Dipartimento di
Giurisprudenza
Università di Torino
SOCIETAS PUBLICANORUM
E ASPETTI DELLA RESPONSABILITÀ ESTERNA *
Sommario: 1. Premessa. – 2.
Responsabilità verso il populus
romanus. – 3. Responsabilità
verso i terzi. – 3.1. Societas
vectigalium. – 3.2. Societas
di servizi funebri. – Abstract.
Gli organizzatori del
seminario sassarese ci hanno proposto, se bene ho inteso, un percorso di
riflessione nel quale il fenomeno societario viene considerato in modo
unitario, senza cioè che la distinzione ius publicum-ius privatum abbia
un ruolo particolarmente condizionante[1]. È una
scelta che è, a mio parere, totalmente condivisibile per varie ragioni.
In linea generale possiamo dire che i Romani avevano una considerazione
unitaria del diritto che non può certamente essere posta in discussione
dalla lettura di D.1.1.1.2, il celebre brano dove Ulpiano in senso proprio
riconduce il binomio ius
publicum-ius privatum ad angoli di visuale teorici assunti
soggettivamente dai giuristi romani
(duae positiones studii),
e non – come si è inteso posteriormente
all’esperienza romana – a oggettivi rami ordinamentali distinti in
ragione del tipo di utilitas (publica o privata)
perseguita[2].
Altri motivi della condivisione poi riguardano in modo specifico il tema del
mio intervento. Nel campo della contrattazione pubblica la struttura e il
funzionamento della societas allestita dal contraente privato risente
inevitabilmente sia di una disciplina ‘pubblicistica’, imposta
normalmente in modo unilaterale
(quella proveniente dai capitolati d’appalto, le leges locationis),
sia di una disciplina ‘privatistica’ (gli accordi intercorsi tra i
soci).
A
ciò possiamo aggiungere la chiara testimonianza (D.3.4.1.pr.-1, su cui
avremo modo di soffermarci) da cui si evince che le societates publicanorum
e le città si ispiravano ad un comune modello societario, che possiamo
dunque dire circolante tra il ‘privato’ e il ‘pubblico’[3].
In
queste note introduttive vorrei ancora ulteriormente precisare i confini del
mio intervento. Trattando della societas publicanorum includo non solo
la "societas vectigalium" (una dicitura, questa, prevalsa
nella giurisprudenza quando le amministrazioni pubbliche non appaltavano
più esternamente attività diverse dalla riscossione di vectigalia[4]),
ma anche la società che si occupava di altro rispetto all’esazione
delle imposte (ad esempio, forniture militari, costruzione e gestione degli
edifici pubblici, servizi funerarii), operando anche in ambito locale[5],
in un’epoca compresa, grosso modo, tra il III secolo a.C. e
l’età dei Severi[6]. Di tali societates
già molto sapevamo per i frequenti accenni presenti nelle fonti
letterarie, giuridiche ed epigrafiche; ma è grazie soprattutto a recenti
scoperte ed edizioni di iscrizioni che disponiamo ora di una quantità di
dati in grado di rivitalizzare il dibattito scientifico su numerosi problemi
riguardanti gli appalti pubblici e la partecipazione agli stessi delle societates
publicanorum. Mi riferisco ovviamente al Monumentum Ephesenum (o lex
portus Asiae)[7],
per l’appalto dei portoria, sul quale avremo modo di tornare;
ma suscitano interrogativi importanti anche i riferimenti ai publicani
presenti nella lex rivi Hiberiensis di età adrianea[8].
Trattando
di responsabilità esterna delle societates publicanorum, con
esclusione dunque dei profili della responsabilità interna fra soci[9],
è preliminare chiedersi quali sono i soggetti che possano giuridicamente
lamentarsi di contegni tenuti dagli appartenenti a tali società
specialmente in violazione delle leges locationis, e di quali
strumenti tali soggetti dispongano.
Fintantoché le società di pubblicani partecipano ad appalti
pubblici indetti dall’amministrazione erariale è ovviamente il populus
romanus, la controparte contrattuale della societas publicanorum, il
principale soggetto che gode di forme di tutela in caso di inadempimento[10].
A questo possono poi aggiungersi i contribuenti per le indebite esazioni patite
dai socii vectigales, inoltre i fruitori di un pubblico servizio non (o
irregolarmente) svolto dal publicanus.
Quanto
al soggetto propriamente responsabile il punto tocca inevitabilmente alcuni
problemi, noti a chi si è
occupato di queste particolari societates, che riguardano le differenti
modalità partecipative dei singoli alle stesse, nonché la loro
limitata capacità (o personalità) giuridica[11], anche se – occorre ricordarlo – non
è possibile riferire alla riflessione giurisprudenziale romana la teoria
che scorge nella societas una persona giuridica, ente astratto autonomo
rispetto ai suoi componenti, né dunque sarebbe metodologicamente
corretto per uno storico del diritto riconoscere aspetti di rilevanza esterna
di una societas solamente laddove essa sembri dotata di quella
personalità in realtà ignota ai Romani[12]. Non è del tutto chiaro
in particolare se e quando i partecipanti a vario titolo siano stati ritenuti
soggetti responsabili[13]
e, d’altro canto, se e quando i rapporti passivi creati da un socio
potessero transitare su tutti gli altri soci.
Si ritiene per lo più che la
responsabilità verso il populus romanus gravi esclusivamente sui praedes
(rimpiazzati, a partire dal II secolo d.C., dai fideiussores),
chiamati a costituire altresì una sorta di ipoteca di diritto pubblico (subsignatio
praediorum)[14]; certo,
anche il conduttore a capo della societas, denominato manceps, rientrava tra i soggetti
responsabili, ma questo a condizione che si costituisse, lui stesso, praes
nei confronti del populus; i praedes, per altro, potevano essere
nel contempo socii[15] e
partecepivano ai profitti dell’appalto (Pol. 6.17.3-4; v. anche, tenendo
conto delle precisazioni sul προέγγυος
che seguiranno, Monumentum
Ephesenum, §§
45, 62)[16].
Possiamo dunque dire che nei confronti del populus non operava una
responsabilità della societas publicanorum o dei soci in quanto
tali (cioè, che non fossero anche praedes); questo almeno - si
ritiene - fino alla fine del I
secolo d.C.[17].
L’esecuzione sul patrimonio dei praedes e sui praedia subsignata
osservava poi la procedura, non facilmente ricostruibile, della venditio
ex lege praediatoria e in vacuum[18].
Siamo
nel campo del ius praediatorium, complesso di norme relative alla
contrattazione pubblica che doveva essere pressoché sconosciuto ai
giuristi tardo-repubblicani, se, come a me pare, fosse possibile estendere ad
altri giuristi di quell’epoca l’ignoranza che Quinto Mucio Scevola
l’Augure umilmente manifestava nei suoi comportamenti. Alludo
all’usanza di quest’ultimo di rinunciare a dare pareri de iure
praediatorio e di rinviare chi lo consultasse agli esperti Furio e Cascellio:
Cic. Pro Balb. 20.45: Etenim si Q. Scaevola ille augur, cum de iure praediatorio
consuleretur, homo iuris peritissimus, consultores suos non numquam ad Furium
et Cascellium praediatores reiciebat...
Val. Max., Fact. et dict. memor. 8.12.1:
Q. Scaeuola legum clarissimus et
certissimus uates, quotienscumque de iure praediatorio consulebatur, ad Furium
et Cascellium, quia huic scientiae dediti erant, consultores reiciebat. quo
quidem facto moderationem magis suam commendabat quam auctoritatem minuebat, ab
iis id negotium aptius explicari posse confitendo, qui cotidiano usu eius
callebant. sapientissimi igitur artis suae professores sunt a quibus et propria
studia uerecunde et aliena callide aestimantur.
Ora, Furio e
Cascellio non sono identificabili con giuristi[19] – malgrado l’espressione
di Valerio Massimo: «quia huic scientiae dediti erant»,
possa far pensare ad una dedizione alla scientia iuris – ma con operatori pratici, assidui
partecipanti alle aste pubbliche, dato che il termine ‘praediatores’, che qualifica nel passo ciceroniano
i due esperti, rimanda in senso proprio a chi commercia col popolo romano (Gai. 2.61:…nam qui
mercatur a populo, praediator appellatur)[20];
d’altra parte, anche l’espressione «qui cotidiano usu eius
[scil. negotii] callebant» del passo di Valerio Massimo
mi sembra evocare una pratica negoziale ripetitiva, più che una costante
attività respondente. L’episodio richiamato da Cicerone nella pro
Balbo e ripreso da Valerio Massimo potrebbe testimoniare dunque un fatto
importante: che v’era un complesso di norme relative alla contrattazione
pubblica (il ius praediatorium) che rimaneva fuori dagli interessi
scientifici dei giuristi ed era dominato sul piano della conoscenza dai
pratici. A sconfessare la singolarità dell’atteggiamento,
improntato a modestia, di Scevola l’Augure rispetto alle abitudini
seguite dagli altri giureconsulti
potrebbe deporre anche quello strano silenzio dei giuristi di estrazione equestre
circa i rapporti interni delle societates publicanorum che aveva
già attirato l’attenzione del Bona alcuni anni or sono[21],
anche se – va ricordato – l’editto del pretore ospitava un
titolo de praediatoribus (v. D.23.3.54)[22], in ordine al
quale tuttavia non è possibile dire se fosse già stato oggetto di
commento nella
giurisprudenza tardo-repubblicana.
Diamo
ora uno sguardo complessivo sulla situazione del populus romanus,
creditore nei confronti, semplificando, della societas publicanorum.
Esso appare in verità assai ben tutelato se consideriamo il numero dei
soggetti aggredibili in caso di inadempimento: infatti, può avviare una
procedura esecutiva nei confronti del manceps-praes, del socius-praes, del mero praes. L’elenco tuttavia
non pare esaurirsi qui, ma occorre valutare la figura del cognitor
praediorum, che
recentemente ha richiamato l’attenzione della dottrina, in particolare
quella spagnola, concorde nel ritenere che tale soggetto fosse uno stimatore dei praedia dati in garanzia (subsignata)
a beneficio della collettività[23].
Per incontrare fonti che attestano senza dubbio questi periti, responsabili non
solo nei confronti dei municipali ma anche del popolo romano[24], dobbiamo
attendere l’ultimo quarto del I secolo d.C. (v. Leges Malac. e Irnit.,
capp. 63-65), mentre le proposte di anticipare ad epoche anteriori un loro
ruolo, particolarmente negli appalti pubblici, mi paiono in effetti poco
fondate. Il van Gessel[25] scorge i cognitores, ritenendoli tuttavia garanti di
secondo grado, in quella “quarta categoria polibiana” che
tanto filo da torcere ha dato agli studiosi.
Pol. 6.17.4: οἱ μὲν
γὰρ ἀγοράζουσι
παρὰ τῶν τιμητῶν
αὐτοὶ τὰς ἐκδόσεις,
οἱ δὲ κοινωνοῦσι
τούτοις, οἱ δ’ ἐγγυῶνται
τοὺς ἠγορακότας, οἱ δὲ τὰς
οὐσίας
διδόασι περὶ
τούτων εἰς τὸ
δημόσιον. [alcuni, infatti, assumono
essi stessi dai censori gli appalti, altri si associano a questi, altri ancora
garantiscono gli appaltatori, altri poi danno beni per questi (ultimi) a favore
dell’erario].
Nel
passo, che è riferibile alla prima metà del II secolo a.C.,
figurano i mancipes, i socii, i praedes, infine certi
soggetti che danno (genericamente) proprie ricchezze all’erario con
riguardo alla categoria precedentemente citata, quella dei praedes (περὶ
τούτων)[26]. Non posso qui affrontare il problema di quale
funzione, nel campo dell’appalto pubblico, avessero gli appartenenti al
quarto gruppo; il punto è
veramente controverso tanto che si
possono contare almeno cinque differenti proposte avanzate dagli studiosi, per
i quali "οἱ
δὲ τὰς οὐσίας
διδόασι περὶ
τούτων εἰς τὸ
δημόσιον" sarebbero identificabili con: 1) gli adfines-participes;
2) i garanti dei praedes, corrispondenti ai βεβαιωταί del diritto tolemaico; 3) i prestatori
di garanzie reali, cioè dei praedia subsignata[27]; 4) i
cittadini finanziatori dello stato; 5) i cognitores praediorum (van
Gessel)[28]. Mi sento in ogni caso di escludere
quest’ultima tesi, dato che, oltre alla considerevole distanza
cronologica tra gli statuti spagnoli che attestano inequivocabilmente il coinvolgimento
dei cognitores ed il brano di Polibio già evidenziata dal Nicolet[29], rimane il
fatto che nella frase greca sopra ricordata che individua la quarta categoria
polibiana non è ravvisabile alcun appiglio che possa far pensare ad
un’attività di cognitio rivolta a praedia. Gli
accenni poi al cognitor presenti nella lex agraria epigrafica del
111 a.C., l. 53 (FIRA. I, 2a ed., p. 113) e in Cic., In Verr. II.5.65.167-168
non permettono di anticipare al II-I secolo a.C. il coinvolgimento nella
responsabilità dei cognitores praediorum, dato che nel primo caso
è troppo frammentario il contesto per poter attribuire una precisa
funzione tecnico-giuridica al cognitor[30],
mentre nel secondo caso lo stesso risulta essere un assertore, nel processo,
della cittadinanza romana altrui; trattasi dunque di una cognitio
rivolta ad uno status personale, anziché al valore di terreni[31].
Vediamo ora se qualche indicazione utile
per collocare meglio dal punto di vista cronologico il cognitor praediorum
sia ricavabile dal Monumentum Ephesenum (da ora in poi abbreviato con ME.),
epigrafe che accoglie la traduzione greca di un capitolato d’appalto
(originariamente scritto in latino) per la riscossione dei portoria
asiatici caratterizzato da una formazione stratificata, con il testo-base che
risale all’incirca al 75 a.C., mentre l’ultimo degli additamenta
si situa nel 62 d.C. Nell’iscrizione efesina a fianco del manceps-redemptor,
del socius, del praes[32] troviamo
almeno due figure sulle quali vale la pena di soffermarsi per saggiarne le
relazioni con il cognitor: l’αὐθέντης
(ME., §§ 46 e 54) e il
προέγγυος (ME., §§ 45, 58, 61, 62). Il van Gessel, sulla scia del Crawford,
vede il cognitor nel primo[33],
ma sembra senz’altro più probabile che l’αὐθέντης
corrisponda al magister della societas publicanorum che era incaricato di importanti
funzioni amministrative nel quadro dell’attività societaria[34].
Quanto al προέγγυος, menzionato negli additamenta al testo-base
della lex locationis databili tra il 12 a.C. e il 62 d.C.[35], per i
primi editori tedeschi sarebbe semplicemente un garante ("Bürge")[36].
Senonché, come è già stato evidenziato[37],
praes nel ME. è già reso con il calco greco
πραῖς, oppure con ἀνάδοχος,
e dunque προέγγυος sarebbe un
terzo termine, per questo un poco sospetto, che gli antichi traduttori in greco
avrebbero usato per rappresentare una medesima figura. Ora a me pare che ἔγγυος
evochi indubbiamente un garante [38],
mentre ciò che richiede uno sforzo interpretativo supplementare è
la particella προ- a cui si riconosce una valenza temporale
("prima")[39].
Ebbene, una possibile soluzione esegetica potrebbe provenire dalle informazioni
che lo stesso ME. ci offre a proposito del
προέγγυος. Dal documento
apprendiamo che tale soggetto lucrava dall’appalto[40]
e poteva essere sostituito dal conductor
entro un lasso di tempo molto ristretto dall’aggiudicazione[41].
Quest’ultima possibilità non mi pare in verità compatibile
con un’identificazione del
προέγγυος con un normale praes,
se solo si considera che
nell’appalto dei vectigalia (e a maggior ragione in appalti
economicamente rilevanti, quali erano le locationes dei portoria)
le garanzie presentate dai concorrenti erano un elemento dell’offerta,
valutato dai magistrati appaltanti e determinante per l’aggiudicazione
insieme alla proposta economica[42].
Che senso avrebbe avuto poterli cambiare dopo soli tre giorni, come consente il
seguente additamentum alla lex locationis del 12 a.C. ?
ME., § 45: ὃς ἂν
παρὰ τοῦ δήμου
τὴν τελωνείαν
μισθώσηται,
τούτωι
προέγγυον ἐν
τρισὶ [ἡμέραις
ταῖς ἔγγι]στα αἷς
ἂν μισθώσηται ἐφ’ἡμῶν
ἀλλάξαι ἔξεσθαι.
μήτε ὁ
προέγγυος τὴν
δημοσιωνίαν
ταύτην
καρπευέσθω πρὶν
ἢ ἐνγαίοις καὶ [ἀναδόχοις
τῷ δήμωι] περὶ ἐγγαίων
ἀσφαλίσασθαι ἐπικρίσει
Ποπλίου
Σουλπικίου
Κουιρείνου,
Γαίου Οὐαλγίου
‘Ρούφου ὑπάτων
καὶ τῶν
προεστώτων [τοῦ
αἰραρίου
στρατ]ηγῶν. [A chi
assumerà dal popolo l’appalto dei portoria, noi (consoli)[43] permettiamo di sostituire il
προέγγυος nei tre giorni
successivi all’aggiudicazione, né il
προέγγυος percepisca proventi da
questo appalto prima che, con malleverie reali (praedia) e personali (praedes),
sia garantito il popolo in ordine al pagamento del canone di locazione[44],
a giudizio dei consoli Publio Sulpicio Quirino, Caio Valgio Rufo e dei pretori
erariali].
A meno che tale clausola presupponesse una
continuità operativa di medesime societates publicanorum e si
riferisse, col segno προέγγυος, a quel praes già fornito dal conductor nel lustro anteriore, la cui solvibilità
pertanto era già stata accertata in precedenza dai magistrati cittadini;
la particella προ- troverebbe così una plausibile
spiegazione[45].
A
completare il quadro dei soggetti responsabili nei confronti della
collettività dobbiamo ancora aggiungere - ma siamo evidentemente fuori
dalla compagine societaria, come, credo, nel caso dei cognitores - il magistrato
appaltatore, quando la sua valutazione della solvibilità iniziale (nel
nostro caso, prima dell’aggiudicazione dell’appalto) dei praedes
sia risultata erronea. È quanto emerge dal seguente passaggio
dell’iscrizione nota come Tabula Vardacatensis - trattasi di un
rescritto imperiale del I secolo d.C. -
i cui contenuti dovrebbero riflettere un principio generale osservato
anche con riguardo ai magistrati di Roma.
Tab. Vardac., ll. 10 ss. (I
sec. d.C.): Magistratus qui parum idoneos prades acceperunt cum cavendum esset
rei publicae ipsi obligati sunt. Quod si praedes tunc quidem idonei fuerunt cum
acciperentur postea vero aliqua ex caussa minuerunt facultates non est fortuna
praedum magistratibus imputanda[46].
Se è indubbio che per gli atti
illeciti extracontrattuali compiuti nei confronti del terzo il socio è
tenuto personalmente e non vi possa essere spazio per una concorrente
responsabilità (per fatto altrui) della societas, o meglio, dei
soci non agenti[47], qualche interrogativo suscita invece l’area
della obbligatorietà da atto lecito, dato che l’habere corpus riconosciuto
alle societates publicanorum potrebbe implicare in linea generale una
responsabilità aggiunta della societas, o meglio, degli altri soci, per gli atti vincolanti compiuti
da un socio nell’interesse della societas.
Vale dunque la pena di rileggere il
famoso brano di Gaio, tratto dal commentario all’edictum provinciale,
dove si accenna all’habere corpus concesso alle societates
publicanorum[48],
prestando particolare attenzione ad un aspetto che mi risulta piuttosto
trascurato nei più recenti commenti al passo, e cioè le analogie
di struttura (e, vedremo, di disciplina) delle dette societates rispetto
alle città (res publicae)[49].
D.3.4.1.pr.-1 (Gai. 3 ad
ed. prov.): Paucis admodum in causis concessa
sunt huiusmodi corpora: ut ecce vectigalium publicorum sociis permissum est
corpus habere vel aurifodinarum vel argentifodinarum et salinarum. [1] Quibus autem permissum est corpus
habere...societatis sive cuiusque alterius eorum nomine, proprium est ad
exemplum rei publicae habere res communes, arcam communem et actorem sive
syndicum, per quem tamquam in re publica, quod communiter agi fierique
oporteat, agatur fiat[50].
L’habere corpus della societas
publicanorum dunque si sostanzia, come nel caso analogo dei municipia,
nell’avere beni in comune (res communes), una cassa comune (arca
communis)[51],
e nella possibilità di valersi di un rappresentante processuale (actor
o syndicus)[52], la cui attività produca effetti
direttamente in capo ai soci (piuttosto che alla societas, intesa come
ente a sè stante). Nulla viene detto invece per quanto riguarda la
rappresentanza negoziale, sicché alla luce del passo si dovrebbero
escludere per essa meccanismi di rappresentanza diretta, e ancor più di
rappresentanza organica[53], per
quanto riguarda le situazioni passive create da un socio nell’interesse
della societas. Questo, fintantoché non entri in gioco l’arca
communis e con essa la trasformazione di un debito da individuale a
sociale. Si può comprendere bene quanto è stato appena detto
osservando la disciplina di origine giurisprudenziale del mutuo contratto dal
socius che risulta del tutto simile a quella del mutuo concluso dal
magistrato municipale. L’analisi congiunta delle due fattispecie
può dare ulteriore significato, credo, alla frase gaiana di D.3.4.1.1,
in particolare laddove si osserva che l’ "habere arcam
communem" della societas vectigalium è "ad
exemplum rei publicae". Vediamo dunque i passi rilevanti.
D.17.2.82
(Pap. 3 resp.): Iure societatis
per socium aere alieno socius non obligatur, nisi in communem arcam pecuniae
versae sunt[54].
D.12.1.27 (Ulp. 10 ad ed.): Civitas mutui datione obligari potest, si ad utilitatem eius
pecuniae versae sunt; alioquin ipsi soli qui contraxerunt, non civitas
tenebuntur[55].
Il brano di
Papiniano potrebbe effettivamente riguardare una societas publicanorum,
come si può arguire dal riferimento all’arca communis[56], mentre la generica espressione "aere
alieno"[57],
cela in verità una causa di mutuo stando al corrispondente passo dei
Basilici[58].
Dunque nel caso in cui un socius-mutuatario assuma un’obbligazione
di restituire una somma di denaro può risultare sì vincolato
anche un altro socio, ma a condizione che vi sia stata la versio della
somma nell’arca communis, a condizione cioè che vi
sia stato un arricchimento della societas.
Allo stesso modo Ulpiano, in D.12.1.27, ritiene che il
mutuo contratto dal magistrato locale vincoli anche la civitas, nel solo
caso in cui vi sia stato il versamento della somma nelle casse cittadine.
In entrambi i casi quindi possiamo dire che non opera lo
schema della rappresentanza diretta, il debito e la responsabilità si
trasferiscono ai membri della corporazione (socii vectigales, municipes),
non già per la semplice attività contrattuale obbligante, per il re
contrahere, ma per la presenza di un ulteriore elemento di fattispecie: la versio
nelle casse comuni, il comune arricchimento.
Tale elemento aggiuntivo non compare, invece, nella
diversa, ma per certi versi assimilabile, ipotesi concernente la indebiti
solutio che Marciano prende in considerazione nel seguente passo:
D.39.4.16.14
(Marc. l. sing. de delat.):
Si quid autem indebitum per errorem
solventis publicanus accepit, retro eum restituere oportere divi Severus et
Antoninus rescripserunt.
Qui il
rescritto imperiale configura un obbligo di restituzione esclusivamente sul
pubblicano accipiente, ma la soluzione avrebbe potuto essere differente se lo
stesso pubblicano avesse versato la somma nell’arca communis.
L’iscrizione denominata, dal
titolo in buona parte ricostruito, De munere publico libitinario
contiene un capitolato d’appalto pubblico, probabilmente di età
tardo repubblicana o augustea, per l’allestimento dei funerali e dei
supplizi nella colonia romana di Pozzuoli[59]. Ora,
è ben vero che è piuttosto rischioso parlare di societates
publicanorum in ambito coloniale, alla luce della nozione gaiana di publicanus
conservataci nel Digesto[60], ma la struttura societaria del contraente privato
che emerge dalla lex locationis puteolana, come bene ha rilevato la
Cimma[61], è
esattamente corrispondente a quella dei pubblicani; ritroviamo, in effetti, le
fondamentali figure del manceps, del socius e del praes.
Ebbene,
per quanto riguarda le relazioni di responsabilità verso l’esterno
della societas locale in questione merita qualche riflessione il
seguente passaggio del capitolato d’appalto:
De mun. publ. libit. II, 24-30: Si
per manc(ipem) sociumve eius eumve ad q(uem) e(a) r(es) q(ua) d(e) a(gitur)
p(ertinet) mora fuerit quomin(us) oper(as) aliasve res quas h(ac) l(ege) eum
mittere utiq(ue) praeber(e) oporteb(it) mittat praebeatve, tum is qui funus
faciet curabitve eas res praebend(as) sin(e) d(olo) m(alo) locato...quanto
plur(is) locatum [con]ductumve fuerit manc(eps) sociusve eius isve ad q(uem)
e(a) r(es) q(ua) d(e) a(gitur) p(ertinet) ei alter(um) tantum [quanto is
locaver(it)] conduxer(it) praestar(e) debeto damnasq(ue) e(sto) d(are) deq(ue)
ea re magistrat(us) reci[peratorium iu]dicium e lege colon(iae) cogito[62].
Dunque
il manceps, il suo socius, o altro soggetto non meglio
identificato (is ad quem ea res qua de agitur pertinet)[63], possono
essere chiamati a rispondere in duplum per le maggiori spese sopportate
dal privato che, a causa del loro ritardo nell’adempimento, abbia dovuto
affidarsi, con apposito contratto di locazione e sine dolo malo, ad
altra impresa per ottenere il servizio funebre. La condanna in duplum, e
la funzione afflittiva che essa implica, rende a mio giudizio assai probabile
che nel caso in questione venga chiamato a rispondere il solo soggetto (sia
esso il manceps, o il socius, o is ad quem ea res qua de
agitur pertinet) che abbia instaurato, presumibilmente nel quadro di una
divisione dei compiti interna alla societas, un rapporto contrattuale (locatio-conductio)
col privato insoddisfatto e al quale sia direttamente imputabile il ritardo
nell’esecuzione della prestazione dovuta; non è dunque
ipotizzabile, malgrado l’equivoca formulazione della lex locationis,
una situazione debitoria e una legittimazione passiva nel processo
recuperatorio estesa agli altri membri della societas non colpevoli. Anche
alla luce della particolare disciplina prevista in De mun. publ. libit. II, 24-30 in merito alle violazioni del contratto
pubblico d’appalto produttive di un danno per il terzo, quindi, trova
conferma quella tendenza a negare, sotto il profilo della responsabilità
dei soci, una rilevanza esterna alla societas.
The
essay concerns external liability of the members belonging to the societas publicanorum, weighing up if
and when the same members are responsible towards the populus Romanus and towards private citizens involved in
contractual or non-contractual relations with one of the members. Apart from
the supposed legal status of these particular societates, not actually inferable from D.3.4.1.pr.-1 (Gai. 3 ad ed. prov.), the essay highlights that
the analogy, underlined in such source, between the societas publicanorum and the municipality (res publica) can contribute to settle the basic question whether or
not the Romans acknowledged also a joint liability of all the other members for
the obligations of a member on behalf of the societas.
Nel contributo si esaminano i rapporti di
responsabilità verso l’esterno dei soci appartenenti alla societas
publicanorum, valutando se e quando gli stessi rispondano nei confronti del
populus romanus e nei confronti dei privati entrati in relazione,
contrattuale o non contrattuale, con uno dei soci. Prescindendo dalla presunta
personalità giuridica di tali particolari societates, invero non
desumibile da D.3.4.1.pr.-1 (Gai. 3 ad ed. prov.), si evidenzia come
l’analogia, in questa fonte sottolineata, tra la societas publicanorum
e la città (res publica) possa contribuire a risolvere il
fondamentale problema se i Romani riconoscessero, o meno, per gli atti
obbliganti compiuti da un socio nell’interesse della societas
anche una corresponsabilità di tutti gli altri soci.
[I contributi della
sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei
promotori del Seminario e dei curatori della sezione, d'intesa con la direzione
di Diritto @ Storia].
* Il
testo corrisponde in larga misura alla comunicazione presentata in occasione
del Seminario di studi su: "Societas. Strumento di organizzazione pubblica
e privata" (Sassari, 4-5 maggio 2012); vi compaiono alcune integrazioni e variazioni
interpretative, frutto di ripensamenti, nonché i riferimenti
bibliografici essenziali. Rinnovo la mia gratitudine ai Professori Pierangelo
Catalano, Giovanni Lobrano, Pietro Paolo Onida per l’invito a partecipare
e per l’accoglienza ricevuta.
[1] Attribuirei una valenza meramente
orientativa all’adozione della distinzione ius publicum-ius privatum
quale criterio per articolare le comunicazioni programmate. Per una visione
unitaria della societas v. già P.P. Onida, «Trouver une forme d’association...par
laquelle chacun s’unissant a tous n’obéisse pourtant
qu’à
lui-même et reste aussi libre qu’auparavant»: la soluzione
romana, in Il principio della democrazia. Jean-Jacques Rousseau. Du Contrat social (1762), a cura di G. Lobrano e P.P. Onida, Napoli 2012, 11.
[2] Il punto
è stato più volte evidenziato in dottrina pur con sfumature
diverse, comunque irrilevante ai nostri fini. Tra i più recenti
contributi mi limito a segnalare: G.
Falcone, Un’ipotesi sulla nozione ulpianea di ius publicum,
in Tradizione romanistica e Costituzione (a cura di M.P. Baccari e C.
Cascione) II, Napoli 2006, 1187 s.; G. Valditara,
Alle origini dello ius publicum, in Seminarios Complutenses de
derecho romano XX-XXI (2007-2008), 441 s.; in particolare A. Mantello, Diritto privato romano.
Lezioni I, Torino 2009, 46 ss.; da ultimo, M. Brutti, Il diritto privato nell’antica Roma, 2a
ed., Torino 2011, 62 ss.
[3] La detta circolazione tra
‘privato’ e ‘pubblico’ di modelli relazionali
indicativa dell’assenza di barriere sistematiche tra ius publicum
e ius privatum, ignote invero alla riflessione giuridica romana
(e a quella medievale), si riscontra anche in altri ambiti. Per i rapporti
tutore-pupilla e governatore provinciale-donna provinciale, v. M. Scognamiglio, L’analogia tra
tutor e qui officium in provincia gerebat: osservazioni
sull’amministrazione provinciale in età classica, in Φιλία.
Scritti per G. Franciosi IV, a cura di F.M. d’Ippolito, Napoli
2007, 2462, 2468. Sul
binomio ius publicum-ius privatum nella tradizione romanistica v. ora
J.M. Blanch, Ius publicum y ius
privatum en la experiencia histórica del derecho. Un ejemplo
insólito en las distinciones de Bártolo expuestas a través
de esquemas, in Estudios Jurídicos en Homenaje al Profesor
Alejandro Guzmán Brito I, coedd. P.I. Carvajal - M. Miglietta,
Alessandria 2011, praecipue 415 ss.; nonché M. Scognamiglio, op. cit., 2468 ss.;
più ampie riflessioni storico-comparatistiche in R. Sacco, Antropologia giuridica. Contributo
ad una macrostoria del diritto, Bologna 2007, 237 ss. Le molteplici
modalità dell’agire pubblico (o nell’interesse pubblico) dei
nostri tempi, anche in forma societaria, hanno messo ancor più in crisi
la pretesa, rigida contrapposizione tra una sfera del diritto pubblico e una
del diritto privato: cfr. sul punto S.
Rose-Ackerman-P.L. Lindseth, Comparative administrative law: an
introduction, in Comparative administrative law, edd. S.
Rose-Ackerman e P.L. Lindseth, Cheltenham-Northampton 2010, 14 ss.
[5] V. infra
quanto si dirà a proposito dell’epigrafe nota col titolo De
munere publico libitinario.
[6] Per il terminus post quem
indicato v. F. Bona, Le «societates
publicanorum» e le società questuarie nella tarda repubblica, in Imprenditorialità
e diritto nell’esperienza storica, Atti Soc. It. St. Dir., Erice
22-25 novembre 1988, a cura di M. Marrone, Palermo 1992, 17 s., a proposito di
Liv.23.48.4-49.4 (forniture all’esercito). La sopravvivenza delle societates publicanorum ancora
nell’età dei Severi è acquisizione della dottrina
romanisitica e storica più recente: v. F. De Martino, La storia dei
pubblicani e gli scritti dei giuristi, in Labeo 39 (1993), 29 s.; A. Mateo, Manceps redemptor publicanus.
Contribución al estudio de los contratistas públicos en Roma,
Santander 1999, 154 ss., in part. 161 ss.; nonché L. Maganzani, Pubblicani e debitori
d’imposta. Ricerche sul titolo edittale de publicanis, Torino 2002,
155. Per il prelievo dei portoria pare in ogni caso incauto pensare a
scelte irreversibili, in dati frangenti cronologici, che sostituissero una
gestione di tipo indiretto (attraverso la collaborazione esterna delle societates
publicanorum) con l’impiego diretto di strutture amministrative: v.
sul punto A. Rinaudo, La
riscossione della quadragesima Galliarum nelle epigrafi dell’area cuneese
(I-III secolo d.C.), in Le autonomie territoriali e funzionali nella
provincia di Cuneo in prospettiva transfrontaliera (alla luce del principio di
sussidiarietà), a cura di S. Sicardi, Napoli 2011, 29 e nt. 41.
[7] Sull’epigrafe in lingua greca
cfr., quanto meno, T. Spagnuolo Vigorita,
Lex portus Asiae. Un nuovo documento sull’appalto delle imposte,
in I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione
nell’esperienza storico-giuridica, Atti Congresso della Soc. It. St.
Dir., Torino 17-19 ottobre 1994, Napoli 1997, 113 ss.; Id.,
Contribuenti ed esattori nella lex portus Asiae, in Ivris Antiqvi
Historia 1 (2009), 135 s.; L. Maganzani, op. cit., 45 s.; per
una recente traduzione in francese cfr. L’Année
épigraphique 2008 [ma 2011], n. 1353, 539 ss. Una migliore
comprensione della lex portus Asiae potrà derivare dal confronto
con un altro regolamento doganale iscritto in pietra recentemente rinvenuto a
Andriake (il porto di Myra in Licia); su di esso v. L’Année
épigraphique 2007 [ma 2010], n. 1503, 585 ss.; G.D. Merola, Edixit princeps ut leges
cuiusque publici, occultae ad id tempus, proscriberentur, in RIDA 57
(2010), 311 ss.
[8] Cfr. le prime riflessioni di A. Torrent, Los «publicani» en la «lex rivi Hiberiensis», in RDR. 13 (2013).
[9] In quest’ambito essi potevano
ricorrere, stando a D.17.2.65.15 (Paul. 32 ad ed.), all’actio
pro socio; cfr. M. Talamanca, Istituzioni di diritto
romano, Milano 1990, 601; L. Maganzani,
op. cit., 250 s.; l’esperibilità di tale azione è
anche ipotizzata, per i rapporti tra il concessionario-socius (manceps
o redemptor) e il praes-socius, da R. Mentxaka, Algunas consideraciones en torno a las
concesiones administrativas y sus garantías: capítulos 63-65 de
la lex Malacitana, in Mainake 23 (2001), 82.
[10] Si pensi, quando la prestazione
consiste nella riscossione dei portoria, al mancato versamento
dell’importo annuale stabilito nelle casse pubbliche; sulla divisione in
rate annuali, nel corso del normale periodo contrattuale di cinque anni, cfr.
ora Monumentum Ephesenum, § 42; T. Spagnuolo
Vigorita, op. cit., 183 s.; A. Trisciuoglio,
Sarta tecta, ultrotributa, opus publicum
faciendum locare. Sugli appalti relativi alle opere pubbliche nell’età
repubblicana e augustea, Napoli 1998, 57 nt. 57; G.D. Merola, Autonomia locale governo
imperiale. Fiscalità e amministrazione nelle province asiane, Bari
2001, 207.
[11] Cfr., sulla base di D.3.4.1.pr.-1, M.R.
Cimma, op. cit., 219 s.; v. anche F. Bona, op. cit., 50 s., 69
(replica); L. Maganzani, op.
cit., 229 ss.; E. Pendón, Régimen
jurídico de la prestación de servicios públicos en Derecho
Romano, Madrid 2002, 41 ss.
[12] Cfr. i condivisibili rilievi di P.P. Onida, Specificità della causa
del contratto di societas e aspetti essenziali della sua rilevanza esterna,
in Diritto @ Storia 10 (2011-2012), §§ 3-4.
[13] Il problema riguarda la
sovrapponibilità di condizioni: posto che il responsabile nei confronti
del populus romanus è il praes, il manceps è
anche praes? Il socius è anche praes?
[14] Sulla subsignatio praediorum
cfr. specialmente Schol Bob. in or. Pro Flacco 32.4: «Et subsignandi haec solebat esse causa,
ut aut qui vectigalia redimeret, aut qui pro mancipe vectigalium fidem suam interponeret
loco pigneris praedia sua rei publicae obligarent, quoad omnem pecuniam
redemptores vectigalium repensarent»; per altre fonti v. G.L. Gregori, Nomina transcripticia e
praedia subsignata: debiti, ipoteche e finanze locali a Trebvla Suffenativm,
in Il capitolo delle entrate nelle finanze municipali in Occidente ed in
Oriente. Actes de la Xe Rencontre
franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain, Rome, 27-29
mai 1996, Rome 1999, 36 nt. 36; in dottrina, A. Trisciuoglio,
op. cit., 206 s.; R. Mentxaka,
op. cit., 82 ss.; G. Mainino,
Veleia, Plinio il Giovane e la Tabvla alimentaria per il diritto romano,
in Ager Veleias - Tradizione, società e territorio
sull’Appennino Piacentino, Parma 2003, 125 s. Non è sempre
condivisa l’opinione maggioritaria per la quale la subsignatio
riguardava i praedia dei praedes: v. C. van Gessel, Praedes, praedia, cognitores. Les sûretés réelles et personnelles
de l’adjudicataire du contrat public en droit romain (textes et
réflexions), in Tâches
publiques et entreprise privée dans le monde romain, Genève 2003, 116; F. Cuena Boy, Subsignatio y praediatura.
Las
garantías, especialmente reales, en los contratos con las administraciones públicas,
in Seminarios Complutenses de derecho romano 20-21 (2007-2008), 162.
[15] Il cumulo delle due condizioni (di socius
e di praes) doveva rappresentare la normale situazione, anche se non
pare che vi fosse un obbligo giuridico per il praes di presentarsi anche
come socius; v. in proposito M.R. Cimma,
op. cit., 61; E. Pendón,
op. cit., 132; G.D. Merola, Il
Monumentum Ephesenum e la struttura delle societates publicanorum, in Athenaeum
94 (2006), 129 nt. 39.
[16] In dottrina v. U. Malmendier, Societas publicanorum. Staatliche
Wirtschaftaktivitäten in
den Händen privater Unternehmer,
Köln - Weimar - Wien 2002, 90.
[17] In tal senso v. M.R. Cimma, op. cit., 69; a partire
dalla fine del I secolo d.C. i soci sarebbero responsabili in qualità di
conductores (non di garanti), operando meccanismi di rappresentanza diretta;
cfr. Ead., op. cit., 206
ss.; 241 s.; L. Maganzani, op.
cit., 155 s., 249, 255; per un’anticipazione di tale svolta al I
secolo a.C. (sulla base di Cic., Ad Att. 1.17.9) v. però P. Cerami, Impresa e societas nei primi
due secoli dell’impero, in
AUPA. 52 (2007-2008), 111 s.
[18] Sul punto v. le mie osservazioni in Sulle sanzioni per l’inadempimento
dell’appaltatore di ultrotributa nella tarda repubblica e nel primo
principato, in I rapporti
contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza
storico-giuridica. Atti Congresso della Soc. It. St. Dir., Torino 17-19
ottobre 1994, Napoli 1997, 215 s.;
più recentemente, F. Cuena Boy,
op. cit., 170 ss.
[19] Come ritiene invece F. Cuena Boy, op. cit., 158 s.;
Cascellio in particolare non è l’Aulo Cascellio ricordato da
Pomponio (D.1.2.2.45), potrebbe esserne il padre: cfr. D. Mantovani, Iuris scientia e honores.
Contributo allo studio dei fattori sociali nella formazione giurisprudenziale
del diritto romano (III-I sec. a.C.), in Nozione formazione e interpretazione
del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche
dedicate al Professor F. Gallo I, Napoli 1997, 650; A. Castro, ¿«Praediator/praedator»?
Una relectura de Cic. pro Balb. 20.45, in Index 41 (2013), 25, 29.
[20] A. Castro,
op. cit., 30 ss., scorge nel brano ciceroniano un uso implicito
dell’espediente retorico della adnominatio (paronomasia), grazie
al quale l’Arpinate dà ad intendere che Furio e Cascellio non
negoziavano solamente con il populus (praediatores) ma erano
anche dei "cacciatori implacabili" (praedatores), inclini alla
speculazione. Sulla adnominatio cfr. H. Lausberg,
Elementi di retorica, Bologna 1969, 148.
[21] Cfr. F.
Bona, op. cit., 45 ss.; l’A. (49 s.) tuttavia spiegava
il silenzio delle fonti, sulle orme del Pugliese, con il comprensibile riserbo che i giuristi
dell’ordo equester mantenevano sui grandi affari degli
appartenenti al comune ceto; dunque, ad avviso del Bona, tali giuristi venivano
interpellati, essi rispondevano, ma nulla trapelava esternamente.
[22] Cfr. O.
Lenel, EP., 3a ed., Lepizig 1927, tit. XXXIII, 389 s.; B. Santalucia, L’opera di Gaio «ad
edictum praetoris urbani», Milano 1975, 197 ss.
[23] Cfr. già la precisa definizione
che si può leggere in A. Berger,
sv. ‘Cognitores praediorum’, in Encyclopedic Dictionary
of Roman Law, Philadelphia 1953, 394: «Vouchers (examiners) who on their responsability certified the
correctness of the data concerning landed property, given as a pledge
(subsignatio) by persons who assumed certain obligations towards a municipality». Per la dottrina spagnola v. R. Mentxaka, op. cit., 85 s.;
J.F. Rodríguez Neila, "Tabulae
Publicae". Archivos municipales y documentación financiera en
las ciudades de la Bética, Madrid 2005, 108 nt. 53; F. Cuena Boy, op. cit., 167 s.; A. Torrent, Cognitores en lex Irnitana
caps. 63-65, in Iura 59 (2011), 15 ss. Per
quest’ultimo Autore (v. specialmente 26, 30 ss., 45, ivi le conclusioni)
il cognitor è responsabile come il praes nei confronti
della municipalità però a diverso titolo: non per l’inadempimento
del redemptor (o manceps), ma essenzialmente per
l’inesattezza della perizia estimatoria da lui compiuta sui praedia dati
in garanzia; v. anche, dello stesso A., Financiación externa de los «municipia». Lex Irnitana cap. 80, in RDR. 10 (2010), 3 nt. 12.
[24] Cfr. le leges Malacitana e Irnitana,
capp. 64; riporto qui di seguito il testo dello statuto di Irni: «Qui(s)cumque
in municipio Flavio Irnitano in commun(e) municipum eius municipi praedes facti
sunt erunt, quaeque praedia accepta sunt erunt, quicumque eorum praediorum
cognitores facti sunt erunt, ii omnes et quae cuiusque eorum tum
<fuerunt> erunt...in commune municipum eius municipi item obligati
obligataque sunto, ut ii eave populo R(omano) obligati obligata<v>e
essent, si apud eos, qui Romae aerario praessent, ii praedes iique cognitores
facti eaque praedia subdita subsignata obligatave essent».
L’inclusione dei cognitores fra i soggetti obligati in
relazione a locationes pubbliche si ricava in particolare dai capp. 63
dei due statuti. Sulla lex Irnitana cfr. recentemente A. Torrent, Municipium latinum Flavium
Irnitanum. Reflexiones sobre la ocupación militar de Hispania y
subsiguiente romanización hasta la Lex Irnitana, Madrid 2010,
passim.
[25] Cfr. C. van Gessel, op. cit., 117 s.
[26] Almeno, questa mi pare la soluzione
interpretativa più piana, adottata anche da U. Wilcken, Griechische Ostraka aus
Aegypten und Nubien. Ein Beitrag zur antiken Wirtschaftsgeschichte I,
Leipzig-Berlin 1899, 554; soluzione che ritengo sia da preferire rispetto al
significato che C. Nicolet [Polybius
VI, 17,4 and the Composition of the Societates publicanorum, in The
Irish Jurist 6 (1971), 164 nt. 4, 175 s. e nt. 67] propone in ordine alla locuzione περὶ τούτων
("about all these matters": "riguardo a tutte queste
faccende") e che spezza qualsivoglia collegamento tra la terza e la quarta
categoria polibiana; per una critica alla tesi del Nicolet v. anche A. Lintott, Imperium romanum. Politics
and administration, London-New York 1993, 210 nt. 99. Sulla detta locuzione
v. altresì le più recenti
osservazioni di G. Geraci, Documenti ellenistici e appalti di stato romani. Ancora
su Polyb., VI, 17, 4 e UPZ I, 112, col. II, LL. 5 ss., in Cahiers du Centre Gustave Glotz 14 (2003),
45 ss.
[27] Su tale tesi mi pare che potrebbe
convergere la recente traduzione proposta da G. Ceraci,
op. cit., 66: «altri poi danno i beni al tesoro pubblico per
questi (cioè «per gli appaltatori»)», nella quale si
lega, con spunto originale, "περὶ
τούτων" a "τοὺς ἠγορακότας".
[28] Per le posizioni dei diversi autori
cfr. A. Trisciuoglio, Sarta
cit., 44 nt. 24; E. Pendón,
op. cit., 90 ss.
[30] In merito
cfr. K. Johannsen, Die lex
agraria des Jahres 111 v. Chr. Text und Kommentar (Diss.), München 1971, 306 e nt. 400; M.H. Crawford (ed.), Roman Statutes I, London 1996, 171.
[31] Non credo che sia riconoscibile un
significato metaforico in Cic., In Verr. II.5.65.167-168, come si legge in J. González, The lex Irnitana: a
new Copy of the Flavian Municipal Law, in JRS. 76 (1986), 219; qui
il cognitor è il soggetto che interviene nel processo penale a
testimoniare e garantire (per questo deve essere "locuples")
la cittadinanza romana dell’imputato.
[32] Per puntuali riferimenti ai
§§ della lex dove sono presenti le espressioni greche
corrispondenti alle tre figure menzionate cfr. T. Spagnuolo Vigorita, Lex cit., 168 ss., 184 s.
[34] Cfr. T. Spagnuolo
Vigorita, Lex cit., 186 s. e nt. 238; nonché G.D. Merola, Il Monumentum cit., 132
s. e nt. 62. Sul magister v. praecipue F. Bona, op. cit., 31 ss.; inoltre, Ch. Schäfer, Die Funktionäre in den societates publicanorum, in Münstersche Beiträge zur Antiken
Handelsgeschichte 20.2 (2001), 75 ss.
[36] Cfr. l’edizione (con traduzione e
commento) di H. Engelmann - D. Knibbe, in Epigraphica Anatolica
14 (1989), 116, 129, 132 s.; li segue U. Malmedier,
op. cit., 90. Il termine in questione ricorre raramente nelle fonti greche,
come rileva G.D. Merola, Il
Monumentum cit., 130. Troviamo
‘πρωγγύως’ (in dialetto
dorico) nella prima tavola greca di Eraclea: cfr. Tab. Heracl. I, ll. 101, 104,
108, nell’ed. di F. Sartori,
Eraclea di Lucania: profilo storico, in Mitteilungen des deutschen
archaeologischen Instituts. Röm. Abt. (11. Ergänzungsheft). Archäologische
Forschungen in Lukanien (herausg. B. Neutsch), Heidelberg 1967, 44; v.
anche M. Guarducci, Epigrafia
greca II, Roma 1969, 282; la critica filologica di tale iscrizione accosta
il προέγγυος al praes: v.
V. Arangio-Ruiz - A. Olivieri, Inscriptiones Graecae Siciliae et
infimae Italiae ad ius pertinentes, Roma 1965, rist. ed. Milano 1925, 16,
18.
[38] Cfr. A. Trisciuoglio,
Fideiussio iudicio sistendi causa e
idoneità del fideiussore nel diritto giustinianeo e nella tradizione
romanistica, Napoli 2009, 4 nt. 7.
[41] Entro 3 giorni nel 12 a.C. (§ 45,
ed. cit., 115); entro 10 giorni nel 19 d.C. (§ 58, ed. cit., 129); entro 30
giorni in un anno compreso verosimilmente tra il 47 e il 57 d.C. (§ 61,
ed. cit., 132); v. anche G.D. Merola,
Il Monumentum cit., 130.
[42] Cfr. in particolare E. Pendón, op. cit., 133 s. È ben vero che in D.39.4.9.pr. (Paul. 5 sent.)
si accenna a garanzie personali presentate, in occasione di una locatio
vectigalium, dopo l’aggiudicazione da chi abbia vinto la licitatio,
ma ciò sembra collegabile ad un’anomalia della gara
d’appalto nella quale il calor del licitante lo ha spinto a
formulare un’offerta economica all’apparenza poco sostenibile
rispetto alle precedenti conductiones. Il contraente pubblico, nella sententia
paolina, risulta meglio tutelato, credo, attraverso la richiesta di garanzie
supplementari; sul passo cfr. U. Malmendier,
op. cit., 121 ss.; L. Maganzani,
op. cit., 158. Circa invece il rapporto tra la dazione-accettazione
delle malleverie e l’aggiudicazione negli appalti relativi alle opere
pubbliche (appalti che, anche per questo aspetto, presentano notevoli
specificità rispetto alle locationes di vectigalia) cfr.
A. Trisciuoglio, op. cit.,
213 ss.
[44] Seguo la traduzione (“für die Pachtschuld”) proposta dagli editori (v.
H.
Engelmann - D. Knibbe, 116); la grafia ἔγγαια, in luogo di ἔνγαια,
rende effettivamente improbabile che l’espressione che contiene il primo
segno, "περὶ
ἐγγαίων", possa richiamare i praedia
subsignata; in tal senso v. G. Geraci,
op. cit., 56 nt. 47.
[45] Il cambio del praes consentito
dal capitolato (una sorta di novazione soggettiva) potrebbe essere un modo di
liberarlo dall’obbligazione, alternativo al pagamento, a cui
si accenna nei capp. 64 delle leges Malacitana e Irnitana, e che
non è stato ancora considerato in dottrina; v. a tal proposito
l’osservazione parentetica di A. Torrent,
Cognitores cit., 38: «...liberati; no veo claro el modo de
liberación sino por el pago a no ser que el municipio condonara su
deuda».
[46] Cfr. A. Trisciuoglio,
Sarta tecta cit., 212 s.; C. van
Gessel, op. cit., 108;
recentemente M. De Simone,
"Vas appellatus qui pro altero vadimonium promittebat". Per una
lettura di Varro, De ling. lat.,
6.74, in AUPA. 53 (2009), 195 ss.
[47] Una responsabilità non
strettamente personale del socius può derivare – ma
è un’ipotesi evidententemente del tutto differente – da
illeciti commessi da propri, o anche da altrui, servi appartenenti alla familia
publicanorum. Si veda in proposito il commento lemmatico ulpianeo alla
clausola edittale "quod familia publicanorum furtum fecisse dicetur"
- nella parte in cui si stabilisce la convenibilità (sine noxa
deditione) del dominus-publicanus in caso di furti patiti dai contribuenti, non seguiti
dall’esibizione in iure del servo agente - in D.39.4.3.1 (Ulp. 55 ad ed.): «Quod
ait ‘in dominos’ sic accipiendum est ‘in socios
vectigalis’, licet domini non sint»; sul passo cfr. le
condivisibili osservazioni di M. Talamanca,
sv. ‘Società’ (dir. rom.), in Enc. Dir.
42 (1990), 832 nt. 204; inoltre, L. Maganzani, op. cit., 176 s., 225, 247;
sulla citata clausola cfr. recentemente A. López
Pedreira, "Quantae audaciae, quantae temeritatis sint
publicanorum factiones". Reflexiones acerca del edictum de publicanis.
(D.39.4), in AFDUDC. 12 (2008), 590 ss., con richiamo della
precedente dottrina.
[49] Nel medesimo commentario gaiano ad
edictum provinciale troviamo il sintagma res publica riferito
espressamente ai municipia (v. D.39.4.13.1, infra, nt. 60). Sulla
valenza istituzionale di ‘res publica’ (nello specifico
significato di città) cfr. il mio Bona fides e locazioni pubbliche nelle
Opiniones di Ulpiano, in Il ruolo
della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e
contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A.
Burdese, a cura di L. Garofalo, IV, Padova 2003, 317 nt. 11. Non reputo
corretta dunque la scelta di A.M. Fleckner
(Antike Kapitalvereinigungen. Ein Beitrag zu den konzeptionellen
und historischen Grundlagen der Aktiengesellschaft, Köln-Weimar-Wien 2010, 387 s.) di rendere l’espressione «ad exemplum rei publicae» presente
in D.3.4.1.1 con «nach dem
Vorbild des Staates». Sulla
propensione dei giuristi classici a scorgere semplicemente analogie tra i
diversi aggregati a base personale, senza pervenire, a differenza dei
compilatori giustinianei, alla costruzione di categorie dommatiche unitarie
cfr., con accenno al nostro passo, R.
Orestano, Il «problema delle persone giuridiche» in
diritto romano I, Torino 1968, 176 s.
[50] Sul testo v. specialmente, anche per le
ipotesi interpolazionistiche, L. Cracco
Ruggini, Collegium e corpus: la politica economica nella legislazione
e nella prassi, in Istituzioni giuridiche e realtà politiche nel
tardo impero (III-V sec. d.C.), Atti Incontro Firenze 2-4 maggio 1974, a cura
di G.G. Archi, Milano 1976, 90 ss.; M.R. Cimma,
op. cit., 178 ss.; 215; 219 s.; E. Pendón, op. cit., 126 ss.;
L. Maganzani, op. cit., 229 nt. 33; 248 s.; N. Tran, Les membres des associations romaines. Le rang social
des collegiati en Italie et en Gaules sous le haut-Empire, Rome 2006, 347
ss.; P. Cerami, Impresa cit.,
107 ss.; da ultimo, P.P. Onida, Specificità
cit., § 6.
[51] Sulle casse delle societates che
si occupavano del prelievo dei portoria, e in particolare sull’arca
quadragesimae Galliarum, cfr. J. France,
Quadragesima Galliarum. L’organisation douanière des
provinces alpestres, gauloises et germaniques de l’empire romain (Ier
siècle avant J.-C. - IIIe siècle après J.-C.), Rome
2001, 422 s.
[52] Sull’actor
municipum (rappresentante processuale dei municipes) v. recentemente
D. Mantovani,
Il iudicium pecuniae communis. Per l’interpretazione dei capitoli
67-71 della lex Irnitana, in Gli
Statuti Municipali, a cura di L. Capogrossi
Colognesi - E. Gabba, Pavia 2006, 291 ss., a proposito del cap. 70 della lex
Irnitana e dei collegamenti di tale disposizione statutaria con le clausole
dell’editto del pretore: ‘Quibus municipum nomine agere liceat’
e ‘Quod adversus municipes agatur’; v. altresì A. Biscardi, Rappresentanza sostanziale
e processuale dei ‘collegia’ in diritto romano, in Iura
31 (1980), 16 s. Syndicus (calco latino del termine greco σύνδικος) indica
ora l’actor ora il defensor: v. F.M. De Robertis, ‘Syndicus’.
Sulla questione della rappresentanza processuale dei ‘collegia’
e dei ‘municipia’, in SDHI. 36 (1970), 322 s. Anche E. Pendón, op. cit., 122 ss.,
ricostruendo la composizione
interna della societas publicanorum, ritiene che l’actor e il syndicus
siano rappresentanti processuali, e non negoziali.
[53] La teoria della rappresentanza
organica, come è noto, non è romana ma risale
all’Ottocento: v., per tutti, F. Galgano,
Trattato di diritto civile, 2a ed., II.
Le obbligazioni in generale. Il contratto in generale. I singoli contratti,
Padova 2010, 440; penetranti osservazioni sul punto in Y. Thomas, Les juristes de
l’empire et les cités, in Idéologies et valeurs
civiques dans le Monde Romain. Hommage à C. Lepelley, Paris 2002, 207 ss.
[54] Su D.17.2.82 cfr.
in particolare M.R. Cimma, op.
cit., 203 ss.; G. Pugliese, Istituzioni
di diritto romano, 3a ed., Torino 1991, 901; G. Santucci, Il socio d’opera in diritto romano.
Conferimenti e responsabilità, Padova 1997, 15 nt. 27; L. Maganzani, op. cit., 251 s.; P. Cerami, Impresa cit., 107 ss.;
P.P. Onida, op. ult. cit.,
§ 6.
[55] Sul testo cfr. specialmente A. Bricchi, Amministratori ed actores.
La responsabilità nei confronti dei terzi per l’attività
negoziale degli agenti municipali, in
Gli Statuti Municipali (a cura di L. Capogrossi Colognesi - E.
Gabba), Pavia 2006, 354 ss.; A. Torrent,
Financiación cit., 8; adde Th. Honsell, Gemeinwohl und öffentliches Interesse im klassischen römischen Recht, in ZSS. 95 (1978), 118 s.
[56] In tal senso già V. Arangio-Ruiz, La società in
diritto romano. Corso di lezioni svolto nell’Università di
Roma 1949-1950 (rist.), Napoli 1982,
89 s.
[58] Cfr. B.12.1.80
(= D.17.2.82), ed. Scheltema, BT 695, 5 ss.: «Τῷ δικαίῳ τῆς κοινωνίας ὁ κοινωνὸς οὐκ ἐνέχεται ὑπὲρ ὧν ὁ κοινωνὸς αὐτοῦ ἐδανείσατο, εἰ μὴ εἰς τὸ κοινὸν ἦλθε τὰ χρήματα»; trad. ed. Heimbach I, 787: Iure societatis socius non obligatur
pecuniae a socio eius mutuo sumtae nomine, nisi pecunia in rem communem versa
sit. Pensa anche al mutuo, pur non richiamando il passo dei
Basilici, F. Serrao, Sulla
rilevanza esterna del rapporto di società in diritto romano, in Studi
in onore di E. Volterra V, Milano 1971, 746 s. nt. 5.
[59] Cfr. l’ed. di L. Bove, Due iscrizioni da Pozzuoli e
Cuma, in Labeo 13 (1967), 25 ss.; l’A. è ritornato
più recentemente sul documento puteolano in Le "leges
Libitinariae" e gli appalti pubblici, in Labeo 50 (2004), in
particolare 55 ss.; v. anche Id., Le
leges Libitinariae e gli appalti pubblici, in Libitina e dintorni.
Libitina e i luci sepolcrali. Le leges libitinariae campane. Iura sepulcrorum:
vecchie e nuovi iscrizioni. Atti dell’XI Rencontre franco-italienne
sur l’épigraphie, Roma 2004, in particolare 110 ss.; adde
F. Hinard - J.Ch. Dumont (edd.) Libitina. Pompes funèbres et
supplices en Campanie à l’époque d’Auguste.
Édition, traduction et commentaire de la Lex Libitinae Puteolana,
Paris 2003 (non vidi).
[60] Cfr.
D.50.16.16 (Gai. 3 ad ed. prov.): «Eum qui vectigal populi
Romani conductum habet, ‘publicanum’ appellamus. Nam ‘publica’
appellatio in compluribus causis ad populum Romanum respicit: civitates enim
privatorum loco habentur», da cui si desume che il pubblicano
è solamente colui che intrattiene relazioni contrattuali, nel campo dei vectigalia,
col populus Romanus (cioè con l’aerarium populi romani)
e non con le comunità locali; sul passo, con numerosi richiami alla
letteratura precedente, v. ultimamente S.
Longo, Locare ‘in perpetuum’. Le concessioni in godimento
di ager municipalis, Torino 2012, 26 ss. e ntt. 38-41, 81 nt. 55. Lo stesso
Gaio ritiene semplicemente applicabile l’editto de publicanis
anche agli appaltatori pubblici locali, senza per questo considerarli
pubblicani: D.39.4.13.1 (Gai. 13 ad ed. prov.): «Praeterea et
si quis vectigal conductum a re publica cuiusdam municipii habet, hoc edictum
locum habet».
[62] Ho già avuto occasione di
soffermarsi sul testo in Sulle sanzioni cit., 222 s.; si veda
altresì L. Bove, Le
"leges Libitinariae" cit., in Labeo 50 (2004), 57 s.