Università di Bari
laicitÀ, relativitÀ e diritto*
Sommario: 0. Incipit. – 1. Laicità narrativa. – 2. Laicità
formale. – 3. Laicità onto-esistenziale.
In un passo della sua Rechtsphilosophie Hegel si chiede come mai gli uomini girino
tranquilli di notte nonostante l’oscurità. La spiegazione è
in un ordine interno alle cose. Se gli uomini sanno orientarsi è
perché hanno assimilato dentro di sé, senza neppure accorgersi,
una giusta direzione per i propri bisogni. Ma non è sempre così.
A volte manca questa prontezza del pensiero, e il viandante finisce per
perdere, in una notte hegeliana, il chiarore del suo orizzonte. Succede, ad
esempio, con i molti nomi della laicità dello Stato. Il concetto si
rifrange non in uno, ma in tanti significati, col risultato di allontanarsi
sempre di più da uno "spirito comune" [Gemeinsinn]. Basta esaminare la giurisprudenza degli ultimi anni
sul rapporto tra simboli religiosi e istituzioni pubbliche.
Nei gradi diversi di giudizio e nei
passaggi da una corte all’altra il senso di laicità dello Stato
non è mai lo stesso. I tribunali amministrativi non esitano a
contraddire la Cassazione, mentre la Corte europea dei diritti umani (CEDU) va
in una direzione opposta alla giustizia interna amministrativa; le stesse
sentenze della Cassazione sono in conflitto tra loro; di recente, infine, la
Grande Camera di Strasburgo ha riformato la precedente sentenza della CEDU.
Come fare, allora, ad avere un’idea chiara e non fermarsi semplicemente
alla "res iudicata"?
È forse decisivo non restare bloccati all’interno di queste
sentenze. Il concetto di laicità sopravanza nettamente i mezzi a
disposizione della scienza giuridica ed interpella anche un pensiero diverso.
D’altronde, viste da una certa distanza, le sentenze dei giudici sono un
insieme continuo di detti e contraddetti.
Distinguerò tre forme di
laicità: (1) laicità narrativa; (2) laicità formale; (3)
laicità onto-esistenziale. Le prime due sono dal "punto di vista
interno" [internal point of view]
al diritto e alla giustizia delle corti; la terza, invece, dal "punto di
vista esterno" [external point of
view]. Le prime due forme di laicità (narrativa e formale) si
divideranno, a loro volta, in giudizi ab
intra e ab extra, allo scopo di
separare ciò che hanno deciso i giudici in Italia da ciò che,
invece, hanno stabilito le corti europee. Il fatto di partire dalle sentenze
dei giudici serve ad evitare le facili astrazioni e a portare il discorso sul
«nómos della
terra» (per usare una nota espressione di Carl Schmitt). A ciò,
però, va necessariamente aggiunto un punto di vista esterno in grado di
interpellare la giurisprudenza delle corti per non restare inchiodati alle
numerose contraddizioni di essa.
1.1. Ab
intra. Secondo due famose sentenze, una del TAR del Veneto (sent. n. 1110 /
2005) e l’altra del Consiglio di Stato (sent. n. 556 / 2006), la
laicità non esclude il primato di una tradizione etico-religiosa sulle
altre. Al contrario, è un principio che rafforza il concetto cristiano
di società. Si potrebbe parlare di "laicità
battezzata".
Le due sentenze, com’è noto,
si riferiscono al ricorso di un genitore per la decisione della scuola di
lasciare i simboli religiosi negli ambienti frequentati dal figlio[1].
La scuola avrebbe violato i principî d’imparzialità e
laicità dello Stato alla base sia dell’ordinamento costituzionale,
sia della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il TAR del Veneto rigetta il ricorso. Per
il Tribunale la laicità non è un principio univoco rispetto alle
sue possibili applicazioni[2].
«Il riferimento a decisioni giurisdizionali assunte in diversi
ordinamenti fa desumere che il principio di laicità dello Stato faccia
parte ormai del patrimonio giuridico europeo e delle democrazie occidentali, ma
implica altresì che dalla sua applicazione nei casi specifici si possano
trarre diverse conseguenze in relazione alla liceità
dell’esposizione di simboli religiosi in luoghi pubblici»[3].
La questione del crocifisso è emblematica. Fa vedere il passaggio da un
concetto soltanto formale di laicità ad uno invece
"narrativo", fondato su consuetudini e riflessi culturali
determinati. Chi entra in un’aula della scuola italiana non vede il
crocifisso come se entrasse in chiesa. Non lo vede come espressione necessaria
del dogma della morte e resurrezione di Cristo, o del mistero
dell’"incarnazione". Il crocifisso, semmai, occupa lo spazio di
un simbolo importante per comprendere il "principio di sostentamento"
[erhaltendes Prinzip] dei valori alla
base della Costituzione dello Stato[4].
Si legge nella sentenza del TAR: «Va osservato innanzi tutto come il
crocifisso costituisca anche un simbolo storico-culturale, e di conseguenza
dotato di una valenza identitaria riferita al nostro popolo; pur senza voler
scomodare la nota e autorevole asserzione secondo cui “non possiamo non
dirci cristiani”, esso indubbiamente rappresenta in qualche modo il
percorso storico e culturale caratteristico del nostro Paese e in genere
dell’Europa intera e ne costituisce un’efficace sintesi.
Difficilmente si può negare che la nostra tormentata storia sia
impregnata – nel bene e nel male – di cristianesimo, né il mutare
delle analisi storiche, né la stessa indiscutibile laicità dello
Stato possono modificare il passato»[5].
La laicità dello Stato non va
perciò al di là della storia e delle tradizioni religiose e
culturali dei popoli. Tutt’altro. Il cristianesimo vi fornisce
addirittura una linfa vitale: «Si può quindi sostenere –
leggiamo ancóra nella sentenza – che, nell’attuale
realtà sociale, il crocifisso debba essere considerato non solo come
simbolo di un’evoluzione storica e culturale, e quindi dell’identità
del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di
libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e
quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la
nostra Carta costituzionale. In altri termini, i principi costituzionali di
libertà hanno molte radici, e una di queste indubbiamente è il
cristianesimo, nella sua stessa essenza. Sarebbe quindi sottilmente paradossale
escludere un segno cristiano da una struttura pubblica in nome di una
laicità, che ha sicuramente una delle sue fonti lontane proprio nella
religione cristiana»[6].
D’altronde, non mettono in crisi la laicità neppure le croci che
campeggiano sulle bandiere di Danimarca, Norvegia, Islanda, Svezia e della
stessa Finlandia, che è il Paese della ricorrente Soile Tuulikki Lautsi.
Ed è un fatto ancóra più in vista del crocifisso nelle
scuole.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 556
del 2006, respinge ulteriormente il ricorso. Le motivazioni sono rafforzative
dell’impianto argomentativo del tribunale amministrativo del Veneto. Il
principio di laicità non può essere assunto in forma pura e
astratta, ma «con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di
vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi
si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici. E questi mutano da nazione a
nazione»[7].
Non mancano le esemplificazioni. Nell’ordinamento inglese al legislatore
secolare è consentito legiferare in materie interne alla chiesa
anglicana, come, ad esempio, sul sacerdozio femminile; nell’ordinamento
federale degli Stati Uniti d’America, la rigorosa separazione fra Stato e
confessioni religiose, imposta dal primo emendamento della Costituzione
federale, non impedisce una chiara espressione confessionale sulle banconote:
«In God we trust». La
Francia, dal canto suo, persegue la laicità sancita dall’art. 2
della Costituzione imponendo persino delle limitazioni all’autonomia
organizzativa delle confessioni (si vedano in proposito le lois Combes).
Dunque, la laicità non è un
principio indipendente dalla storia narrativa dei popoli. Scrivono i giudici
del Consiglio di Stato, riprendendo in sostanza una tesi di Raffaele Coppola[8]:
«La laicità, benché presupponga e richieda ovunque la
distinzione fra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli
ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in
termini costanti nel tempo e uniformi nei diversi Paesi, ma, pur
all’interno di una medesima “civiltà”, è
relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascun Stato, e quindi
essenzialmente storica, legata com’è al divenire di questa
organizzazione»[9].
In Italia il crocifisso non solo non nega il principio di laicità dello
Stato, ma ne scopre addirittura il senso e il valore presenti nella
Costituzione. «È evidente che in Italia, il crocifisso è atto
ad esprimere, […] in chiave simbolica ma in modo adeguato,
l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di
valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo
alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti
dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni
discriminazione, che connotano la civiltà italiana»[10].
La sentenza della Cassazione (Sezioni unite
civili), n. 5924 del 14 marzo 2011, non si discosta da un significato
"relativo" del principio di laicità. Si discute la rimozione
dall’ordine giudiziario di un giudice di pace del Tribunale di Camerino,
già disposta dal Consiglio Superiore della Magistratura (25 maggio
2010), per essersi rifiutato di tenere udienza a causa della presenza del
crocifisso nelle aule dei tribunali italiani. La Cassazione non si sofferma in
questo caso sul significato storico del principio di laicità, ma ritiene
comunque imprescindibile che ve ne sia uno. La laicità, infatti,
può essere o "per addizione", o "per sottrazione".
Secondo la prima, tutti possono trovare nei luoghi pubblici i propri simboli
religiosi di appartenenza; secondo l’altra, ogni simbolo deve essere
negato allo stesso modo. Per i credenti servirebbe una laicità per
addizione; per i non credenti, invece, una laicità per sottrazione. Come
fare, però, a conciliare la libertà sia del credente, sia
dell’ateo? Poniamo che si rispetti la libertà dei credenti: come
superare il conflitto tra identità religiose tra loro incompatibili? La
conclusione è che a decidere le "condizioni d’uso del
principio di laicità" deve essere per forza lo Stato. Si tratta,
infatti, di un "interesse diffuso" che non può risalire alla
decisione di un singolo soggetto.
1.2. Ab
extra. Con sentenza definitiva della Grande Camera (Affaire Lautsi et autres c. Italie, Strasburgo, 18 marzo 2011), la
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che l’esposizione
del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane non costituisce
alcuna violazione della Convenzione. La decisione della Corte poggia su due
punti fondamentali. Il primo si riferisce ancóra una volta al
significato storico e relativo del principio di laicità, così
come già evidenziato in dottrina e successivamente in giurisprudenza. Va
riconosciuta una discrezionalità degli Stati in materia di educazione,
in forza soprattutto del valore della tradizione. Per questo la Corte non
prende posizione di fronte agli esiti controversi delle giurisdizioni interne.
Si limita a rilevare che sul significato del crocifisso nelle aule scolastiche
il Consiglio di Stato diverge dalla Cassazione, e che la Corte Costituzionale
non si pronuncia, dichiarando inammissibile la questione di legittimità
costituzionale di cui era stata investita dal TAR.
Il secondo punto affronta, invece,
l’equilibrio tra il valore di autonomia degli Stati nel campo
dell’educazione e il diritto di ogni cittadino ad essere educato secondo
le proprie convinzioni religiose e filosofiche. Gli Stati non possono svolgere
alcuna forma di indottrinamento che leda il diritto fondamentale di
libertà. Di qui la tesi centrale della Corte di Strasburgo. Il
crocifisso di per sé non è un mezzo di indottrinamento. È
un "simbolo passivo" che non può essere paragonato al programma
mirato di un insegnamento a forte connotazione religiosa. Infatti, non è
obbligatoria l’ora di religione, né è impedito agli alunni
di altre religioni di portare simboli o abiti con un significato religioso
diverso. Spesso si festeggia nelle scuole anche la fine del Ramadan secondo il
calendario musulmano.
2.1. Ab
intra. Le corti interne non sono sempre sulle stesse posizioni. È
emblematica la sentenza della Cassazione n. 439 del 1° marzo 2000 (Sezione
IV Penale). Oggetto della sentenza è il ricorso proposto dal Sig. Montagnana
avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino che lo condanna per aver
rifiutato di assumere l’ufficio di scrutatore a causa della presenza del
crocifisso nei seggi elettorali. Per la Cassazione il ricorso è
più che fondato. I motivi sono diversi, ma in sintesi fanno leva, da un
lato, sull’affermazione del valore essenziale della laicità dello
Stato e, dall’altro, sull’interpretazione di esso come principio
rigoroso di assoluta equidistanza da ogni confessione religiosa.
C’è un evidente collegamento
tra il "ritorno" del crocifisso nei luoghi pubblici e l’avvento
del Fascismo in Italia, per non scorgervi, secondo i giudici di Cassazione, un
chiaro sintomo del "neo-confessionismo statale" di tale regime
assolutamente in contrasto con la forma di Stato delineata nella Costituzione
della Repubblica. Di qui un argomento decisivo: chi ha la funzione pubblica di
scrutatore ha addirittura il dovere di assicurare «il rispetto della
irrinunciabile libertà di coscienza garantita dalla Costituzione a ciascun
cittadino e il supremo principio costituzionale della laicità dello
Stato». D’altronde, la legislazione elettorale non può che
essere garantista e imparziale. Per questo si preoccupa di vietare
tassativamente ogni forma simbolica di comunicazione iconografica che comprenda
«contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi».
2.2. Ab
extra. Anche per i giudici di Strasburgo, in un primo tempo, il principio
di laicità è astrattamente puro e indipendente da forme di
relatività. È la prima sentenza della CEDU nell’Affaire Lautsi c. Italie (Strasburgo, 3
novembre 2009). Il crocifisso è il crocifisso. Non c’è
spazio per significati diversi da quelli religiosi. Si legge nella
sentenza: «La Cour considère que la présence du crucifix
dans les salles de classe va au-delà de l’usage de symboles dans
des contextes historiques spécifiques. Elle a d’ailleurs
estimé que le caractère traditionnel, dans le sens social et
historique, d’un texte utilisé par les parlementaires pour
prêter serment ne privait pas le serment de sa nature religieuse»[11].
Il crocifisso ripete sempre
un’essenza teologica. E ciò prima di ogni altra interpretazione.
Per questo non può stare nei luoghi istituzionali del publicum. Se così non fosse, si
potrebbe confondere Stato e Chiesa con la conseguenza di discriminare chi non
è cattolico. Scrive la Corte: «L’intéressée
voit dans l’exposition du crucifix le signe que l’Etat se range du
côté de la religion catholique. Telle est la signification
officiellement retenue dans l’Eglise catholique, qui attribue au crucifix
un message fondamental. Dès
lors, l’appréhension de la requérante n’est pas
arbitraire»[12].
Lo Stato italiano è condannato a risarcire la ricorrente ai sensi
dell’art. 2 del Protocollo n. 1 [13]
e dell’art. 9 della Convenzione[14].
È interessante notare come la Corte
di Strasburgo arrivi a conclusioni opposte a quelle dei tribunali
amministrativi italiani anche nell’Affaire
Lombardi Vallauri c. Italie (Strasburgo, 20 ottobre 2009)[15].
Il problema sembra un altro. Riguarderebbe la libertà di insegnamento.
La Corte europea riconosce, infatti, il diritto alla libertà di
insegnamento del prof. Luigi Lombardi Vallauri, espulso nel 1998
dall’Università Cattolica di Milano, dopo che la Santa Sede aveva
giudicato il suo corso di Filosofia del diritto «in netta opposizione
alla dottrina cattolica». In realtà, il discorso non è
molto lontano da quello sulla laicità delle istituzioni. Ciò che
l’Università contesta a Lombardi Vallauri non si ferma alla
generale libertà d’insegnamento, ma tocca soprattutto il ruolo di
un insegnamento filosofico in un’istituzione espressamente connotata dal
punto di vista confessionale. Si provi ad immaginare S. Tommaso che discuta
nella Summa Theologiae le sue
"cinque vie" non per dimostrare, ma per negare l’esistenza di
Dio. Non vi sarebbe più la Summa
Theologiae.
Qual è, allora, il punto di vista
esterno rispetto a queste sentenze? La questione non è tanto quella di
stabilire chi ha torto o ragione nei confini solo giuridici di alcune famose
sentenze. Si finirebbe per discutere una verità soltanto
"retorica", col risultato di avere un giudizio vero per alcuni e
falso per altri, senza la possibilità di fare molta strada. È
bastato per le corti di giustizia, ma non è affatto sufficiente dal
punto di vista filosofico. La domanda filosofica è, semmai, di ordine
onto-esistenziale. È possibile un sistema puramente laico? Che
cos’è un sistema puramente
laico? Un sistema del genere è un sistema che afferma "tutto e
niente", che protegge ogni religione come se fosse assoluta e ad un tempo
la nega. È possibile, dunque, un sistema del genere?
Vi sono almeno due impossibilità che
chiamerò rispettivamente "ontologica" e "ontica", in
omaggio al lessico (solo al lessico) di Martin Heidegger.
3.1. La prima impossibilità è ontologica, poiché investe la
stessa idea di un mondo "tutto e niente". Dire "tutto", in
modo assoluto, costituisce soltanto una contraddizione. "Tutto"
significa "tutto e niente", ed è impossibile che vi sia tutto
e la sua negazione: simul et idem.
Anche i valori, che sembrano escludere da sé la contraddizione, non
possono assolutizzarsi e attuarsi per tutti gli uomini e in tutti i luoghi allo
stesso modo. Salvo rare eccezioni. Il diritto, ad esempio, a non essere ridotti
in schiavitù è assoluto, dal momento che la sua negazione
è universalmente condannata. Ma non è così per gli altri
diritti. È quasi inevitabile che la tutela di un diritto entri in
conflitto con la protezione di un altro. Si pensi alla difficoltà di
conciliare il diritto alla libertà di espressione con il diritto a non
essere ingannati o vilipesi. Quanto più è incondizionato il primo
diritto, tanto più l’altro sarà sacrificato. Allo stesso
modo, è difficile conciliare, se presi incondizionatamente, i diritti sociali
con quelli liberali. Il diritto, poniamo, ad una istruzione libera ha finito da
tempo per essere rivisto dal dovere di assicurare a tutti il diritto allo
studio come uno dei diritti sociali più importanti. Un po’ come
l’aumento del potere di acquistare un’auto ostacola fino a
paralizzare la libertà di circolazione nelle città[16].
A correre più rischi, lungo il
crinale di un’impossibilità ontologica, è forse
l’Europa. Le premesse ci sono tutte. L’Europa sembra il più
avanti, tra i sistemi sociali globali, per indole di onnipresenza. Ha
conosciuto in pratica tutte le filosofie, né si sono risparmiati sistemi
politici, o forme e stili di vita sia totalizzanti, sia individualistici e
radicali. Ha visto insieme: cristianesimo e umanesimo, spiritualismo e materialismo,
metafisica e scientismo, liberalismo e socialismo. Altrove, questi stessi mondi
o sono stati assenti, oppure sono apparsi polarizzati e isolati[17].
L’Europa scomparirebbe se si sostituisse il pluralismo con
l’unanimismo. Questo è chiaro. Nello stesso tempo, però,
insistere come hanno fatto alcune corti europee sul principio di laicità
come regola del "tutto e niente" ha l’effetto sicuro di
spingere la differenziazione del sistema politico-culturale dell’Europa non
più in direzione di ciò che completa e unisce, ma di ciò
che confonde e divide. Non si possono mantenere le differenze costringendo ogni
cosa ad essere messa al posto dell’altra sempre e in ogni luogo. Prima o
poi nasce il conflitto. In altri casi è «la notte in cui tutte le
vacche sono nere». Volentem fata
ducunt, nolentem trahunt.
Aggiungo un’altra considerazione. La
laicità non può più fermarsi ai meri principî. Si
è passati, infatti, da un pluralismo soltanto di forma, concentrato
sulla lettera dei diritti fondamentali, ad una realtà sociale divenuta
multiversa e conflittuale, a causa dell’intreccio sempre maggiore di
culture e popoli diversi. In questi nuovi scenari è inevitabile la
reazione identitaria dei sistemi giuridici più vicini alla
complessità. Ed ecco perché le corti interne di giustizia (si
pensi soprattutto alla giustizia amministrativa) sono più sensibili di
quelle esterne ad una "laicità desecolarizzata", orientata,
cioè, alla cultura emergente [Leitkultur].
Il motivo sta proprio nel fatto di essere "interne" e di trovarsi maggiormente
legate al conflitto.
3.2. C’è poi
un’impossibilità ontica,
frutto del contesto storico della laicità. Solo a causa di
un’evidente finzione o di baconiani "idola tribus", il sostrato cristiano resta occultato dal
manifesto pluralista della laicità. Quando i giudici amministrativi
dichiarano crocianamente che l’ordinamento italiano «non può
non dirsi cristiano» non fanno che sostenere un dato evidente. Nessuno
penserebbe di togliere le cattedrali dalle nostre piazze, né penserebbe
che la loro presenza possa violare il senso di laicità dello Stato.
Eppure, le cattedrali sono un bel simbolo religioso, e per di più nelle
piazze, che sono un luogo molto più pubblico e laico delle aule di
scuola.
A questi simboli di un éthos si aggiunge anche il pensiero critico della
"ragion pratica" [praktische
Vernunft]. Così com’è facile scoprire al centro
dell’etica dell’Occidente l’imperativo kantiano di
«considerare l’umanità in se stessi e negli altri sempre
come fine e non solo come mezzo», non è neppure difficile
collegare questo postulato al precetto tutto cristiano «Ama il prossimo
tuo come te stesso». Lo si vede anche nel diritto di rango inferiore alla
Costituzione. L’"aver cura" [Fürsorge] del «buon Samaritano» (Lc, 10,29-37) o
delle «nozze di Cana» (Gv, 2,1-11) ha probabilmente un suo
corrispettivo nell’art. 539 del Codice
penale sull’"omissione di soccorso". In Common Law è il "duty of active aid" o "duty of rescue".
Come fare, allora, a rimuovere la nostra
storia? È possibile vedere il mondo da un Null-Punkt assoluto, dal punto zero dell’assenza di ogni
relazione prospettica del soggetto con il mondo? Sarebbe come escludere la
finitezza dell’uomo, o strappare il soggetto dal mondo, prima
naturalmente della "coscienza infelice" [unglückliches Bewußtsein].
[I contributi della sezione
“Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei promotori
e del Comitato scientifico del Colloquio internazionale, d’intesa con la
direzione di Diritto @ Storia].
* [Colloquio internazionale La
laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e
neutralità religiosa, svoltosi in Bari il 4-5 novembre 2010 per
iniziativa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Bari “Aldo Moro”, del Centre d’études
internationales sur la romanité Université de La Rochelle e
dell’Unità di ricerca “Giorgio La Pira” CNR –
Università di Roma “La Sapienza”]
Il testo della presente comunicazione, a seguito della sentenza della grande Camera della Corte di Strasburgo del 18 marzo 2011, nell’affaire Lautsi v. Italia, è stato necessariamente aggiornato e adattato a questa pronuncia.
[1] Il riferimento è alla delibera del
Consiglio di istituto della scuola “Vittorino da Feltre” di Abano
Terme (27 maggio 2002).
[2] Sul tema della laicità
"relativa", cui ispirare la giurisprudenza amministrativa italiana e
la Corte europea dei diritti dell’uomo, in un’interessantissima
ricerca sul nesso epistemologico con la teoria della relatività
ristretta (o speciale) di Einstein, si veda la relazione fondamentale di R. Coppola, «Simbolismo religioso e
nuove prospettive per lo studio del diritto ecclesiastico dello Stato»,
al Convegno «Simboli religiosi e istituzioni pubbliche.
L’esposizione del Crocifisso dopo l’ordinanza n. 389 / 2004 della
Corte costituzionale», Facoltà di Giurisprudenza, Bari, 17 maggio
2005, in R. Coppola, C. Ventrella Mancini (a cura di), Giornate canonistiche baresi. Atti V,
Bari, Adriatica, 2008, 21-36 (ivi l’ulteriore bibliografia
dell’autore).
[4] È la tesi sostenuta, fra gli altri,
da E.-W. Böckenförde, Staat, Nation, Europa. Studien zur Staatslehre, Verfassungstheorie
und Rechtsphilosophie, Frankfurt, Suhrkamp, 1999.
[8] Cfr., in particolare, R. Coppola, Ma la “laicità relativa” non l’ho inventata io
… ovvero dell’uguaglianza delle
confessioni religiose secondo Procuste, in Forum di Quaderni costituzionali, 2002, all’url
www.forumcostituzione.it, dove è affermato, tra l’altro, che tale
concetto discende dall’analisi delle norme, fondamentali o meno, che
inducono ad interpretare il principio di laicità nel complessivo quadro
costituzionale ed ordinamentale, da cui si trae un modello di pluralismo (non indifferenziato), con il quale
appaiono coerenti numerose disposizioni di diritto vigente anche nella loro
proiezione storica.
[11] Cour
européenne des droits de l’homme (deuxième section), Affaire Lautsi c. Italie (Requête n. 30814 / 06),
Strasburgo, 3 novembre 2009.
[13] «Nul ne
peut se voir refuser le droit à l’instruction. L’Etat, dans
l’exercice des fonctions qu’il assumera dans le domaine de
l’éducation et de l’enseignement, respectera le droit des
parents d’assurer cette éducation et cet enseignement
conformément à leurs convictions religieuses et
philosophique».
[14] «Toute
personne a droit à la liberté de pensée, de conscience et
de religion […]. La liberté de manifester sa religion ou ses
convinctions ne peut faire l’objet d’autres restrictions
[…]».
[15] Si vedano le sentenze del TAR della
Lombardia (26 ottobre 2001) e del Consiglio di Stato (9 dicembre 2002).
[16] A sostenere la tesi dell’impossibilità
di assolutizzare i diritti è, fra gli altri, N. Bobbio in L’età
dei diritti, Torino, Einaudi, 1997, specialmente 39-41.