classico non si esige per lo meno in ogni contractus», 135; «io ritengo ora come
probabile che l’assunzione della conventio
ad elemento essenziale del contratto, la nozione moderna del contratto non
siasi affacciata mai nella giurisprudenza romana. Essa è una costruzione di
quelle scuole orientali, alle quali il Riccobono nega in proposito ogni
influenza»).
[9]
Cfr., in analogia a quanto sostenuto negli stessi anni dal Betti (vd. infra, nt. successiva), P. de Francisci, SYNALLAGMA. Storia e dottrina dei cosiddetti contratti innominati,
II, Pavia, 1916, 313 ss. e 329 ss., il quale riteneva che i sabiniani si
sarebbero attenuti alla teoria del contratto-vincolo, mentre i proculiani
avrebbero limitato tale nozione ai soli negozi riconosciuti dal ius civile; né gli uni, né gli altri,
però, avrebbero inteso il contractus come
convenzione obbligatoria, accezione che, invece, sarebbe stata introdotta nei
testi romani dai compilatori a colpi di interpolazioni.
[10]
Cfr. E. Betti, Sul valore dommatico della categoria contrahere in giuristi proculiani e sabiniani, in BIDR, 28, 1915, 10 ss., ma vd. anche Idem, Sul significato di contrahere in Gaio e sulla non classicità della
denominazione «quasi ex contractu obligatio», in BIDR, 25, 1912, 65 ss., dove l’a. afferma che mentre per i
sabiniani ‘contractus’ sarebbe stata
ogni obbligazione non nascente da delitto, i proculiani fondavano la nozione
sulla bilateralità delle obbligazioni, che solo con Pedio sarebbe diventata
bilateralità delle volontà; più chiara appare l’adesione del Betti al modello
‘oggettivo’ del contratto in E. Betti,
Appunti di teoria dell’obbligazione in
diritto romano, Roma, 1957, 17 ss.; e poi soprattutto in Idem, Istituzioni di diritto romano, II.1, Padova, 1960, 68 s.
[11]
Cfr. S. Perozzi, Il contratto consensuale classico, in Studi giuridici dedicati e offerti a F.
Schupfer nella ricorrenza del XXXV anno del suo insegnamento, Torino, 1898,
163 ss. (= in Scritti giuridici, II,
Servitù e obbligazioni, a cura di U.
Brasiello, 563 ss.); Idem, Le obbligazioni romane, Bologna, 1903,
31 nt. 1 (= in Scritti giuridici, II,
cit. 337 nt. 1); Idem, Istituzioni di diritto romano, II, 2a
ed., Roma, 1928, 17.
[12]
Cfr. E. Albertario, Le fonti delle obbligazioni e la genesi
dell’art. 1097 del Codice civile, in Riv.
del dir. comm., 1923, I, 493 ss. (= in Studi
di diritto romano, III, Obbligazioni, Milano, 1936, 73 ss.); Idem, Ancora sulle fonti dell’obbligazione romana, in RIL, 59, 1926 (cito da Studi III cit., 100 ss.).
[13] Cfr. F.
Wieacker, Societas.
Hausgemeinschaft und Erwerbsgesellschaft. Untersuchungen zur Geschichte des
römischen Gesellschaftsrechts, I, Weimar, 1936, 80 ss.; secondo questo a.,
nel diritto contrattuale romano bisognerebbe abbandonare l’accezione di
consenso come «gegenseitige Erklärung des Willens zum Vertragsabschlusse», in
favore di una «apsychologische und formalistische Gehalt des Konsenses». Dello
stesso a., vd. anche, nello stesso senso, successivamente, F. Wieacker, Irrtum, Dissens oder gegenstandlose Leistungsbestimmung?, in Mélanges P. Meylan, I, Lausanne, 1963,
383 ss.
[14]
Il merito dell’enunciazione di questa teoria va indubitabilmente attribuito a G. Haupt, Über faktische Vertragsverhältnisse, Leipzig, 1941 (= in Fs. Siber, II, Leipzig, 1943, 5 ss.). La bibliografia sul punto è
ampia: tra i tanti, cfr. in Germania S.
Simits, Die faktische
Vertragsverhältnisse als Ausdruck der gewandelten sozialen Funktion der
Rechtsinstitute des Privatrechts, Frankfurt am Main, 1956; K.
Larenz, Die Begründung von
Schuldverhältnisses durch sozialtypisches Verhalten, in NJW, 1956, 1897 ss.; H.C. Nipperdey, “Faktische Vertragsverhältnisse?, in Monatschrift f. deutsches Recht, 1957, 129 ss.; K. Lehmann, Faktische Vertragsverhältnisse, in NJW, 1958, 1 ss.; W. Siebert,
Faktische Vertragsverhältinsse:
Abwandlungen des Vertragsrechts in den Bereichen der Daseinsvorsorge, des
Gesellschaftsorge und des Arbeitsrechts, Karlsruhe, 1958, 3 ss.; F.
Wieacker, Willenserklärung und
sozialtypisches Verhalten, 1962, cito da Kleinere juristische Schriften, Göttingen, 1988, 119 ss.; A. Nikisch, Über “faktische” Vertragsverhältnisse, in Vom deutschen zum europäischen Recht. Fs. für H. Dölle, I,
Tübingen, 1963, 79 ss.; per una opinione critica, vd. però ora P. Lambrecht, Die Lehre vom faktischen Vertragsverhältnis. Entstehung, Rezepzion und
Niedergang, Tübingen, 1994; in Svizzera, cfr. R. Jeanprêtre, Le
contrat de fait, in Recueil de
jurispr. neuchâtelois (RJN),
1982, 9 ss.; D. Würsch-R. Dallafior,
Können Fakten Verträge begründen? Zum
sog. faktische Vertragsverhältnis. Bemerkungen zu einem Urteil des Obergericht
des Kantons Soluturn, in Schweizerische
Juristen Zeitung (SJZ), 85, 1988, 273 ss.; C. Syz, Faktische
Vertragsverhältnis, Zurich, 1991; I.
Schwenzer, Rezeption deutscher
Rechtsdenken im scheizerischen Obligationenrecht, in Schuldrecht, Rechtsvergleichung und Rechtsvereinhetlichung an der
Schwelle zum 21. Jharhundert,
a cura di I. Schwenzer, Tübingen,
1999, 76 ss.; in Italia, cfr. almeno E.
Betti, Sui cosiddetti rapporti
contrattuali di fatto, in Jus, 8,
1957, 353 ss.; L. Ricca, Sui cosiddetti rapporti contrattuali di
fatto, Milano, 1965; e, più di recente, C.
Angelici, s.v. Rapporti
contrattuali di fatto, in Enc. giur.
Treccani, 25, 2003, 1 ss. Per altri ragguagli, cfr., oltre alle ntt.
seguenti, S. Segnalini, «Contrahere» senza «consentire»? Il
punto di vista dello storico, in Rivista
di diritto romano, X, 2010, 2 (dell’estratto) nt. 11.
[15]
Cfr. G. Stella Richter, Contributo allo studio dei rapporti di fatto
nel diritto privato, in Riv. trim. di
dir. e proc. civ., 31, 1977, 151 ss.; V.
Franceschelli, Premesse generali
per uno studio dei rapporti di fatto, in Rass. di dir. civ., 1981, 662 ss.; Idem,
I rapporti di fatto. Ricostruzione della
fattispecie e teoria generale, Milano, 1984; L. Stanghellini, Contributo
allo studio dei rapporti di fatto, Milano, 1997.
[16]
Oltre agli aa. cit. supra alla nt.
14, sul punto vd., da ultime, E.
Piccin-M.E. Tartaglia, I rapporti
contrattuali di fatto, Padova, 2012.
[17]
Il riferimento è al noto N. Irti, Scambi senza accordo, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 52,
1998, 347 ss.; (cfr. anche le repliche dello stesso a. alle critiche di Oppo e Bianca
[infra in questa stessa nt.]: Idem, «È vero, ma…» [Replica a Giorgio Oppo], in Riv. dir. civ., 45, 1999, I, 273 ss.; Idem, Lo scambio dei
foulard [replica semiseria al prof. Bianca], in Riv. trim di dir. e proc. civ., 44, 2000, 601 ss.). La costruzione
irtiana godeva già di un certo consenso in dottrina (vd. ad es. P. Rescigno, Introduzione al Codice civile, Bari 19922, 162 s.), ma non sono
mancati gli oppositori (vd. per es. G.
Oppo, Disumanizzazione del
contratto?, in Riv. dir. civ., 45,
1998, I, 525 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 20003, 391 ss.; Idem, Acontrattualità dei contratti di massa?, in Vita notarile, 2001, II, 1120 ss.; F. Gazzoni, Contatto reale e contatto fisico [ovverosia
l’accordo contrattuale sui trampoli], in Riv. dir. comm., C, 2002, I, 661 ss.): riassume la discussione non
senza acribia S. Segnalini, «Contrahere» senza «consentire»? cit.,
1 ss. (dell’estratto).
[18]
Cfr. S. Failace, La responsabilità da contatto sociale,
Padova, 2004; C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, 3a ed.,
Milano, 2006, 487 ss.; Idem, La relazione come categoria essenziale
dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale, in Europa e dir. priv., 2011, 1, 55 ss.; F. Cimbali, La responsabilità da contatto, Milano, 2010; A.
Santoro, La responsabilità da
contatto sociale. Profili pratici e applicazioni giurisprudenziali, Milano,
2012; S. Rossi, s.v. Contatto sociale (fonte di
obbligazione), in Dig. Disc. priv.
(sez. civ.), Agg., V, Torino,
2010, 346 ss. (con bibl.).
[19]
Cfr. soprattutto C. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione. Ai confini
tra contratto e torto, in Le ragioni
del diritto. Scritti in onore di L. Mengoni, I, Milano, 1995, 148 ss. (=
con titolo leggermente diverso in La
nuova responsabilità cit., 177 ss.); Idem,
Ritorno all’obbligazione senza
prestazione, in Europa e dir. priv.,
2008, 3, 679 ss.; per un panorama, vd. ora anche L. Manna, Le
obbligazioni senza prestazione, in Trattato
delle obbligazioni diretto da L.
Garofalo e M. Talamanca, I,
La struttura e l’adempimento, a cura
di L. Garofalo, Padova, 2010, 3
ss.
[20]
Cfr., per questa prospettiva, soprattutto N.
Irti, Scambi senza accordo cit.,
361. Per quanto riguarda il diritto romano, in questa direzione si muovono
diversi lavori di Theo Mayer Maly: vd., in particolare, T. Mayer Maly, Vertrag
und Einigung, I, Studien zum Vertrag, in Festschrift für H.C. Nipperdey zum 70. Geburtstag 21 januar 1965, a cura di R.
Dietz e H. Hübner, München
und Berlin, 1965, 509 ss.; Idem, Studien zur Vertrag II. Von solchen
Handlungen die den Kontrakte in ihrer Wirkung gleichkommen, in Fs. Wilburg, Graz, 1965, 129 ss.
Peraltro, per una ipotesi sul percorso storico che porta al «sorgere di
obbligazioni contrattuali da fatti non contrattuali» vd. C.A. Cannata, s.v. Quasi contratti e quasi delitti, in ED, 38, 1987, 25 ss. e 28 in particolare (una versione in tedesco
quasi letterale di questo lavoro è costituita da Idem, Vertragsverhältnis
oder die ewige Wiederkunft des Gleichen, in SDHI, 53, 1987, 297 ss. e 303 in particolare), secondo il quale la
figura chiave da questo punto di vista sarebbe stata costituita dai cd. quasi
contratti (rectius: dalla obligationes quasi ex contractu, da non
confondere con la categoria puramente sistematica del tardo diritto bizantino).
Nello stesso senso, vd. anche la icastica affermazione di K. Lehmann, Über faktische Vertragsverhältnissse, in Jher. Jharb., 90, 1942, 133: «Haupt entdeckt die quasi Kontrakte
neu».
[21]
Vd. F.C. von Savigny, Das Obligationenrecht als Theil des heutigen
römischen Recht, II, Berlin, 1853, 7, cito dalla trad. it. di G. Pacchioni, II, Torino, 1915, 6: «il
contratto è l’accordo di più persone in una stessa manifestazione di volontà,
in un idem placitum, per la
determinzione di dati loro rapporti giuridici» (non interessa in questa sede il
noto argomento dell’ampiezza della nozione savignyana di contratto); o B. Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, Frankfurt am Main, 19069,
(rist. Aalen, 1984) § 305, 243, il contratto è la riunione di due dichiarazioni
di volontà («Vereinigung zweier Willenserklärungen»).
[22]
Cfr. soprattutto C. Ferrini, Manuale di Pandette, Milano, 1908, 3a
ed. (rist. 1917, 3a ed.; la 1a ed. è del 1908, mentre la 4a, curata come è
noto, proprio da G. Grosso,
apparirà solo nel 1953), § 520, 654, il quale per definire il contractus romano, usa la nota
definizione teofilina, da lui così tradotta: «l’incontro ed il consenso di due
o più persone diretto a costituire un’obbligazione e a rendere l’una debitrice
dell’altra».
[23]
Cfr. A. Marchi, Storia e concetto della obbligazione romana,
I, Storia dell’obbligazione romana,
Roma, 1912 (rist. 1972), 28 ss.
[24]
Cfr. U. Brasiello, Sull’elemento subiettivo nei contratti,
in Studi Urbinati, 3, 1929, 103-130; Idem, Sull’influenza del Cristianesimo in materia di elemento subbiettivo nei
contratti, in Scritti di diritto
romano in onore di C. Ferrini, a cura di G.G.
Archi, Milano, 1946, 540 ss., dove l’a. ipotizza addirittura una
derivazione di questa accezione del ‘contractus’ per influenza da parte del
cristianesimo.
[25]
G. Bortolucci, Note sul contratto romano, in Acta congressus iuridici internationalis,
Romae, 12-17 novembris 1934, I, Roma, 1935, 243 ss.
[26]
Cfr. P. Voci, La dottrina del contratto nei giuristi romani dell’età classica, in
Scritti di diritto romano in onore di C.
Ferrini, a cura di G.G. Archi,
Milano, 1946, 385 ss.
[27]
Cfr. B. Biondi, Contratto e stipulatio cit., 198 ss. e
210 ss. Secondo questo a., mentre fino al I sec. d.C. le fonti avvalorerebbero
la costruzione bonfantiana del ‘contratto-vincolo’, a partire da Gaio si
sarebbe invece affermata una nozione di contractus
fondata sul consenso.
[28]
Cfr. S. Riccobono, La formazione della categoria generale del contractus
nel periodo della giurisprudenza classica,
in Studi Bonfante, I, Milano, 1930, 122-173; Idem, Dal diritto romano classico al diritto moderno (a proposito di
D.10,3,14 [Paul. 3 ad Plautium]), in AUPA,
3/4, 1917, 165 ss. (= in Scritti di
diritto romano, II, Palermo, 1964, 1 ss.); Idem,
La nozione del contractus e la propagazione degli elementi del contractus
ai negozi solenni del ius civile, in Bollettino della Reale Accademia di Scienze,
Lettere e Belle Arti di Palermo, 1918, 11 ss.; secondo questo a., la
critica interpolazionistica, che bollava sistematicamente come compilatori i
riferimenti delle fonti all’animus,
alla voluntas, al consensus ecc., non avrebbe tenuto nel
dovuto conto l’emergere di questi profili già a partire dalla fine della
Repubblica; a suo avviso, pertanto, la teoria soggettiva del contratto fu
sperimentata prima nella realtà della vita, proprio dalla giurisprudenza
classica e poi fissata nella nozione giuridica.
[29]
L’idea dell’anteriorità della quadripartizione rispetto alla bipartizione non
era in realtà nuova; l’aveva già prospettata almeno F. De Visscher, Les
origines de l’obligation ‘ex delicto’,
in RHDFE, 7, 1928, 345 ss. (= in Études de droit romain, Paris, 1931, 267
ss.), senza però trarne le conseguenze che ne deriva Grosso. In ogni caso, non
bisogna dimenticare che, proprio in quegli anni, andava enunciando la sua tesi
il d’Ors, il quale, nella Recensione
al Sistema pubblicata in IURA, 15, 1964, 390 s., rimprovera al
Grosso di non aver considerato i suoi numerosi lavori sul tema. Secondo questo
a., i classici avrebbero contrapposto ‘creditum’ (costituito dalle obligationes contractae re e verbis)
a ‘contractus’, avente ad oggetto
rapporti di buona fede, sinallagmatici e soprattutto di più recente origine
anche pretoria; Gaio avrebbe invece inventato la quadripartizione, di cui, ad
avviso del d’Ors, non si troverebbe traccia in altri giuristi contemporanei
(ciò che confermerebbe la natura di giurista pre-postclassico di Gaio: vd.
soprattutto A. d’Ors, Varia romana. V. Gayo «pre-postclásico»,
in AHDE, 25, 1955, 830 s.; ma poi anche
M. Kaser, Gaius und die Klassiker, in ZSS RA, 70, 1953, 127 s.; per delle
giuste critiche a questa ricostruzione, cfr. A.
Guarino, Il classicismo dei
giuristi classici, in Scritti giuridici
raccolti per il centenario della casa editrice Jovene. 1854-1954, Napoli,
1954, 227 ss.; J.C. Van Oven,
Gaius, der Hochklassiker, in TR, 23, 1955, 240 ss.): cfr., tra i
tanti lavori dell’a., soprattutto A.
d’Ors, Re et Verbis, in
Atti del Congresso internazionale di
diritto romano e di storia del diritto. Verona, 27-28-29 IX 1948, a cura di
G. Moschetti, III, Milano, 1951,
267 ss. (riassunto in spagnolo in AHDE, 19, 1948-49, 602 ss.), ma poi anche
almeno Idem, Observaciones sobre el ‘edictum de rebus creditis’, in SDHI, 19, 1953, 134 ss.; e Idem, Creditum und contractus, in ZSS RA,
74, 1957, 73 ss. e particolarmente 93 ss. (= in spagnolo in AHDE, 26, 1956, 183 ss.).
[30]
Questa è la critica rivolta al Grosso da H.J. Wolff nella Recensione al sistema
pubblicata in IURA, 2, 1951, 263 s.;
peraltro, giustamente la critica di dogmatismo viene dal Grosso stesso respinta
al mittente (vd. la prefaz. alla III ediz., XI). Lo stesso Grosso, peraltro,
ricorda, tra il serio e il faceto, come Branca gli imputasse il rischio di fare
della sua idea della ‘concretezza’ quasi uno schema astratto.
[32]
Forse i punti in cui l’opera del Grosso appare più datata riguardano
soprattutto le tematiche dei pacta (soprattutto
dopo gli studi di A. Magdelain, Le consensualisme dans l’édit du préteur,
Paris, 1958 e di G. Melillo, s.v. Patti [storia], in ED, 32, 1982, 479-496; Idem, Contrahere, pacisci, transigere. Contributi allo studio del negozio
bilaterale romano, Napoli, 1994) e del pensiero di Labeone sul contratto
(vd. soprattutto, ma non solo [cfr. infra,
la nt. 34], gli studi di F. Gallo,
Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della
categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne. Corso
di diritto romano I, Torino, 1992; II, Torino, 1995, che hanno avuto il
merito di sollevare il velo sul problema).
[34]
Non è possibile qui dare conto, nemmeno per sommi capi, della bibliografia che
si è accumulata dal 1968 ad oggi su di una tematica, come quella del contratto,
che per molti aspetti si presenta come tangenziale rispetto a numerose altre
materie: mi limito a richiamare alcuni lavori di Alberto Burdese (peraltro allievo
proprio di Grosso), che efficacemente svolgono anche una funzione
sintetizzatrice: cfr. A. Burdese, Recenti prospettive in tema di contratto,
in Labeo, 38, 1992, 200 ss.; Idem,
Ultime prospettive romanistiche in tema
di contratto, in Atti del II Convegno
sulla problematica contrattuale in diritto romano, Milano, 1998, 17 ss.; Idem, Panoramica del contratto nelle dottrine della giurisprudenza romana,
in Fides, humanitas, ius. Studii in onore
di L. Labruna, I, a cura di C.
Cascione e C. Masi, Napoli,
2007, 565 ss., che costituisce l’introduzione alla raccolta di saggi sulla
stessa tematica A. Burdese, Le dottrine del contratto nella
giurisprudenza romana, Padova, 2006. Vd. anche R. Fiori, Contrahere e
solvere obligationem in Q. Mucio
Scevola, in Studii Labruna cit.,
III, 1954 ss.; e Idem, ‘Contrahere’ in Labeone, in Carmina iuris.
Mélanges en l’honneur de M. Humbert, a cura di E. Chevreau, Paris, 2012, 311 ss., il quale sostiene la non
utilità per la ricostruzione del concetto romano di contratto di alcuni passi
(ad es. D.46.3.80 ma anche D.50.16.19) solitamente addotti dalla dottrina.
[35]
Fondamentale sul punto è la lettura di L.
Labruna, Solus consensus obligat
(Appunti sul consensualismo nel diritto romano delle obbligazioni per servire
da traccia ad una avvertita evoluzione del diritto delle obbligazioni in Cina),
in Roma e America. Diritto romano comune,
8, 1999, 209 ss.
[36]
Utili, ancorché non esaustivi sul tema, sono: P.
Carlini, s.v. Contratto e patto
nel diritto medioevale e moderno, in Dig.
disc. priv., 4, 1989, 77 ss.; I.
Birocchi, Causa e categoria
generale del contratto. Il Cinquecento, Torino, 1997; R. Volante, Il sistema contrattuale del diritto comune classico. Struttura dei
patti e individuazione del tipo. Glossatori e Ultramontani, Milano, 2001; A. Massironi, Nell’officina dell’interprete. La qualificazione del contratto nel
diritto comune (secoli XIV-XVI), Milano, 2012.
[37]
Significativo appare il recupero da parte di un allievo di Cuiacio, Antonine de
Loysel (1536-1617) della vecchia glossa alle Istituzioni, che nell’esaltare il
ruolo della volontà nei contratti, affermava che dal momento che i buoi si
prendono per le corna, e gli uomini per le parole, una semplice promessa o
accordo vale tanto quanto vale per il diritto romano una stipulatio: cfr. gl. vinculum a I. 3.13 pr.: ut enim boves funibus visualiter ligantur,
sic homines verbis ligantur intellectualiter e poi anche verba ligant homines, taurorum cornua funes;
vd. anche A. Loysel, Institutes
coutumières, manuel de plusieurs et diverses règles, sentences, &
proverbes, tant anciens que modernes, du droit coutumier & plus ordinaire
de la France,
1607.
[38]
A questo proposito, oltre al Petition of
Right (1626), all’Habeas Corpus Act (1679)
e al Bill of Rights (1689) inglesi,
si può citare un nome, un libro, una data: J.
Locke (1632-1704), Two Treatieses
of Governement, 1690; ma per la diffusione del liberalismo politico (da non
confondersi assolutamente con il liberismo economico, che da esso si svilupperà
solo successivamente per opera soprattutto di Adam Smith: vd. N. Bobbio, Liberalismo e democrazia, Milano, 2007 passim), fondamentali saranno poi anche gli apporti, tra gli altri,
di George Berkeley (1685-1753), di David Hume (1711-1776) e più tardi di Jean
Jacques Rousseau (1712-1778); cfr. il volume Western Liberalism. A History in Documents from Locke to
Croce, a cura di E.K. Bramsted e K.J. Melhuish, London-New York, 1978 e poi anche J. Steinberg, Locke, Rousseau and the Idea of Consent. An Inquiry into the
Liberal-Democratic Theory of Political Obligation, West Point (Conn.),
1981.
[39]
Il principio, che risale addirittura al Concilio di Cartagine del 348 (dove
l’assemblea stabilì che ‘pax servetur,
pacta custodiantur’), acquistò una
vera e propria forza vincolante a partire dal 1212: per fonti e dottrina, cfr.
ora A. Supiot, Homo juridicus. Essai sur la function anthropologique du
droit, Paris, 2005 cito dalla trad. it. Homo
juridicus. Saggio sulla funzione
antropologica del diritto, Milano, 2006, 117 ss.
[40]
Colui che non agisce conformemente alla parola data inganna il suo prossimo, e
commette peccato mortale: sul punto, cfr. soprattutto F. Spies, De
l’observation de simples conventions en droit canonique, Paris, 1928, 228
ss.; J. Bärmann, “Pacta sunt servanda”. Considérations sur l’histoire du contrat consensuel, in Revue
intern. de droit comp., 1961, 18 ss.
[41]
Non è compito di questo lavoro indagare la portata generale dell’istituto del
contratto in America Latina: per una felice messa a punto di questa
problematica, vd. ora D.F. Esborraz,
Los alcances del contrato en el
substistema jurídico latinoamericano, in Roma e America. Diritto romano comune, 33, 2012, 197 ss.
[42] Di riforma parla espressamente L. Claro Solar,
Explicaciones de derecho civil chileno y
comparado, vol. V,
tom. X, De las obligaciones, I, Santiago, 1992 (1a ed. 1927), 579
s.; per l’ispirazione nell’aequitas canonica
di tale rivoluzionaria riforma, vd. A. Levaggi, Introducción a los contratos en el derecho
indiano, in Roma e America. Diritto
romano comune, 7, 1999, 122 s.
[43] Cfr. A.
Levaggi, Manual de historia del
derecho argentino (castellano-indiano/nacional), II, Buenos Aires, 19962,
165 s.; Idem, Historia del derecho de las obligaciones, contratos y cosas, Buenos
Aires, 1982, 24 s.; sul punto vd. anche R.
Cardilli, La «buona fede» come
principio di diritto dei contratti: diritto romano e America Latina, in Roma e America. Diritto romano comune, 13, 2002, 123 ss. (=
in Studi in onore di A. Burdese, I,
Padova, 2003, 283 ss.); Idem, «Bona fides» tra storia e sistema, Torino, 2004, 65 s.; ricordo, poi, che il
diritto indiano (cfr. soprattutto la Recopilación
de las Leyes de los Reynos de las Indias del 1680) è poco conferente per le
tematiche di diritto privato, riguardando per la maggior parte tematiche di
diritto pubblico: cfr., per tutti, A.
Levaggi, Introducción a los
contratos cit., 121.
[44]
Cfr. soprattutto A. García Gallo, Estudios de historia del derecho indiano,
Madrid, 1972, 147 ss.; Idem, La ciencia jurídica en la formación del
derecho hispanoamericano en los siglos XVI al XVIII, in AHDE, 44, 1974, 197 nt. 135; ma vd.
anche M.C. Mirrow, Latin American Law. A
History of Private Law and Institutions in Spanish America, The University of Texas Press, Austin (Texas),
2004, Part. I, cap. 4, 51.
[46]
L’opera si trova lodata già in J. de
Solórzano y Pereira (1575-1655), Política
indiana, 1647, cito dall’ed. Madrid, 1736, lib. III, cap. 1, n. 16, 223.
[47]
Sul punto, cfr. E. Soto Kloss, El “Arte de los contratos” del Bartolome de
Albornoz, un jurista indiano del siglo XVI, in Revista chilena de historia del derecho, 11, 1985, 163 ss.
[48] Cfr. B.
De Albornoz, Arte de los contratos, Valencia, 1573, fol. 5, lib. I, De las obligaciones y promisiones, cap.
VIII.
[50] Cfr. Cfr. B.
De Albornoz, Arte de los contratos,
cit., foll. 37 ss., lib. II, Prologo; in tal modo, così come il mutuo
anche la vendita è considerata da Albornoz contratto reale, mentre la
fideiussione sarebbe un contratto personale, e il deposito un contratto misto,
perché in quest’ultimo vengono parimenti in considerazione res e personae. La
classificazione, oltre ad essere oscura, non sembra rivestire utilità alcuna
per lo studio del diritto e, difatti, non trova praticamente riscontri in
nessun altro autore.
[53]
Ciò, secondo J.M. Castán Vázquez, La influencia de García Goyena en las
codificaciones americanas, in Homenaje
al Profesor J. Roca Juan, Murcia, 1989, 153 ss., sarebbe dovuto
essenzialmente a tre ‘punti deboli’ dell’opera: 1) l’‘afrancesamiento generalmente censurado’; 2) la costruzione eccessivamente
‘laica’ del matrimonio; 3) la tendenza eccessivamente centralista, a scapito
del ‘derecho foral’.
[54]
Cfr. soprattutto A. d’Ors-J. Bonet Correa,
En el centenario del Proyecto Isabelino
de Código Civil, in Información
Jurídica, 96, 1951, 483 ss.; ma vd. anche F.
Thomas y Valiente, Manual de
historia del derecho español, Madrid, 1972, 575 ss.
[55]
Sulla diffusione in America Latina del Progetto di García Goyena, vd. J.M. Castán Vázquez, La influencia de García Goyena cit., 156
ss.; A. Guzmán Brito, La codificación civil en Iberoamérica. Siglos XIX y XX,
Santiago (Chile), 2000, 426 ss.
[56]
Per quanto riguarda il tema del contratto presso gli autori francesi verso i
quali García Goyena appare in debito, vd. ad. es. K.S. Zachariae, Droit civil français, cito dalla trad. it. dell’ed. Paris,
1854-61, III, Napoli, 1862, § 611, 585 e nt. 4; C.
Aubry-C. Rau, Cours de droit civil
français, IV, 4a ed., Paris, 1871, § 340, 283 s.; G. Baudry-Lacantinerie-A.Wahl, Traité théorique et pratique de droit civil XXIII. De
la société, du prêt, du dépôt, 3a ed., Paris, 1907, 359 s.
[57] Vd. ad es. C.
Álvarez Martinez, Instituciones de
derecho civil, Valladolid, 1840, 237 s., il quale, riferendosi alla
quadripartizione re, verbis, litteris e
consensu, afferma: «Todas estas
divisiones y subdivisiones eran otras tantas sutilezas que embrollan aquella
legislacion y hacian su estudio dificil y embarazoso. Ya entre nosostros non
existe ninguna de estas diferencias».
[58] Cfr. F.
García Goyena, Concordancias,
motivos y cómentarios del Código civil español III, Madrid, 1852 (rist. Zaragoza,
1973), comm. all’art. 976; ma vd. anche F.
García Goyena-J. Aguirre-J. M. Montalbán, Febrero o
libreria de jueces, abogados y escribanos II, 2a
ed., Madrid, 1852, num. 2635, 206 nt. 1.
[60] Cfr. A.
Guzmán Brito, La promesa
obligacional en las “Partidas” como sede de la doctrina general de las
obligaciones, in Revista chilena de
derecho, 34, 2007, 395 ss.
[61] Cfr. P.
Gómez de la Serna y J.M. Montalbán, Élementos
de derecho civil y penal de España II, 6a ed., Madrid, 1861, 297 nt. 1 e
446; ma vd. pure L. Claro Solar, Explicaciones
de derecho civil chileno cit., 581: «el legislador… no entendía con ello
desnaturalizar los contratos reales» così che «es imposible, en efecto,
refundir los contratos reales en los contratos consensuales»; e, da ultimo, D.F. Esborraz, Contrato y sistema en América Latina, Buenos Aires, 2006, 143 ss.
[62] J.
Sala, Ilustración
del derecho real de España I, Madrid, 18323, 390, II,19,4 (ma
vd. però anche J. Sala, Institutiones romano-hispanae II,
Valentiae, 1789, I,3,13,1, 289); di quest’opera, come è noto, esistono varie
edizioni pubblicate in diversi Paesi dell’America Latina, così che esiste un
Sala messicano, cileno, colombiano ecc.: cfr. M.
Peset, Novísimo Sala mexicano o el
final del viejo derecho hispano, in Memoria
del IV Congreso de historia del derecho mexicano II, a cura di B. Bernal, México, 1988, 895 ss.
[63] E.
de Tapia, Febrero
novísimo, o libreria de escribanos, abogados y jueces II, Valencia, 1828, 465.
[64] L’opera, come è noto, si intitolava Instituciones de Derecho real de Castilla y
de Indias, edita per la prima volta in Guatemala negli anni 1818-1820; io
cito dall’edizione curata da D. Vélez
Sársfield, dal titolo Instituciones
de derecho real de España, Buenos Aires, 1834, 338, lib. III, tit. XIV, §
751 (ma vd., anche lib. IV, tit. VI, § 1181).
[65] Cfr. I.J.
de Asso y del Rio y M. Miguel y Rodríguez,
Instituciones del derecho real
de Castilla II, Madrid, 1806, 60, lib.
II, tit. 11.
[66]
Cfr. J.E. de Ochoa, Manual del abogado americano, I, Paris,
1827, 151. Dell’a. non si conosce nulla, a cominciare dal nome esatto (scriveva
sotto lo pseudonimo D.J.E. de O.); sull’importanza dell’opera in America
Latina, dove essa ebbe diverse edizioni, soprattutto in Perù (1a ed. Arequipa,
1830; 2a ed. Lima, 1834, ecc.), vd. C.
Ramos Nuñez, Historia del derecho civil peruano. Siglos XIX y XX, Lima, 2003, 84
ss.
[67] Cfr. J.E.
Escriche, Diccionario razonado de
legislación civil, penal, comercial y forense, ó sea Resúmen de las leyes,
usos, prácticas y costumbre, come asimismo de las doctrinas de los
jurisconsultos, Valencia, 1838, 428.
[68] Cfr. J.N.
Rodríguez de San Miguel, Pandectas
hispano-mexicanas II, México, 1839 (rist. 1980), num. 2900, 518.
Su questa figura di giurista, anche con riferimento all’opera di Escriche cit.
alla nt. preced., vd. M. González Domínguez, Juan N.
Rodríguez de San Miguel, jurista conservador mexicano, in Estudios jurídicos en homenaje a Marta
Morineau I. Derecho romano. Historia del derecho, a cura di N. González Martín, México, 2006, 233
ss.
[69]
Per quanto riguarda gli altri Cc. latinoamericani e il dibattito dottrinario
tra gli studiosi latinoamericani, ho seguito la discussione dal punto di vista
del contratto reale nel mio A. Saccoccio,
Mutuo reale e mutuo consensuale nel
sistema giuridico latinoamericano, in Roma
e America. Diritto romano comune, 27, 2009, 101 ss. (= in spagnolo in Tra Italia e Argentina: tradizione
romanistica e culture dei giuristi, a cura di C. Cascione e C. Masi
Doria, Napoli, 2013, 261 ss.; in cinese in Digesto, Pechino, 3, 2011, 21 ss.).
[71]
Cfr. C. Beviláqua, Direito das Obrigações, Recife, 1895
(rist. della 5a ed., Rio de Janeiro, 1977), 186 e 250.
[72]
Penso, per es., oltre ai Progetti di Freitas cit. supra, al Cc.
del Perú del 1852 (vd. art. 1800). Sul
punto, vd. ora D.F. Esborraz, Contrato y sistema cit., 144 ss. e le
ntt. 168 e 169.
[73] Art. 2384: «El mutuo es un contrato por el
cual el mutuante se obliga a transferir la propiedad de una suma de dinero o de
otras cosas fungibles al mutuatario, quien se obliga a devolver otro tanto de
la misma especie y calidad.
[74]
Sulla dipendenza del Codice federale messicano del 1928 dai ricordati modelli
vd. soprattutto A. Guzmán Brito, La codificación civil cit., 426 ss.
[75] Cfr. art. 2809 Cc. méx. 1870 = art. 2684
Cc. méx. 1884: «El mutuatario hace suya la cosa prestada, y es de su cuenta el
riesgo desde que se la entregan».
[76] Cfr. J.N.
Rodríguez de San Miguel, Pandectas
II cit., num. 2900 ss., 518 ss.; J.
Sala, Sala hispano méxicano, ó
ilustración del derecho español, II, Paris, 1844, 25, II,19,4; Novisimo Sala méxicano, ó ilustración del
derecho real de España, I, con notas de J.M.
de Lacunza, México, 1870, 743, II,19,4; C.J.
Ferrier, Paratitla ó exposición
compendiosa de los títulos del Digesto, I, México, 1853, 160, secondo il
quale «la convención de prestar nunca puede constituir mútuo»; R. Roa Barcena, Manual teórico-practico y razonado de las obligaciones y contratos en
México, México, 1861, 97 ss.; F. de
Paula Ruanova, Lecciones de
derecho civil, II, Puebla, 1871, 64 ss.; M.
Mateos Alarcón, Lecciones de
derecho civil. Estudio sobre el Código civil del distrito federal promulgado en
1870, con anotaciones relativas a las reformas introducidas por el Código de
1884, V, México, 1896 (rist. México,
2004), 174 ss.
[77] Cfr. Observaciones
del Sr. Lic. Don Roberto A. Esteva Ruiz sobre los contratos de
comodato, depósito y secuestro, in El Foro,
num. 2, tom. 9, april-junio 1928, 205-207, laddove questo a., criticata la
costruzione di una categoria unitaria di ‘contratti di prestito’ (tradizionale
da Pothier in poi, e comprendente il prestito d’uso o comodato e il prestito di
consumo o mutuo), dichiara espressamente di considerare «un error del Proyecto,
conservar la idea tradicional de que el comodato sea un contrato ‘real’ y
‘unilateral’, como está ahora»; «Propongo, por consiguiente, que en el nuevo
Código se adopte el articulado del Código suizo de las obligaciones (305 al
318) tanto para el préstamo de uso, cuanto para el préstamo de consumo»; sul
punto vd. anche C. Sepúlveda Sandoval,
De los derechos personales de crédito u
obligaciones, México, 1996, 103 ss.; R.
Sánchez Medal, De los contratos
civiles. Teoría general del contrato-Contratos en especial-Registro público de
la Propiedad, 16a ed., México, 1998, 223.
[78]
Cfr. soprattutto I. Galindo Garfias,
Teoría general de los contratos,
México, 1996, 95 ss.; e R. Sánchez Medal,
De los contratos civiles, 16a ed.,
México, 1998, 221 ss.; più in
generale, sulle vicende che portarono alla Codificazione federale del 1928 in Messico
e sui fattori che su di essa influirono, già a partire dal Progetto di Justo
Serra del 1859-60, vd. A. Guzmán Brito,
La codificación civil cit., 430 ss.
[79]
Cfr., oltre agli aa. cit. supra, alla
nt. 76, E. Gutierrez y Gonzalez, Derecho de las obligaciones, 15a ed.,
México, 2005, 248 s., il quale, però, confonde il contratto reale con il
contratto ad effetti reali; R. Rojina
Villegas, Compendio de derecho
civil IV. Contratos, 32a ed., México, 2008, 14 s. e 200 ss.; M.Á. Zamora y Valencia, Contratos civiles, 8a ed., México, 2000,
161 s.; non fa eccezione sul punto il
progetto di riforma del diritto delle obbligazioni pubblicato nel 1979: cfr. I. Galindo Garfias, Código civil. Anteproyecto de las obligaciones, México, 1979.
[80]
Cfr., ad es.: il Cc. del Estado de Vera
Cruz Lleva del 1868, art. 2103; il Cc. di Tlaxala (riformato nel 1976), art. 1278 co. 3; il Cc. di Puebla, art.
1443; il Cc. dello Stato di Guerrero (pubblicato nel 1993), art. 2299; e, infine, il Cc.
dello Stato di Quintana Roo, art.
225.
[81] Cfr. J.A.
Bibiloni, Anteproyecto de reformas
al Código civil argentino presentado a la Comisión encargada de redactarlo, VI, Obligaciones,
Parte especial, Buenos Aires, 1932, 275; rispetto al Cc. di Vélez, il Progetto
di riforma propone soltanto la cancellazione delle parole «o préstamo de
consumo».
[82] Cfr. Proyecto
de reforma del Código civil. Libro
III (continuación). Actas de la sección de derecho civil IV,
Buenos Aires, 1962, 21 s.; la critica non riguarda solo l’opportunità
dell’inserimento nel riformando Cc. di una tale distinzione, di sapore più che
altro dottrinario, ma pertiene alla utilità in sé della categoria, alla luce
del fatto che «hoy por hoy, parece que bastería el mero acuerdo de voluntades
para que el contrato se perfeccione», fatti salvi casi particolari, in cui
‘recuperare’ il meccanismo della realità.
[83] Cfr. l’Anteproyecto de Código civil de 1954 para la Républica argentina,
Buenos Aires, 1968, artt. 1411 ss.
[84] Cfr. Proyecto
de Unificación de la legislación civil y comercial, Buenos Aires, 1994,
art. 1140.
[85] Cfr. Proyecto de Código civil de la República Argentina del 1998 (redatto dai Proff. Alegría, A.A. Alterini, J.H. Alterini, Méndez
Costa, Rivera, Roitman), in Antecedentes
Parlamentarios, 7/1999, art. 1404. Sulla genesi e gli obiettivi di questo ‘Proyecto’ vd. A.A. Alterini, El
Proyecto de Código civil de 1998. Perspectiva y prospectiva, in Instituciones de derecho privado moderno.
Problemas y propuestas, a cura di J.M.
Alterini-S Picasso-J.H. Wajntraub, Buenos Aires, 2001, 13 ss.
[87] Cfr. A.A.
Alterini, Contratos civiles,
comerciales, de consumo. Teoría general, Buenos Aires, 1998, 177 ss.
[90] Cfr. C.A.
Ghersi, Contratos civiles y
comerciales. Parte general y especial. Empresas-Negocios-Consumidores I, Buenos
Aires, 1999, 328: «los contratos reales, para producir sus efectos propios…».
[91]
Secondo alcuni studiosi, nei contratti reali la traditio non costituirebbe tanto un requisito costitutivo del
contratto, quanto piuttosto una ‘concausa di efficacia’ del contratto stesso,
cioè un atto «non obbligatorio volto a rendere efficace il già vincolante
contratto», vd. V. Di Gravio, Teoria del contratto reale e promessa di
mutuo, Milano, 1989; per una critica a queste teorie, che, per un vuoto
omaggio al presunto accoglimento nel Cc. italiano del principio del
consensualismo all’art. 1321, faticano a differenziare i contratti reali da
quelli consensuali, vd. ora, invece, F.
Mastropaolo, I contratti reali,
in I singoli contratti, in Trattato di diritto civile diretto da R.
Sacco, Torino, 1999, 38 ss.
[92] Cfr. art. 1367 Cc. 1933 = art. 1398 Cc.
1933: «[Los contratos son] … reales, cuando se require para su perfección la
entrega de la cosa».
[93]
Significative, in questo senso, appaiono non solo la creazione di una parte
generale dedicata al negozio giuridico, ma anche le stesse affermazioni che si
leggono a proposito della definizione del contratto (vd. Decreto
Ley 106. Exposición de motivos,
49 nt. 64): «Sin embargo la calificación de reales en oposición a los consensuales,
va desapareciendo de la mayor parte de los códigos modernos. No hemos
encontrado una razón satisfactoria… para que se conserve todavía esta
división».
[94]
Cfr. art. 1942 Cc. gua. 1963: «Por el contrato
de mutuo una persona entrega a otra dinero u otras cosas fungibles…».
[95] Cfr. Decreto Ley 106 cit., 116 nt. 129; E.R. Viteri, Los contratos en el derecho civil guatemalteco (parte especial),
Guatemala, 1992, 345 ss.
[96]
Cfr. ad es., J.E. de Ochoa, Manual del Abogado americano I, Paris,
1827, 151 e 216; più cauto è il Progetto di Cc. elaborato negli anni 1835-1836
dal dr. Manuel Lorenzo de
Vidaurre (cfr. M.L. Vidaurre, Proyecto del Código civil peruano dividido
en tres partes. 2a
Parte. Dominio y contratos, Lima, 1835, 193); del resto,
nota è l’avversione di Vidaurre per il diritto romano e le sue tradizioni: cfr.
A. Guzmán Brito, La codificación civil cit., 272 e 332
ss.
[97]
Cfr. il Progetto del 1980 di M.A.
Schreiber Pezet; l’art. 1684 redatto dalla Com. Reformadora e l’art. 1611 curato dalla Com. Revisora del 1984.
[98]
Cfr. M. Arias Schreiber Pezet, in Aa.Vv.,
Código civil VI. Exposición
de motivos y comentarios,
a cura di L. Revoredo Debakey, Lima, 1985, 318 s.
[99] Vd. M.
Castillo Freyre, Los contratos
típicos, in Instituciones del derecho
civil peruano (Visión histórica), III, a cura di V. Guevara Pezo, Lima, 1996, 2086 ss.; Idem, Tratado de los contratos típicos, vol. XII, t. II. Mutuo – Arrendamiento, Lima, 2002, 34
ss.; sul punto, cfr. anche M. de la
Puente y Lavalle, El contrato en general.
Comentarios a la sección primera del libro VII del Código civil, Primera parte,
t. I, 3a ed., Lima, 1996, 180 ss.; L. Romero Zavala, El
derecho de los contratos en el Código civil peruano de 1984. Teoría general de
los contratos, I, Lima, 1999, 70 ss.
[100] Cfr. A.
Guzmán Brito, La codificación
civil cit., 484 s. e 528 ss.; L.B. Pérez Gallardo, ¿Quo
vadis derecho de contratos? Una refléxion crítica sobre los principios
generales de la contratación inspiradores de las normas del Código civil cubano
(a propósito de los veinte años del Código civil cubano), in Roma e America. Diritto romano comune,
24, 2007, 109 ss. Del resto, al tempo l’isola era ancora sotto il dominio
spagnolo, che stava vivendo i suoi ultimi giorni prima dell’occupazione
americana.
[101] Cfr. l’art. 1753 Cc. cub. 1889 = Cc. spa.: «El que recibe en préstamo dinero ú otras
cosas fungible, adquiere su propiedad, y está obligado á devolver al acreedor
otro tanto de la misma especie y calidad»
[102]
Su questo Cc, oltre al volume Il Codice
civile di Cuba e il diritto latinoamericano, Progetto Italia-America Latina.
Ricerche giuridiche e politiche, Materiali X, Università di Roma ‘Tor
Vergata’-CNR, Roma, s.d. (Atti dell’Incontro di studi, Roma, 20 novembre 1990),
cfr. L.B. Pérez Gallardo, De la codificación civil, in Derecho civil. Parte
general, a cura di C. Valdés Díaz, La Habana, 2005, 32 ss.;
Idem, ¿Quo vadis derecho de contratos? cit., 103 ss.
[103]
Al contrario, la struttura reale viene mantenuta per il mutuo bancario: cfr. art. 447 Cc. cub. 1987: «Por el contrato
de préstamo bancario, el banco pone a disposición del interesado una suma de
dinero para aplicarla a un determinado fin, obligándose este a su devolución y
al pago del interés convenido, que no puede exceder del legal».
[104] Cfr. T.
Delgado Vergara, El contrato como
institución central en la sociedad moderna, in Lecturas de derecho de obligaciones y contratos, a cura di L.B. Pérez Gallardo, La Habana, 2000, 142 s.
[105] Cfr. N.
de la C. Ojeda Rodríguez, Clasificación
de los contratos, in AA.VV., Derecho
de contratos, I, Teoría general del contrato, La Habana,
2003, 115 s.
[106]
Cfr., oltre all’a. cit. alla nt. preced., anche J.
Fernandéz Bulté-V. Rapa Alvarez, El
Código civil cubano y el sistema jurídico latinoamericano, in Il Codice civile di Cuba e il diritto
latinoamericano cit., 66 s.; L.B.
Pérez Gallardo, ¿Quo vadis derecho de
contratos? cit., particolarmente 120 ss.
[107] Cfr., ad es., per il Paraguay, J.R. Torres Kimser-B. Ríos Avalos-J.A. Moreno
Rodríguez, Derecho bancario,
2a ed., Asunción, 1999, 226 ss.; M.A.
Pangrazio, Código civil paraguayo
comentado. Libro
tercero, Asunción, 1998, 530 s., il quale, però, assume delle posizioni
che non sempre appaiono limpidissime, perché sembra trattare il mutuo come un
contratto consensuale. Del resto, in questo stesso Paese non manca chi nota come la distinzione tra
contratti consensuali e reali «tiende a desaparecer en los Códigos modernos,
pues la especie de los contratos reale tiende a extinguirse»: cfr. Cfr. R.
Silva Alonso, Derecho de las
obligaciones en el Código Civil Paraguayo, 6a ed., Asunción, 2000, 423.
[108]
Per la dottrina più antica, vd. A. Dominici,
Comentarios al Código civil venezolano
(reformado en 1893) IV, Santo Domingo, 1905 (rist. Caracas,
1982), 169 (basato sul Cc. venezuelano, del 1893); per la dottrina più recente, cfr. A.R. Marín E., Contratos
III, Mérida, 1998, 305 s.; E. Maduro
Luyando-E. Pittier Sucre,
Curso de obligaciones. Derecho civil III,
t. II, 15ª ed., Caracas, 2005, 549; J.L.
Aguilar Gorrondona, Derecho civil
IV. Contratos y garantías, 15ª ed., Caracas, 2005, 566 ss.
[110] Sul punto, oltre a O. Gomes, Contratos cit., 319; cfr. anche S.
Rodrigues, Direito civil. Dos
contratos e das declarações unilaterais da vontade, III, 28ª ed., São
Paulo, 2002, 35 e 262; M.H. Diniz,
Curso de direito civil brasileiro, III,
Teoria das Obrigações Contratuais e Extracontratuais, 17ª ed., São Paulo,
2002, 93 e 298; L. Roldão de Freitas Gomes, Contrato,
2ª ed., Rio de Janeiro-São Paulo, 2002, 65 e 270; Idem, Tratado teórico
e prático dos contratos, III, Sao Paulo, 2002, 169; Á. Villaça Azevedo, Teoria
geral dos contratos típicos e atípicos. Curso de direito civil, São Paulo, 2002,
71 s.; A. Rizzardo, Contratos, Rio de Janeiro, 2005, 79 e
599; P. Nader, Curso de direito civil, III, Contratos,
Rio de Janeiro, 2005, § 15, 48 s. (con qualche dubbio) e § 104, 351.
[112] Cfr.
R. Abeliuk Manasevich, Las
obligaciones I, Santiago, 1993, 74 s. vd. anche J. Osuña Gómez, Del
contrato real y de la promesa de contrato real, Santiago, 1947, passim.
[113] Cfr.
G. Ordoqui Castilla, Lecciones de
derecho de las obligaciones I. La obligación y el contrato, Montevideo,
1998, 283 ss.: «hoy se trata de una categoría producto de una mera tradición
histórica y que debería ser eliminada del derecho contemporáneo»; sul punto
cfr. anche J. Gamarra-G. Fernandéz-J.
Quiró Saldaña, Contratos reales,
in J. Gamarra (et alii), Tratado de derecho civil uruguayo IX,
Montevideo, 20034, 12 ss. (ma vd. anche 36 ss.): «la figura del
contrato real no tiene una justificación propia en el plano lógico-jurídico, y
debe explicarse por razones de carácter histórico, que mantuvieron, por razones
de tradición, una categoría que hoy no tiene razón de ser».
[114] Cfr. C.J.G.
Bustamante, Categorías de
contratos, in Derecho de las
obligaciones I, a cura di M. Castro
de Cifuentes, Bogotá 2009, 481 s. e 484; G.
Ospina Fernández y E. Ospina Acosta, Teória
general del contrato y del negocio jurídico, Bogotá, 20097, 66
s., 230.