Università di Bari
“Aldo Moro”
Note sull’«anzianità
di servizio» nel lessico della legislazione imperiale romana
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il trattamento dei veterani. – 3. I provvedimenti di età costantiniana. –
4. CTh. 7.20.2: «senectus quiete post labores perfruatur». – 5. L’avanzamento di carriera
nell’apparato burocratico tardo-imperiale. – 6. «Prolixitas stipendiorum»
e «senectus». –
Abstract.
In
un'amara riflessione sulla fugacità del tempo, per Orazio, «il
poeta della vecchiaia»[1],
gli anni che si aggiungono all'esistenza vissuta sono una detrazione a quella
che rimane da vivere[2].
Nella vita lavorativa, gli anni di servizio possono invece arrecare vantaggi e
il “lavoratore anziano” può beneficiare della prerogativa
del tempo sotto svariati aspetti, non solo al momento del congedo, quando
anzianità in senso fisico e figurativo solitamente coincidono, ma anche
durante la carriera.
Nel
lessico della legislazione imperiale, e in particolare in quello burocratico
tardo-antico, il concetto di anzianità di servizio è espresso con
diverse locuzioni, tra cui la più ricorrente è prolixitas stipendiorum[3];
essa regola l’avanzamento di grado e il trattamento della militia, civilis e armata[4],
al momento del congedo. Con riguardo a quest’ultimo, le fonti in
argomento, prevalentemente conservate nei Codici Teodosiano e Giustinianeo,
attestano espressioni che rinviano all’immagine della
“quiescenza”, offrendo, insieme con quella di
“anzianità di servizio” per terminologia e talvolta per
contenuti, suggestivi spunti di riflessione[5]:
non per improponibili comparazioni modernistiche ma per il valore autentico che
esse assumono in un contesto storico che precede di secoli i concetti di stato
di diritto e sicurezza sociale. Va precisato inoltre che il quadro offerto
dalle fonti considerate riguarda coloro che svolgevano un servizio pubblico e
che quindi non è suscettibile di generalizzazioni[6].
La
regolamentazione della progressione di carriera e del congedo in base
all’anzianità di servizio fu, a Roma, in primo luogo una
prerogativa dell’esercito. I provvedimenti che nel tempo riguardarono i
veterani rappresentano quindi per noi un ideale punto di partenza.
L’importanza
del servizio svolto dai militari è alla base dei benefici concessi ai
veterani, a partire da Augusto. Particolarmente interessanti appaiono per noi i
privilegi di natura economica accordati ai soldati al momento del congedo[7]:
praemia ed esenzioni fiscali che, di
là dalle contingenti circostanze che indussero Augusto ad istituirli
(costituivano prettamente un incentivo alla leva), appaiono in prosieguo di
tempo finalizzati a ricompensare con «quietum
otium» e «congrua
securitas»[8]
i soldati per il servizio pubblico prestato.
Un
breve cenno sulle carriere dell’esercito romano può essere utile
al fine di comprendere quale fosse l’iter
che il soldato percorreva, prima di giungere all’agognato congedo. Per
l’organizzazione militare non si ha, a Roma, una disciplina
giuridicamente rilevante fino all’età augustea. In particolare,
nel II secolo a. C., l’esercito difettava ancora di regole per
l’avanzamento e tale stato di cose causava spesso proteste e
insubordinazioni. Una pagina di Livio sui fatti accaduti nel 171 a. C., in
occasione della leva per la Macedonia, appare in questo senso illuminante.
Licinio non confermò ad alcuni ex
primipili il loro grado, provocando
così l’appello ai tribuni. Chiese allora di parlare al popolo uno
di coloro che avevano invocato l'appello per ottenere il rango che gli
spettava; il vecchio soldato addusse a difesa delle proprie ragioni meriti
militari e “lunghezza del servizio” prestato:
Miles sum factus P. Sulpicio C. Aurelio consulibus. In eo
exercitu, qui in Macedoniam est transportatus, biennium miles gregarius fui
adversus Philippum regem; terzio anno virtutis causa mihi T. Quinctius
Flamininus decumum ordinem hastatum adsignavit. Devicto Philippo Macedonibusque
cum in Italiam reportati ac dimissi essemus, continuo miles voluntarius cum M. Porcio consule in Hispaniam sum
profectus. Neminem omnium imperatorum, qui vivant, acriorem virtutis
spectatorem ac iudicem fuisse sciunt, qui et illum et alios duces longa militia
experti sunt. Hic me imperator dignum iudicavit, cui primum hastatum prioris
centuriae adsignaret. Tertio iterum voluntarius miles factus sum in eum
exercitum, qui adversus Aetolos et Antiochum regem est missus. A M'. Acilio
mihi primus princeps prioris centuriae est adsignatus. Expulso rege Antiocho,
subactis Aetolis reportati sumus in Italiam; et deinceps bis, quae annua
merebant legiones, stipendia feci. Bis deinde in Hispania militavi, semel Q.
Fulvio Flacco, iterum Ti. Sempronio Graccho praetore. A Flacco inter ceteros,
quos virtutis causa secum ex provincia ad triumphum deducebat, deductus sum; A
Ti. Graccho rogatus in provinciam ii. Quater intra paucos annos primum pilum
duxit; quater et tricies virtutis causa donatus ab imperatoribus sum; sex
civitas coronas accepi. Viginti duo stipendia annuain exercitu emerita habeo,
et maior annis sum quinquaginta. Quodsi mihi nec stipendia omnia emerita essent
necdum aetas vacationem daret, tamen, cum quattuor milites pro me vobis dare,
P. Licini, possem, aecum erat me dimitti. Sed haec pro causa mea dicta
accipiatis velim; ipse me, quoad quisquam, qui exercitus scribit, idoneum
militem iudicabit, numquam sum excusaturus. Quo ordine me dignum iudicent
tribuni militum, ipsorum est potestatis; ne quis me virtute in exercitu
praestet, dabo operam; et semper ita fecisse me et imperatores mei et, qui una
stipendia fecerunt, testes sunt. Vos quoque aecum una stipendia est,
commilitones, etsi appellatione vostrum usurpatis ius, cum adulescentes nihil
adversus magistratuum senatusque auctoritatem usquam feceritis, nunc quoque in
potestate consulum ac senatus esse et omnia honesta loca ducere, quibus rem
publicam defensuri sitis[9].
Il discorso accorato e dignitoso valse al veterano, soldato
semplice nel 201 e prior dei triarii nel 180 a.C., gli elogi da parte
del Console, il ringraziamento del senato e, soprattutto, la conferma del rango
di primipilo nella prima legione. Questa testimonianza liviana offre un saggio
della carriera dei centurioni nell'esercito repubblicano basato
sull'unità tattica del manipolo. Le truppe legionarie, comandate a turno
da sei tribuni militum, erano allora
suddivise in scaglioni di hastati, principes e triarii, organizzati in venti centurie, ciascuna delle quali
comprensiva di dieci manipoli di priores
e altrettanti di posteriores, e
comandata da un centurione. In base a quanto apprendiamo da Polibio[10],
i tribuni sceglievano, in funzione del merito, dieci centurioni nell'ambito di
ciascuna classe di soldati, destinati a comandare l'ala destra del manipolo.
Altri dieci centurioni erano scelti per il comando dell'ala sinistra, di modo
che ogni manipolo avesse due centurioni. La carriera di centurione aveva inizio
con il comando del decimo manipolo posterior
degli hastati, passava attraverso i
successivi comandi dei restanti nove manipoli di hastati posteriores e dei dieci di hastati priores,
proseguiva poi con il comando dei dieci manipoli di principes posteriores e dei dieci di principes priores per poi giungere, finalmente, a quello dei
manipoli di triarii, posteriores e priores, con il nome di decimus,
nonus... primus pilus posterior e decimus,
nonus... primus pilus prior. Quest'ultimo grado, più sinteticamente
qualificato primipilus, costituiva il
vertice della carriera di centurione; gli altri centurioni erano invece
distinti con l'indicazione del manipolo di appartenenza e, all'interno di esso,
con l'indicazione della centuria[11].
Quando nel I sec. a.C. la coorte
sostituì il manipolo, la legione, comandata da un legatus Augusti pro praetore, fu divisa in dieci coorti, ciascuna
delle quali composta di sei centurie con a capo centurioni classificati come pili, principes e hastati. Ogni
coorte comprendeva due centurioni, rispettivamente prior e posterior per
ciascuna classe. L'avanzamento di grado nel centurionato si realizzava
percorrendo prima tutti i posti di posterior
e poi tutti quelli di prior nella
decima coorte e proseguendo così attraverso quelli della nona, fino ad
arrivare alla prima, i cui centurioni, insieme con i comandanti delle rimanenti
nove coorti, erano denominati primi
ordines[12].
Questo meccanismo di promozione all'interno della coorte non sarebbe stato
seguito per i soldati più valorosi, tra i quali gli evocati[13]
e i cavalieri. Il loro avanzamento doveva, infatti, aver luogo di coorte in
coorte, tranne che per la prima, nella quale si passava progressivamente
dall’ultimo al primo posto e solo il princeps
avrebbe avuto la possibilità di divenire primus pilus. Coloro i quali avevano percorso la carriera di
centurioni, se non considerati degni di alte cariche equestri, potevano essere
comunque promossi al rango di praefectus
castrorum, figura creata da Augusto e preposta al comando
dell’accampamento di una legione. Nelle coorti pretorie, che costituivano
il corpo di guardia dell’imperatore[14],
la nomenclatura e l’organizzazione gerarchica delle cariche non differiva
di molto da quella prevista per la legione ma rispetto a quest’ultima
l’avanzamento di grado avveniva generalmente in modo più rapido.
Alle prestigiose cariche tattiche di tesserarius,
optio e signifer, che attribuivano il comando militare in battaglia, il munifex,
il soldato pretoriano semplice, giungeva, percorrendo i gradi inferiori della
carriera militare, circa dopo dieci anni di servizio, salvo che meriti
particolari non ne anticipassero la promozione[15].
Ritorniamo ora ai veterani. Il
termine designava tecnicamente i soldati che avessero assolto il proprio
servizio per l’intero periodo prescritto e fossero stati congedati
onorevolmente[16].
In tal caso, il veterano era detto «missus
honesta missione»[17].
Si denominava invece «missio
causaria» il congedo, sempre onorevole, ma prematuro dovuto a
malattia o a ferite riportate in guerra[18].
Sia della «honesta missio»
che di quella «causaria»
si ha menzione nelle iscrizioni[19],
dove invece non si fai mai cenno alla «missio ignominiosa», ovvero alla terza delle «missionum generales causae» di cui
leggiamo in un passo del secondo libro de
re militari di Emilio Macro:
Missionum generale causae sunt tres: honesta causaria
ignominiosa. Honesta est, quae tempore militiae impleto datur: causaria, cum
quis vitio animi vel corporis minus idoneus militiae renuntiatur: ignominiosa
causa est, cum quis propter delictum sacramento solvitur[20].
Non
è possibile rendere conto in questa sede del reclutamento e delle
condizioni di servizio dell’esercito romano, temi complessi e ampiamente
studiati in letteratura[21].
Passiamo, dunque, all’argomento che qui più interessa, il
trattamento del soldato al momento del congedo. A tal fine è necessario
soffermarsi anzitutto sulla durata della leva, che nella maggior parte delle
iscrizioni è calcolata sulla base degli stipendia percepiti annualmente dai soldati[22].
Augusto, al quale si deve la più importante riorganizzazione
dell’esercito[23],
stabilì nel 13 a.C. che i legionari dovessero prestare servizio per
sedici anni più altri quattro in qualità di veterani, prima di
essere congedati[24].
I veterani costituivano coorti speciali, i vexilla
veteranorum, impiegate in operazioni di guerra ed esonerate dai più
pesanti compiti di guarnigione. Nel 5 d.C. la distinzione tra i sedici anni di
ferma legale e i quattro da veterani venne meno, cosicché la durata del
servizio nelle legioni divenne formalmente di vent’anni. Nello stesso
anno, Augusto dispose un’indennità di congedo rispettivamente di
tremila e cinquemila denarii per i
legionari e per i pretoriani[25].
La difficoltà di pagare tempestivamente queste somme, denominate praemia militiae, data
l’insufficienza dei fondi dell’erario militare, indusse Augusto a
portare nel 6 d.C la ferma dei legionari a ventidue anni, quella dei soldati
delle coorti urbane a venti e a sedici quella dei pretoriani[26].
Neanche questa protrazione dei termini di leva bastò, tuttavia, a
risolvere il problema, con la conseguenza che molti veterani continuavano, loro
malgrado, a rimanere sotto le armi anche dopo trenta o quarant’anni di
servizio[27].
Il malcontento creato dall’eccessiva durata della ferma, fu una delle
principali cause della rivolta dell’esercito in Pannonia nel 14 d.C., a
seguito della quale i soldati reclamarono e ottennero una riduzione dei termini
di leva[28].
Ma la situazione tornò di lì ad un anno quella di prima, quando
Tiberio ripristinò la durata del servizio stabilita da Augusto nel 6
d.C.[29],
per rimanere invariata per tutta l’età giulio-claudia[30].
Per questo periodo, numerose iscrizioni funerarie di legionari attestano una
ferma che va anche dai ventisette ai quarant’anni. Esse si riferiscono,
probabilmente, a uomini di particolare valore o tempra fisica, che data
l’età (il servizio era obbligatorio a partire dai diciassette
anni), erano anziani a tutti gli effetti al tempo del servizio e non già
solo in virtù della prolixitas
stipendiorum. Successivamente all’età giulio-claudia, non si
registrano più, salvo casi eccezionali, ferme così lunghe e a
partire dalla metà del II secolo d. C. le iscrizioni testimoniano che i
legionari erano congedati annualmente, e non più ogni due anni.
Per risolvere il problema del
pagamento dei praemia militiae al
momento del congedo, Augusto ricorse anche ad un altro espediente, ovvero
all’assegnazione ai veterani di terre da coltivare, in sostituzione dei praemia in denaro. Ma anche questo provvedimento, che si risolveva nella deduzione
di colonie militari là dove era necessario creare presidî
strategicamente importanti o in luoghi incolti, fu accettato di cattivo grado
dai veterani[31].
Nonostante le difficoltà
che la formazione e il mantenimento di un esercito professionale dovevano
comportare, con Augusto i veterani beneficiarono di particolari privilegi[32].
I praemia militiae e
l’assegnazione di terre in vece di quelli non furono gli unici, né
i primi. Già al tempo del triumvirato, con un editto di incerta
datazione[33],
Ottaviano aveva esonerato i veterani, nonché parentes, uxores e liberi di questi, dai tributa, da ulteriori obblighi militari
e dai munera publica, ad eccezione
dei sacerdozi e delle cariche magistratuali cui essi stessi desiderassero
accedere[34].
L’editto prevedeva inoltre per i veterani facilitazioni per
l’esercizio del voto:
...Visum [est]
edicendum mi[hi vete]ranis dare om[nibus] ut tributis[35]
........................................................................................
Ipsis parentibu[s
lib]erisque eorum e[t uxo]ribus qui sec[cum]que erunt im[mu]nitatem omnium
rerum d[a]re, utique optimo iure optimaq[u]e legis cives Romani sint, immunes
sunto, liberi s[unto mi]litiae, muneribus publicis fu[ngend]i vocat[i]o. Item
in [quavi]s tribu s(upra) s(criptis) suffragium [fe]rendi c[e]nsendi[que]
potestas esto, et si a[b]sentes voluerint [c]enseri detur, quod[cum]que iis qui
s(upra) s(scripti) sun[t i]psis parentes [co]n[iu]ges liberisq[ue] eorum; item
quemmotum veterani imm[u]ne[s] esint eor[um] esse volui quec[u]mque sacerdotia
qu[o]sque hon[or]es queque praemia [b]eneficia commoda habuerunt, item ut
habeant, utantur, fruanturque permit[t]i [d]o. Invitis eis neq[ue] magistr[at]us
cete[ros] neque laegatum [n]eque procuratorem [ne]que em[p]torem t[ri]butorum
esse [p]lace[t] neque in domo eorum divertendi iemandique causamque [a]b ea
quem deduci place[t][36].
Le immunità stabilite alla fine
dell’età repubblicana da Ottaviano, avrebbero ricevuto poi
conferma con Domiziano, al quale appartiene un altro noto editto de privilegiis veteranorum, in cui si
sancisce che «veterani milites
omnibus vectigalibus portitoribus publicis liberati immunes esse debent»
insieme con «ipsi coniuges liberique
eorum parentes qui conubia eorum sument»[37].
In età severiana, le immunitas omnium rerum concesse ai veterani da Ottaviano e
Domiziano subirono delle restrizioni. Numerosi sono i frammenti del Digesto
escerpiti da opere di giuristi di quest’epoca che testimoniano la
limitazione delle immunità in questione ai soli munera personalia[38].
I veterani non sarebbero stati più esonerati né dai munera patrimonii, come esplicitamente
dispose l’imperatore Settimio Severo[39],
né dalla prestazione dei vectigalia[40].
Così, mentre potevano essere esentati dalla costruzione delle navi[41],
considerata un onere personale, i veterani non potevano esimersi dalla
fornitura di esse[42],
nonché di veicoli ed animali, per il trasporto pubblico[43].
E, ancora, i merita militiae non li
avrebbero scusati da altri oneri gravanti sul patrimonio, come la contribuzione
al rifacimento delle strade, i tributi fondiari e l’obbligo di ospitare
soldati e funzionari[44].
I veterani potevano avvalersi
delle immunità loro concesse nel luogo in cui si fossero stabiliti dopo
il congedo, e cioé anche non nella loro città di origine.
Inoltre, essi avrebbero beneficiato delle excusationes
pure qualora avessero volontariamente accettato un qualsiasi honos o munus[45].
Questo, almeno fino a quando un rescritto di Alessandro Severo non dispose che l’excusatio alla quale i veterani
rinunciarono, assumendo il decurionato nella propria patria, non potesse
più farsi valere salvo che essi non avessero assunto l’honos a condizione di non perdere
l’immunità o solo parzialmente[46].
Esenzioni e privilegi non
riguardavano indiscriminatamente tutti i veterani, ma solo quelli congedati honesta o causaria missione. La durata minima del servizio utile per il primo
tipo di congedo era fissata, al tempo dei Severi, in vent’anni per i
legionari e venticinque per i soldati dei corpi ausiliari[47].
In caso di congedo anticipato per cause d’invalidità, le
immunità erano concesse in proporzione al tempo passato sotto le armi[48].
Se questo superava i vent’anni, però, la causaria missio era equiparata, quanto agli effetti, a quella honesta[49].
Nessuna excusatio era ammessa,
invece, per coloro i quali fossero stati ignominiae
causa sacramento liberati[50].
Diocleziano confermerà la vacatio munerum personalium per i
legionari congedati dopo vent’anni di ferma[51]
ma, con riguardo a chi si fosse dimesso «ob provectae aetatis senium», limiterà le esenzioni ai
munera civilia, riservando la vacatio honorum a «qui pleno stipendiorum numero funguntur»:
C. 10.55.2.1: IMPP. DIOCLETIANUS ET MAXIMIANUS AA. CARO - Cum ob provectae aetatis
senium sis dimissus, honesta missionem consecutum esse ambigi non potest.
Habebis itaque a civilibus muneribus nec non etiam honoribus vacationem: non
tamen ea privilegia, quae his competunt qui pleno stipendiorum numero funguntur,
usurpare te ius permittit, quando non perfecto statuto militiae tempore nec
omnibus stipendiis decursis sacramento solutum te esse etiam ipse confitearis[52].
Le dimissioni dovute
all’età avanzata costituiscono, dunque, senza dubbio un onorato
congedo; tuttavia non danno luogo, in via di principio, a quei privilegi che
spettano a coloro che abbiano maturato l’anzianità di servizio
stabilita (qui pleno stipendiorum numero
funguntur).
L’introduzione, a partire
dal 297, della riforma fiscale basata sulla capitatio[53],
determinerà, successivamente all’età dioclezianea, un
adeguamento del sistema di immunità accordate ai veterani. La disciplina
delle esenzioni dai gravami della capitatio
concesse ai soldati è oggetto della legge incisa sulla tavola bronzea
rinvenuta nel 1930 a Szönyi, in Ungheria, sul territorio dell’antico
municipio di Brigetio. Si tratta, come noto, di un «exemplum sacrarum litterarum» redatto il 9 giugno 311 a
Serdica, l’attuale Sofia, durante l’impero di Costantino e Licinio[54].
Leggiamolo:
Have Dalmati
carissime nobis! |
Cum in omnibus pro
devotione ac laboribus suuis militum nostrorum commodis | adque utilitatibus
semper consultum esse cupiamus, in hoc etiam, dispo|sitionum nostrarum provisione,
eiusdem militibus nostris consulendum | esse credidimus, Dalmati carissime,
unde intuentes labores eorundem mili|tum nostrum, quos pro reipub(licae) statu
et commodis adsiduis discursibus sustinent, | providendum ac disponendum esse
credidimus, ut et militiae suae tempore iucundis laborum | suorum fructibus ex
nostra provisione se perfrui gaudeant et pos[t] militiam quieto otio et congrua
securitate | potiantur. Itaque devotioni tuae significandum esse credidimus ut
eidem milites nostri militiae quidem | suae tempore quinquem capita iusta
statutum nostrum ex censu adque a praestationibus | sollemnibus annonariae
pensitationis excusent; eademque immunia habeant atque cum completis stipendiis
legitimis | honestam missionem idem fuerint consecuti; sed et hi qu(i) licet
post viginti stipendia adaeque honestam missionem | adepti fuerint ab annonario
titulo duo kapita excusent, id est tam suum quam etiam uxoris suae. Si quis
forte ex preli | vulnere causarius fuerit effectus, etiam si intra viginti stipendia
ex ea causa rerum suarum vacationem | fuerit consecutus, ad beneficium eiusdem
indulgentiae nostrae pert(i)neat ita et suum et uxoris | suae caput excuset;
adque ut omni modo tam quietis suae securitati, quam etiam commodis con|sultum
provisionis nostrae beneficio idem milites gratulentur, licet eiusmodi antehac
| consuetudo fuerit, ut plurimi homines simul(ac) honestam missionem a duce
perciperent, penes | actarium missoria permanente, exempla sibi singuliquique
exciperent; tamen volu|mus, ut cum vel honestam vel ca(u)sariam, sicuti supra
dictum est, missionem milites consecun|tur, singuliquique specialem a duce in
personam suam accipiant missionem; quo probatione | veritatis ac fidei aput
permanente securitate stabili at firmissima perfruantur. Pervidet | sane
dicatio tua, eos, qui dilicti sui gratia dimittuntur, ad beneficium legis
eiusdem pertinere | non posse, cum utriusque rei ratione haberi oporteat ac
vitae probabilis instituta adquae | honestam missionem, sed et merit[a
m]ilitiae premia a nobis condigna percipere conve(ni)at, ut et | eiusdem
indulgentiae nostrae beneficio perpetuo idem milites perpetuo perfruantur | ac
sempiterna dispositionis nostrae provisio obtineat firmitatem, volumus tenorem
huius indulgentia nostrae describtum per singula quaeque castra aput signa in
tabula aenea consecrari quo ta[m] legionarii milites quam etiam equites in
vexillationi|bus constituti Inlyriciani, sicuti similes labores militiae suae
sustinent, ita | etiam provisionis nostrae similibus commodis perfruantur.
Et manu divina: |
Vale Dalmati carissime nobis. |
Divo Maximiano VIII
et D(omino) n(ostro) Maximino Aug(usto) iterum coss. IIII Iunias Serdica[55].
Questa testimonianza si presenta
per noi subito interessante. Nel preambolo, infatti, si dichiara esplicitamente
l’intenzione di ricompensare i soldati per il servizio svolto «pro reipublicae statu»,
affinché possano godere dopo il congedo di «quieto otio et congrua
securitate». In particolare, con il provvedimento si dispone una
franchigia di cinque capita per i
soldati in servizio e per quelli che «cum
completis stipendiis legitimis honestam missionem idem fuerint consecuti».
Il beneficio è limitato invece a due capita
per chi si fosse congedato onorevolmente dopo vent’anni e per i causarii, anche quando ritiratisi prima
di questo termine. Nella legge si distinguono, dunque, due categorie di
veterani missi honesta missione,
senza però alcuna precisazione in merito alla durata
“legale” del servizio. Durata che deve comunque considerarsi superiore
ai vent’anni, dal momento che questo limite non dà diritto
all’esenzione massima di cinque capita.
Quanto al campo di applicazione,
la legge, indirizzata al magister militum
Dalmatius[56],
sembra rivolgersi in prima battuta ai soldati di tutti i corpi dell’esercito.
La disposizione finale, contiene, però, un riferimento ai soli legionari milites e agli equites in vexillationibus constituti
Inlyriciani. Secondo Paulovics l’aggettivo «Inlyriciani» ha qui un significato
geografico: le concessioni riguardavano esclusivamente le legioni e i
distaccamenti di cavalleria stanziati a sud del Danubio[57].
Ma si potrebbe seguire un’altra strada. A partire da Gallieno,
l’espressione equites Inlyriciani
designava, genericamente, le formazioni di cavalleria poste a presidio delle
frontiere orientali dell’impero[58].
Esse, per usare le parole di Van Berchem[59],
costituivano, con le legioni, «l’élite de
l’armée d’occupation». Si potrebbe allora ipotizzare
che la nostra legge si rivolgesse solo ai soldati appartenenti alle classi superiori
dell’esercito, e che, quindi, fossero esclusi dai privilegi gli ausiliari
di alae e cohortes. Una scelta di questo tipo si ritrova, d’altra
parte, in precedente rescritto di Diocleziano e Massimiano[60].
Oltre ai criteri per la
concessione dei privilegi, dalla Tavola di Brigetio apprendiamo anche le
modalità per la documentazione del regolare congedo utile alla fruizione
di essi. I veterani missi honesta vel
causaria missione avrebbero ricevuto, ciascuno separatamente e
personalmente, una lettera di congedo dal dux,
avente valore di «probatio
veritatis ac fidei» della loro condizione dinanzi alla legge. Il
tutto in deroga, come leggiamo nel testo, alla consuetudine secondo la quale i
veterani erano costretti a procurarsi per proprio conto una copia dell’atto
di congedo depositato presso l’actarius[61].
L’argomento offre l’occasione per accennare allo spinoso problema
dei cosiddetti diplomi militari[62].
Fino ad ora si sono prese in considerazione le immunità di cui i
veterani, a partire da Augusto, beneficiarono in virtù del servizio reso
allo “stato”. Le esenzioni di vario tipo esaminate non costituirono
però gli unici privilegi concessi ai soldati onorevolmente congedati. In
determinati casi, infatti, essi potevano ricevere diplomi di bronzo che gli
attribuivano civitas e conubium[63].
La concessione di quest’ultimo diritto consentiva ai veterani di
contrarre con donne peregrinae un iustum matrimonium, con la conseguenza
che i figli nati dall’unione sarebbero stati cives romani. Questi diritti speciali erano concessi con una costituzione imperiale (esposta dal
principio in Campidoglio e, a partire da Domiziano, «post templum Divi Augusti»), di cui i soldati interessati
ricevevano una copia, incisa su due tavolette di bronzo unite da un filo
metallico. Esse recavano nella scriptura
interior l’estratto della costituzione imperiale, che veniva
riprodotta anche sulla prima pagina della scriptura
exterior. Sulla quarta facciata, i sigilli di sette testimoni garantivano
la conformità del contenuto del diploma alla legge. Secondo
l’opinione dominante, i primi diplomi militari risalgono al tempo di
Claudio (il più antico è del 52 d.C.[64]);
quello più recente di cui si ha notizia porta, invece, la data del 7
gennaio 306. La quasi totalità dei reperti epigrafici relativi ai diplomi
militari riguarda i soldati di guarnigione nella Capitale, gli ausiliari e i
classiari. Salvo rare eccezioni[65],
non vi sono invece elementi che attestino il rilascio di un diploma di congedo
per i legionari. Un papiro del 150 d. C., parrebbe addirittura escluderlo[66].
Esso conserva la risposta del governatore della Giudea alla richiesta di alcuni
veterani della X legio Fretensis di
un documento che attestasse il loro regolare ritiro dall’esercito. Il
governatore pur provvedendovi, ebbe a precisare che «veterani ex legionibus instrumentum accipere non solent».
Sulla base di questi riscontri, Alfredo Passerini ipotizzò che ai
legionari, a differenza dei soldati provenienti dalle altre formazioni
dell’esercito, non venisse rilasciato alcun certificato al momento del
congedo[67].
Lo Studioso andava oltre, traendo dalla mancanza di diplomi per i legionari la
conclusione che a questi non spettassero speciali diritti personali. E
ciò a causa dell’obbligatorietà del servizio cui essi erano
tenuti: i privilegi sarebbero stati degli incentivi per l’arruolamento
volontario[68].
Comunque siano andate le cose, ricevessero o meno i legionari, nei primi tre
secoli dell’Impero, diplomi di congedo, un fatto è certo: le
importanti immunità fiscali, concessegli con la legge del 311 richiesero
un adeguamento delle modalità di certificazione del loro regolare
ritiro. Dovendo i veterani dimostrare di possedere i requisiti utili per
beneficiare delle esenzioni, si agevolò la prova degli stessi requisiti
mediante la consegna diretta di un documento in originale.
Le immunità accordate con
la legge incisa sulla Tavola di Brigetio rientrano nel quadro della politica
adottata nei confronti dell’esercito da Costantino, imperatore che
manifestò una particolare attenzione per i veterani[69],
come dimostrano altre leggi, conservate nel titolo XX del settimo libro del
Codice Teodosiano, sotto la rubrica De
veteranis[70]. Ancora alla disciplina delle esenzioni
dalla capitatio è dedicata la
costituzione del 325, accolta in CTh. 7.20.4 [71]:
Comitatenses et ripenses milites atque protectores
suum caput, patris ac matris et uxoris, si tamen superstites habeant, omnes
excusent, si censibus inditi habeantur. Quod si aliquam ex his personis non
habuerint vel nullam habuerint, tantum pro suo debent peculio excusare, quantum
pro iisdem, si non deessent, excusare potuissent, ita tamen, ut non pactione
cum alteris facta simulato dominio rem alienam excusent, sed vere proprias
facultates. Veteranos autem post emeritae missionis epistulas tam suum quam uxoris
caput excusare sancimus aut, si honestam missionem meruerint, suum caput
tantummodo excusare. Ceteros omnes veteranos de quocumque exercitu una cum
uxore sua unius capitis frui excusatione parecipimus. Ripensis autem veteranus,
qui ex priore lege post viginti quattuor stipendia honesta missione impetrata
unius excusatione capitis fruebatur, etiam si viginti stipendiis completis
honestam missionem meruerit, ad exemplum comitatensium militum unum caput
excuset. Intra viginti etiam
stipendia dimissus, quoniam inbecilli et debiles censibus non dedicantur, eodem
beneficio utatur. Alares autem et cohortales dum militant, propria capita
excusent. Veteranis quoque eadem excusationis solacia habituris, qui quocumque
tempore in quibuscumque partibus meruerint missionem, si ex comitatensi militia
senectutis vel debilitatis causa dimissi fuerint, indiscreto stipendiorum
numero duo capita excusaturis, id est suum atque uxoris; et ripensibus
indiscrete idem privilegium habituris, si se ob belli vulnera dimissos probaverint,
ita ut, si quis eorum post quindecim stipendia intra viginti et quattuor annos
ex militia decesserit, sui tantum capitis excusatione fruatur; uxorem enim
ripensis, si militia decesserit post viginti et quattuor annos, excusari
oportet.
Il testo è stato ritenuto da più
parti corrotto[72].
Molti sono, infatti, i punti di esso che appaiono contraddittori, a cominciare
dal criterio seguito nella distinzione delle categorie dei beneficiari. Certo
è, comunque, che il provvedimento conferma la volontà di Costantino
di accordare dispense fiscali ai veterani, in virtù del meritorio
servizio reso; è pertanto il caso di soffermarsi sul brano almeno per
sommi capi. Negli anni che separano CTh. 7.20.4 dalla legge del 311, si compie
definitivamente la riorganizzazione dell’esercito basata sulla netta
distinzione tra i limitanei, o ripenses,
preposti alla difesa dei confini, e l'armata campale di manovra dei comitatenses. In CTh. 7.20.4 ai comitatenses, ai ripenses (qui menzionati per la prima volta) e ai protectores (ufficiali
che formavano un corpo scelto[73]),
e quindi ai corpi militari gerarchicamente superiori, sono accordati benefici
più generosi che agli alares e
ai cohortales. Lasciando da parte il
trattamento previsto dalla legge per i soldati in servizio, occupiamoci delle
immunità concesse ai veterani. Con riguardo ai comitatenses, si distingue l’emerita missio dall’honesta
missio. Se consideriamo genuina la frase[74],
è lecito ipotizzare che alla prima facciano da pendant i «completis
stipendiis legitimis» della tavola di Brigetio: emerita missio sta per congedo intervenuto dopo il termine legale
del servizio. Esso dà diritto all’esenzione di due capita (uno per il veterano stesso e uno
per l’uxor di questi).
L’immunità è invece ridotta ad un solo caput in caso di honesta
missio. Per entrambe le circostanze contemplate non si specifica la durata
della leva utile al conseguimento dei privilegi. Tuttavia, confrontando questa
legge con quella incisa sulla Tavola di Brigetio, (in cui pure si distinguono
due tipi di congedi onorevoli), si può plausibilmente dedurre che
meritavano l’honesta missio
coloro che avessero svolto un servizio ultraventennale ma inferiore al termine
legale. Quest’ultimo ci è noto almeno per i ripenses: solo «post
viginti quattuor honesta missione impetrata» essi avrebbero ottenuto
l’esenzione di un caput. E
ciò in base ad una non meglio specificata lex prior, rispetto alla quale la legge del 325 risulta più
favorevole, richiedendo un’anzianità di venti stipendia per lo stesso beneficio, e accordando quest’ultimo
anche ai ripenses congedatisi prima
dei vent’anni per le cattive condizione di salute. La dispensa di un caput era garantita anche in caso di
congedo anticipato dovuto specificamente alle ferite riportate in guerra, a
condizione, però, di aver maturato almeno quindici anni di servizio.
L’esenzione di ben due capita
spettava, invece, senza limiti di tempo, ai comitatenses
dimessi «senectutis vel
debilitatis causa»: la vecchiaia, in senso proprio, come
l’anzianità di servizio davano, al corpo più alto in
dignità, gli stessi notevoli privilegi.
Costantino non si preoccupò solo di
assicurare ai veterani particolari dispense dalla capitatio. Al duplice scopo di ovviare all’inopia dei congedati e incentivare
l’agricoltura, egli dispose che ai veterani fossero assegnati fondi
liberi, perpetuamente immuni da imposte, e forniti i mezzi per coltivarli.
Coloro che invece avessero scelto d’intraprendere
un’attività commerciale, avrebbero ricevuto la somma di cento folles[75],
esente da imposte anch’essa. Tutto questo Costantino dispose nella legge
indirizzata ad universos veteranos,
accolta in CTh. 7.20.3, ed emanata probabilmente all’indomani della fine
della guerra con Licinio[76]:
Veterani iuxta nostrum praeceptum
vacantes terras accipiant easque perpetuo habeant immunes, et ad emenda ruri
necessaria pecuniae in nummo viginti quinque milia follium consequantur, boum
quoaque par et frugum promiscuarum modios centum. Qui autem negotii gerendi
habuerit voluntatem, huic centum follium summam immunem habere permittimus.
Praeter hos ergo, qui vel domicillis vel negotiis detinentur, omnes, qui
vacatis et nullum negotium geritis, ne inopia laboretis, ad hoc remedium
debetis concurrere.
Ai veterani, dunque, non spettarono più, a partire
da Costantino, solo dispense fiscali. Dopo una lunga e logorante ferma, anziani
per servizio e di fatto, essi venivano ricompensati delle fatiche con la
possibilità di reinserirsi nella vita civile e godere dei frutti del
proprio lavoro[77].
In CTh. 7.20.2
è conservato, in forma di costituzione, il testo di un dialogo che vede
protagonisti, sulla scena del quartier generale della civitas Velovocorum, Costantino e i veterani. La prima parte
contiene per noi una testimonianza importante:
Cum introisset
principia et salutatus esset a praefectis et tribunis et viris eminentissimis,
adclamatum est: Auguste Constantine, dii te nobis servent: vestra salus nostra
salus: vere dicimus, iuarti dicimus. Adunati veterani exclamaverunt:
Constantine Aug, quos nos veteranos factos, si nullam indulgentiam habemus? Constantinus
A. dixit: Magis magisque conveteranis meis beatitudinem augere debeo quam
minuere. Victorinus veteranus dixit: muneribus et onoribus universis locis
conveniri non sinamur. Constantinus A. dixit: Apertius indica; quae sunt maxime
munera, quae vos contumaciter gravant? Universi veterani dixerunt: ipse
perspicis scilicet. Constantinus A. dixit: iam nunc munificentia mea omnibus
veteranis id esse concessum perspicuum sit, ne quis eorum nullo munere civili
neque in operibus publicis conveniantur, neque in nulla conlatione, neque a
magistratibus neque vectigalibus. In quibuscumque nundinis interfuerint, nulla
proponenda dare debebunt. Publicani quoque, ut solent agentibus super
conpellere, ab his veteranis amoveantur: quiete post labores suos perenniter
perfruantur. Fisco nostro quoque eadem epistula interdiximus ut nullum omnino
ex his inquietateret, sed liceat eis emere et vendere ut integra beneficia
eorum sub saeculi nostri otio et pace proferantur, et eorum senectus quiete
post labores perfruatur...[78].
Il brano presenta notevoli
peculiarità. Di là dalla singolare struttura del testo
(l’esordio in medias res, la
drammatizzazione della scena con la forma dialogata), e dall’insolita
assenza di un destinatario – aspetti questi che hanno suscitato vivo
interesse in dottrina[79]
–, la costituzione chiarisce, si può dire in modo programmatico,
gli obiettivi della politica costantiniana a favore dei veterani.
L’Imperatore fa il suo ingresso nel campo accolto da un’invocazione
di saluto pagana (dii te nobis servente),
che i compilatori giustinianei, riproducendo con qualche modifica CTh. 7.20.2
in C. 12.46.1.7, sostituiranno con l’espressione Deus te nobis servet, in ossequio al monoteismo cristiano.
Dopodiché, alla richiesta dei veterani di speciali privilegi (indulgentia) a fronte del servizio reso, Costantino risponde che è suo
dovere (debeo) aumentare la loro
felicità, piuttosto che diminuirla. Le doglianze dei veterani, espresse
con tono quasi insolente, lasciano pensare che le disposizioni in materia di
immunità che li interessavano non fossero applicate nella pratica. Se
accettiamo la datazione proposta da Seeck per CTh. 7.20.2 ovvero quella del
1° marzo 326 d.C.[80],
dobbiamo infatti ammettere che a quel tempo erano già previsti speciali
diritti per i soldati al momento del congedo: Costantino se ne era occupato
nelle due leggi del 325, precedentemente esaminate. E infatti, sollecitato dal
portavoce dei veterani (Victorinus), egli “proclama” – il
tono è quello di un editto – di aver già concesso loro dei privilegi. Questa volta, però,
quasi a voler fugare una volta per tutte i dubbi sulle
“munificenze” accordate, Costantino propone di esse un dettagliato
elenco. I veterani sono esonerati dai
munera civilia e dai lavori pubblici,
dagli obblighi municipali e dai vectigalia,
e ancora dalla collatio lustralis e
dalle tasse di vendita nei pubblici mercati. Ma veniamo al punto per noi
più interessante. Ai pubblicani viene intimato di non gravare con tasse
esorbitanti i veterani, affinché questi quiete post labores suos perenniter perfruantur.
L’espressione riecheggia quella incontrata nella Tavola di Brigetio (quieto otio et congrua securitate potiantur),
ma il tono è questa volta più incisivo. Appena qualche riga in
basso, sempre in CTh. 7.20.2, essa ricorre con una variante ancora più
carica di significato: senectus quiete
post labores perfruatur. Tutti i veterani, nessuna distinzione fatta,
devono poter svolgere attività commerciali senza essere gravati dal
fisco, e ciò affinché godano
con tranquillità in vecchiaia i frutti del proprio lavoro. Traduco
liberamente, giacché nel testo, con un’immagine pregnante, la senectus, intesa come età della
vita, appare personificata. A quella
dei suoi fedeli servitori, in virtù dell’annosità del
servizio e non anche della posizione gerarchica, Costantino volle assicurare
dei benefici. Lo fece non solo attraverso esenzioni di vario tipo ma anche
fornendo ai veterani i mezzi per una vecchiaia operosa. “Collocati a
riposo” dal duro lavoro nell’esercito, con i suoi obblighi, i
rischi e le sue limitazioni, i soldati potevano finalmente dedicarsi a nuove
attività o godere, liberi da imposte, i propri beni[81].
Matricula decorrente aveva
luogo, in linea di principio, l'avanzamento nei pubblici gradi delle carriere,
militari e civili nell'organizzazione, rigidamente gerarchica, dell'apparato
burocratico tardo-imperiale[82].
La classificazione delle unità dell'esercito nel basso impero[83]
è data dalla Notitia Dignitatum,
che per la parte orientale conserva liste compilate all'inizio del V secolo, e
per l'Occidente liste aggiornate al termine dell'impero di Onorio[84].
Le truppe di grado più alto sono i reggimenti palatini, che comprendono vexillationes e auxilia; seguono poi i comitatenses,
formati da vexillationes e legioni di
cavalleria, e, in ultimo, gli pseudocomitatenses,
unità di sola fanteria. Tra i limitanei preposti alla difesa dei
confini, le truppe di maggior grado sono le
vexillationes, indicate nella Notitia
semplicemente con il nome di equites,
e le legioni; le alae di cavalleria e
le coorti di fanteria costituiscono invece le unità di grado più
basso. Nell'esercito organizzato in vexillationes,
auxilia e scholae i sottoufficiali sono ordinati, dal grado più basso
al più alto, in circitor, biarchus, centenarius, ducenarius, senator e primicerius. Dopo un addestramento iniziale, i tyrones, le reclute erano destinate a divenire soldati semplici di
fanteria o di cavalleria, per poi passare al grado di semissalis e, finalmente, intraprendere la carriera di
sottoufficiali. Una minoranza veniva promossa dai ranghi e raggiungeva il grado
di protector, cioè di allievo
ufficiale[85].
Alla
disciplina della militia armata
è dedicato un intero libro, il settimo, del Codice Teodosiano. In
particolare, le regole riguardo alla promozione dei militari sono fissate nelle
due costituzioni, rispettivamente del 393 e del 409, raccolte in CTh. 7.3,
sotto la rubrica Quis in gradu
praeferatur[86]:
CTh. 7.3.1: In omnibus, qui militiae nomen dederunt, ratio est
habenda meritorum, ut is potissimum potiorem adipiscatur gradum, qui meruerit
de labore suffragium, nec quaeratur, quis militarit primus, sed quis manserit
in studio apparitionis adsiduus.
CTh. 7.3.2: Cum alios in altiores militiae gradus iugis
observatio, nonnullos in aedem militiae statione caeleste pervexisset oraculum
ac tempore provehendae dignitatis exoreretur contentio, quisnam prior incederet
quisve susequeretur, cum uterque pari eiusdem gradus niteretur auspicio, non
immerito placuit, ut, quotiens codicillis vel sacris affatibus ullus ex alio ad
alium gradum cum isdem stipendiis emigrarit, triennio posponatur, quem sors
militiae in eum progressum duxerit.
Anzianità
di servizio, assiduità e costante osservanza del dovere, costituiscono i
parametri per l'assegnazione dei gradi della carriera militare, con preferenza
anche rispetto alla condiscendenza imperiale, che non costituiva la sola forma
di “prevaricazione”[87].
Nel
Codice Teodosiano, l'avanzamento mediante suffragium
con riguardo all’esercito è interdetto in linea di principio
già nel primo titolo del libro settimo:
CTh. 7.1.7: Plures de diversis numeris ante impleta stipendia ad
indebitos honores suffragiorum ambitione perveniunt. Sive igitur eos purpuram
adorasse constabit sive excepisse aliquas dignitates, eo quem ceperint honore
solvantur, ita ut, qui ceteros in labore positos festina cupiditate
transierint, nec testimonium quid emerit laboris accipiant. Quod si aliquibus
fortasse rationibus adtinentur inpliciti, ad eos numeros, de quibus (per
am)bitionem exierant, revertantur[88].
CTh.
7.3 nel Codice Giustinianeo non è riprodotto; C. 12.43.3 conserva,
però, la legge di Onorio e Teodosio del 408 inserita in CTh. 7.13.19
relativa ai tyrones, nella quale,
più sinteticamente rispetto alle due leges
del titolo Quis in gradu praeferatur,
è espresso il principio per cui non debba ottenere il grado più
elevato se non colui che possa vantare laborum
adsiduitas e stipendiorum prolixitas:
Tyrones in scholis loco semper posteriore ponantur: nec enim
patimur quemquam celsiorem gradum obtinere, nisi cui et laborum adsiduitas, et
stipendiorum prolixitas suffragantur.
Negli officia burocratici, la cui struttura
rifletteva il modello dell'organizzazione militare, gli impiegati civili erano
arruolati, per mezzo di una probatoria, nel corpo dell'esercito[89].
Anche le cariche ricoperte conservavano la titolatura della carriera equestre
del Principato, nonostante, a partire dal IV sec., il personale civile e
militare del palazzo imperiale fosse nettamente distinto come militia palatina dalla militia propriamente detta, quella,
cioè, armata. L'avanzamento
dei funzionari palatini, al pari di quello dei militari, aveva luogo per
anzianità. All'interno di ciascuno scrinium,
l'exceptor[90],
l'impiegato semplice, percorreva matricula
decurrente i gradi della sua carriera fino a raggiungere, dopo quello di melloproximus, il rango di proximus, per cederlo, dopo un certo
periodo di tempo, di modo che ogni appartenente allo stesso ufficio avanzasse
di un grado. Nel 379 i proximi
servivano per un periodo di tre anni; gli anni di servizio furono ridotti a due
nel 396 in Oriente e ad uno nel 397 in Occidente; definitivamente ad uno anche
in Oriente, nel 416 d.C.[91].
Dopo nove anni di lodevole servizio, l'exceptor
poteva essere scelto come adiutor dai
funzionari dirigenti e a questo punto scegliere se essere iscritto tra gli Augustales, o ritornare tra gli exceptores ordinari e continuare a
percorrere una carriera più lenta e meno prestigiosa[92].
Giovanni Lido tenta di spiegare, nell'ambito della sua descrizione del ramo
giudiziario-amministrativo dell'officium
pretoriano d'Oriente, la divisione degli exceptores
in ordinarii ed Augustales. Il burocrate del VI secolo
riferisce a proposito che gli exceptores,
in quanto molto numerosi, raggiungevano l'apice della carriera solo dopo molti
anni di servizio e quando ormai l'età avanzata rendeva loro difficile
fronteggiarne i compiti. Questa circostanza rese necessario l'ausilio di audiutores che i dirigenti anziani
potevano scegliere fra i migliori exceptores
e che, stando alla poco limpida ricostruzione storica di Lido, l'imperatore
Arcadio avrebbe successivamente raggruppato nel collegio degli Augustales, distinguendoli da quelli in codicillo manente, vale a dire ordinari[93].
Ai
vertici della militia palatina e di
quella armata, la gerarchia delle
cariche (administrationes) riflette
quella dei titoli (dignitates), da
cui derivano privilegi proporzionali al rango. Nel corso del IV sec. i
più alti funzionari imperiali fanno parte dell'ordine senatorio, che
comprende i tre ranghi degli illustres,
degli spectabiles e dei clarissimi. L'ordine delle precedenze
fra le dignità palatine è definitivamente stabilito
dall'imperatore Valentiniano, nel 372. Si tratta di un complicato sistema
essenzialmente basato sul possesso delle cariche imperiali nel quale,
però, il consolato ordinario costituisce ancora la dignità
più elevata. Oltre ai consoli, appartengono agli illustres anche gli ex
prefetti del pretorio e urbani e gli ex
magistri militum ed equitum, tutti aventi lo stesso rango.
Tra loro è l'anzianità della nomina a determinare la precedenza,
come si legge in CTh. 6.7.1:
Praef(ectos) urbi, p(raefectos) p(raetori)o, magistros equitum
(ac) peditum indiscretae ducimus dignitatis, usque a(deo) videlicet, ut, cum ad
privatam secesserint vitam, (eum) loco velimus esse potiorem, qui alios
promot(ionis) tempore et codicillorum adeptione praecesserit.
Sono
invece spectabiles i proconsoli e i
vicari cui sono parificati nel rango i comites
rei militaris, i duces e altri
meno importanti ministri palatini. I governatori provinciali e tutti gli altri
funzionari minori hanno il rango di clarissimi.
In occasione delle cerimonie ufficiali, tra gli onorati della dignità
consolare deve precedere chi prima meritò la Trabea:
C. 12.3.1: Antiquitus statutum est, Consularibus Viris caeteros
quidem honoratos ipsius trabeae summitate, pares vero infulis consideratione
tantum temporis anteire. quis enim in uno, eodemque genere dignitatis prior
essee debuerat, nisi qui prior meruit dignitatem? cum posterior etiamsi eiusdem
honoris praetendat auspicia, cedere tamen illius temporis Consuli debeat, quo
ipse non fuerit. hoc observando, et si iterata vice fastigia Consulatus aliquis
ascenderit,
e tra Praefectus Praetorius, Praefectus urbi, Magister militum e Praepositus
sacri cubiculi, che, deposta la carica è equiparato a quelli nella
dignità, deve osservarsi nei seggi e nelle sedute solo l'ordine
determinato dall'anzianità della nomina:
C. 12.4.5: Sacri cubiculi Praepositi et dignitate fungantur, qua
sunt praediti, qui eminentissimam Praetorianam, vel Urbanam meruerint
praefecturam, aut certe militarem Magisteriam potestatem: ita ut sit inter eos
post depositas administrationes nulla discretio, sive nostrae serenitatis
adoraturi admittantur imperium, sive pro suo arbitrio solennes festivitates, et
coetus, vel salutationes, vel quaelibet alia officia frequentent: ut in
sedibus, et in consessu eius ordo servetur, quem ordo provectionis ostenderit:
sub habitu videlicet ipsis consueto, cum manifeste decretum sit eorum esse
potiorem, qui praecesserit vel illum subsequi, quem recentius probaverit
examen.
Le
rigide regole stabilite per l'avanzamento dei funzionari civili erano,
però, frequentemente disattese in concreto e assai diffusa era, anche
nella militia cohortalis, la pratica
del suffragium. Numerosi sono,
infatti, i luoghi del Codice Teodosiano e di quello Giustinianeo in cui viene
interdetto di turbare l'ordine dei gradi stabilito dalla prerogativa del tempo.
Da un'analisi comparativa di essi, comprendendovi anche C. 12.43.3, il
frammento relativo alle reclute precedentemente esaminato, risulta che le
espressioni più comuni per denotare l'anzianità di servizio sono,
nel lessico giuridico tardo-imperiale, prolixitas
stipendiorum, prolixa stipendia, labor prolixior, longior
labor, longa militia. Di labor prolixior si parla in CTh. 1.9.1,
in cui il criterio della priorità temporale nell'avanzamento di grado
è richiamato con riferimento agli agentes
in rebus, i “corrieri imperiali”[94]:
Nefas est a minoribus maiora vel posci vel sperari: ideoque nemo
a nobis postulet agentum in rebus aliquem militiae (potiori) sociari, nisi quem
tua acceptio probari debere significat, ita ut petitorem constet loco esse
potiorem. Ordinem vero militiae atque stipendia nemo praevertat, etiamsi nostri
numinis per obreptionem detulerit indultum: ac si formam istius modi docebitur
obtulisse, in locum, ex quo indecenter emerserat, revertatur, ut si gradu
ceteros antecedat, quem stipendia longiora vel labor prolixior fecerit anteire.
La
legge è riprodotta, priva dell'incipit
e con qualche variante, come stipendia
meliora anziché stipendia
longiora, in C. 1.31.2 [95].
Anche la gerarchia degli agentes in rebus
rifletteva quella dei sottoufficiali dell'esercito; essi prendevano i gradi di equites, circitores, biarchi, centenarii, ducenarii[96].
Al tempo di Costanzo II, la loro carriera si concludeva con uno o due anni di
servizio come princeps negli uffici
dei prefetti del pretorio ed urbano, dei proconsoli d'Acaia e d'Africa, del comes Orientis, del praefectus Augustalis e dei vicari[97].
L’avanzamento di grado dei corrieri imperiali avveniva matricula decurrente, in virtù
del lavoro prestato. Che si trattasse di un criterio rigoroso lo si avverte in
una legge di Costanzo II, indirizzata agli stessi agentes in rebus:
CTh. 1.9.1: Ad ducenam etiam et centenam et biarchiam nemo
suffragio, sed per laborem unusquisque perveniat, usus omnium testimonio:
principatum vero adipiscatur matricula decurrente, ita ut ad curas agendas et
cursum illi exeant, quos ordo militiae vocat et labor (a. 359).
La
rigidità della regola si evince, d’altra parte, dal fatto che per
derogarla fu necessario un intervento legislativo. Con due costituzioni, una
del 380, l'altra del 395, Teodosio riservò, rispettivamente, a sé
e ai più alti funzionari il diritto di promuovere ogni anno due agentes per ogni grado, garantendo che,
all’infuori di tali eccezioni, l'ordine della progressione non avrebbe
subito altre interferenze[98].
Sempre sotto il titolo dedicato agli agentes
in rebus, il Codice Teodosiano raccoglie una legge degli imperatori Onorio
e Teodosio in cui l'anzianità di servizio è designata con le
locuzioni annosa militia e longa stipendiorum mole:
CTh. 6.27.16.1: Quod si forte quis, ut adsolet, honorarii
principatus insignibus inpetratis isdem privilegiis uti voluerit, ita impetrata
largitate (fru)atur, si incassum se pulsari sub iudiciaria cogni(ti)one
probaverit, nisi forte annosa militia et longa (st)ipendiorum mole vexatus et
in ordine non temnen(dae) militiae constitutus principatus non ut laborum
(com)pendium voluit expectare, sed ut portum quietis maluit indipisci (a. 413).
Il
divieto di ricorrere all'ambitus e ad
altre forme di prevaricazione che turbassero la regolare progressione delle
carriere è ribadito con riferimento ai tribuni notarii, in una legge dell'imperatore Zenone, conservata in
C. 12.7.2 sotto la rubrica De primicerio
et secundicerio, et notariis.
Prima
di leggerne il testo, è opportuno qualche cenno preliminare su questa
importante categoria della militia
civilis. I notarii nel generale processo di burocratizzazione che investe
l'Impero a partire dalla fine del III sec., non sono più gli antichi
stenografi ma funzionari con mansioni di cancelleria[99];
quelli della prefettura pretoriana furono costituiti dall'imperatore Costantino
nel corpo a parte dei tribuni et notarii.
I segretari del palazzo imperiale erano organizzati in scholae, nell'ambito
delle quali il notarius di rango
più elevato era chiamato primicerius
poiché era il primo ad essere nominato nella cera, la tavoletta cerata contenente l'elenco dei notarii. Il primicerius era responsabile della tenuta del laterculum maius, l'elenco di omnium
dignitatum et administrationum tam civilium quam militarium, di cui la Notitia Dignitatum costituisce un
esempio. Seguono poi nella gerarchia il secundicerius,
i notarii et tribuni e i domestici et notarii. Secondo la
testimonianza di Giovanni Lido, l'avanzamento nella carriera era molto lento e
dovevano trascorrere molti anni prima che i tribuni raggiungessero il
primiceriato[100].
Da quanto apprendiamo dalla legge di Zenone conservata in C. 12.7.2, il primicerius serviva per due anni e
quindi ogni tribuno poteva avanzare di un posto ad anni alterni. Nel V secolo,
in entrambe le parti dell'impero, numerosi erano coloro che portavano il nomen di notarii ma solo un esiguo numero prestava effettivamente servizio a
corte. In Oriente, l'imperatore Zenone dispose allora che:
C. 12.7.2-3: Hos autem tribunos, qui suis negotiis occupati
minime sacrum palatium curaverint frequentandum, nisi intra annale spatium
revertantur, quamvis commeatus iura praetendunt, pro absentia quidem unius anni
unius gradus, si vero duobus annis abuerint, duorum, si tribus, trium, si
quatuor, similiter quatuor graduum subire iactura, his, qui inferiores eis
fuerint, postponendi. § 3 Qui vero per quinquennium integrum se presentare
cessaverint, exemtos matricula, tantum nomine tribunorum, nec vero ordine
perpotiri, his in hunc modum dispositis vacationem census, discussionis,
peraequationis et cuiuslibet alterius rei habiturus[101].
Il
provvedimento mirava ad arginare il dilagante assenteismo dei segretari del
concistoro che, in numero sempre maggiore, godevano di sinecure e disertavano
le mansioni che gli competevano. In particolare, si sanzionava con la perdita
di un anno di anzianità ogni anno di assenza, e con la cancellazione
dalla lista del servizio attivo, l'allontanamento dal sacro palazzo per
più di quattro anni. In C. 12.7.2.4, la parte della legge che ci
interessa di più, il contenuto della disposizione imperiale è
chiarito in questi è termini:
Illud praecipue provisionem nostram flagitare perspeximus, ne per
ambitionem vel gratiam aut cuislibet occasionis obtentu vel laborum seu
sollicitudinum specie, publicorum cuiquam liceat aliquando graduum seriem
conturbare, et, temporum ratione calcata, dudum militantibus ante ferri, et,
quae longis prolixisque stipendiis defensa iam pollicetur senectus, gratiosa
festinatione surripere.
Si
tratta di una fonte per noi particolarmente significativa. In essa, infatti
ricorrono insieme prolixitas stipendiorum
e senectus. Nel Codice
Giustinianeo il termine senectus
è presente in soli altri quattro luoghi, oltre C. 12.7.2.4; si tratta di
un rescritto dell'imperatore Diocleziano e di tre costituzioni della
cancelleria di Valentiniano e Teodosio, che documentano l'uso del termine senectus nella sua accezione consueta di
anzianità in senso fisico:
C. 8.53(54).16: Senectus ad donationem faciendam sola non est
impedimento (a. 293).
C. 10.31(32).41: Decurio fortunam quam nascendo meruit suffragiis
atque ambitione non mutet: et si vacare per senectutem potuerit, propter
ordinationem, quae per plurimos cito definiri solet, curiam non relinquat (a.
387).
C. 12.7.1 pr. (= CTh. 6.10.1): Praecipua est nostrae pietatis
intentio circa notariorum nomen: atque ideo, si umquam huius ordinis viri
laborem quiete mutaverint vel senectute posuerint seu cum alia dignitate post
hanc qualibet usi sunt, non omittant prioris vocabulum militiae, sed compendium
sequentis honoris adsumant (a. 380).
C. 12.57(58).7.1: Quod si ante debitum locum, qui huic functioni
habetur obnoxius, vel agri corporis labem vel defessae senectutis extrema ad impetrandam
quietem crediderit praetendenda, non prius otio condonetur, quam omne quod
primipilo debetur expenderit (a. 389).
Dieci
sono invece le ricorrenze di senectus
registrate nel Codice Teodosiano[102].
In particolare, nella legge raccolta in CTh. 6.10.1 e riprodotta nella prima
parte in C. 12.7.1, sotto il medesimo titolo che raccoglie quella di Zenone, de primicerio et secundocerio et notariis,
la circostanza del congedo (labore quiete
mutare) è significativamente distinta da quella dell'abbandono per
vecchiaia, (senectute ponere). Il
funzionario che si ritira dall'administratio,
certamente anziano relativamente agli anni maturati, può quindi non
esserlo anche nel senso assoluto cui rinvia il termine senectus nelle fonti esaminate, quello, cioè, di inabile al
lavoro a causa dell'età avanzata.
Alla
luce di questa rassegna, torniamo ora a C. 12.7.2.4 e all’espressione
«longis prolixisque stipendiis
defensa iam pollicetur senectus». Il compendio in Bas. 6.25.9 non aiuta a chiarire
l’accezione del termine senectus nel
contesto, limitandosi a riassumere
sinteticamente il principio contenuto in C. 12.7.2.4.
Cuiacio
propone di leggere defessa sibi iam
in luogo di defensa iam, forse
confrontando il brano con C. 12.57(58).7.1, in cui senectus, nel significato proprio di età avanzata, è
appunto accompagnata dall’aggettivo defessa.
Nella sostanza, che si legga il testo in un modo o nell’altro, il senso
del principio espresso non è molto diverso: per nessuna ragione sia
consentito alterare l’ordine dei gradi e quindi, in spregio al criterio
temporale, prevaricare chi è più anziano. Tuttavia, con una
lettura conservativa del testo, l’aggettivo defensa conferisce al termine senectus
una sfumatura che sembra avvicinarlo più all’accezione di
anzianità di servizio che a quella propria di vecchiaia; accezione che
meglio si accorderebbe con pollicetur,
di cui senectus costituisce il
soggetto. Parafrasando liberamente, promette benefici solo
un’anzianità sostenuta dalla lunghezza del servizio.
La
prerogativa del tempo acquista, in particolare nel rigido sistema gerarchico
dell’apparato burocratico del tardo impero, una “evidenza
sensibile”: prolixitas stipendiorum
e senectus sono in stretto
rapporto ma non necessariamente coincidono ed è l’anzianità
di servizio a garantire quietum otium
e congrua securitas in vecchiaia.
The lenght of service, currently denoted
in Roman sources by the locution prolixitas stipendiorum, is the most important
factor determining progression in rank, benefits and honorable discharge for
the Militia armata and civilis. Especially in the complex administrative
structure of late Antiquity, the length of service does not always coincide
with the old age of the civil servant, and therefore “prolixitas
stipendiorum” suggests properly the concept of “seniority”.
This paper aims to provide an overview of some sources that particularly refer
to the prolixitas stipendiorum as the criterion influencing Military and Civil
Servants’ career, benefits and “Retirement Pensions”.
Sometimes these sources appear very suggestive, not only because of the
terminology, but also because of the content, taking account of the fact that
their historical context precedes by centuries the ideas of Rule of Law and
Social Security.
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione
“Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il
procedimento di peer review. Ogni articolo è stato
valutato positivamente da due referees,
che hanno operato con il sistema del double-blind].
[1]
Così è definito il poeta venusino da M. BONVICINI, La lirica latina: Catullo e Orazio, in Senectus. La vecchiaia nel mondo classico II, Roma (a cura di U. MATTIOLI), Bologna 1995, 94. La letteratura
classica, greca e latina, offre dati preziosi al fine di tracciare lo sfondo
politico e ideologico nel quale evolve la considerazione degli anziani nel
tempo. La collettanea curata da U. Mattioli, Senectus. La vecchiaia nel mondo classico I-II cit. (su cui v.
recens. di R. FERCIA, in Lexis XVI,
1998, 267 ss.) ne propone un’ampia ricognizione ricca, per contenuti e
indicazioni bibliografiche.
[2] Mi riferisco, in particolare ai celebri
versi del Carmen saeculare: currit enim ferox/ aetas et illi quos tibi
dempserit/ adponet annos (2.5.13-15); ma cfr. anche Hor. Ars 175: multa ferunt anni
venientes commoda secum, / multa recedentes adimunt, su cui ancora M.
BONVICINI, La lirica latina cit.,
101.
[3] Come apprendiamo da Liv. 4.59,
lo stipendium, ovvero la paga in denaro per un anno di servizio dei soldati
romani, fu introdotta all’inizio del IV sec. a.C. Il primo stipendium fu
corrisposto in occasione dell’assedio di Veio (396 a. C.): fin ad allora,
i soldati adempivano al servizio a proprie spese. Per un servizio di 360 giorni
i legionari percepivano complessivamente 120 denarii, cifra raddoppiata da
Cesare (225 denarii) e portata da Domiziano a 300 denarii con
l’introduzione di un “quarto” stipendium (il pagamento era
corrisposto in tre rate di 75 denarii ciascuna, all’inizio di gennaio,
maggio e settembre). Aumenti si ebbero ancora sotto Settimio Severo e Caracalla
(che portarono gli stipendia annuali rispettivamente a 450 e 675 denarii).
Sull’argomento, e in generale per gli stipendia corrisposti per ciascuna
carica militare, v. tra gli altri, G.R. WATSON, The Roman Soldier, New York
1969, 89 ss.
[4] L’evoluzione semantica del termine militia, per M. MAZZA, Lotte sociali e restaurazione autoritaria
nel III secolo d. C., Roma-Bari 1973, 414, riflette emblematicamente la
progressiva militarizzazione della struttura burocratico-amministrativa; il
termine, nota l’Autore, dall’originario significato di
«“periodo di servizio militare” - ed in senso speciale,
“rango”, “status” o “posto”
nell’ambito di una carriera militare» passa «già agli
inizi del periodo costantiniano» a «significare in senso più
generale non semplicemente servizio militare, ma anche specificamente un
periodo di servizio nell’amministrazione pubblica». Per una
bibliografia generale sui vari impieghi del termine militia, v. M. MAZZA, Lotte
sociali cit., 670, note 179 e 180.
[6] D’altra parte, nella sistematica
del Codice Teodosiano, le stesse prestazioni del “personale
amministrativo” non sono riconducibili a un modello organizzativo
generale. Come nota F. GRELLE, Le
categorie dell’amministrazione tardo antica. Officia, munera,
honores, in Diritto e società nel
mondo romano (a cura di L. FANIZZA), Roma 2005, 247, «il divario fra
l’administrare degli officiales e le administrationes dei dignitari» è solo apparentemente
superato nel primo libro del Codice Teodosiano «attraverso il riferimento
all’officium come astratta
categoria organizzativa, in cui si ricompongono le eterogenee prestazioni degli
uni e degli altri». Nelle singole leges
è «la nozione dell’officium
come corpus di funzionari
subalterni» a determinare «la collocazione delle norme sul
personale amministrativo, che sono distaccate dalla trattazione degli uffici e
distribuite secondo collegamenti diversi, in riferimento alla disciplina della dignitas nel sesto libro,
all’assetto della militia nel
settimo, all’organizzazione in corpora
dei subalterni nell’ottavo, dove le rubriche stesse accolgono officium in questa accezione».
[7] Essi non sono gli unici di cui
beneficiavano i veterani. Per l’età tardo-classica Arrio Menandro
e Marciano attestano un particolare trattamento in materia penale: v. D.
49.18.1, escerpito dal terzo libro De re
militari di Arrio Menandro, e D. 49.18.3, tratto dal secondo libro delle
regole di Marciano. Dei privilegia dei
veterani, «inter cetera»,
Menandro sembra interessarsi solo a quelli che si manifestano «in delictis», come nota V.
GIUFFRÈ, Letture e
ricerche sulla “res militaris” II, Napoli 1996, 345, cui si rimanda per l’analisi puntuale dei
passi dell’unica opera menandrea conservataci nel Digesto, e più
in generale per un ampio quadro sulla letteratura de re militari (221 ss.). Non è possibile e nemmeno sarebbe
opportuno rendere conto in questa sede della vastissima bibliografia sui
privilegi dei veterani. Indicazioni saranno fornite, all’occasione, su
specifici profili rilevanti per la presente indagine.
[8] Richiamo l’espressione usata nella
cosiddetta Tavola di Brigetio, su cui v., diffusamente, infra.
[11]
Di «primus hastatus prioris
centuriae» si parla ad. es. in Liv. 42.34.5. Per un approfondimento
sul titolo di primuspilus/primipilaris, v. B. DOBSON, The
“primipilares” in Army
and Society, in Kaiser, Heer und
Gesellschaft in der Römischen Kaiserzeit. Gedenkschrift für Eric
Birley (a cura di E. BIRLEY, G.ALFÖLDY, B.DOBSON, W. ECK), Stuttgart
2000, 139 ss.
[13] A partire da Augusto, quella dell’evocatio, ovvero della chiamata a
riprendere il servizio all’atto del congedo, divenne una pratica
istituzionale e gli evocati costituirono,
a differenza di quanto avveniva in età repubblicana, graduati impiegati
in compiti speciali. Dalle fonti
risulta che in età augustea potevano essere evocati solo i veterani delle coorti pretorie. V., in argomento,
TH. MOMMSEN, Gesammelte Schriften 7, Berlin 1909 (ripr. Zürich 1965), 446; E. DE
RUGGIERO, s.v. «evocati», in DE,
II, 3, Roma 1900, 2173 ss.; A. PASSERINI, Le
coorti pretorie, Roma 1939 (rist. 1969), 76-78 e s.v.
«Legio» cit., 602.
[14] Per la storia e l’organizzazione
delle coorti pretorie, v., in generale, M. DURRY, Les cohortes prétoriennes, Paris 1938 e A. PASSERINI, Le coorti pretorie cit. Se riteniamo
attendibile una testimonianza di Festo (p. 249 L.), la prima cohors praetoria, il corpo di guardia
del comandante, risale a Scipione Africano: «praetoria cohors est dicta quod a praetore non discedebat. Scipio enim
Africanus primus fortissimum quemque delegit, qui ab eo in bello non
discederent et cetero munere militiae vacarent et sesquiplex stipendium
acciperent». Sulle perplessità suscitate dal brano festino e,
più in generale, sulla storia della coorte pretoria in età
repubblicana, v. A. PASSERINI, Le coorti
pretorie cit., 4-40.
[16] V. A. NEUMANN, s.v.
«Veterani» in RE, (Paulys Real-encyclopädie der classichen
Altertumswissenschaft, neue Bearb. v. G. WISSOWA, W. KROLL, K. MITTELHAUS,
K. ZIEGLER), Supp. IX, 1962, cl. 1597.
Stando ai risultati della ricerca condotta da L. KEPPIE, Colonisation and veteran settlement in Italy 47-14 b. C., London
1983, il termine «veteranus»
ricorre nelle epigrafi a partire dal principato augusteo.
[17] D. 3.2.2.2 (Ulp. 6 ad ed.): ... Est honesta
(missio), quae emeritis stipendiis vel ante ab imperatore indulgetur. Cfr.,
poi, oltre a D. 49.16.13.3 (Macer 2 de re
militari) riprodotto nel testo, anche D. 27.1.8.5 (Mod. 3 excus.). Sul tema v. tra i contributi
più recenti, J.C. MANN, Honesta Missio from
the Legions, in Kaiser, Heer und Gesellschaft in
der Römischen Kaiserzeit cit., 153 ss.
[18] D. 3.2.2.2 (Ulp. 6 ad ed.): ... Est causaria
(missio), quae propter valetudinem laboribus militiae solvit. Cfr. anche D.
27.1.8.5 (Mod. 3 excus.).
[20] D. 49.16.13.3. Un quartum genus missionis è
annoverato in Ulp. D. 3.2.2.2: est et
quartum genus missionis, si quis evitandorum munerum causa militiam subisset:
haec autem missio existimationem non laedit, ut est saepissime rescriptum.
[21] La bibliografia sull’esercito
romano è vastissima. Un ragguaglio delle opere scritte sul tema fino
agli anni ’50 è offerto dall’appendice di G.R. WATSON alla
ristampa di H.M.D. PARKER, The roman
legions, Cambridge 1958 (I ed. 1928), 289-296. Per indicazioni
bibliografiche più recenti, v. con le opere già citate per
singoli aspetti, anche E. GABBA, Per la
storia dell’esercito in età imperiale, Bologna 1973 e Y. LE
BOHEC, L’esercito romano - Le armi
imperiali da Augusto a Caracalla, Roma 1992 (I ed. Paris 1989).
[22] Con riferimento alle legioni occidentali,
si riscontra, per la prima età imperiale, anche l’uso del termine aera per indicare gli anni di servizio
passati sotto le armi. Cfr., a proposito, A. PASSERINI, s.v.
«Legio» cit., 612-13.
[23] L’esercito augusteo era composto da
ventotto legioni di uomini reclutati tra i cittadini romani di origine italica
e da formazioni ausiliarie (auxilia),
articolate in alae e cohortes, di soldati reclutati fra i
provinciali. Cfr., a riguardo, E. GABBA, Per
la storia dell’esercito in età imperiale cit., 46-47.
[25] Dio. 55.23.1 (Boiss). Da fonti di incerta
interpretazione sembra potersi dedurre che l’ammontare dei praemia per i legionari fosse stato
ridotto alla metà da Caligola (Svet. Calig.
44) e aumentato successivamente a 5000 denarii
da Caracalla (Dio. 78.24.1).
[26] Dio 54.25.6; 55.23.1. Con Augusto, che in
base a Svet., Aug. 49 «ex militaribus copiis ... ceterum numerum
partim in urbis, partim in sui custodiam adlegit» fu istituita la
milizia degli urbaniciani, di rango intermedio tra i legionari e i pretoriani
posti a guardia del principe. V. in proposito A. PASSERINI, Le coorti pretorie cit., 43 ss. I dati
storici relativi alla durata del servizio militare nella riforma augustea,
consentono di dedurre che essa era tanto più breve quanto più
elevato in dignità era il corpo dell’esercito. Si registra,
infatti, una ferma più lunga degli urbaniciani rispetto ai pretoriani e
dei soldati semplici di legione rispetto agli urbaniciani.
[27] Cfr. Tac. Ann. 1.17.2: satis per tot annos
ignavia peccatum, quod tricena aut quadragena stipendia senes et plerique
truncato ex vulneribus corpore tolerent. Ne dimissis quidem finem esse militiae
sed apud vexillum tendentes alio vocabulo eosdem labores perferre... Si
sofferma sulla questione G. FORNI, Il
reclutamento delle legioni da Augusto a Diocleziano, Milano-Roma 1953,
37-38.
[28] Tac. Ann.
1.36.4: missionem dari vicena stipendia
meritis, exauctorari qui sena dena fecissent ac retineri sub vexillum ceterorum
immunes nisi propulsandi hostis. Secondo A. PASSERINI, v.
«Legio» cit., 611, «a questo breve periodo (o
all’ordinamento in vigore fino al 6 d. C.) è da attribuire C. III
2037= 8579= I.L.S. 2260». Si tratta dell’iscrizione relativa ad un
veterano (che fosse tale, lo si deduce dal titolo «missicius» che lo denota), Quarto Giuvenzio, morto poco dopo
aver servito la legione XI per sedici anni: Quartus
Iuventus T. f. missicius leg. XI, ann(orum) XXXV h(ic) s(itus) e(st). Sul punto, v. anche H.M.D.
PARKER, The roman legions cit., 237.
Su «missicius»,
ricorrente spesso nelle iscrizioni di legionari, v. E. TODISCO, I veterani in Italia in età imperiale,
Bari 1999, 255-59, che fornisce un’efficace sintesi delle posizioni della
dottrina sul significato del termine e un dettagliato ragguaglio delle
iscrizioni che lo contengono.
[29] Tac. Ann.
1.78: edixit Tiberius ... imparem oneri
rem publicam, nisi vicesimo militiae anno veterani dimitterentur. Ita proximae
seditionis male consulta, quibus sedecim stipendiorum finem expresserant,
abolita in posterum.
[30] Svet., Tib. 48.2: missiones
veteranorum rarissimas fecit, ex senio mortem, ex morte compendium captans;
Svet., Nero 32.1: ita iam exhaustus et egens ut stipendia
quoque militum et commoda veteranorum protrahi ac differri necesse esset.
[31] Il disagio fu così espresso da uno
di loro, durante la già citata sollevazione pannonica del 14 d.C.: ac si quis tot casus vita superaverit, trahi
adhuc diversas in terras, ubi per nomen agrorum uligines paludum vel inculta
montium accipiant..., come leggiamo in Tac. Ann. 1.17. Sul punto, v. G. FORNI, Il reclutamento delle legioni da Augusto a Diocleziano cit., 39.
Numerose iscrizioni testimoniano la deduzione di colonie militari da parte di
Augusto. Per uno sguardo d’insieme sulle colonie militari dedotte da
Augusto fino Vespasiano, v. G. FORNI, Il
reclutamento delle legioni da Augusto a Diocleziano cit., 38-41.
[32]
Per un quadro complessivo in argomento, si rinvia ai classici M.J. LESQUIER, L’armée romaine
d’égypte d'Auguste à Dioclétien, Le Caire 1918,
333 ss.; G. FORNI, Il reclutamento delle
legioni da Augusto a Diocleziano cit., 48 ss., A. NEUMANN, s.v.
«Veterani» cit., cll. 1601-1604.
[33] Per U. WILCKEN, Grundzüge und Chrestomathie der Papyruskunde I, 2, Leipzig
1912, n. 462, al quale si deve l’edizione correntemente utilizzata
dell’Edictum Octaviani triumviri de
privilegiis veteranorum, esso è da collocare tra gli anni 40 e 37
a.C. Ma v., anche Font. iur. rom.
anteiust. I, II ed., 315-16, in cui si propone il 31 a.C. come datazione
del provvedimento.
[34] G. FORNI, Il reclutamento delle legioni da Augusto a Diocleziano cit. 49,
osserva che «gran parte delle concessioni ... hanno tutta
l’apparenza di privilegi a titolo onorifico» ma non nega siano
«veramente sostanziali» le esenzioni fiscali di cui beneficiavano i
veterani e i loro familiari. Per una sintesi delle immunità riservate ai
veterani, v. da ultimo T.G. PARKIN, Old
age Age in the Roman World: A Cultural and Society History, Baltimore 2003,
135 ss.
[35] Il testo presenta una lacuna. U. WILCKEN,
Grundzüge und Chrestomathie cit.,
n. 462, segnala che «supersunt praeterea in tribus versibus aliquot
litterae quae nulla verba efficiunt».
[36] BGU. 2, 628 = U. WILCKEN, Grundzüge und Chrestomathie cit.,
n. 462 = BRUNS-MOMMSEN-GRADENWITZ, Font.
iur. rom., VII ed., 239 = CIL XVI, 145 = Font. iur. rom. anteiust. I, II ed., 315, n. 56 = Augusti Operum fragm. (ed. Malcovati in Corpus Script. Parav.), 55. = P.Fr. GIRARD, Textes de droit romain. Les lois des Romains, VII ed., Camerino
1977, 448-351. Per la bibliografia
sull’editto di Ottaviano si rinvia a A. NEUMANN, s.v.
«Veterani» cit., cl. 1601. Da due papiri di età neroniana
risulta che i veterani non beneficiassero tutti nella stessa misura delle
immunità. I legionari, probabilmente in virtù della maggiore considerazione
del servizio da loro svolto, godevano, infatti, di maggiori privilegi rispetto
agli ausiliari e ai classiari. Cfr. J. SCHÉRER, P. Fouad I, Le Caire 1939, n. 21, ll. 12 ss.; P.Yale inv. 1528 ed.
C.B. WELLES, JRS 28 (1938), 41, ll.
18 ss.
[37] CIL
XVI, 146, 12 = Dess. 9095 = U. WILCKEN, Grundzüge
und Chrestomathie, n. 463 = Font.
iur. rom. anteiust. I, II ed., 424, n.
76. Sull’Edictum Domitiani de
privilegiis veteranorum si trovano in SCHEHL, Aegyptus 13 (1933) 137 ss.
[38] Un’elaborazione sistematica del
concetto di munus publicum, come
onere incombente sul cittadino verso la civitas,
si compie definitivamente solo nell’età dei Severi. Premessa la
bipartizione tra munus publicum e privatum, Callistrato definisce il primo
come quod in administranda re publica cum
sumptu sine titulo dignitatis subimus (D. 50.4.14.1, 1 de cognitionibus).
Più articolata la classificazione dei munera ulpianea di D. 50.4.6.3-5 (4 de off. proc.): Sciendum est
quaedam esse munera aut personae aut patrimoniorum, itidem quosdam esse
honores. Munera quae patrimoniis iniunguntur vel intributiones talia sunt ut
neque aetas ea excuset neque numerus liberorum nec alia praerogativa quae solet
a personalibus muneribus exuere. Sed enim haec munera ... duplicia sunt, nam
quaedam possessoribus iniunguntur, sive municipes sunt, sive non sunt, quaedam
non nisi municipibus vel incolis. Intributiones, quae agris fiunt vel
aedificiis, possessoribus indicuntur, munera vero quae patrimoniorum habentur
non aliis quam municipibus vel incolis. Arcadio Carisio opererà, in
seguito, una ripartizione dei munera
in personalia, patrimonalia e mixta nel
lungo frammento conservato in D. 50.4.18 (l.
sing. de muneribus civilibus). Per l’evoluzione del concetto di munus publicum, v. F. GRELLE, «Munus publicum». Terminologie e
sistematiche, ora in Diritto e
società nel mondo romano cit., 39 ss. Con specifico riguardo alla
politica di Settimio Severo in materia di esenzioni dagli oneri municipali, v.
M. ROSTOVZEV, Storia economica e sociale dell’impero
romano, (trad. it. di G. SANNA), Firenze 19652, 460 ss. Indaga il
problematico rapporto tra munera e honores anche G. LIBERATI, Munera ed honores in Erennio Modestino, in BIDR
71 (1968), 117 ss. Per il concetto di munus
publicum nella monografia di Carisio, si rinvia alla dettagliata analisi di
F. GRELLE, Arcadio Carisio, l’officium del prefetto del pretorio e i munera
civilia, in Diritto e società nel
mondo romano cit., 257 ss. Della classificazione dei munera in D. 50.4.18, si è occupato recentemente D.V.
PIACENTE, Aurelio Arcadio Carisio. Un
giurista tardo antico, Bari 2012, 75 ss. Per la disciplina dei munera nel Basso Impero, v. C. BRUSCHI, Les «munera publica»,
l’état et la cité au début du Bas Empire, in Sodalitas 3, Napoli 1984, 1311 ss. e con
particolare riferimento ai munera in
età dioclezianeo-costantiniana, G. DE BONFILS, Omnes ... ad implenda munia teneantur. Ebrei curie e prefetture fra IV e V secolo, Bari 2000, 32 e ss. Per un quadro complessivo sulle cause di
esonero dai munera si rimanda a
A.J.B. SIRKS, “Munera publica and
Exemptions (Vacatio, Excusatio and Immunitas)”, in Studies in Roman Law and Legal History in
honour of Ramon d’Abadal i de Vinyals on the occasion of the Centenary,
Barcelona 1990, 79 ss.
[39] D. 50.5.7 (Pap. 36 quaest.): a muneribus, quae
non patrimoniis inducuntur, veterani post optimi nostri Severi Augusti litteras
perpetuo excusantur. Su questo frammento, v. A. NEUMANN, s.v.
«Veterani» cit., cl. 1603; F. GRELLE, «Munus publicum» cit., 323; B. SANTALUCIA, I «libri opinionum» di Ulpiano, Milano 1971, 121-22.
[40] D. 49.18.2.1 (Ulp. 3 op.): Vectigalia et
patrimoniorum onera sollemnia omnes sustinere oportet.
[41] D. 49.18.5 pr. (Paul. lib. sing. de cognit.): Veteranos divus Magnus Antoninus cum patre suo
rescripsit a navium fabrica excusari. Per i rilievi critici sul brano, v.
B. SANTALUCIA, I «libri
opinionum» cit., 122 nt. 120.
[42] D. 49.18.4 (Ulp. 4 de off. proc.): Viae
sternandae immunitatem veteranos non habere Iulio Sossiano veterano rescriptum
est. 1. Nam nec ab intributionibus,
quae possessionibus fiunt, veteranos esse excusatos palam est. Sed et naves
eorum angariari posse Aelio Firmo et Antonio Claro veteranis rescriptum est.
[43] D. 50.5.11 (Herm. 1 ep.): Sunt munera, quae rei proprie
coharent, de quibus neque liberi neque aetas nec merita militiae nec ullum
aliud privilegium iure tribuit excusationem: ut sit praediorum collatio viae
sternendae angariorumve exhibitio, hospitis suscipiendi munus (nam nec huius
quisquam excusationem praeter eos, quibus principali beneficio concessum est,
habet) et si qua sunt praeterea alia huismodi.
[45] D. 49.18.2 pr. (Ulp. 3 op.): Honeste sacramento solutis data immunitas etiam in eis civitatibus,
apud quas incolae sunt, valet: nec labefactatur, si quis eorum voluntate sua
honorem aut munus susceperit. Sul brano si sofferma B. SANTALUCIA, I «libri opinionum» cit.,
121 ss.
[46] C. 10.44(43).1: Veterani, qui, cum possent se tueri immunitate his concessa, decuriones
se fieri in patria sua maluerunt, redire ad excusationem quam reliquerunt non
possunt, nisi certa lege et pacto servandae immunitatis vel partem eius oneris
agnoverunt. Il principio trova riscontro in D. 49.18.5.2 (Paul. lib. sing. de cogn.): Sed veterani, qui passi sunt in ordinem
legi, muneribus fungi coguntur. Dubbi sulla genuinità del testo
della costituzione sono stati sollevati da S. SOLAZZI, Costituzioni glossate o interpolate nel «Codex Justinianus»,
in SDHI 24 (1958), 78. Ma v., in
proposito, le osservazioni di B. SANTALUCIA, I «libri opinionum» cit., 125 ss., il quale, tra
l’altro, dal confronto di D. 49.18.2 pr. con C. 10.44(43).1, trae la
conclusione che i libri opinionum di
Ulpiano furono redatti «prima dei tempi di Alessandro Severo, o –
tutt’al più – durante il regno di questo imperatore, qualora
si voglia ipotizzare che la citata costituzione non sia stata da lui emanata
nei primissimi anni del suo governo» (128). La disposizione di Alessandro
Severo accolta in C. 10.44(43).1 s’inserisce in un contesto
politico-legislativo in cui, come osserva M.V. GIANGRIECO PESSI, Situazione economico-sociale e politica
finanziaria sotto i Severi, Roma 1988, 131, «resta ferma
l’esigenza di concedere e/o conservare privilegi
all’esercito», riconducendoli a una «più rigorosa
coerenza con l’ordinamento considerato nel suo complesso». In
questa prospettiva, il trattamento dei veterani che avessero accettato
volontariamente un onere da cui avrebbero potuto essere esonerati si allineava
con quello già previsto per i navicularii,
che, come apprendiamo da Call. D. 50.6.6(5).13: si honorem decurionatus adgnoverint, compellendos subire publica munera
accepi. Dell’honor decurionatus
in età severiana si occupa anche A. LOVATO, Sull’‘honor decurionatus’ nel I libro delle ‘Disputationes’ ulpianee, in SDHI 56
(1990), 202 ss.
[49] Mod. D. 27.1.8.2 e C. 5.65.1: Qui causaria missione sacramento post
viginti stipendia solvuntur et integram famam retinent, ad publica privilegia
veteranis concessa pertinent. V., sul punto, A. NEUMANN, s.v.
«Veterani» cit., cl. 1601.
[50] C. 10.55(54).1 (Imp. Antoninus A. Verino): Ignominiae
causa sacramento liberati honoribus abstinere debent, a muneribus autem
civilibus excusati non sunt. V., anche, D. 27.1.8.1 (Mod. 3 excusat.).
[51] C. 7.64.9: Veteranis qui in legione vel vexillatione militantes post vicesima
stipendia honestam vel causariam missionem consecuti sunt, honorum et munerum
personalium vacationem concessimus. Huius autem indulgentiae nostrae tenore
remunerantes fidam devotionem militum nostrorum etiam provocandi necessitatem
remisimus. Commentando questa costituzione, D. VAN BERCHEM, L’armée de Dioclétien et la réforme constantinienne,
Paris 1952, 76-77, osservava che il termine di vent’anni «ne
représentent plus, comme au temps des Sévères, la
durée légale du service. Celle-ci s’est allongée; un
siècle de campagnes ininterrompues aura eu pour effet de transformer en
règle générale le maintien sous les armes au-delà
du terme légal, déjà pratiqué individuellement sous
le Haut-Empire». Sul concetto di
«indulgentia principis»,
dalla quale Diocleziano e Massimiano fanno discendere la concessione dei
privilegi ai veterani, v. le pagine di J. GAUDEMET, in Etudes de droit romain 2. Institutions
et doctrines politiques politiques.(ed.
a cura di L. LABRUNA, I. BUTI, F. SALERNO), Napoli 1979, 237-279.
[52] V. D. LIEBS, Privilegien in den Gesetzen Kostantins, in RIDA 24 (1977), 297-351; C. TOMULESCU, Quelques petites études de droit romain, in BIDR 82 (1979), 95-117.
[53] La capitatio
può essere definita, mutuando l’espressione di D. VAN BERCHEM, L’armée de Dioclétien
cit., 80, «une combinaison originale de l’impôt personnel et
de l’impôt foncier». Con la riforma fiscale dioclezianea, il pagamento
dell’imposta fondiaria avveniva sulla base di unità fiscali
denominate capita e censite, a
partire dal 297, ogni cinque anni. La valutazione degli immobili era calcolata
non solo in virtù del tipo di suolo e di coltivazione, ma anche del
numero di coloni che vi afferivano. Il sistema fiscale che caratterizza
l’Impero a partire dal III secolo è al centro dello studio di A.
CERATI, Caractère annonaire et
assiette de l’impôt foncier au Bas-Empire, Paris 1975, al quale
si rimanda per la bibliografia meno recente sul tema.
[54] Ne curò l’edizione M. E. PAULOVICS, A Szöny Törvénytábla
= Le Table de privilèges de
Brigetio, in Acta Arch. Mus. Nation. Hungarici, 20
(1936), 44 e 67. Per la datazione di questo importante documento epigrafico,
v., in particolare, W. SESTON, Sur les
deux dates de la Table de privilèges de Brigetio, in Byzantion 12 (1937), 477 ss. = Scripta varia, Roma 1980, 413 ss. La
Tavola reca due date; quella incisa sul bordo superiore del quadro, riporta le
titolature di Costantino e Licinio. Ora, mentre le titolature di Licinio
corrispondono al 311, mal si conciliano con questa data quelle di Costantino,
al quale, nel 311 dovevano essere attribuite sei potestà tribunicie e
quattro salutazioni imperiali e non, come leggiamo, sette delle une e sei delle
altre. Costantino aumentò, a partire, pare, dal 316, rispettivamente di
una e due unità, il numero delle sue potestà tribunicie e delle
salutazioni imperiali. Muovendo da questo
fatto, Seston (419) perviene alla conclusione che «Constantin a pris
à son compte bien après 311 les privilèges accordés
par Licinius aux troupes illyriennes». In definitiva,
successivamente al 311 e forse nel 321 (in questo senso, D. VAN BERCHEM, L’armée de Dioclétien
cit., 88), anno in cui si trovava nei Balcani, Costantino volle confermare i
privilegi concessi da Licinio. A tal fine, avrebbe fatto aggiungere il suo
nome, con la titolatura attuale, accanto a quello di Licinio nella legge incisa
sulla Tavola di Brigetio.
[55] CIL III.5565
(a. 311) = Font. iur. rom. anteiust.
I, II ed., 456 ss., n. 93 = P.Fr.
GIRARD, Textes de droit romain cit.,
496-98.
[56] Sulla possibile identificazione di questo
personaggio, v. O. SEECK, in RE 4,
1909, s.v. «Dalmatius», cl. 2455, n. 2, e D. VAN BERCHEM, L’armée de Dioclétien
cit., 80-81.
[58] Sugli equites
Illyriciani, v. le osservazioni di R. GROSSE, Römische Militärgeschichte von Gallienus bis zum Beginn der byzantinischen
Themenverfassung, Berlin 1920, 19 ss. e 53. Con riguardo alla Tavola di Brigetio, il problema
del valore dell’aggettivo «inlyriciani»
è affrontato da A. PASSERINI, La
Tavola dei privilegi di Brigetio, in Athenaeum
20 (1942), 121-22 e D. VAN BERCHEM, L’armée
de Dioclétien cit., 81.
[60] C. 10.55.3: Veteranis ita demum honorum et munerum personalium vacatio iure
conceditur, si post vicesimum annum militiae, quam in legione vel vexillatione
militaverunt, honestam vel causariam missionem consecuti esse ostendantur. Unde cum te in cohorte militasse commemoras, intellegis supervacuo
vacationem tibi velle flagitare. Le immunità, dunque, non si estendevano a tutti i
veterani congedati onorevolmente ma solo a quelli rivenienti dalle legioni o
dalle vexillationes di cavalleria.
Coloro che avevano militato nelle cohortes,
i corpi ausiliari di fanterie, erano invece esclusi dal beneficio. Il
provvedimento s’inserisce nel quadro della riorganizzazione militare,
intervenuta tra gli imperatori Diocleziano e Costantino e forse avviata per
iniziativa di Gallieno, in base alla quale gli effettivi dell’esercito
furono distribuiti in formazioni legionarie, di mille uomini ciascuna, e in
corpi ausiliari di fanteria (alae e cohortes), e distaccamenti di cavalleria
(vexillationes). Sul punto, v. A.
PASSERINI, s.v. «Legio» cit., 622 ss., con bibliografia.
[61] Su
questo punto della legge, v. l’interpretazione proposta da M.E.
PAULOVICS, A Szöny
Törvénytábla cit., 68, contro cui A. PASSERINI, La Tavola dei privilegi di Brigetio
cit., 122 ss.
[62]
La bibliografia sui diplomi militari è imponente. Per uno sguardo
d’insieme, v. l’introduzione di W. SESTON in P.Fr. GIRARD, Textes de droit romain cit., 547-50 e,
più recentemente, W. ECK, Der Kaiser
als Herr des Heeres: Militärdiplome und die kaiserliche
Reichsregierung, in Documenting the Roman Army. Essays in honour of Margareth
Roxan, London 2003, 55-87.
[63] V. Année
épigraphique, 1961, 240. I diploma
militum, raccolti già da Theodor Mommsen (CIL III, Suppl. I), furono successivamente editi
e commentati da H. NESSELHAUF, CIL XVI, Diplomata
militarium, Frankfurt 1936; Supplementum
diplomatum militarium, Frankfurt 1955.
[66] P.S.I. IX (1920), 333, n. 1026, su cui
v., in particolare, A. DEGRASSI, Il
papiro 1026 della Soc. Ital. e i diplomi militari romani, in Aegyptus X (1929), 242 ss. Le varie
ipotesi formulate intorno alla questione della mancanza di diplomi militari per
i legionari sono riassunte da A. PASSERINI, Le
coorti pretorie cit., 130 ss. Un rapido ed efficace quadro offre anche A.
MOMIGLIANO, in JRS 31 (1941), 163.
[68] A. PASSERINI, Le coorti pretorie cit., 135 ss. Secondo l’A. (135, nt. 2),
anche l’Edictum Domitiani de
privilegiis veteranorum, diretto ai veterani della X legio Fretensis (CIL XVI.146.12), costituisce un «fatto
singolare».
[69] Ai privilegi concessi ai veterani da
Costantino, sono dedicati, in particolare, il breve saggio di R. THOUVENOT, Sur les avantages concédés aux
vétérans par l’empereur Constantin, in Mélanges Piganiol 2, Paris 1966,
843 ss. e le pagine di J. GAUDEMET, Privilèges
constantiniens en favour des militaires et des vétérans, in Studi Sanfilippo 2, Milano 1982, 179 ss.
[70] Da Costantino a Teodosio, si registra un
orientamento costante nei confronti dei veterani, come si evince dalle leggi
sussunte sotto CTh. 7.20. Un’analisi particolareggiata di questo titolo
del Codice Teodosiano si trova in V. GIUFFRè,
«Iura» e «Arma».
Ricerche intorno al VII libro del Codice
Teodosiano, Napoli 1978, ora in Letture
e ricerche sulla «Res militaris»,
Napoli 1996, 383 ss.
[71] Sui problemi relativi alla datazione di
questa legge (17 giugno o 11 luglio 325?), v. J. GAUDEMET, Privilèges constantiniens cit., 182 nt. 20.
[72] I principali rilievi critici sollevati
sul testo, sono riassunti da J. GAUDEMET, Privilèges
constantiniens cit., 183-84. Un’interpretazione conservativa
è proposta da D. VAN BERCHEM, L’armée
de Dioclétien cit., 84-5, secondo il quale la complessità del
brano «s’explique par l’obligation où le
rédacteur s’est trouvé de n’omettre aucune des
catégories d’individus créées, au gré de
circonstances momentanées et sans grand souci de coordination, par des
dispositions successives».
[73] Ai protectores
è dedicato un intero titolo nel Codice Teodosiano (CTh. 6.24). Su
queste figure dell’esercito, alle quali nel IV secolo fu attribuito il
titolo di domestici, v., in
particolare, A.H.M. JONES, Il tardo
impero romano (284-602) 2, trad. di E. PETRETTI, Milano 1974, 873 ss.
[75] L’esiguo valore di questa somma fa
pensare ad un errore di trascrizione. Le ipotesi d’interpretazione di
questo punto del testo, proposte in dottrina, sono riassunte da A. PUGLISI, Servi, coloni, veterani e la terra in alcuni
testi di Costantino, in Labeo 23
(1977), 315-16. Indicazioni bibliografiche anche in J. GAUDEMET, Privilèges constantiniens cit.,
185 nt. 32.
[76] La legge risaliva al 13 ottobre 320 per
Mommsen. O. SEECK, Regesten der Kaiser und
Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr., Stuttgart 1919 (r. an. 1966), 175, sposta invece la data al 13
ottobre del 325. Sulle motivazioni
politico-economiche sottese a CTh. 7.20.3, v. A. PUGLISI, Servi, coloni, veterani e la
terra in alcuni testi di Costantino, in Labeo
23 (1977), 315-17. V. GIUFFRè, Letture e ricerche sulla «Res
militaris» cit., 90, riconduce
la legge alla preoccupazione di Costantino di ovviare alla
«inoperosità che avrebbe afflitto i congedati».
[77] Sulla scia di CTh. 7.20.3 si collocano
anche le costituzioni di Valentiniano e Valente accolte in CTh. 7.20.8 e 11.
Nella prima si ribadisce “l’immunità perpetua” per i
veterani, assicurando loro i mezzi (scorte vive e morte) per l’esercizio
dell’agricoltura; la seconda assicura ai veterani che decidano di
coltivare terre abbandonate, l’indennità dei frutti del loro
lavoro.
[78] Nella seconda parte della costituzione,
che nel Codice giustinianeo a differenza della prima (C. 12.46.1.7) non
è riprodotta, si dispongono alcuni privilegi nei confronti dei figli dei
veterani: filios quoque eorum defendant
decertationes quae in patris persona fuerunt, quosque optamus florescere
sollicitius, ne si contumaces secundum eosdem veternos conprobari potuerint
decimentur his sententiis, cum praesidali officio adiungentur probabiliu
iussione mea. Curabunt ergo stationarii milites cuiusque loci cohortis et
parentes eorum desperatione remittere, ut sint salvi cum semel has consecuntur
poenas indulgentiae.
[79] Il testo di questa singolare costituzione
è stato studiato da C. PHARR, The
text and interpretation of the Theodosian Code 7, 20, 2, in AJPh 67 (1946), 16-28. Più
recentemente, v. A. MARCONE, A proposito
di Codex Theodosianus 7, 20, 2, in Zeitschrift
für Papyrologie und Epigraphik 70 (1987), 225 ss. e S. CONNOLLY, Constantine answers the veterans, in From the Tetrarchs to the Theodosians. Later
Roman History and Culture, 284–450 CE, ed. by S. MCGILL, C. SOGNO, E.
WATTS, Cambridge 2010, 93 ss., da cui è possibile desumere un più
ampio quadro bibliografico.
[80] O. SEECK, Regesten cit., 176. Per la datazione di CTh. 7.20.2, v. anche le
osservazioni di J. GAUDEMET, Privilèges
constantiniens cit., 188-89.
[81] Probabilmente al fine di armonizzare i
diversi privilegi concessi nel tempo ai veterani, Costanzo chiarirà,
nella legge del 342 raccolta in CTh. 7.20.6, che «privilegia concessa veteranis, qui iusta stipendia meruerunt ... omnia conserventur».
[82] Il
termine militia indica già in
età costantiniana, in generale, il servizio nell’amministrazione
pubblica: M. MAZZA, Lotte sociali e
restaurazione autoritaria cit., 414, e infra
nt. 5. Un quadro articolato dell’apparato burocratico tardo imperiale
è in R. DELMAIRE, Les institutions
du Bas-Empire Romain de Constantin à Justinien, Paris 1995, cui si
rinvia anche per il ragguaglio bibliografico dei lavori monografici sul
tema.
[83]
Dell'esercito di manovra alcune unità, dette palatine, seguivano
l'imperatore, di modo che finirono per essere chiamati comitatenses solo gli effettivi degli eserciti regionali. Alla fine
dell'impero di Teodosio I, l'esercito orientale fu suddiviso in cinque gruppi,
– comandati da un magister
utriusque militiae, affiancato all'inizio del V sec. da un vicarius, – dei quali due a
disposizione dell'imperatore e tre regionali. Gli eserciti di frontiera erano
guidati da comites rei militaris e duces. In Occidente, un magister peditum in praesenti aveva il comando di tutte le truppe di manovra e
controllava in sostanza anche quelle di confine, avendo anche i duces di queste ai propri ordini. Per
una descrizione dell’organizzazione militare tardo-imperiale, v. A.H.M.
JONES, Il tardo impero romano 2 cit.,
839 ss.; F. DE MARTINO, Storia della
costituzione romana 5, II ed., Napoli 1975, 438 ss. All’analisi del
settimo libro del Codice Teodosiano dedica uno studio particolareggiato V.
GIUFFRè, “Iura” e “arma”.
Intorno al VII libro del Codice teodosiano, III ed., Napoli 1983,
ora in Letture e ricerche sulla
«Res militaris» cit., 383 ss., attraverso cui è
possibile attingere proficue informazioni bibliografiche sui singoli aspetti
dell’organizzazione militare tardo-imperiale. Per il tema specifico delle
carriere militari, il contributo di A. DOMASZEWSKI, Die Rangordnung cit. resta un imprescindibile punto di riferimento.
[83] Cfr.,
rispettivamente, CTh. 6.30.3; 26.6; 34.1; 26.2; 17. Sul punto v. A.H.M. JONES, Il tardo Impero romano 2 cit., 803, e R.
DELMAIRE, Les institutions du Bas-Empire
Romain cit., 23.
[84]
La Notitia dignitatum fornisce,
nonostante le sue imprecisioni, un elenco complessivamente attendibile delle
cariche civili e militari nel tardo impero. Per le questioni relative alla
datazione e alla composizione di questo singolare documento di cui SEECK
curò l’edizione nel 1876 (e per i cui rilievi critici v. Id., Zur Kritik der Notitia Dignitatum, in Hermes IX (1875), 217 ss.), si rinvia al
contributo monografico di G. CLEMENTE, La
Notitia dignitatum, Cagliari 1968 e, tra gli studi più recenti, a G.
PURPURA, Sulle origini della Notitia
Dignitatum, in Atti del X Convegno
Internaz. Accad. Costantiniana di Perugia, 8 ottobre 1991, Perugia 1995,
347-57 = Annali dell'Università di
Palermo (AUPA) XLII (1992),
471-83, e P. BRENNAN, «The Notitia
Dignitatum», in Les
littératures techniques dans l'antiquité romaine, a cura di
C. Nicolet, Genève 1996, 147-178. Tra le varie edizioni, v. ora anche
quella recente curata da C. NEIRA FALEIRO, La
Notitia Dignitatum. Nueva edición
critica y comentario histórico, Madrid 2005.
[85] La nomina di protector si conseguiva, di regola, comparendo dinanzi
all’imperatore e «adorando la sacra porpora»: CTh. 6.24.3
(364); 6.24.4 (387); 8.7.4 (326-354); 8.7.8 (365); 8.7.9 (366); 8.7.16 (385),
10.22.3 (390). L’adorazione della porpora non era invece necessaria per i
veterani, che erano congedati ex
protectoribus, come risulta da CTh. 7.20.5 (328); 7.20.8 (364); 13.1.14
(385). Informazioni sull’oscura organizzazione dei protectores si traggono da A.H.M. JONES, Il tardo Impero romano 2 cit., 873 ss.
[86] Per le direttive sull'avanzamento dei
militari cfr. V. GIUFFRè, Letture e ricerche sulla «Res
militaris» cit., 384 nt. 1.
[87] Una testimonianza emblematica di
promozione sollecitata mediante la richiesta di intercessione di un personaggio
influente è costituita da un formale contratto, recante la data del 2
febbraio 345, tra il veterano Aurelius Plas, richiedente, e l'ex praepositus Flavio Abinneo (P. Abinn.
59, in The Abinneus Archive:
Papers of a Roman officier in the Reign of Constantine II, ed. H.I. BELL, V. MARTIN, E.G.
TURNER, D. VAN BERCHEM, Oxford 1962). Sul contenuto di questo interessante
documento, v. A.H.M. JONES, Il tardo
impero romano 2 cit., 879-880. Vi si sofferma recentemente M. ROCCO, L’esercito romano tardo antico:
persistenze e cesure dai Severi a Teodosio I, Padova 2012. Sulla pratica
del suffragium in generale, v. C.
COLLOT, La pratique et
l’institution du suffragium au Bas-empire, in Nouvelle revue historique de droit français et étranger
43 (1965) 185-221 e A. GIARDINA, Aspetti
della burocrazia nel basso impero, Roma 1977, 75 ss.
[88] Il destinatario di questa legge dovrebbe
essere Giovino, comandante militare in Occidente, e non Giovio praefectus urbi Constantinopolitanae. V. sul punto PERGAMI (a cura di), La legislazione di Valentiniano e Valente,
Milano 1993, 214 e 219, e G. DE BONFILS, Il
«Comes et quaestor» nell’età della dinastia
costantiniana, Napoli 1981, 205 nt. 198.
[89] Erano arruolati nella prima legio Adiutrix gli impiegati della
prefettura pretoriana, nelle cohortes
tutti gli altri. Un’efficace sintesi dell’organizzazione della militia civilis nel basso impero
è in A.H.M. JONES, The Roman Civil
Service (Clerical and Sub-Clericals
Grades), in JRS 39 (1949), particolarmente
47 ss.
[90] Con il titolo di exceptores, conferito nel II sec. solo ai collaboratori personali
dei maggiori funzionari, si designarono a partire da Costanzo tutti gli
impiegati subalterni del settore giudiziario di ciascun officium. In particolare, nel ramo giudiziario-amministrativo dell'officium pretoriano il novizio, dopo un
periodo di prova durante il quale svolgeva mansioni di stenografo e scrivano
presso il funzionario cui il prefetto lo aveva assegnato, veniva iscritto in
una delle quindici scholae di exceptores dove iniziava la sua
carriera. L'exceptor poteva quindi
essere impiegato anche per più turni, nel servizio annuale di chartularius di uno dei tre adiutores dei principali funzionari dei
vari dipartimenti che, come è dato ricavare dalla descrizione di Lido (Mag. III.4) erano, in ordine gerarchico
decrescente, cornicularius, primiscrinius, commentariensis, ab actis, regendarius, cura epistularum. V. in questo senso A.H.M. JONES, Il tardo impero romano 2 cit., 816 e, contra, J. CAIMI, Burocrazia e diritto nel “De
Magistratibus” di Giovanni Lido,
Milano 1984, 22, secondo il quale, compiuto l'assistentato, l'exceptor entrava a far parte di diritto
degli Augustales.
[91] Cfr., rispettivamente, CTh. 6.30.3; 26.6;
34.1; 26.2 e 17. Sul punto v. A.H.M. JONES, Il
tardo Impero romano 2 cit., 803, e, più di recente, R. DELMAIRE, Les institutions du Bas-Empire cit., 23.
[92] Lyd. mag.
II.18, 74, 4-13. L’ordinarius
viene accostato al cornicularius e al
commentariensis nella costituzione
del 364 conservata in CTh. 8.15.3 pr. e collocato tra questi due ranghi nella Notitia Dignitatum (Or. 37).
[93] Lyd. mag.
III.9, su cui v. J. CAIMI, Burocrazia e
diritto cit., 418 ss., e ID., Per
l’esegesi di Giovanni Lido “De Magistratibus” III, 9, in Studi in onore di Arnaldo Biscardi 6,
Milano 1987, 159 ss.
[94]
Si tratta di una costituzione di Valentiniano, Teodosio e Arcadio, indirizzata
al magister officiorum Patrizio e
conservata nel Codice Giustinianeo sotto la rubrica De officio magistri officiorum. La collocazione della legge
è dovuta al fatto che gli agentes
in rebus erano alle dipendenze del magister
officiorum (Not. Dign. Or. 11.3,
31 ss.; Occ. 9.3), ragion per cui erano chiamati in greco magistrianoi. Il loro compito consisteva principalmente nella
trasmissione dei dispacci imperiali; a questa originaria mansione dovettero
presto aggiungersene altre di maggiore responsabilità, come
l'ispettorato del servizio postale nelle province, esercitato dai curiosi, il
controllo del traffico marittimo e la sorveglianza delle fabbriche di armi.
L'attività di polizia segreta svolta dagli agentes in rebus alle dipendenze dell'imperatore valse loro una
sinistra fama di spie (Amm. Marcell. 16.5.11). La bibliografia sugli agentes in rebus è vasta; per un
quadro generale v. A.H.M. JONES, Il tardo
impero romano 2 cit., 805-809 e 1097-1098; R. DELMAIRE, Les institutions du Bas-Empire Romain
cit., 97 ss. e, con specifico riguardo alla carriera e al grado che questi
funzionari conseguivano al momento del congedo, A. GIARDINA, Aspetti della burocrazia nel basso impero
cit., 34 ss. Per un ragguaglio bibliografico sulla questione del principatus degli agentes in rebus si rinvia a M.G. CASTELLO, “Tribunus et magister officiorum”: cause di
un’omissione in Giovanni Lido, in Koinonia
34 (2010), 169 nt. 36. Sulla figura del magister
officiorum, v. invece sempre di M.G. CASTELLO, Evoluzione e funzioni del magister officiorum. Rileggendo il De Magistratibus di
Giovanni Lido, in Istituzioni,
carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C.), Atti del convegno
internazionale Perugia, 25-27 giugno 2008, a cura di G. BONAMENTE e R.
LIZZI TESTA, Bari 2010, 99-116.
[95] C. 1.31.2: nemo agentium in rebus ordinem militiae, atque stipendia praevertat,
etiamsi nostri nominis per obreptionem detulerit indultum: ac si quis formam
admissi istiusmodi docebitur obtulisse: in locum ex quo indecenter emerserat,
revertatur: ut si gradu caeteros antecedat, quem stipendia meliora, vel labor
prolixior fecerit anteire.
[97] Sul problema se il princeps fosse un agens in
rebus in servizio, v. A. GIARDINA, Aspetti
della burocrazia nel basso impero cit., 36, il quale propende per la
soluzione positiva.
[99] Per la storia del “notariato
romano” v. M. AMELOTTI - G. COSTAMAGNA, Alle origini del notariato italiano, Roma 1975, 1-144, cui si
rinvia anche per una dettagliata bibliografia sul tema. Dedica un capitolo alla
descrizione del corpo dei Notarii nel
basso impero R. DELMAIRE, Les
institutions du Bas-Empire Romain cit., 47 ss., il quale fa precedere la
trattazione da un ragguaglio bibliografico essenziale.