ULTIMA
RATIO: ALLA RICERCA DI LIMITI
ALL’ESPANSIONE DEL DIRITTO PENALE
Università di Sassari
SOMMARIO: 1. Ultima ratio regum. – 2. I fondamenti della riduzione al minimo dell'intervento
penale. – 3. Il meta-principio del diritto penale come ultima ratio.
– 4. Meritevolezza e bisogno di pena. –
5.
L'operatività del principio: il controllo della Corte costituzionale.
– 6. Una
prospettiva sovranazionale: il principio di necessità della pena nel
diritto dell’Unione europea. – 7. La crisi del principio di ultima ratio.
La "overcriminalization" in particolare negli ordinamenti di
Common law. – 8. La spinta alla criminalizzazione: a) l'ampliamento della
gamma dei beni tutelati; b) la prevenzione quale paradigma penale dominante.
– 9. Alcune possibili risposte:
l'ancoramento dei beni giuridici alla realtà; il collegamento con le
scienze empiriche; l'affermazione dell'offensività nella
tipicità; la particolare tenuità del fatto. – 10. Per una
riduzione dell’intervento penale: a) scelte di sistema; b) ripensamenti
legislativi: modifiche, depenalizzazioni e abrogazioni; c) normativizzazione di
categorie penalistiche; d) assetti amministrativi preventivi; e) riforma del
sistema sanzionatorio; f) riparazione come alternativa alla pena.
– Abstract.
Quasi certamente ispirata da una
frase del commediografo spagnolo Calderón de la Barca (1600-1681) che in
una sua commedia definì le artiglierie belliche ultima razón de
Reyes, l'espressione «ultima ratio regum» è
storicamente legata all'incisione che recavano i cannoni francesi ai tempi del
Cardinale Richelieu e di Luigi XIV; essa, volta al singolare «ultima ratio regis», fu poi fatta
scolpire sui cannoni prussiani da Federico II.
In quel periodo il riferimento
era alla forza delle armi come risorsa finale nei conflitti tra Stati:
comunemente utilizzata oggi con il significato di "estremo rimedio" a
cui si ricorre quando non vi siano altre vie, e dunque a voler indicare spesso
la soluzione più dolorosa o più violenta, la formula "ultima ratio" ben si presta a
essere affiancata al diritto penale, caratterizzato dall’impiego della
sanzione più dura e distruttiva, la pena detentiva (o la pena di morte
dove ancora esiste).
Fin dall’illuminismo,
infatti, per il principio di ultima ratio
il diritto penale deve rappresentare la soluzione estrema per la tutela degli
interessi individuali e collettivi.
Una volta superato il fondamento
teocratico del diritto penale – e spezzata conseguentemente
l’identità tra reato e peccato – si aprì il varco per
la ricerca di una legittimazione allo jus
puniendi[1]. Se per Montesquieu ogni pena che non
derivi dall’assoluta necessità è tirannica, Beccaria
– coerente con la sua visione contrattualistica, che faceva da argine
alle tendenze spiritualistiche e al retribuzionismo etico – nel Dei delitti e delle pene conferma il
concetto affermando che «ogni atto
di autorità da uomo a uomo che non derivi dall’assoluta
necessità è tirannico», e fondando il diritto del
sovrano di punire «sulla
necessità di difendere il deposito della salute pubblica dalle
usurpazioni particolari; e tanto più giuste sono le pene, quanto
più sacra e inviolabile è la sicurezza, e maggiore è la
libertà che il sovrano conserva ai sudditi». Il limite oltre
il quale le pene cessano di essere giuste è dato dal vincolo necessario
per tenere uniti gli interessi particolari[2].
Il postulato illuministico per il quale il di più di libertà
soppressa costituisce abuso è ancora oggi – secondo la Corte
costituzionale – un pilastro del nostro sistema penalistico: tutto sta a
precisare questo di più in relazione alle misure limitative della
libertà strettamente necessarie ad assicurare libertà,
uguaglianza e reciproco rispetto tra i soggetti; nelle scelte
criminalizzatrici, si tratta cioè
di limitare la libertà solo per quel tanto strettamente
necessario a garantirla[3].
Beccaria approfondisce e allarga
l'idea di Montesquieu secondo la quale la tolleranza diminuirebbe il numero dei
delitti[4].
La dolcezza delle pene costituiva la migliore delle cure preventive: «Perché una pena ottenga il suo
effetto basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto, e in
questo eccesso di male deve essere calcolata l'infallibilità della pena
e la perdita del bene che il delitto produrrebbe. Tutto il di più
è dunque superfluo e perciò tirannico»[5].
Ieri come oggi, quella che
investe il diritto penale è però una scelta non solo di garanzia ma anche di razionalità.
Beccaria indica l’opzione razionale del sistema nella proporzione tra i
delitti e le pene: «Dunque
più forti debbono essere gli ostacoli che risospingono gli uomini dai
delitti a misura che sono contrari al ben pubblico, ed a misura delle spinte
che gli portano ai delitti», con la precisazione
dell’impossibilità «di
prevenire tutti i disordini nell’universal combattimento delle passioni
umane»[6]. E
l’avviso al contenimento nella scelta del diritto penale come strumento
di prevenzione dei delitti è contenuto in termini ancora attuali nella
parte finale dell’opera di Beccaria. Tra le “false idee di utilità” rientra anche quella che la
miglior risposta alla richiesta di sicurezza sia sempre l’opzione penalistica: il risultato
è alla fine la creazione di «leggi
non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa
impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione
degl’inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale».
Quando poi si anticipa troppo la soglia dell’intervento penale il rischio
è la proibizione di «una
moltitudine di azioni indifferenti», il che non solo non serve a
prevenire delitti, «ma egli
è un crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la
virtù ed il vizio, che ci vengono predicati eterni ed immutabili».
La vera prevenzione si realizza dunque – per Beccaria – con leggi
“semplici” e “chiare”, che ottengano il massimo consenso nella popolazione
e siano indirizzate a favorire gli uomini stessi piuttosto che le "classi" degli uomini.
L’incertezza delle leggi provoca infine effetti diversi a seconda della
società in cui cade: «se
cade su una nazione indolente per clima, ella mantiene ed aumenta la di lei
indolenza e stupidità»; se si cala poi «in una nazione voluttuosa, ma attiva, ella
ne disperde l’attività in un infinito numero di piccole cabale ed
intrighi, che spargono la diffidenza in ogni cuore e che fanno del tradimento e
della dissimulazione la base della prudenza»; se cade infine «su di una nazione coraggiosa e forte,
l’incertezza vien tolta alla fine, formando prima molte oscillazioni
dalla libertà alla schiavitù, e dalla schiavitù alla
libertà»[7].
Il significato garantistico del principio di ultima ratio come espressione della
lotta all’Ancien Règime si
ritrova poi nel Plan de législation criminelle di Jean Paul Marat, quando – tra i principi fondamentali di una buona
legislazione – afferma
che non basta che le leggi siano giuste, chiare e precise, ma è
necessario ricercare anche il mezzo migliore per farle osservare, e qui il
principio di proporzione impone di punire le condotte che minacciano di
distruggere la società e non quelle che semplicemente la disturbano[8].
Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del
1789 il principio di stretta necessità dell’intervento penale
viene posto accanto e prima dei principi di legalità e di
irretroattività (art. 8): «La Loi ne doit établir que des peines strictement et
évidemment nécessaires, et nul ne peut être puni qu'en
vertu d'une Loi établie et promulguée antérieurement au
délit, et légalement appliquée».
Il
significato utilitaristico del principio del diritto penale come ultima
ratio si rinviene in Bentham, secondo il quale la pena, come mezzo di
compensazione negativa della proficuità del delitto, trova esclusiva
legittimazione nella sua utilità e nella sua economicità,
con i corollari per cui la pena non deve essere inflitta quando sarebbe a)
inefficace, b) superflua, c) troppo costosa[9].
Una
sorta di sintesi di questi postulati – e una
espressa menzione del principio di necessità della pena – sarà ancora tentata da Gian Domenico
Romagnosi, che «Volendo quindi raccogliere le condizioni essenziali onde
effettuare il legittimo magistero penale», sostiene che «la pena
debb'essere giusta nel suo oggetto; necessaria nel suo motivo; moderata nella
sua azione; prudente nella sua economia; e per quanto si può certa nella
sua esecuzione»; e chiarisce che la necessità va intesa nel senso
che «non se ne possa far di meno atteso che ogni altro mezzo non penoso
riescirebbe frustraneo»[10].
L’idea
della riduzione al minimo del diritto penale rientrerà infine tra i
principi della moderna scienza penalistica in Carrara e Von Liszt.
Nel
§ 17 del capitolo primo del Programma del corso di diritto criminale
si legge che «La crescente civiltà di un popolo e la allargata
sua libertà dovrebbero essere potente ragione di diminuire gradatamente
il numero delle azioni dichiarate delitti». E descrivendo un fenomeno
anche di oggi, Francesco Carrara aggiunge: «Ma invece cresce tra noi
la manìa di moltiplicarne il numero per ricorrere al periglioso rimedio
del magistero penale contro azioni che i veri caratteri di delitto non
avrebbero; e avverso le quali i padri nostri si appagarono di altri modi di
prevenzione»[11]. Carrara dichiara di accettare
completamente la formula di Ellero: «Doversi
punire solo quelle azioni che violano o tendono a violare gli altrui diritti,
allorché questi non si possono in altro modo assicurare, e la punizione
non implichi maggior danno della impunità»[12].
Nella ricerca di alternative la
spinta più forte e originale venne dall'indirizzo positivista e in
particolare dalla teoria dei "sostitutivi penali" di Enrico Ferri,
che, partendo dal presupposto della quasi totale indipendenza dei reati dalle
pene, parlava di «mancata
previdenza e provvidenza dei legislatori, che si addormentano nella comoda
illusione che basti il codice penale contro la fiumana dei delitti, come
credono che basti una commissione d'inchiesta per rimediare ad altre piaghe
sociali»; proponeva pertanto di intervenire sui "fattori del
crimine", in particolare sociali, per influire in modo indiretto
sull'andamento della criminalità. Accanto a rimedi pratici – che
oggi parrebbero singolari – come la sostituzione della "moneta
metallica" alla "carta monetata" o l'aumento delle retribuzioni
dei funzionari pubblici per disincentivare le corruzioni, nel lunghissimo elenco
di sostitutivi penali rientravano riforme più profonde, come un assetto
economico improntato al libero scambio o
un sistema tributario davvero proporzionato. D'altro canto Ferri
riconosceva al diritto penale il ruolo di ultimo ma essenziale strumento di
tutela[13].
Infine,
nel paradigma lisztiano – «la
pena è una spada a doppio taglio: tutela di beni giuridici attraverso la
lesione di beni giuridici» – il diritto penale è un mezzo lesivo (dei beni del delinquente)
finalizzato a uno scopo di tutela (dei beni della collettività). In
questa prospettiva, l’idea dello scopo esige: «a)
l’adeguamento del mezzo al fine e b) la massima economia nella sua
utilizzazione»[14], e
von Liszt dichiara fedeltà all'ideale illuministico: «il
diritto penale è il potere punitivo dello Stato delimitato
giuridicamente. Delimitato giuridicamente nei presupposti e nei contenuti:
delimitato giuridicamente nell'interesse della libertà individuale».
Il
principio di ultima ratio del diritto penale esprime l’esigenza
che la pena, l’arma più forte a disposizione
dell’ordinamento e quella che più pesa sui diritti fondamentali
della persona, rappresenti solo la misura estrema di controllo sociale[15]: la
sua applicazione, infatti, comporta conseguenze e costi tali, sia per i singoli
che per la società, da richiedere speciali garanzie giuridiche[16]. Il
legislatore penale, pertanto, può minacciare di pena solo quei
comportamenti la cui punizione è strettamente necessaria affinché
non vengano messi in pericolo o non siano violati interessi fondamentali del
singolo o della collettività[17].
La
riduzione al minimo dell’intervento penale – una sorta
di “stato di necessità”, quando lo Stato o la società
non sanno aiutarsi altrimenti[18] – è imposta da una serie di argomenti,
normativi ed empirici[19].
Dal
punto di vista normativo, l’idea di limitazione è legata
all’esigenza che in uno Stato di diritto i divieti penali siano contenuti
in provvedimenti formali (legislativi)[20]:
oltre al principio di legalità formale, anche gli altri principi
garantistici (colpevolezza e offensività) vanno nella direzione di una
riduzione al minimo dell’intervento penale. Così come analoga
esigenza viene in luce sia dalla prospettiva di uno Stato liberale (“in
dubio pro libertate”), che da quella dello Stato sociale (che
innanzitutto aiuta, e poi reprime)[21].
Sotto
il profilo empirico, si osserva innanzitutto che l’efficacia della
reazione alla criminalità è dettata soprattutto
dall’apparato di controllo, uomini e mezzi, ancor più che
dall’introduzione di nuove e più gravi fattispecie[22].
L’inserimento nel sistema penale di nuovi reati richiederebbe peraltro
un’analisi dei costi necessari per rendere effettiva ed efficace la loro
applicazione. Un altro argomento empirico che parla per una limitazione
dell’intervento penale muove dal paragone del diritto penale con una
spada, il cui filo si deteriora per l’uso eccessivo: così
l’impiego eccessivo del diritto penale determinerebbe un’usura che
lo indebolirebbe poi nei casi nei quali è davvero necessario[23];
inoltre un uso sproporzionato (e magari confuso) ne diluirebbe di molto la
stessa forza "morale". La criminologia infatti insegna che un effetto
collaterale al processo di iper-criminalizzazione è proprio la minaccia
alla funzione sociale del processo di criminalizzazione, cioè al
riconoscimento sociale del disvalore di alcune condotte[24]:
più che a un'intensificazione della repressione, l'eccesso di
criminalizzazione può portare a un intorbidamento generalizzato della
normazione penale, con la possibile confusione tra le sfere del lecito e
dell'illecito[25].
Ancora: la criminalizzazione rappresenta spesso una promessa non mantenibile,
per la mancanza di mezzi per la sua applicazione; il diritto penale aumenta
così quantitativamente, si deteriora qualitativamente e perde infine in
credibilità.
Il
principio di ultima ratio trova dunque giustificazione anche dal punto
di vista socio-economico, perché, a partire dalla minaccia della
pena, proseguendo con le modalità processuali per l’accertamento
della responsabilità, e poi ancora con la fase dell’esecuzione,
l’utilizzo dello strumento penale comporta costi economici e sociali tali
da dover essere limitato a fatti dannosi assolutamente non contrastabili altrimenti[26].
Inoltre la ipercriminalizzazione comporta una divisione delle risorse e dei
mezzi che potrebbe andare a scapito del perseguimento dei reati più
gravi[27].
Infine,
sempre sotto un profilo sostanziale, affermare e difendere il principio
di ultima ratio significa anche evitare la confusione tra
finalità del diritto penale e finalità delle sue conseguenze
giuridiche, cioè le pene: significa evitare l'irrigidimento sul fine
preventivo e valorizzare invece la complessa trama di interessi, della
comunità, della vittima e dell'autore, di cui deve tener conto il
diritto penale[28].
Individuata
l’origine storica del principio di ultima ratio
nell’illuminismo riformatore e nella filosofia utilitaristica, e inserito
nella prospettiva liberale del diritto penale[29], al
principio viene assegnato oggi anche un fondamento costituzionale. Esso
è ravvisabile nell’art. 13, dove si afferma che la libertà
personale è inviolabile e può essere limitata solo nei casi e
modi previsti dalla legge (una riserva dunque assai più rigorosa di
quella espressa in tante altre disposizioni costituzionali, che semplicemente
richiamano la legge senza ulteriori specificazioni). E un’indicazione si
può trarre anche dal principio di legalità, espresso
nell’art. 25 comma 2, visto che a esso non è estraneo il tentativo
di riduzione degli illeciti penali attraverso la formalizzazione della loro
previsione, secondo il principio appunto che considera il sistema penale extrema
ratio di tutela di beni giuridici[30].
Più in generale il fondamento costituzionale del principio è
intrinseco nella natura pluralistica e nel carattere di tolleranza che permeano
tutto il quadro delineato dalla nostra carta fondamentale.
L'idea
del diritto penale come ultima ratio rappresenta un meta-principio, che
riceve alimento e vigore dall'esistenza e dal rispetto di altri principi
fondamentali del nostro ramo del diritto.
Innanzitutto
il principio di ultima ratio resterebbe mera (seppur vitale) aspirazione
garantista e razionale se non fosse collegato con il principio di
proporzione[31].
Il
principio di proporzione – nella filosofia del diritto elemento
imprescindibile dell’idea di giustizia – si specifica in campo
penale nella proposizione per cui una reazione per essere legittima deve essere
proporzionata alla condotta offensiva. Nella logica costi-benefici, il
principio esprime l’esigenza che i vantaggi che la società si
attende dalla comminatoria penale (prevenzione di fatti socialmente dannosi)
siano idealmente confrontati con i costi immanenti alla previsione della pena,
in termini sociali, economici e individuali, di sacrificio per i beni della
libertà personale, del patrimonio, dell’onore, ecc.[32]. Il
principio di proporzione trova a sua volta specificazione nel principio di
meritevolezza: essendo il bene colpito dalla sanzione penale, la
libertà personale, un bene di rango primario, anche il bene offeso dal
crimine deve essere ugualmente un bene costituzionale primario[33]; o
ancora – al di là della prospettiva costituzionale, che potrebbe
non essere più esauriente – solo offese abbastanza gravi arrecate
a un bene giuridico sufficientemente importante meritano il ricorso alla
pena[34].
Se
anche poi una condotta venisse ritenuta penalmente rilevante, ciò non
significa automaticamente scelta dello strumento penale. È bene infatti
compiere tre ulteriori valutazioni: di efficacia, di effettività e di
necessarietà.
La
prima valutazione è il rispetto del principio di efficacia della
tutela: occorre cioè che la pena sia in grado di produrre un effetto
reale di prevenzione generale, che possa trovare dunque conferma la massima di
esperienza secondo cui la previsione di un fatto come reato comporta di per
sé un’automatica diminuzione numerica di quel fatto nel mondo
degli accadimenti sociali[35].
La
seconda considerazione è ispirata al principio di effettività
del diritto penale. Nell’accezione della nostra dottrina, esso varrebbe
come «idoneità, ‘scientificamente’ prognosticata ex
ante - empiricamente verificata ex post, del mezzo-pena a inibire
comportamenti socialmente disfunzionali realizzando un utile sociale
apprezzabilmente superiore al danno sociale che produce (emarginazione,
diseconomie produttive, costi economici stricto sensu)»[36].
Il terzo vaglio è una verifica aggiuntiva (una
sorta di condizione sospensiva[37]): che cioè non esistano altri mezzi che
raggiungano la medesima o prossima efficacia della sanzione penale, vale a dire
sanzioni giuridiche (civili o amministrative[38]), sanzioni sociali, e perfino la difesa privata. Oltre
che “proporzionata”, cioè “meritata”, la pena
deve dunque rispondere al principio di
necessarietà: e tale
necessità va valutata anche rispetto a fatti di notevole gravità
(dunque di per sé “meritevoli” di pena), perché potrebbe
accadere che l’effetto dissuasivo possa essere raggiunto con interventi
di politica sociale o con sanzioni meno invasive della pena[39]. In questo senso l’intervento penale è anche
sussidiario, proprio perché
richiama l’idea di un "aiuto" quando altri mezzi non siano in
grado da soli di raggiungere l’obiettivo di tutela[40].
Oltre che in questa accezione per così dire
“esterna”, la sussidiarietà può essere intesa da un
punto di vista "interno" alla sfera penale, intendendo
l’esecuzione effettiva della sanzione privativa della libertà
personale (la detenzione) come rimedio estremo, accanto ad altre sanzioni
penali egualmente disponibili[41]. Anche recentemente si è
osservato come appaia problematico fissare requisiti che rendano la pena
detentiva rispondente, senza riserve, alla salvaguardia della dignità
umana, poiché la detenzione comprime pur sempre (nonostante ogni
opportunità rieducativa) un aspetto intimamente connesso all'umano, vale
a dire la possibilità che è propria di ogni individuo di coltivare
le sue potenzialità esistenziali. Dalla problematicità
strutturale del rapporto fra reclusione e rispetto della dignità umana
– non superabile nemmeno evitando il sovraffollamento penitenziario, che
pure renderebbe almeno più credibile la finalità rieducativa[42] – deriva l'esigenza di una
verifica circa l'ambito in cui il ricorso alla pena detentiva risulti davvero
necessario, come pure circa i limiti politico-criminali di una strategia
penalistica che continua a essere fondata, in Italia, sul carattere
pressoché egemone del ricorso al carcere tra le pene
«principali», ai sensi dell'art. 17 c.p.[43].
In altre parole, si tratta di ripensare le modalità
della risposta edittale ai reati delineando strategie preventive meno
simboliche e più efficaci rispetto a quelle tipiche del diritto penale
tradizionale[44]. Sarebbe dunque necessario non trascurare che i sistemi
penali contemporanei si servono di strumenti sanzionatori a diverso grado di
invasività: fermo lo stigma della condanna e dello stesso percorso giudiziale,
è evidente che una certa flessibilità del sistema va tenuta in
conto nel tracciare le concrete dimensioni dell’intervento penalistico[45].
All’idea
di ultima ratio si perviene dunque seguendo un percorso lastricato di
altri principi.
Corre
parallelo all’idea base di ultima ratio anche il c.d. principio
di frammentarietà[46].
Esso opera sotto tre profili: a) alcune fattispecie di reato tutelano il bene
non contro ogni aggressione proveniente da terzi, ma soltanto contro specifiche
forme di aggressione (così avviene per esempio nei delitti contro il
patrimonio); b) l’area di ciò che rileva penalmente è molto
più limitata rispetto all’area di ciò che è
qualificato antigiuridico alla stregua dell’intero ordinamento; c)
infine, la sfera di ciò che rileva penalmente non coincide con
ciò che è moralmente riprovevole. Sotto tutti i profili, la
frammentarietà, contrapposta a un sistema chiuso e totalizzante di
tutela, contribuisce a esaltare l’ispirazione liberale del moderno
diritto penale[47].
L’idea di fondo che traspare
da tutti questi principi è che mentre in passato la limitazione del
diritto penale era strumento di difesa contro poteri forti, e dunque nasceva
con un significato di garanzia, oggi a questo si aggiunge un’esigenza
interna allo stesso sistema penalistico, quella di razionalizzare e così
magari rivitalizzare i propri spazi di intervento: limitazione significa
maggiore efficacia, superiore chance di rendimento.
Di
fronte a una realtà normativa che – come subito vedremo – va
in senso opposto, il concetto di ultima ratio è talora inteso in
misura più ampia[48]. Si
dovrebbe optare per la sanzione penale non solo nei casi di stretta
necessità, ma anche tutte le volte che la funzione stigmatizzante
(disapprovante) propria della pena nelle fasi della minaccia e della
applicazione serva per una più forte riprovazione della condotta
criminale, e dunque per una più energica riaffermazione della rilevanza
del bene tutelato; in altre parole, nei confronti dei destinatari misure
extrapenali potrebbero rivelarsi sì idonee ma meno
“screditanti” di fronte alla pubblica opinione, e dunque inefficaci
a rafforzare nei consociati il rispetto di beni particolarmente bisognosi di
protezione.
Questo
punto di vista ben descrive come oggi è nella pratica inteso il ruolo
del diritto penale. Ma una concezione estensiva del principio di ultima
ratio è una contraddizione in termini: il suo allargamento è
null’altro che il subentrare di altri principi, estranei alla sua logica.
Ben si giustifica dunque la critica dottrinale[49], che
pur non sottovalutando la funzione di orientamento culturale connessa alla
minaccia della sanzione penale né il suo ruolo simbolico nella
riaffermazione del bene tutelato, mantiene ferma la concezione ristretta. Un
eccessivo insistere sul ruolo simbolico del diritto penale potrebbe infatti
portare a una corrispondenza necessaria tra rango del bene e risposta penale,
ribaltando il tradizionale assunto che non sempre il rilievo costituzionale del
bene si traduce in obbligo di penalizzazione[50].
Inoltre la concezione originaria e ristretta rende impellente la ricerca di
alternative tecniche extrapenali, consentendo un raffronto esente da pregiudizi
sulle effettive chances di tutela offerte dai diversi rami
dell’ordinamento giuridico.
Vanno
sottolineati infine due profili: la spinta all'ultima ratio proveniente
dagli stessi principi fondamentali di garanzia; la derivazione dell'eccesso di
diritto penale sia dalla c.d. criminalizzazione primaria (quella posta in opera
dal legislatore) sia dalla c.d. criminalizzazione secondaria (l'applicazione
giurisprudenziale).
Già
si è detto del contributo dello stesso principio di legalità
– con la sua necessaria formalizzazione dei precetti – per la
riduzione al minimo dell'intervento penale. E nell'ambito del principio di
legalità, un ruolo fondamentale per questa limitazione spetta a un suo
corollario, il principio di precisione (o determinatezza): esso infatti pone a
carico del legislatore l'obbligo di formulare nella maniera più precisa
possibile la norma incriminatrice, allo scopo anche di limitare gli spazi di
discrezionalità dell'autorità giudiziaria, che il principio della
divisione dei poteri vuole preposta alla sola applicazione della legge[51]. La
funzione selettiva del
principio di precisione si rivolge poi all'interprete, precludendogli di
attribuire alla norma significati sì compatibili con il tenore letterale
del divieto o del comando, ma che gli conferirebbero contorni inguaribilmente
imprecisi[52]. La funzione di limite al sistema penale del
principio di precisione è stata sottolineata dalla stessa Corte
costituzionale, che gli ha assegnato il ruolo di «presidio della
libertà e della sicurezza» del cittadino, il quale solo in
«leggi chiare e precise, contenenti riconoscibili direttive di
comportamento» può «trovare, in ogni momento, cosa gli
è lecito e cosa gli è vietato»[53].
Il
rispetto del principio di ultima ratio e la connessa riduzione
dell’intervento penale potrebbero, e dovrebbero, semplicemente risultare
un effetto riflesso dell’applicazione, sul piano legislativo e giurisprudenziale,
di altri principi fondamentali oltre a quello di legalità, quali in
particolare quelli di offensività e colpevolezza. Tali principi
svolgeranno quest'opera di riduzione innanzitutto quali criteri guida nella
selezione dei fatti penalmente rilevanti e successivamente nell'applicazione
giurisprudenziale, concretizzando una sorta di principio di ultima ratio in
action, con l'autorevole avallo della stessa Corte costituzionale.
La
doppia incidenza del principio di offensività rappresenta infatti un
assunto comune nelle pronunce della Consulta: «il principio di
offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione
normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere
fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo o, comunque la messa
in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale
('offensività in astratto'), e dell'applicazione giurisprudenziale
('offensività in concreto'), quale criterio interpretativo applicativo
affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia
effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato»[54].
Quanto
al principio di colpevolezza, il significato di garanzia e di connessa
riduzione dell'intervento penale si realizzeranno appieno ove si dia seguito a
quanto affermato dalla Corte costituzionale in una sentenza relativa all'art.
609-sexies c.p., che cioè il giudice dovrebbe interpretare le
norme che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva in
conformità alla Costituzione, leggendole e applicandole come se
già contenessero il limite della colpa. Al giudice spetta il compito di
«verificare la praticabilità di una interpretazione secundum
Constitutionem … e ciò perché il principio di colpevolezza
- quale delineato dalle sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988 - si pone non
soltanto quale vincolo per il legislatore, nella conformazione degli istituti
penalistici e delle singole norme incriminatrici; ma anche come canone
ermeneutico per il giudice, nella lettura e nella applicazione delle
disposizioni vigenti»[55].
La
"meritevolezza" e il "bisogno" di pena sono le categorie
dottrinali nelle quali si riversano i postulati del principio di ultima
ratio[56].
“Meritevolezza”
e “bisogno” di pena descrivono stadi successivi nelle
finalità della pena[57]. La meritevolezza
esprime la scelta politico-criminale in un diritto penale retributivo:
la pena ha una funzione stigmatizzante e di riaffermazione del valore tutelato
e al diritto penale compete il ruolo di spartiacque tra il giusto e
l’ingiusto. Se si abbandona il mero paradigma retribuzionistico, e si
concepisce la pena come mezzo per scopi di prevenzione generale e
speciale, al giudizio sulla meritevolezza segue quello sul bisogno di
pena. Non basta cioè che un determinato bene possieda un rango tale da
essere meritevole di pena, ma anche in presenza di una grave offesa a un bene
di eminente rilievo è necessario interrogarsi sulle ragioni che possono
opporsi al ricorso alla pena da parte del legislatore[58].
Entra qui in gioco innanzitutto la valutazione se altri strumenti di controllo
sociale e giuridico siano egualmente idonei a conseguire gli scopi di
prevenzione; inoltre, se anche fosse dubbia tale idoneità, la rinuncia
alla pena potrebbe essere suggerita dall’analisi empirica costi-benefici:
l’incondizionata tutela di un bene non solo può comportare il
sacrificio di altri beni altrettanto importanti, ma potrebbe addirittura avere
effetti criminogeni, innescando comportamenti illegali, lesivi magari di bene
ancor più rilevanti[59].
La meritevolezza
di pena è categoria incerta. Essa può essere innanzitutto intesa
come criterio di selezione dei beni penalmente rilevanti, e qui confondersi con
la teoria del bene giuridico e viverne la crisi della sua funzione di selezione
appunto e delimitazione degli interessi penalmente tutelabili. Rivelatosi
“aperto” e non “chiuso” il catalogo costituzionale dei
beni giuridici[60],
e irrealizzabile l’idea di un “diritto penale minimo” attestato
sui diritti umani fondamentali[61], da
tempo il criterio della meritevolezza della tutela viene ritenuto mostrare la
corda per l’assenza di una solida tavola di valori generalmente condivisi[62]. E
anzi è proprio l'ampliarsi della gamma dei beni tutelati uno dei fattori
di incremento della produzione penale.
La
meritevolezza può poi cercare un ruolo nella sistematica del reato: si
stenta però a trovargli uno spazio, di significato e di valore, che
già non sia coperto da tipicità, antigiuridicità e
colpevolezza. E allora il modo per dargli un senso è stato sottolineare
che l’illecito penale rispetto agli altri illeciti deve esprimere
qualcosa in più, che sia in grado di legittimare questo particolare tipo
di reazione, appunto penale, segnando un autonomo contenuto di disvalore
etico-sociale (la meritevolezza di pena), che tipicità,
antigiuridicità e colpevolezza da sole non riuscirebbero a esprimere
compiutamente[63].
La categoria in questione scoprirebbe così la sua origine recondita, ma
più caratteristica, l’ancoramento al piano dell’etica
sociale. Una volta però che si eviti la confusione tra i piani della
riprovevolezza etico-sociale e della riprovevolezza giuridico-penale, è
più semplice ricondurre la riprovevolezza-meritevolezza penale nei
confini segnati dalle singole fattispecie. Per esemplificare, è il
pericolo di malattia che rende definitivamente e compiutamente meritevole di
pena (agli occhi del legislatore) l’abuso dei mezzi di correzione, nel
quale abuso si concentrerebbe il fatto moralmente e socialmente biasimevole[64].
È
sull’altro capo del binomio, il “bisogno di pena”, che
più agevolmente si sono espresse le istanze del principio di ultima
ratio[65].
Il
concetto di bisogno di pena comprenderebbe tutte le più svariate ragioni
di opportunità e convenienza che, aggiunte alla meritevolezza di base,
renderebbero un fatto, appunto, bisognoso di pena.
Da un
punto di vista assiologico, si sostiene che accanto ad antigiuridicità e
colpevolezza (significativi della meritevolezza di pena) esisterebbero in
alcune fattispecie degli elementi aggiuntivi (significativi del bisogno di
pena) che aumenterebbero il disvalore dell’accadimento concreto (c.d. Wertungsmoment,
il riferimento è in particolare alle condizioni oggettive di
punibilità)[66]. Va
però subito avvertito che il grado dell’offesa non serve a
connotare il solo bisogno di pena, ma al contrario proprio il reato nella sua
essenza[67]. E
nella dottrina tedesca è stato affermato che il reato si distingue dagli
altri illeciti per essere un “Gesteigertes Unrecht”, un illecito
più intenso[68];
l’offesa ulteriore qualifica il disvalore etico-sociale del comportamento
illecito e colpevole in maniera così grave da divenire intollerabile per
la comunità giuridica[69].
Una
diversa impostazione fa leva sul profilo “economico” della fattispecie,
dando risalto al danno che la società (o l’ordinamento) subirebbe
in seguito alla effettiva punizione del fatto pur meritevole di pena. La
“penalizzazione” sarebbe cioè il risultato positivo di un
giudizio comparativo tra il rendimento e il costo della punizione del fatto
come reato (c.d. Zweckmoment)[70].
Ancora con attenzione alle conseguenze dell'opzione penalistica, si ritiene che
affinché il fatto meritevole di pena (cioè antigiuridico e
colpevole) diventi bisognoso di pena, occorre un ulteriore e autonomo
presupposto materiale del reato, vale a dire che la tutela penale sia idonea e
necessaria e che l’intervento penale non arrechi alcuna conseguenza
collaterale sproporzionatamente dannosa[71].
Quel
qualcosa in più che queste tesi assegnano alle categorie meritevolezza e
bisogno di pena si ritrova – secondo la nostra dottrina –
già all’interno dell’illecito criminale. Sin dalla creazione
delle fattispecie il nucleo del reato è pensabile soltanto come
“robustamente” costituito da un contenuto di disvalore colpevole
meritevole e bisognoso di pena. L’idoneità, la necessarietà
e la proporzionalità rappresentano istanze – lo abbiamo visto
nell’analizzare il principio di ultima ratio – di cui il
legislatore tiene conto nell’assegnare rilevanza penale a tipi di fatti
concreti. La meritevolezza e il bisogno di pena rappresentano dunque – si
osserva – la legittimazione ultima del tipo astratto di reato (e pertanto
della natura penale del divieto) e la sostanza di cui il reato si nutre[72].
La
conclusione che se ne trae è che la meritevolezza e il bisogno di pena
costituiscono al tempo stesso «criteri di interpretazione e verifica
della legittimazione dei tipi di reato dei sistemi penali esistenti e categorie
euristiche di politica criminale, di essenziale ausilio nella creazione
legislativa di nuove fattispecie»[73].
Pertanto
un legislatore accorto, consapevole che il ricorso alla sanzione penale
promette di essere più dissuasivo di altri a disposizione, ma anche
più drastico e limitativo della sfera di libertà dei cittadini,
dovrebbe optare per la criminalizzazione solo se il comportamento è tale
da meritare realmente la pena e soltanto se la pena che venga scelta
risulti rigorosamente necessaria. È il valore costituzionale
della libertà personale a imporre che sia considerato meritevole
di pena solo un comportamento per prevenire il quale vi sia un effettivo bisogno
della pena medesima[74].
La
sintesi – e il contributo delle categorie dottrinali
"meritevolezza" e "bisogno" di pena al concetto di ultima
ratio – potrebbe pertanto essere rappresentata dalla seguente serie
logico-analitica[75]:
a)
La meritevolezza accerta la
legittimità dell’uso della pena individuando il comportamento
lesivo del bene giuridico: è questo il nucleo forte della scelta di
criminalizzazione, base e oggetto delle successive valutazioni
politico-criminali.
b)
Il bisogno di pena verifica la
necessità della pena calata nella dinamica del conflitto sociale: si
sceglie la pena, dunque, se altri strumenti di controllo sociale sono
inadeguati o sproporzionati.
c)
Infine il postulato di effettività
esprime l’esigenza che l’opzione penale (comunque costosa) riveli
chances razionalmente accettabili (tali cioè da compensare i costi) ed
empiricamente verificabili di raggiungere lo scopo di tutela.
Così
come è comune il riconoscimento del principio del diritto penale come ultima
ratio, altrettanto lo è la conclusione della sua operatività
ridotta o piuttosto da realizzare su un piano differente da quello tecnico
penale. Lo spostamento di piano è affermato esplicitamente nella
dottrina tedesca, dove il principio di ultima ratio è ritenuto
una direttiva politico-criminale più che un dovere cogente[76];
nella dottrina del nord Europa esso viene definito addirittura un principio di etica
legislativa[77].
In Italia egualmente si afferma che il tema si pone in termini di mera
rilevanza politica, non sottoponibile al controllo della Corte costituzionale:
si tratterebbe infatti di un principio “non giustiziabile”,
di mero valore argomentativo ma non cogente, salvo che si converta in
violazione di altri principi (ritenuti) di maggiore concretezza, come quello di
ragionevolezza[78].
La
Corte costituzionale ha tenuto nei confronti dell'idea di ultima ratio un
atteggiamento assai prudente, in fondo anche perché la sua natura di
meta-principio con difficoltà ne ammette contestazioni dirette.
a) In
rare occasioni ne ha in effetti riconosciuto la forza per eliminare fattispecie
anacronistiche, quale quella (prevista dagli artt. 1 e 3 della legge 24 giugno
1929 n. 1085) che faceva divieto alle minoranze etniche esistenti nel
territorio italiano di esporre le proprie bandiere, corrispondenti a quelle di
stati esteri, senza la preventiva autorizzazione dell’autorità
politica locale. Qui la Corte ha espressamente affermato che «il diritto
penale costituisce, rispetto agli altri rami dell’ordinamento giuridico
dello Stato, l’extrema ratio, il momento nel quale soltanto
nell’impossibilità o nell’insufficienza dei rimedi previsti
dagli altri rami è concesso al legislatore ordinario di negativamente
incidere, a fini sanzionatori, sui più importanti beni del
privato»[79].
La
forza del principio di ultima ratio di condizionare l’esistenza di
fattispecie penali è stata poi ammessa dalla Corte anche quando lo ha
incluso tra quelli in grado di giustificare l’ammissibilità di un
referendum abrogativo, come nel 1993 a proposito di alcune disposizioni del
d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 in tema di stupefacenti[80].
b) In
altre pronunce la suprema Corte ha lasciato sullo sfondo il principio e ha
preferito salvare le fattispecie impugnate determinandone il bene tutelato in
senso differente rispetto al remittente. Così è avvenuto a
proposito della norma (art. 10 regio decreto-legge 15 marzo 1927 n. 436) che
prevede la reclusione sino a sei mesi e la multa per chi, possedendo o
detenendo un autoveicolo oggetto di privilegio debitamente iscritto, lo
distrugga, lo guasti, lo deteriori, lo occulti ovvero lo sottragga alla
garanzia del creditore privilegiato. A fronte della contestazione che reputava
tale fattispecie una stravagante e anomala ipotesi di responsabilità
penale per il pericolo di inadempimento di obbligazioni civilistiche, in
violazione dei principi di offensività e di extrema ratio, la
Corte ha salvato la norma, ravvisando un intreccio inestricabile tra aspetti
privatistici e funzione pubblicistica del registro per la pubblicità
automobilistica, e sottolineando gli aspetti fraudolenti della condotta
delittuosa[81].
c) Talora poi il principio di ultima ratio viene affermato in modo
nitido ma per fini diversi dalla dichiarazione di illegittimità di una
fattispecie di reato. Si parte dalla considerazione che il sistema penale
delineato dalla Costituzione tende ancor oggi a ridurre la quantità
delle norme penali, e, così, a concentrare queste ultime nella sola
tutela necessaria (ultima ratio) di pochi beni, significativi od almeno
"importanti", per l'ordinato vivere sociale. Dunque per negare alle
Regioni competenza in materia penale, si afferma spesso che le valutazioni
proprie del principio di ultima ratio
(così come di quelle di proporzione e frammentarietà) non possono
prescindere da una visione d’insieme dei valori tutelati e del sistema
sanzionatorio, che evidentemente le singole Regioni non sono in grado di
possedere. In particolare, il principio di sussidiarietà implica
programmi di politica criminale nonché giudizi prognostici
(sull’adeguatezza di tutela offerta da altri rami dell’ordinamento)
che solo lo Stato può formulare[82].
d)
L’atteggiamento comune della Corte costituzionale riguardo al principio
di ultima ratio lo si ritrova però chiaramente espresso in una
sentenza in tema di obiezione di coscienza e servizio militare[83]. Le
ordinanze di rimessione facevano riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25 comma
secondo, 27 commi primo e terzo, quale complesso di parametri che consentono di
qualificare il diritto penale come extrema ratio di tutela della
società. L’incriminazione penale – sostenevano le ordinanze
– sarebbe consentita soltanto a tutela di beni di rilevanza
costituzionale, secondo un principio di proporzionalità fra beni
tutelati e interessi sacrificati dalla sanzione penale, allorché sia
accertata l’insufficienza degli altri strumenti di tutela civile o
amministrativa. Ma al riguardo la Corte ritiene che vadano distinti tre
separati principi: il primo, principio della rilevanza, per il quale non
sono legittime incriminazioni penali a tutela di beni non espressivi di valori
costituzionalmente rilevanti (o significativi); il secondo, principio di proporzionalità
(o razionalità rispetto ai valori), che equivale a negare
legittimità a incriminazioni le quali, pur presumibilmente idonee a
raggiungere finalità statuali di prevenzione, producano attraverso la
pena danni agli interessi individuali e sociali sproporzionatamente maggiori
dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) con la tutela dei beni e valori offesi
dalle predette incriminazioni; il terzo, infine, è proprio il principio
di sussidiarietà (o di extrema ratio) per il quale
è legittimo ricorrere alla sanzione penale solo quando gli altri rami
dell’ordinamento non offrano adeguata tutela ai beni che si intendono
garantire.
Il
canone dell’extrema ratio sarebbe – secondo la Corte –
collegato ma autonomo rispetto agli altri due: collegato perché
la mancata incriminazione di fatti non lesivi di beni non costituzionalmente
significativi equivale a riduzione dell’ambito del penalmente rilevante; autonomo
perché l'attenere l'illecito a un bene costituzionalmente rilevante non
basta a giustificare l'intervento penale, giacché il fatto che altri
rami dell’ordinamento siano in grado di offrire adeguata tutela rende
l’intervento stesso illegittimo. Alla fine, però, le valutazioni
dalle quali dipende la riduzione del numero delle incriminazioni attengono
– conclude la Corte – a considerazioni generali (sulle funzioni
statali, sul sistema penale, sulle sanzioni penali) e particolari (sui danni
sociali contingentemente provocati dalla stessa esistenza delle incriminazioni,
dal concreto svolgimento dei processi e dal modo di applicazione delle sanzioni
penali) «che per loro natura sono autenticamente ideologiche e politiche,
e pertanto non formalmente controllabili in questa sede». Le sole
possibilità per rendere controllabile dalla Corte questo principio sono
dunque o che si contesti l’indebita compressione di un diritto
fondamentale di libertà costituzionalmente riconosciuto o che in sede
interpretativa esso si converta – o si confonda,
verrebbe da dire – in
quello di ragionevolezza[84].
È
significativo, sotto quest’ultimo profilo, quanto avvenuto a proposito
del c.d. reato di clandestinità (art. 10 bis T.u. imm.)[85].
Nelle numerose ordinanze di rimessione la fattispecie veniva censurata sotto
vari profili di ragionevolezza, tra i quali due investivano anche il principio
di ultima ratio. Infatti il fine perseguito (allontanare lo straniero
“clandestino” dal territorio nazionale) sarebbe stato già
conseguibile tramite l’istituto dell’espulsione amministrativa e
dunque l’intervento penale sarebbe risultato sostanzialmente inutile.
Inoltre condizione imprescindibile perché possa irrogarsi una sanzione
di natura penale è la commissione di un “fatto”, come
richiede l’art. 25 comma 2 Cost., mentre nel caso in questione il mancato
possesso di un titolo valido per il soggiorno nello Stato non sarebbe stato di
per sé nemmeno sintomo di una particolare pericolosità sociale[86].
Va
messo in evidenza, peraltro, che il principio di ragionevolezza non può
essere la sede ove traslare automaticamente le istanze del principio di ultima
ratio[87].
Il principio di ragionevolezza rappresenta espressione immediata in ambito
penale del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.[88], col
fondamentale divieto di trattare in modo eguale situazioni diverse: in una
recente sentenza della Corte costituzionale (68/2012) esso è stato
definito come obbligo per il legislatore di differenziare il trattamento punitivo a seconda
della gravità dei diversi fatti criminosi, non solo tramite la
previsione di plurimi tipi di reato, caratterizzati da differenti risposte
sanzionatorie, ma anche all’interno della singola figura criminosa,
permettendo al giudice di graduare opportunamente la pena in rapporto alla
specificità del singolo fatto.
Alle
contestazioni in vario modo intreccianti i principi di ragionevolezza e ultima
ratio, la Corte ha comunque replicato richiamando quale punto fermo quanto
già affermato nella sentenza n. 250 del 2010 [89]: le valutazioni sulla
utilità e sul contenuto di una disposizione penale – al pari di
quella attinente, più in generale, al rapporto fra “costi e
benefici” connessi all’introduzione della nuova figura criminosa
– attengono all’opportunità
della scelta legislativa su un piano di politica criminale e giudiziaria; un piano di per sé estraneo al
sindacato di costituzionalità. Difatti, concludono i giudici
costituzionali, citando un’altra pronuncia (sentenza n. 236 del 2008),
«non spetta a questa Corte esprimere valutazioni sull’efficacia
della risposta repressiva penale rispetto a comportamenti antigiuridici che si
manifestino nell’ambito del fenomeno imponente dei flussi migratori
dell’epoca presente, che pone gravi problemi di natura sociale,
umanitaria e di sicurezza».
Un
mutamento di prospettiva sarà possibile solo se sarà dato corso a
un orientamento che si è profilato nella stessa materia, questa volta a
proposito della dichiarazione di illegittimità della c.d. aggravante di
clandestinità (di cui all’art. 61 n. 11 bis c.p.,
introdotta con il «pacchetto sicurezza» del 2008)[90]. La
Consulta ha manifestato immediatamente in questa sentenza il proposito di
volere sottoporre la norma censurata a un «vaglio positivo di
ragionevolezza, non essendo sufficiente, ai fini del controllo del rispetto
dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta
irragionevolezza»[91]. In
dottrina si è osservato però che non è chiaro se ai fini
del superamento del «vaglio positivo di ragionevolezza» sia
sufficiente dimostrare la particolare rilevanza costituzionale
dell’interesse tutelato dalla norma impugnata, ovvero se occorra
altresì dimostrare l’idoneità, necessità e
proporzione della norma impugnata rispetto alle esigenze di tutela di
quell’interesse sociale primario[92].
Mentre la prima opzione rimane troppo generica, con la seconda si renderebbe
effettivamente giustiziabile il principio di sussidiarietà (ultima
ratio) del diritto penale rispetto agli altri strumenti della politica
sociale.
Rimane
il dubbio se effettivamente questa apertura possa riverberarsi in altri
settori, al di là di quello specifico e attuale dell’immigrazione.
Una prospettiva di più ampio respiro viene colta in alcuni passi della
sentenza, quando la Corte sottolinea la dimensione di necessaria interferenza
del diritto penale in quanto tale rispetto ai diritti fondamentali. Ciò
potrebbe e dovrebbe sollecitare un ripensamento generale dello standard
negativo della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative. Proprio
perché la pena detentiva incide su uno dei diritti massimi e
fondamentali riconosciuti dalla Costituzione – la libertà
personale, assistita dalla qualifica di inviolabilità –
sembrerebbe naturale e doveroso pretendere dallo Stato una motivazione forte e
in positivo delle ragioni che possano giustificare una simile drammatica
interferenza con altri diritti fondamentali[93].
La competenza penale
dell’Unione europea è oggi definita nell’articolo 83,
paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che autorizza
il Parlamento europeo e il Consiglio, su proposta della Commissione, a
stabilire “norme minime relative alla definizione dei reati e delle
sanzioni”, «allorché il ravvicinamento delle disposizioni
legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela
indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica
dell’Unione in un settore che è stato oggetto di misure di
armonizzazione».
A
differenza del paragrafo precedente, che si riferisce a reati specifici (i c.d
“eurocrimini”) per contrastare i quali vigono apposite decisioni
quadro e direttive[94],
la norma del par. 2 detta una competenza generale di diritto penale orientata
da principi specificati nella comunicazione 573/2011 della Commissione europea.
Data la significativa incidenza sui diritti
individuali (fino alla privazione della libertà personale), la
Commissione suggerisce cautela nell’uso del diritto penale, assegnandogli
il ruolo di ultima ratio, nel rispetto di alcuni principi fondamentali.
È innanzitutto da valutare attentamente il rispetto del generale
principio di sussidiarietà, per il quale l'Unione europea può legiferare solo se l'obiettivo
non può essere conseguito più efficacemente mediante misure di
livello nazionale o regionale e locale[95].
Compiuta
questa valutazione, l’approccio alla normativa penale da parte
dell’Unione europea deve avvenire – per la Commissione – in
due fasi.
a) La “Fase 1” sta nel decidere
se adottare o meno misure di diritto penale. L’incidenza del diritto
penale su diritti fondamentali e il suo effetto stigmatizzante impongono in
questa scelta il rispetto del principio di ultima ratio. Esso trova
fondamento già nel principio di proporzionalità, quale
sancito nel Trattato dell’Unione europea (art. 5 par. 4) e specificamente
per le pene dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
(art. 49 par. 3); è menzionato poi nel prima citato art. 83 par. 2 TFUE,
quando si prevede la verifica dell'indispensabilità delle misure di diritto penale per
garantire l'attuazione efficace delle politiche dell’Unione. Il
legislatore europeo dovrà dunque analizzare se misure diverse da quelle
di diritto penale, ad esempio di natura amministrativa o civile, possano
garantire a sufficienza l'attuazione delle politiche, o se invece proprio il
diritto penale possa essere la risposta più efficace. Ed è
importante qui che la Commissione suggerisca preliminari valutazioni d'impatto delle proposte legislative, come per esempio
l’attitudine dei regimi sanzionatori degli Stati membri a raggiungere i
risultati auspicati, così come le difficoltà riscontrate dalle
autorità nazionali chiamate ad applicare sul campo il diritto
dell'Unione.
Secondo
la Commissione, pertanto, a una valutazione di proporzionalità
tra interesse tutelato e reazione sanzionatoria, segue un vaglio sull’idoneità
dello strumento. Queste valutazioni hanno portato finora a riconoscere
necessarie misure di diritto penale per combattere pratiche gravemente lesive e
profitti illegali in alcuni settori economici, come il settore finanziario (es.
manipolazioni del mercato o abuso di informazioni privilegiate), la lotta alla
frode ai danni degli interessi finanziari dell’Unione europea e la tutela
dell’euro contro la contraffazione. Con riferimento a quest’ultimo
settore si riconosce al diritto penale il compito di rafforzare la
fiducia dell’opinione pubblica nella sicurezza dei mezzi di
pagamento, e più in generale la Commissione si propone di studiare i
modi in cui il diritto penale possa addirittura contribuire alla ripresa
economica, sostenendo l’azione di contrasto all’economia
illegale e alla criminalità finanziaria.
Per
altri settori (trasporti su strada, protezione dei dati personali, normativa
doganale, tutela dell’ambiente, politica della pesca, politiche del
mercato interno) la valutazione è in fieri e terrà conto
sostanzialmente di due dati. Innanzitutto la gravità della violazione:
la sanzione penale dovrebbe essere preferita – ad avviso della
Commissione – per segnalare la forte riprovevolezza e dunque per
perseguire un particolare effetto deterrente (dato anche dalla registrazione
delle condanne nel casellario giudiziale). La scelta poi dovrebbe investire il
tipo di sanzione più appropriato per conseguire il risultato complessivo
in termini di efficacia, proporzionalità e dissuasività. E qui la
sanzione amministrativa potrebbe essere preferita in virtù della sua
maggiore “agilità”, potendo essere irrogata ed eseguita in
breve tempo, e anche per la maggiore gamma dei suoi tipi, meglio adattabili
alle peculiarità dei casi, andando dalle ammende e sospensioni di
licenze fino all’esclusione da pubblici benefici.
b) La
“Fase 2” contiene i principi che devono ispirare la
decisione sul tipo di misure penali da adottare. La definizione di reati e
sanzioni da parte dell’Unione europea è limitata – secondo
l’art. 83 del Trattato – a “norme minime”.
Indicazioni generiche vengono fornite dalla commissione quanto al contenuto dei
reati. Più interessante (nella prospettiva dell'ultima ratio)
è la spinta ad adattare le sanzioni ai reati, per ricercare nell’intervento
penale effettività, proporzionalità e dissuasività:
l’effettività implica che la sanzione sia adeguata
all’ottenimento del risultato sperato; la proporzionalità che
la sanzione sia commisurata alla gravità della condotta e che i suoi
effetti non vadano oltre quanto è necessario al conseguimento dello
scopo; la dissuasività richiede infine che le sanzioni
costituiscano un adeguato deterrente per i potenziali futuri autori. La
conseguenza di questi tre requisiti potrebbero essere tipologie di sanzioni
diverse da reclusione e ammenda, da adattare magari alla responsabilità
delle persone giuridiche, e misure aggiuntive come la confisca dei beni.
Lo
stretto legame tra proporzione e necessità (ultima ratio) trova
conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia[96],
quando una norma penale interna contrasta con una libertà
comunitaria. Come recentemente
osservato[97],
lo schema decisorio della Corte di giustizia ricalca quello della
giurisprudenza costituzionale tedesca, secondo cui il giudizio di proporzione
si articola nei tre canoni della idoneità, necessità e
proporzionalità in senso stretto. Il giudizio può innanzitutto
svilupparsi nella verifica della proporzionalità in senso stretto (e/o
della non discriminazione), fondata sul bilanciamento degli interessi
contrapposti. La violazione del principio di proporzione può poi
derivare dalla inidoneità della norma penale nazionale a tutelare
l’obiettivo dichiarato[98]. Ma
se anche la norma penale restrittiva della libertà comunitaria apparisse
di per sé idonea a tutelare un legittimo controinteresse, essa potrebbe
però risultare sproporzionata perché non necessaria, in contrasto
cioè col principio di ultima ratio. Ed è assai istruttivo
che per giudicare della necessità di penalizzazione, la Corte di
giustizia si avvalga – secondo quanto si vorrebbe anche per il nostro
diritto interno – di verifiche empiriche e di apporti di altre scienze[99].
Oggi
la realtà normativa procede in senso ben diverso rispetto al principio
del diritto penale come ultima ratio.
Già
alla fine del Novecento il numero di fattispecie penali nel nostro Paese era
elevatissimo: più di 5.400 reati al di fuori del codice penale[100]; ed
è scontato che oggi il dato possa solo essere aumentato. Non solo: molti
di questi reati non vengono di fatto perseguiti (nonostante
l’obbligatorietà dell’azione penale), contribuendo ad
aggravare il grado di incertezza e di ineffettività del nostro sistema
penale. Lo iato tra i reati effettivamente perseguiti e non (con il poco
commendevole effetto delle c.d. punizioni a sorteggio, cioè selezionate
in base a criteri casuali) è sottolineato nella relazione della
Commissione Fiorella per la revisione del sistema penale, e tra le
considerazioni generali si osserva che il flusso dei reati "in
entrata" continua a superare di gran lunga le capacità di risposta
del sistema penale[101].
Per valutare con precisione questo andamento, la Commissione suggerisce
l'introduzione di una "anagrafe delle fattispecie penali", che
finalmente consenta di stabilire esattamente il numero di fattispecie penali
del nostro ordinamento: una tale iniziativa permetterebbe innanzitutto di
calibrare in modo razionale gli interventi di depenalizzazione; e potrebbe
costituire uno strumento fondamentale per realizzare efficacemente la funzione
di orientamento della norma.
Al di
là dei numeri, una sensazione pervade: che nella realtà l'affermazione
di un valore passa necessariamente per la criminalizzazione della sua offesa.
Come l'araba fenice, il diritto penale si rigenera continuamente. Da un lato si
decriminalizza (o comunque almeno si decarcerizza); dall'altro l'allarme
sociale finisce per imporre sempre la stessa risposta: nuove incriminazioni!
L'espansione
del diritto penale[102]
è fenomeno comune negli altri ordinamenti vicini al nostro: in Germania
già da tempo si è posta in rilievo la crisi dei principi di
frammentarietà, sussidiarietà e ultima ratio[103].
Analogamente in Spagna e in America Latina il fenomeno del dilagare del diritto
penale è preoccupante: il principio de intervención
mínima del derecho penal si ritiene a tal punto compromesso da far
pensare al diritto penale non più come ultima quanto piuttosto
come prima o unica ratio[104].
Anche in Francia il principio è in profonda crisi, tanto da aver fatto
affermare che «la criminalizzazione è una rivoluzione silenziosa
che fa tremare la nostra vita collettiva»[105].
Un
approfondimento merita poi la straordinaria espansione del diritto penale in
ordinamenti lontani dal nostro.
Negli
Stati Uniti al principio del diritto penale come "last resort"[106],
si contrappone una autentica “explosion of Criminal Law”
e si sottolinea come questa esplosione, nella misura e negli scopi, si
accompagni a un deterioramento nella qualità[107].
La overcriminalization
rappresenta un fenomeno politico-sociale studiato nelle sue cause, nelle
sue conseguenze e nei suoi correttivi[108].
L'analisi critica si è in particolare sviluppata a partire dalle
spiegazioni dell'ipercriminalizzazione fornite da Kadish, con l'indicazione di
tre principali fattori di influenza: il primo è l'uso del diritto penale
per sorreggere regole di moralità privata (es. in campo sessuale); il
secondo è il voler assicurare servizi sociali che l'amministrazione non
è in grado di garantire (es. la lotta all'ubriachezza); il terzo
è mettere le forze dell'ordine nella condizione di fare indirettamente
ciò che a esse sarebbe vietato (es. le leggi sulla mendicità o
sulle disorderly conducts)[109].
Nella scelta dello strumento penale andrebbero soppesati attentamente costi e
benefici: con la complicazione che è sì relativamente semplice
classificare costi e benefici ma è invece assai difficile la loro esatta
quantificazione. E ciò comporterà l'inevitabile rischio che la
quantificazione delle variabili sia condizionata dal punto di vista (dalla
specifica filosofia morale) di chi propone la criminalizzazione: l'aspetto
distintivo centrale della sanzione penale è dato infatti –
sostiene Kadish – dalla stigmatizzazione di ciò che viene ritenuto
moralmente riprovevole[110].
Il
dibattito si è sviluppato in negativo – ritiene Ashworth –
senza cioè che prima sia stato fissato il fondamento positivo: quale
dovrebbe essere la giusta quantità di criminalizzazione[111].
Oggi nel mondo anglosassone sono particolarmente tre le funzioni che, assegnate
al diritto penale, hanno portato al fenomeno della overcriminalization:
la funzione dichiarativa (Declaratory Function), cioè
l'affermazione che determinate violazioni sono abbastanza serie da giustificare
la pubblica censura nella forma della condanna e della punizione; la funzione
preventiva (Preventive Function), l'affermazione cioè che
determinate condotte (attive od omissive) sono da proibire per la loro
significativa pericolosità (risk or danger) per i beni tutelati;
infine la funzione regolatoria (Regulatory Function), vale a dire il
rafforzamento di regole attraverso la criminalizzazione – spesso senza
richiedere la prova della colpevolezza (fault) – di forme di
condotta che sono difformi dallo schema regolativo.
In
particolare la Regulatory Function incide profondamente sull'overcriminalization,
ma almeno è quella sulla quale è più facile intervenire (almeno
astrattamente, perché in concreto si tratterà di vincere un
atteggiamento giurisprudenziale assai frenante), limitando l'intervento penale
ai casi più gravi, che giustifichino cioè strettamente la
limitazione dei diritti dei cittadini (principio del substantive due process)
e richiedendo la presenza di un quid di colpevolezza (fault principle)
e trasferendo al diritto civile o a quello amministrativo le altre violazioni.
Quanto
alle Declaratory e Preventive Functions, l'overcriminalization
può essere limitata attraverso il rispetto dei principi garantistici
a essi inerenti. Propriamente associati alla Declaratory Function sono
il fault principle (principio di colpevolezza), il principle of fair
and representative labelling (in forza del quale gli elementi di un reato
dovrebbero essere definiti in modo tale da riflettere la natura e la
gravità del nomen iuris attribuito al reato[112])
e il principle of correspondence (il quale stabilisce che un reato
deve essere definito dal legislatore e interpretato dalla giurisprudenza in
modo tale che ciascun elemento oggettivo del reato possieda un corrispondente
elemento psicologico[113]).
La mancata operatività di questi principi si traduce in overcriminalization
quando per esempio si prevedono condanne e punizioni senza un requisito di
colpevolezza, o allorché si attribuisce l'etichetta di serietà a
offese che tali effettivamente non sono, o quando si ricostruiscono forme di
responsabilità penale basate su inferenze (constructive), anche
laddove tali inferenze sono solo relative (e quasi divengono illazioni). Con
riferimento alla Preventive Function il rispetto del principio del last
resort dovrebbe comportare l'esistenza effettiva dei requisiti che
strettamente si legano a tale funzione preventiva: nei preparatory crimes,
dunque, la sussistenza della finalità e la significatività della
condotta (substantial commitment); egualmente, l'accertamento della
specifica finalità illecita quando venga incriminato il possesso di
determinate cose; infine la chiarezza dei segnali di pericolo (fair warning)
nei delitti che puniscono la
messa a rischio di determinati beni giuridici.
La
generalizzata evoluzione in senso contrario porta a chiedersi se
l’affermazione del principio di ultima ratio sia una stanca
ripetizione o se meriti una rivitalizzazione o se piuttosto sia venuto il
momento della presa d'atto di un mutamento dei compiti del diritto penale. Il
dubbio si lega alle stesse trasformazioni che ha subito e subisce il diritto
penale, giunto a essere utilizzato oggi spesso dal legislatore come arma
politica, strumento di comunicazione quasi disinteressato agli effetti pratici[114]. Come
è stato affermato, estremizzando, la criminalizzazione esprime una
modifica del linguaggio della democrazia; il diritto penale è divenuto
chiave di comprensione dei rapporti sociali: «se il diritto è la
nuova formalizzazione della convivenza umana, il diritto penale è
diventato la sua ultima messa in scena»[115].
Come accennato all'inizio,
l’ambiente ideale nel quale si sviluppa il principio di ultima ratio è il liberalismo
penale, che ebbe negli illuministi (soprattutto in Beccaria e Romagnosi) i
precursori, e nella scuola classica (Carrara, Carmignani e Rossi) la più
matura e organica espressione. Per coniugare efficacemente la tutela delle
fondamentali condizioni di vita sociale col minore sacrificio della
libertà individuale, il liberalismo penale subordinava lo jus puniendi a precisi limiti. E il
primo di essi era proprio la necessità della criminalizzazione, il suo
porsi come extrema ratio, dato che la
funzione del diritto penale veniva ravvisata non nel trionfo della virtù
morale, ma nel divieto solo di ciò che è strettamente essenziale
per assicurare la vita in comune, cioè il pacifico e sicuro godimento
del proprio diritto[116].
A)
Oggi è necessario calare il principio di ultima ratio in un contesto mutato, dove la gamma dei beni tutelati
è ben più ampia e le tecniche di tutela assai più
variegate.
Soprattutto in Germania la
difesa del principio di ultima ratio
è stata spesso funzionale alla concezione personalistica del bene
giuridico, secondo la quale meriterebbe la qualifica di bene giuridico
ciò che rappresenta una condizione per lo sviluppo della
personalità umana.
In direzione opposta a questa
prospettiva di arretramento muove invece da tempo la politica criminale, che
sempre più spesso significa criminalizzazione[117].
E ciò anche perché – si sostiene – il diritto penale
ha iniziato a concentrare l’attenzione su settori che solo indirettamente
hanno a che fare con il singolo cittadino, con l’individuo. Il processo
di spersonalizzazione si attua non solo verso beni istituzionali, ma anche in
direzione di beni appartenenti alla collettività indifferenziata (p. es.
l'ambiente)[118], beni
universali cioè, la cui tutela – e qui sta il punto critico
– allontana il diritto penale dalle sue tradizioni e rischia di far
perdere concretezza e precisione agli oggetti di tutela[119].
La conseguenza è che la
protezione del bene giuridico si è trasformata da criterio negativo di
criminalizzazione in criterio positivo: ciò che veniva formulato come
limite al legislatore, diviene ora piuttosto un invito alla punizione. La
nozione di bene giuridico e la sua funzione di selezione e delimitazione degli
interessi penalmente tutelabili vivono dunque – si conclude – una
fase critica, dovuta a un’evoluzione legislativa ipertrofica e instabile,
che cede continuamente alle spinte settoriali che portano a una specie di nuovo
“feudalesimo penale”[120],
e dunque a un moto in senso inverso rispetto al principio di ultima ratio.
Alla concezione personalistica
del bene giuridico sono state mosse fondate critiche[121].
In realtà, proprio beni
di grande attualità e rilevanza come quelli ambientali ed economici non
possono essere estromessi dagli oggetti di tutela nemmeno da un punto di vista
personalistico. Si è infatti osservato che quei beni «si rifanno a
situazioni che costituiscono la premessa indispensabile per il benessere e lo
svolgimento della personalità di ciascuno dei consociati: situazioni
ampie, estese, non riferibili a soggetti determinati, ma per ciascuno
necessarie come condizioni essenziali della vita individuale e sociale»[122].
Quanto alla necessità di tutela, basti pensare ai beni economici:
abbandonata l’idea che la criminalità economica sia un fenomeno
dannoso solo per il ristretto mondo dell’industria e della finanza,
essendone vittima sempre più spesso proprio il piccolo risparmiatore, l’alto
grado di disvalore è ormai comunemente colto nell’opinione
pubblica. Queste “nuove” tipologie di beni hanno dunque piena
cittadinanza nel nostro sistema penale[123].
Il ruolo oggi dei beni giuridici
può pertanto essere quello di orientare la politica penale, sulla base
dei valori costituzionali. Ma il principio di ultima ratio non può essere difeso facendo leva sulla
tipologia dei beni: non è possibile cioè escludere a priori la
tutelabilità (meritevolezza) di questo o quel bene. Però il
legislatore penale non gode di una libertà illimitata: egli infatti,
dato l’indiscusso valore primario della libertà personale, ha il
dovere morale e politico di circoscrivere per quanto possibile l’area del
penalmente rilevante, con un limite positivo e uno negativo. Il limite positivo
è dato dalla presenza nel reato di un essenziale quid di comprensibile, significativa dannosità, che unita al
disvalore del comportamento dia conto della ragionevolezza
dell’intervento punitivo. Il limite negativo è costituito invece
dal rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo[124].
Tra questi due limiti si esercita l’ampia discrezionalità del
legislatore penale.
Il concetto di bene giuridico
può riacquistare maggiore centralità in un altro senso,
studiandone cioè le caratteristiche e adattandone con
flessibilità le tecniche di tutela, tenendo primariamente in conto il
valore fondamentale del bene giuridico-libertà personale, ma avendo
altresì ben presente la varietà di reazioni possibili da parte
dell’ordinamento e la vastità di sanzioni irrogabili nei diversi
rami di esso. Nel perseguire l'idea dell'ultima
ratio andrebbero dunque abbandonate prospettive generalizzanti e
semplificatorie[125]:
proprio fissando con la maggiore precisione possibile i caratteri del bene e studiando il cammino che porta alla sua lesione in
un determinato contesto storico-sociale, si potranno capire le
modalità di aggressione e adattare le tecniche di tutela, fissando le sanzioni adeguate (sotto il
profilo della prevenzione, della retribuzione ma anche della reintegrazione)
per le offese recate a esso[126].
L’esigenza
di tutela di un bene giuridico è innanzitutto sentita perché nei
suoi confronti si ripetono comportamenti aggressivi: la ripetitività
innesca una valutazione sociale che ravvisa un contenuto omogeneo di disvalore.
Diviene così compito del legislatore saper cogliere tali indicazioni e
tramutare questi comportamenti aggressivi ripetuti in fattispecie penali.
È proprio attraverso questo rapporto di corrispondenza che la parte
speciale del diritto penale riflette l’opinione sui valori vigenti in un
determinato contesto sociale e culturale[127].
Il
legislatore deve poi allargare il proprio campo di osservazione. Anche
quell’interesse individuato come meritevole di tutela penale non vive da
solo ma è di regola connesso ad altri interessi contigui o addirittura
contrastanti con esso. È vero che il luogo deputato (nel diritto penale)
a risolvere i conflitti di interessi è la categoria delle scriminanti,
ma viene ritenuto indubbio che il legislatore al momento
dell’introduzione di una fattispecie penale debba valutarne
l’impatto, la coesistenza e l’armonia con altri interessi, mediante
un’idonea delimitazione e descrizione del tipo[128]. La
visuale del legislatore deve infine ulteriormente allargarsi nel valutare tutte
le possibili implicazioni collaterali, anche sul piano sociale,
dell’introduzione della norma penale[129].
Nel
percorso di valutazione del legislatore si alza progressivamente il tasso di
politicità della scelta di criminalizzazione. Il passaggio decisivo
è l’individuazione del tipo. Se tale identificazione non è
possibile – magari perché non è matura – il principio di ultima ratio
imporrebbe di soprassedere alla penalizzazione. Invece spesso, per la pressione
del contingente la risposta penalistica interviene ugualmente, incidendo
negativamente anche sul principio di determinatezza. Le conseguenze sono o
norme che originate da episodi clamorosi della cronaca sono improntate a una
tecnica casistica o, all’opposto, norme che allestiscono una tutela
“totalitaria” (da ogni lato), attraverso fattispecie
onnicomprensive e quindi non in grado di identificare un tipo preciso, dai
contorni determinati[130].
B) Oltre alla nuove tipologie di beni, un
altro fattore che incide sul principio di ultima
ratio è il ruolo della prevenzione quale paradigma penale dominante.
Innanzitutto l'esigenza preventiva è dovuta all'affermarsi
del concetto di rischio. La
fisionomia della società moderna, con il moltiplicarsi delle situazioni
di rischio, pare aver posto in crisi – forse irreversibilmente – il
modello classico dell’intervento penale[131].
Nonostante le resistenze, il concetto di “rischio” costituisce
spesso “fulcro d’azione” e la responsabilità viene
imputata non più per la realizzazione di un evento lesivo, ma per
l’accollo di un rischio di lesione: «l’esito definitivo di un
“diritto penale del rischio” potrebbe essere facilmente
pronosticabile: una crescente ‘smaterializzazione’ del disvalore
penale, che lasciato il fondamento dell’offesa si affida al criterio
soggettivo dell’atteggiamento personale nei confronti del rischio»[132].
Il concetto di rischio si traduce oggi anche nel principio di precauzione, menzionato nell’art.
174 par. 2 del Trattato della Comunità europea (e richiamato
nell’art. 301 del Codice dell’ambiente, d. lgs. 3 aprile 2006, n.
152) a proposito delle politiche ambientali[133].
Tale principio trova oggi numerosi campi di attrazione: dagli ogm alle onde
elettromagnetiche, dagli alimenti all’inquinamento e alle malattie
professionali da produzione industriale. La precauzione si sostanzia in un
criterio metodologico che, in contesti di incertezza scientifica seria sulla
reale pericolosità di sostanze e comportamenti, pone esigenze di
valutazione, confronto e scelta tra possibili opzioni: in virtù comunque
del principio di ultima ratio, l’opzione penalistica
dovrebbe esercitarsi solo nel caso
in cui si ponga seriamente il problema di un eventuale grave nocumento per
interessi importanti, altrimenti varrà l’indicazione di preferenza
per l’illecito amministrativo.
In questa prospettiva di anticipazione di tutela rientra poi il
concetto di sicurezza.
Si è osservato che fino a poco tempo fa sarebbe stato
naturale discutere di sicurezza e diritto penale con riferimento a leggi
speciali o all’ordine pubblico: oggi invece quasi ogni argomento
può essere visto dall’angolo visuale della sicurezza, vale a dire
della garanzia che determinati beni giuridici siano preservati, prima che da
eventi lesivi, da attacchi e aggressioni. Si parla perciò non più
e solo di sicurezza pubblica o dello Stato, ma di sicurezza del lavoro, dei
prodotti, dei mercati, di sicurezza urbana, informatica, alimentare, ecc.[134].
La ricerca di sicurezza si rivolge poi non solo nei confronti
degli altri ma anche di se stessi. Sotto il primo profilo ritorna –
secondo parte della dottrina – lo schema del c.d. diritto penale del
nemico, un diritto penale fondato cioè sull'esigenza di neutralizzare
categorie di soggetti socialmente pericolosi (p. es. il terrorista o il
clandestino)[135]; da
parte di altri si nega la riconducibilità verso un diritto penale
d'autore e si sottolinea comunque il carattere di "lotta" o di
"emergenza" che assume il diritto penale in determinati contesti
storici, con la possibile tensione coi principi fondamentali di garanzia[136].
Sotto il secondo profilo, la protezione da se stessi, si adotta – p. es.
in materia di biodiritto – un criterio di legittimazione dell'intervento
penale di chiaro stampo paternalistico[137].
Due fenomeni apparentemente eterogenei, eppure estremamente simili, che
producono parallelismi: da un lato la connessione cruciale tra scelte di
politica criminale e modelli di democrazia; dall'altro il rischio crescente per
fondamentali diritti di libertà[138].
Vi è poi la tendenza all’autonomizzarsi del senso di
sicurezza collettiva, per cui ciò che conta, alla fine, è
l’affermazione della tutela penale in sé, prima ancora di una
netta definizione dei suoi oggetti[139].
In altre parole, ciò che preoccupa è voler perseguire non la
sicurezza in senso oggettivo, quanto piuttosto la percezione soggettiva di essa[140],
con il rischio per il diritto penale di volgersi alla protezione di un
inafferrabile sentimento di sicurezza, anziché di diritti, situazioni,
interessi, o condizioni di sicurezza allocate in procedure, regole, cautele o
strumenti[141].
Il punto di approdo della ricerca di “sicurezza mediante il
diritto penale” viene così descritto: «Il paradigma
preventivo inserisce il diritto penale in un sistema di produzione e
conservazione della sicurezza, rendendolo così uno strumento di lotta ai
problemi e di dominio dei rischi. Questa funzionalizzazione sfuma i confini ed
elimina le differenze tra colpevolezza e pericolosità e tra il diritto
sostanziale e quello processuale. Il sistema penale acquista in termini di
disponibilità per la politica interna e di forza d’azione»[142].
Con la prevenzione quale paradigma penale dominante risulta infine sempre
più difficile assicurare i principi di proporzione e di eguaglianza[143].
In molti settori giuridici, sia tradizionali che nuovi, il
diritto penale viene dunque invocato e utilizzato non come mezzo di risoluzione
preventiva di conflitti sociali specifici, ma come «sistema di
prevenzione (generalizzata) della conflittualità sociale», come
strumento di socializzazione, «vettore di stabilizzazione sociale»[144].
La tendenza a considerare il diritto penale come mezzo pedagogico per la
popolazione, come mezzo di “sensibilizzazione” o di
“promozione” produce l’esito di invadere sfere e compiti
dello Stato sociale, che sono propri di altri rami del diritto e
dell’organizzazione sociale[145].
In un siffatto contesto, il diritto penale finisce per rivestire
un ruolo non più di extrema,
ma di sola o unica ratio per la
soluzione dei problemi sociali[146].
Lo strumento tecnico congeniale a questo nuovo ruolo è la
forma di reato del pericolo astratto[147]
– “figliastro della dogmatica penalistica”[148]
– mai completamente accettato per il suo riecheggiare un diritto penale
del comportamento, con il giudice che rischia di divenire una sorta di
“automa di sussunzione” e l'illecito penale che perde in
visibilità e tangibilità[149].
Il risultato ultimo della veste spiccatamente preventiva assunta
oggi dal diritto penale è il suo utilizzo come mezzo di rafforzamento
del governo della società[150],
con accettazione quasi supina del rischio di realizzazione deficitaria e del
conseguente declino del diritto penale verso una funzione simbolica[151].
Le risposte della dottrina
penalistica a questo tipo di politica criminale sono in atto da tempo. Federico
Stella ha posto in guardia da questa forma di diritto penale orientato
esclusivamente alla prevenzione, giacché «l’infiltrazione e
l’espansione dei concetti di rischio e pericolo porrebbero il diritto
penale di fronte a problemi molto seri di effettività e di
legittimità». Non solo poi il diritto penale del comportamento e
del pericolo astratto si rivela carico di effetti perversi, ma si appalesa con
schiacciante evidenza impotente di fronte ai rischi catastrofici. Dunque
è «un diritto penale inutile, dannoso, ingiusto, irrazionale
rispetto allo scopo»[152].
Nel nostro Paese, per di più, la situazione è aggravata dalla
crisi del sistema sanzionatorio. Nella norma incriminatrice il legislatore
penale mantiene ferma, in nome di esigenze di prevenzione generale, di regola,
la minaccia della pena detentiva. Nel contempo crea meccanismi per effetto dei
quali tale pena si riduce o si trasforma in qualcos'altro (spesso nel nulla) in
sede di commisurazione o in un momento successivo: il che crea una
divaricazione vistosa tra pena minacciata, pena inflitta e pena eseguita,
minando così alla radice la credibilità del sistema sanzionatorio
e annientando di fatto quella finalità di prevenzione generale che pure
si voleva perseguire[153].
Di fronte a un diritto penale a
tal punto mutato nel senso della prevenzione, è necessario perlomeno
tentare di conciliare questo sviluppo con le garanzie dello Stato di diritto,
non consentendo che la finalità preventiva prevarichi i principi di
offensività e di colpevolezza, e che la tecnica del pericolo astratto
celi mere presunzioni.
Ritorna dunque l'esigenza di
collegare gli elementi empirici e normativi della valutazione giuridica.
Una prima via è quella di
ancorare maggiormente i beni giuridici alla realtà: quanto più il
bene tutelato è formulato in modo nebuloso, astratto e lontano dalla
realtà, tanto più difficile risulta controllare l'impiego della
fattispecie[154].
Un altro sistema per sfuggire a
logiche presuntive è il collegamento con le scienze empiriche. Questo
collegamento deve compiersi già al momento della scelta di penalizzazione,
cioè della verifica preliminare dell’attitudine dello
strumento-pena a conseguire nella realtà gli obiettivi di tutela[155];
ma «una tale esigenza di fondare empiricamente il se e il come della
protezione di beni giuridici dovrà poi informare tanto più
intensamente le scelte di penalizzazione laddove esse realizzino
“un’anticipazione di tutela”, ad esempio nella forma di una
previsione di reati di pericolo astratto o presunto»[156].
Il giudizio di pericolo cristallizzato nella norma non dovrà apparire
dunque né irrazionale né arbitrario, ma frutto di apprezzamenti
rigorosi basati sull’esperienza[157].
I dati empirici aiuteranno dunque nell’individuazione, o quanto meno
nell’impostazione, del se e del come dell’offensività di una
certa condotta e poi ancora nel congegnare la tecnica di tutela più
adeguata per contrastare tale condotta[158].
Il principio di ultima ratio del diritto penale
potrà trovare attuazione anche così, costruendo le fattispecie di
pericolo astratto su solide basi verificabili sul piano empirico-criminologico.
Si tratta semplicemente di superare, e non solo in questo contesto, il ben noto
canone logico di ogni
normazione – additato già molti anni fa dalla nostra dottrina
sulla scia di Feuerbach - per cui il legislatore, nella sua opera di strutturazione
della fattispecie, dovrebbe «utilizzare i risultati di rilevazioni
criminologiche in ordine a comportamenti che nell'ambiente sociale si svolgono
secondo una certa trama e con certe caratteristiche»; ciò anche
per evitare l'introduzione nell'ordinamento di fattispecie
"emblematiche", inapplicabili e inapplicate dalla giurisprudenza[159].
Sarebbe così salvaguardato il principio di ultima ratio, se
è vero che solo un'adeguata ponderazione dei fattori criminogeni
localizzabili nella società può permettere di prospettare delle
alternative alla pena, credibili come alternative proprio in quanto in grado di
inibire fattori le cui dinamiche causali siano state previamente oggetto di
un'adeguata conoscenza socio-criminologica[160].
Pure
sul piano applicativo la spinta criminalizzatrice dei reati di pericolo
astratto può essere depotenziata, salvaguardando l'offensività
nella tipicità. Anche sulla
base di una serie di pronunce della Corte costituzionale[161],
la Corte di cassazione ricostruisce ormai le fattispecie di pericolo cercando
di rinvenire nel tessuto normativo della fattispecie tipica elementi che
consentano di dare concreta attitudine offensiva alla condotta, sostituendo
cioè il pericolo presunto con il pericolo astratto, e valutando tale
attitudine alla luce del criterio della «contestualizzazione
dell’evento»: cioè il pericolo non può essere
insindacabilmente ritenuto solo che si realizzi il fatto conforme al tipo, ma
è conforme al tipo solo il fatto che esprima davvero una potenzialità
offensiva dei beni tutelati[162].
Quando questa potenzialità offensiva non sia rinvenibile nella
fattispecie astratta si apre la strada della censura costituzionale;
allorché invece la fattispecie astratta non proponga profili di
incompatibilità con il canone di offensività, dovrà essere
il giudice ordinario a garantire che il fatto concreto esprima almeno una
minima offensività. Un ruolo
limitativo – anche
al di là della categoria dei reati di pericolo astratto – potrebbe dunque svolgere l’‘esiguità’ come
indice di inoffensività del fatto[163].
La lettera della legge – si sostiene in dottrina – rappresenta
soltanto il limite esterno imposto all’opera dell’interprete:
«entro questo limite, è il bene giuridico che rappresenta il
criterio selettivo indispensabile per individuare i fatti vietati, determinando
l’espulsione dal tipo legale della classe dei fatti che, per la loro
oggettiva esiguità, sono inidonei a offendere il bene o i beni
tutelati»[164].
Questa tesi è avallata dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione, in
tema di detenzione di esplosivi e
di sostanze stupefacenti, e in materia di interventi non autorizzati su beni
culturali[165].
La previsione legislativa espressa dell’irrilevanza penale
di classi di comportamenti solo apparentemente compresi entro reati di pericolo
astratto, ma così esigui da risultare inidonei a offendere il bene,
è presente in altri ordinamenti; e in dottrina si auspica che il
legislatore italiano segua l’esempio di questi correttivi intesi a
eliminare il possibile scarto tra pericolo reale e pericolo presunto[166]. L'introduzione in via generale
dell'istituto della c.d. irrilevanza del fatto per particolare tenuità
è certamente prospettiva non priva di interesse sia per la sua portata
deflattiva sia per la sottostante logica costituzionale e sistematica di ultima ratio: d'altro canto non vanno
sottaciute le perplessità, sia perché l'istituto ha sempre
scontato una specie di contraddizione o sproporzione tra i limitati vantaggi
pratici che è lecito attendersi e i problemi di principio, sia per le
difficoltà di formulazione che esso comporta[167].
Una definizione dell'istituto
della 'particolare tenuità del fatto' è stata recentemente
formulata dalla Commissione per la riforma del sistema penale (nominata con
decreto 14 dicembre 2012)[168].
La Commissione ha inquadrato la tenuità del fatto tra le cause di
improcedibilità, in modo da rafforzare l'effetto di
"sbarramento" e dunque anticiparne la carica deflattiva. Si propone
un nuovo art. 131 bis nel codice
penale con la previsione che non si proceda quando il fatto è di
particolare tenuità per le modalità della condotta,
l'esiguità del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza e
l'occasionalità. I primi tre criteri fanno riferimento agli elementi
della gravità del reato previsti nel primo comma dell'art. 133 c.p.;
sotto il profilo della colpevolezza importante elemento di novità
è dato dalla valutazione di tutti gli elementi che fondano il giudizio
di rimproverabilità, dato che all'intensità del dolo e al grado
della colpa si aggiungono la presenza di "semi-scusanti": l'eventuale
riduzione della capacità di intendere e di volere e la scarsa
conoscibilità del precetto penale. L'ultimo criterio
(l'occasionalità) pone in risalto uno degli elementi di valutazione della
capacità a delinquere (comma 2 dell'art. 133) e ne trae un giudizio
prognostico, anche sulla base dell'interpretazione invalsa per l'analogo
istituto di competenza del giudice di pace: è da ritenersi occasionale
la condotta che appaia destinata a non ripetersi a opera dell'imputato, ossia
la condotta che appaia estranea al modus
vivendi dello stesso. Sotto il profilo applicativo, la Commissione propone
di limitare l'ambito della clausola di irrilevanza del fatto alle
contravvenzioni e ai delitti puniti con la pena della reclusione non superiore
nel minimo a tre anni. Si tratta di una soluzione condivisibile, proprio per evitare – come ammette
la Commissione – la contraddizione di considerare in concreto 'esigui'
fatti che nella valutazione legislativa (per come risulta dalle comminatorie di
pena elevate) sono intrinsecamente ritenuti assai gravi, e dunque in definitiva
per mantenere un giusto equilibrio tra i poteri legislativo e giudiziario.
Le
tecniche per la razionalizzazione dell’intervento penale e per recuperare
il principio di ultima ratio possono essere di diverso tipo. Abbiamo
già indicato quale passaggio decisivo il depotenziamento significativo
che si otterrebbe dall'interno stesso delle fattispecie vigenti, semplicemente applicando
in fase interpretativa principi fondamentali quali quelli di colpevolezza e di
offensività. Indicheremo altre alternative, ben coscienti che si tratta
solo di esemplificazioni e che la riduzione dell'intervento penale passa per un
ripensamento della politica legislativa e della conseguente percezione nella
collettività del diritto penale. Partiremo da vere e proprie (difficili)
opzioni sistematiche, passando poi a soluzioni deflattive che interrompono o
accompagnano la vigenza delle fattispecie penali.
A) Scelte di sistema
Rappresentano
un ideale alcune possibili scelte di sistema, quali:
a)
L’introduzione di maggioranze qualificate per la creazione di norme
penali.
b) La
previsione che le norme penali, o alcune di esse, restino in vigore solo per un
certo periodo di tempo, con successivo riesame per l’eventuale ulteriore
efficacia[169].
c)
Una fase istruttoria particolarmente accurata quando siano in discussione leggi
penali. Si potrebbe pensare di rendere in qualche modo obbligatorie le tre
verifiche proposte per il diritto penale americano come premessa a ogni
decisione di criminalizzazione[170]: la
concreta applicabilità della norma (enforceability of the law);
le conseguenze empiriche favorevoli e sfavorevoli derivanti dalla sua
introduzione (effects of the law); l'assenza di mezzi alternativi (es.
civili o amministrativi) per proteggere la società da comportamenti
indesiderabili. La mancata osservanza di questi tre dettami comporterebbe
infatti una perdita di credibilità dei precetti normativi e il prodursi
di svantaggi sociali superiori ai vantaggi della criminalizzazione. Insomma,
non è più appagante – si osserva nella
nostra dottrina – la pur
significativa identificazione di limiti garantistici esterni all'utilizzo
dell'arma della pena, ma si impone piuttosto un'opera ben più penetrante
e radicale, che ne selezioni dall'interno gli ambiti di intervento: per
arrivare a chiarire cioè non solo ciò che la pena è
legittimata a tutelare, ma soprattutto ciò che essa è
concretamente in grado di fare[171].
d)
Gli esiti della fase istruttoria dovrebbero poi riversarsi nella motivazione
della legge penale, da rendere obbligatoria[172]: il
legislatore dovrebbe spiegare perché la situazione rende necessario
l'impiego di strumenti del diritto penale, e offrire dimostrazione che questi
mezzi miglioreranno la situazione, esplicandone magari anche il modo.
e)
L’introduzione del principio di ultima ratio come prima norma
della parte speciale di un futuro codice penale, o addirittura una sua
esplicita enunciazione in Costituzione come principio fondamentale
dell’intera normativa penale[173].
B) Ripensamenti legislativi: modifiche, depenalizzazioni e abrogazioni
Le
istanze del principio di ultima ratio possono manifestarsi e affermarsi
anche in seguito, successivamente all'opzione per la rilevanza penale. Vi
possono infatti essere numerose e plausibili ragioni per le quali, in un
diritto penale razionale di scopo, appaia conveniente rinunciare alla punizione.
La riduzione dell’intervento penale può legarsi a ripensamenti
sulle istanze politico-criminali che avevano giustificato la scelta penale. Il
legislatore innanzitutto può scegliere una via radicale escludendo
puramente e semplicemente certe fattispecie dal novero dei reati (abrogazione).
Può adeguarsi poi all’idea dell’ultima ratio
restringendo fattispecie in vigore mediante sostituzione o modifica di elementi
(come è avvenuto con la riformulazione dell’art. 323 c.p.
intervenendo sul fatto tipico e sul dolo) o aggiunta di nuovi (es. una
condizione di punibilità) che ne arricchiscano il tipo, o abolendo
fattispecie autonome qualificate (come accaduto con l’oltraggio, salvi i
ripensamenti successivi). Non sempre però riduzione significa
liceizzazione del fatto (o di porzioni di fatto), potendosi realizzare un
declassamento interno al sistema penale (da delitto a contravvenzione) o il
trasferimento del fatto nel campo dell’illecito amministrativo[174]. E
la depenalizzazione è avvenuta o perché il legislatore ha
giudicato sproporzionato l’intervento stesso del diritto penale
(come nella depenalizzazione del 1967 in materia di circolazione stradale) o
perché lo ha reputato non necessario, sussistendo infatti
strumenti di prevenzione con un’efficacia almeno pari a quella dimostrata
fino a quel momento dalla sanzione penale (così quando, nel 1999, si
è rinunciato alla pena per gli abusi in assegno)[175].
Sulla
via della riduzione dell'area penale, la depenalizzazione appare il percorso
più semplice. In realtà esso è però tutt'altro che
privo di rischi, non solo nella scelta dei reati da depenalizzare. Il problema
è in particolare quello dei "vasi comunicanti"[176]. Il
travaso cioè di materia dall'area del penale e della corrispondente
giurisdizione a quella dell'illecito amministrativo e delle corrispondenti
autorità (seppur facilitato dai principi garantistici posti nella legge
689/1981 affinché non si risolva concretamente in una perdita secca di
tutela) presuppone almeno due condizioni strutturali non facili da realizzare.
Innanzitutto, proprio perché di travaso si tratta, all'alleggerimento
sul versante penalistico corrisponde l'aggravio su quello amministrativo, e
pertanto dovrebbe essere preliminarmente accertata la capacità di
risposta del settore amministrativo, in termini di mezzi, personale e
organizzazione. Inoltre, le autorità amministrative investite della
nuova competenza dovrebbero presentare un grado di indipendenza e
imparzialità tale da procurare insieme effettività della tutela e
garanzia per il responsabile.
Sia
la soluzione dell'abrogazione che quella della depenalizzazione sono accolte
dalla recente Commissione ministeriale per la revisione del sistema penale[177]. La
trasformazione di reati in illeciti amministrativi, motivata dall'impatto
deflazionante che potrebbe avere sul carico giudiziario, viene fondata sulla
necessità di espungere dal sistema penale fattispecie desuete o non
più conformi ai principi di laicità e pluralismo del nostro
ordinamento costituzionale. Si adotta dunque una tecnica di depenalizzazione
fondata su un criterio quantitativo (la natura bagatellare della
fattispecie per come indiziata dal livello sanzionatorio), e insieme qualitativo,
operando un vaglio della meritevolezza e del bisogno di pena (e dunque sulla
base dei principi di proporzione, sussidiarietà ed efficacia della
sanzione penale) in alcuni settori particolarmente delicati (es. i reati in
materia di edilizia e urbanistica). Le abrogazioni proposte hanno fondamento
vario: si va per esempio da fattispecie di fatto disapplicate (istigazione a
disobbedire alle leggi, art. 415 c.p.), a fattispecie troppo ampie e
indeterminate (istigazione di militari a disobbedire alle leggi in riunione non
privata, art. 266 comma 4 n. 3 c.p.), a previsioni ormai inutili (es.
associazioni sovversive, art. 270 c.p., ormai definitivamente assorbita
dall'art. 270 bis, associazioni con finalità di terrorismo anche
internazionale o di eversione dell'ordine democratico), a reati con eccessiva
anticipazione dell'intervento penale (art. 707 c.p., possesso ingiustificato di
chiavi alterate o di grimaldelli), a nuovi interventi in tema di oltraggio
(ancora l'abrogazione delle fattispecie degli artt. 341 bis e 342 c.p.),
etc. Sempre nella prospettiva dell'ultima ratio, si prevedono infine
modificazioni nel codice penale, in particolare in materia di
"osceno", non intervenendo sulla nozione (in quanto il "diritto
vivente" garantisce sufficiente determinatezza al concetto) ma
delimitandone fortemente la sfera applicativa, nella sostanza alla sola tutela
dei minori. E infine abrogazioni e modifiche sono previste a proposito del
testo unico di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773).
C) Normativizzazione di categorie penalistiche
Potrebbe
essere funzionale a una riduzione dell’intervento penale, e insieme ai
principi di precisione e tassatività, uno sforzo di normativizzazione in
alcune fondamentali categorie penalistiche[178]. Un
tentativo in questo senso – coerente
con un’impostazione di fondo segnata dal principio di ultima ratio – era stato compiuto dal c.d. Progetto Grosso
a proposito della colpa e del reato omissivo improprio[179].
Quanto
alla colpa nella Relazione
si affermava che «il rispetto delle regole cautelari specifiche...
esclude la colpa relativamente agli aspetti disciplinati da dette regole, salvo
che il progresso scientifico o tecnologico, nel periodo successivo alla loro
emanazione, non le abbia rese palesemente inadeguate» (art. 31, comma 2).
L'idea era dunque che le esigenze di tassatività ed effettività
della tutela dei beni giuridici potessero essere soddisfatte basando il
discrimine tra responsabilità e rischio consentito su regole
cautelari-preventive di natura prevalentemente extrapenale[180].
Un
esempio di riduzione dell’intervento penale che sembra agire proprio in
questo senso è dato da una recente disposizione (art. 3 comma 1 della
legge 189/2012) in tema di responsabilità penale medica, che così
recita: «l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento
della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa
lieve» (fermo restando l’obbligo di risarcimento del danno, con
riferimento ovviamente a eventi di morte o di lesioni).
La
norma ridisegna i confini dell’area del penalmente rilevante attraverso
una restrizione dell’area di responsabilità penale per colpa,
ritagliata su particolari situazioni relative all’attività
sanitaria[181].
La disposizione è stata immediatamente oggetto di forti critiche,
sostanziatesi anche in una eccezione di legittimità costituzionale da
parte del Tribunale di Milano[182]. Il
senso di fondo di tale eccezione emerge nella censura (§ 7) di avere
aperto un vuoto di tutela penale della persona offesa, rispetto alla quale
«non può considerarsi fungibile la possibilità di ricorrere
al giudice civile». Taluno ha osservato come questo assunto scopra il
nucleo assiologico dell’approccio del tribunale: una valutazione negativa
della nuova norma in quanto restrizione della tutela penale, di per sé
censurabile indipendentemente dagli asseriti difetti tecnici del modo in cui
è articolata, per contrasto con l’idea – non dichiarata – di un livello costituzionalmente necessario di
tutela penale[183].
Affidando al legislatore le scelte di penalizzazione, il principio di legalità
considera invece quello penale un problema aperto politicamente e
razionalmente: la tutela di beni giuridici è condizione necessaria di
legittimazione dello strumento penale, ma non è sufficiente a fondare
obblighi di penalizzazione[184].
Rappresenta ormai un assunto condiviso sia in dottrina che nella giurisprudenza
della Cassazione che, in assenza di obblighi costituzionali espressi di
incriminazione, il legislatore non può ritenersi vincolato dalla sola
importanza del bene a tutelarlo penalmente: spetta sempre al legislatore la
scelta del tipo di tutela, riservando alla pena il ruolo di extrema ratio[185].
Qui peraltro non si tratta nemmeno di scelta quanto piuttosto di livello di
tutela interno al diritto penale: infatti il legislatore è intervenuto
sulla colpa, un criterio di imputazione non generale, di base, come il dolo, ma
una scelta solo possibile, affidata alle previsioni espresse di parte speciale
(art. 42 comma 2 c.p.); inoltre, all’interno di questo tipo di
imputazione soggettiva, il legislatore è intervenuto su un suo grado,
quello minimo, la colpa lieve.
I
confini della imputazione per colpa, del resto, sono un problema aperto non
unicamente nel campo della responsabilità medica. L’estensione,
quanto più possibile, dei casi di punizione solo per colpa grave
è un indirizzo utile non solamente in vista dell’ultima ratio,
ma potrebbe anche rappresentare l’orientamento di politica legislativa
più efficace per un effettivo superamento della responsabilità
oggettiva, evitando (per il rispetto del principio di colpevolezza) che la
sufficienza della colpa lieve
rischi di essere un mero maquillage di facciata[186].
È
pertanto condivisibile la difesa di questa norma, come apertura allo studio dei
limiti dell’imputazione per colpa ai fini penali e contro l’idea
che identifica tout court la tutela dei diritti della persona con il
diritto penale; e dunque e infine di salvaguardia del principio di ultima
ratio – almeno sul piano della politica del diritto
– quale idea regolativa
fondamentale dell’approccio liberale alla materia penale[187].
Ispirata
al principio di ultima ratio è
anche la ricerca di una maggiore precisione nell’individuazione delle
posizioni di garanzia. A proposito del reato omissivo di evento – ancora
nella Relazione al Progetto Grosso – si sottolineava come il modello
vigente, che comporta un rinvio del diritto penale ad altri settori
dell’ordinamento mediante una disposizione costruita come clausola
generale, tende ad assicurare coerenza e completezza del sistema di tutela, a
prezzo però di un deficit di determinatezza e di (conseguente) rinuncia
a selezionare le posizioni di garanzia rilevanti da un punto di vista
prettamente penalistico. L’indirizzo di fondo a cui si ispirava questo
progetto di riforma era invece quello di una forte selezione delle figure di reato omissivo, per la più
penetrante incidenza dei comandi di agire nella sfera di libertà
dei destinatari. In questa prospettiva, prima ancora della definizione di
formule normative, era apparsa opportuna una selezione di posizioni di garanzia.
D) Assetti amministrativi preventivi
Non
è contraddittorio inoltre pensare che anche con l'introduzione di nuove
fattispecie penali si possano perseguire le istanze del principio di ultima
ratio. Ciò avviene in particolare quando alla previsione di nuove
fattispecie si affianca un sistema organizzativo che possa relegare sullo
sfondo la sanzione penale.
In
questo senso, segnali di apertura al principio di ultima ratio sono
contenuti in alcune disposizioni della recente legge anticorruzione (legge 6
novembre 2012, n. 190)[188].
È vero, appunto, che questa legge (intitolata alla prevenzione e
repressione della corruzione dell’illegalità nella pubblica
amministrazione) si caratterizza per un ampliamento della responsabilità
penale[189],
ma al contempo vengono previsti rimedi che vanno proprio nel senso della
possibile riduzione dell’intervento penale.
Il
modello pare essere quello vigente in tema di responsabilità da reato
degli enti collettivi (d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231), ispirato a sua volta al
sistema dei compliance programs di origine nordamericana, modelli
organizzativi strutturati per prevenire i reati all’interno
dell’ente, con la individuazione di aree di rischio della commissione di
reati e assegnazione di compiti di vigilanza sul rispetto degli standard di
comportamento e delle procedure da seguire. Il riferimento nel nostro sistema
è in particolare alla c.d. colpa di organizzazione, che risiede proprio
nella mancata adozione o inefficace attuazione di modelli di organizzazione e
di gestione specificamente calibrati sul rischio-reato, volti cioè a
prevenire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di
reati del tipo di quello verificatosi. Così nella legge n. 190/2012 vi
sono disposizioni volte a delineare modelli organizzativi dell’azione
amministrativa idonei a prevenire fatti di corruzione e di sfruttamento della
funzione pubblica per fini personali. Ne sono esempi nell'art. 1 la previsione
di piani di prevenzione della corruzione da parte delle pubbliche
amministrazioni, ispirati a modelli di risk management (comma 5),
l’istituzione di dirigenti responsabili della prevenzione della
corruzione (commi 7 e 8), la previsione di codici di comportamento (comma 44)[190].
L'apprezzamento
per tali espressioni organizzative motiva una riflessione più generale:
il diritto penale, per poter svolgere davvero il ruolo di ultima ratio,
ha necessità di un contesto in cui operino altre forme di
responsabilità, giuridiche e non, e di un’etica della
responsabilità che assicuri sufficienti livelli di osservanza. Nella
storia recente, proprio l’espansione del diritto penale svolge un ruolo
di supplenza a fronte di una questione morale (e criminale) ingigantita dalla
debolezza di forme di accountability diverse dal penale. Ed è
significativo il richiamo di Pulitanò allo scenario descritto da Tacito
negli Annales (liber III.27): corruptissima republica plurimae leges[191].
Lo
schema utilizzato nella recente legge anticorruzione dimostra come la
prevenzione mediante sistemi organizzativi amministrativi non sia comunque
autosufficiente, necessitando dell’intervento di rinforzo del diritto
penale. Medesima esigenza – e pare dunque un modello generalizzato
– si pone in molti altri settori.
Emblematico
è quanto avvenuto in tema di regolazione dei mercati. Qui la vocazione
fisiologica del diritto penale dovrebbe essere quella di strumento sussidiario,
secondo l’ispirazione dell’ultima ratio: invece la presenza
del diritto penale nella regolazione dei mercati è una costante
dell’intervento legislativo un po’ in tutti gli ordinamenti
giuridici[192].
Il ruolo del diritto penale si esercita soprattutto nella salvaguardia delle
funzioni dello strumento chiave utilizzato dal legislatore, quello cioè
delle autorità amministrative indipendenti.
Il
processo di riduzione, coordinamento e razionalizzazione della disciplina
societaria ha portato alla creazione (d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61) di una
fattispecie unitaria e onnicomprensiva di “Ostacolo all’esercizio
delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza” (art. 2638
c.c.). Si tratta di una fattispecie a lungo criticata sotto i profili della
determinatezza, ragionevolezza e proporzione dell’intervento penale, che
qui però viene in rilievo sul piano dei limiti di operatività del
principio di ultima ratio in un settore oggi di enorme importanza quale
il diritto penale dell’economia. Ci si è posti cioè il
dubbio se la diffusione di autorità amministrative di vigilanza
sull’attività economica privata possa rappresentare un valido
strumento tecnico di prevenzione dei comportamenti illeciti degli operatori
economici, tale da consentire o imporre a un legislatore razionale la rinuncia
all’opzione penale. Ma come insegna quanto avvenuto per le società
di revisione in rapporto al fenomeno del falso in bilancio[193], il
meccanismo preventivo amministrativo può funzionare solo quando ha la
“copertura” dello strumento repressivo penale.
Dunque
il ricorso a modelli organizzativi e di controllo interni al sistema
amministrativo, con la specifica funzione di prevenire illeciti nei settori
coinvolti, e qui in specie quello economico, finisce per portare con sé
non meno ma più diritto penale, nel senso di una maggiore produzione di
fattispecie incriminatrici. Tuttavia se tali nuove fattispecie sono
razionalmente formulate – e soprattutto il
sistema amministrativo preventivo di controlli fosse davvero efficiente – il quadro finale si risolverebbe in una
riduzione dell’intervento penale: alla maggiore quantità di
diritto penale dal punto di vista normativo astratto corrisponderebbe una
minore quantità di diritto penale dal punto di vista applicativo
concreto, e a un'affermazione per così dire in action del
principio di ultima ratio[194].
E) Riforma del sistema sanzionatorio
Cesare
Beccaria concludeva la sua opera fondamentale con questo "teorema
generale": «perché ogni pena non sia una violenza di uno o
di molti contro un privato cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica,
pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze,
proporzionata a' delitti, dettata dalle leggi»[195].
A
questi dettami, ancora oggi, dovrebbe ispirarsi il Legislatore in una riforma
complessiva del sistema sanzionatorio penale, che realizzi finalmente la
sussidiarietà "interna", cioè con la pena detentiva ultima
ratio[196].
Oltre a costituire un dovere per il rispetto della dignità umana, una
tale riforma è essenziale per mettere in grado il sistema penale di
mantenere ciò che promette (o meglio che minaccia) e per assegnare
dunque credibilità al sistema.
Il
percorso è iniziato da tempo[197]. Un
indirizzo (anche magari alla commissione ministeriale di studio del sistema
sanzionatorio nominata – decreto 10 giugno 2013 – con la presidenza
del prof. Palazzo) potrebbe essere fornito dai lavori della c.d. Commissione
Pagliaro, che agli inizi degli anni novanta elaborò un progetto di riforma
del codice penale ispirando espressamente le conseguenze del reato al principio
di ultima ratio[198].
Dato che tale principio dovrebbe guidare già la selezione dei fatti
penalmente rilevanti, non si era ritenuto di introdurre una diversa tipologia
di sanzioni perché «quando l'offesa penalmente rilevante è
selezionata secondo corretti criteri di politica criminale e quindi nel
rispetto sia del principio di proporzione che di quello di
sussidiarietà, non può escludersi a priori la
necessità di ricorrere alla pena criminale più grave e
significativa senza con ciò tradire il senso stesso del canone di ultima
ratio». Le istanze del principio di ultima ratio dovevano poi – secondo il senso del progetto – accompagnare l'intero percorso penale. La fase di
commisurazione assumeva infatti come proprio baricentro questo principio,
prevedendosi, tra l'altro, per il giudice: la possibilità di astenersi
dall'inflizione della pena allorché il reo abbia subito una poena
naturalis tale da rendere ingiustificata – sia
dal punto di vista della colpevolezza che della specialprevenzione – la sanzione; la facoltà di escludere
l'applicazione o della pena accessoria o della pena principale, quando le
finalità del trattamento sanzionatorio possono essere compiutamente
raggiunte con una sola di esse. E sempre in funzione dell'ultima ratio
era concepito lo schema dinamico del trattamento sanzionatorio, con l'effetto
coordinato di un rafforzamento della sospensione condizionale e di un utilizzo
delle sanzioni sostitutive come trattamento sanzionatorio della
criminalità minore recidivante.
F) Riparazione come alternativa alla pena
Volgendo
infine lo sguardo al di là della punizione, e dunque davvero in
direzione del diritto penale come ultima ratio, di fronte all'onnipresenza
della pena (specie detentiva) quale costante storica, appare un'alternativa
credibile la riparazione, come ulteriore strumento di cui avvalersi anche per
ricollocare così la vittima al centro dell'attenzione[199].
Questo orientamento pare seguito pure dalla recente commissione ministeriale
per la revisione del sistema penale[200],
che tra le sue proposte inserisce una ipotesi generale di causa di estinzione
del reato in presenza di condotte riparatorie, estendendo dunque a livello di
giustizia ordinaria la previsione già esistente nel sistema del giudice
di pace. Il nuovo art. 162-ter c.p. dovrebbe riguardare tutti i delitti
procedibili a querela (del quale ambito, tra l'altro, e sempre in ottica
deflattiva, si propone una significativa estensione comprendendovi alcuni reati
contro la persona e contro il patrimonio): il giudice, insomma, potrebbe
vincere l'eventuale persistenza punitiva del querelante, in presenza di
condotte idonee a riparare l'offesa agli interessi tutelati. Il terreno
privilegiato di applicazione di questa nuova causa estintiva è
rappresentato dai reati contro il patrimonio, e il suo impiego viene aiutato
anche dalla proposta di inserimento di un nuovo art. 649-bis, che
consente appunto l'applicazione del neo art. 162-ter per tutti i
delitti, anche procedibili d'ufficio, contenuti nel titolo XIII del libro II
del codice penale, con l'eccezione dei delitti patrimoniali contraddistinti da
violenza alle persone.
Since the Enlightenment, criminal law, characterized by the use of the
harshest and most disruptive sanctions, should represent the last resort (ultima ratio) for the defense of individual and
collective interests. Posed this historical premise, the essay studies
theorical and normative foundation of this principle and then proves the
effectiveness of the principle in the context of the present criminal policy.
It results clearly the crisis of the principle in presence of an uncontrolled
drift to criminalization and some of the causes are studied, causes such as the
expansion of the scale of interests protected and the dominance of prevention
as criminal paradigm. However only reaffirming criminal law in its role of ultima ratio it will be possible to
restore esteem and effectiveness of criminal law, and, with this aim, the essay
proposes some corrective solutions, before on the interpretative level and then
on the legislative one, in order to reduce the intervention of criminal law.
Fin dall’Illuminismo, il
diritto penale, caratterizzato dall’impiego delle sanzioni più
dure e distruttive, dovrebbe rappresentare la soluzione estrema (ultima ratio) per la tutela degli
interessi individuali e collettivi. Data questa premessa storica, il lavoro
studia i fondamenti teorici e normativi del principio per poi verificarne
l'operatività nell'attuale contesto politico-criminale. Emerge chiara la
crisi del principio di fronte a una incontrollata spinta alla criminalizzazione
e ne vengono studiate alcune cause,
come l'ampliamento della gamma dei beni tutelati e il dominio della prevenzione
quale paradigma penale. Solo però riaffermandone il ruolo di ultima ratio sarà possibile
restituire al diritto penale prestigio ed efficacia, e con questa
finalità il lavoro prospetta alcuni correttivi, già sul piano
interpretativo e poi su quello legislativo, per una riduzione dell'intervento
penale.
[Per la
pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è
applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni
articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind].
[1] CATTANEO, Illuminismo e legislazione, Milano 1966.
[2] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, 5ª ed., Harlem 1766, riprodotta a
cura di F. Venturi, Milano 1991 e Torino 2007, § II dell’Introduzione. E in Germania
FEUERBACH, Lehrbuch des gemeinen in
Deutschland geltenden peinlichen Rechts, 5. Aufl., Giessen 1812.
[4] MONTESQUIEU,
De l'esprit des lois, Ginevra 1748,
trad. it. Lo spirito delle leggi, Milano 1999, 231 ss.: «La severità delle
pene conviene di più al governo dispotico il cui principio è il
terrore»; e poco dopo a proposito dell'efficacia: «l'esperienza ha
fatto osservare che nei paesi in cui le pene sono miti, lo spirito del
cittadino ne è impressionato come altrove lo è delle pene
gravi»; e infine quanto all'ineffettività: «La
severità delle leggi ne impedisce l'esecuzione. Quando la pena è
senza misura, si è spesso obbligati a preferire
l'impunità».
[5] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, cit., § XXVII. Analogamente
FEUERBACH, Anti-Hobbes ovvero i limiti
del potere supremo e il diritto coattivo dei cittadini contro il sovrano,
trad. it. a cura di Cattaneo, Milano 1972, 108 ss. I postulati di Beccaria
trovarono pronta e positiva applicazione nella Riforma della legislazione criminale toscana del 1786, primo codice
in Europa ad abolire la pena di morte e a riconoscere che pene sproporzionate
alle trasgressioni producono alla fine solamente un incremento del numero dei
delitti. Vedi anche in seguito ROMAGNOSI, Genesi
del diritto penale, quinta edizione, Prato 1833 (ripr. Milano 2003, con
introduzione di Palombi), 409-410: secondo Romagnosi «Consta in fatti che
l'eccesso della pena provoca molte volte maggiori delitti, e rivolta l'animo
dei magistrati e del popolo».
[6] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, cit., § VI. Vedi NEPPI MODONA, L’utile sociale nella concezione
penalistica di Cesare Beccaria, in Riv.
it. dir. proc. pen., 1989, 494 ss., e MARINUCCI, Beccaria penalista, nostro contemporaneo, in AA.VV., Diritti dell'uomo e sistema penale, a
cura di S. Moccia, Napoli 2002, 15 ss.
La "proporzione" rientra tra i
"Principii generali" della
"criminale legislazione"
nella Scienza della Legislazione di
Gaetano FILANGIERI (188-189 dell'edizione di Parigi 1853, riprodotta con
introduzione di Palombi, Napoli 2003). La giusta proporzione produce un effetto
di limitazione: «Il legislatore, nel determinare dunque le pene alle
diverse specie de' delitti, non deve permettersi che quel grado di
severità necessaria per reprimere l'affezion viziosa che li
produce». La stessa opera di costruzione sistematica compiuta da
Filangieri nella Scienza della
Legislazione ha l'intento di provocare l'uscita dalla confusione normativa,
rapportando le pene ai diversi reati, ripartiti per classi sulla base
dell'oggetto di tutela: «Se ogni delitto deve avere la sua pena
proporzionata all'influenza che ha sull'ordine sociale il patto, che si viola,
ed al gradi di malvagità che si mostra, nel violarlo; le leggi debbono
dunque ben distinguere i delitti, per ben distinguere le pene». Il
concetto di proporzione e soprattutto la necessità di definizione
sistematica del diritto penale rientrerà tra i principi fondamentali
dell'opera di Mario PAGANO, Principii del
codice penale, Milano 1803 (ristampa Milano 1998, con introduzione di
Palombi).
[9] BENTHAM, Théorie des peines et des
récompenses, 1811, in Ouvres,
Bruxelles 1829, a cura di Dumont e Laroche, rist. anast. Aalen 1969, II, 4 ss.,
e ID., Traité de
législation civile et pénale, 1802, ivi, I, 9 ss.
Bentham nell’Essay on Logic (in The
Works of Jeremy Bentham, Edinburgh, 1838-43; rist. New York 1962, vol. VIII, 247; anche A
Fragment on Ontology, ivi, 206) dice che «un obbligo (di comportarsi
in un certo modo) pende su un uomo […] nella misura in cui, nel caso in
cui egli non si comporti in quel modo, si può considerare che egli
sperimenti dolore o perdita di piacere»; e, poco dopo, tra le fonti o
"sanzioni" di piacere e dolore, Bentham menziona non solo quelle
legali ma anche, per esempio, quelle fisiche, morali e religiose. Quello giuridico
dunque è solo uno dei tipi di obbligo, dato che l'obbligo ha per causa
efficiente il piacere e il dolore, i quali possono provenire «a partire
da qualsiasi delle cinque sanzioni o fonti di piacere e di dolore […]
cioè: 1) la sanzione fisica; 2) la sanzione simpatetica; 3) la sanzione
popolare o morale; 4) la sanzione politica, inclusa quella legale; 5) la
sanzione religiosa». Vedi SAMEK LODOVICI, L’utilità del
bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo, Milano
2004.
Per un richiamo al paradigma utilitaristico di stampo
illuministico quale modello di diritto penale orientato alle conseguenze,
PALIERO, Il principio di
effettività del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 436-437, e sul peso dell'utilitarianism sull'overcriminalization, HUSAK,
Overcriminalization. The Limits of the
Criminal Law, Oxford 2008, 188 ss.
[11] CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Del delitto, della pena,
5ª ed., ripr. anast. Bologna 1993 (con introduzione di Franco Bricola),
64-65. BRICOLA, nell’introduzione, sottolinea il richiamo di Carrara ai
principi di extrema ratio e
sussidiarietà, vessilli intorno ai quali ancora oggi si svolge una
battaglia, purtroppo senza esito positivo, per una riduzione dell’area
del penalmente rilevante. Sempre Bricola osserva che la prospettiva di
riduzione dell’intervento penale si lega, nell’impostazione di
Carrara, anche alla difesa, come oggetto di tutela, del diritto soggettivo rispetto
al bene giuridico, garanzia di stampo liberale ma più suscettibile di
dilatare l’ambito della sfera punibile. Ancora ai tempi di Carrara la
barriera imperniata sul diritto soggettivo riesce: più difficile
sarà (ed è) – conclude Bricola – l’attuazione
del monito di Carrara col sopravvenire delle nuove istanze dello Stato sociale,
che amplia i settori di intervento, volge la tutela verso i doveri di
solidarietà, le regole di organizzazione o le funzioni, con la
progressiva creazione e sviluppo di reati artificiali.
[14] Von LISZT, Der Zweckgedanke im Strafrecht, 1882, in
Strafrechtliche Aufsätze und
Vorträge, Berlin 1905, rist. anast. Berlin 1970, I, 161, e ID., Kriminalpolitische Aufgaben (1889-1892),
ivi, I, 291. Vedi anche ROXIN, Franz von Liszt, in ID., Strafrechtliche Grundlagenprobleme,
Berlin – New York 1973, 40 ss. Sul tema di un diritto penale
fondamentalmente ispirato all’idea dello scopo, MONACO, Prospettive dell’idea dello
‘scopo’ nella teoria della pena, Napoli 1984.
[15] Il richiamo al principio è un assunto comune nei nostri
manuali di diritto penale. Secondo ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano 1983,
215 ss., «Non c’è oggi autore che si interessi al tema della
dimensione dell’ambito penale che non renda omaggio esplicito al
principio dell’extrema ratio».
Fra gli altri, FIANDACA-MUSCO, Diritto
penale. Parte generale, 6ª ed., Bologna 2009, 29 ss.; MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 7ª
ed., Padova 2011, XLII; MARINUCCI-DOLCINI, Manuale
di Diritto Penale. Parte generale, 4ª ed., Milano 2012, 13 s.;
PULITANÒ, Diritto penale,
5ª ed., Torino 2013, 50; GROSSO-PELISSERO-PETRINI-PISA, Manuale di diritto penale. Parte generale,
Milano 2013, 5 e sull'evoluzione storica 14-15. Analoghe osservazioni per la
manualistica nordeuropea da parte di JAREBORG, Criminalization as Last Resort (Ultima Ratio), in Ohio State Journal of
Criminal Law, 2, 2004, 521, per quella spagnola e latino americana da
CARNEVALI RODRÍGUEZ, Derecho penal
como ultima ratio. Hacia una
política criminal racional, in Revista
Ius et Praxis, 1, 2008, 13 ss., e per quella tedesca da PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio? Gedanken zu
Grund und Grenzen gängiger Strafrechtsbeschränkungspostulate, in Institut für Kriminalwissenschaften
(Hrsg.). Vom unmöglichen Zustand des Strafrechts, Frankfurt am Main
1995, 387.
[16]
LÜDERSSEN, Einleitung, in
LÜDERSSEN / NESTLER-TREMEL / WEIGEND (Hrsg.), Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, Frankfurt am Main 1990, 11.
[17] HASSEMER, Perché punire è necessario, Bologna 2012, 153 (tit.
orig. Warum Strafe sein
muss. Ein Plädoyer, Berlin 2009, trad. it. D.
Siciliano).
[18]
LÜDERSSEN, Kriminologie.
Einführung in die Problematik von Kriminalität und Kriminalisierung,
Baden-Baden 1984, 167. «In
casi estremi, estremi rimedi», semplifica NAUCKE, Strafrecht. Eine Einführung, 6. Aufl., Neuwied 1991,
53.
[19] ARZT, Probleme der Kriminalisierung
und Entkriminalisierung sozialschädlichen Verhaltens, in Kriminalistik, 1981, 117 ss.; PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär?
Ultima ratio?, cit., 393
ss.
[20] Vedi PALAZZO, Sistema delle fonti e legalità penale, in Cass. pen., 2005, 283, e M. ROMANO, Complessità delle fonti e sistema
penale. Leggi regionali, ordinamento comunitario, Corte costituzionale, in Riv.
it. dir. proc. pen., 2008, 538 ss.
[21] Cfr.
MAIWALD, Zum fragmentarischen Charakter
des Strafrechts, in Festschrift
für R. Maurach, Karlsruhe 1972, 9 ss., 22-23; JESCHECK, Strafrecht. Allgemeiner Teil, 5. Aufl.,
1996, 21 ss.; JAKOBS, Strafrecht.
Allgemeiner Teil, 2. Aufl., Berlin - New York 1993, 49; JAREBORG, Criminalization as Last Resort, cit.,
531 e 534; YOON, Strafrecht als ultima ratio
und Bestrafung von Unternehmen, Frankfurt am Main 2001, 89 ss.
[23] PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär?
Ultima ratio?, cit., 409
ss. Cfr. anche, dal punto di vista delle argomentazioni empiriche, la nota
opinione di DURKHEIM, Kriminalität
als normales Phänomen, in SACK-KÖNIG, Kriminalsoziologie, Frankfurt am Main 1968, 3 ss., secondo il quale
una certa quantità di criminalità occulta è non solo
normale ma addirittura utile.
[24] PAVARINI, Sicurezza dalla criminalità e governo democratico della
città, in Studi in onore di
Giorgio Marinucci, tomo 1, Milano 2006, 1022.
[25]
GARAPON-SALAS, La République
pénalisée, Paris 1996 (trad. it. S. Sinibaldi, La Repubblica penale, Macerata 1997, con prefazione di A.
Panebianco), 73 (della traduzione). Sui meccanismi attraverso i quali l'eccesso
di criminalizzazione alla fine genera ingiustizia, HUSAK, Overcriminalization, cit., 17 ss.
[26] ANGIONI, Bene giuridico, cit., 216-217. Per un'analisi economica del diritto
penale, PALIERO, L'economia della pena
(un work in progress), in Studi in onore di Giorgio Marinucci,
tomo 1, cit., 2006, 543 ss. Su questo tipo di approccio, fondamentale BECKER, Crime and Punishment. An Economic Approach,
in Journal of Political Economy, 76,
1968, 169 ss. A proposito delle
alternative alla overcriminalization basate
su un'analisi economica del diritto, HUSAK, Overcriminalization,
cit., 180 ss., e ancor prima POSNER, An
Economic Theory of the Criminal Law, in Columbia
Law Review, 85, 1985, 1193 ss.
[27] Vedi nel sistema nordamericano, per i
rischi di dispersione dell'impegno da parte degli organi deputati a garantire
la sicurezza, già SCHWARTZ, Moral
Offense and the Model Penal Code, in Columbia
Law Review, 63, 1963, 669 ss., e poi LUNA, The Overcriminalization Phenomenon, in American University Law Review, 54, 2005, 726 ss. Anche in
Germania, il rischio di dispersione di risorse a scapito del perseguimento dei
reati più gravi era tra i presupposti della proposta di riforma avanzata
da una commissione presieduta dal prof. Albrecht all'inizio degli anni '90:
AA.VV., Strafrecht - ultima ratio. Empfehlungen der Niedersächsischen
Kommission zur Reform des Strafrechts und des Strafverfahrensrechts, Baden-Baden
1992, 14.
[28] Vedi
SCHÜNEMANN, Grund und Grenzen der unechten Unterlassungsdelikte.
Zugleich ein Beitrag zur
strafrechtlichen Methodenlehre, Göttingen 1971, 365, e inoltre SILVA SÁNCHEZ, Aproximación
al Derecho penal contemporáneo, Barcelona 1992, 180 ss.
[29]
D’altro canto – osserva FORTI, La
riforma del codice penale nella spirale dell’insicurezza: i difficili
equilibri tra parte generale e parte speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 69-70 – proprio la consapevole
assunzione, come asse portante del sistema penale, di questo principio, nel
quale si compendia e amplifica il concetto fondamentale della relatività
e del relativismo della pena, costituisce la migliore garanzia che sia fugato o
almeno tenuto a freno il tenace retaggio retributivo che si annida tra le
pieghe di altri pur rispettabili principi di matrice liberale. Anzi, il dettame
dell'extrema ratio dovrebbe divenire
– propone Forti – il principio regolatore centrale, sovraordinato
anche rispetto a principi come la legalità-tassatività e
l'offensività, tradizionalmente associati alla fisionomia del c.d.
diritto penale classico. È infatti, di per sé, la coerente
adesione a questo principio a indirizzare il sistema penale verso un serrato
confronto con la realtà empirica, sotto forma di un'attenzione verso la
genesi e gli effetti delle varie fenomenologie criminose, e di una concreta
verifica delle potenzialità di tutela ascrivibili alle diverse risorse
sanzionatorie complessivamente a disposizione dell'ordinamento giuridico.
[30] Corte cost., 11 giugno 1990 n. 282, in ItalGiureWeb. Per il collegamento con
l'art. 13 Cost., vedi DE VERO, Corso di
Diritto penale, I, Torino 2004, 52-53. Cfr., per il rapporto tra
legalità e ultima ratio,
PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht:
Fragmentarisch? Subsidiär?
Ultima ratio?, cit., 394 ss. e NAUCKE, Der Zustand des Legalitätsprinzips, in AA.VV., Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip,
cit., 149 ss.
[31] Per un collegamento tra teoria del bene giuridico,
principio di proporzionalità e principio di stretta necessarietà
dell'intervento penale, HASSEMER, Perché
punire è necessario, cit., 152 ss. Sul principio di proporzione
nella logica del sistema penale, G. DE FRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti, Torino 2008, 11 ss.
[35] ANGIONI, Bene giuridico, cit., 215 ss., il quale ritiene questo un principio
con base normativa (c.d. principio di
idoneità della pena), se si suppone che la Costituzione abbia fatta
propria, in forma esclusiva o no, la funzione generalpreventiva della pena (in
base agli artt. 25 e 27). Talora la sanzione penale produce addirittura
l’esito opposto, può cioè risultare alla fine criminogena:
è quanto è accaduto per l’aborto, dove, ridotto il ruolo
della pena nel suo contrasto, ne è seguito un calo nel numero
complessivo; cfr. L’aborto nelle
sentenze delle Corti costituzionali: USA, Austria, Francia e Repubblica
federale tedesca, Milano 1976, 238 e 304.
[37] GÜNTHER,
Die Genese eines Straftatbestandes. Eine
Einführung in Fragen der Strafgesetzgebungslehre, in Jus, 1978, 11. Vedi anche PALIERO, Il principio di effettività, cit., 450.
[38] Al proposito, DOLCINI, Sanzione penale o sanzione amministrativa:
problemi di scienza della legislazione, in MARINUCCI - DOLCINI, Diritto penale in trasformazione, Milano
1985, 371 ss.
[39] MARINUCCI - DOLCINI, Manuale, cit., 13. Vedi anche PADOVANI, Diritto penale, 10ª ed., Milano 2012, 3.
[40] PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär?
Ultima ratio?, cit., 391
ss.: in questo senso – secondo Prittwitz – la sussidiarietà
è una questione di competenza. Cfr. Arth. KAUFMANN, Subsidiaritätsprinzip und Strafrecht,
in Festschrift Henkel, Berlin 1974,
89 ss., e BRANDT, Die Bedeutung des
Subsidiaritätsprinzip für Entpoenalisierungen im Kriminalrecht,
Hamburg 1988, 135 ss. E già SAUER, Grundlagen
des Strafrecht, nebst Umriß einer Rechts- und Sozialphilosophie,
Berlin-Leipzig 1921, 13.
[41] JESCHECK, Grundsätze der Kriminalpolitik in
rechtsvergleichender Sicht, 1995, in ID., Beiträge zum Strafrecht 1980-1998, Berlin 1998, 414, e DONINI,
Il volto attuale dell’illecito
penale. La democrazia penale tra differenziazione
e sussidiarietà,
Milano 2004, 85.
[42] Cfr., GARGANI, Sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani: un circolo
vizioso per la legalità dell'esecuzione penale, in Studi in onore di Franco Coppi, II,
Torino 2011, 1037 ss.
[43] Così EUSEBI, Ripensare le modalità
della risposta ai reati traendo spunto da C. eur. dir. uomo 19 giugno 2009,
Sulejmanovic c. Italie, nota a Corte europea diritti uomo,
16/07/2009, n. 22635, sez. II, in Cass.
pen., 2009, 4939, e più in generale da parte dello stesso Autore, La riforma ineludibile del sistema
sanzionatorio penale, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2013, 1307 ss. Vedi PADOVANI, Alla ricerca di una razionalità penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1087
ss., sui limiti dell'offerta penale.
[44] GARAPON-SALAS, La République pénalisée, cit., 80 ss.,
propongono di sviluppare maggiormente le sanzioni che si pongono sullo stesso
registro del male causato (traendo magari ispirazione – potremmo
aggiungere – dalle pene accessorie interdittive del nostro sistema
penale). MONTESQUIEU, in De l'esprit de
lois, cit., libro XII capitolo quarto, affermava: «È il
trionfo della libertà , quando le leggi penali fanno derivare la pena
dalla specifica natura del reato. Cessa qualunque arbitrio; la pena non dipende
dal capriccio del legislatore ma dalla natura delle cose; e non è l'uomo
a far violenza all'uomo».
[45] M. ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto
penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2008, 993, ed EUSEBI, Ripensare le modalità della risposta
ai reati, cit., 4952 ss.
Eusebi propone di recuperare il sistema delle sanzioni penali alla
progettazione politico-criminale, operando scelte che comunque non risulteranno
mai argomentabili come un teorema matematico, né mai potranno essere
totalmente desumibili da una logica solo interna all'ambito delle discipline
penalistiche. Lo stesso tasso di prevenzione dei reati è riconducibile
essenzialmente non già al timore per l'entità delle conseguenze
negative per il caso di trasgressione delle norme penali, ma al livello di
consenso che tali norme riescono a ottenere per libera scelta dei singoli
individui, per l'autorevolezza che esse sono in grado di guadagnarsi nel
contesto sociale.
[46] MAIWALD, Zum fragmentarischen Charakter des
Strafrechts, in Festschrift Maurach,
Karlsruhe 1972, 9 ss., e HEFENDEHL, Der fragmentarische Charakter des Strafrechts, in Juristische
Arbeitsblätter, 6, 2011, 401 ss. Per questa
descrizione nella dottrina italiana, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 32 ss.; PADOVANI, Diritto penale, cit., 3-4; MANNA,
Corso di diritto penale. Parte generale, 2ª ed., Padova 2012, 26 s. Vedi PALIERO, Minima non curat praetor. Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione
dei reati bagatellari, Padova 1985, 159-160; PALAZZO, Principi
costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, Firenze 1990,
12-13; MUSCO, L'illusione penalistica,
Milano 2004, 3. Cfr. PULITANÒ, Diritto
penale, cit., 49, che nega al carattere frammentario del diritto penale
valenza di principio, ritenendolo piuttosto un riflesso formale del principio
di legalità e ne segnala anzi il possibile contrasto col principio di
uguaglianza. Per un'applicazione specifica del rapporto tra
frammentarietà ed extrema ratio
in tema di protezione dell'integrità psichica, VITARELLI, Manipolazione psicologica e diritto penale,
Roma 2013, 17 s.
[47] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 35. L’idea iniziale di Binding –
a cui il principio risale – era invece diversa, visto che ravvisava nel
carattere frammentario, per il suo contenuto di arbitrarietà, un grande
difetto del codice penale di allora: BINDING, Lehrbuch des Gemeinen Deutschen Strafrechts, I, 2. Aufl., Leipzig
1902, 20. Abbandonata presto questa visione, la dottrina tedesca ravvisa nel carattere frammentario del diritto penale
addirittura “il segno distintivo di uno Stato di Diritto”, per il
suo significato di limitazione dell’intervento penale a quelle condotte
che, per la loro pericolosità o riprovevolezza, meritano in maniera
univoca una pena pubblica per la protezione della società stessa (JESCHECK,
Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit.,
52 ss.), e ponendo in definitiva un
obbligo di contenimento della legislazione penale (NAUCKE, Strafrecht, cit., 78).
[48] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 30-31, fanno presente l’esistenza di
una concezione “ristretta” del principio di ultima ratio e di una concezione, appunto, più
“ampia”. Cfr. MANTOVANI, Diritto
penale, cit., XLII.
[50] Sul ruolo simbolico della normativa
penale, cfr. HAFFKE, Die Legitimation des
staatlichen Strafrechts zwischen Effizienz, Freiheitsverbürgung und
Symbolik, in Festschrift Roxin,
2001, 955 ss., che ritiene tale ruolo agli antipodi di un diritto penale
razionale ed efficiente; HASSEMER, Das
Symbolische am simbolischen Strafrecht, ivi, 1001 ss.; ROXIN, Was darf der Staat unter Strafe stellen? Zur Legitimation von
Strafdrohungen, in Studi in onore di
Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 728 ss. Per un'applicazione specifica nel
nostro Paese, ALESSANDRI, Un esercizio di
diritto penale simbolico: la c.d. tutela penale del risparmio, in Scritti per Federico Stella, Napoli
2007, 943 ss.
[51] Su tale principio, MARINUCCI - DOLCINI, Corso di diritto penale, vol. 1, Milano
2001, 119 ss., e sul suo fondamento costituzionale, PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto
penale, Milano 1979, 104 ss. Parla di scadimento del Parlamento quale
tutore della legalità, nella crescente produzione legislativa di leggi
vuote (simboliche), compromissorie, o semplicemente sciatte, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 68-69.
[53] Corte cost. 22 aprile 1992 n. 185, in Giur. cost., 1992, 1333 ss. Il principio
è stato sempre più valorizzato dalla Corte costituzionale, che ha
accolto diverse eccezioni di costituzionalità sollevate dai giudici
ordinari: MARINUCCI - DOLCINI, Corso,
cit., 143 ss.
[54] Tra le tante Corte cost. 7 luglio 2005,
n. 265, in Giur. cost., 2005, 2432 s.
Il principio potrà poi operare la sua funzione delimitativa non solo
riguardo agli elementi costitutivi del fatto ma pure alle circostanze
aggravanti, che non potranno in nessun caso essere espressione di una
«generale e presunta qualità negativa dell'autore» della
condotta illecita (Corte cost. 5-8 luglio 2010, n. 249, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 1349 ss.).
[55] Corte cost. 24 luglio 2007 n. 322, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1350.
Per una precisa e coerente applicazione di questa pronuncia della Corte
costituzionale, vedi Cass. S.U. 22 gennaio 2009, n. 22676, in ItalGiureWeb, a proposito di una
tradizionale ipotesi di responsabilità oggettiva quale l'art. 586 c.p.
[56] Per un’analisi delle due categorie
nella nostra dottrina, M. ROMANO, «Meritevolezza
di pena», «bisogno di pena» e teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 39 ss.
Su meritevolezza (Strafwürdigkeit)
e bisogno di pena (Strafbedürftigkeit) nella dottrina
tedesca, tra gli altri, BLOY, Die
dogmatische Bedeutung der Strafausschließungs- und
Strafaufhebungsgründe, Berlin 1976, 227 ss.; GÜNTHER, Strafrechtswidrigkeit und
Strafunrechtsausscluß, Köln 1983, 236 ss.; VOLK, Entkriminalisierung durch
Strafwürdigkeitskriterien jenseits des Deliktsaufbaus, in ZStW,
97, 1985, 871 ss.
[58] Al
di là del rango del bene, la scelta del tipo di tutela –
riservando al diritto penale il ruolo di extrema ratio – spetta sempre al legislatore. E la stessa
Corte costituzionale, già dal 1969 (3 dicembre 1969, n. 147, in Giur cost., 1969, 2244), ha chiarito che «appartiene alla
politica legislativa il potere di stabilire, in relazione a un determinato
contesto storico, se siano sufficienti le sanzioni di natura civile o se sia
necessario disporre anche misure penali». L'opzione per la via
amministrativa è invece affermata in Corte cost. 21 luglio 1983, n. 226,
in Giur cost., 1983, 1395 ss.: qui la
Corte ha ritenuto giustificata la scelta legislativa di privilegiare il ricorso
al controllo amministrativo invece che alla repressione penale, dato che
un’articolata disciplina amministrativa dell’inquinamento idrico
appare ragionevolmente capace di un’efficacia protettiva maggiore
rispetto a un controllo penale già sperimentato con esiti negativi.
[60] Cfr. ANGIONI, Bene giuridico, cit., 161 ss.; PULITANÒ, La teoria del bene giuridico fra codice e
Costituzione, in Quest. crim.,
1981, 111 ss.; PAGLIARO, Principi di
diritto penale. Parte generale, 8ª ed., Milano 2003, 234 ss.
[61] MARINUCCI-DOLCINI, Diritto penale ‘minimo’ e nuove forme di criminalità,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1999,
776 ss. Cfr. BARATTA, Principi del
diritto penale minimo. Per una teoria dei diritti umani come oggetti e limiti
della legge penale, in Dei delitti e
delle pene, 1985, 443 ss.; RESTA, La
dismisura dei sistemi penali, ivi,
475 ss.; FERRAJOLI, Il diritto penale
minimo, ivi, 493 ss.; PAVARINI, Per un diritto penale minimo: “in the
books” o “in the facts”? Discutendo con Luigi Ferrajoli,
in Dei delitti e delle pene, 1998,
125 ss.
[62] PALAZZO, I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di
criminalizzazione, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1992, 459.
[64] ANGIONI, Condizioni di punibilità e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989,
1492-1493, per il quale il pericolo di malattia costituisce condizione di
punibilità.
[71]
SCHÜNEMANN, Besondere
persönliche Verhältnisse und Vertreterhaftung im Strafrecht, in ZSchwR, 1978, 146-148.
[73] M. ROMANO, «Meritevolezza di pena», «bisogno di pena»,
cit., 51. ANGIONI, Condizioni di
punibilità, cit., 1496, ritiene possibile un salvataggio delle due
figure, con significato però diverso da quello consueto, ossia
accoppiando insieme reato-fattispecie, punibilità
e meritevolezza penale, come tre aspetti della medesima entità
giuridica; e dall’altra parte procedibilità
e bisogno penale (in senso stretto) come aspetti di altra entità
giuridica, ormai fuori ed esterna rispetto alla fattispecie di reato. PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e
scelte di criminalizzazione, cit., 15 ss., collega la meritevolezza e il
bisogno di pena al diverso rango dei beni tutelati. La meritevolezza è
certa per i c.d. beni primari, ma permane comunque un margine di incertezza su
quali possano davvero ritenersi tali, essendo l’individuazione di
questi pur sempre soggetta a
condizionamenti storici, inclusi quelli di carattere socio-culturale. La
meritevolezza può invece mancare nei beni identificabili con valori e
orientamenti culturali, come per esempio il buon costume o la
“naturalezza” della procreazione umana: oltre alla forte componente
ideologica e all’assenza di un immediato danno sociale, qui è
difficilmente provabile il nesso causale tra la caduta di quegli orientamenti
socio-culturali e la diffusione di comportamenti antisociali. Meglio dunque
l’eventuale ricorso a strumenti di controllo sociale diversi dal diritto
penale. Rimane la fascia intermedia dei beni strumentali, in particolare delle
c.d. funzioni («concretizzazioni normative di modelli di organizzazione e
di controllo», così definisce questi beni PADOVANI, Tutela di beni e tutela di funzioni nella
scelta fra delitto, contravvenzione e illecito amministrativo, in Cass. pen., 1987, 670). Per questi beni,
il principio di ultima ratio impone
innanzitutto di verificare la meritevolezza dell’interesse finale e la
relazione di effettiva e stretta strumentalità tra questo e la funzione;
poi di selezionare all’interno delle tipologie aggressive quelle che
possono vantare un sufficiente grado di Strafwürdigkeit.
[75] PALIERO, Il principio di effettività, cit., 461 ss. Vedi anche
OTTO, Strafwürdigkeit und
Strafbedürftigkeit als eigenständige Deliktskategorien?, in Gedächtnisschrift Horst Schröder,
München 1978, 54-55.
[76] Cfr. ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil. Band I,
Grundlagen. Der Aufbau der Verbrechenslehre, 4. Aufl., München 2006, 45 ss.
[78] DONINI, Principi costituzionali e sistema penale. Modello e programma, in ius17@unibo.it.
Studi e materiali di diritto penale, 2, 2009, 430; ID., Il
volto attuale dell’illecito penale, cit., 85-86.
[79] Corte cost., 21 maggio 1987, n. 189, in ItalGiureWeb. E la Corte arricchisce il senso del principio di ultima ratio
affermando la sproporzione del ricorso alla sanzione penale nel clima politico
mutato rispetto a quello originario del 1929. In altri casi è forte
l’intreccio col parametro della ragionevolezza, che porta comunque a
salvare le fattispecie impugnate dall’incostituzionalità: es.
Corte cost., 18 luglio 1996, n. 317, in ItalGiureWeb, e Corte cost., 16 dicembre 1998, n. 455, ivi.
[81] Corte cost., 4 giugno 1992, n. 291, in ItalGiureWeb. Analogamente, in tema di
violata consegna (art. 120 del codice penale militare di pace), sulla base
dell’assunto che il bene tutelato non era da ritenere quello indicato
nell’ordinanza di rimessione, Corte cost., 6 luglio 2000, n. 263, in ItalGiureWeb.
[82] Tra le tante Corte cost., 23 ottobre
1989, n. 487, in ItalGiureWeb. Cfr.
anche Corte cost., 21 giugno 2004, n. 185, in ItalGiureWeb.
[84] Tra le ultime, Corte cost., 7 luglio
2010, n. 273, in ItalGiureWeb, la
quale richiama le sentenze n. 313 del 1995 e n. 364 del 2004, e ancora le
ordinanze n. 317 del 1996, n. 58 del 1999, n. 144 del 2001, e n. 110 del
2003.
[85] Si tratta della fattispecie contenuta nell’art. 10 bis del decreto
legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero)
aggiunto dall’art. 1 comma 16 lett. a) della legge 15 luglio 2009 n. 94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Trae spunto anche da questa
vicenda, a proposito del limitato controllo da parte della Corte costituzionale
su contenuto e struttura delle fattispecie penali, MANES, I recenti
tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività
e ragionevolezza, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1, 2012, 100 ss.
In generale sul tema, PALAZZO, Offensività e ragionevolezza nel
controllo di costituzionalità sul contenuto delle leggi penali, in Riv.
it. dir. proc. pen., 1988, 350 ss.; AA.VV., Diritto penale e
giurisprudenza costituzionale, a cura di G. Vassalli, Napoli 2006;
RIONDATO, Un diritto penale detto “ragionevole”. Raccontando
Giuseppe Bettiol, Padova 2006.
[86] Così sostanzialmente in tutta la
serie di ordinanze con cui è stata sollevata la questione di
costituzionalità, decisa poi nel medesimo senso della manifesta
inammissibilità dalla Corte costituzionale con le ordinanze, tra le
tante, nn. 3, 84, 144, 149, 154, 193 del 2011, in ItalGiureWeb.
Sulla
compatibilità invece con il diritto dell’UE (in particolare con la
“Direttiva rimpatri” 2008/115/CE) del c.d. reato di
clandestinità (art. 10 bis t.u. imm.), GATTA, Il
‘reato di clandestinità’ (art. 10 bis t.u. imm.) e la ‘Direttiva rimpatri’, in Dir. pen. cont., 8 febbraio 2012.
[87] Sull'affinamento e delle tecniche
decisorie della Corte costituzionale e sulla loro moltiplicazione, BELFIORE, Giudice delle leggi e diritto penale. Il
diverso contributo delle Corti costituzionali italiana e tedesca, Milano
2005, in particolare 334, e BERTOLINO, Dalla
mera interpretazione alla «manipolazione»: creatività e
tecniche decisorie della Corte costituzionale tra diritto penale vigente e
diritto vivente, in Studi in onore di
Mario Romano, vol. I, Napoli 2011, 55 ss. Cfr. anche BIN, Ragionevolezza e divisione dei poteri,
in Diritto&questioni pubbliche,
2, 2002, 115 ss.
[88] INSOLERA,
Principio di eguaglianza e controllo di ragionevolezza sulle norme penali,
in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Torino 1997, 264 ss.
[89] Corte cost., 5 luglio 2010, n. 20, in ItalGiureWeb. In senso critico
dell’impostazione della Corte costituzionale, MASERA, Corte costituzionale e immigrazione: le
ragioni di una scelta compromissoria, nota a Corte cost. nn. 249 e 250 del
2010, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2010, 1373 ss.
[90] VIGANÒ, Nuove prospettive per il controllo di costituzionalità in
materia penale?, in Giur. cost.,
4, 2010, 3017 ss. In dottrina (MANES, I
recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale, cit., 106 ss.) si
osserva che nelle giurisprudenza più recente non si registrano decisioni
di accoglimento fondate sul principio di ragionevolezza o sul principio di
proporzione, almeno per quanto riguarda il sindacato concernente
l’equilibrio sanzionatorio di singole fattispecie punitive. Un
significato di sollecitazione deve però essere riconosciuto a recenti
applicazioni in tema di ammontare della confisca in materia di illeciti amministrativi
previsti dal T.U.F. (Corte cost. n. 186 del 2011), a proposito poi della pena
edittale del sequestro di persona a scopo di estorsione (Corte cost. n. 22 del
2007), e infine riguardo alle attenuanti generiche e alla recidiva (Corte cost.
n. 183 del 2011).
[91] Corte cost., 8 luglio 2010, n. 249, in ItalGiureWeb. Nella prospettiva del
vaglio positivo di ragionevolezza, vedi Corte cost., 2006, n. 393, e 2008, n.
72.
[92] Cfr. VIGANÒ, Nuove prospettive, cit., 3020, e PULITANÒ, Giudizi di fatto nel controllo di costituzionalità
di norme penali, in Riv. it. dir.
proc. pen., 2008, 1027.
[94] Si tratta di illeciti di natura
particolarmente grave e di dimensione transnazionale: terrorismo, tratta degli
esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico
illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro,
corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità
informatica e criminalità organizzata.
[95] In generale, DONINI, Sussidiarietà penale e sussidiarietà comunitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 141 ss.;
BERNARDI, La competenza penale accessoria
dell’Unione europea: problemi e prospettive, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1, 2012, 43 ss.
[96] SOTIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena nel
diritto dell’Unione europea dopo Lisbona, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1, 2012, 111 ss.
[98] Vedi esemplificazioni in SOTIS, I principi di necessità e
proporzionalità della pena, cit., 115-118.
[99] Esemplare quanto riportato da BERNARDI, La difficile integrazione tra diritto
comunitario e diritto penale, in Cass.
pen., 1996, 1005 ss., e ancora da SOTIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena,
cit., 116-117. Il caso era quello della fattispecie italiana che sanzionava
penalmente l’importazione di pasta di grano tenero, in asserita
violazione del principio comunitario di libera circolazione delle merci. La
Corte di giustizia (14 luglio 1988, Proc.
pén. c/Zoni, C-90-86) aveva riconosciuto la legittimità dello
scopo (la tutela dei coltivatori di grano duro in una zona economicamente
depressa come il sud Italia), ma ne aveva contestato il mezzo di tutela (la
sanzione penale), potendosi perseguire tale fine con mezzi meno invasivi, come
per esempio con etichettature che chiariscano al consumatore la natura del
prodotto. Estremamente interessante sul piano del metodo è dunque
l’argomento decisorio della Corte: «Occorre osservare infine che l’andamento della situazione sui
mercati d’esportazione dimostra che la concorrenza attraverso la
qualità va a vantaggio del grano duro. Infatti, dai dati statistici
forniti alla Corte risulta che la quota di mercato occupata dalla pasta
prodotta esclusivamente con grano duro in altri Stati membri, dove subisce sin
d’ora la concorrenza delle paste prodotte con grano tenero o con miscele
di grano tenero e di grano duro, aumenta continuamente. I timori del governo
italiano quanto alla scomparsa della coltura del grano duro sono pertanto
infondati». E SOTIS (op. cit., 117) sottolinea come fondare su saperi
extrapenali, su valutazioni di impatto, il giudizio di necessità di
pena, è il vero modo di rendere giustiziabile il giudizio di
necessità di pena, è la vera concretizzazione dell’idea
della scienza penale integrata da saperi extrapenali.
[101] Con decreto del 14 dicembre 2012 è
stato costituito presso l'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia un
Gruppo di Studio per elaborare una proposta di revisione del sistema penale
attraverso l’introduzione di norme di depenalizzazione. Vedi relazione e
articolato a conclusione dei lavori della Commissione, presieduta dal Prof.
Fiorella, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2013, 1587 ss.
[102] Vedi MOCCIA, Il volto attuale del sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1093 ss., il quale lega al fenomeno
dell'efficientismo la crescita inarrestabile del diritto penale. L'efficientismo penale cerca di rendere
più rapida ed efficace la risposta punitiva limitando o sopprimendo
garanzie sostanziali e processuali; esso rappresenta un denominatore comune
della conflittualità legata (in tutti i Paesi) a una crisi profonda e di
grande portata: la crisi del sistema economico-sociale prodotto dalla
globalizzazione e dalle politiche neoliberiste dominanti il mercato e le
conseguenti diseguaglianze e profondi squilibri. In un tale contesto, il
diritto penale cessa di essere sussidiario e - afferma Moccia - torna a essere
la prima ratio della politica
sociale, una sorta di illusoria panacea con la quale si vogliono affrontare, e
risolvere, i più diversi problemi.
[103] Per tutti,
PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht:
Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio?, cit., 387
ss.
Un recente dibattito si è
sviluppato in Germania a seguito della decisione della Corte costituzionale
tedesca (BverfG, 2 NvR 392/07 del 26 febbraio 2008) di confermare la
legittimità della punizione dell’incesto (§ 173, abs. 2 StGB),
contro l’opinione dissenziente che poneva il dubbio se davvero il diritto
penale (in quanto ultima ratio) fosse
lo strumento adeguato per trattare il tema. Investita del ricorso, la Corte
europea dei diritti dell’uomo si è espressa ugualmente nel senso
della legittimità del divieto di incesto tra fratello e sorella (in Der Spiegel del 12 aprile 2012).
Dell'opportunità di abrogare il delitto di incesto (art. 564 c.p.) -
sulla base del canone dell'extrema ratio
- si è trattato anche in Italia da parte della recente Commissione ministeriale
per la revisione del sistema penale (in Riv.
it. dir. proc. pen., 2013, 1591): non si è arrivati però a
una conclusione giacché l'opinione che la fattispecie incrimini condotte
immorali, non offensive di beni giuridici meritevoli di tutela penale in uno
Stato laico, non ha trovato d'accordo l'intera commissione. Sempre in Germania,
altro recente tema di discussione è l'incriminazione della corruzione
medica: BRAUN, Ärztekorruption und
Strafrecht - steht das ultima-ratio-Prinzip der Schaffung eines neuen
Strafrechtstatbestands entgegen?, in MedR,
31, 2013, 277 ss.
[104] BUSTOS RAMÍREZ, Manual de
Derecho penal, 3ª ed., Madrid
1989, 43-44; PORTILLA CONTRERAS, Principio
de intervención mínima y bienes jurídicos colectivos,
in Cuad. de pol. Crim., 1989, 723
ss.; GARCÍA-PABLOS DE MOLIN, Sobre
el principio de intervención mínima del Derecho penal como
límite del «ius puniendi», in Estudios penales y
jurídicos. Homenaje a Enrique Casas Barquero, coord. Gonzales Rus, Córdoba 1996,
253; COBO DEL ROSAL - VIVES ANTÓN, Derecho penal. Parte
general, 5ª ed., Valencia 1999, 81 ss.; SILVA
SÁNCHEZ, La expansión del
derecho penal. Aspectos de la política criminal en la sociedades
postindustriales, 2ª ed., Madrid
2011, e in particolare CARNEVALI RODRÍGUEZ, Derecho penal como ultima ratio. Hacia una política
criminal racional, cit.,
13 ss. Così come negli Stati Uniti, anche in America Latina e più
precisamente in Brasile esiste una rivista on line sul tema dell’ultima ratio (www.ipan.org.br), curata dall’Instituto Panamericano de Politica Criminal.
[105] Così nel pamphlet
(opera di due magistrati), GARAPON-SALAS, La
République pénalisée, cit., 31.
[106] ASHWORTH, Principles of criminal law, 5th. ed., Oxford 2006, 64-65 (l'Autore
parla in realtà di principle of
minimum criminalization), e più in particolare dello stesso Autore, Is the Criminal Law a Lost Cause?, in Law Quarterly Review, 116, 2000, 225 ss., e Conceptions of Overcriminalization, in Ohio State Journal of Criminal Law, 5,
2008, 407 ss. Sempre in generale sul principio, SIMESTER - SULLIVAN,
Criminal law: theory and doctrine,
Oxford - Portland 2001, 6 ss. Più approfonditamente, HUSAK, The Criminal Law as last Resort, in Oxford Journal of Legal Studies, 24, 2004, 207 ss. (e sulla applicabilità del
principio in tema di lotta alla droga, ID. Applying Ultima Ratio: a
Skeptical Assessment, in Ohio State
Journal of Criminal Law, 2, 2005, 535 ss.), e la monografia Overcriminalization. The Limits of the
Criminal Law, Oxford 2008.
[107] Un quadro completo di questa evoluzione
in LUNA, The Overcriminalization
Phenomenon, in American University
Law Review (vol. 54), 2005, 703 ss. Qualche caso ritenuto estremo:
in Delaware si punisce con sei mesi di imprisonment
la vendita di profumi o lozioni come bevande; in Alabama rappresenta felony menomare se stessi per suscitare
compassione; in Virginia costituisce misdemeanor
sputare in luoghi pubblici; in Massachusetts si sanziona penalmente chi
spaventa i piccioni nei loro nidi; in South Carolina è punito con tre
anni di imprisonment inviare
anonimamente messaggi indecenti o "suggestivi"; per non essere da
meno in ambito federale si criminalizza l'uso a fini pubblicitari della
bandiera americana nel District of
Columbia; infine innumerevoli ordinanze locali prevedono conseguenze
penali, come a Salt Lake City dove si prevede come crimine la mancata
restituzione di libri a una biblioteca!
Esiste
un sito internet, http://www.heritage.org/issues/legal/overcriminalization
(prodotto da The Heritage Foundation,
forse il più influente think tank statunitense), che fornisce dati
aggiornati e contiene importanti contributi dottrinali sul tema.
[108]
ASHWORTH, Principles of criminal law,
5th. ed., Oxford 2006, 64-65 (l'Autore parla in realtà di principle of minimum criminalization), e
più in particolare dello stesso Autore, Is the Criminal Law a Lost Cause?, in Law Quarterly Review, 116,
2000, 225 ss., e Conceptions of
Overcriminalization, in Ohio State
Journal of Criminal Law, 5, 2008, 407 ss. Sempre in generale
sul principio, SIMESTER - SULLIVAN, Criminal
law: theory and doctrine, Oxford - Portland 2001, 6 ss.
Più approfonditamente, HUSAK, The Criminal Law as last Resort, in Oxford Journal of Legal Studies,
24, 2004, 207 ss. (e
sulla applicabilità del principio in tema di lotta alla droga, ID. Applying Ultima Ratio: a Skeptical Assessment, in Ohio State Journal of Criminal Law, 2,
2005, 535 ss.), e la monografia Overcriminalization.
The Limits of the Criminal Law, Oxford 2008.
[109] KADISH,
The Crisis of Overcriminalization; More on Overcriminalization; e The
Use of Criminal Sanctions in Enforcing Economic Regulations, in Blame and Punishment: Essays in the Criminal
Law, New York 1987, 21 ss.
[110]
KADISH, Blame and Punishment, cit.,
51. Vedine i richiami in
FORTI, Per una discussione sui limiti
morali del diritto penale, cit., 299 ss. Cfr. anche, per i riflessi sulla
dignità sociale, DUBBER, Toward a
Constitutional Law of Crime and Punishment, in Hastings Law Journal, 55, 2004, 546 ss.
[111] ASHWORTH,
Conceptions of Overcriminalization,
in Ohio State Journal of Criminal Law,
5, 2008, 423.
[112] Il principio viene in rilievo quando
l'elemento psicologico viene ridotto a un livello inferiore (es. colpa
anziché dolo), ma il nomen iuris
rimane lo stesso. Vedi ASHWORTH, Principles
of Criminal Law, cit., 88 ss., e più specificamente
CHALMERS-LEVERICK, Fair labelling in
criminal law, in Modern Law Review,
71, 2008, 217 ss.
[113] Secondo questo principio, dunque, quando
l'actus reus e la mens rea non corrispondono, la
responsabilità dell'imputato non dovrebbe eccedere l'offesa attualmente
arrecata dalla sua mens rea. O
ancora: quando il reato è definito in relazione a determinate
conseguenze e circostanze, l'elemento mentale dovrebbe riferirsi anche a
queste; se fosse ammessa una rappresentazione mentale su di una conseguenza
minore, ciò determinerebbe una constructive
liability (alla lettera, "ricostruita", "inferita").
Ancora ASHWORTH, Principles of Criminal
Law, cit., 87, che qui richiama espressamente la formula latina del versari in re illicita.
[115]
GARAPON-SALAS, La République
pénalisée, cit., 10-11. Precisa poi GARAPON, Le
Gardien des promesses. Justice et démocratie, Paris 1996, 103, che
«Il diritto amministrativo – come il diritto civile – non fa
più da filtro per situare le responsabilità al livello in cui
devono stare: occorrono non solo dei responsabili, ma anche dei colpevoli
… Si passa da una logica civilistica o amministrativa a una logica
penale, cioè da logiche della riparazione e della continuità a una logica
contraria, dell'espulsione e della
discontinuità».
[117] Già PACKER, I limiti della sanzione penale,
Milano 1978 (titolo originale The
Limits of the Criminal Sanction, Stanford 1968, traduzione italiana di F. Ferracuti - M. Ferracuti Garuti -
Scardaccione e presentazione di Vassalli), 254, osservava che «il
dichiarare che una condotta indesiderabile è criminale è la linea
legislativa di minore resistenza, per affrontare i dibattuti problemi di una
società complessa e interdipendente in continua crescita». Il
risultato di tale scelta è «una strana congerie di proibizioni
penali, concernenti, da un lato, la condotta che determina le più gravi
minacce per importanti interessi sociali e, d’altro lato, la condotta la
cui potenzialità di danno è insignificante o non esiste».
In Italia, già nel 1987 (e dunque con riferimento agli anni immediatamente
seguenti all’emanazione della legge 689/81, che ha introdotto un tipo di
illecito amministrativo connotato quale illecito para-penale, fornendo al
legislatore uno strumento alternativo di tutela), DOLCINI, Sui rapporti tra
tecnica sanzionatoria penale e amministrativa, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1987, 797,
segnalava la persistente inclinazione del legislatore statale a fare
indiscriminato uso della sanzione penale, ignorando l’alternativa offerta
dalla sanzione amministrativa.
[118] Per una interessante ricerca sulle
tecniche di tutela dell'ambiente, con riferimenti statistici, e dal punto di
vista del diritto penale come ultima
ratio, HÜMBS KRUSCHE - KRUSCHE, Die
strafrechtliche Erfassung von Umweltbelastungen. Strafrecht als ultima ratio der
Umweltpolitik? Eine empirische Untersuchung, Stuttgart 1982.
[119] HASSEMER, Produktverantwortung im modernen Strafrecht, Heidelberg 1996, 10 ss. Per
raggiungere gli obiettivi di tutela, le riforme del diritto sostanziale devono
trovare appoggio in quelle del diritto processuale, consistenti in accelerazioni
e alleggerimenti processuali e nel rafforzamento degli strumenti di indagine.
Il diritto penale estende pertanto le sue capacità di criminalizzazione
e al contempo – rileva NAUCKE, Schwerpunktverlagerungen im Strafrecht, in KritV, 1993, 136 – cerca di liberarsi della
“zavorra” garantistica dello stato di diritto (rechtsstaatlichen Ballast) che è di ostacolo
all’attuazione dei suoi nuovi compiti. PALIERO, L’autunno del
patriarca. Rinnovamento o trasmutazione del diritto penale dei codici?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994,
1231, osserva come le regole procedurali siano sempre più
spesso ancorate al “principio di opportunità”. Il diritto
penale “moderno”, “della prevenzione generalizzata” e
“del rischio” necessita di reti elastiche di principi, «consegnate
alle manovre orientatrici che solo un’ampia discrezionalità
giudiziale può regolare sull’opportunità punitiva del
“contingente”». Sul significato – o meglio sul "mito" – del diritto penale "moderno", HERZOG, Nullum Crimen Sine Periculo Sociali oder
Strafrecht als Fortsetzung der Sozialpolitik mit anderen Mitteln, in
AA.VV., Modernes Strafrecht und
ultima-ratio-Prinzip, cit., 105 ss.
[120] PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 457 s. L’Autore parla di «sfavorevolissima
esperienza legislativa» che ha portato a una rara concreta applicazione
sul piano legislativo della teoria del bene giuridico. Cfr. KINDHÄUSER,
Strafe, Strafrechtsgut und
Rechtsgüterschutz, in AA.VV., Modernes
Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, cit., 29 ss. Sull’ipertrofia del diritto penale,
già PALIERO, Minima non curat praetor, cit., 3 ss. e sugli effetti
distorsivi di tale espansione ipertrofica, FIANDACA-MUSCO, Perdita di
legittimazione del diritto penale?,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 36 s. Si afferma inoltre in
ANTOLISEI, Manuale di diritto
penale. Parte generale, 15ª ed. aggiornata e integrata da
Conti, Milano 2000, 177, che la generalizzazione della mera difesa di principi
e valori astratti attraverso i reati di pericolo astratto e presunto, generata
dalla complessità delle situazioni di rischio nella convulsa
società moderna e dalla propensione alla c.d. politica
dell’emergenza, ha a sua volta tolto chiarezza ai beni da tutelare.
[121] Secondo FIANDACA-MUSCO, Perdita di
legittimazione, cit., 28, una tendenza al superamento del
modello classico esisteva già al momento della codificazione del codice
Rocco e il processo di “volatilizzazione” o
“spiritualizzazione” del bene giuridico, con la conseguente
tendenziale degradazione del reato a illecito di mera disobbedienza, era in
corso nella legislazione complementare coeva alla codificazione. Già
allora dunque il modello classico del diritto penale del bene giuridico, con i
principi a esso legati - tra cui fondamentale quello di ultima ratio - rappresentava una costruzione teorica poco
confacente alla realtà normativa. Oggi però le contraddizioni di
un sistema posto per una determinata tipologia di reati dominante in epoca
storica emergono in maniera più evidente, soprattutto per lo svilupparsi
della legislazione di tutela in campo ambientale ed economico.
[122] ALESSANDRI, in
PEDRAZZI-ALESSANDRI-FOFFANI-SEMINARA-SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa, 2ª ed., Bologna
1999, 25-26.
[123] MARINUCCI-DOLCINI, Corso, cit., 551 ss. Gli Autori sono fortemente critici nei
confronti della concezione personalistica, ritenendola da un lato ritagliata su
di una idealizzata visione ottocentesca del diritto penale (strumento di tutela
dei soli beni classici), dall’altro strumentale a una depenalizzazione
dei reati contro i beni economici collettivi (con ciò rischiano di
assecondare l’aspirazione dei “colletti bianchi” a liberarsi
dagli impacci del diritto penale). Vedi anche COCCO, Beni giuridici funzionali versus bene giuridico personalistico, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 166 ss.
Il punto di vista originario della
concezione personalistica del bene giuridico si è peraltro assai
attenuato nel tempo. Oggi HASSEMER, Perché
punire è necessario, cit., 152, afferma che il messaggio fornitoci
dalla concezione del bene giuridico sia la raccomandazione che il legislatore
penale rimanga legato a principi che svolgano la funzione di apporre limiti,
che rispettino la libertà e impediscano che si abusi del diritto penale.
Rimane la convinzione nell'Autore che il vincolo "riesca meglio"
quanto più concreti e vicini alla realtà risultino gli oggetti di
tutela, cioè i beni giuridici; e ancora l'idea che in uno stato di
diritto, per cui la dignità umana è tutto, i beni giuridici
individuali costituiscano ancora il cuore della tutela, cuore dal quale possono
essere dedotti i beni giuridici universali, in quanto condizioni della tutela
dei beni giuridici della persona nelle società complesse.
[125] SCHÜNEMANN, ¡El derecho penal es la ultima ratio para la protección de
bienes jurídicos! Sobre los límites inviolables del derecho penal
en un Estado liberal de derecho, trad. Á. de la Torre
Benítez, Bogotá 2007, 56 ss.
[126] Un buon esempio di progressione di
tutela, attenta alle peculiarità dell'oggetto, è ancora oggi
quella in tema di beni culturali, il cui impianto originario (della legge
1089/1939, trasfuso nel codice dei beni culturali e del paesaggio, d. lgs.
42/2004) tuttora regge saldamente, e nel quale alle sanzioni amministrative
(pecuniarie e ripristinatorie) e civili, si accompagnano vari gradi di illecito
penale. Sia consentito il rinvio a DEMURO, Beni
culturali e tecniche di tutela penale, Milano 2002, 281 ss.
[127] GÜNTHER,
Die Genese eines Straftatbestandes,
cit., 11. Nella nostra
dottrina vedi PALAZZO, Principi
costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, cit., 18. Un
interessante tentativo di indicazione sistematica delle ragioni di
criminalizzazione in un diverso contesto giuridico (la Svezia) è quello
di JAREBORG, Criminalization as last
resort, cit., 527 ss. L'Autore propone sei argomenti per valutare la scelta
di criminalizzazione: a) Blameworthiness
(Penal Value), la riprovevolezza della condotta secondo la valutazione
penale (meritevolezza di pena, secondo il nostro linguaggio); b) Need, l'effettivo bisogno della sanzione
penale, dopo aver valutato misure meno intrusive e costose; c) Moderation, l'esigenza di
proporzionalità nella risposta sanzionatoria; d) Inefficiency, la valutazione del rischio di inefficienza della
misura penale, p. es. perché la condotta offensiva è
difficilmente tipizzabile, o perché il fatto descritto è quasi
impossibile da provare, o perché il tasso di scoperta del reato è
molto basso; e) Control Costs, la
comparazione dei costi, potendo accadere che la sanzione alternativa sia troppo
costosa, o che al contrario sia proprio la criminalizzazione a gettare sulla
giustizia penale un peso che non è in grado di reggere; f) The Victim's Interests, una conseguenza della criminalizzazione
è che l'affermazione pubblica di responsabilità rende più
semplice per la vittima la soddisfazione dell'interesse leso (anche sotto un
profilo risarcitorio). Dai sei argomenti è possibile trarre tre
principi-guida nella scelta di criminalizzazione: 1) The penal value principle (lett. a); 2) The utility principle (lett. b, d, ed e); 3) The humanity principle (lett. c ed f). Cfr. anche dal contesto
finnico, LAHTI, Das moderne Strafrecht
und das ultima-ratio-Prinzip, in Festschrift
Hassemer, Heidelberg 2010, 439 ss., e per il diritto penale polacco,
già da tempo, GARDOCKI, Das
Problem des Umfangs der Strafbarkeit in der polnischen Gesetzgebung,
Rechtsprechung und Strafrechtslehre, in AA.VV., Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, cit., 17 ss.
[129] Sempre PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione,
cit., 19-20, cita le conseguenze di tipo economico, economico-sociale o
politico-sociale, di pressoché tutte le norme che disciplinano
attività produttive o commerciali.
[130] E qui PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione,
cit., 20-21, fa l’esempio, per il primo gruppo, dei reati associativi, e
per il secondo delle disposizioni a tutela della Consob (art. 3 comma 2 legge
216/74).
[131] Un segnale di questa modificazione si
poteva già cogliere in quanto sosteneva ROXIN (Strafrecht, A.T., cit., 382 ss.) a proposito
dell’esistenza di un’area di rischio consentito (erlaubtes
Risiko) in seguito alla quale l’imputazione oggettiva sarebbe stata
possibile solo quando il comportamento del soggetto agente avesse creato un
pericolo al di fuori di quest’area di rischio consentito. In senso
critico, MARINUCCI, Non c’è dolo senza colpa, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1991, 3 ss., e poi HIRSCH, Sulla dottrina dell’imputazione
oggettiva dell’evento, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 745 ss. Sulla delimitazione
del c.d. «rischio giuridicamente rilevante», CASTALDO, La
concretizzazione del «rischio giuridicamente rilevante», in Riv. it. dir. proc. pen.,
1995, 1096 ss.
[132] PALIERO, L’autunno del patriarca, cit., 1228 ss. Sul piano
soggettivo – osserva infatti l’Autore – a tale tipo di
approccio consegue, in tema di responsabilità dolosa, che nel fuoco
della volontà non rientra più e tanto l’evento nella sua
dimensione statica di lesione del bene giuridico, quanto piuttosto “la
situazione comportamentale” nella sua proiezione dinamica, di assunzione
e gestione dei rischi che essa comporta.
Sul concetto di rischio, nella nostra
dottrina, a livello monografico, MILITELLO, Rischio
e responsabilità penale, Milano 1988; DONINI, Imputazione oggettiva dell'evento. "Nesso di rischio" e
responsabilità per fatto proprio, Torino 2006; e PERINI, Il concetto di
rischio nel diritto penale moderno, Milano 2010. Il concetto di rischio
porta poi a un'anticipazione maggiore rispetto al pericolo: osserva infatti
DONINI, Sicurezza e diritto penale,
in Cass. pen., 2008, 3566, che il
rischio a differenza del pericolo riguarda contesti che spesso si trovano a
monte dell’organizzazione sociale, e dunque prima del sorgere di
situazioni concretamente pericolose.
[133] Sul principio di precauzione,
PIERGALLINI, Danno da prodotto e
responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali,
Milano 2004; FORTI, “Accesso"
alle informazioni sul rischio e responsabilità: una lettura del
principio di precauzione, in Criminalia,
2006, 155 ss.; GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del
principio di precauzione, in Criminalia,
2006, 227 ss.; RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale.
Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, 2,
Milano 2006, 1743 ss.; MASSARO, Principio
di precauzione e diritto penale: nihil novi sub sole?, in Dir. pen. cont., 9
maggio 2011; CASTRONUOVO, Principio di precauzione e beni legati alla sicurezza, in Dir. pen. cont., 21 luglio 2011; CORN, Il principio di precauzione nel diritto
penale. Studio sui limiti all'anticipazione della tutela penale, Torino
2013.
[134] DONINI, Sicurezza e diritto penale, cit., 3561 ss. Vedi anche MANTOVANI, Insicurezza e controllo della
criminalità, in Riv. it. dir.
proc. pen., 2010, 1003 ss. In campo economico, FOFFANI, «Sicurezza» dei mercati e del
risparmio: il diritto penale dell'economia di fronte alle tensioni della
«modernità», in Studi
in onore di Mario Romano, vol. III, Napoli 2011, 1921 ss. Sulle nuove
figure dell'insicurezza nel contesto francese, GARAPON-SALAS, La République pénalisée,
cit., 53 ss.
[135] A partire da JAKOBS, Kriminalisierung im Vorfeld einer Rechtsgutverletzung, in ZStW, 97, 1985, 753 ss., poi, in una
vastissima bibliografia, ZAFFARONI, Alla
ricerca del nemico: da Satana al diritto penale cool, in Studi in onore di Giorgio Marinucci,
tomo 1, cit., 757 ss.; MANTOVANI, Il
diritto penale del nemico, il diritto penale dell'amico, il nemico del diritto
penale e l'amico del diritto penale, in Riv.
it. dir. proc. pen., 2007, 470 ss.; RISICATO, Verso un diritto penale illiberale? La crisi di senso del diritto
penale tra derive securitarie e paternalistiche, in Studi in onore di Mario Romano, vol. I, cit., 527 ss.
[136] PAGLIARO, «Diritto penale del nemico»: una costruzione illogica e
pericolosa, in Studi in onore di
Mario Romano, vol. I, cit., 435 ss. Vedi anche PALAZZO, Contrasto al terrorismo, diritto penale del
nemico e principi fondamentali, in Questione
giustizia, 2006, 666 ss.; DONINI,
Diritto penale di lotta. Ciò che
il dibattito sul diritto penale del nemico non deve limitarsi a esorcizzare,
in Studi sulla questione criminale,
2, 2007, 39 ss.; VASSALLI, I diritti
fondamentali della persona alla prova dell'emergenza, in AA.VV., I diritti fondamentali della persona alla
prova dell'emergenza, a cura di S. Moccia, Napoli 2009, 34 ss.
[137] A partire da FEINBERG, The moral limits of criminal law, vol.
3°: Harm to Self, New York -
Oxford 1986, e anche qui in una vastissima bibliografia, M. ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo
legale e limiti del diritto penale, cit., 984 ss.; PULITANÒ, Paternalismo
penale, in Studi in onore di Mario
Romano, tomo 1, cit., 489 ss.
[139] Cfr. FORTI, La riforma del codice penale, cit., 40-41, e ALBRECHT, Kriminologie, München 1999, 3. Vedi
anche BARATTA, Diritto alla sicurezza o
sicurezza dei diritti, in Dem. Dir.,
2000, 19 ss., e PAVARINI, Sicurezza dalla
criminalità e governo democratico della città, cit., 1028 ss.
[140] Sull'uso politico-elettorale della
promessa di sicurezza attraverso il diritto penale, LUNA, The Overcriminalization Phenomenon, cit., 718-719.
[141] DONINI, Sicurezza e diritto penale, cit., 3567, secondo cui anche in chiave
oggettiva il concetto di sicurezza presenta un valore giuridico modesto, in
quanto bene “di categoria”, etichetta inutile, se non
concretizzata. Sulla tutela penale dei sentimenti (e dei tabù), ancora
DONINI, “Danno” e
“offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. Note su morale e
sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria
dell’“offense” di Joel Feinberg, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1546 ss.
[143] Sul contesto sociale nel quale trova
origine questa tendenza legislativa spiccatamente preventiva, PRITTWITZ, Strafrecht
und Risiko, Frankfurt am
Main 1993. Cfr. sul tema, LÜDERSSEN, Neuere Tendenzen der deutschen
Kriminalpolitik, in StV, 1987, 163 ss.; HERZOG, Gesellschaftliche
Unsicherheit und strafrechtliche Daseinsvorsorge. Studien zur Vorlegung des
Strafrechtsschutzes in den Gefährdungsbereich, Heidelberg 1991, 54 ss.; HOHMANN, Das Rechtsgut der
Umweltdelikte, Frankfurt
am Main 1991, 154 ss., e BECK, Weltrisikogesellschaft.
Auf der Suche nach der Verlorenen Sicherheit, Frankfurt am Main 2007 (trad.
it. di Sandrelli, Conditio humana. Il
rischio nell’età globale, Bari 2008).
[144] PALIERO, L’autunno del patriarca, cit., 1228. Cfr. HASSEMER, La prevenzione nel diritto
penale, in Dei
delitti e delle pene, 1986,
438 ss., e ZACZYK, Der Begriff
“Gesellschaftsgefährlichkeit" im deutschen Strafrecht, in
AA.VV., Modernes Strafrecht und
ultima-ratio-Prinzip, cit., 113 ss.
[145] BRICOLA, Tecniche di tutela penale e tecniche alternative di tutela, in
AA.VV., Funzioni e limiti del diritto penale, Padova 1984, 46.
[146] HASSEMER, Produktverantwortung, cit., 8. Cfr. SILVA SÁNCHEZ, La expansión
del Derecho penal. Aspectos de
política criminal en las sociedades postindustriales, cit., 25 ss. Vedi anche MANTOVANI, Criminalità sommergente e cecità politico-criminale
(segni anch’essi di una civiltà decadente?), in Riv.
it. dir. proc. pen., 1999, 1201
ss., sul venir meno degli altri sistemi sociali di controllo, e sulla
conseguente trasformazione del diritto penale da extrema a unica ratio: un
diritto dunque della “perenne emergenza”, che si estende in
quantità e peggiora in qualità.
[147] Sulla tendenza al continuo incremento delle
fattispecie di pericolo, e in particolare di pericolo astratto nel sistema
italiano e sui problemi che tale incremento solleva non solo sul piano
dogmatico e politico-criminale ma anche su quello costituzionale,
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale,
cit., 179 ss., e
MARINUCCI-DOLCINI, Corso,
cit., 560 ss. Dopo una fase,
negli anni ’70, caratterizzata da un rigetto indiscriminato delle
fattispecie di pericolo astratto, ne è iniziata da tempo un'altra non
pregiudizialmente contraria alla categoria dei reati di pericolo astratto e a
favore di una valutazione critica e politico-criminale diversificata
all’interno di essi: così già ANGIONI, Bene giuridico, cit., 114.
[148]
SCHÜNEMANN, Moderne Tendenzen in der
Dogmatik der Fahrlässigkeits- und Gefährdungsdelikte, in Juristische Arbeitsblätter, 1975,
435. Cfr. HERZOG, Gesellschaftliche Unsicherheit und
Strafrechtliche Daseinvorsorge, cit., 45. Nella dottrina italiana, da
ultimo, D’ALESSANDRO, Pericolo
astratto e limiti-soglia. Le promesse non mantenute del diritto penale,
Milano 2012, 143 ss.
[150] PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 461. Cfr.
HASSEMER, Il bene giuridico nel rapporto
di tensione tra costituzione e diritto naturale, in Dei delitti e delle pene, 1984, 110; PULITANÒ, voce Politica criminale, in Enc. dir., vol. XXXIV, Milano
1985, 81; VOSS, Symbolische Gesetzgebung.
Fragen zur Rationalität von Strafgesetzgebungsakten, Ebelsbach 1989, 139 ss.
[151] HASSEMER, Produktverantwortung, cit., 13 ss. Sul deficit di efficacia (Vollzugdefizite)
quale indice della crisi del “moderno” diritto penale, P.A.
ALBRECHT, Erosionen des rechtsstaatlichen Strafrechts, in KritV, 1993, 163 ss.; NESTLER, Grundlagen
und Kritik des Betäubungsmittelstrafrecht, in Handbuch des Betäubungsmittelstrafrecht, hrsg. von Kreuzer,
München 1998, 285. Sull’insidia
posta al bene giuridico dall’utilizzazione spesso simbolica della
sanzione penale, PALAZZO, I confini della
tutela penale, cit., 457 s. Sul tema, nella dottrina
italiana, BARATTA, Funzioni strumentali e
funzioni simboliche del diritto penale. Lineamenti di una teoria del bene
giuridico, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, Milano 1990, vol. II, 43 ss. e nella
dottrina tedesca, ancora HASSEMER, Symbolisches
Strafrecht und Rechtsgüterschutz,
in NStZ, 1989, 553 ss.
[153] DOLCINI, La pena in Italia, oggi, tra diritto scritto e prassi applicativa,
in Studi in onore di Giorgio Marinucci,
tomo 2, Milano 2006, 1106-1107.
[154] Così HASSEMER, Perché punire è necessario,
cit., 154-155. Per questa esigenza di concretizzazione, vedi SCHÜNEMANN, ¡El derecho penal es la ultima ratio
para la protección de bienes jurídicos!, cit., 57 ss.
L'Autore va oltre la tradizionale distinzione tra beni giuridici individuali e
collettivi, e ne individua un'altra che taglia in un certo modo orizzontalmente
la prima distinzione. Egli separa i beni giuridici che consistono in oggetti
fisicamente individuabili da quelli istituzionali, che si riferiscono cioè
a un insieme di condizioni generali la cui osservanza è in via di
principio indispensabile per la convivenza sociale: la prima categoria è
preponderante tra i beni individuali e la seconda tra quelli collettivi;
esistono però beni giuridici istituzionali nell'ambito individuale, come
p. es. l'onore, e beni giuridici fisicamente individuabili nell'ambito
collettivo, come a proposito p. es. della custodia di oggetti sequestrati.
Questa distinzione potrebbe essere utilizzata per conseguire un effetto di riduzione
dell'intervento penale: p. es. in tema di ambiente, ove si considerasse che
esso è costituito da una infinita profusione di oggetti fisicamente
individuabili e di processi fisico-chimici; ciò potrebbe portare a
privilegiare la tecnica del pericolo concreto rispetto a quella del pericolo
astratto.
[155] Per HASSEMER, Perché punire è necessario, cit., 156, l'adeguatezza
della minaccia di una sanzione penale finalizzata a migliorare la
società può essere provata solo se il presente (nella diagnosi
della sua imperfezione) come anche il futuro (nella prognosi della sua
capacità di miglioramento) divengono oggetto di studio criminologico e
vengono posti in visibile collegamento con la prevista minaccia di sanzione
penale.
[157] FORTI, L’immane concretezza, cit., 143 ss. L’Autore
aggiunge che, per la ricostruzione delle reali regole di esperienza nelle quali
si rispecchia il giudizio di pericolo, il giurista si sarà dovuto fare
“consumatore” di leggi scientifiche, come in molteplici altre
situazioni in cui esso è chiamato a “risolvere problemi”.
Sottolineano che il reato di pericolo astratto, per essere pienamente conforme
alla Costituzione, deve rispecchiare una effettiva regola di esperienza,
MARINUCCI - DOLCINI, Corso, cit.,
569.
[158] FORTI, L’immane concretezza, cit., 147. Cfr. sulla
necessità di sottoporre le valutazioni di opportunità
politico-criminale a un vaglio di credibilità e razionalità,
MUSCO, L'illusione penalistica, cit.,
5.
[159] Vedi BRICOLA, voce Teoria generale del
reato, in Noviss., dig. it., XIX,
Torino 1965, 21; MOLARI, La tutela penale della condanna civile, Padova
1960, 102 ss.; MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e
politico-criminali, in Il diritto penale in trasformazione, cit.,
196; FORTI, L'immane concretezza, cit., 42 ss., 101 ss.; CANESTRARI, Nuove problematiche del diritto penale,
in Quaderni di Nuovamente: Dei Diritti e
delle Pene.
[161] Tra le ultime, Corte cost. 23 giugno
2005, n. 265, e Corte cost. 11 giugno 2008, n. 225, in www.cortecostituzionale.it.
[162] Vedi,
in tema di c.d. disastro innominato, la recente Cass. pen., sez. IV, 19 giugno
2012, n. 36639, in ItalGiureWeb ,
dove si afferma che in sostanza, rispetto al delitto di disastro aviatorio
colposo (come disciplinato dagli artt.
428, comma 1, e 449, comma 2, c.p.) il pericolo astratto comporta un
giudizio di verosimiglianza della presenza di un numero indeterminato di
persone nella sfera di esplicazione del fatto.
[163] Sul problema, per il legislatore e per
l’interprete, della disciplina dei fatti “tenui” o
“esigui”, già PALIERO, Minima non curat praetor, cit., 653 ss. Vedi anche
CADOPPI-VENEZIANI, Elementi di diritto
penale. Parte generale, 5ª ed., Padova 2012, 101-102.
[165] Corte cost. 26 marzo 1986, n. 62, in Giur.
cost., 1986, I, 408
ss. e Corte cost. 11 luglio 1991, n. 333, in Giur. cost., 1991, 2646 ss. Per
esemplificare si può citare una sentenza della Corte di Cassazione
(Cass. 7 marzo 2000, in Dir. pen. proc., 2000, 723) che ha confermato la decisione di un pretore
che aveva mandato assolti gli imputati osservando tra l’altro che la
modestia dell’intervento (apertura di due piccole nicchie per contatori
sul muro di cinta di un immobile vincolato) era tale da escludere in concreto
qualsiasi idoneità della condotta a ledere il bene giuridico protetto
dalla norma incriminatrice (il patrimonio culturale).
[166] FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, in AA.VV., Beni e tecniche della
tutela penale, a cura del
Crs, Milano 1987, 63 s. Vedi anche ALBRECHT e AA.VV., Strafrecht - ultima ratio. Empfehlungen der Niedersächsischen Kommission zur Reform des
Strafrechts und des Strafverfahrensrechts, cit., 15 ss.
[167] PALAZZO, Segni di svolta nella politica criminale italiana, tra ritorni al
passato e anticipazioni del futuro, in Dir.
pen. cont., 19 dicembre 2011. Cfr. VINCIGUERRA, Appunti sull'inoffensività, la tenuità dell'offesa e la
tenuità del reato in Italia nel secondo Novecento, in Studi in onore di Giorgio Marinucci,
tomo 2, cit., 2077 ss., e ancor prima NEPPI MODONA, Il lungo cammino del principio di offensività, in Studi in onore di Marcello Gallo, Padova
2004, 89 ss.
[169] Per queste due prime proposte, vedi M.
ROMANO, Danno a sé stessi,
paternalismo legale e limiti del diritto penale, cit., 991-992.
[170] KLOTTER, Criminal Law, 6th. ed., Cincinnati 2000, 6, richiamato da FORTI, Per una discussione sui limiti morali del
diritto penale, tra visioni «liberali» e paternalismi giuridici,
in Studi in onore di Giorgio Marinucci,
tomo 1, cit., 298 ss. Cfr. anche, per la partecipazione di esperti nella fase
di formazione delle leggi penali, in modo da "depoliticizzare" questa
fase, STUNTZ, Pathological Politics,
cit., 582 ss.
[172] DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., 89-90.
L’Autore cita come esempio quanto avviene in sede di emanazione di
regolamenti e direttive CE, e quanto avviene in parte anche nel nostro
ordinamento, almeno cioè nella fase di formazione del testo; infatti i
regolamenti ministeriali sono sottoposti a un duplice test di impatto della
regolamentazione (c.d. Air) e di analisi tecnico-normativa (c.d. Atn); e in
sede di formazione delle leggi, un comitato parlamentare per la legislazione
è deputato a esprimere alle commissioni un parere sulla qualità
dei testi e sulla loro efficacia. Secondo Donini, solo seguendo siffatti
modelli sarà possibile costringere il legislatore a una verifica della
scientificità del suo progetto, «rendendo falsificabili i programmi
di criminalizzazione sulla base dei dati utilizzati in input e delle risultanze emergenti in output».
[173] FORTI, La riforma del codice penale, cit., 71.
La costituzionalizzazione del principio di
ultima ratio e di altri principi
garantistici del diritto penale sostanziale – nel quadro di una
più generale rivalutazione dei valori trascendenti della dignità
umana – è vista anche nel contesto nordamericano come un possibile
rimedio alla overcriminalization. Tra
le varie proposte: l'obbligo della presenza di un minimo di mens rea nelle nuove fattispecie e
l'affermazione del ruolo della desuetudine come causa di estinzione dei reati
(STUNTZ, Pathological Politics, cit.,
579 ss., e in particolare sulla costituzionalizzazione del principio della mens rea come limite alla discrezionalità
giudiziaria, DUBBER, Toward a
Constitutional Law of Crime and Punishment, cit., 529 ss.); la nozione di
danno (Harm) come necessario oggetto
di tutela (FINKELSTEIN, Positivism and
the Notion of an Offense, in California
Law Review, 88, 2000, 335 ss.). Scettico su questi progetti LUNA, The Overcriminalization Phenomenon,
cit., 728, perché la loro attuazione presupporrebbe un cambiamento
"sismico" nella mentalità della giurisprudenza statunitense.
[174] In alternativa (ma forse anche in
aggiunta) alla depenalizzazione si pone l’abolizione del principio di
obbligatorietà dell’azione penale, come strumento per ridurre la
congestione degli affari giudiziari penale, causa prima, se non esclusiva,
della realizzazione rovesciata del principio “minima non curat praetor”: accenna al dibattito su questa
alternativa, BRICOLA, Introduzione alla
riproduzione di CARRARA, Programma del corso di diritto criminale.
Del delitto, della pena, cit., 16. Sul tema, PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 465, ritiene che l’efficienza
del sistema vada perseguita con strumenti di diritto sostanziale, prima di
smantellare principi processuali, quale quello dell’obbligatorietà
dell’azione penale.
[176] Così PALAZZO, Segni di svolta nella politica criminale italiana, cit., 5
dell'estratto. Vedi anche, su ipotesi nelle quali le sanzioni amministrative
sono più gravi di quelle penali, CARACCIOLI, «Marginalità» della pena e politica criminale: due
crisi parallele, in Studi in onore di
Mario Romano, vol. I, cit., 151 ss.
[178] FORTI, La riforma del codice penale, cit., 66.
D'altro canto la normativizzazione in
altri settori significa piuttosto ampliamento dell'area punitiva: così
in tema di dolo, soprattutto eventuale, la riaffermazione del suo genuino
contenuto psicologico, contro i tentativi di riferimento a modelli
precostituiti, comporterebbe una limitazione dell'intervento penale in fase
applicativa. Sia consentito il richiamo a DEMURO, Il dolo, II: L'accertamento,
Milano 2010, in particolare 397 ss.
[179]
Per un nuovo codice penale, II, Relazione
della Commissione Grosso, a cura di C.F. Grosso, Padova 2000.
[181] Per una immediata analisi, VALBONESI, Linee guida e protocolli per una nuova
tipicità dell'illecito colposo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 253 ss. In senso critico, PIRAS, In culpa sine culpa, in Dir. pen. cont., 26 novembre 2012.
[182] Trib. Milano, sez IX (ord.), 21 marzo
2013, in Dir. pen. cont., 29 marzo
2013, con nota di SCOLETTA, Rispetto
delle linee-guida e non punibilità della colpa lieve dell'operatore
sanitario: la "norma penale di favore" al giudizio della Corte
costituzionale.
[183] PULITANÒ, Responsabilità medica: letture e valutazioni divergenti del novum
legislativo, in Dir. pen. cont., 5 maggio 2013. Vedi anche ID., Fra giustizia penale e gestione
amministrativa. Riflessioni a margine del caso ILVA, in Dir. pen. cont - Riv. trim., 1, 2013, 44
ss.).
[184] PULITANÒ, Responsabilità medica, cit., 4-5; più in generale,
ID., Obblighi costituzionali di tutela
penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1983, 484 ss. Recentemente MANACORDA,
Dovere di punire? Gli obblighi di tutela
penale nell’era dell’internazionalizzazione del diritto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1364 ss.
[186] DONINI, L’elemento soggettivo della colpa. Garanzie e sistematica, in
Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 154.
[188] PULITANÒ, La novella in materia di corruzione. Commento alla legge anticorruzione
(L. 6 novembre 2012, n. 190), in Cass.
pen., suppl. vol. 11, 2012. Vedi anche sulla riforma, GAROFOLI, Il contrasto alla corruzione: il percorso
intrapreso con la L. 6 novembre 2012, n. 190, e le politiche ancora necessarie,
in Dir. pen. cont., 22 febbraio 2013 e VIGANÒ, La riforma dei
delitti di corruzione, in
GAROFOLI-TREU (a cura di), Libro dell’anno del diritto, Treccani,
2013. Tra i più recenti contributi monografici, DAVIGO-MANNOZZI, La corruzione in Italia. Percezione sociale
e controllo penale, Roma-Bari 2007, e
CINGARI, Repressione e prevenzione
della corruzione pubblica in Italia, Torino 2012.
[189] Costituiscono espressione di tale
ampliamento l’espressa codificazione della corruzione per
l’esercizio della funzione, sganciata dal riferimento a un atto
specifico; l'introduzione o l'ampliamento della responsabilità di
soggetti privati nella nuova disciplina dei casi di induzione indebita (art.
319-quater), del traffico di
influenze (art. 346 bis) e della
corruzione tra privati (art. 2635 c.c.). Inoltre la legge ridisegna il sistema
sanzionatorio con aumenti di pena e con lo scorporo della sottofattispecie di
induzione dalla fattispecie di concussione.
[190] Vedi ora il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62,
sul quale BENUSSI, Il codice di
comportamento dei dipendenti pubblici ha ora natura regolamentare, in Dir. pen. cont., 18 giugno 2013.
[192] FOFFANI, La tutela delle funzioni delle autorità amministrative
indipendenti: il ruolo dello strumento penale, relazione tenuta
all’incontro di studi organizzato dal CSM su: Il rapporto tra giudici e autorità indipendenti nella regolazione
dei mercati (Roma 9-11 maggio 2005), 1 dell’estratto. A proposito del
dibattito sulla sussidiarietà del diritto penale dell'economia, ID., «Sicurezza» dei mercati e del
risparmio, cit., 1030 ss.; cfr. poi TIEDEMANN, Wirtschaftsstrafrecht. Einführung
und Allgemeiner Teil mit wichtigen Rechtstexten, 2. Aufl.,
Köln-München 2007, 33, e PEDRAZZI, Diritto penale, vol. III: Scritti di diritto
penale dell'economia: problemi generali, diritto penale societario, Milano
2003, 285 (già Le droit
pénal des sociétés et le droit pénal
général, in Jus,
1964, 453 s.
[193] FOFFANI, La tutela delle funzioni delle autorità amministrative
indipendenti, cit., 8 dell’estratto. A questo proposito si chiede
infatti l’Autore: «è possibile ritenere che
l’introduzione dello strumento preventivo della revisione contabile dei
bilanci ad opera di soggetti indipendenti dagli amministratori di
società possa rappresentare una alternativa credibile alla previsione di
sanzioni penali per il falso in bilancio?». Ed è sufficiente
pensare per il nostro Paese ai casi Cirio e Parmalat per dare una risposta
scontata.
[194] Così FOFFANI, La tutela delle funzioni delle autorità amministrative
indipendenti, cit., 9 dell’estratto. Aggiunge Foffani che in
realtà questo tipo di modello integrato di intervento amministrativo e
penale è certamente preferibile rispetto a una rinuncia generalizzata
dello strumento penale con correlato incremento dei poteri sanzionatori
autonomi delle autorità indipendenti: una quota di “eterotutela”
penale (con le garanzie del processo e del sindacato di
costituzionalità) serve a evitare il rischio di attribuire a tali
autorità un potere eccessivo, che certo non preluderebbe a un aumento
delle garanzie di libertà per il cittadino e per l’operatore
economico. Sul ruolo fondamentale del diritto penale, in considerazione delle
peculiari garanzie offerte dal potere giudiziario e degli stessi strumenti di
indagine che gli sono propri, come pure del particolare rilievo sociale di
determinate materie, EUSEBI, Ripensare le modalità della risposta
ai reati, cit., 4955.
[196] Fondamentali già le osservazioni
di MARINUCCI, Politica criminale e
riforma del diritto penale, in Jus,
1974, 463 ss., e poi in MARINUCCI-DOLCINI, Studi
di diritto penale, 1991, 45 ss., e di PADOVANI, L’utopia punitiva. Il problema delle alternative alla detenzione
nella sua dimensione storica, Milano 1981. Ancora DOLCINI, La pena in Italia, oggi, tra diritto scritto
e prassi applicativa, cit., 1073 ss.
[197] GIUNTA, Oltre la logica della punizione: linee evolutive e ruolo del diritto
penale, in Studi in onore di Giorgio
Marinucci, tomo 1, cit., 343-344. Anche
recentemente sono stati emanati provvedimenti legislativi imposti
dall'inaccettabile sovraffollamento carcerario, per esempio in tema di
carcerazione preventiva, di benefici carcerari anche per i recidivi, di conteggio delle detrazioni di pena,
di lavoro all'esterno, di ampliamento dei presupposti per la concessione della
misura alternativa dell'esecuzione della pena presso il proprio domicilio.
[198] La
riforma del codice penale. Schema di delega legislativa per l'emanazione di un
nuovo codice penale, in Documenti
Giustizia, 3, 1992, cc. 327 ss. Vedi anche la serie di interventi al
Convegno, dell'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, «Il diritto penale nella realtà
contemporanea: prospettive e alternative» (Firenze 16-17 novembre
2012), pubblicati nel n. 3, 2013 di Riv.
it. dir. proc. pen.: in particolare DONINI, Per una concezione post-riparatoria della pena. Contro la pena come
raddoppio del male, 1162 ss. Cfr. anche AA.VV., Verso una riforma del sistema sanzionatorio?, Atti del convegno in
ricordo di Laura Fioravanti (Genova 15 novembre 2006), a cura di P. Pisa,
Torino 2008.
[199] GIUNTA, Oltre la logica della punizione, cit., 345. Per una “teoria
generale” della mediazione penale, MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa
e mediazione penale, Milano 2003, 339 ss. Vedi anche EUSEBI, Profili della finalità conciliativa
nel diritto penale, in Studi in onore
di Giorgio Marinucci, 2, Milano 2006, 1109 ss., e MAZZUCATO, Mediazione e giustizia riparativa in ambito
penale. Fondamenti teorici, implicazioni politico-criminali e profili giuridici,
in AA.VV., Lo spazio della mediazione,
a cura di Cosi e Foddai, Milano 2003, 151 ss.