Ne/non bis in idem. Origine
del “principio”
Università di Sofia
“San Clemente di Occrida”
Il principio nel diritto romano ne/non bis in idem, che si traduce «non due volte nella
stessa cosa» o «il divieto di un secondo giudizio per lo stesso medesimo fatto», si osserva anche nel diritto moderno[1]. Dunque una querela non si può sporgere due volte nella stessa cosa tra le stesse parti (bis de eadem re ne sit actio). In campo penale nessuno può essere sottoposto a
procedimento penale per i medesimi fatti per i quali è stato già giudicato (non debet bis puniri pro uno delicto).
Il
principio ha un riferimento alle due situazioni processuali nella
procedura antica dei romani, segnate coi termini litis contestatio e res iudicata. Si pensa che il primo termine (litis contestatio) abbia designato il momento quando le parti hanno consentito di risolvere la loro lite mediante il tribunale. La querela si estingue e non si
può effettuare altra volta. L’altro termine (res iudicata) rifletteva la forza definitiva della sentenza o la sentenza passata in giudicato. Dopo la pronuncia del giudice della sentenza
lo stesso processo non poteva più organizzarsi; da cui deriva la frase «res iudicata pro veritate accipitur»[2]. Detto con altre parole litis contestatio e res iudicata assicuravano l’efficacia del principio non/ne bis in idem.
Come è stato creato e poi come è stato
costituito nel diritto il principio ne
bis in idem? In effetti è una questione ben curiosa per me. Nelle fonti più antiche, non
giuridiche, troviamo l’idea
del divieto di agere acta:
Plautus, Pseudolus, 260: stultus es, rem
actam agis.
Plautus, Cistellaria,
703: actam rem ago. quod periit,
periit.
Il parassita Phormio nella comedia di
Terenzio dice al vecchio Demipho:
Terentius, Phormio, 403-406:
iudicium de <ea>dem causa iterum ut reddant tibi; /
quandoquidem solu' regnas et soli licet /
hic de <ea>dem causa bis iudicium adipiscier.
Cicero, Laelius sive de amicitia 22.85: praeposteris enim utimur consiliis et acta agimus, quod vetamur vetere proverbio.
Un’altra frase di Cicerone è importante per il tema presente:
Cicero, Pro Sulla, 63: status enim rei publicae maxime iudicatis rebus continetur.
L’interpretazione di questa frase del romanista
Matteo Marrone è che, secondo l’autore latino, la stabilità di un sistema politico dipende dalla osservanza soprattutto
delle sentenze[3].
Un celebre passo di Gaio contiene un aspetto interessante per il tema presente – l’origine del principio:
Gaius 18 ad ed. provinc., D. 50.17.57: Bona fides non patitur, ut bis idem exigatur[4].
Ma anche altri testi giuridici contengono frammenti, dove si considera il principio ne bis in idem.
Gaius, Institutiones, 3.181: Unde fit, ut si legitimo iudicio debitum
petiero, postea de eo ipso iure agere non possim
Gaius, Institutiones, 4.108: Alia causa fuit olim legis actionum. nam qua de re actum semel erat, de ea postea ipso iure agi non poterat.
Ulpianus 7 de off. procons., D. 48.2.7.2: Isdem criminibus, quibus quis liberatus est, non debet praeses pati eundem accusari, et ita divus Pius Salvio Valenti rescripsit.
C.J. 9.2.9 pr.: Imperatores Diocletianus, Maximianus. Qui de crimine publico in accusationem deductus est, ab alio super eodem crimine deferri non potest.
Allora come è stato creato e poi come è stato costituito
nel diritto il principio ne bis in idem?
Come si può
presupporre la questione è discutibile e anche molto difficile per darsi
un’opinione attendibile[5].
Nell’Ottocento Philipp Eduard Huschke scrisse che l’origine della litis contestatio, effetto della quale è il principio ne bis in idem, deve trovarsi nelle forme della procedura antica, conseguita dal collegio sacerdotale dei feciales, che si erano occupati dei “rapporti internazionali”[6]. Sappiamo da Livio che formule sacerdotali contenevano l’invocazione agli dei come testi[7]; forse questa solennità e la ritualità degli atti
non permettevano alcuna ripetizione. Anche il romanista Arnaldo Biscardi presume che ne bis in idem abbia una antichissima
origine nell’esperienza
giuridica romana[8].
Alcuni autori cercano l’origine della massima ne bis in idem nel diritto greco antico e citano passi di Platone e
Demostene, dove si può trovare
l’idea di un principio analogo[9]. L’argomentazione di questi autori si affida a un frammento dell’orazione di Demostene (384–322 a.C.) contro Leptino:
Demosthenes, Adversus Leptinem, 147: οἱ νόμοι δ' οὐκ ἐῶσι δὶς πρὸς τὸν αὐτὸν περὶ τῶν αὐτῶν οὔτε δίκας οὔτ' εὐθύνας οὔτε διαδικασίαν οὔτ' ἄλλο τοιοῦτ' οὐδὲν εἶναι.
Le norme
legali vietano le stesse cose due volte contro la stessa persona, che sia
azione, inchiesta, domanda e altro simile.
Una provenienza del principio ne bis in idem dal diritto greco è molto verosimile, giacché la società greca, come è ben noto, ha influenzato i romani per tanti secoli. Quando questi avevano deciso di scrivere quelle che saranno poi le XII Tavole, si inviò una delegazione in Grecia per studiare il sistema legislativo di Atene, e precisamente le leggi di Solone. Nelle fonti si trova un dettaglio molto curioso е importante per l’opinione qui espressa. Ermodoro di Efeso, esiliato dal suo paese, «comunicò le sue
cognizioni ai legislatori di Roma» (scrive Pignotti)[10]. Ermodoro è menzionato da Cicerone nelle sue Tusculanae come princeps Ephesiorum[11]. Plinio il Vecchio ha scritto che Ermodoro era stato legum interpres e la sua statua era collocata nel Comizio[12]. Nell’Enchiridion il giurista Pomponio ha definito Ermodoro legum auctor delle leggi, composte dal collegio decemvirale[13]. Prima dell’esilio Ermodoro aveva avuto una bella amicizia con Eraclito (535–475 a.C.), che secondo le fonti lo aveva stimato davvero molto. Appare così possibile che Ermodoro
condividesse le concezioni di Eraclito sulle leggi che governano l’Universo. In particolare, che la teoria di Eraclito del moto continuo, «tutto scorre, non ci si può immergere due volte nello stesso fiume», sia stata alla base della creazione di un modo pratico e conveniente per decidere nell’ambito di
rapporti pubblici, attinenti alla sfera della giurisdizione, che è cosi importante per la vita di una società. Risulta ipotizzabile che la ripetizione della procedura, espressa in latino utilizzando il verbo agеre, sia stata considerata in contraddizione con
la menzionata regola universale – panta
rei[14]. Del resto, dal punto di vista politico, le procedure giuridiche infinite potrebbero condurre all’anarchia. In questo senso potrebbe esplicarsi la frase ciceroniana che «la stabilità di un sistema politico dipende dalla osservanza soprattutto delle sentenze» (Cicero, Pro Sulla, 63)[15].
La posizione
fondamentale della dottrina di Eraclito è che tutto scorre, tutto si muove. Eraclito ha detto: «Nessun uomo può bagnarsi nello stesso
fiume per due volte, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi»[16]. Secondo lui tutto nasce e poi “muore” (distruggere), e questo è una legge dell’Universo. Il contenuto della procedura giuridica esprime in effetti la legge universale indicata dal Eraclito - tutto si trasforma ed è in una continua evoluzione. Il diritto di querela è esercitato e dopo la litis contestatio questo diritto si estingue, perché le parti consentono che il giudice decida la sua lite, i.e. l’effetto della “morte” della querela è venuto (extinctio actionis) e questo proprio causa l’impedimento di
ripetere la stessa querela.
Come si è detto A. Biscardi ha stabilito un legame con le azioni solenni e rituali dei sacerdoti fetiales e ha indirizzato l’attenzione sul verbo agеre. I significati di questo verbo sono condurre, agire, trascorrere il tempo; in senso giuridico muovere una
azione legale, i.e. seguire una certa procedura. Forse dal punto di vista religioso e dell’onestà,
la procedura giuridica antica non aveva potuto ripetersi,
per la ragione che spiega quanto scritto da Gaio: «Bona fides non patitur, ut bis idem exigatur». Resta da chiedersi se la religione e l’onestà potrebbero
esaurire il problema? Secondo Cicerone i principi giuridici non devono trarsi né dal editto del pretore, né dal testo delle dodici tavole, ma dalla fonte più profonda, che per l’oratore era la
filosofia[17].
Collegando i vari riferimenti ed informazioni che ci danno gli scrittori antichi, (a mio avviso) potrebbe definirsi la seguente opinione. L’idea per “tutto scorre” è stata formulata (o riveduta, assimilata come οἱ νόμοι δ' οὐκ ἐῶσι δὶς πρὸς τὸν αὐτὸν περὶ τῶν αὐτῶν…) in conformità alla causa concreta e cioè per la procedura giuridica in Grecia, da dove essa è stata recepita anche nel diritto romano. In questo modo, l’idea interpretata in latino come ne bis in idem ha acquistato validità giuridica, in particolarmente quando
per la prima volta nella storia mondiale i romani hanno determinato l’indipendenza della
giurisdizione.
L’eterno movimento è una realtà che senza dubbio si può rappresentare in vari
modi o immagini – nella
filosofia greca come panta rei, nel
diritto romano come ne bis in idem, nella
teoria della fisica contemporanea come stringhe
vibranti. Altrimenti detto, essi sono esempi di identificazione della stessa realtà. Ci sono molti altri, quasi innumerabili modi o
immagini dell’eterno movimento. Dunque, si può dire ancora che il principio ne bis in idem esprime l’universalità nel campo
giuridico.
Per concludere, citerò un testo che appartiene al profeta Amós nell'omonimo libro biblico, 24:
et revelabitur quasi aqua iudicium et iustitia quasi torrens fortis
(e scorrerà il giudizio come acqua, e la giustizia come forte torrente)[18].
[1] Cf. Charter of Fundamental Rights of the
European Union, ARTICLE 50: No one shall be liable to be tried or punished again in criminal
proceedings for an offence for which he or she has already been finally
acquitted or convicted within the Union in accordance with the law; Vervaele, John A.E., The transnational ne bis in idem principle in the EU Mutual recognition and
equivalent protection of human rights, Utrecht Law Review, Vol. 1, 2, 2005, 100-118.
2 Ulp. D. I.5. 25.
[3] Cfr. Marrone M., Riflessioni in tema di giudicati: l’autorità del giudicato e Cicerone sulla c.d. funzione positiva dell’exceptio rei iudicatae, in: Diritto romano, tradizione romanistica e formazione del diritto europeo: giornate di studio in ricordo di Giovanni Pugliese (1914 -1995), a cura di Letizia Vacca, Padova 2008,
61-80.
[4] Sulla bona fides, vedi Sini F., «Fetiales,
quod fidei publicae inter populos praeerant»: riflessioni su ‘fides’ e “diritto
internazionale romano” (a proposito di ‘bellum’, ‘hostis’, ‘pax’), in: Il
ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e
contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto
Burdese, a cura di L. Garofalo, vol. III, Padova 2003,
481-539.
[5] Lopez D.E., ‘Not twice for
the same crime: How the dual
sovereignty doctrine is used to circumvent non bis in idem', Vanderbilt Journal of
Transnational Law 33 (2000) 1263-2000, 1272: «Although
the idea that no man shall be twice prosecuted for the same conduct is a well
accepted tenet of American Constitutional law as well as one of the oldest
recognized legal norms in western civilization, its origin remains a matter of
speculation. Tracing the evolution of this doctrine is difficult at best».
[7] Livius, I.32: Audi, Iuppiter, et tu, Iane Quirine, dique omnes caelestes, vosque terrestres vosque inferni, audite; ego vos testor populum illum.
[8] Negri G., Il processo romano nel pensiero di Arnaldo Biscardi, in: Atti del Convegno “Processo Civile e Processo Penale nell'Esperienza Giuridica
del Mondo Antico” in Memoria di Arnaldo Biscardi. Siena, 13-15 dicembre 2001. http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/?/rivistadirittoromano/attipontignano.html: «il principio ne bis in idem non implica di per sé la bipartizione e anzi è forse
originariamente fondato sulla concezione solenne e rituale dell’agere, che non può essere ripetuto»
(202).
[9] Cfr. De León
Villalba, F.J., Acumulación de sanciones penales y administrativas: sentido y alcance del principio ne bis in idem, Barcelona 1998.
[10] Pignotti L., Storia della Toscana sino al principato: con
diversi saggi sulle scienze, lettere e arti, vol. 2, 1820, 286.
[11] Cicero, Tusc.
5.36(105): Est apud Heraclitum physicum de principe Ephesiorum Hermodoro.
[12] Plinius, Nat. Hist., 34.11.21: fuit et Hermodori Ephesii in comitio, legum, quas decemuiri scribebant, interpretis, publice dicata.
[13] D. 1.2.2.4 (Pomponius l.S. enchir.): quarum ferendarum auctorem fuisse decemviris hermodorum quendam ephesium exulantem in italia quidam rettulerunt.
[14] Nel
significato di agere si contiene il
senso del tempo. Riguardo all’importanza del tempo e del ciclo annuale per i atti pubblici vd. e.g. Коптев,
А.Б.
Римское
право в
архаическую
эпоху (Сакральное
право): Общественная
и
экономическая
жизнь римлян,
как и других
народов на
стадии догосударственного
развития,
подчинялись
естественному
годовому
циклу, но его
оформление в
календарь
было
сакрализовано,
поскольку
годовой цикл
был частью
природы – сферы
богов. Дни
делились на dies fasti et nefasti. Это
деление было
связано с
понятием fas – право,
связывавшее
людей с
богами. Dies fasti – это дни, в
которые
можно было
обращаться к богам
и
одновременно
вести
публичные
дела. Dies nefasti – в
которые
нельзя было
совершать
публичные
акты,
собирать
народное
собрание.
Заведовали
календарем
жрецы – понтифики.
http://ancientrome.ru/publik/koptev.
[16] La famosa massima panta
rei non è attestata nei frammenti di Eraclito giunti fino a noi ed è
probabilmente da attribuirsi al suo discepolo Cratilo che ha sviluppato il
pensiero del maestro.
[17] Cic., De leg., I.17: (ATTICUS) Non ergo a praetoris edicto, ut plerique nunc, neque a duodecim tabulis, ut superiores, sed penitus ex intima philosophia hauriendam iuris dixciplinam putas?