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Lelli-1Fabrizio Lelli

Università del Salento (Lecce)

 

IDEALI POLITICO-RELIGIOSI NELL'ANTICO TESTAMENTO. LAICITÀ E BIBBIA EBRAICA

 

 

ABSTRACT: Nel saggio si propone l'interpretazione di un passo della Bibbia ebraica per comprendere alcuni aspetti dell'organizzazione politica dell'antico Israele. L'analisi si fonda su Esodo 18, 13-27, ove si descrive l'istituzione, da parte di Mosè, di una magistratura dotata di funzioni giuridico-politiche. L'intervento del profeta "legislatore", sollecitato dal suocero Ietro, ex sacerdote pagano, può essere inteso come accettazione di sistemi di diritto appartenenti a culture esterne finalizzati ad una migliore amministrazione di una società governata da una teocrazia. Accanto all'interpretazione storiografica del passo si presenta anche la lettura fornita da esegeti di età tardo-medievale e moderna, che se ne servirono – nel contesto della tradizione dell'attualizzazione della Scrittura - per giustificare la supremazia delle forme di governo repubblicane e la separazione del potere religioso da quello temporale.

 

 

Le conoscenze relative all'organizzazione sociale e politica dell'antico Israele ci derivano sostanzialmente dal testo biblico. Se oggi i dati desumibili dalla Scrittura ebraica interessano pressoché esclusivamente ai fini della ricostruzione storica della dimensione giuridica su cui si fondarono le prime forme di organizzazione politica del popolo d'Israele, un tempo la speculazione sugli ideali di governo racchiusi nella Bibbia era soprattutto finalizzata a servire da fonte d'ispirazione normativa per la conduzione degli Stati.

Dobbiamo ricordare che il corpus scritturale, frutto di molteplici interventi redazionali compiuti sostanzialmente dalla classe sacerdotale e scribale ruotante intorno al Tempio di Gerusalemme, fu rivestito ben presto dei caratteri della sacralità inviolabile associata alla rivelazione divina. Considerata espressione diretta di Dio a Mosè sul Sinai, la Bibbia ebraica lascia poco spazio alla descrizione dell'organizzazione politica dello Stato, quando essa non dipenda da modelli rigorosamente ispirati alla religiosità. Si comprende pertanto lo scarso se non inesistente rilievo attribuito dal testo della Scrittura alla dimensione laica nel governo della cosa pubblica.

Dio è guida del popolo eletto e l'attività morale del singolo, che dovrebbe fondersi organicamente a quella della società in cui vive, è modellata secondo i termini stabiliti da un codice di diritto religioso interpretato da un'oligarchia teocratica organizzata intorno ad un Tempio-santuario. In questa prospettiva mi pare del tutto anacronistico parlare di secolarità o laicismo a proposito dell'antica società d'Israele. Un'apertura in tale direzione poté essere possibile solo grazie all'apporto dato all'esegesi biblica dal pensiero politico di età moderna. È al XV e al XVI secolo che risalgono alcune interpretazioni politiche del testo biblico offerte da ebrei e cristiani che ne sottolinearono i valori morali anche per la società secolare.

In quest'ottica interpretativa vorrei proporre la lettura e l'analisi di un celebre passo del libro dell'Esodo (18,13-27), dal quale credo si possa evincere una chiara descrizione del rapporto tra fedeltà al Dio d'Israele e amministrazione giuridica e politica della società ebraica.

La seguente analisi testuale, condotta secondo categorie storiche, sarà seguita dalla valutazione dell'esegesi ebraica e cristiana del passo più diffusa nella prima età moderna. Si vedrà come uno stesso brano si presti a interpretazioni quasi opposte e si osserverà come una concezione moderna, quale quella del governo laico dello Stato, possa essere rapportata ad un contesto che in origine non avrebbe certamente ritenuto ammissibile una simile lettura.

Ecco il testo dell'Esodo, che cito nella traduzione italiana della CEI:

 

Il giorno dopo Mosè sedette a rendere giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera. Allora Ietro, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: "Che cos'è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?" Mosè rispose al suocero: "Perché il popolo viene da me a consultare Dio. Quando hanno qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l'uno e l'altro e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi”. Il suocero di Mosè gli disse: "Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, poiché il compito è troppo pesante per te; tu non puoi attendervi da solo. Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta' davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà un questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggeriranno il peso ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questa cosa e se Dio te la comanda, potrai resistere e anche questo popolo arriverà in pace alla sua meta". Mosè ascoltò la voce del suocero e fece quanto gli aveva suggerito. Mosè dunque scelse uomini capaci in tutto Israele e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè, ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori.

 

Nel brano si fa riferimento all'istituzione, presso il popolo d'Israele, di una magistratura cui sarebbe spettato il compito di sovrintendere all'amministrazione della giustizia e, indirettamente, alla conduzione dello Stato.

È interessante in primo luogo osservare che i termini di quest'innovazione furono attribuiti a Ietro, suocero di Mosè, sacerdote madianita non appartenente al popolo d'Israele: i redattori del testo biblico dovevano rendersi conto dell'intervento di elementi socio-culturali estranei alla tradizione giudaica nell'istituzione di una classe di giudici, che si sovrapponevano a una concezione precedente che attribuiva ogni potere ad un'élite ristretta di eletti da Dio (profeti o sacerdoti).

Nell'antico Israele, in effetti, così come presso la maggior parte dei popoli vicino-orientali, il potere era affidato a una casta teocratica che aveva il compito di mediare tra il Dio unico (o gli dei) e i sudditi. Se, in contesti esterni a Israele, il potere sacerdotale si legava sempre strettamente a quello monarchico (e spesso i membri della famiglia reale erano anche alti funzionari del clero), il ruolo del sacerdozio in Israele acquisì una dignità talmente elevata e autonoma che, alla fine del VI secolo a.C., all'epoca del ritorno dalla deportazione babilonese, l'aristocrazia sacerdotale rientrata a Gerusalemme trovò la forza di sopprimere il sovrano di stirpe davidica, rimandando ad un'utopica era messianica la restaurazione della monarchia. Eliminando il re, il potere sarebbe stato amministrato esclusivamente dalla gerarchia sacerdotale ruotante intorno al Tempio di Gerusalemme. Così, la società giudaica rimase a lungo dominata da un'oligarchia che fondava il proprio potere sulla discendenza dalla tribù sacerdotale e sull'adesione ferrea a un sistema di regole e leggi rigidamente religiose interpretate dai membri di una casta fondata sulla nobiltà di sangue.

Il passo del libro di Esodo ci mostra come, all'epoca in cui il popolo ebraico doveva essere già molto numeroso e sedentarizzato, fosse necessaria un'organizzazione del sistema di amministrazione della giustizia associato alla guida politica d'Israele. Dal brano si comprende che è Dio che esprime le risposte ai giudizi richiesti dal popolo e Mosè, suo profeta, è il mezzo attraverso cui tali giudizi vengono resi accessibili. Ietro, il madianita presso il quale si era rifugiato il giovane Mosè per sfuggire alla persecuzione egiziana, sarebbe intervenuto per sottolineare l'impossibilità del singolo di amministrare il potere, che deve invece essere delegato a una classe di funzionari. In principio si tratterebbe di laici – non di profeti scelti da Dio – che conoscono il diritto e, amministrando la giustizia, svolgono un'importante funzione di pacificazione sociale. Essi sarebbero dunque eletti in base alla loro provata moralità e non per meriti di sangue. 

Sulla base di questo passo, che spiegherebbe l'istituzione del "giudicato" biblico (cioè delle figure politiche dei "giudici" alla guida delle tribù d'Israele), risulterebbe chiaro il rapporto tra Bibbia e istituzione repubblicana.

Nell'Europa del XV e XVI secolo, i sostenitori delle forme di governo repubblicano, sia in ambito ebraico sia cristiano, si fondarono appunto sull'interpretazione del nostro brano dell'Esodo. Il motivo del "Mosè legislatore", noto fin dall'antichità, fu particolarmente apprezzato da quanti si sforzarono di trovare una conferma biblica ad ogni forma istituzionale di governo nell'Europa della prima età moderna.

Il ruolo attribuito a Mosè di fondatore delle forme di governo sia monarchico sia repubblicano si comprende sullo sfondo della rinascita del pensiero platonico in Occidente: muovendo da tale rivalutazione speculativa anche gli intellettuali ebrei si sforzarono di sottolineare gli orientamenti platonici presenti nella loro tradizione di pensiero medievale. Da un lato, dunque, si voleva far uso di un'interpretazione delle fonti politiche classiche e scolastiche, comuni anche nelle cerchie cristiane, che permettevano di adattare testi del platonismo arabo-giudaico al pensiero umanistico aristotelico, dando avvio a una nuova comprensione della politica che mettesse in luce i suoi aspetti pratici più che quelli teoretici. Dall'altra parte si voleva trovare un nesso tra rivelazione divina e amministrazione del diritto e dello Stato.

Attraverso la lettura filosofica del testo biblico, intellettuali ebrei e cristiani potevano interpretare il corpus legislativo mosaico non solo come una raccolta di precetti religiosi e morali rivelati da Dio, ma anche come paradigma di un sistema giuridico moderno, che poteva essere utilizzato per motivare, sulla base dell'esegesi politica della Bibbia, le varie forme di governo laico all'epoca della prima costituzione degli Stati nazionali in Europa. In questo contesto, vari pensatori ebrei, tra i quali mi limito a menzionare Yohanàn Alemanno (1434-1506 ca.) e Isacco Abravanel (1437-1508), discendenti di famiglie vissute in varie regioni della diaspora europea ma operanti nell'Italia rinascimentale, si servirono del passo in esame per sostenere l'importanza della pratica politica presso popoli "stranieri": come Mosè apprese la disciplina del governo dello Stato dal suocero madianita, così i dotti ebrei rinascimentali si sarebbero dovuti formare presso le corti cristiane che li ospitavano. Per Alemanno, Mosè è modello perfetto per ogni giovane ebreo che voglia contribuire alla costituzione di uno Stato nazionale ebraico, che fonda elementi della religiosità tradizionale e sapienza politica ispirata all'organizzazione degli Stati dell'Europa contemporanea. Così, a detta dello stesso filosofo, la repubblica oligarchica sapientemente amministrata da un signore, da lui sperimentata nella Firenze medicea quattrocentesca, è prova evidente della validità del modello biblico politico indicato da Ietro a Mosè; lo stesso vale per la stima riconosciuta da Abravanel alla florida repubblica oligarchica veneziana. A tali modelli "esterni" si dovranno riferire di necessità gli ebrei per creare organizzazioni comunitarie di carattere repubblicano basate sulla tradizione biblica. La stessa interpretazione del passo permise ai teorici politici cinquecenteschi di considerare il sistema biblico migliore di governo quello della repubblica guidata da laici, mentre il modello savonaroliano della repubblica teocratica dominata da Cristo, rex regum et dominus dominantium, fu un adattamento al governo fiorentino più filologico della concezione sacerdotale biblica, certamente più aderente agli ideali del periodo della redazione del brano dell'Esodo.

Mentre il pensiero medievale ebraico ed arabo si erano soprattutto basati su un'interpretazione aristotelica in chiave islamica della Repubblica e delle Leggi platoniche che permetteva di associare le concezioni espresse dal filosofo ateniese a modelli teocratici di conduzione dello Stato, il pensiero europeo della prima età moderna adattò il testo biblico alle concezioni teorizzate dal pensiero classico, finalizzate però a motivare i cambiamenti socio-politici avvenuti negli Stati sorti sulle rovine dei "sacri" imperi medievali.

Secondo tale lettura, la rivelazione contenuta nella Scrittura poteva essere interpretata più opportunamente come un ordine politico ideale, il cui carattere fondamentale consiste nell'attribuzione a tutti gli uomini dotati delle qualità necessarie del dovere di dedicare la loro vita alla conduzione dello Stato; in tal modo il testo biblico, inteso come corpus di diritto religioso e civile, diveniva anche manuale della corretta conduzione politica e non era da considerare esclusivamente come opera di un legislatore profeta, ma anche di un grandissimo filosofo politico. Pertanto, Mosè, da profeta ispirato, dopo avere acquisito i caratteri del re-filosofo della tradizione platonica e islamica medievale, incarnò in Occidente l'ideale del moderno legislatore, garante di una società che poteva reggersi anche sul potere di governanti laici. Da tale lettura sarebbero in seguito derivate le reinterpretazioni politiche europee del XVII e del XVIII secolo, finalizzate ormai a fondare sulla Scrittura modelli sociali e politici che distinguono nettamente la società laica da quella religiosa e ad attribuire alla prima l'esclusiva conduzione dello Stato.

Ma quest'evoluzione interpretativa, comunque fondata sull'idea di matrice ebraica del carattere eternamente rinnovabile e attualizzabile della Scrittura, era frutto di una lettura che teneva conto dei mutamenti avvenuti all'interno delle società occidentali moderne. Dal punto di vista storico-filologico, lo ribadiamo, affatto diversa è la concezione politica presentata nel "testo rivelato", certamente più in linea con le istituzioni sociali del vicino Oriente antico.

 


 

[I contributi della sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei promotori e del Comitato scientifico del Colloquio internazionale, d’intesa con la direzione di Diritto @ Storia].

 

[Testo della relazione svolta al Colloquio internazionale La laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e neutralità religiosa, svoltosi in Bari il 4-5 novembre 2010 per iniziativa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari “Aldo Moro”, del Centre d’études internationales sur la romanité Université de La Rochelle e dell’Unità di ricerca “Giorgio La Pira” CNR – Università di Roma “La Sapienza”]