Università di Trieste
Stato e Chiesa nella tradizione ortodossa russa
Abstract: Il contributo esamina il tema dei rapporti
tra Sacerdotium e Imperium nella tradizione russa, la
quale muove dal principio bizantino della sinfonia dei poteri affermato nella Praefatio della Sesta Novella di
Giustiniano. Peraltro, nella storia russa il principio sinfonico trova periodi
assai brevi di applicazione e segnatamente nella prima metà del XVII
secolo, al tempo del patriarca Filaret e dello zar Michail Fëdorovič
suo figlio, per interrompersi assai presto al tempo del patriarca Nikon e dello
zar Aleksej Michajlovič. A decretare in modo definitivo il superamento del
principio sinfonico provvederà all’inizio del secolo successivo
Pietro il Grande, il quale, dopo aver abolito il Patriarcato, giungerà
ad affermare di essere «zar e patriarca». La sinfonia tra Sacerdotium e Imperium si ripropone, tuttavia, nella Russia postcomunista di
Putin e del patriarca Kirill, nella quale si va riaffermando il sinallagma
giurisdizionalista che vede la Chiesa propensa a riproporsi come instrumentum Regni, nella speranza che
lo Stato si adoperi attivamente per contribuire alla salus animarum.
Nella tradizione russa, erede di quella bizantina, i
rapporti tra il potere spirituale e temporale si ispirano al principio
sinfonico. La sinfonia dei poteri (simfonija
vlastej) o consonantia, o
relazione armonica tra Sacerdotium e Imperium trova la sua formulazione
nella Praefatio della Sesta Novella
di Giustiniano, indirizzata a Epifanio, santissimo
Arcivescovo della città imperiale e Patriarca Ecumenico, in cui si
afferma che i doni più grandi fatti da Dio sono il sacerdozio e
l’impero, il primo al servizio delle cose divine e il secondo alla guida
delle cose umane. Entrambi originano da un identico e unico principio e
«nulla agli imperatori potrebbe interessare quanto l’onestà
dei sacerdoti, purché questi supplichino sempre Dio anche per loro.
Infatti, se l’uno è in ogni suo aspetto integro e gode della
fiducia di Dio e l’altro abbellisce lo Stato a lui affidato,
sorgerà una sorta di buona armonia (concentus) in grado di
assicurare al genere umano tutto quello che gli è utile»[1].
Costantinos Pitsakis ha messo bene in luce che nel mondo bizantino
«Stato e Chiesa non sono istituzioni distinte, bensì due aspetti
della stessa nozione, una e indivisibile, di Impero cristiano (il regno di Dio
sulla terra), due aspetti che nel pensiero politico e teologico dei bizantini
erano inseparabili. Il problema emerge soltanto a livello personale, il solo in
cui possa esservi un problema di “rapporti” che sono, ovviamente,
rapporti tra individui che si concretizzano nel predominio della
personalità di volta in volta più forte in termini di ambizioni
politiche, potere materiale e posizione nella congiuntura storica»[2].
In un sistema caratterizzato da un rapporto di simbiosi tra
l’organizzazione dello Stato e della Chiesa, appare del tutto naturale
che sia l’imperatore a legiferare in materia ecclesiastica, a convocare i
Concili e a dare definitiva approvazione alle decisioni anche in materia
strettamente canonica in essi adottate, come pure che la Chiesa detti
disposizioni in ambito strettamente mondano e amministri essa stessa la
giustizia civile. Parimenti del tutto naturale appare la privazione dei diritti
civili e politici per coloro che non appartengono alla Chiesa o che si allontanano
da essa aderendo a scismi o eresie.
Il concetto di sinfonia è ripreso nelle fonti del diritto
canonico russo e in particolare nel Sobornoe Uloženie o Codice
sinodale del 1551, promulgato nel cosiddetto Stoglav o Concilio dei
Cento Capitoli[3]
(cap. 62) e nella Kormčaja Kniga o Libro del nocchiero del 1653 [4],
che nelle sue varie edizioni è la fonte primaria del diritto canonico
russo.
Il Codice del Concilio dei Cento Capitoli è
l’espressione diretta del principio della sinfonia dei poteri: esso contiene,
infatti, oltre alle norme di diritto canonico, compilazioni di diritto civile (sudebnik).
Lo stesso principio vale nel periodo successivo al Principato di Mosca, quando
alla metà del XVI secolo si istituisce lo Zemskij Sobor
(letteralmente: Concilio o assemblea della terra, o del territorio, che si
contrappone al Santo Concilio, (Osvjaščennyj
Sobor), un organo consultivo che viene convocato a livello locale con
competenza in materia civile e a cui prendono parte i rappresentanti del clero,
dei bojari, della nobiltà minore, nonché dei funzionari e dei
mercanti[5].
Il Santo Concilio è spesso convocato dallo stesso zar, che in ogni caso
prende a esso parte, nonostante il fatto che la sua convocazione in base alle
norme canoniche spetti all’autorità ecclesiastica. In alcuni casi
i Concili locali vedono la partecipazione delle assemblee sia religiose che
civili[6];
nel contempo i rappresentanti del Santo Concilio diventano parte organica delle
riunioni dello Zemskij sobor[7].
Come rettamente sottolinea I.N. Andruškevič[8],
la sinfonia non è un semplice
accordo tra Sacerdotium e Imperium, ma un accordo nella comune,
reciproca comprensione, consonantia (sozvučie[9]), concordia
(soglasie o soserdečija[10]), predisposizione soggettiva e cordiale.
Senza reciproca comprensione non vi è consonantia, ma unisono;
inoltre, i buoni accordi devono creare armonia tra le parti, altrimenti non vi
sarebbe sinfonia, ma kakofonia. Una buona sinfonia, inoltre,
si basa sulla equisonanza (ravnozvučie) dell’Imperium e del Sacerdotium, ciascuno nella propria sfera; in assenza di
equisonanza tra di essi si cade fatalmente nel cesaropapismo o nel
papocesarismo.
La storia delle relazioni tra potere spirituale e temporale in
Russia mostra con tutta evidenza come il principio sinfonico, pur costantemente
ribadito, abbia avuto una applicazione concreta solamente in periodi assai
brevi e come l’Imperium abbia
progressivamente acquisito sul Sacerdotium
una posizione di assoluto predominio. Questo risalta con particolare evidenza
durante il regno di Ivan IV il Terribile (1547-1584), di Pietro il Grande
(1682-1725), di Caterina II (1762-1796), ma, sia pure in modo meno clamoroso,
caratterizza anche altri periodi
della storia russa.
Con l’affermarsi
dell’idea di Mosca Terza Roma, predicata dal monaco Filofej alla fine del
XV secolo, la Chiesa russa, che nel 1448 ha già rivendicato la sua
autonomia da Costantinopoli[11],
si sostituisce a Bisanzio come centro dell’ecumene cristiana e in questo
modo la Russia diviene «il popolo eletto da Dio, Mosca la città
scelta da Dio, il signore della Russia, il pastore dato da Dio alla sua
Chiesa»[12]:
il fattore religioso si accoppia a un ideale politico[13],
e Mosca, come un tempo Bisanzio, diviene la capitale religiosa e politica
dell’universo.
Si realizza così una identificazione tra Chiesa e Nazione:
la pienezza dei diritti si acquisisce con l’appartenenza a entrambe, vale
a dire mediante il battesimo ortodosso[14].
I sudditi dichiarano la loro fedeltà allo zar in quanto questi si pone
per sua natura come protettore della vera fede, anche se l’intento che
vuole perseguire è prima di tutto quello mondano e soltanto
indirettamente quello religioso; in altre parole il fine del Sacerdotium
viene subordinato a quello dell’Imperium e in questo modo si
giustifica l’interferenza del sovrano nella vita della Chiesa che si
esprime principalmente nella scelta delle gerarchie ecclesiastiche.
L’incoronazione
di Ivan, officiata dal metropolita Makarij nel 1547, «trapianta nella
realtà russa l’idea del potere imperiale di Costantinopoli e
l’immagine del pio imperatore da Dio incoronato»[15]
e rafforza l’idea che lo zar di Mosca è l’erede del potere
del basileus bizantino, difensore e protettore dell’ortodossia
contro le eresie e gli scismi, e proprio per questa ragione lo zar deve
prendere parte alle decisioni ecclesiastiche, in tutte le materie, dalla
disciplina dei monasteri alla canonizzazione dei santi, dal Tribunale
ecclesiastico alla nomina dei vescovi.
Il
temporale e lo spirituale si confondono[16].
Accanto
ai sostenitori dell’assolutismo autocratico, come Ivan Peresvetov[17],
non manca chi professa idee diametralmente opposte, come il principe monaco
Vassian Patrikeev (soprannominato Kosoj,
il guercio), o il monaco Maksim Grek il quale come ha bene messo in luce Sante
Graciotti[18],
ritiene che la Chiesa abbia il dovere di condannare gli abusi del potere
secolare e che essa ha una dignità più alta di quella
dell’Impero perché «il sacerdozio è più grande
del principato terreno» (ubo
bol’ši est’ svjaščenstvo carstva zemnago) e
contesta la teoria della Terza Roma[19].
Nella Moscovia scompare la distinzione tra religione e politica e
tra sacro e profano: ortodossia e zarismo si fondono, di modo che chi nega lo
zar rinnega anche la Chiesa, e viceversa: i doveri religiosi si trasformano in
obbligazioni legali[20].
La
sacralizzazione della figura dello zar operata da Iosif Volockij e dai suoi
seguaci era intesa a porre il sovrano al servizio della fede e della Chiesa: ma
lo zar, una volta dichiarato simile a Dio e suo vicario, diviene consapevole di
non dover più servire la Chiesa gerarchica, ma di doversi servire di
essa come suo capo gerarchico[21].
La singolare concezione dei rapporti tra Sacerdotium e Imperium di Ivan il
Terribile è chiaramente espressa nella sua corrispondenza con il
principe Andrej Kurbskij (1528-1583)[22].
L’indebolimento del ruolo della Chiesa non si esprime
soltanto a livello nazionale, bensì universale e questo è la
conseguenza del fatto che, come sostiene il Graciotti,
«l’autocrazia russa nasce nella logica di una Chiesa nazionale che
si serve delle idee imperiali di Bisanzio per una politica nazionale. In questa
situazione di isolamento della Chiesa russa da un contesto ecclesiale
universale, anche dalla Chiesa d’Oriente dopo la caduta di Costantinopoli
in mano turca, si creano le premesse per una debolezza della Chiesa al suo
esterno, nei confronti delle prepotenza di chi tiene la spada, del potere
temporale»[23].
La nascita di una Chiesa intrinsecamente nazionale e il distacco da
Costantinopoli recidono il legame con l’universalità derivante
dall’appartenenza alla Chiesa greca e la sostituiscono con il messianismo
cosmico che si esprime nell’idea della Terza Roma.
L’istituzione del Patriarcato di Mosca (1589) è un
evento di particolare importanza, voluto dal potere civile più che dalla
gerarchia ecclesiastica[24],
giacché, accrescendo il ruolo e l’autorità della Chiesa
russa nel Paese e di fronte agli altri Patriarcati, consolida nel contempo il
prestigio dello zar sul piano interno e su quello internazionale,
Con la dinastia dei Romanov, che prende avvio con lo zar Michail
Fëdorovič (1613-1645), il regno di Mosca si rafforza, liberandosi dal
predominio polacco. Prende allora avvio, grazie a una riacquisita coscienza
nazionale e religiosa, un periodo in cui Sacerdotium e Imperium vengono a trovarsi
nuovamente in sintonia e stringono una stretta alleanza, rafforzata dal
conflitto con la Chiesa cattolica, che è identificata con la Nazione
polacca, responsabile di aver spezzato l’unità
dell’ortodossia con quello che i russi considerano il tradimento di
Brest.
È questo forse il periodo storico in cui la sinfonia dei
poteri si realizza maggiormente, grazie all’opera del patriarca Filaret
(dal 1619 al 1633)[25]
e al regno di suo figlio, lo zar Michail Fëdorovič, salito al trono
all’età di quindici anni nel 1613 (1613-1645).
Filaret rappresenta l’unione sacra tra Chiesa, Stato e
Nazione, al punto che negli atti ufficiali pone la sua firma accanto a quella
dello zar Michail, suo figlio.
Negli anni successivi, soprattutto a partire dal 1625, si assiste a
una progressiva integrazione sinfonica tra le strutture del potere temporale e
di quello spirituale: la Chiesa vive in quegli anni un periodo assai
favorevole, grazie al rifiorire del monachesimo dovuto all’opera dei
seguaci di san Sergij di Radonež. Il clima sinfonico perdura anche nella
prima parte del regno di Aleksej Michajlovič (1645-1676).
La docilità del nuovo zar, salito ancora giovanissimo al
trono per la prematura morte del padre, non è destinata a durare a lungo
e, infatti, nel volgere di pochi anni, Aleksej Michajlovič muta
atteggiamento nei confronti della Chiesa, privilegiando gli interessi e il
rafforzamento dello Stato, riducendo progressivamente l’attività
degli zemskie sobory e prepara in tal
modo la strada all’era di suo figlio Pietro il Grande.
I rapporti tra Nikon, che Aleksej Michajlovič aveva insediato sul
soglio patriarcale e il giovane zar sono dapprima improntati alla reciproca
stima e alla massima cordialità, anche quando si tratta di fare presenti
al sovrano i diritti della Chiesa[26].
Ma questa fase di rapporti cordiali e sinfonici tra lo zar e il patriarca non
è destinata a perdurare: lo zar, infatti, mal sopporta il carattere
forte di Nikon che intende stabilire l’autonomia e la superiorità
dell’ordine spirituale su quello temporale: il patriarca, infatti,
asserisce che l’ordine sacro è più
forte del trono e rifiuta di porsi al servizio dell’autorità
secolare. Nikon riprende, infatti, la teoria bizantina, condivisa dal patriarca
Fozio e da papa Innocenzo III, secondo la quale «il pontificato è
un principio più elevato e grande dell’Impero»[27]. Scrive Nikon: «Gli uni credono
che lo zar stia al di sopra dei
vescovi, e gli altri che i vescovi siano al di sopra degli zar. Il potere dei
vescovi è ecclesiastico, e ad essi appartiene il diritto di giudicare in
cose di chiesa: il potere dello zar è laico, e le cose temporali sono di
sua pertinenza. Iddio creò la terra, ed ingiunse ai due grandi luminari,
il sole e la luna di rischiararla, simbolizzando nel sole l’autorità
dei vescovi e nella luna quella degli zar. Il sole rischiara il giorno, ed i
vescovi le anime: il luminare inferiore, la luna, attinge i suoi chiarori dal
sole e risplende nella notte. Il potere dei vescovi si estende quindi sulle
anime, ed il potere degli zar sulle cose temporali. La spada dello zar è
da brandirsi contro i nemici della fede ortodossa, quando i vescovi ed il clero
invocano il suo appoggio. I laici hanno bisogno dell’elemento spirituale
per la loro salvezza, e l’elemento spirituale affida la sua difesa ai laici.
Sotto questo aspetto lo zar ed i vescovi non sono superiori l’uno agli
altri, ma l’uno e gli altri derivano da Dio la loro potestà. Nelle
cose di chiesa il patriarca è superiore allo zar, e gli ortodossi sono
tenuti a prestargli omaggio ed obbedienza, perché egli è il padre
di tutti nella fede, e sovra di lui riposa la chiesa ortodossa»[28].
Il 10 Luglio 1658, al termine
della liturgia celebrata presso la cattedrale della Dormizione al Cremlino (Uspenskij sobor), Nikon decide di
abbandonare l’omofor[29]
e di rinunciare a ogni segno esteriore della sua dignità vestendosi da
semplice monaco. Da quel momento il potere vastissimo di cui Nikon aveva goduto
e la sua autorevolezza vengono meno e inizia un periodo di discordia
all’interno della Chiesa che sfocia nel grande scisma dei Vecchi
credenti.
La
sconfitta di Nikon conferma la definitiva subordinazione della Chiesa allo
Stato; il prestigio del patriarcato é umiliato e compromesso: si
preparano così i tempi della sua futura abolizione, alla quale
provvederà Pietro il Grande, figlio di Aleksej Michajlovič.
Con Pietro l’umanesimo
e il laicismo si sostituiscono alla teocrazia. Lo Stato cessa il rapporto
sinfonico con la Chiesa e non si occupa più della salvezza delle anime: il fine
supremo (summum bonum) non è più il regno dei cieli, ma il
benessere terreno, ossia il bene comune (bonum comune: vsenarodnaja pol’za)[30].
Pietro, al di là degli eccessi che caratterizzano tutta la
sua vita, nutre verso la Chiesa e la religione in generale una assoluta
diffidenza, anche se a lui si deve il primo Manifesto sulla tolleranza
religiosa, in cui si garantisce la libertà di culto in pubblico e in
privato non solo nella società civile, ma anche nell’esercito[31]:
peraltro proprio con questo atto lo zar cessa di essere il custode della
purezza della fede e il defensor fidei.
L’opera di secolarizzazione voluta sin dall’inizio da
Pietro trova il suo coronamento il 25 Gennaio 1721, quando viene pubblicato il
Manifesto[32]
sull’abolizione del Patriarcato, sull’organizzazione del Collegio
ecclesiastico[33]
e sull’entrata in vigore del Regolamento ecclesiastico.
Se con l’Uloženie
di Aleksej Michailovič del 1649 la Chiesa viene sottomessa allo Stato[34],
con il Regolamento ecclesiastico di
Pietro si ha una trasformazione della Chiesa in dicastero statale, e si
proclama che tutto ciò avviene per il bene della Chiesa stessa[35].
L’abolizione del Patriarcato, che comporta come naturale
conseguenza la soppressione dei Concili, e l’istituzione del governo
sinodale della Chiesa viene giustificata sostenendo la validità della
direzione collegiale e la pericolosità di quella individuale: infatti,
da un’amministrazione conciliare la patria non può temere
ribellioni, come quando a governare è un singolo amministratore
ecclesiastico, giacché il popolo è indotto a pensare che il
patriarca, capo spirituale, sia un secondo sovrano pari
allo zar o anche superiore a esso[36],
perché il pastore supremo dell’ortodossia è lo zar, che
è anche il custode della vera fede e della Santa Chiesa. Pietro,
infatti, dichiara: «Dio mi ha concesso di governare i laici e il clero e
pertanto io sono per loro sovrano e patriarca», optando definitivamente
per il cesaropapismo di stampo protestante e allontanandosi in tal modo dal
modello bizantino[37].
Il massimo organo della Chiesa Ortodossa Russa si trasforma in un
apparato dello Stato, perdendo la sua indipendenza[38].
Al
quesito sui poteri del Sinodo, Pietro risponde con molta chiarezza: solamente
l’imperatore può dare ordini al Sinodo. «A nome del
patriarca non venivano mai emessi ukazy,
mentre il Collegio ecclesiastico ha l’onore, la forza e il potere uguali
a quelli del patriarca, e forse anche maggiore di quelli del patriarca, proprio
come il Concilio»[39].
Nei documenti ufficiali del
Sinodo, con i successori di Pietro, la Chiesa ortodossa perde la denominazione
di Chiesa Ortodossa Russa (Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’) e
diviene Dicastero della fede ortodossa (Vedomstvo pravoslavnogo ispovedanija[40]).
Il rapporto di simbiosi e di collaborazione armonica che è
alla radice della sinfonia dei poteri si trasforma in rapporto di
subordinazione della croce alla corona: per dirla con Riasanovsky, «se la
Russia moscovita aveva due capi supremi, lo zar e il patriarca, nell’era
di Pietroburgo rimase solo lo zar»[41].
Caterina II non si discosta
dalla politica petrina e nel secolo XIX la Chiesa vive come una semplice branca
amministrativa dello Stato, non svolge un ruolo decisivo negli avvenimenti del
tempo ed esercita una influenza marginale sul piano culturale, nonostante la
posizione di assoluto privilegio assegnata ad essa dalle leggi Fondamentali
dello Stato[42].
Dopo la lunga
notte del bolscevismo e l’implosione di questo innaturale sistema la
Russia riconosce prontamente la libertà religiosa e sembra voler
restituire alla Chiesa piena indipendenza e autonomia, infatti la Costituzione
della Federazione Russa stabilisce che «A ciascuno è garantita la
libertà di coscienza, la libertà di professione religiosa,
compreso il diritto di professare individualmente o in comune con altri qualsiasi
religione o di non professarne alcuna, di scegliere liberamente, di avere e di
diffondere convinzioni religiose e altre e di agire in conformità con
esse» (art. 28) e afferma il principio della laicità dello Stato,
precisando che «nessuna religione può costituirsi in
qualità di religione di Stato od obbligatoria» (art. 14.1) e che
«le associazioni religiose sono separate dallo Stato e sono uguali
davanti alla legge» (art. 14.2). Peraltro, questi chiari principi non
trovano conferma nella normativa ordinaria, a causa dell’interpretazione
arbitraria che di essa viene fatta, volta ad assicurare all’ortodossia e
alle altre cosiddette religioni tradizionali una posizione di privilegio.
Nel Preambolo della legge federale Della libertà di coscienza e delle associazioni religiose del
1997 [43]
il legislatore assume una posizione di speciale benevolenza nei confronti della
Chiesa Ortodossa Russa: esso dichiara, infatti, di riconoscere «il
particolare (osobuju) ruolo dell’ortodossia nella storia della Russia,
nella formazione e nello sviluppo della sua spiritualità e
cultura»; al tempo stesso manifesta la propria deferenza (uvažaja),
seppure con intensità decrescente e in termini più fumosi e
generici, verso il cristianesimo, l’islam, il buddismo e il giudaismo,
nonché verso «le altre religioni che costituiscono parte
integrante (neot”emlemuju) dell’eredità storica dei
popoli della Russia»[44].
Il legislatore, manifestando rispetto per le sole religioni tradizionali,
finisce con il legittimare l’assegnazione a queste di una posizione di
privilegio.
La dottrina e la pubblicistica, in modo del tutto singolare e
arbitrario, attribuendo al legislatore affermazioni a esso del tutto estranee,
classificano come religioni tradizionali[45]
solamente l’ortodossia, l’islam, il buddismo e il giudaismo,
escludendo, pertanto, sia le altre religioni cristiane, sia quelle «altre religioni che costituiscono parte
integrante dell’eredità storica dei popoli della Russia»
menzionate nel Preambolo. Questa interpretazione è sempre stata
condivisa dall’attuale patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev); dimenticando
la lettera della legge, egli afferma perentoriamente che le religioni
tradizionali per la Russia sono l'ortodossia, l'islam, il giudaismo e il
buddismo e non la Chiesa cattolica[46].
Si ripropone, in tal modo, una classificazione delle religioni che
stravolge quella esistente nell’Impero zarista, in cui, in base allo Svod Zakonov, tutte le Confessioni
religiose presenti nel Paese venivano divise in quattro gruppi: 1) La Chiesa
Ortodossa Russa, «che ha il primato ed è dominante» (Pervenstvujuščaja i
gospodstvujuščaja); 2) le Confessioni cristiane straniere, come
le Chiese romano cattolica, luterana, evangelica riformata, armeno gregoriana
che sono riconosciute, tollerate e protette; 3) l’islam, il giudaismo, i
karaimy, il buddismo lamaista e il paganesimo, che sono parimenti riconosciute
e tollerate (terpimye), ma che non
godono della stessa protezione assegnata alle religioni cristiane; 4) i Vecchi
credenti e le sette sorte dall’ortodossia, che non sono tollerate (neterpimye)[47].
Da questa suddivisione emerge che per lo Svod Zakonov a essere tradizionale è soltanto
l’ortodossia, mentre il cattolicesimo e il protestantesimo, in quanto religioni
cristiane, sono poste su un piano privilegiato rispetto all’islam e
all’ebraismo e soprattutto al buddismo, che acquista dignità di
religione culturale, appena al di sopra dell’idolatria e del paganesimo,
solamente a partire dal 1905. Nella legislazione zarista le religioni tollerate
sono considerate tutte ugualmente tradizionali, ferme restando le disposizioni
che impediscono a ognuna di esse ogni sorta di proselitismo e di
attività missionaria, essendo esse relegate nel ristretto ambito dei
loro rispettivi confini etnici.
Ora il legislatore della Federazione Russa, disconoscendo sia la
storia che la plurisecolare tradizione giuridica presovietica, modifica la
scala di valori da attribuire alle diverse Chiese e religioni, relegando
protestantesimo e cattolicesimo alla posizione di religioni tollerate,
giacché esse non godono più della «protezione del benevolo
(vsemilostivejšij) imperatore in quanto sovrano cristiano»[48],
e riconoscendo, per contro, uno status di religioni protette
all’islam e al buddismo, certamente non per ragioni storiche, ma in base
a motivazioni contingenti di carattere politico, al fine di evitare tentazioni
separatiste e disaggreganti di ogni sorta. Buddismo, ebraismo e islam oggi sono
considerate religioni tradizionali, seppure in modo secondario rispetto
all’ortodossia.
Dando vita a una regolamentazione giuridica differenziata per le
diverse fedi, la legge manifesta una chiara volontà di instaurare un
sistema di collaborazione privilegiata tra lo Stato e la Chiesa Ortodossa Russa
ristabilendo l’antica sinfonia, violando manifestamente un principio
irrinunciabile del separatismo: quello di rispettare ugualmente ogni religione,
astenendosi dal privilegiarne alcuna[49].
Lo Stato abbandona il principio di laicità e abbraccia il
confessionismo; al tempo stesso emana una legislazione che ignora i principi
del separatismo e si ispira al modello giurisdizionalista.
Si
ritorna così alla sinfonia, forma
ideale del rapporto Chiesa-Stato nella tradizione ortodossa, per usare le
parole del documento conciliare Fondamenti
della concezione sociale[50]
e si ricostituisce l’antico legame tra Nazione e ortodossia. Non è
casuale che in un simile sistema la presenza dei missionari non ortodossi sia
considerata pericolosa ai fini della sicurezza nazionale. Infatti nella Concezione della sicurezza nazionale della
Federazione Russa[51],
si indica, al punto III, come minaccia alla sicurezza nazionale e agli
interessi della Federazione Russa «l'espansione economica, demografica e
religioso-culturale degli Stati limitrofi al territorio russo» e si
conferma al punto IV che la tutela della sicurezza nazionale comprende la
difesa «dell'eredità culturale, morale, spirituale e delle
tradizioni storiche» e anche «la contrapposizione (protivodejstvie) all'influsso negativo
delle organizzazioni religiose e dei missionari stranieri», concetto,
quest'ultimo, che è ribadito alla lettera nel punto 6 della Dottrina della sicurezza informativa della
Federazione Russa, approvata dal Putin il 9 Settembre 2000[52].
Simili
asserzioni sono estremamente pericolose, in quanto contraddicono diversi
principi costituzionali e, in particolare, rinnegano il diritto «di avere
e di diffondere convinzioni religiose e altre e di agire in conformità
con esse» (art. 28): a mio avviso, infatti, questo precetto
costituzionale enuncia un vero e proprio diritto soggettivo di ciascuno (každyj), e quindi non solo dei cittadini, a svolgere attività missionaria
nella Federazione Russa.
I Fondamenti della concezione
sociale della Chiesa Ortodossa Russa, approvati dal Concilio dei vescovi[53]
tenutosi a Mosca nei giorni 13-16 Agosto 2000 [54],
al punto 4 del capitolo terzo (La forma
ideale del rapporto tra Chiesa e Stato nella tradizione ortodossa), ricordano
la Dichiarazione del Concilio locale del 1917-1918, in cui si paragona
«la pretesa della separazione tra Chiesa e Stato»
all’auspicio che «il sole non splenda e il fuoco non
riscaldi», affermando in buona sostanza che l’idea di separazione
è del tutto innaturale, e sottolineano che “la Chiesa Ortodossa
Russa, facendo parte dell’unica Chiesa di Cristo universale, dovrà
avere uno status giuridico e pubblico
superiore a quello delle altre Confessioni religiose dello Stato russo. Tale
sovreminenza le è propria in quanto essa è la
“realtà sacra suprema” per la stragrande maggioranza della
popolazione oltre che una forza storica significativa nella creazione dello
Stato russo».
I Fondamenti affrontano
il tema della libertà di coscienza al punto 6 del capitolo terzo, in cui
si afferma: «La comparsa del principio della libertà di coscienza
è la testimonianza di come, nel mondo contemporaneo, la religione da
“fatto pubblico” si trasformi in “fatto privato” dell’individuo.
Preso a sé, questo processo testimonia la disgregazione del sistema dei
valori spirituali e il venir meno dell’aspirazione alla salvezza nella
maggior parte delle persone che affermano il principio della libertà di
coscienza. Se inizialmente lo Stato è sorto come strumento di ratifica
della legge divina nella società, la libertà di coscienza
trasforma definitivamente lo Stato in una istituzione esclusivamente terrena,
che non ha obblighi religiosi di alcun tipo».
Il documento sostiene, altresì, nel medesimo punto 6, che la
Chiesa «ha anche il diritto di aspettarsi che lo Stato, nello stabilire i
suoi rapporti con le associazioni religiose, tenga in considerazione la
consistenza numerica dei loro componenti, il loro ruolo nella formazione della
fisionomia storica, culturale e spirituale del popolo e la loro posizione
civile». Con queste parole i Fondamenti ribadiscono
l’affermazione contenuta nel Preambolo della legge federale circa il
ruolo centrale svolto dalla Chiesa ortodossa nella storia della Russia.
In sostanza, oggi l’aspirazione della Chiesa Ortodossa Russa
è quella di ritornare alla situazione anteriore al sovvertimento del
1917 [55],
quando valeva il principio: «L'ortodossia è riconosciuta come la
prima tra le diverse religioni professate in Russia»; e:
«Conseguentemente la fede ortodossa gode di una priorità (preimuščestvom) in tutti gli atti della vita statale nei quali lo Stato si
rivolge alla religione e nelle cerimonie pubbliche religiose».
Oggi
la Chiesa Ortodossa Russa rivendica il suo antico ruolo; parimenti i governanti
russi sembrano intenzionati a rinnovare il rapporto sinfonico con la Chiesa e
stipulare di fatto con il Patriarcato di Mosca quel contratto a prestazioni
corrispettive che è tipico del giurisdizionalismo: da un lato la
legittimazione della sovranità dello Stato e dall’altro la
concessione di una posizione privilegiata alla Chiesa. Mutatis mutandis
lo Stato ritorna a essere un brachium saeculare e la Chiesa un instrumentum
regni.
In
questo contesto si inserisce il principio del territorio canonico, in base al
quale si stabilisce uno spazio entro cui le sole religioni tradizionali sono
legittimate ad agire, limitando l’attività delle altre ai nuclei
di popolazione che etnicamente ad esse appartengono, vietando ogni
attività di apostolato, il che significa rinnegare platealmente il
principio della libertà religiosa solennemente sancito dalla
Costituzione all’art. 28.
Il problema è affrontato nei Princìpi fondamentali dei rapporti della Chiesa Ortodossa Russa
con i cristiani non ortodossi[56],
approvati dal Concilio dei vescovi dell’Agosto 2000, che dedicano il
punto 6 al tema «Relazioni della Chiesa Ortodossa Russa con i cristiani
non ortodossi nel suo territorio canonico»:
6.1 «I rapporti
della Chiesa Ortodossa Russa con le comunità cristiane non ortodosse nei
paesi della CSI e del Baltico devono svolgersi in uno spirito di collaborazione
fraterna della Chiesa ortodossa con le altre confessioni tradizionali, al fine
di coordinare l’attività nella vita sociale, di difendere
congiuntamente i valori morali cristiani, di servire la concordia sociale e di
porre fine al proselitismo nel territorio canonico della Chiesa Ortodossa Russa».
6.2 «La Chiesa Ortodossa Russa afferma che la missione delle
confessioni tradizionali è possibile solo nelle condizioni in cui essa
si attua senza proselitismo e non per mezzo della “sottrazione” dei
credenti[57],
soprattutto con l’utilizzo di beni materiali […]».
6.3 Infine la Chiesa ortodossa riconosce «ai cristiani non
ortodossi il diritto alla testimonianza e all’educazione religiosa
nell’ambito dei gruppi di popolazione che a essi tradizionalmente
appartengono […]».
Si deve rilevare che il Patriarcato di Mosca considera come suo
territorio canonico non già la Russia propriamente detta, bensì
tutte le terre un tempo incorporate nell’Unione Sovietica[58]
e segnatamente gli Stati del Baltico[59].
In tal senso il patriarca si pone anche come etnarca (nel senso
etimologico del termine), a protezione degli ortodossi di tutte le etnie con
giurisdizione non solo sulle loro terre di origine, ma pure su quelle in cui,
volenti o nolenti, sono stati forzatamente allocati. Così facendo, il
patriarca-etnarca rivendica uno ius perpetuum et exclusivum sulle
coscienze dei cittadini, pretesa che non trova fondamento né, tanto
meno, riconoscimento nelle leggi e nella Costituzione.
Nell’ambito di questa nuova sinfonia la distinzione tra gli
ordini spirituale e temporale si va affievolendo: invece di un regime di
separazione che si pone come obiettivo la pacifica coesistenza e convivenza dei
due ordini si dà vita a una collaborazione privilegiata tra
l’ortodossia e il pubblico potere, in cui la prima auspica apertis
verbis l’aiuto e il sostegno del secondo, e un ritorno al
confessionismo in cui sia garantita alla Chiesa nazionale una posizione di
primato e di predominio[60].
Vero è che questo sistema di unione sinfonica tra Sacerdotium e Imperium è fortemente radicato nella mentalità e
nelle tradizione della Russia. V.V. Zen’kovskij, filosofo e teologo,
nella sua Storia della filosofia russa, scritta alla metà del
secolo scorso, coglie con molta chiarezza l’essenza del concetto di
sinfonia. Egli scrive: «Il tema teocratico del cristianesimo si sviluppa
in Russia non nel senso di un primato del potere spirituale su quello
temporale, come è avvenuto in Occidente, ma nella direzione di una
appropriazione della missione ecclesiastica da parte del potere statale. Non si
è trattato di un movimento nella direzione del cesaropapismo: la Chiesa
stessa è andata incontro allo Stato al fine di introdurre in esso la
grazia della consacrazione. Il potere statale è lo strumento attraverso
il quale la Provvidenza Divina entra nella storia: in questo c’è
tutto il “segreto” del potere, il suo legame con la sfera mistica.
Ma per questo, appunto, la coscienza ecclesiale, sviluppando l’idea
teocratica del cristianesimo, cerca di trovare le vie per la consacrazione del
potere. Il potere deve prendere su di sé compiti ecclesiastici, e per
questo proprio il potere ecclesiastico è impegnato a costruire una
ideologia nazionale. Il potere successivamente adotta questa ideologia creata
dalla Chiesa e fa di essa il suo credo ufficiale, ma tutta questa ideologia
è ecclesiastica anche per il suo contenuto»[61].
Lo stretto rapporto di unione tra Sacerdotium e Imperium
è colto anche da F. Dostoevskij, il quale fa dire a Ivan Karamazov, nel
dialogo con padre Paisij: «qualsiasi Stato terreno dovrebbe finire col
risolversi in Chiesa senza residui, e non sussistere in nessun’altra
forma che come Chiesa, dopo aver
rigettato ogni specie di fini suoi propri, inconciliabili con quelli di
Chiesa». E padre Paisij, a sua volta, afferma: «Non è la
Chiesa che si tramuta in Stato, intendetelo bene. Questo è vero di Roma e del suo
miraggio. È la terza tentazione del diavolo, questa! Al contrario, anzi:
lo Stato si tramuta in Chiesa, s’innalza al grado di Chiesa, e divien
Chiesa su tutta la terra, cosa ch’è tutto l’opposto sia
dell’ultramontanismo, sia di Roma, sia dell’interpretazione vostra,
ed è semplicemente la sublime vocazione della Chiesa ortodossa in questo
mondo. Dall’Oriente il mondo intero sarà illuminato»[62].
Anche padre Sergij Bulgakov afferma a proposto della Chiesa nel
periodo sinodale che «lo Stato considerava di dover essere interiormente
diretto dalla legge della Chiesa, mentre questa si considerava tenuta
all’obbedienza allo Stato. Non si trattava di un cesaropapismo in
virtù del quale l’imperatore sarebbe stato il capo della Chiesa.
Il cesaropapismo non è mai stato altro che un abuso e non è mai
stato riconosciuto né dogmaticamente né canonicamente».
Bulgakov afferma altresì che la Chiesa Ortodossa Russa «ha sempre
voluto esercitare la più profonda influenza possibile sul potere dello
Stato, ma dall’interno e non dall’esterno. La teoria secondo la
quale il papa […] esercita un potere sovrano sullo Stato è sempre
rimasta estranea all’Ortodossia»[63].
Il vero problema della Chiesa Ortodossa Russa di oggi non è
tanto di rinunciare alla tentazione, che non le appartiene, di prevalere sullo
Stato, quanto soprattutto a quella di servirsi dell’Imperium per diffondere il proprio messaggio di salvezza, favorendo
la clericalizzazione dello Stato e istituendo con esso un rapporto esclusivo di
osmosi, limitando, di conseguenza, la libertà di coscienza dei cittadini
appartenenti ad altre Chiese o denominazioni religiose[64].
[I contributi della
sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei
promotori e del Comitato scientifico del Colloquio internazionale,
d’intesa con la direzione di Diritto
@ Storia].
[Colloquio
internazionale La laicità nella
costruzione dell’Europa. Dualità del potere e neutralità
religiosa, svoltosi in Bari il 4-5 novembre 2010 per iniziativa della
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari
“Aldo Moro”, del Centre d’études internationales sur
la romanité Université de La Rochelle e dell’Unità
di ricerca “Giorgio La Pira” CNR – Università di Roma
“La Sapienza”]
[1] I cardini di questa dottrina sono fissati dai
Santi Basilio il Grande, Gregorio di Nazianzo (Il Teologo, Bogoslov, nella tradizione russa), Leone Magno, Efrem il Siro,
Giovanni Damasceno, Isidoro Pelusiota, Giovanni Crisostomo ed altri ancora, tra
i quali Agostino e Ambrogio. Il passo citato recita: «Maxima inter homines Dei dona a superna
benignitate data sunt sacerdotium et imperium, quorum illud quidem rebus
divinis inservit, hoc vero humanas res regit earumque curam gerit: quorum
utrumque ab uno eodemque principio proficiscitur et humanam vitam exornat.
Quare nihil imperatoribus aeque fuerit atque sacerdotum honestas; si quidem hi
etiam pro illis ipsis semper Deo supplicant. Nam si alterum omni ex parte integrum est et fiducia Dei praeditum,
alterum recte et decenter rempublicam sibi traditam exornat, bonus quidam
concentus existet, qui quicquid utile est humano generi praebeat».
Sull’argomento la bibliografia è assai vasta. Mi limito a
ricordare: C.G. Pitsakis, Empire
et église. Le modèle de la Nouvelle Rome: la
question des ordres juridiques, in Diritto e
religione. Da Roma a
Costantinopoli a Mosca. Rendiconto dell’XI seminario «Da Roma alla
Terza Roma»,
Campidoglio 21 Aprile 1991, Roma 1995, 107-123; N.V. Sinicyna, Tretij Rim. Istoki i evoljucija russkoj
srednevekovoj koncepcii XV – XVI vv., Indrik, Moskva 1988, 41-45 e
letteratura citata; N. Sinicyna, Simfonija
svjaščenstva
i Carstva, in
«Istoričeskij
Vestnik», 2000, N° 9-10; A. Nikolin,
Cerkov’ i gosudarstvo. Istorija pravovych otnošenij, izd.
Sretenskogo monastyrja, Moskva 1997, 7 e ss.; I.N. Andruškevič, Doktrina sv. Imperatora Justiniana
Velikogo o dobroj simfonii meždu svjaščenstvom i gosudarstvom,
in «Pravoslavnaja Rus’», 1995, N° 4.
[2] Cfr. C.G. Pitsakis, Dalla Nuova Roma al
Commonwealth bizantino: il modello politico–religioso di Costantinopoli e
la sua espansione oltre i confini dell’Impero, in AA.VV., L’ortodossia
nella nuova Europa. Dinamiche storiche e prospettive, a cura di Andrea
Pacini, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2003, 5-6.
[3] Il Concilio dei Cento Capitoli emana
disposizioni in materia ecclesiastica, regolamenta
la posizione della Chiesa verso lo Stato e la società, proclama nuovi
santi, fissa i canoni per la pittura delle icone sulla base dei criteri seguiti
dal grande monaco–iconografo Andrej Rublëv e adotta riforme di
carattere sociale a sostentamento dei poveri e degli inabili. Tra i precetti
che riguardano la Chiesa vi è il divieto di acquistare nuove terre senza
l’autorizzazione dello zar, norma che sarà, peraltro, disattesa.
[4] Sull’argomento è fondamentale
il lavoro di I. Žužek, Kormčaja
kniga. Studies on the Chief Code of Russian Canon Law, Pontificium
Institutum Orientalium Studiorum, Roma 1964; altresì: Makarij (al secolo Michail
Petrovič Bulgakov, 1816-1882, metropolita di Mosca e Kolomna), Istorija Russkoj Cerkvi, izd.
Spaso-Preobraženskij Valaamskij Monastyr’, Moskva 1996 (reprint), tom IV, čast’ 2, 80 e ss.
[5] Lo zemskij
sobor è anche chiamato, Concilio
di tutta la terra (Sobor vseja zemli).
Il rito del bacio della croce da parte di tutti i partecipanti rende vincolanti
le decisioni da esso adottate. Nel XVI secolo viene convocato soltanto quattro
volte (1550, 1556, 1584, 1598). Il Sobor «non è una rappresentanza
popolare, ma un allargamento del potere centrale […] Nei casi di particolare
importanza si introduceva un elemento per origine non governativo, ma sociale,
peraltro con finalità di governo». In sostanza, esso è
«una duma dei bojari, ossia un governo con la partecipazione di
rappresentanti delle classi superiori della terra e della
società», così V.O. KLJUČEVSKIJ, Kurs russkoj istorii, in http://www.magister.msk.ru/library/history/history1.htm
, lekcija XL. Nel successivo secolo,
tuttavia, lo zemskij sobor diviene
una vera e propria assemblea rappresentativa che fa da contrappeso alla Duma,
esaminando gli stessi problemi. Durante il regno di Michail Fëdorovič
sarà convocato ben dieci volte, ivi, lekcija
XLIV.
[6] Così nel 1551, 1580 e 1584, cfr. Rossijskoe
zakonodatel’stvo X - XX vekov, tom 3, Akty zemskich soborov, a
cura di A.G. Man’kov, Juridičeskaja Literatura, Moskva 1985, 26 ss.
[7] In particolare ciò vale per
l’elezione da parte dello Zemskij Sobor dello zar, quando dopo la
morte di Ivan il Terribile la monarchia diviene elettiva (fino al 1613); anche
successivamente, quando viene ripreso il principio della successione ereditaria
con lo zar Michail Fëdorovič Romanov, l’approvazione dello Zemskij
Sobor è un requisito essenziale: lo zar Michail, infatti, è
eletto «per volontà di Dio e con la preghiera di tutto il Santo
Concilio, tutta l’assemblea dello zar (la Duma dei bojari) e tutto
l’esercito, e dalla moltitudine del popolo di ogni rango e da tutti i
cristiani ortodossi» Cfr. N.V. SINICYNA, L’Impero della Terza Roma, in L’ortodossia della nuova Europa. Dinamiche storiche e prospettive,
a cura di A. Pacini, op. cit.,
101-102. Giustamente la Sinicyna afferma: «I santi concili erano
più antichi degli Zemskij Sobor, che avevano preso dai primi il
nome e probabilmente anche alcuni aspetti organizzativi e procedurali. Ma
poiché la frontiera tra sfera religiosa e sfera sociale non era netta,
le competenze delle assemblee religiose e di quelle secolari non erano definite
con precisione: ciò spiega le frequenti sovrapposizioni», cfr.
ivi, 101.
[8] Cfr. I.N. ANDRUŠKEVIČ, in:
AA:VV., Svjataja Rus’,
Bol’šaja Ēnciklopedija Russkogo Naroda. Russkoe Gosudarstvo,
Moskva 2002, volume curato dalla Editrice ortodossa Ēnciklopedija Russkoj
Civilizacii, 742 ss.
[10] Secondo Fasmer, soglasnyj corrisponde al latino consonans
e al greco τά σύμφωνα (op. cit., tom 3, 706). Soglasie è il termine adottato
dallo Stoglav e dalla Kormčaja
Kniga nell’edizione a stampa del 1653. L’edizione paleoslava
adotta invece il termine di s”veščanie.
[11] Nel 1448 il granduca Vasilij II, in un
Concilio dei vescovi sottoposti alla sua influenza, al quale partecipano anche
il clero e la nobiltà, nomina Iona, vescovo di Rjazan’, che a suo
tempo era stato rifiutato dal patriarca di Costantinopoli, alla cattedra di
metropolita di Kyïv e di tutta la Rus’, senza preventiva intesa e
approvazione del patriarca di Costantinopoli, affermando in tal modo de
facto l’autocefalia della Chiesa di Rus’.
[13] Cfr. A. PALMIERI, La Chiesa russa: le sue odierne condizioni e il suo riformismo
dottrinale, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1908, 60.
[14] Giustamente IL BRJANČANINOV afferma
che «non la lingua o i caratteri fisici formarono la nazione russa, ma
l’ortodossia. Gli stranieri, Turchi o Mongoli, erano considerati
stranieri finché professavano un’altra fede; ma dal momento in cui
abbracciavano l’ortodossia diventavano Russi. Non si era dunque stranieri
etnograficamente, ma dal punto di vista religioso», Cfr. N.
BRIAN-CHANINOV, Storia di Russia, Garzanti, Milano 1940, 97-98. Anche A.
LEROY-BEAULIEU, afferma che «Déja la foi était le garant ou
la marque de la nationalité. Le Finnois ou le Finno-Turc converti
était regardé comme Russe. Dans la cuve baptesimale se
combinaient les éléments d’où devait sortir le
peuple nouveau. C’est l’orthodoxie, non moins que
l’autocratie, qui a fondé l’unité russe; elle a
créé et conservé la conscience nationale», cfr. L’empire de tsars et les russes, tome
III, La religion, Préface de
Georges Nivat, Editions L’Age d’Homme, Lausanne 1988, op. cit., 53.
[15] Così M. GARZANITI, «Sacerdotium»
e «Imperium» a Mosca fra il XV e il XVI sec., Tipografia
Poliglotta della Pontificia Università Gregoriana, Roma 1990, 5 e 6. Sul
legame tra Chiesa e Impero cfr. D. OBOLENSKY, Il commonwealth bizantino, Laterza, Bari 1974, 376-377.
[16] «Le
spirituel et le temporel étaient plus ou moins confondus, les ordres du
prince s’imposaient comme les ordres de Dieu, et les prescriptions de
l’Église, érigée en institution d’État,
se renforçaient à leur tour de toute l’autorité du
prince», così A. Leroy-Beaulieu, L’empire de tsars et les russes,
tome III, la religion, op. cit., 82.
[17] Ivan Peresvetov è particolarmente
ostile ai bojari, poiché essi limitano il potere dello zar, il quale non
deve trovare ostacoli alla sua azione; egli scrive: «Se governa uno zar
mite e umano, il suo Impero si impoverisce, la sua gloria sfuma. Se invece lo
zar è rigoroso e saggio, il suo Impero s’ingrandisce e il suo nome
diverrà famoso in tutti i paesi. Uno Stato senza severità
è come un cavallo senza redini», cfr. V. Gitermann, Storia della Russia, La Nuova 1talia, Firenze 1973, in 2 voll., vol. 1, 165.
[18] S. Graciotti,
La Chiesa russa tra potere e
povertà: sulla scia del contrasto tra Nil Sorskij e Iosif Volockij,
in AA.VV., Il battesimo delle terre russe. Bilancio di un millennio, a cura di
S. Graciotti, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, 266 e ss. Cfr.
altresì D. Tschiževskij,
Storia dello spirito russo, Sansoni,
Firenze 1965, 125 e ss., A.M. Ammann,
Storia della Chiesa russa e dei paesi limitrofi, op. cit., 148 e ss.
[19] Il rifiuto di concepire Mosca come la
nuova Gerusalemme, unitamente alla revisione dei testi liturgici da lui
elaborata, costituirà il motivo della sua incarcerazione che
durerà ben ventisei anni. Su incarico del gran principe Vasilij III, il
Concilio di Mosca del 1525, presieduto dal metropolita Daniil, condanna Maksim
Grek per eresia, sentenza confermata dal successivo Concilio del 1531. Maksim
sconta la pena dapprima nel monastero di Volokolamsk, maltrattato dai monaci
aizzati contro di lui, e poi in quello di Otroč, nei pressi di Tver’.
Sarà graziato soltanto nel 1551 e trascorrerà gli ultimi anni di
vita al monastero della Trinità di san Sergio.
[21] Così S. GRACIOTTI, La Chiesa russa tra potere e povertà:
sulla scia del contrasto tra Nil Sorskij e Iosif Volockij, op. cit., 256.
[22] Cfr. Ivan
il Terribile, Un buon governo nel regno. Carteggio con Andrej
Kurbskij, Adelphi, Milano 2000. Il testo è tradotto e curato da Pia Pera, alla quale si deve pure
l’ottimo saggio introduttivo. Ivan muove dal postulato che il suo potere
illimitato gli deriva direttamente da Dio: «Noi lodiamo dunque Dio per la
grazia copiosa a noi accordata, il quale finora non ha permesso che la nostra
mano destra si imporporasse del sangue della nostra stessa stirpe,
giacché noi non abbiamo aspirato all’Impero di nessuno, ma con
l’assenso divino in forza della benedizione dei nostri avi e genitori,
nati per il regno, siamo stati educati e cresciuti e siamo ascesi al trono per
comando divino, e abbiamo preso ciò che ci appartiene con la benedizione
dei nostri avi e genitori, e l’altrui non abbiamo cercato» (ivi,
40), pertanto «chi si oppone al potere si oppone a Dio» (ivi, 43) e
afferma la superiorità dell’Imperium sul Sacerdotium: «Ponete a mente a
quando Dio condusse Israele fuori dalla schiavitù, mise forse un
sacerdote o molti reggitori a comandare gli uomini? No, come capo su di loro,
come zar, lui pose solo Mosè; e non gli ordinò di fare il sacerdote,
bensì lo ordinò a suo fratello Aronne, proibendogli di occuparsi
del governo degli uomini; e quando Aronne si occupò di questioni
terrene, allora allontanò gli uomini dal Signore. Vedi tu stesso come
non si addica ai sacerdoti occuparsi di questioni regali» (ivi, 58-598).
Per maggior chiarezza Ivan afferma «Nessun luogo infatti potrai trovare
dove non vada in rovina un regno lasciato in mano ai pope» (ivi, 57).
Afferma ancora Ivan: «Un conto è il potere sacerdotale, un’altra
la potestà dello zar […] in una comunità monastica,
benché si sia rinunciato al mondo, si hanno comunque regole e
responsabilità, e anche punizioni, perché a non stare attenti la
comunità si disgrega; l’autorità sacerdotale, in ragione
del suo potere benedetto, richiede un forte controllo della parola e, per serie
motivazioni, anche dell’ira, della ricerca della gloria e degli onori,
come pure degli ornamenti e di posizioni di privilegio, cose che ai monaci non
si addicono; invece al governo dello zar, a motivo della follia degli uomini
perfidi e malvagi, si addicono il terrore, la punizione, la repressione e il
castigo supremo» (ivi, 64-65). E ancora sul fatto se lo zar possa essere
ammonito da un rappresentante del potere spirituale: «E sarebbe forse
questo confacente a uno zar: a chi gli percuota una guancia, porgere
l’altra? Tale è infatti il comandamento supremo. E come governerai
l’Impero se sarai tu stesso disonorato? Ma ciò invece si
confà ai sacerdoti. Intendi giustamente, pertanto, le differenze tra
Sacerdozio e Impero» (ivi, 65). Lo zar, voluto da Dio, è strumento
di salvezza delle anime; afferma, infatti, Ivan «io con ogni zelo mi
adopero per indirizzare gli uomini verso la verità e la luce,
affinché conoscano l’unico vero Dio, glorificato nella
Trinità, e il sovrano dato loro da Dio» (ivi, 88). Lo zar diviene,
dunque, manifestazione di Dio sulla terra. Sui rapporti tra Stato e Chiesa al
tempo di Ivan si veda: V.V. Šapošnik,
Cerkovno-gosudarstvennye otnošenija v Rossii v 30-80-e gody XVI veka,
Spb GU, SPb 2006. Il principe Kurbskij è molto critico della
disponibilità dei vescovi ad accettare la volontà del sovrano e
attribuisce ad essi il confacente epiteto di potakovniki (indulgenti).
[23] Cfr. S. GRACIOTTI, La Chiesa russa tra potere e povertà: sulla scia del contrasto
tra Nil Sorskij e Iosif Volockij, op.
cit., 271.
[24] Ricorda il Palmieri, citando autorevoli
storici russi, che l’idea del Patriarcato nasce nella mente di Fëdor
I che la espone ai bojari e non già al Concilio dei vescovi. La
partecipazione del clero a queste discussioni preliminari viene giudicata del
tutto superflua (soveršenno
izlišnim) e che «il sinodo convocato quando tutte le
disposizioni opportune erano state già prese, si limitò ad
esprimere la sua piena adesione ai voleri dello tzar. In tal modo la fondazione
del Patriarcato fu il prodotto esclusivo dell’influsso del potere
laico»; riprendendo una affermazione di I.V. Preobraženskij il
Palmieri ricorda, inoltre, che l’esistenza del Patriarcato «non era
richiesta dalle condizioni essenziali della vita del cristianesimo russo; il
Patriarcato vi apparisce solamente come una decorazione esterna (ukrašenie cerkvi vnešnee).
Fondato, come si è detto, esclusivamente dal potere civile e per motivi
meramente politici, nel corso di un secolo non piantò salde radici sul
suolo russo, non ebbe col popolo un legame vivente ed organico, nacque per un
capriccio del potere civile, e per un capriccio di questo cessò di
vivere», cfr. A. PALMIERI, La
Chiesa russa: le sue odierne condizioni e il suo riformismo dottrinale, op. cit., 64-65.
[25] Filaret (Fëdor Nikitič)
appartiene alla famiglia dei Romanov che è perseguitata dallo zar Boris
Godunov: Fëdor è costretto a separarsi dalla moglie e a ritirarsi
in un monastero dove prende il nome di Filaret; è poi nominato
metropolita di Rostov ed eletto patriarca.
[26] Basterà ricordare che un atto
conciliare ispirato dal Nikon, quando è ancora metropolita di Novgorod,
delibera di traslare nella capitale i resti di tre grandi esponenti della
gerarchia ortodossa per dare loro degna sepoltura nella cattedrale
dell’Assunzione al Cremlino di Mosca. Si tratta di figure che si sono
distinte per avere rifiutato di accettare la subordinazione al potere civile e
la tirannia dei sovrani e che si sono sacrificate per rimanere fedeli alla
Chiesa e alla Nazione. Essi sono: il metropolita di Mosca Filipp, ucciso il 23
dicembre 1569 dietro ordine dello zar; il patriarca Iov, il quale, per essersi
opposto nel periodo dei Torbidi al primo falso Dimitrij, viene privato della
sua dignità e relegato nel monastero Uspenskij della sua città
natale di Starica, nella regione di Tver’, dove muore il 19 giugno 1607;
e il patriarca Germogen, rinchiuso dai polacchi nel monastero dei Miracoli a
Mosca dove morirà di fame il 20 Marzo 1611.
[27] Cfr. A.V. Soloviev (Solov’ëv), L’influence du droit byzantin dans les pays orthodoxes, in Relazioni del X Congresso internazionale,
volume I, Metodologia. Problemi generali.
Scienze ausiliarie della storia, Biblioteca storica Sansoni. Nuova serie, G.C. Sansoni Editore,
Firenze 1955, 625.
[28] A. PALMIERI, La Chiesa russa: le sue odierne condizioni e il suo riformismo
dottrinale, op. cit., 299 e fonte
ivi citata.
[29] L’omofor (in greco
ώμοφόριον) è una fascia o
stola di stoffa ricamata indossata dal patriarca e dal vescovo durante la
liturgia pontificale: simboleggia la pecora smarrita raccolta dal Buon Pastore.
[30] Cfr. A.V. KARTAŠËV, Očerki
po istorii russkoj cerkvi, in 2 voll., reprint Terra, Moskva 1992, tom 1,
321. «Le riforme di Pietro e dei suoi collaboratori secolarizzarono in
larga misura la Russia teocratica – è così che può
intendersi il contrasto della Russia pietroburghese di fronte a quella
moscovita. La cultura e la concezione del mondo moscovita era del tutto
clericale e chiesastica: Pietro invece faceva dello stato l’organo decisivo
della politica e delle cultura», così T.G. MASARYK, La Russia e
l’Europa. Studi sulle correnti spirituali in Russia, a cura di E. Lo
Gatto, 2 voll., Massimiliano Boni Editore, Bologna 1971, vol. 1, 56-57.
[31] Cfr. il Manifesto del 16 Aprile 1702 Sull’invito degli stranieri in Russia
con la promessa di libertà di professione religiosa, in cui si
afferma: «E poiché qui nella nostra capitale è stato
introdotto il libero esercizio del culto (svobodnogo
otpravlenija bogosluženija) per tutte le altre sette cristiane,
ancorché non concordanti con la nostra Chiesa; così con il
presente atto esso è nuovamente ribadito di modo che noi, in base al
potere conferitoci dall’Altissimo, non desideriamo forzare (prinevolivat’)
la coscienza degli uomini e volentieri concediamo che ogni cristiano sotto la
sua responsabilità si prenda cura della beatitudine della sua
anima» (art. 2). Nel Manifesto Pietro consente agli stranieri la
facoltà di costruire chiese, ma non fa alcun cenno alla libertà di
proselitismo che resta, pertanto, interdetta. Si può qui ricordare il
caso del libero pensatore Dmitrij Evdokimovič Tveritinov (Derjuškin),
vicino al pensiero calvinista, negatore dell’autorità della
Chiesa, del culto delle icone e dei santi, che diffonde le sue idee
all’inizio del Settecento nella nemeckaja
sloboda (quartiere tedesco) di Mosca e raccoglie un buon numero di seguaci.
Tveritinov interpreta il Manifesto di Pietro come legittimazione a svolgere
attività di proselitismo: verrà condannato nel 1713 alla tortura
e al carcere e sarà liberato soltanto nel 1718 per intercessione di
Pietro il Grande dopo aver ripudiato le sue idee. A seguito del Manifesto
rimane, altresì, vietata la sepoltura degli eterodossi nei cimiteri
ortodossi. Cfr. Manifesto N° 1910, O
vyzove inostrancev v Rossiju s obeščaniem im svobody veroispovedanija,
in Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, sobranie 1-oe, tom
IV (1700-1712), 192-195. L’edizione della Raccolta completa delle leggi dell’Impero russo da me
consultata è quella pubblicata dalla Tipografija II Otdelenija
Sobstvennoj Ego Imp. Vel-a Kanceljarii. L’opera è divisa in tre
parti: la prima, 1-oe sobranie, dal 1649 al 1825, raccoglie le disposizioni
normative da 1 a 30600 (tom I-XLV), SPb 1830; la seconda, 2-oe sobranie, dal
1825 al 1881 (tom I-LV), comprende gli atti normativi da 1 a 61928, SPb dal
1830 al 1884; e la terza, 3-e sobranie, contiene le leggi da 1 a 40848, emanate
negli anni dal 1881 al 1913 (tom. I- XXXIII), SPb-Petrograd dal 1885 al 1916.
[32] Reglament
ili ustav Duchovnoj Kollegii, in Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj
Imperii, op. cit.,
1-oe sobr., tom VI (1720-1722), N° 3718, 314-346. Cfr. altresì, V.A.
Fëdorov, Russkaja
Pravoslavnaja Cerkov’ i gosudarstvo. Sinodal’nyj period 1700-1917,
Russkaja Panorama, Moskva 2003,
310 e ss. Per una rassegna delle disposizioni emesse da Pietro il Grande in
materia ecclesiastica cfr. altresì Vzaimootnošenija gosudarstva
i cerkvi v 18 veke po uloženijam, ukazam i artikulam Petra I, in www.allpravo.ru .
[33] Il Collegio è istituito il 1°
Gennaio 1721 con un organico di 12 membri. In base al Manifesto del 25 Gennaio
1721 e al Regolamento, il Collegio è composto da 11 membri, tutti
ecclesiastici nominati dallo zar, è presieduto da Stefan Javorskij (pervenstvujuščij
člen), metropolita di Rjazan’ e Murom, assistito da due
vicepresidenti (vice-presidenty): Feodosij (Janovskij), arcivescovo di
Novgorod e Velikie Luki, e Feofan Prokopovič, vescovo di Pskov, da quattro
archimandriti in veste di consiglieri (sovetniki) e quattro assistenti (asessory),
cfr. il Regolamento in Polnoe
Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii,
op. cit., 1-oe
sobr., tom VI (1720-1722), N° 3718, 314-346.
Secondo
il Regolamento, il presidente e il vice-presidente devono essere vescovi, gli
altri membri sono scelti tra archimandriti, igumeni e protopope, purché
non siano subordinati a un vescovo membro del Sinodo che può influenzare
il loro voto. Alla morte di Javorskij nel 1722 Pietro non nomina il nuovo
presidente e la carica è abolita; Feofan Prokopovič diviene figura
di riferimento del Sinodo. Con Caterina I (1725-1727) nel 1726 il Sinodo
è diviso in due dipartimenti, uno ecclesiastico (duchovnyj) e
l’altro laico (svetskij): Il primo si compone di sei membri, tutti
vescovi; il vescovo che presiede come primus inter pares le riunioni del
Sinodo in assenza del procuratore è chiamato pervoprisustvujuščij,
letteralmente primo presente, mentre gli altri sono denominati
prisustvujuščie, ossia presenti. Primo presente è
un titolo puramente onorifico, giacché le funzioni a lui attribuite sono
le stesse di cui sono investiti gli altri membri del Sinodo: egli occupa,
infatti, il primo posto ma non ne è il presidente. Dal 1764 i vescovi
sono solo tre, affiancati da due archimandriti e da un protoierej. Con
l’imperatrice Anna Ivanovna (1730-1740) resta invariato il numero dei
membri, ma cambia la composizione del Sinodo: tre vescovi (Feofan
Prokopovič, Leonid Petrovskij di Kruticy e Pitirim di Nižnij
Novgorod), due archimandriti (Platon di Char’kiv e Ilarion del monastero
Novospasskij) e due protoierej (Ivan dell’Uspenskij Sobor e Ivan di
Blagoveščensk). Dal 1764 il Sinodo si compone di tre vescovi, due
archimandriti e un protoierej. I membri del Sinodo diventano sette con la
riforma del 1818, mentre a fine Ottocento sono esclusi dal Sinodo gli
archimandriti e negli anni successivi si stabilisce che solo i vescovi possono
esserne membri, in parte permanenti (il metropolita di San Pietroburgo, che ne
è di diritto il presidente, quelli di Mosca e di Kyïv e
l’esarca della Georgia) e in parte temporanei (vescovi diocesani), tutti
nominati dall’imperatore. Le decisioni sono prese
all’unanimità e in caso di impossibilità di accordo su una
questione, questa, su proposta dell’Ober-prokuror (cfr. infra),
può essere sottoposta all’imperatore. Cfr. A.S. Pavlov, Kurs Cerkovnogo prava,
izd. Lan’, SPb 2002, reprint dell’edizione del 1902 stampata a
Sergiev Posad, 194 e ss.; altresì V.G. Pevcov,
Lekcii po cerkovnomu pravu, Imperatorskoe Učilišče
Pravovedenija, SPb 1914, disponibile ora anche sul sito www.holytrinitymission.org/russian/pravo_pevcov.htm,
26 e ss.
[35] A proposito dell’abolizione del
Patriarcato nel Regolamento si afferma che «questa amministrazione
conciliare permanente, al pari del Sinodo o Sinedrio, è più
adeguata e più rispondente ai bisogni della Chiesa di quanto non lo sia
l’amministrazione di una singola persona, tanto più in una
monarchia del nostro tipo», cfr. B. D’Ajetti,
Il regolamento ecclesiastico di Feofan
Prokopovič. Valenza politico-dottrinale e sua dignità
linguistico-letteraria (Dal Patriarcato al Santissimo Sinodo Dirigente),
Herder Editore, Roma 1995, 76. Sul
Regolamento si veda il fondamentale lavoro di P.V. Verchovskij, Učreždenie duchovnoj kollegii i
Duchovnyj reglament, tom II, Materialy,
Sklad izdanija v knižnom magazine tov-a A.S. Suvorina, «Novoe Vremja», Rostov na Donu 1916. Si veda altresì C. Tondini de’ Quarenghi, Règlement ecclésiastique de Pierre le Grand, Librairie de
la Société bibliographique, Paris 1874. Il padre barnabita Cesare Tondini,
diplomatico vaticano, è stato un precursore dell’ecumenismo e Autore
appassionato di diversi studi, tra i quali merita ricordare: La Russia e
l'unione delle Chiese, Forzani, Roma 1895
e La
primauté́ de Saint Pierre: prouvée par les titres que lui
donne l'église russe dans sa liturgie, V. Palmé, Paris 1867. Come
ricorda il Fëdorov al clero sono attribuiti compiti statali, ad esempio
quello di dare lettura nel corso delle liturgie domenicali delle nuove
disposizioni legislative, oppure l’obbligo imposto al clero parrocchiale
di tenere i registri degli atti di stato civile e di denunciare
all’autorità i seguaci dello scisma (1722), cfr. V.A. Fëdorov, Russkaja Pravoslavnaja
Cerkov’. Sinodal’nyj period 1700-1917, op. cit., 152.
[36] Un secondo sovrano equivalente
all’autocrate o a esso superiore (čto
takovyj pravitel’ est’ to vtoroj
gosudar’, samoderžcu ravnosil’nyj, ili i bol’ši ego),
cfr. Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj
Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom VI (1720-1722), N°
3718, punto 7, 317. Il passo completo nella traduzione del D’Ajetti
recita: «E questo è estremamente importante: da
un’amministrazione conciliare la patria non può temere sedizioni e
disordini [è chiaro il riferimento alla rivolta degli strel’cy, NdA], cosa che
avviene quando a governare è un singolo amministratore ecclesiastico
indipendente. E questo perché il popolino non riesce a percepire quanto
sia differente il potere ecclesiastico dal potere autocratico: ed esso,
abbagliato dal grande onore e dalla gloria del Supremo Pastore, lo vive come un
secondo Sovrano, uguale e perfino più grande dell’autocrate stesso
e pensa che l’ordine ecclesiastico sia un altro Stato, anzi uno Stato
migliore», cfr. B. D’Ajetti,
Il regolamento ecclesiastico di Feofan
Prokopovič, op. cit., 77.
[37] Come giustamente sottolineato da A.V.
SOLOVIEV (Solov’ëv), L’influence
du droit byzantin dans les pays orthodoxes, op. cit., 627.
[38] A conferma di ciò in data 11 Maggio
1722 il neo-istituito Sinodo delibera che «una brava persona, coraggiosa
e capace di seguire l’amministrazione degli affari sinodali, deve essere
scelta tra gli ufficiali della Guardia e nominata Ober-prokuror»
del Santissimo Sinodo Governante, che è «l’occhio dello zar
(oko carevo) e il curatore degli
affari dello Stato». L’Ober-prokuror
è soggetto solamente al giudizio dell’imperatore, giacché
«questo rango è come il nostro occhio e il curatore degli affari
dello Stato» («sej čin
jako oko naše i strjapčij o delach gosudarstvennych»).
Pietro stabilisce che l’Ober-prokuror
del Santo Sinodo deve essere scelto tra gli ufficiali, cfr. ukaz N° 4001, dell’11 Maggio
1722 in Polnoe Sobranie
Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom VI
(1720-1722), 676.
[39] «A na patriaršee imja ukazov
niotkuda ne prisylalos’, Duchovnaja že Kollegija imeet
čest’, silu i vlast’ patriaršeskuju, ili edva i ne
bol’šuju čem patriaršeskuju, poneže sobor»,
cfr. A.V. Kartašëv, Očerki
po istorii Russkoj Cerkvi, op. cit., tom 2, p. 355; V.G. Pevcov, Lekcii
po cerkovnomu pravu, op. cit., p. 27.
[42] Le Leggi
fondamentali dello Stato, contenute nel primo tomo dello Svod Zakonov,
sanciscono in modo inequivocabile la posizione di privilegio assegnata alla
Chiesa Ortodossa Russa quando asseriscono: «La religione che ha il
primato ed è dominante (pervenstvujuščaja
i gospodstvujuščaja) nell’Impero Russo è la fede Cristiana
Ortodossa Cattolica Orientale» (art. 62, cfr. Capo VII (Della fede), Osnovnye Gosudarstvennye Zakony, in Svod Zakonov Rossijskoj Imperii, Svod Zakonov Rossijskoj Imperii, pod
redakciej i c primečanijami I. D. Morduchaj-Boltovskogo, sostavili N.P. Balkanov, S.S. Vojt,
V.E. Gercenberg, Russkoe
Knižnoe Tovariščestvo Dejatel’, Peč.
Grafičeskago Instituta Br. Lukševic, SPb 1912, 4 libri e 16 volumi, tom I, čast’ 1, razdel 1, 5 e ss.;
altresì in Zakonodatel’nye
akty perechodnogo vremeni: 1904-1908, Sb. Zakonov, manifestov, ukazov
Pravitel’stvujuščemu senatu, reskriptov i položenij
komiteta ministrov, otnosjaščichsja k preobrazovaniju gosudarstvennogo
stroja Rossii, s prilož. alfavitno-predmetnogo ukazat. Pod red. N.I.
Lazarevskogo, izd. Jurid. Kn.
Sklada «Pravo», SPb 1909, 548-549 (della riedizione pubblicata
dalla Gosudarstvennaja Publičnaja Istoričeskaja Biblioteka, Moskva
2010. L’art. 1 del Codice delle istituzioni e degli statuti di
direzione degli Affari ecclesiastici delle Confessioni straniere cristiane e
non cristiane (di seguito citato come Codice degli Statuti delle
Confessioni straniere) recita: «La fede che ha il primato ed è
dominante nello Stato russo è quella cristiana ortodossa cattolica di
professione orientale. Ma anche tutti i sudditi dello Stato e gli stranieri che
in esso si trovano e che non appartengono a questa Chiesa godono ciascuno e
dappertutto del libero esercizio della propria fede e del proprio servizio
liturgico», cfr. Svod učreždenij i u stavov upravlenija
duchovnych del inostrannych ispovedanij christianskich i inovernych,
inserito nell’edizione del 1857 dello Svod Zakonov, cfr. Svod
Zakonov Rossijskoj Imperii, op.
cit., tom XI, čast’ 1 (izdanie 1896 goda), 1 e ss.
L’aggettivo cattolica sta per universale: la Chiesa ortodossa
viene allora chiamata Chiesa Ortodossa Cattolica Orientale (Pravoslavno-Kafoličeskaja
Vostočnaja Cerkov’), ma altresì ortodossa (pravoslavnaja), grecorussa (grekorossijskaja), grecoorientale (grekovostočnaja); per porre fine
alla confusione generata dalle diverse denominazioni, con ukaz imperiale N°
13018 del 24 Dicembre 1839 viene denominata semplicemente ortodossa,
cfr. Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj
Imperii, op. cit., 2-oe sobr., tom XIV (1839), čast 1, 955).
Le Leggi Fondamentali ribadiscono il principio che l’imperatore deve
essere di fede ortodossa: «L’imperatore che regge il trono di tutta
la Russia non può professare alcuna altra fede al di fuori di quella
Ortodossa» (art. 63), giacché «l’imperatore, in quanto
Sovrano Cristiano, è il supremo difensore (zaščitnik) e
il custode (chranitel’) dei dogmi della fede dominante e il tutore
(bljustitel’) dell’ortodossia e di ogni decoro (blagočinija)
nella santa Chiesa. In questo senso l’imperatore nell’atto di
successione al trono del 5 Aprile 1797 è chiamato Capo della
Chiesa» (art. 64). Il legislatore fa riferimento all’imperatore
Paolo I, che nel Manifesto di incoronazione si definisce Capo della Chiesa (Glava Cerkvi) Ortodossa Russa. Il
principio è stabilito per la prima volta il 5 Aprile 1797, cfr. Zakonodatel’nye
akty perechodnogo vremeni: 1904-1908,
op. cit., 548 e Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom
XXIV, N° 17910.
[43] Testo italiano in G. CODEVILLA, Stato e
Chiesa nella Federazione Russa. La nuova normativa nella Russia postcomunista, La
Casa di Matriona, Milano 1998, 145 ss. Testo russo aggiornato in Slavjanskij
Pravovoj Centr, http://www.sclj.ru/law/rus/detail.php?print=Y&ID=1129
.
[44] «L'Assemblea Federale della
Federazione Russa,
confermando
il diritto di ciascuno alla libertà di coscienza e alla libertà
di professione religiosa e anche all'uguaglianza davanti alla legge
indipendentemente dall'atteggiamento verso la religione e dalle convinzioni;
basandosi
sul fatto che la Federazione Russa è uno Stato laico;
riconoscendo
il particolare ruolo dell'ortodossia nella storia della Russia, nella
formazione e nello sviluppo della sua spiritualità e cultura;
rispettando
il cristianesimo, l'islam, il buddismo, il giudaismo e le altre religioni che
costituiscono parte integrante dell'eredità storica dei popoli della
Russia;
considerando
importante contribuire al raggiungimento della reciproca comprensione, della
tolleranza e del rispetto nei problemi della libertà di coscienza e
della libertà di professione religiosa;
approva
la presente legge federale».
Il testo richiama
alla memoria l’art. 1 della Dichiarazione sullo Statuto giuridico della
Chiesa Ortodossa Russa adottato dal Concilio del 1917-1918, poiché, come
già ricordato, ripropone il legame tra ortodossia e Nazione, che
costituisce la base della giustificazione storico-sociale del primato
dell’ortodossia, senza peraltro riprendere la motivazione di carattere
teologico: «La Chiesa Ortodossa di Russia, che costituisce una parte
della Chiesa Una e Universale di Cristo, occupa nello Stato russo una posizione
giuridica pubblica di primato tra le altre Confessioni, che le spetta in quanto
somma cosa sacra per la grandissima maggioranza della popolazione e come
immensa forza storica che ha creato lo Stato russo».
[45] Si noti che il legislatore non fa uso
dell’aggettivo tradizionale, che è stato introdotto dalla
dottrina e dalla pubblicistica.
[46] Cfr. G. Čarodeev,
M. Jusin, in
«Izvestija», 26 Luglio 1997. Anche a parere di E. Tregubova («Kommersant
Daily», del 24 Luglio 1997) e di L. Selickaja
(«Sovetskaja Belorussija», del 24 Luglio 1997) il legislatore non
intende comprendere il cattolicesimo tra le religioni tradizionali. Della
stessa opinione sono Roman Silant’ev, segretario esecutivo del Consiglio
Interreligioso della Russia (cfr. Katoličeskoe predstavitel’stvo
v Mežreligioznom sovete ne imeet smysla, sčitajut v etoj organizacii,
in http://www.interfax-religion.ru/?act=news&div=2624,
6 Aprile 2005), e Roman Lunkin, collaboratore dell’Ēnciklopedija
religioznoj žizni Rossii (cfr. Skol’ko v Rossii pravoslavnych,
intervista a Radio Svoboda con Jakov Krotov del 25 Agosto 2005, in http://www.svobodanews.ru/Article/2005/08/25/20050825160026620.html).
Sull’argomento si vedano anche: A. Verchovskij,
Bitva za privilegii. V Parlamente prodolžajutsja diskussii o roli
cerkvi v gosudarstve, in «Nezavisimaja Gazeta. NG religija» del
18 Giugno 2003, disponibile in religion.ng.ru/printed/politic/2003-06-18/4_privileges.html.
Cfr. inoltre F. Šipkov, in www.religare.ru del 9 Gennaio 2004; O. Efremov, in Ežegodnyj doklad
gosudarstvennogo Departmenta SŠA o svobode veroispovedanija za 2004 god,
in http://usembassy.ru/bilateral/religious_2004r.php.
Il concetto è stato recentemente ribadito da Kirill in una intervista
concessa al periodico francese «Diplomatie» in cui si afferma:
«A mio avviso non c’è nulla di male e non vi è
nessuna minaccia alla libertà delle persone di altre fedi se lo Stato dichiara
pubblicamente le sue speciali relazioni con le religioni della maggioranza
della popolazione del proprio Paese. In questo caso nascono delle regole
precise e comprensibili a tutti sulle relazioni reciproche tra lo Stato e la
Chiesa che più facilmente possono sottoporsi al controllo sociale.
Riterrei che in Russia sarebbe utile stabilire simili relazioni speciali con le
quattro religioni tradizionali del nostro Paese: ortodossia, islam, giudaismo e
buddismo. Ciò permetterebbe una collaborazione tra lo Stato e le
comunità religiose in diverse sfere sociali proporzionalmente al numero
dei credenti che appartengono alle diverse religioni tradizionali». Cfr.
«Interfax» del 5 Ottobre 2005 in http://www.interfax-religion.ru/?act=print&div=1775.
Si veda anche l’intervento di Kirill alla prima seduta della Commissione
congiunta per la politica nazionale e per le relazioni dello Stato e delle
associazioni religiose presso il Consiglio della Federazione del 22 Giugno
2006, in www.mospat.ru/index.php?page=33465.
Se si verifica il numero complessivo delle comunità religiose islamiche,
buddiste ed ebraiche (4.151) si vede che esso è largamente inferiore a
quello complessivo delle comunità protestanti (5.141), secondo i dati
del Ministero della Giustizia riferiti al 1° Gennaio 2007, pubblicati in Autori Vari, Religija i
obščestvo, Rossijskaja Akademija Nauk. Institut Evropy,
čast’ II, a cura di A.A. Krasikov,
Moskva 2007, 114 e ss. Secondo i dati comunicati dal patriarca Aleksij II
all’apertura del Concilio dei vescovi in data 24 Giugno 2008 le diocesi
della Chiesa Ortodossa Russa sono complessivamente 156, i vescovi sono 196 (148
eparchiali e 48 vicari, cfr., supra, nota 866), le parrocchie sono 29.141, i monasteri sono 769
(372 maschili e 397 femminili), i sacerdoti sono 30.544. A conferma della
modesta attività sociale svolta dalla Chiesa ortodossa si può
ricordare che le scuole parrocchiali domenicali sono 11.051 e i centri
giovanili solamente 463, cfr. http://www.portal-credo.ru/site/print.php?act=news&id=63508.
[47] Cfr. artt. 206 e 207 della Seconda Sezione
(«Delle eresie e degli scismi») dell’Uloženie del 1845, Uloženie o nakazanijach ugolovnych
i ispravitel’nych del 15 Agosto 1845, testo in: Rossijskoe zakonodatel’stvo X-XX vekov, tom 6, Zakonodatel’stvo pervoj poloviny XIX
veka, a cura di O.I. Čistjakov, Juridičeskaja Literatura, Moskva
1988, 170 ss.
[48] Per usare l’espressione dello Svod
učreždenij i ustavov upravlenija duchovnych del inostrannych
ispovedanij christianskich i inovernych, cit., čast’ 1-aja, vvedenie, art. 3, in Svod
Zakonov Rossijskoj Imperii, op.
cit., tom XI, čast 1, 1.
[49] Impeccabile sotto questo profilo è
il disposto dell’art. 10 della precedente legge del 1990:
«Uguaglianza delle associazioni religiose davanti alla legge –
Tutte le religioni e le associazioni religiose sono uguali davanti alla legge
dello Stato. Nessuna religione o associazione religiosa gode di alcun
privilegio e non può essere sottoposta ad alcuna limitazione rispetto
alle altre. Lo Stato nelle questioni della libertà delle professioni
religiose e delle convinzioni è neutrale, cioè non parteggia per
alcuna religione o concezione del mondo».
[51] Koncepcija nacional’noj
bezopasnosti Rossijskoj Federacii. Il documento è stato approvato
con ukaz del presidente della
Federazione Russa N° 1300 in data 17 Dicembre 1997, successivamente
modificato con ukaz del presidente
della Federazione Russa N° 24 in data 10 Gennaio 2000, testo in: http://www.nationalsecurity.ru/library/00002/index.htm.
[52] Doktrina
informacionnoj bezopasnosti Rossijskoj Federacii, testo in http://www.credogarant.ru/ .
Altresì in: A.V.
PČELINCEV, V.V. RJACHOVSKIJ, Religioznye
ob”edinenija. Svoboda sovesti i veroispovedanija. Religiovedčeskaja
ekspertiza, izd. Jurisprudencija,
Moskva 2006, 306 e ss. Si tratta di asserzioni riprese con una certa frequenza
da esponenti delle istituzioni; recentemente A. Nikolaev, segretario della Commissione
per i problemi delle associazioni religiose della Repubblica di Sacha
(Jakutija) ha collegato il diffondersi delle Chiese non ortodosse con «il
desiderio di una serie di paesi stranieri, in primo luogo gli USA, di
rafforzare la propria posizione in Russia e di indebolire il nostro paese, di
dividere la sua popolazione sulla base religiosa mediante la creazione di una quinta
colonna delle organizzazioni religiose non tradizionali, protestanti,
cattolici e nuovi movimenti religiosi». Cfr. «Novosti
Sova-centra» del 19 Gennaio 2007 in http://religion.sova-center.ru/events/13B742E/13DD64B/8986188
e fonti citate.
[53] L’Archierejskij sobor, o Concilio
episcopale, si differenzia dal Concilio locale (Pomestnyj sobor). Il
termine risale all’epoca sovietica: l’idea di un Concilio al quale
partecipano soltanto i vescovi è introdotta, infatti, dal Regolamento
sulla direzione della Chiesa Ortodossa Russa adottato nel Concilio locale
del 1945 e formalizzato come Concilio episcopale nello Statuto (Ustav)
adottato in data 8 Giugno 1988. A questo Concilio, che è definito
«organo supremo della direzione ecclesiastica della Chiesa Ortodossa
Russa» (Statuto, Capo III, punto 1 dello Statuto del 2000), prendono
parte i vescovi diocesani e i vescovi vicari che sono a capo delle istituzioni
sinodali e delle accademie teologiche o che hanno giurisdizione canonica su
parrocchie a loro subordinate. Il Concilio è convocato almeno ogni
quattro anni e prima del Concilio locale; dal 1990 è sempre stato
convocato regolarmente. Al Concilio dei vescovi possono partecipare gli altri
vescovi vicari, peraltro senza diritto di voto. De facto, il Concilio
dei vescovi è il massimo organo di potere della Chiesa Ortodossa Russa:
il punto 5 del Capo III dello Statuto attribuisce a esso la funzione
giurisdizionale: «Il Concilio dei vescovi è l’organo
giudiziario ecclesiastico di suprema istanza. In quanto tale è
competente a esaminare e a prendere decisioni in prima e ultima istanza: a) per
apostasia (otstuplenijam) dai dogmi e dai canoni
nell’attività del patriarca di Mosca e di tutta la Russia; in
ultima istanza: b) per disaccordi tra due o più vescovi, c) per
trasgressioni canoniche e per apostasia dai dogmi della fede da parte dei
vescovi, d) per tutte le questioni trasmesse a esso dal Tribunale ecclesiastico
per la decisione finale».
Il Concilio
locale è qualificato nel Concilio del 1917-1918 come «supremo
potere legislativo, amministrativo, giudiziario e di controllo». In base
allo Statuto del 2000 esso diviene «il supremo potere nel campo della
dottrina religiosa e della struttura canonica» (Capo II, punto 1). Vi
partecipano i vescovi, i rappresentanti del clero, dei monaci e dei laici nella
misura stabilita dal Concilio episcopale. L’ultimo Concilio locale
è stato convocato nel 1990 per l’elezione del patriarca, e
ciò nonostante il fatto che lo Statuto del 1988 affermi che esso debba
essere convocato almeno ogni cinque anni. Ciò indubbiamente non concorda
con lo spirito di conciliarità o sobornost’ tanto caro alla
tradizione ortodossa. La stessa cosa va detta a proposito del ruolo secondario
assegnato di fatto al clero e ai laici, che erano in maggioranza nel Concilio
del 1917-1918, circostanza che suscita da più parti critiche verso il
Patriarcato.
[55] Risoluzione del Congresso di tutta la
Russia del clero e dei laici (1-7 Giugno 1917). Testo in: Gosudarstvo, Obščestvo,
Cerkov’. XX vek, a
cura di A.V. Beljaeva,
Jaroslavskij Gosudarstvennyj
Universitet, Jaroslavl’ 1999, 19, punti 2 e 3.
[56] Osnovnye principy otnošenija
Russkoj Pravoslavnoj Cerkvi k inoslaviju, Il testo è reperibile sul
sito http://www.mospat.ru/text/principles/id/70.html.
[58] Cfr. ANATOLIJ KRASIKOV, Dalla sinfonia alla dialettica, in
«Il regno attualità», XLV (2000), 865, 15. 9. 2000, 510.
[59] Lo Statuto sulla direzione della Chiesa
Ortodossa Russa approvato dal Concilio locale del 1988 asserisce che la sua
giurisdizione si estende agli ortodossi che vivono sul territorio dell’URSS,
escluse la Georgia, dove esiste un Patriarcato ortodosso, l’Armenia (che
ha una sua Chiesa nazionale), e agli ortodossi che vivono all’estero
(art. 3). Con maggior precisione, lo Statuto
della Chiesa Ortodossa Russa, approvato dal Concilio del 2000 (Testo http://www.patriarchia.ru/db/text/133115.html
), afferma la sua giurisdizione, talora contestata da altre Chiese ortodosse,
sui seguaci dell’ortodossia che si trovano nei suoi territori canonici:
Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Azerbajdžan, Kazachstan,
Kirgizija, Lettonia, Lituania, Tadžikistan, Turkmenistan, Uzbekistan,
Estonia, e anche sulle persone che vivono in altri paesi e che volontariamente
aderiscono a essa (art. 3).
[60] Si ritorna, dunque, alla Chiesa Ortodossa
Russa che ha il primato ed è dominante (pervenstvujuščaja i gospodstvujuščaja) dello Svod Zakonov dell’epoca zarista.
[61] V.V. Zen’kovskij,
Istorija russkoj filosofii, Ymca
Press, Paris 1989, in 2 voll., vol. 1, 46. Giustamente afferma padre Nikolin
che «lo Stato si sente in sinfonia con la Chiesa e per questo non prova
imbarazzo a partecipare direttamente alle attività della Chiesa»,
cfr. A. Nikolin, Cerkov’ i gosudarstvo. Istorija
pravovych otnošenij, izd. Sretenskogo monastyrja, Moskva 1997, 75. A ragione S.L. Firsov
afferma che «ignorare il fattore del carattere ortodosso della
statualità (pravoslavnaja gosudarstvennost’) significa
commettere un errore nel giudizio», cfr. Osnovnye etapy v istorii cerkovno-gosudarstvennych
otnošenij v Rossii, in
«Cerkov’ i vremja», 2008, N° 1 (42), 179.
[62] Cfr.
F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli
Karamazov, traduzione di A. Villa, Einaudi, Torino 2005, rispettivamente 83
e 88.
[63] Cfr. S. BOULGAKOV, Orthodoxie. Éssai
sur la doctrine de l’Église,
Lausanne 1980, cit. in R. MOROZZO
DELLA ROCCA, Le Chiese ortodosse, una
storia contemporanea, Ed. Studium, Roma 1997, 118 e 119.