NUOVI
CONFINI DEL DIRITTO CIVILE ATTUALE E FONTI DEL DIRITTO NEL SISTEMA
ITALO-COMUNITARIO
Università di
Bari “Aldo Moro”
Sede di Taranto
SOMMARIO: 1. Diritto civile e suoi attuali confini.
– 2. Il valore normativo della dignità umana
nell’ordinamento comunitario. – 3. Prospettive
e compiti nuovi del diritto civile. – 4. Diritto
civile attuale plurale. – 5. Fonti formali e fonti cc.dd. non formali. – 6. Nuove fonti del diritto e ruolo del giurista. – Abstract.
Qualche decennio fa
autorevolmente ci si interrogava sui confini[1] del
diritto civile. Il medesimo interrogativo, sebbene con un senso e una portata
diversi, ai giorni nostri permane pregno di rilevanza. Per rispondere ad esso,
occorre partire dalla complessità e pluralità delle fonti, antiche e nuove, del
diritto civile attuale.
L’adeguata considerazione
di tutte le fonti di esso induce a qualche considerazione anzitutto sul
significato da attribuire oggi all’endiadi “diritto civile”. Il diritto civile
attuale difatti appare profondamente mutato rispetto al passato, pur
presentando alcuni innegabili tratti di continuità con esso. Basti pensare che,
alla domanda su cosa debba intendersi per diritto
civile, il noto oratore e politico
romano Cicerone rispose: «Qualcosa che, se verrà, non dico distrutto, ma
soltanto messo da parte o […] custodito con scarsa cura, allora non c’è più
nulla che uno possa sentirsi sicuro di ricevere un giorno dal proprio padre o
di trasmettere ai figli. […] Perciò, quanto avete ricevuto dagli antenati, il
patrimonio pubblico del diritto, voi dovete conservarlo non meno diligentemente
di quello in cui consiste la vostra “cosa” privata: non solo perché
quest'ultima sarebbe indifesa senza il diritto civile, ma perché un patrimonio
si perde con il danno di una sola persona, l'ordinamento giuridico invece non
si può perdere se non con il danno immenso di tutti i cittadini»[2].
La consapevolezza della
necessità del diritto civile è avvertita, dunque, già nel primo secolo a.C. e
ad esso, secondo una delle più lucide e penetranti menti del tempo, è assegnato
il compito di garantire la certezza dei rapporti tra i cives e, in tal modo, la pace sociale.
Molti secoli dopo, alla
medesima domanda sul diritto civile, un illustre maestro del diritto civile
italiano attuale, Guido Alpa, risponde: «le sue definizioni variano nel tempo e
nello spazio […] rappresenta il diritto che per molto tempo si è occupato “dei
rapporti familiari, successori, della proprietà, dei contratti e dei danni”»[3].
Con queste, incisive,
parole l’autore focalizza l’attenzione sulla pregressa concezione del diritto
civile che lo identificava con il diritto dei rapporti meramente patrimoniali
ed economici. Ma il dibattito, avviato da tempo, sulla cd. depatrimonializzazione del diritto civile[4] ha
evidenziato che, in una prospettiva unitaria dell'ordinamento[5] e,
conseguentemente, della sua assiologia, il diritto civile non può continuare ad
essere considerato il diritto dei rapporti patrimoniali[6]. Tali
conclusioni sembrano raggiunte dalla dottrina più avvertita, secondo la quale
il diritto civile attuale, lungi dall’essere solamente il diritto dei rapporti
patrimoniali, è il diritto di tutti i rapporti
civili: «per certi versi è un ritorno all'antico, allo ius civile come il diritto dei cittadini concernente i loro
rapporti personali e patrimoniali e che, in una versione moderna, considera i
rapporti patrimoniali come strumentali per la realizzazione di quelli
personali, dando priorità al valore della persona»[7].
Tali riflessioni inducono
a riconsiderare sotto nuova luce la visione, espressa già un cinquantennio fa,
secondo la quale tutta l'esperienza giuridica «si raccoglie nella vita della
persona e si espande nello spiegarsi concreto delle sue libere attività e di
tutte le creazioni dirette a soddisfare le sue esigenze naturali e personali.
Ristrette ed astratte concezioni […] del diritto, sono superate nell'assoluta
concretezza della persona come princìpio che dà sostanza e valore a tutta
l'esperienza e le sue forme concrete»[8].
Questa concezione, straordinariamente moderna,
anticipa il passaggio dalla nozione formale ed astratta di persona fisica del
libro I del cod. civ. – espressione dello statual-legalismo che si esprime nei
concetti di capacità giuridica e di soggetto di diritto[9] –
alla nozione di persona[10]
intesa quale «realtà umana che preesiste, anche giuridicamente, al diritto
positivo»[11].
È la persona umana[12] –
ossia la personalità, «valore obiettivo, interesse, bene giuridicamente
rilevante»[13]
– a costituire il valore normativo, enunciato agli artt. 2 e 3 della
Costituzione repubblicana, posto al vertice della gerarchia dei valori
dell’ordinamento[14].
Nell’ordinamento
comunitario è stato di recente positivizzato, quale valore normativo unificante
l'esperienza giuridica, il valore della dignità umana[15].
Com’è noto, difatti, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nel
Preambolo attribuisce sia preminenza alla dignità
umana, collocata al primo posto tra i valori fondanti l’ordinamento
comunitario, sia centralità alla persona[16]. Significativamente, inoltre,
l’articolo di apertura della Carta (art. 1), al vertice di una sorta di
catalogo dei diritti fondamentali, proclama: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».
La clausola generale di dignità[17], già
presente in molteplici testi normativi sovranazionali e interni[18],
costituisce uno dei princìpi cardine del sistema comunitario, il valore
normativo di rilevanza sovraordinata, fondamentale, rispetto al quale tutti i
singoli diritti umani si pongono quale sua attuazione e specificazione[19].
Essa è allo stesso tempo valore, princìpio e diritto: bene generalissimo,
giustificazione o fondamento dell’attribuzione dei diritti e pretesa
suscettibile di tutela giuridica autonoma rispetto ad altre pretese[20].
Della clausola sono state
sottolineate sia la ambiguità, sia le difficoltà di comprenderne gli usi giuridici[21]; si
è inoltre espressa la preoccupazione che essa, in virtù della propria elevata pulsione ideale, subisca un annacquamento, una banalizzazione[22],
qualora, nella sua indubbia complessità, non sia raccordata con i postulati
dello Stato di diritto, con gli altri valori fondanti l’ordinamento comunitario
della solidarietà e dell’uguaglianza[23].
Va peraltro evidenziato che nel Trattato di
Lisbona, fra i valori fondanti
l’Unione, si distingue il rispetto della
dignità umana dal rispetto dei
diritti umani, questi ultimi in posizione strumentale alla realizzazione
del valore-persona: è pertanto il primo a connotare ed impegnare l’ordinamento
comunitario; rispetto ad esso, quella dei diritti dell'uomo[24] si
pone quale strategia e nuova fonte di legittimazione dell’Unione[25].
Per tale via si delinea il superamento del vizio originario del diritto
comunitario, la sua formazione ad esclusiva tutela degli interessi patrimoniali[26] e si
prospetta una considerazione globale delle situazioni soggettive, unificate dai
valori di riferimento[27]. Si
segna in tal modo il definitivo passaggio «dall’Europa dei mercanti all’Europa
dei diritti»[28]:
il processo freddo dell’integrazione
europea si accende così con il fuoco
di valori caldi[29].
Va segnalato che, in tema di dignità umana e di individuazione delle
modalità di attuazione, l’opera della giurisprudenza della Corte di Giustizia è
incessante e si rivolge ad aspetti finora non presi in considerazione. Si
pensi, ad esempio, alle pronunce in tema di diritto all’autodeterminazione nel
campo dell’attività sportiva: la dignità umana è assunta quale princìpio
assoluto, in alcun modo comprimibile, nemmeno dal suo titolare, sovraordinato
rispetto agli altri diritti fondamentali, quali il diritto al lavoro, la
libertà di prestazione dei servizi e il diritto d’iniziativa economica.
Una
decisione[30], in
particolare, merita di essere segnalata al riguardo. Essa si occupa dei cd. Laser-sport e si pone in assoluta
continuità con la nota vicenda, esaminata dal Consiglio di Stato francese,
riguardante il cd. lancio del nano[31]. Con
essa si conferma il divieto di talune attrezzature in quanto lesive del valore
della dignità umana, “pietra angolare” su cui si regge l’ordinamento giuridico
comunitario.
Il valore della dignità
umana connota e permea di sé l’intero ordinamento nella pluralità delle sue
fonti. Si pensi ancora, quale declinazione,
per così dire, di tale valore a tutta la normativa in materia ambientale[32],
basata sul princìpio di precauzione[33], il
quale segna un fondamentale passaggio da una tutela successiva e dalle
tradizionali tecniche riparatorie ad una tutela preventiva, cautelativa,
precauzionale appunto, qualora vi sia incertezza scientifica sulle conseguenze
(potenzialmente nocive) delle applicazioni tecnologiche o, meglio, quando le
conoscenze scientifiche non provano ma nemmeno escludono la pericolosità per la
salute (o per l’ambiente) di un’attività la quale presenta indubbi vantaggi, ma
i cui eventuali danni non sarebbe possibile eliminare mediante interventi
successivi, si pensi alla normativa in tema di organismi geneticamente
modificati[34].
Esso è espressione di una tendenza più generale ogniqualvolta siano in gioco
interessi quali l’ambiente, la vita e la salute umana.
Alla luce dei valori
normativi – costituzionali e comunitari – fondanti l’ordinamento, il paesaggio
socio-giuridico fissato nel codice civile[35]
sembra ormai «uno di quei fondali di teatro dove sono dipinte oleografie
artificiose e irreali»[36].
Il diritto dei cives
del ventunesimo secolo si inserisce, per così dire, in un paesaggio
socio-giuridico diverso da quello fissato nel codice civile: esso è chiamato a
dare attuazione alle scelte assiologiche dell’ordinamento italo-comunitario, ai
valori fondanti l’ordinamento e, tra questi, in primis al valore
normativo della persona umana. Peraltro non va sottaciuto che in attuazione di
questo valore, alcuni interessi e bisogni umani «trascendono le singole
categorie dei singoli interessati ed investono ed impegnano tutta la compagine
sociale: sono quegli interessi unitari che si riferiscono alla conservazione
stessa della compagine sociale considerata nella sua natura storica e concreta»[37].
Il diritto civile invero
da sempre ha garantito la pace sociale, regolamentando i rapporti tra i privati
ai quali si richiedeva il rispetto degli imperativi ulpianei che fondavano la
convivenza civile (honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere)[38];
oggi però è chiamato a raccogliere sfide nuove: esso non è e non può essere più
soltanto il sistema regolatore di rapporti individuali, a tutela del patrimonio
e della persona, degli interessi privati e di posizioni giuridiche soggettive
particolari.
Nella nuova proiezione il
diritto civile assume compiti nuovi: dare attuazione ai valori normativi a
fondamento del sistema, cioè ai valori che nella comunità trovano la loro fonte
e la loro origine e che di essa costituiscono espressione. Ne consegue che
tutti gli istituti del diritto civile devono conformarsi a tali valori; essi
«non sono più relegabili aprioristicamente nel ruolo di limiti o di finalità
esteriori, non idonei ad incidere sulla funzione dell'istituto e quindi sulla
sua natura»[39].
Il diritto attuale dei cives, a mio parere (in un momento
storico nel quale il modello di sviluppo dominante e sinora seguito non sembra
assicurare la sopravvivenza della comunità, che si pone, da un lato, quale
destinataria delle sue regole, dall’altro, quale fonte da cui originano i
propri valori fondanti), non può non occuparsi e preoccuparsi della possibilità
stessa dell’esistenza e sopravvivenza dell’intera comunità giuridica e sociale.
In altri termini: il
diritto presente dei cives si
proietta nel futuro e accompagna, con le sue categorie ed i suoi istituti, lo
sviluppo sostenibile, il quale appare come l’unica prospettiva in grado di
consentire «alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza
compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri»[40]. Da
questa consapevolezza potrà svilupparsi il diritto civile moderno,
profondamente rinnovato, adeguato a garantire la sostenibilità sociale,
economica, istituzionale, ambientale dello sviluppo futuro.
Un diritto civile che,
lungi dall’essere sulle nuvole[41], è
scritto «sulla pelle degli uomini»[42], in
quanto è «radicatissimo nella società, [...] specifica la globalità del
sociale»[43].
Mi pare, dunque, che siano
tracciati, così, i confini di un innovato diritto civile; esso si
profila quale diritto che «non è soltanto nelle leggi e nei decreti posti dagli
uomini, ma anche nei bisogni, nei desideri, nelle speranze, negli ideali che
sono in quegli uomini che pongono quelle leggi e quei decreti e che
predispongono leggi e decreti, e istituzioni, e organismi semplici e complessi,
per difendere il loro diritto ad avere quei bisogni, quei desideri, quelle
speranze, quegli ideali»[44].
Esclusivamente in tal modo
il diritto può assolvere al compito cui è chiamato ed aspirare a divenire
realmente, secondo l’insegnamento capograssiano[45], esperienza, storia vivente, dimensione
della vita, specchio ed espressione della società, del coacervo complesso dei
valori e degli interessi, secondo una prospettiva che risolve la nozione
normativa di interesse nella «esigenza di beni o valori da realizzare o da
proteggere»[46].
Se si volesse raffigurare
con un dipinto bucolico il diritto civile attuale, come si è osservato, si
dovrebbe disegnare un paesaggio variegato composto da «resti archeologici,
provenienti dal diritto romano, costruzioni medievali, provenienti dal diritto
comune e dal diritto canonico, alberi della libertà con il berretto frigio,
provenienti dai diritti fondamentali nati dalla Rivoluzione francese, campagne
ubertose governate dal diritto agrario, fabbriche, miniere, porti da cui sono
sorti i diritti sindacali, i monumenti dei codici civili e di commercio, i
fasti della Costituzione repubblicana e poi un groviglio intricatissimo di
giunchi e rovi, la legislazione speciale, dello Stato e delle Regioni. E in
bella mostra una sorgente che viene dal cuore dell'Europa, da cui sgorgano la legislazione
comunitaria e la giurisprudenza della Corte di giustizia. È un paesaggio che
oggi muta […] molto rapidamente. Uno dei mutamenti più significativi del
diritto privato riguarda le sue fonti»[47], in
quanto si tratta di un diritto non più dominato solamente dalla componente
legislativa, ma molto più articolato[48].
Da tutto ciò emerge che
un’indagine sulle fonti del diritto civile oggi appare non agevole, complessa
ed articolata. In effetti, come si è opportunamente osservato, «mentre in
momenti storici di radicata uniformità assiologica non vi è sostanziale
sfasatura tra l'ordinamento assunto nelle sue strutture […] stabilizzate e
l'analisi dei fatti idonei a produrli, vi sono stagioni di passaggio (delle
quali può essere assunta ad esemplare paradigma quella che stiamo vivendo) […]
in cui la fluidità del processo di giuridificazione non consente di designare
con perentoria puntualità i fatti ai quali l'ordinamento conferisce
l'attitudine a produrre norme giuridiche»[49].
A ben vedere la stessa
metafora di “fonti del diritto” è ambigua, in ambedue i suoi termini: non è
chiaro cosa debba intendersi per fonte
e per diritto[50].
La tradizione, com'è noto,
ci ha consegnato la distinzione tra fonti di produzione e fonti di cognizione.
Con l’espressione fonti di produzione ci
si riferisce, secondo l’insegnamento kelseniano, sia ai modi o ai metodi di
produzione del diritto - agli atti o ai fatti da cui dipende la creazione di
norme giuridiche - sia alle norme superiori che disciplinano la produzione del
diritto (norme sulla produzione giuridica)[51]; da
qui la nota definizione di fonti di produzione del diritto quali atti o fatti
giuridici dai quali, in virtù delle regole sulla produzione, dipende la
creazione o l’esistenza di norme giuridiche[52].
Questa visione non
consente però oggi di individuare con certezza tutti i fatti normativi; ciò in
ragione anzitutto della molteplicità di significati attribuibili alla locuzione
“fonti del diritto”. Le radici della confusione che ne deriva sembrano
rinvenibili, da un lato, nella sovrapposizione tra il significato per così dire
fisico del termine ‘fonte’ (quale origine)
ed il significato figurato di fondamento:
la fonte è il punto in cui diventa visibile una vena d’acqua e, per questo, in
senso figurato, assume il significato di fondamento del diritto[53];
dall’altro, nella positivistica e formalistica convinzione[54] che
costituisca diritto solo quello emanato secondo determinate procedure e da ciò
ne discende la possibilità di rinvenire una gerarchia tra le norme
dell’ordinamento[55].
L’intreccio ora indicato
ha portato al postulato del primato della legge sulle altre fonti del diritto e
dimostra che ogni teoria delle fonti del diritto, pur pretendendo di presentarsi
sotto veste scientifica, in realtà rappresenta il tentativo di fare accettare
come diritto valido prescrizioni derivanti da talune fonti piuttosto che da
altre[56].
Al riguardo mi piace
ricordare che la definizione tradizionale di fonti di produzione è stata
radicalmente contestata dal giurista russo Leone Petrazycki, il quale ha negato
che la legge, la consuetudine, i regolamenti, ecc., costituiscano fonti del
diritto, affermando che esse sono in realtà tipi
di diritto. Secondo il giurista russo l’uso della metafora non è
ammissibile da un punto di vista scientifico, come non sarebbe ammissibile che
gli zoologi chiamassero cani e gatti “fonti degli animali”: alla stessa maniera
«le “fonti del diritto” (consuetudini, leggi, ecc.) non sono fonti, ma esse
stesse diritto. Non è perciò esatto parlare di “fonti del diritto”, e discutere
delle loro relazioni con la legge»[57].
Nonostante le ambiguità e
le incertezze che caratterizzano la metafora, va però detto che essa svolge una
funzione difficilmente sostituibile. Si tratta infatti di un concetto del
quale, al pari di altri concetti normativi, ci serviamo per indicare in maniera
sistematica il rapporto tra un fatto giuridico e gli effetti giuridici che esso
determina[58]:
la genesi di una norma ad opera di una fonte del diritto ne determina la
validità, ossia la sua appartenenza al sistema giuridico, con tutto ciò che ne
consegue, a cominciare dalla sua obbligatorietà, dovuta per l'appunto alla
conformità ai criteri dettati per la sua produzione e la sua applicazione.
Va a questo punto rilevato
che, come incisivamente è stato osservato, la metafora delle fonti del diritto
«tende necessariamente a mettere insieme i vari fattori storici, economici,
sociali e politici che di volta in volta determinano il sorgere di particolari
norme o di determinati istituti […] quei processi spirituali, sociali ed
economici che conducono a rendere operanti i valori giuridici nella vita
concreta dei singoli, delle esperienze giudiziali, della comunità nel suo
complesso»[59].
Da ciò consegue che, per
una compiuta indagine intorno alle fonti del diritto civile oggi, occorre
partire dalla concezione del diritto
come esperienza giuridica; vale a
dire, dalla considerazione del diritto come nulla di diverso ed, anzi,
costituente un tutt’uno con la civiltà e la cultura nelle quali nasce e si
radica. Questo sul presupposto che il diritto
non si identifica con la Legge,
come (soprattutto per la dominante influenza del positivismo giuridico) spesso si fa, continuando troppo spesso
ancora oggi a considerare coincidente il diritto
non con l’intero Jus, comprensivo
di ogni singola manifestazione della giuridicità[60],
bensì solamente con una di esse: la Legge
dello Stato.
Il che oscura la
consapevolezza che il Diritto è più
antico e più vasto della sua peculiare espressione storica rappresentata dalle
leggi dello Stato, dal diritto prodotto dagli Stati-Nazione. In questi ultimi -
con una inversione di rotta rispetto al passato, nel quale i rapporti erano
retti da una concezione universale del diritto - il diritto statuale assume una
posizione di monopolio, segnando in tal modo il passaggio dal particolarismo
giuridico al monismo[61]
della legge; per tale via il diritto finisce con l’avere gli innaturali confini[62]
geografici dei territori degli Stati[63].
Invero l’ideale
illuministico e positivistico della certezza del diritto ha segnato una svolta
nella teoria delle fonti: negli Stati-Nazione il diritto era soltanto lo ius scriptum ufficiale - costituito
dalle leggi emanate dallo stato attraverso i propri organi - in quanto la
potestà legislativa rappresentava una delle più importanti manifestazioni della
sovranità statuale.
Ne consegue, da un lato, il peculiare assetto gerarchico delle
fonti del diritto (giunto pressoché inalterato sino ai nostri giorni, ma ora in
profonda e radicale crisi[64]), nel quale la
consuetudine[65]
è relegata all’ultimo posto, mentre nessun rilievo è attribuito alla dottrina
ed alla giurisprudenza, e, dall’altro, l’instaurarsi di un legame inscindibile
tra il diritto ed il potere politico.
Tutto ciò impedisce una visione della complessità dell’esperienza
giuridica: il diritto diventa espressione di una sola cultura[66] ed è, per così dire,
sradicato dalla ricchezza del sociale, con il rischio – denunciato - della
separazione fra «dimensione giuridica e civiltà retrostante [...] e cultura
circolante»[67];
viene così a determinarsi uno scollamento, una tensione dicotomica tra il
diritto ufficiale e le esigenze, gli interessi, i bisogni, i valori presenti ed
espressi dalla società.
In tal modo la giuridicità si trasforma in legalità. Lo Stato
monopolizza il sistema delle fonti riducendole sostanzialmente ad una: è la
legge scritta, l’unica consacrata con il crisma della legalità statuale, a
costituire il fondamento del diritto positivo.
Per
recuperare l'originaria ricchezza e la complessità della dimensione giuridica,
occorre anzitutto abbandonare questa visione riduttiva e considerare la
pluralità dei fatti normativi nell’attuale momento storico, segnato dalla crisi
dello statual-legalismo e del conseguente modello di diritto - ossia di un
certo modo di concepire il diritto e la scienza giuridica[68] - e
caratterizzato dall’assolutismo[69] e dal
monismo[70]
giuridico.
Da
tale irreversibile crisi della teoria delle fonti[71]
consegue il passaggio ad un’esperienza giuridica, complessa[72] ma
unitaria[73],
connotata da una pluralità[74] di
fenomeni normativi – infra, supra e transnazionali – riconducibili
all’ordinamento giuridico statale.
Devono quindi annoverarsi,
accanto e oltre le fonti del diritto di tipo formale - tra le quali fanno
ingresso le fonti comunitarie e le fonti di derivazione regionale - le cc.dd.
fonti non formali del diritto, le quali assumono rilevanza anche nelle
trattazioni manualistiche ed istituzionali. È significativo che, in una recente
riflessione dedicata ex professo alle
fonti del diritto, con perspicacia si annoverino tra esse anche il diritto non
scritto (le consuetudini e gli usi) e il diritto giurisprudenziale. L’assunto,
impensabile fino a poco tempo fa, si basa sulla considerazione che: «Se il
diritto sta nella complessità di un'esperienza, se nessun enunciato può essere
inteso […] in mancanza di un procedimento interpretativo, […] se, in
definitiva, il diritto, come concreto paradigma dell'agire sociale, va assunto
nella specificità di un criterio di effettività, appare assurdo escludere -
alla stregua dei consueti schemi formalistici - che anche la giurisprudenza
rientri fra le fonti del diritto»[75].
Particolare attenzione è
dedicata anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e a quella della
Corte costituzionale, la quale la quale da tempo ha ormai abbandonato la prassi
delle sentenze interpretative di rigetto e fa riferimento al cd. «diritto vivente, inteso come il
risultato precettivo che viene assegnato all'enunciato (o ad un sistema di
enunciati) all'esito del procedimento interpretativo quale prevalso in sede
giurisprudenziale»[76].
In forza del diritto vivente, da rinvenirsi ogni qual
volta si sia in presenza di uniformità delle pronunce giurisprudenziali, indice
del consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale[77],
«ogni giudizio di costituzionalità viene svincolato dalla apparente
immodificabilità di un testo e ricondotto alla storica mutevolezza di un
contesto. Il tutto nel quadro di un sistema che, anche al di là dei profili
connessi alla globalizzazione, è chiamato ormai costantemente a fare i conti
con un progressivo ridursi del tentativo di incidenza della legge e un
corrispondente allargamento di altre fonti»[78].
Sul diritto vivente già efficacemente era stato affermato che la teoria
che ne costituisce il fondamento «supera la posizione, caratteristica del
positivismo ottocentesco, che identifica la norma col testo legale, e aderisce
al princìpio ermeneutico che al testo riconosce solo un valore euristico per la
ricerca della regola di decisione. Il testo è il dato di avvio
dell'elaborazione della norma, nella quale si esprime il significato ascritto
dall'interprete al testo in vista dell'applicazione a un caso concreto»[79].
Nelle più recenti
trattazioni manualistiche si annovera peraltro, tra le fonti non formali, anche
la dottrina, con la precisazione che a tale termine va attribuito «anziché il
significato riduttivo del complesso di scritti ed opinioni espresse in sede
accademica, quello più pregnante di meccanismo di intermediazione»[80];
così intesa la scienza giuridica, si sostiene, «non si può negare che essa sia
veramente produttrice di diritto, anzi, se non sembrasse un paradosso, che essa
è l'unica vera fonte di diritto nell’esperienza giuridica»[81].
Accanto alla dottrina, una
recente e autorevole trattazione menziona infine, tra le fonti del diritto
privato non formali, anche il diritto delle Autorità indipendenti[82] e
persino le fonti legate all’autonomia dei privati, i Codici deontologici[83].
Le fonti del diritto
privato attuale dunque appaiono profondamente diverse rispetto al passato, in
un momento nel quale tutto il diritto è connotato dalla produzione spontanea di
esso e dalla sua circolazione planetaria. Si pensi, a mo' di esempio, al
crescente uso delle tecniche del cd. shopping
del diritto[84]
e del forum shopping[85];
agli usages commerciales (trade usages); alla Giustizia cd. alternativa, nella quale le rationes decidendi dei lodi arbitrali,
progressivamente ma inesorabilmente, acquistano forza giuridica e valore di
precedente; ai contratti atipici creati spesso non dai legislatori nazionali,
bensì negli uffici legali delle grandi multinazionali, all’emersione di figure
nuove quali le clausole di gross
disparity e di hardship che hanno
rapidissimamente fatto il giro del mondo.
Senza dimenticare che la
società globale sembra ormai avere un proprio diritto, la rinnovata lex mercatoria[86]:
come è noto da tempo (in particolare attraverso le clausole standard, le condizioni generali e i
contratti-tipo) nel commercio internazionale si è giunti ad una disciplina -
minuziosa ed in gran parte internazionalmente uniforme - dei rapporti d’affari.
Essa ormai costituisce un sistema normativo sovranazionale a sé stante, grazie
al quale gli operatori economici riescono a regolamentare i propri rapporti
d’affari, prescindendo dai rispettivi diritti nazionali[87].
Invero, con riferimento
alla lex mercatoria occorre muovere
un rilievo, sia pure meramente terminologico: per questo diritto transnazionale
di formazione spontanea, sarebbe più corretto parlare di ius mercatorum piuttosto che di lex
mercatoria. Tuttavia è di tutta evidenza che con tale espressione erudita
si vuole intenzionalmente richiamare il fenomeno, per certi versi analogo, del
diritto del medioevo che andava sotto lo stesso nome di lex mercatoria.
Va rilevato che il
mercato, nel regolamentare propri bisogni, mostra sensibilità per i temi etici
che riguardano l’ambiente e i popoli, al punto da sembrare non solo che la cd. lex mercatoria abbia limiti endogeni, ma
anche che si stia configurando una business
ethic della business community.
Ciò stupisce
piacevolmente, ma non è sufficiente: si rivela indispensabile l’opera del
giurista contemporaneo, teorico e pratico, il quale non è solamente chiamato a
farsi carico dei timori relativi ai pericoli che il diritto, qualunque sia la
fonte da cui deriva, presenta per la stabilità, la sicurezza e la certezza dei
traffici giuridici[88], ma
soprattutto della preoccupazione di garantire il rispetto non della legge,
bensì del diritto, ossia «dell’ordinamento unitariamente inteso»[89], con
la molteplicità delle sue fonti.
Il complesso ed articolato
assetto delle molteplici fonti del diritto civile esige la mediazione culturale
dei giuristi, ancor più necessaria in una fase storica in cui il diritto
«nasce, si sviluppa e consolida dal basso, ossia a contatto con una spontanea
composizione degli interessi e dei valori»[90] e le
sue fonti, pur non rivestite di validità formale, sono munite di effettività:
solamente i giuristi possono scongiurare il paventato rischio che in esso,
poiché si tratta per lo più di «canoni dettati dalle imprese di maggior peso
sul mercato, cui gli operatori di minor rilievo spesso soggiacciono in
condizione di disparità contrattuale»[91],
possa ritornarsi «alla bruta graduatoria della forza»[92].
Occorre, in altri termini,
evitare che la formazione di tale diritto resti affidata ai pratici, «senza il
supporto della intelaiatura teorico-sistematica che è specifico compito della
dottrina fornire agli operatori del diritto»[93] e
raccogliere l’autorevole monito a recuperare la dimensione storica del diritto,
la sua carnalità[94]:
«valori, fatti, interessi devono emergere alla dimensione giuridica e segnarla
nei loro aspetti positivi e negativi»[95].
Tutto ciò conduce ad un necessario mutamento di metodo[96] negli studi giuridici e
all’adozione di una metodologia storica e relativa[97], in antitesi al metodo
concettuale e dogmatico[98] della precedente epoca
della storia giuridica, caratterizzata dall’elaborazione di grandi categorie
giuridiche dogmatiche ed astratte[99], immutabili, universali
ed astoriche[100],
e dalla costruzione di concetti astratti e generali[101].
Il mutamento di metodo
prospettato porta ad un cambiamento epocale e consente, per così dire, di
sciogliere «i fiori di ghiaccio che nascono così rigogliosi nelle teste dei
sapienti del diritto»[102].
Esso ha già indotto una
parte avvertita della dottrina a prendere definitivamente le distanze dalle
grandi costruzioni dogmatiche ritenute eterne, immutabili, universali ed
astoriche[103]:
il ruolo del giurista è ben altro[104].
Egli non può limitarsi all’individuazione di categorie giuridiche (ordinanti la
realtà) generali e astratte, e di concetti[105],
come tuttavia è apparso ogniqualvolta sono state elaborate teorie cc.dd. pure[106].
Il giurista, dinanzi alla
crisi del diritto[107], è
chiamato a rivestire un ruolo delicato in un complesso momento storico nel
quale, da un lato, lo Stato si rivela incapace di ordinare la realtà con i
propri strumenti legislativi - le sue leggi, come qualcuno provocatoriamente ha
affermato, sono simili al ruggito del
topo[108] - dall’altro si moltiplicano i centri
di produzione del diritto e delle norme[109].
La crisi profonda, autorevolmente definita vera e propria erosione, del sistema tradizionale delle
fonti – ormai simile ad un castello di
sabbia[110]
- e del conseguente monopolio normativo degli Stati nazionali, con lo
spostamento della produzione normativa in atto «dagli antichi centri di una
legislazione unificata [...] verso nuove periferie»[111], costituisce una
difficilmente ripetibile opportunità da saper cogliere, un imperativo
ineludibile per il giurista[112] il quale non può ridursi
ad essere un mero esegeta che si limita ad una attività logico-ermeneutica,
risolvendo puzzle[113], ossia mettendo insieme frammenti sparsi di materiale normativo.
Egli è colui che, detentore di un sapere tecnico, quello giuridico, deve
fungere in qualche modo da ponte con la società[114], con i fermenti e i
valori in essa presenti.
Il giurista è chiamato,
per il suo sapere tecnico–giuridico, a mettere a fuoco la dimensione giuridica
dentro la realtà socio-economica[115] e
ad una presenza attiva ed incisiva nella società[116].
Insomma: la crisi delle fonti «disseppellisce dai sepolcri [...] proprio i
giuristi [...] come personaggi – non importa se teorici o pratici – chiamati a
ordinare con le loro categorie e con le loro invenzioni tecniche le richieste
di un mondo economico ormai avvezzo a spazi virtuali, che si infischia degli
Stati, delle loro sovranità, delle loro frontiere limitate, delle loro leggi
viziate da intollerabili particolarismi territoriali e anche dalla sostanziale
incapacità a seguire un mutamento vorticoso»[117].
Al giurista spetta quindi
un compito rinnovato, di fronte alle sfide poste dall’attuale crisi del sistema
delle fonti del diritto. Quest’ultimo non è più rappresentabile attraverso la
metafora della piramide[118], ma
stenta a trasmigrare in una nuova immagine efficace: inadeguata si rivela la
raffigurazione della rete[119] e
quella del diritto-ape[120], in
contrapposizione al diritto ragno, anche se quest’ultima più di tutte rende
l’idea dell’attuale formazione del diritto, il quale si nutre di fiori diversi in maniera casuale,
caotica, disordinata.
Il mutato assetto delle
fonti del diritto, riflesso giuridico anche della globalizzazione dei mercati[121],
esige la mediazione culturale del giurista[122]; a
lui si chiede di recuperare il «naturale aggancio fra società e diritto, fra
cultura e diritto»[123],
quale erede di quel personaggio fecondo
che, dall’antica Roma ad oggi, «si è fatto lettore di esigenze oggettive, ha
avvertito il compito di ordinarle all’insegna di una sentita etica della
responsabilità e le ha tradotte in princìpi e regole di convivenza»[124].
New boundary lines of the
current civil law and law sources in the Italy-EU system
The author develops an innovative
overview of the boundary lines of the present civil law, by means of a
comprehensive analysis of ancient and recent sources in the Italy-EU law
system.
In such a framework, the present civil
law cuts broadly across laws governing individual legal relationships,
patrimonial and economic relationships protecting person and patrimony, as well
as private interests and specific subjective legal positions.
In the light of the values inspiring the
legal order, enshrined in the Italian Constitution and in the European Union
Treaties, and in a unitary perspective of the legal order itself and its
axiology, the ius civile in its
entirety – the basic law of all civil relationships - is summoned to implement
the Italy-EU law system’s axiological choices - in primis, the regulatory value of human dignity.
In particular, the interpretation of the
value of human dignity in a diachronic perspective exhorts jurists to provide
the future generations with a protective shield, recommending a reconsideration
of all civilist institutes and bestowing new tasks on the civil law.
The author highlights the demanding task
of the jurist, who - facing the challenges set by the present crisis of the
traditional system of law sources that brought to the regulatory monopoly of
nation states – is called to re-design his undertaking, by means of a
comprehensive cultural mediation to be achieved while dealing with the present
civil law, proceeding from a heterogeneous system of multiple sources.
Laura Tafaro
Associate Professor (JUS/01: Private Law) at the “Aldo
Moro” University of Bari, Jonic Department “Mediterranean Economic and Legal
Systems: Society, Environment, Cultures”
[Per la pubblicazione degli
articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il
procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato
positivamente da due referees, che
hanno operato con il sistema del double-blind].
[1] Il dibattito sui confini del diritto civile risale agli anni '60 e ha coinvolto le
voci più autorevoli del tempo, v., in particolare, M. Giorgianni, Il diritto privato e i suoi attuali confini, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1961, 391 ss., spec. 399-403; R. Nicolò,
Diritto civile, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 904 ss., il
quale aveva anticipato le sue idee in Id.,
Riflessioni sul tema dell'impresa e su talune esigenze di una moderna
dottrina del diritto civile, in Riv. dir. civ., 1956, I, 177 ss.; Id., Codice civile, in Enc.
dir., VII, Milano, 1960, 240 ss.; S.
Pugliatti, Diritto pubblico e diritto privato, in Enc. dir.,
XII, Milano, 1964, 696 ss. Più di recente, per la ridefinizione dei confini del
diritto civile v., in particolare, i contributi di N. Irti, Diritto civile, in Dig.
disc. priv., sez. civile, VI, Torino, 1990, 142 ss.; Id., La cultura del diritto civile,
Torino, 1990, spec. 57 ss.; G. Alpa,
I nuovi confini del diritto civile, in La cultura delle regole.
Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 2009, 372 ss.; P. Grossi, La cultura del civilista
italiano. Un profilo storico, Milano, 2002, 145 ss.
[4] Sul punto cfr. C. Donisi, Verso la «depatrimonializzazione» del diritto
privato, in Rass. dir. civ., 1980, 644 ss.; A. De Cupis, Sulla
“depatrimonializzazione” del diritto privato, in Riv. dir. civ.,
1982, II, 482 ss.; P. Perlingieri,
"Depatrimonializzazione" e diritto civile, in Riv. dir. civ.,
1983, 1 ss., ora in Id., Scuole
tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, 175 ss., il
quale già in precedenza aveva evidenziato la «progressiva e sempre più spiccata
sensibilità del diritto privato contemporaneo, in tutte le sue componenti
(legislativa, dottrinale, giurisprudenziale), a dati non confinabili in schemi
e logiche di indole economica, anche - si noti - nei settori istituzionalmente
riservati ai rapporti patrimoniali»: Id.,
La personalità umana nell'ordinamento giuridico, Camerino-Napoli, 1972,
11 ss.
[5] Sull’unitarietà dell’ordinamento restano
ancora illuminanti, seppure con prospettive diverse, le pagine di T. Ascarelli, Norma giuridica e realtà sociale, in Problemi giuridici, I, Milano, 1959, spec. 71 ss.; M. Giorgianni, Il diritto privato e i suoi attuali confini, cit., 399 ss.; S. Pugliatti, Diritto pubblico e diritto privato, cit., 696 ss.; P. Perlingieri, Produzione scientifica e realtà pratica: una frattura da evitare,
in Riv. dir. comm., 1969, I, 455 ss.
[6] In questo senso v. P. Perlingieri, L’ordinamento vigente e i suoi valori.
Problemi del diritto civile, Napoli, 2006, 167 e 179. Secondo l’a.:
«L'unitarietà dell'ordinamento significa che i suoi principi ispiratori e
caratterizzanti sono presenti in ogni sua parte […] sistema, caratterizzato da
prospettive assiologiche unitarie».
[8] G.
Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe, in Scritti
giuridici in onore di F. Carnelutti,
Padova, 1950, ora in Id., Opere, Milano, 1959, vol. V, 186. In
argomento v. anche R. Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto
romano, 2a ed., Torino, 1961; Id., Della
esperienza giuridica vista da un giurista, in Riv. tr. dir. e proc. civ., 34 n. 4,
1980, spec. 1219 ss.
[9] Il soggetto di diritto, in tali pregresse
concezioni, è concepito quale somma dei diritti a lui spettanti. Sul punto è
d’obbligo il rinvio a R. Orestano, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto,
in Jus, 1960, 149 ss.; M. Giorgianni, Il diritto privato ed i suoi attuali confini, in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo
Jemolo, II, Milano, 1963, 355 s. Più di recente, in particolare, A. Gentili, A proposito de «il diritto soggettivo», in Riv. dir. civ., 2004, II, 351 ss.
[10] Così F.D. Busnelli, L'inizio della vita umana, in Riv.
dir. civ., 2004, I, 540. L’a., persuasivamente, sostiene che, al contrario,
l'uomo «postula una protezione la cui
estensione non sopporta limiti e/o misure di stampo statual-legalistico, ma è
funzionale allo "svolgimento della personalità" ed è proiettata verso
il "pieno sviluppo della persona umana"»: Id., cit., 562.
[11] G. Oppo, Declino del soggetto e ascesa della persona, relazione svolta al Convegno in onore di A. Falzea, Scienza e
insegnamento del diritto civile in Italia, (Messina, 4-7 giugno 2002), ora
in Riv. dir. civ., 2002, I, 829 ss.
L’a. afferma: «il diritto positivo può negare il soggetto o limitare la
soggettività, non può negare l’uomo; quando neghi il soggetto, persona e
soggetto possono separarsi» e, alla domanda su cosa occorra affinché vi sia l’uomo,
risponde: «non la vita piena, nel senso di vita aperta a tutte le capacità e
attitudini proprie dell’uomo: non vi è menomazione di queste capacità e
attitudini, originaria o sopravvenuta, che cancelli l’uomo, la persona, il
soggetto». In questo senso identifica il passaggio della «ascesa della
"persona" rispetto al "soggetto"», ma esso va inteso quale
ascesa dello stesso soggetto «da una condizione di soggezione a una condizione
sempre più di centralità nell'ordine giuridico», giungendo a configurare il declino del soggetto esclusivamente
«come riduzione di una posizione di prevalenza della nozione e della realtà
giuridica del soggetto rispetto alla nozione e alla realtà della persona; non
come perdita di sostanziale giuridicità».
[12] Nel senso che la persona umana costituisca un
valore normativo «alla base di una serie aperta di situazioni esistenziali,
nelle quali si traduce la sua incessante mutevole esigenza di tutela»: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema
italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 720; Id., La personalità
umana nell’ordinamento giuridico, cit., 12 ss., 137 ss.; Id., La personalità umana nell’ordinamento giuridico, in Id., La persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, Napoli,
2005, 5 ss.
[13] P.
Perlingieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, in Id., La persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, cit., 13.
[14] Riconosce la persona umana come valore dei
valori e l’intero ordinamento finalizzato alla sua attuazione P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema
italo-comunitario delle fonti, cit.,
spec. 433 ss.; Id., La personalità umana nell’ordinamento
giuridico, cit., spec. 12, 175 e
189 s.; Id., La personalità umana nell’ordinamento giuridico, in La
persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, cit., 3 ss. Considerano l’uomo ugualmente valore
assoluto, anche se con un senso ed una portata diversi, D. Messinetti, Personalità
(diritti della), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 359 ss., spec.
371 ss.; A. De Cupis, I diritti della personalità, in Tratt.
di dir. civ. e comm., Cicu e Messineo, Milano, 1982, 26 ss. Per effetto della collocazione
all’apice dei valori nello Stato sociale di diritto, la realizzazione del
valore-persona umana connota ed impegna l’intero ordinamento: il rispetto della
dignità di ciascuno, il principio di eguaglianza sostanziale e l’attuazione
della solidarietà impongono la considerazione di ciascun uomo come «un valore
incommensurabile verso la cui attuazione ottimale devono tendere le istituzioni
e la società civile». Così P.
Perlingieri, Gli istituti di
protezione e di promozione dell’«infermo di mente». A proposito
dell’andicappato psichico permanente,
in Rass. dir. civ., 1984, 61.
[15] La dignità umana è definita super-principio costituzionale da F.D. Busnelli, L'inizio della vita umana, cit., 548. Sulla necessità di un cambiamento culturale e di un approccio ermeneutico nuovo, in
conseguenza dell’ingresso nell’ordinamento di norme sia costituzionali, sia
comunitarie, con la consapevolezza che «i valori che tali norme esprimono […]
penetrano e dilagano in tutti gli istituti del diritto privato», P. Perlingieri, Valori normativi e loro gerarchia. Una precisazione dovuta a Natalino
Irti, in Rass. dir. civ., 1999,
787, 805. In argomento cfr. altresì N.
Lipari, Valori costituzionali e
procedimento interpretativo, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2003, 866, il quale segnala l’esigenza di un duplice filtro, in chiave di valori, costituzionale e comunitario.
[16] Nel preambolo della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea si afferma: «L’Unione si fonda sui valori
indivisibili e universali della dignità
umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà […] Pone la persona al centro della sua azione».
Sulla persona umana centro di ogni
azione comunitaria e sulla tutela dei diritti fondamentali quale presupposto della legittimità dell’Unione,
v. G. Vettori, Carta Europea e diritti dei privati (diritti
e doveri nel nuovo sistema delle fonti), in Riv. dir. civ., 2002, I, 670.
[17] Sulla clausola generale della dignità umana
quale valore e principio cfr., ex multis,
G. Alpa, Dignità. Usi giurisprudenziali e confini concettuali, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 425
ss.
[18] Per una ricognizione esaustiva dei riferimenti
normativi alla dignità umana, v. G.
Resta, La disponibilità dei
diritti fondamentali e i limiti della dignità (note a margine della Carta dei
diritti), in Riv. dir. civ.,
2002, II, 819 ss. e, ivi, ampi riferimenti bibliografici e
giurisprudenziali.
[21] In argomento cfr. G. Resta, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità
(note a margine della Carta dei diritti), cit., 823 ss.
[22] G. Resta, La
disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (note a margine
della Carta dei diritti), cit., 823 ss. L’a. evidenzia che l’opzione per
uno dei possibili significati della clausola (ad es.: l'accezione oggettiva o
soggettiva di dignità; il riferimento di essa al genere umano o al singolo
individuo; la sua identificazione con un principio
costituzionale supremo o con un valore
supercostituzionale o con una prestazione
da realizzare o con un concetto
relazionale in una comunità che si riconosce nei valori solidaristici)
conduce ad esiti applicativi molto diversi. Per questo, autorevolmente, si
propone l'utilità, piuttosto che di una definizione della clausola in positivo,
di una riflessione «con animo sensibile, e allo stesso tempo con partecipazione
tragica, su tutte le vicende della storia che si sono tradotte in una
mortificazione dell'umana dignità»: P. Rescigno,
Conclusioni, in Bioetica
e tutela della persona, Roma,
2000, 122.
[23] Il Trattato di Lisbona,
all’art. 1-bis, elenca, quali valori comuni
agli Stati membri sui quali si fonda l’Unione quelli della tutela «della
dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato
di diritto e del rispetto dei diritti umani […] in una società caratterizzata
dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia,
dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».
[24] Diritti definiti, con
riferimento alla costituzione italiana, diritti dell’uomo «nel suo essere e nel
suo realizzarsi, nella sua privata solitudine e nel suo colloquio con la
società civile»: A. Falzea, La Costituzione e l'ordinamento, in Riv.
dir. civ., 1998, I, 264.
[25] Nel senso che i diritti
fondamentali costituiscano il principio
e la fine dell’Unione europea: E. Resta, Il diritto fraterno, Roma-Bari, 2002, 55; afferma che
esclusivamente tale loro considerazione potrà consentire alla globalizzazione, inevitabile, di realizzarsi a
misura d’uomo; G.M. Flick, I diritti umani nell’esperienza europea e
locale: una risposta ai problemi della globalizzazione?, in Pol. dir., 2003, 143. Per una puntuale
ricostruzione delle principali tesi dei diritti dell’uomo nell’ordinamento
comunitario e internazionale, v. G.
Azzariti, Il futuro dei diritti
fondamentali nell’era della globalizzazione, in Pol. dir., 2003, 327
ss.
[26] Si domanda se non sia
dato cogliere nell’intero universo giuridico comunitario una dimensione riduttiva
della persona, tra i tanti, G. Alpa, Diritto
comunitario, status e tutela della
persona, in Diritto privato europeo e
categorie civilistiche, (a cura
di) N. Lipari, Napoli, 1998, 60.
[27] Così G. Vettori, Carta Europea e situazioni dei privati, in Riv. dir. priv.,
2001, III, 473 ss.; Id., Carta Europea e diritti dei privati (diritti
e doveri nel nuovo sistema delle fonti),
in Carta europea e diritti dei
privati, (a cura di) G. Vettori, Padova, 2002, 687 ss.; Id., La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, in Riv. dir. priv.,
2007, IV, 701 ss. L’a., dopo essersi soffermato sulle cause della diversa
rilevanza delle situazioni esistenziali e patrimoniali nell’ordinamento
comunitario, ipotizza la creazione di uno statuto
dei diritti di cittadinanza riguardanti la persona in ogni sua
manifestazione.
[28] Ciò attraverso una tavola
di valori fondamentali europei «legittimamente riferibili ai popoli
dell’Europa», come afferma A. Falzea, La Costituzione e l’ordinamento, cit.,
298.
[30] Corte
di giustizia 14 ottobre 2004, Causa C-36/02. In argomento cfr. E. Pellecchia, Il caso Omega: la dignità umana e il delicato rapporto tra diritti
fondamentali e libertà (economiche) fondamentali nel diritto comunitario,
in Europa e diritto privato, 2007, n.
1, 181. La decisione, era originata dal cd. laser-sport
praticato in un locale di Bonn, nel quale venivano forniti, quale attrezzatura
per l’esercizio di tale attività, apparecchi di puntamento a raggi laser e
sensori riceventi installati sia nelle piattaforme di tiro, sia nei giubbotti
indossati dai giocatori. I giochi - consistenti nella simulazione di omicidi
mediante spari su persone attraverso raggi laser, integranti forme gratuite di
banalizzazione della violenza - erano stati vietati sul presupposto della
sussistenza di un pericolo per l’ordine pubblico e per la violazione di valori
etici fondamentali della comunità tra cui la dignità umana.
[31] Conseil d’État, 27 octobre 1995, Ville d'Aix-en-Provence, in
Dalloz, 1996, jur., 177. Sulla decisione v., in particolare, A. Cassese, I diritti umani oggi, Roma-Bari, 2005, 57-58; I.G. Cricenti, Il lancio del nano. Spunti per un’etica del diritto civile, in Rivista critica del diritto privato,
2009, n. 1, 35. La vicenda era relativa alla decisione di una discoteca di un
paese a sud di Parigi di inserire uno spettacolo-gara riguardante il lancio di
un uomo nano per vedere chi riuscisse a scagliarlo più lontano. Il sindaco
vietò lo spettacolo affermando che fosse contrario all’ordine pubblico e al
rispetto della dignità umana, nonostante il nano fosse consenziente e fossero
state adottate tutte le misure idonee ad evitare che si facesse male.
[32] L’art. 174 del Trattato
di Lisbona, così recita: «La politica della Comunità riguardante l’ambiente
prevede un livello di protezione elevato [...] Essa si basa su principi di
precauzione e di azioni preventive». Il principio di precauzione compare per la
prima volta in un testo normativo nella Convenzione di Rio de Janeiro sulla
biodiversità. Al punto 15 della Dichiarazione di Rio, difatti, si afferma che
«Misure di precauzione per proteggere l’ambiente devono essere ampiamente
applicate dagli Stati in base alla loro capacità. In caso di minaccia di danni
gravi ed irreversibili, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve
servire da pretesto per rimandare l’adozione di misure convenienti miranti a
prevenire la degradazione dell’ambiente».
[33] Sul principio di
precauzione cfr., ex multis, D. Di Benedetto, Biotecnologie, principio di precauzione e responsabilità civile, in
Rass. dir. civ., 2007, 591 ss.; C.M. Dona’ dalle Rose, Riflessioni intorno all’evoluzione del
concetto di principio di precauzione, in Lezioni di diritto privato europeo, (a cura di) G. Alpa e G.
Capilli, Padova, 2007, 217 ss.; F.D.
Busnelli, Il problema della
clonazione riproduttiva, in Riv. dir.
civ., 2000, I, 175 ss.; A Gragnani,
Il principio di precauzione come modello
di tutela dell’ambiente, dell’uomo, delle generazioni future, in Riv. dir. civ., 2003, II, 9 ss.; P.A. Leme Machado, Il principio di precauzione e la valutazione dei rischi, in Riv. giur. amb., 2007, 881 ss.; L. Butti, Principio di precauzione, codice dell’ambiente e giurisprudenza delle
corti comunitarie e della corte costituzionale, in Riv. giur. amb., 2006, 809 ss.; E.D.
Cosimo, Il principio di
precauzione fra stati membri e Unione europea, in Dir. pubbl. comp. eur., 2006, 1121 ss.; E. Sessa, Profili
evolutivi del principio di precauzione alla luce della prassi giudiziaria della
corte di giustizia delle comunità europee, in Riv. giur. amb., 2005, 635 ss.; M.
Antonucci, Il principio
comunitario di precauzione e la tutela della salute, in Ragiusan, 2003, 396 ss.; C.M. Nanna, Principio di precauzione e lesioni da radiazioni non ionizzanti,
Napoli, 2003; L. Pannarale, Scienza e diritto - Riflessioni sul
principio di precauzione, in Sociologia
dir., 2003, 21 ss.; F. Acerboni,
Contributo allo studio del principio di
precauzione: dall’origine nel diritto internazionale a principio generale
dell’ordinamento, in Dir. regione,
2000, 245 ss.
[34] Sul principio di
precauzione in tema di ogm v., in particolare, L. Marini, Ogm,
precauzione e coesistenza: verso un approccio (bio)politicamente corretto?,
in Riv. giur. amb., 2007, 1 ss.; Id.,
Principio di precauzione, sicurezza alimentare e organismi geneticamente
modificati nel diritto comunitario, in Dir.
un. eur., 2004, 7 ss. e 281 ss.; Id.,
Il principio di precauzione nel diritto
internazionale e comunitari. Disciplina del commercio di organismi
geneticamente modificati e profili di sicurezza alimentare, Padova, 2004; F. Capelli, Presenza accidentale di Ogm negli alimenti e obblighi di etichettatura
anche alla luce del principio di precauzione, in Dir. com., 2003, 361 ss.; M.
Sollini, Il principio di
precauzione nella disciplina comunitaria della sicurezza alimentare. Profili
critico-ricostruttivi, Milano, 2006; L.
Costato, La corte di giustizia, il
ravvicinamento delle legislazioni e il principio di precauzione nel diritto
alimentare, in Dir. giur. agr. amb.,
2005, 649 ss.; A. Barone, Organismi geneticamente modificati (Ogm) e
precauzione: il «rischio» alimentare tra diritto comunitario e diritto interno,
in Foro it., 2004, IV, 248 ss.; F. Cocozza, L’ingegneria genetica nella catena alimentare e il «principio di
precauzione», in Quad. cost.,
2001, 313 ss.; F. Giampietro, Rischio ambientale e principio di
precauzione nella direttiva sugli Ogm, in Amb., 2001, 951 ss.; F.
Bruno, Principio di precauzione e
organismi geneticamente modificati, in Riv.
dir. agr., 2000, II, 223 ss.; I.
Canfora, La procedura per
l’immissione in commercio di Ogm e il principio di precauzione, in Dir. giur. agr. amb., 2001, 374 ss.; R. Pavoni, Misure unilaterali di precauzione, prove scientifiche e autorizzazioni
comunitarie al commercio di organismi geneticamente modificati: riflessioni in
margine al caso Greenpeace, in Dir.
com., 2000, 725 ss.
[35]
Al cui centro, com’è stato rilevato, vi è «il soggetto di
diritto, destinatario di regole eguali e astratte. Un uomo senza qualità,
pensato per un ordine economico e giuridico che ha necessità di rapporti
semplificati, compatibili con la logica degli scambi del tempo»: G. Vettori, Contratto e concorrenza, in Aa.Vv.,
Concorrenza e mercato. Le tutele civili
delle imprese e dei consumatori, (a cura di) G. Vettori, Padova, 2005, 1.
[36] P. Grossi, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 2006, 66. L'a. afferma che «i
fondali di carta dipinta cominciano a subire squarci, e gli squarci danno modo
ai tanti fatti retrostanti di invadere il proscenio».
[38] D. 1.1.10.1: “Iuris praecepta sunt haec:
honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”.
[40] Così, testualmente, nel Rapporto Brundtland, Our Common Future, della Commissione
Brundtland su Ambiente e Sviluppo del
1987.
[41] Afferma che il diritto «non è mai una nuvola
che galleggia sopra un paesaggio storico»: P.
Grossi, Prima lezione di diritto, cit., 43.
[44] P. Piovani,
Etica, in Enciclopedia del Novecento, Roma, 1977; ora, con il
titolo L'etica del Novecento, in Id., Posizioni e trasposizioni etiche, (a cura di) G. Lissa, Napoli,
Morano, 1989, 255.
[45] Indimenticabile l'insegnamento della dottrina
capograssiana dell’esperienza giuridica per la quale v., in particolare, G. Capograssi, Il problema della scienza del diritto, Roma, 1937 e Id., Studi sull’esperienza giuridica, Roma, 1932, ora, rispettivamente,
in Id., Opere, Milano, 1959, vol. II, 418 ss.; 214 ss.
[50] Sul punto cfr., in particolare, E. Pattaro, Temi e problemi di Filosofia del diritto, Bologna, 1994, 143; N. Lipari, Le fonti del diritto, cit., 20.
[51] Sul punto, cfr., in particolare, M. Luberto, La crisi della concezione
giuspositivistica delle fonti del diritto e le nuove metanorme sulla produzione, in A.a.V.v., Problemi
della produzione e dell’attuazione normativa, vol. II, Bologna, 2001,
135-186.
[52] La bibliografia sul punto è sterminata ed è impossibile
darne conto in questa sede. Si rinvia però ai fondamentali contributi di L. Mossini, Fonti del diritto.
Contributo alla storia di una metafora giuridica, in Studi Senesi 2,
1962, 139-96; V. Crisafulli, Fonti
del diritto (diritto costituzionale), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 963; E. Paresce, Fonti del diritto, in Enc.
dir., XVII, Milano, 1968; A. Pizzorusso, Delle fonti del diritto, in Comm.
del cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977; F. Modugno, Fonti del diritto, in Enc. giur., XIV, Roma, 1989; R. Guastini, Dalle fonti alle norme, Torino, 1990; L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996,
390 ss.; P.G. Monateri, Fonti del diritto, in Dig. disc. priv. sez. civ., VIII, Torino, 1992; R. Bin,
Il sistema delle fonti. Un'introduzione,
in www.forumcostituzionale.it; A. Pizzorusso,
La produzione normativa in tempi di globalizzazione, Torino, 2008,
15-16; G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, Torino, 2009.
[54] Sul punto v., in particolare, F. Modugno, “Fonti” del diritto e sistema normativo, in http://www.robertobin.it/Seminario09.htm.
[56] In tal senso v., ex multis, M. Luberto,
La crisi della concezione
giuspositivistica delle fonti del diritto e le nuove metanorme sulla produzione,
cit., 135 ss.
[58] In argomento cfr. la nota tesi di Alf Ross
riportata e sottoposta a vaglio critico da U. Scarpelli,
Il linguaggio del diritto, Milano,
1996, 119-34.
[59] N. Lipari,
Le fonti del diritto, cit., 20,
secondo l’a. ciò «al di là del significato spesso ambiguo che la metafora
"fonti del diritto" ha finito per assumere, certo è che, ove anche si
superi il connotato, di segno più propriamente speculativo, che pone l'accento
sul princìpio costitutivo e sulla genesi ideale del diritto».
[60] Il punto era chiaro nel diritto romano nel
quale vi era la distinzione tra il diritto proclamato dal popolo in assemblea, lex, e quello prodotto dal comportamento
dei patres familias, lo ius costituito dai mores maiorum, ossia fra
il diritto legislativo e il diritto consuetudinario. A partire dal IV-V secolo
comparve la bipartizione leges-iura,
attraverso la quale si distinse il diritto di produzione politica da quello
elaborato attraverso l’interpretatio
espressa dai responsa prudentium e
dallo ius honorarium. Sul punto cfr.,
da ultimo, A. Schiavone, “Ius”. L’invenzione del diritto in Occidente,
Torino, 2005.
[62] Sui rapporti tra la legge dello Stato e il
territorio di quest’ultimo e sulla necessità, imposta dall’economia planetaria,
di oltrepassare i confini del diritto statuale cfr., in particolare, i saggi di
Natalino Irti, ora raccolti in N. Irti,
Norma e luogo. Problemi di geodiritto,
Roma-Bari, 2002, spec. 61 ss.
[63] Sul diritto attuale s-confinato, v.: M.R.
Ferrarese, Diritto sconfinato.
Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, 2006, 24 s.; Ead., Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società
transnazionale, Bologna, 2000, passim;
Ead., Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni,
Bologna, 2002, passim. Esso è s-confinato sia perché insegue gli
scambi, ossia è delocalizzato, sconfina,
«va oltre i limiti fissati [...] travalica i tradizionali confini statali», sia
perché è senza confini, in quanto«non
riducibile alla territorialità e ai confini [...] esorbitante, enorme, senza
limiti o misure».
[64] Sul punto cfr., in
particolare, le riflessioni di F.
Modugno e A. Ruggeri,
tenute al Convegno celebrativo del 60° anniversario della Costituzione Il pluralismo delle fonti previste in
Costituzione e gli strumenti per la loro composizione, svoltosi presso la
Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma Tre, il 27 e
28 novembre 2008: E’ possibile parlare
ancora di un sistema delle fonti?, entrambe in www.associazionedeicostituzionalisti.it e in www.astrid-online.it. V.
altresì, ex multis, F. Modugno e D. Nocilla, Crisi della
legge e sistema delle fonti, in Dir.
soc., 1989, 411 ss.; A. Ruggeri,
L’antica (ma tuttora consolidata e
diffusa) idea di “sistema” delle fonti e le prospettive di una sua
ridefinizione, in Dir. soc.,
2003, 317 ss.; Id., Sistema integrato di fonti, tecniche
interpretative, tutela dei diritti fondamentali e Id., Interpretazione
conforme e tutela dei diritti fondamentali, tra internazionalizzazione (ed
“europeizzazione”) della Costituzione e costituzionalizzazione del diritto
internazionale e del diritto comunitario, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; A. Pizzorusso, La
problematica delle fonti del diritto all'inizio del XXI secolo, in Foro it., 2007, V, 33 e ss.; Id., La produzione normativa in tempi di globalizzazione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; Id., Problemi metodologici in tema di studio delle fonti del diritto, in
Scritti in memoria di Livio Paladin,
Napoli, 2004, 1687 ss.; Id., Pluralità degli ordinamenti giuridici e
sistema delle fonti del diritto, in Valori
e principi del regime repubblicano. Legalità e garanzie, Roma-Bari, 2006,
III, 91 ss.; G. Silvestri, La ridefinizione del sistema delle fonti:
osservazioni critiche, in Pol. dir.,
1987, 149 ss.
[65] Per una prima
impostazione del problema in questi termini v.: N. Bobbio, La
consuetudine come fatto normativo, Padova, 1942, 6 ss.; Id., Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1960, 14 ss. Nel senso
che l’idoneità di un fatto o di un atto a produrre norme sia immanente all’atto
normogeno, «unica ed identica essendo la ragione per cui atti e comportamenti
umani raggiungono forza normativa»: C.
Esposito, La consuetudine
costituzionale, in Enc. dir., IX, 1961, con integrazioni, in Studi in onore di Emilio Betti, I,
Milano, 1962, ora in Diritto
costituzionale vivente. Capo dello Stato ed altri saggi, (a cura di) D.
Nocilla, Milano, 1992, 318. Sul punto, cfr. R.
Sacco, Fonti non scritte del
diritto italiano, in Dig. disc. priv.,
sez. civ., Agg., Torino, 2000, 402 ss. Avverte che il principio di effettività
«non comporta la necessaria legittimazione di ogni accadimento» che esso deve
essere inteso quale «punto d’arrivo di una evoluzione condivisa»: N. Lipari, Le fonti del diritto, cit., 13.
[68] Sul punto cfr., in
particolare, la premessa di Pietro Rossi ai saggi raccolti in A.a.V.v., Fine del diritto?, (a cura di) P. Rossi, Bologna, 2009.
[69] L’espressione, efficace
ed entrata ormai nel lessico del giurista, si deve a Paolo Grossi, il quale
chiarisce il significato del sintagma assolutismo
giuridico in P. Grossi, Assolutismo giuridico e diritto privato,
Milano, 1998, 1 ss.
[70] Anche questo termine,
altrettanto efficace, è di P. Grossi,
Società, Diritto, Stato, cit., spec.
46 ss.; 105 ss.
[71] La crisi della teoria
delle fonti, di conseguenza, involge la teoria dell’interpretazione. È
impossibile dare conto in questa sede della sterminata bibliografia sul punto.
Non può non ricordarsi, tuttavia, l’insegnamento di E. BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, ed. corretta e ampliata da Crifò, Milano 1990, vol. II, 826 ss.; Id., Interpretazione della legge e degli atti giuridici, II, Milano
1971; G. Carcaterra, Del metodo dell’interpretazione giuridica,
in (a cura di) F. Modugno, Esperienze
giuridiche del ‘900, Milano 2000, 64 ss.; R.
Quadri, Dell’applicazione della
legge in generale, in Comm. cod. civ.
Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1974, 240 ss.; G. Tarello, L’interpretazione della legge, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu,
Messineo e Mengoni, vol. I.2, Milano, 1980, 33 ss.
V., inoltre, per un’estesa trattazione delle varie teorie dell’interpretazione
con grande attenzione riservata alla creazione dottrinale del diritto: R. Guastini, Interpretare e argomentare, Milano, 2011; Id., Interpretazione e
dintorni. Esercizi di nominalismo esasperato e positivismo desueto, in Studi in onore di Franco Modugno, vol.
II, Napoli, 2011, 1797-1807, passim; Id., Le fonti del diritto e l'interpretazione, in Trattato di diritto privato, (a cura di) G. Iudica e P. Zatti,
Milano 1993; Teoria e dogmatica delle
fonti, in Tratt. dir. civ. e comm.,
vol. I.1, Milano, 1998; L'interpretazione
dei documenti normativi, Milano,
2004; P. Perlingieri, L’interpretazione della legge come
sistematica ed assiologica. Il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la
nuova scuola dell’esegesi, ora in Id.,
Interpretazione e legalità
costituzionale. Antologia per una didattica progredita, Napoli, 2012, 296.
[72] Sulla teoria della
complessità applicata alla scienza giuridica v. A. Falzea, Complessità
giuridica, in Enc. dir., Milano,
2007, 201 ss., ora in A.a.V.v., Oltre il “positivismo giuridico” in onore di
Angelo Falzea, (a cura di) Pietro Sirena, Napoli, 2011, 3 ss. Angelo
Falzea, uno dei primi allievi di Salvatore Pugliatti, in questa voce
enciclopedica sembra portare a compimento il pensiero del maestro con specifico
riferimento alla affermazione della necessità, per il giurista, di raccordare
le costruzioni sistematiche della scienza giuridica con il fluire dei fatti
storici, non soltanto per superare la frammentarietà della legge, ma
soprattutto per spingere verso l’unità del sistema giuridico: S. Pugliatti, Crisi della scienza
giuridica. Atti del XV Congresso
Nazionale di Filosofia, 1948, ora in Id.,
Diritto civile. Metodo – Teoria – Pratica, Milano, 1951, 691-699, nonché
in Id., Grammatica e diritto,
Milano, 1978, 195-203; Id., La
giurisprudenza come scienza pratica,
in Riv. it. scienze giur.,
1950, 58, ora anche in Id., Grammatica
e diritto, cit., 101-147.
[73] Sulla prospettiva qui
indicata dell’unitarietà del processo ermeneutico e dell’ordinamento, pur in
presenza di una pluralità di fonti di provenienza diversa v.: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema
italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 159 ss.; Id., Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente e Interpretazione ed evoluzione dell’ordinamento,
entrambi ora in Id., Interpretazione e legalità costituzionale.
Antologia per una didattica progredita, Napoli, 2012, 5 ss.; 115 ss.
[74] Per
l’efficace sintagma diritto plurale,
in particolare, F. Casucci, Il
diritto 'plurale'. Pluralismo delle fonti e libera circolazione delle norme
giuridiche, Napoli, 2004.
[77] In questo senso v. L. Mengoni, Il “diritto
vivente” come categoria ermeneutica, in Id.,
Ermeneutica e dogmatica giuridica.
Saggi, Milano, 1996, 150; Id., Diritto vivente, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VI, Torino, 1997, 445 ss. Al diritto
vivente spesso fanno riferimento le pronunce della Consulta nelle materie più
svariate, v., in particolare, Corte cost., 21 luglio 1995, n. 345 in Giust. civ., 1995, I, 2883 ss.; Corte
cost., 23 maggio 1995, n. 188, in Foro
it., 1996, I, 464 ss.; Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, 2053 ss. Non è
tuttavia ben chiaro se attraverso il richiamo al diritto vivente si intenda
attribuire alle pronunce giurisprudenziali il valore di fonte del diritto,
operando in qualche modo un avvicinamento della nostra esperienza giuridica al
sistema di Common Law. In ogni caso,
la concezione che viene così a delinearsi suscita notevoli perplessità e va
valutata con cautela. Come un’autorevole dottrina non ha mancato di avvertire,
la prassi, intesa quale diritto vivente,
«ha un significato ambiguo» e «presuppone o un’antinomia tra il diritto formale
(morto) ed il diritto sostanziale (vivente) o un superamento e quindi una
prevalenza del diritto sostanziale su quello formale. In realtà l’uno e l’altro
profilo sono coessenziali e non possono che realizzarsi in funzione reciproca
nella continua verifica della congruità della ratio legis ed anche nel primato della voluntas normativa sulla attualità occasionale di singoli o di
gruppi. Diversamente il rischio è l’anarchia e la prevaricazione non
legittimata di minoranze che non abbiano voluto o potuto incidere sulla
formazione della voluntas legis»: P. Perlingieri, Prassi, principio di legalità e scuole civilistiche, in Scuole tendenze e metodi, cit., 217; Id., Il diritto civile,
cit., 104.
[78] N. Lipari,
Giurisprudenza costituzionale e fonti del
diritto, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2006, 1047 ss.
[79] L. Mengoni,
Il “diritto vivente” come categoria ermeneutica, in Id., Ermeneutica e dogmatica
giuridica. Saggi, Milano, 1996, 149.
[82] Si afferma che «taluni provvedimenti delle autorità
indipendenti debbono ormai sicuramente essere collocati (pur con varie
accentuazioni e specificazioni) fra le fonti del diritto»: N. Lipari,
Le fonti del diritto,
cit., 162.
[84] Sullo shopping
del diritto v., in particolare, F.
Galgano, La globalizzazione e le
fonti del diritto, in Riv. trim. dir.
pubbl., 2006, 313 ss., secondo il quale, a tacer del fatto che l’art. 3
della Convenzione di Roma del 1980 sulle obbligazioni contrattuali consente
alle parti contraenti di optare per un diritto terzo rispetto alla loro
nazionalità, salva solo l'applicazione delle norme imperative del diritto
nazionale applicabile al contratto secondo le norme di conflitto, vi è anche lo
shopping, per così dire, endoeuropeo
del diritto civile: i cittadini europei possono liberamente scegliere il
diritto nazionale europeo dal quale far regolamentare i loro rapporti, senza
nemmeno il limite delle norme nazionali imperative; la stessa giurisprudenza
comunitaria ormai legittima il fenomeno della competizione fra i modelli
legislativi. Per la giurisprudenza interna v. Cass., Sez. Un., 5 novembre 2009,
n. 21191; Trib. Catania, 6 febbraio 2009; Trib. Rovereto, 15 marzo 2007; Trib.
Bergamo, 19 aprile 2006; Trib. Padova sez. Este, 10 gennaio 2006; Trib. Padova
sez. Este, 11 gennaio 2005; Trib. Roma, 28 aprile 2004, tutte consultabili in www.unilex.info.
[85] Sul forum
shopping quale attività dell'avvocato tendente alla ricerca della
giurisdizione più favorevole agli interessi del proprio cliente e sulla sua
prevenzione mediante l'unificazione del diritto sostanziale cfr., per la
letteratura straniera, G. Brown, The Ideologies of Forum Shopping - Why
Doesn't a Conservative Court Protect Defendants, in North Carolina Law Review, 1933, 654; F. K. Juenger, Forum
Shopping, in RabelsZ, 1982, 708; M.C. Martinez, Fundamentos y limites del forum shopping: modelos europeo y
anglamericano, in Riv. dir. int.
priv. e proc., 1998, 521; K.J.
Norwood, Shopping for a Venue: The
Need for More Limites of Choice, in University
of Miami Law Review, 1996, 268. Nel senso che le convenzioni internazionali
di diritto contrattuale uniforme non riescano a prevenire il forum shopping, ma possono tutt’al più
ridurre la possibilità di farvi ricorso: F.
Ferrari, Forum shopping e diritto
contrattuale uniforme, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 2002, 575 ss.
[86] Sulla produzione spontanea del diritto -
soprattutto per il diritto commerciale internazionale - v., in particolare, F. Galgano, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contr. e impr., 2000, 189 ss.; Id., Lex mercatoria, in
Enc. dir., cit., 721 ss.; Id., Il riflesso giuridico della globalizzazione, in Vita not.,
2002, 51 ss.; Id., La globalizzazione nello specchio del
diritto, Bologna, 2005, spec. 93 ss.;
Id., Lex mercatoria e
globalizzazione, in Vita not.,
2005, 1253 ss.; Id., Lex
mercatoria. Storia del diritto
commerciale, cit., passim; N. Irti, Le categorie giuridiche della globalizzazione, in Riv. dir. civ., 2002, I, 625 ss.; Id., Sul problema delle fonti in diritto privato, in Riv. trim., 2001, 697 ss.; N. Lipari, La formazione negoziale del diritto, in Riv. dir. civ., 1987, I, 307 ss.; Id., U. Draetta, La cosiddetta lex mercatoria, in Foro pad., 1987, II, 53
ss.; M.J. Bonell, Lex mercatoria,
in Dig. it. disc. priv., Sez. comm., IX, Torino, 1993, 11 ss.; Id., La moderna lex mercatoria tra
mito e realtà, in Dir. comm. int., 1992, 315 ss.; F. Marrella, Lex mercatoria e principi Unidroit. Per una ricostruzione
sistematica del diritto del commercio internazionale, in Contr. impr./Eur., 2000, 29 ss.; Id., La nuova lex mercatoria. Principi
Unidroit ed usi dei contratti del commercio internazionale, in Tratt. dir. comm. Galgano, Padova, 2003, passim;
G. Berti, Diffusione della
normatività e nuovo disordine delle fonti del diritto, in Riv. dir. priv., 2003, 461 ss.; M.R. Ferrarese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale,
Bari-Roma, 2006, 76 ss.; L. Pannarale,
Il diritto che guarda. Rischi della
decisione giuridica, Milano, 2008, 53 ss.; F. Sbordone, Contratti
internazionali e lex mercatoria, Napoli, 2008, spec. 62 ss.
[87] Così M.J.
Bonell, La moderna lex mercatoria
tra mito e realtà, in Dir. comm.
internazionale, 1992, 329 s. Contra,
nel senso che il fenomeno della globalizzazione non si accompagna affatto ad
una riduzione del fenomeno statale: S.
Cassese, Lo spazio giuridico
globale, in Id., Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari,
2003, 5.
[88] In questo senso, cfr. A. Giardina, La lex
mercatoria e la certezza del diritto nei commerci e negli investimenti
internazionali, in Riv. dir.
internazion. priv. e proc., 1992, 464. Tuttavia, a ben vedere, la certezza
del diritto non è garantita da un giudice “bocca della legge”, bensì dal suo
essere voce della collettività che
esprime la sua interpretazione, trasformando l’astratto enunciato in modello
concreto, così N. Lipari, Il ruolo del giudice nella crisi delle fonti
del diritto, cit., 480.
[89] P. Perlingieri, Il
diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 31; Id., Il principio di legalità nel diritto civile,
in Riv. dir. civ., 2010, 175 s.
Secondo l’a. occorre che il giurista si muova «nel mare magnum delle fonti per individuare la soluzione più
ragionevole, adeguata e congrua rispetto alla singola fattispecie concreta»: Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 177.
[90] U. Breccia, Immagini
della giuridicità contemporanea tra disordine delle fonti e ritorno al diritto,
cit., 364.
[95] P. Grossi, Uno
storico del diritto, cit., 118.
L’a. sostiene che, per il diritto, si tratta di un recupero essenziale: il
recupero di umanità. Insomma, nessuna purezza
del diritto: il diritto è per definizione una realtà impura, in quanto «carnale, [...] dimensione della storia umana
[...] complessa perché complesso è il corpo vivente della società alla quale il
diritto incessantemente si riferisce [...] si intride di valori e anche di
passioni e di interessi [...] attinge nel profondo, in una realtà sottostante
[...] da cui trae vitalità e legittimazione»: Id.,
Società, diritto, Stato, cit., 115 s.
[96] Da ultimo, rileva che il
senso stesso della parola metodo sia
divenuto «sempre più problematico, in quanto sembra ricondurci alla incauta
pretesa che il metodo renda corretto
e scientifico, razionale e logico l’oggetto della nostra indagine», mentre
«nella crisi profonda che ha coinvolto la pretesa di purezza della scienza non
è pensabile che esista una modalità neutrale, per sempre valida, di studiare un
oggetto, insensibile ai suoi mutamenti e magari immodificabile, qualunque sia
il soggetto che la adopera»: A. Catania,
Metamorfosi del diritto, Decisione e
norma nell’età globale, Roma-Bari, 2008, 24.
[97] Tra gli aa., i quali,
seppure con sfumature diverse, hanno affermato da tempo la relatività storica
del diritto, vanno citati S. Pugliatti,
La giurisprudenza come scienza pratica, in Riv.
it. sc. giur., 1950, 77 ss.; A. Calasso, Storicità del diritto, Milano,
1966, passim; P. Grossi, Pagina
introduttiva ai “Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico”, Milano, 1972, I, 3; R. Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, 1987, spec. 297 ss.; P.
Perlingieri, Il diritto civile
nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti,
Napoli, 2006, spec. 77, 119 ss. e 129 ss.; Id.,
Scuole civilistiche e dibattito
ideologico: introduzione allo studio del diritto privato in Italia, in Id., Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli,
1989, 75 ss.
[98] Sul punto v., in
particolare, gli aa. citati alla nota precedente cui adde, in particolare, L.
Mengoni, Ancora sul metodo
giuridico, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1984, 321 ss.; Id., Problema e sistema nella controversia sul
metodo giuridico, in Jus, 1976, 3
ss., spec. 40; Id., Dogmatica giuridica, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989, 1
ss.
[99] Qui rinvio alla
polemica nei confronti dei concetti giuridici, risalente agli anni Trenta e
Quaranta, per la quale v. i contributi di G.
Calogero, W. Cesarini Sforza, A.C. Jemolo, S. Pugliatti, ora raccolti in
La polemica sui concetti giuridici,
(a cura di) N. Irti, Milano, 2004.
[100] In
questo senso v. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità
costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit.,
spec. 77, 119 ss. e 129 ss.; Id.,
Scuole civilistiche e dibattito
ideologico: introduzione allo studio del diritto privato in Italia, cit.,
75 ss. L’a., opportunamente, avverte che occorre evitare «l’eccesso delle
astrazioni e delle generalizzazioni [...] diffidare della categoria e
verificare il processo di generalizzazione dal quale trae origine, con un esame
[...] di tutte le possibili ipotesi giuridicamente rilevanti nel rispetto della
loro pur minima peculiarità [...] In tal modo la categoria giuridica, lungi dal
considerarsi una realtà immobile e rigida, valida sub specie aeternitatis, assume valore storico-relativo come
strumento di conoscenza e, al contempo, risultato del precedente conoscere».
[101] La
tendenza a cogliere «gli aspetti comuni degli istituti e ad elaborare ogni
affinità o analogia, che possa giustificare la fondazione di una categoria»: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema
italo-comunitario delle fonti, cit., 91, è frutto di una troppo forte
influenza della dottrina tedesca la quale, peraltro, si è spesso tradotta in
dogmatismo. L’a. segnala, di conseguenza, l’esigenza di allontanarsi
esclusivamente da una vecchia dogmatica,
ma non dai concetti, i quali vanno rielaborati «alla luce di una realtà che è
cambiata, e con la massima attenzione verso una concezione del caso concreto,
della casistica, della giurisprudenza della prassi»:
P. Perlingieri, Metodo giuridico e scuole forensi, in Id., L’ordinamento vigente e i suoi valori. Problemi del diritto civile,
Napoli, 2006, 510.
[102] L’espressione - di Musil - è citata, nella
prefazione, da S. Cassese, Cultura e politica del diritto
amministrativo, Bologna, 1971, 5.
[104] Tale ruolo non può esaurirsi «nella ricerca
del concetto unitario, nell’esaltazione della regola e nel correlativo
disprezzo per le eccezioni»: P.
Perlingieri, Il diritto civile
nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti,
cit., 118 s.
[105] In questo senso v. P. Perlingieri, Produzione
scientifica e realtà pratica, in Id., Scuole tendenze e metodi, cit.,
22; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema
italo-comunitario delle fonti, cit., 118 s., secondo il quale la funzione
del giurista è molto più complessa e la sua valutazione «coinvolge un insieme
di aspetti, da quello ideologico, politico, a quello sociale, etico,
religioso»: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità
costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., 163.
[106] Non è chi non veda che ogni teoria pura è scarnificata, in quanto «affondante
nella astrattezza delle norme e non già sulla carnalità dei fatti economici
sociali culturali»: P. Grossi, Società, diritto, Stato, cit., 114.
[107] La
crisi invero riguarda il sistema delle fonti del diritto. Come opportunamente
osservato: non di crisi del diritto occorre parlare, in quanto: «Il diritto non
è mai in crisi […] in crisi è il modo in cui potere politico e forze politiche
con la colpevole connivenza dei giuristi hanno ridotto il diritto […] la nostra
crisi odierna è crisi delle fonti, cioè dei modi con cui il diritto stesso si
manifesta, con cui noi lo abbiamo obbligato, nella modernità, a manifestarsi»: P. Grossi, Società, Diritto, Stato, cit., 112 s.
[108] F. Galgano, La
globalizzazione delle fonti del diritto: le leggi nazionali; il contratto; il
ruolo delle Corti, in http://appinter.csm.it/incontri/relaz/12720.pdf; Id.,
Diritto ed economia alle soglie del nuovo
millennio, in Contratto e impresa,
2000, 198; Id., Lex mercatoria, in Enc. dir., Agg. V,
Milano, 2001, 725; Id., Lex
mercatoria - Storia del diritto
commerciale, Bologna, 2006, 200.
[109] V., in particolare, S. Cassese, Il mondo
nuovo del diritto. Un giurista e il suo tempo, Bologna, 2008, 18; P. Grossi, Pagina introduttiva a Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero
giuridico moderno, Milano, 1998, 1 ss.; Id.,
Modernità e ordine giuridico, in Quad. fiorentini, cit., 13 ss.
[110] Così P. Grossi, Società, diritto, Stato, cit., 10 s. Per dare risposta al disordine
delle fonti nasce il manifesto Ritorno al
diritto per il quale v.: U. Breccia,
Immagini della giuridicità contemporanea
tra disordine delle fonti e ritorno al diritto, in Pol. dir., 2006, 361 ss.; G.
Berti, Diffusione della
normatività e nuovo disordine delle fonti del diritto, in L’autonomia privata e le autorità
indipendenti, (a cura di) G. Gitti, Bologna, 2006, 32 ss.
[112]
Evidenzia che sinora la scienza giuridica è stata perfettamente allineata alla
«avvenuta sclerosi della molteplicità delle fonti»: P. Grossi, Epicedio per
l'assolutismo giuridico (dietro gli “atti” di un Convegno milanese e alla
ricerca di segni), ora in Id.,
Assolutismo giuridico e diritto privato,
cit., 13 ss.
[114] In questo senso v. P. Grossi, Società,
diritto, Stato, cit., 52, secondo
il quale in tal modo il giurista recupera il «naturale aggancio fra società e
diritto, fra cultura e diritto».
[116] Così S.
Cassese, Il mondo nuovo del
diritto, cit., 96. Sul punto, cfr. N.
Lipari, Il ruolo del giudice nella
crisi delle fonti del diritto, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2009, II, 479 ss.
[117] P. Grossi, Società,
diritto, Stato, cit., 53. L’a., opportunamente, avverte che la nuova figura
dovrà essere: «Non un giurista trasformato (e snaturato) in un politico, bensì
un giurista che sfrutta appieno tutte le potenzialità di quell’arma [...] che è
l’interpretazione [...] insostituibile mediatore fra la immobilità del testo e
la mobilità della società».
[118] La metafora della piramide, assurta a simbolo
del diritto da Kelsen e da generazioni di positivisti era adatta a
rappresentare la struttura formale e normativistica dell’ordinamento come
costruzione, per così dire, a gradini; essa è in crisi nell’era della
globalizzazione e della rivoluzione informatica, sul punto v., ex multis, U. Pagallo, Introduzione
a Prolegomeni d’informatica giuridica, Padova, 2003, 25.
[119] Sul profilo insidioso della rete, cfr. S.
Cassese, La rete come figura
organizzativa della collaborazione, in Id.,
Lo spazio giuridico globale,
Roma-Bari, 2003, 21. Per l’avvicendarsi dell’immagine della rete a quella della
piramide v., ex multis, M. Losano, Diritto turbolento. Alla ricerca di nuovi paradigmi nei rapporti fra
diritti nazionali e normative sovrastatali, in Riv. internazion. fil. dir., 2005, 403 ss. Segnala il passaggio dal
diritto della rete alla rete del diritto: P. Heritier, La rete del diritto, Torino, 2001, 8 e 159; E. Ancona, Figure
dell’ordinamento. Dalla piramide alla rete, e oltre..., in www.ircocervo.it.
[120] Così M.R.
Ferrarese, Diritto sconfinato.
Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, cit., 169 s., la quale
riprende l’idea di M. Fumaroli, Le api e i ragni. La disputa degli antichi e
dei moderni, Milano, 2005, secondo la quale la cultura è un’ape che si
nutre prendendo il polline da fiori diversi e afferma che anche il diritto
odierno «smette di essere un ragno che tesse da solo la propria trama [...]
assomiglia piuttosto a un’ape instancabile, sempre in movimento, che cerca di
nutrirsi proprio di elementi diversi e che vive di contatti numerosi e
variabili anche con altri mondi».
[121] Sul nodo v., in particolare, N. Irti, Le categorie giuridiche della globalizzazione, cit., 625 ss.; Id., Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, cit., 9 ss., 74 ss.; S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2006, 3 ss.; A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, 2002, spec. 20 ss.
Per la globalizzazione dal punto di vista economico v., da ultimo, le
riflessioni del premio Nobel per l’Economia nel 2001, J.E. Stiglitz, La
globalizzazione che funziona, Torino, 2007, spec. 23 ss. Per le
considerazioni sociologiche cfr., per tutti, Z.
Bauman, Dentro la globalizzazione.
Le conseguenze sulle persone, Roma-Bari, 2006, 67 ss.
[122] Così, in chiusura del lavoro che ha introdotto
in Italia il dibattito sulla nuova lex
mercatoria: F. Galgano, Lex mercatoria, cit., 242.
[124] P. Grossi, Società,
diritto, Stato, cit., 195 s. I
giuristi, altrimenti, da «padroni di un sapere tecnico prezioso e
indispensabile», divengono mercanti,
sfruttano il loro sapere mettendolo a disposizione di potentati economici, in
tal modo trasformandosi «da padroni di un sapere a servi di un potere».