Università del Salento (Lecce)
IDEALI
POLITICO-RELIGIOSI NELL'ANTICO TESTAMENTO. LAICITÀ E BIBBIA EBRAICA
ABSTRACT: Nel saggio si propone l'interpretazione di
un passo della Bibbia ebraica per comprendere alcuni aspetti
dell'organizzazione politica dell'antico Israele. L'analisi si fonda su Esodo
18, 13-27, ove si descrive l'istituzione, da parte di Mosè, di una
magistratura dotata di funzioni giuridico-politiche. L'intervento del profeta
"legislatore", sollecitato dal suocero Ietro, ex sacerdote pagano,
può essere inteso come accettazione di sistemi di diritto appartenenti a
culture esterne finalizzati ad una migliore amministrazione di una
società governata da una teocrazia. Accanto all'interpretazione
storiografica del passo si presenta anche la lettura fornita da esegeti di
età tardo-medievale e moderna, che se ne servirono – nel contesto
della tradizione dell'attualizzazione della Scrittura - per giustificare la
supremazia delle forme di governo repubblicane e la separazione del potere
religioso da quello temporale.
Le conoscenze relative
all'organizzazione sociale e politica dell'antico Israele ci derivano
sostanzialmente dal testo biblico. Se oggi i dati desumibili dalla Scrittura
ebraica interessano pressoché esclusivamente ai fini della ricostruzione
storica della dimensione giuridica su cui si fondarono le prime forme di
organizzazione politica del popolo d'Israele, un tempo la speculazione sugli
ideali di governo racchiusi nella Bibbia era soprattutto finalizzata a servire
da fonte d'ispirazione normativa per la conduzione degli Stati.
Dobbiamo ricordare che
il corpus scritturale, frutto di molteplici interventi redazionali
compiuti sostanzialmente dalla classe sacerdotale e scribale ruotante intorno
al Tempio di Gerusalemme, fu rivestito ben presto dei caratteri della
sacralità inviolabile associata alla rivelazione divina. Considerata
espressione diretta di Dio a Mosè sul Sinai, la Bibbia ebraica lascia
poco spazio alla descrizione dell'organizzazione politica dello Stato, quando
essa non dipenda da modelli rigorosamente ispirati alla religiosità. Si
comprende pertanto lo scarso se non inesistente rilievo attribuito dal testo
della Scrittura alla dimensione laica nel governo della cosa pubblica.
Dio è guida del
popolo eletto e l'attività morale del singolo, che dovrebbe fondersi
organicamente a quella della società in cui vive, è modellata
secondo i termini stabiliti da un codice di diritto religioso interpretato da
un'oligarchia teocratica organizzata intorno ad un Tempio-santuario. In questa
prospettiva mi pare del tutto anacronistico parlare di secolarità o
laicismo a proposito dell'antica società d'Israele. Un'apertura in tale
direzione poté essere possibile solo grazie all'apporto dato all'esegesi
biblica dal pensiero politico di età moderna. È al XV e al XVI
secolo che risalgono alcune interpretazioni politiche del testo biblico offerte
da ebrei e cristiani che ne sottolinearono i valori morali anche per la
società secolare.
In quest'ottica
interpretativa vorrei proporre la lettura e l'analisi di un celebre passo del
libro dell'Esodo (18,13-27), dal quale credo si possa evincere una
chiara descrizione del rapporto tra fedeltà al Dio d'Israele e
amministrazione giuridica e politica della società ebraica.
La seguente analisi
testuale, condotta secondo categorie storiche, sarà seguita dalla
valutazione dell'esegesi ebraica e cristiana del passo più diffusa nella
prima età moderna. Si vedrà come uno stesso brano si presti a
interpretazioni quasi opposte e si osserverà come una concezione
moderna, quale quella del governo laico dello Stato, possa essere rapportata ad
un contesto che in origine non avrebbe certamente ritenuto ammissibile una
simile lettura.
Ecco il testo dell'Esodo,
che cito nella traduzione italiana della CEI:
Il
giorno dopo Mosè sedette a rendere giustizia al popolo e il popolo si
trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera. Allora Ietro, visto
quanto faceva per il popolo, gli disse: "Che cos'è questo che fai
per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te
dalla mattina alla sera?" Mosè rispose al suocero:
"Perché il popolo viene da me a consultare Dio. Quando hanno
qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l'uno e l'altro e
faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi”. Il suocero di
Mosè gli disse: "Non va bene quello che fai! Finirai per
soccombere, tu e il popolo che è con te, poiché il compito
è troppo pesante per te; tu non puoi attendervi da solo. Ora ascoltami:
ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta' davanti a Dio in nome del
popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi;
indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono
compiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che temono Dio,
uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra di loro come
capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi
dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà un
questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni
affare minore. Così ti alleggeriranno il peso ed essi lo porteranno con
te. Se tu fai questa cosa e se Dio te la comanda, potrai resistere e anche
questo popolo arriverà in pace alla sua meta". Mosè
ascoltò la voce del suocero e fece quanto gli aveva suggerito.
Mosè dunque scelse uomini capaci in tutto Israele e li costituì
alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di
cinquantine e capi di decine. Essi giudicavano il popolo in ogni circostanza:
quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè, ma giudicavano
essi stessi tutti gli affari minori.
Nel brano si fa
riferimento all'istituzione, presso il popolo d'Israele, di una magistratura
cui sarebbe spettato il compito di sovrintendere all'amministrazione della
giustizia e, indirettamente, alla conduzione dello Stato.
È interessante
in primo luogo osservare che i termini di quest'innovazione furono attribuiti a
Ietro, suocero di Mosè, sacerdote madianita non appartenente al popolo
d'Israele: i redattori del testo biblico dovevano rendersi conto
dell'intervento di elementi socio-culturali estranei alla tradizione giudaica
nell'istituzione di una classe di giudici, che si sovrapponevano a una
concezione precedente che attribuiva ogni potere ad un'élite
ristretta di eletti da Dio (profeti o sacerdoti).
Nell'antico Israele,
in effetti, così come presso la maggior parte dei popoli
vicino-orientali, il potere era affidato a una casta teocratica che aveva il
compito di mediare tra il Dio unico (o gli dei) e i sudditi. Se, in contesti
esterni a Israele, il potere sacerdotale si legava sempre strettamente a quello
monarchico (e spesso i membri della famiglia reale erano anche alti funzionari
del clero), il ruolo del sacerdozio in Israele acquisì una
dignità talmente elevata e autonoma che, alla fine del VI secolo a.C.,
all'epoca del ritorno dalla deportazione babilonese, l'aristocrazia sacerdotale
rientrata a Gerusalemme trovò la forza di sopprimere il sovrano di
stirpe davidica, rimandando ad un'utopica era messianica la restaurazione della
monarchia. Eliminando il re, il potere sarebbe stato amministrato esclusivamente
dalla gerarchia sacerdotale ruotante intorno al Tempio di Gerusalemme.
Così, la società giudaica rimase a lungo dominata da
un'oligarchia che fondava il proprio potere sulla discendenza dalla
tribù sacerdotale e sull'adesione ferrea a un sistema di regole e leggi
rigidamente religiose interpretate dai membri di una casta fondata sulla
nobiltà di sangue.
Il passo del libro di Esodo
ci mostra come, all'epoca in cui il popolo ebraico doveva essere già
molto numeroso e sedentarizzato, fosse necessaria un'organizzazione del sistema
di amministrazione della giustizia associato alla guida politica d'Israele. Dal
brano si comprende che è Dio che esprime le risposte ai giudizi
richiesti dal popolo e Mosè, suo profeta, è il mezzo attraverso
cui tali giudizi vengono resi accessibili. Ietro, il madianita presso il quale
si era rifugiato il giovane Mosè per sfuggire alla persecuzione
egiziana, sarebbe intervenuto per sottolineare l'impossibilità del
singolo di amministrare il potere, che deve invece essere delegato a una classe
di funzionari. In principio si tratterebbe di laici – non di profeti
scelti da Dio – che conoscono il diritto e, amministrando la giustizia,
svolgono un'importante funzione di pacificazione sociale. Essi sarebbero dunque
eletti in base alla loro provata moralità e non per meriti di
sangue.
Sulla base di questo
passo, che spiegherebbe l'istituzione del "giudicato" biblico
(cioè delle figure politiche dei "giudici" alla guida delle
tribù d'Israele), risulterebbe chiaro il rapporto tra Bibbia e
istituzione repubblicana.
Nell'Europa del XV e
XVI secolo, i sostenitori delle forme di governo repubblicano, sia in ambito
ebraico sia cristiano, si fondarono appunto sull'interpretazione del nostro
brano dell'Esodo. Il motivo del "Mosè legislatore",
noto fin dall'antichità, fu particolarmente apprezzato da quanti si
sforzarono di trovare una conferma biblica ad ogni forma istituzionale di
governo nell'Europa della prima età moderna.
Il ruolo attribuito a
Mosè di fondatore delle forme di governo sia monarchico sia repubblicano
si comprende sullo sfondo della rinascita del pensiero platonico in Occidente:
muovendo da tale rivalutazione speculativa anche gli intellettuali ebrei si
sforzarono di sottolineare gli orientamenti platonici presenti nella loro
tradizione di pensiero medievale. Da un lato, dunque, si voleva far uso di
un'interpretazione delle fonti politiche classiche e scolastiche, comuni anche
nelle cerchie cristiane, che permettevano di adattare testi del platonismo
arabo-giudaico al pensiero umanistico aristotelico, dando avvio a una nuova
comprensione della politica che mettesse in luce i suoi aspetti pratici
più che quelli teoretici. Dall'altra parte si voleva trovare un nesso tra
rivelazione divina e amministrazione del diritto e dello Stato.
Attraverso la lettura
filosofica del testo biblico, intellettuali ebrei e cristiani potevano
interpretare il corpus legislativo mosaico non solo come una
raccolta di precetti religiosi e morali rivelati da Dio, ma anche come
paradigma di un sistema giuridico moderno, che poteva essere utilizzato per
motivare, sulla base dell'esegesi politica della Bibbia, le varie forme di
governo laico all'epoca della prima costituzione degli Stati nazionali in Europa.
In questo contesto, vari pensatori ebrei, tra i quali mi limito a menzionare
Yohanàn Alemanno (1434-1506 ca.) e Isacco Abravanel (1437-1508),
discendenti di famiglie vissute in varie regioni della diaspora europea ma
operanti nell'Italia rinascimentale, si servirono del passo in esame per
sostenere l'importanza della pratica politica presso popoli
"stranieri": come Mosè apprese la disciplina del governo dello
Stato dal suocero madianita, così i dotti ebrei rinascimentali si sarebbero
dovuti formare presso le corti cristiane che li ospitavano. Per Alemanno,
Mosè è modello perfetto per ogni giovane ebreo che voglia
contribuire alla costituzione di uno Stato nazionale ebraico, che fonda
elementi della religiosità tradizionale e sapienza politica ispirata all'organizzazione
degli Stati dell'Europa contemporanea. Così, a detta dello stesso
filosofo, la repubblica oligarchica sapientemente amministrata da un signore,
da lui sperimentata nella Firenze medicea quattrocentesca, è prova
evidente della validità del modello biblico politico indicato da Ietro a
Mosè; lo stesso vale per la stima riconosciuta da Abravanel alla florida
repubblica oligarchica veneziana. A tali modelli "esterni" si
dovranno riferire di necessità gli ebrei per creare organizzazioni
comunitarie di carattere repubblicano basate sulla tradizione biblica. La
stessa interpretazione del passo permise ai teorici politici cinquecenteschi di
considerare il sistema biblico migliore di governo quello della repubblica
guidata da laici, mentre il modello savonaroliano della repubblica teocratica
dominata da Cristo, rex regum et dominus dominantium, fu un adattamento
al governo fiorentino più filologico della concezione sacerdotale
biblica, certamente più aderente agli ideali del periodo della redazione
del brano dell'Esodo.
Mentre il pensiero
medievale ebraico ed arabo si erano soprattutto basati su un'interpretazione
aristotelica in chiave islamica della Repubblica e delle Leggi platoniche
che permetteva di associare le concezioni espresse dal filosofo ateniese a
modelli teocratici di conduzione dello Stato, il pensiero europeo della prima
età moderna adattò il testo biblico alle concezioni teorizzate
dal pensiero classico, finalizzate però a motivare i cambiamenti
socio-politici avvenuti negli Stati sorti sulle rovine dei "sacri"
imperi medievali.
Secondo tale lettura,
la rivelazione contenuta nella Scrittura poteva essere interpretata più
opportunamente come un ordine politico ideale, il cui carattere fondamentale
consiste nell'attribuzione a tutti gli uomini dotati delle qualità
necessarie del dovere di dedicare la loro vita alla conduzione dello Stato; in
tal modo il testo biblico, inteso come corpus di diritto religioso e
civile, diveniva anche manuale della corretta conduzione politica e non era da
considerare esclusivamente come opera di un legislatore profeta, ma anche di un
grandissimo filosofo politico. Pertanto, Mosè, da profeta ispirato, dopo
avere acquisito i caratteri del re-filosofo della tradizione platonica e
islamica medievale, incarnò in Occidente l'ideale del moderno
legislatore, garante di una società che poteva reggersi anche sul potere
di governanti laici. Da tale lettura sarebbero in seguito derivate le reinterpretazioni
politiche europee del XVII e del XVIII secolo, finalizzate ormai a fondare
sulla Scrittura modelli sociali e politici che distinguono nettamente la
società laica da quella religiosa e ad attribuire alla prima l'esclusiva
conduzione dello Stato.
Ma quest'evoluzione
interpretativa, comunque fondata sull'idea di matrice ebraica del carattere
eternamente rinnovabile e attualizzabile della Scrittura, era frutto di una
lettura che teneva conto dei mutamenti avvenuti all'interno delle
società occidentali moderne. Dal punto di vista storico-filologico, lo
ribadiamo, affatto diversa è la concezione politica presentata nel
"testo rivelato", certamente più in linea con le istituzioni
sociali del vicino Oriente antico.
[I contributi della
sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei
promotori e del Comitato scientifico del Colloquio internazionale,
d’intesa con la direzione di Diritto
@ Storia].
[Testo della relazione
svolta al Colloquio internazionale La
laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e
neutralità religiosa, svoltosi in Bari il 4-5 novembre 2010 per
iniziativa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Bari “Aldo Moro”, del Centre d’études
internationales sur la romanité Université de La Rochelle e
dell’Unità di ricerca “Giorgio La Pira” CNR –
Università di Roma “La Sapienza”]