RICORDO DI SERGIO FOIS
Giuseppe Guarino
Professore Emerito,
Università di Roma “La Sapienza”
1.
– Nel 2001 Sergio
Fois mi inviò il suo primo libro di poesie. Con una dedica. Diceva:
«A Geppi Guarino, con particolare stima e profonda riconoscenza per
avermi “pescato” in un’Isola “lontana”, e
condotto a scegliere e seguire un impegno non facile o, forse, rischioso. E per
avermi, in fondo, accettato per quello che sono».
“Condotto” si sovrapponeva ad
altra parola, ora illeggibile. “Convinto”?
“Costretto”?, “pescato” in un’isola
“lontana” e portato via.
E’ vero, era andata quasi
così: 1948-49, mio primo anno di insegnamento a Sassari. Vi ero giunto
per incarico, prima sede universitaria. Gli esami a Sassari si tenevano in
assenza di pubblico. Già da allora (ma avevo una pratica molto lunga di
esaminatore, sin dal 1944 come assistente) avevo adottato il metodo al quale
sarei rimasto fedele nell’intero mio lungo corso accademico. Un criterio
certamente opinabile. Richiede grande concentrazione. La precisazione dei
termini usati, la logicità delle connessioni, la proprietà del
linguaggio sin dalla prima domanda fanno comprendere se il candidato si
è impadronito delle tecnicalità della materia, se ne ha
assimilato i principi fondamentali, quale è il grado della sua
maturità culturale. E’ difficile sbagliarsi. Se il voto è
errato, il candidato ha un sussulto. Si rimedia immediatamente, con una od
altre domande. Ogni studente sa esattamente quale è il voto che gli
spetta. Se il risultato corrisponde alle attese, anche se si tratta di un voto
negativo, è contento. Almeno non ha perduto tempo. Non è
eccessiva questa divagazione? E’ il criterio che, appena conosciuto
Sergio, mi ha permesso di esattamente valutarlo. Prima sessione dunque, a porte
chiuse. Primo candidato, bocciato. Secondo, bocciato. Terzo, bocciato. Bocciati
sino al sesto compreso. Settimo ed ultimo, Sergio. Trenta e lode. Risposte precise
e complete, intuito, fervore.
Avrei rivisto Sergio dopo la sua laurea
(1952). Ero stato trasferito a Siena. Insegnava per incarico il caro e bravo
Enzo Sica. Titolo della tesi: “Osservazioni su alcuni aspetti del regime
di libertà di stampa nella attuale legislazione italiana: art. 21 Cost.
e art. 113 TUPS”. Voto di laurea: 110 e lode, dignità di
pubblicazione. Non ricordo se l’avessi letta prima dell’esame o se
Sergio me l’abbia portata dopo. L’argomento trattato aveva formato
oggetto di parecchie note. Sergio parte alla grande: riconduce il caso
particolare ai principi, formula con chiarezza i principi, li compone in
sistema. Si esprime con efficacia e forza di persuasione. Affronta i problemi,
molto dibattuti, della precettività immediata di norme o principi
costituzionali, si avvale di strumenti formali abbastanza nuovi, perviene alla
conclusione con coerenza logica e penetrazione analitica. Il principio cui si
ispira è lo stesso che lo accompagnerà sino all’età
matura. La libertà di informazione ha carattere “negativo”:
è libertà da. Ma, aggiunge, nel sistema italiano
l’informazione e l’essere informati sono funzionali al fisiologico
svolgersi della vita democratica. Sergio era il primo a scriverlo. Erano
passati appena quattro anni dall’entrata in vigore della Costituzione!
Non vi erano dubbi. Sergio era uno studioso maturo. Sarebbe stato interesse del
mondo accademico valorizzarlo. Come fare? Ero giovane, avevo vinto il concorso
da appena due anni. Lo convinsi a venire a Roma. Lo avrei presentato ad
autorevoli maestri. Sergio abitava, lo ricordo, in una stanza del piano
ammezzato di via dei Banchi Vecchi n. 1, nel palazzo dove ha sede oggi come
allora l’Associazione della stampa. A giugno Sergio non reggeva
più. Ritorno a Sassari. Basta! Gli imposi di non farlo, quasi con la
forza. Convinto o costretto, quale era la parola cancellata? Ero presidente di
una commissione di esami di maturità a pochi passi, al liceo Bramante.
Avevo cominciato la professione. Questo impegno mi pesava. Mi dimisi ed ottenni
che Sergio fosse assunto al mio posto. Chiarelli, sempre comprensivo e
affettuoso, lo nominò assistente volontario. A novembre, come assistente
incaricato, l’avrebbe assunto Esposito, titolare allora della cattedra di
costituzionale nella facoltà di Scienze politiche. Gli sarebbe
subentrato Mortati, al suo passaggio alla Facoltà di giurisprudenza.
Sergio avrebbe fruito degli insegnamenti della scuola costituzionalistica
più prestigiosa. I due più autorevoli Maestri, Esposito e Mortati,
convennero nel giudizio su Sergio. Lo avrebbero accolto come allievo e seguito
con interesse.
A questo punto il mio rapporto diretto con
Sergio si allentò. Praticamente cessò. Anche ad evitare
interferenze con due Maestri, di tanto superiore livello, non solo per
dottrina, anche per autorità accademica. Nel 1963, con Balladore
Pallieri, Esposito, Bobbio e Quadri sarei stato suo commissario di concorso:
primo classificato. Sergio avrebbe in seguito insegnato in cattedre da me in
anni antecedenti occupate, Siena, Roma (pubblico ad economia), Sassari dove
Sergio volle tornare al termine della sua carriera. Dal 1974 al 1993 ci saremmo
trovati insieme nella Facoltà di Giurisprudenza della Università
di Roma. Sono stati forse gli anni in cui ci siamo visti (e conosciuti) di
meno. Io stesso assorbito principalmente dai temi dei rapporti tra diritto ed
economia, dei riflessi economici dei modi di organizzazione della pubblica
amministrazione, poi dei problemi connessi con la istituzione europea. Mi ero
andato staccando dal diritto costituzionale.
Ora mi trovo qui a celebrare Sergio Fois,
grande giurista, anche grande poeta. Compito doloroso ed innaturale: è
l’allievo a dover commemorare l’insegnante, non il professore
l’allievo. Ma a chi sarebbe spettato farlo se non a me, che lo avevo
“pescato”, anzi “strappato” dalla sua isola lontana?
2.
– Quale
“taglio” dare a questo ricordo? Breve il tempo disponibile. Ho
letto (o riletto) in gran parte i saggi compresi in questa raccolta,
sapientemente selezionati dal fratello Paolo e dai figlioli. Ho letto i due
libri di poesie. Ho riletto il saggio sulla libertà di stampa,
pubblicato a suo tempo in Studi Sassaresi. Una disamina completa del pensiero
giuridico di Sergio avrebbe richiesto una approfondita riflessione su tutta la
sua ricca produzione. Ma l’esposizione e la valutazione dei singoli saggi
sarebbe giunta tardiva. Aveva già insegnato Kirschmann che una sola
parola del legislatore è sufficiente per mandare al macero intere
biblioteche. Dai tempi di Sergio si sono verificate trasformazioni radicali.
Una legge elettorale avrebbe insediato in Parlamento maggioranze non
corrispondenti a quelle dei voti sostanziali. Si sarebbero affermate tendenze,
in sede teorica e con concreti indirizzi politici, in favore di un potere
monocratico. Si sarebbe avuta una forte pressione per eliminare o ridurre la
forza dei contrappesi. La stampa, compresi i maggiori organi di formazione
della pubblica opinione, avrebbe avvertito il peso condizionante della
pubblicità. La stampa, nel suo insieme, sarebbe stata sopravanzata dalla
radio, poi dalla televisione, infine dai mezzi di comunicazione, anche visivi,
di carattere individuale. Moltitudini, anche prive di qualsiasi qualificazione
culturale, sarebbero state in grado, a livello mondiale, di creare orientamenti
di massa avvalendosi di strumenti informatici, nel passato nemmeno
immaginabili.
Se Sergio avesse conosciuto questo mondo,
come vi avrebbe reagito? I criteri da lui seguiti e i principi affermati ci
offrono preziose chiavi di lettura. Criteri e principi: sarebbero stati sempre
quelli originari? Sergio, riconsiderando il pensiero di un altro grande sardo,
Antonio Pigliaru, nota che nel percorso intellettuale di uno studioso possono
aversi cesure e riannodamenti. Pigliaru, gentiliano e marxista, è diverso
dal Pigliaru della “Vendetta barbaricina”.
L’ultima frase della dedica del 2001
ha inviato qualche timido segnale. «Per avermi accettato per quello che
sono». Cosa voleva significare? Potrebbe essersi verificato in Sergio
nella sua avventura di pensiero qualcosa non perfettamente coerente con la sua
natura?
3.
– Credo di si, deve
essere accaduto. Ci sono nelle produzioni di Sergio tre periodi: quello
iniziale, un lungo periodo intermedio, quello finale. Contiguo al primo
piuttosto che al secondo. Un diverso rapporto tra enunciazione dei principi e
argomentazione logica segna la cesura tra una fase e l’altra. Nella
prima, l’ampio saggio sulla libertà di stampa degli Studi
Sassaresi del 1952, conteneva enunciazioni di principio lucide e nette, tali da
escludere a priori qualsiasi possibilità di contestazione. Non mancavano
i segni di una forte capacità argomentativa. Ma il logicismo era al
servizio dei principi, non il loro fondamento.
Passiamo al secondo periodo. Il saggio di
maggiore spicco è quello sulla Riserva di legge del 1963. Dalla prima
all’ultima pagina è espressione di una logica implacabile. Precede
una lunga esposizione di carattere storico. Per ognuna delle sue fasi
più che alle fonti dirette, viene dato rilievo alle teorie formatesi
sulle stesse. Sono esposte le tesi e le opinioni dissenzienti. Di ciascuna di
queste viene condotta una analisi puntuale, con indicazione delle alternative.
Ciascuna delle quali a sua volta viene assoggettata a critica con
argomentazioni di implacabile coerenza. Fois coglie il punto centrale. Le
teorie sulla riserva, e le soluzioni concrete che ne derivarono nei vari Paesi,
Germania, Francia, Belgio, Italia, segnarono il lungo cammino che il principio
democratico ha dovuto percorrere prima di affermarsi definitivamente nei confronti
della sovranità precostituita. Anche se la prevalenza della
amministrazione non sempre ha significato minore tutela nella fruizione da
parte dei privati, dei diritti di proprietà e di libertà. Al
nocciolo della questione Fois perviene non direttamente, ma con un faticoso
cammino nel corso del quale l’attenzione si disperde. Né sempre
è facile riacciuffare il filo conduttore. Sergio Fois si dimostra, in
tutti i passaggi, grande giurista positivo. Quale che sia il sistema di cui si
occupa, che sia passato o vigente, le questioni interpretative sono affrontate
e risolte con eguale impegno. Finalmente entra ad occupare la scena la
costituzione italiana. Finissime le analisi. Le argomentazioni si susseguono e
si sovrappongono. Si arriva alla conclusione. La riserva di legge non è
in funzione né di un generico interesse pubblico, né degli
interessi di singoli. E’ diretto a tutelare la minoranza nei rapporti con
la maggioranza. Alla conclusione Fois perviene non sulla base di soli elementi
letterali (metodo che considera insufficiente anche nella interpretazione del
testo costituzionale), ma integrando la disciplina costituzionale con quelle
amministrative e di tutela giurisdizionale. E ciò sin che si tratti
della legge o degli atti amministrativi. Distinguendo ad ogni livello di
attività tra decisione politica, discrezionale o vincolata, legando gli
elementi e gli aspetti gli uni agli altri in contesti organici.
Passiamo ora alla terza fase. I principi
balzarono di nuovo al primo posto. La capacità dialettica è
egualmente presente, ma è tornata come agli inizi al servizio del
pensiero originale. Contenuta entro limiti coerenti con tali funzioni. Sono
compresi nel volume tre autentici gioielli: “Il c.d. decalogo dei
giornalisti e l’art. 21 Cost.” (1985); “Il principio di
sovranità e la sua crisi” (2000); “Costituzione formale e
costituzione materiale” (2001). Il primo saggio trae spunto da una
questione specifica: se la responsabilità civile sia concepibile in
materia di diritto di informazione. Lo spunto era stato offerto da una sentenza
della Corte di Cassazione. Un autorevole civilista aveva espresso
l’opinione che si dovessero applicare le regole della concorrenza sleale.
Fois insorge: come non accorgersi che erano in gioco principi essenziali della
costituzione? Li espone. Vige un preciso vincolo costituzionale in virtù
del quale la violazione dei diritti di libertà deve essere sanzionato
con norme penalistiche. La questione non era nominalistica o astratta. In caso
di reato il fatto è punibile solo se vi è dolo. Per la
responsabilità civile è sufficiente la colpa. Le argomentazioni
si svolgono con ritmo incalzante. Sempre però con eleganza.
Liberalismo e democrazia: il principio
fondante è esplicitato all’inizio del discorso. Non ha bisogno di
essere dimostrato. “E’ un presupposto”. Un postulato, quindi.
L’unica reale libertà è quella dello
“individuo”. Le libertà tradizionali ed insieme fondamentali
formano un “cerchio magico”, che deve essere “protetto da
intrusioni esterne”. Libertà è dunque libertà da.
Dalla libertà da discendono, come conseguenza naturale, i
principi della democrazia. Anche il sovrano deve essere limitato. Il comando
deve essere generale, astratto e predeterminato. La libertà individuale
protetta dal cerchio magico non ha bisogno di essere immessa in diritti
“complessi”, “trasversali”,
“multidimensionali”. Questi nomi nascondono trasformazioni che si
risolvono in altrettante violazioni concrete della libertà. La
sovranità diffusa (concetto che Fois aveva aspramente combattuto in un
altro ammirevole saggio, “Il principio della sovranità e la sua
crisi”, 1996), così come il dominio della maggioranza si risolvono
in attentati alla libertà individuale. Il confronto tra maggioranza e
minoranza deve essere dialettico. La maggioranza deve essere frutto di
mobilità, non può essere predeterminata e rigida. In democrazia
conta di più “come” si governa rispetto a “chi”
governa. Il potere di decidere deve essere soggetto all’osservanza di
procedure.
Siamo all’ultimo saggio. E’ del
2002. E’ l’ultimo della attuale raccolta. Forse l’ultimo in
assoluto. E’ una resa dei conti “intellettuale” con il suo
Maestro, Costantino Mortati. Mortati univa ad un carattere apparentemente
chiuso elevate doti umane. Seguiva con affetto gli allievi. Forse proprio per
questa qualità la sua personalità incombeva. La fama di Mortati
poggiava su un’opera monografica della seconda metà degli anni
’30 sulla “costituzione materiale”. La costituzione formale
poggia inevitabilmente su strutture organizzative-politiche. Le strutture materiali
non solo sono all’origine di quelle formali, ma le sostengono e
continuano ad orientarle. Principi questi agli antipodi della
insostituibilità della libertà da, dell’individuo,
protetta da un cerchio magico.
Fois ricorda che Mortati è stato il
suo Maestro. A lui è legato da sentimenti di riconoscenza ed affetto. Ma
non può rinunciare al principio della verità. La critica al
concetto di costituzione materiale è severa, piena di fervore. Tuttavia
non persuade, ed è forse l’unica volta che ciò accade. Se
ne avverte la ragione. Mortati, iniziata la nuova fase storica di democrazia e
libertà, pubblica un nuovo saggio nel quale ripone nella costituzione
materiale la fonte del regime democratico. Mortati è stato autorevole
costituzionalista. Molti dei principi costituzionali vigenti sono dovuti anche
al suo contributo. Ma Sergio Fois sapeva che alla base della teoria della
costituzione materiale vi erano state esperienze drammatiche. Il concetto era
stato introdotto dalla dottrina tedesca di più stretta osservanza
nazista. Si affermava l’inerenza alla costituzione materiale di una
efficacia “normativa” di rango superiore. I giudici in virtù
della costituzione materiale avrebbero dovuto poggiare le sentenze sui principi
e sui valori del nazionalsocialismo, ad integrazione delle specifiche
disposizioni vigenti. Anche per pervenire alle condanne più dure,
compresa quella di morte. Nella voce redatta sul tema per l’Enciclopedia
del diritto Mortati gira intorno al nodo fondamentale della normatività.
Usa espressioni elusive. Mortati, osserva Fois, si accorge del rischio che il
«fatto si risolveva nella brutalità del mero accaduto». Il
tentativo non riesce, conclude. Le frasi del suo Maestro si rivelano elusive,
contengono «genericità, gravi salti logici, chiare petizioni di
principio». Ma l’elusività del testo coinvolge il censore.
La critica diviene a sua volta elusiva. Fois ha evitato che emergesse il grave
errore in cui era incorso il Maestro. Mortati, credendo si trattasse di pura
questione teorica, non si era accorto a quale drammatiche e disumane
conseguenze il principio della normatività della costituzione materiale
si prestava nel regime hitleriano. Conseguenze che non erano sfuggite al tanto
più giovane M.S. Giannini che le aveva denunciate proprio in una recensione
al saggio di Mortati. Fois non avrebbe superato il limite che gli imponevano il
rispetto e la fedeltà al Maestro.
4.
– Fois insegna ormai
nella cattedra di diritto costituzionale, la più prestigiosa, la prima
della facoltà di Giurisprudenza della Sapienza. E’, e si sente,
uomo libero. Ha assolto ad incarichi pubblici. E’ stato per un mandato
membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Imprevedibilmente prende
parte attiva al Sindacato dei professori universitari. Per un triennio ne
è anche segretario generale. Poi lascia tutto. Ritorna in Sardegna. Con
il 2001 cessa la produzione giuridica. Pubblica due raccolte di poesie.
“Alla fine del giorno”, 2001, e “Dialoghi con
Astaroth”, 2008. In un bella presentazione della prima raccolta Davide Rondoni
avverte «una situazione interna che tende ad accettare la propria
definitiva aridità». Osserva la propensione del giurista a
consegnare la «riflessione morale, mediante la scrittura in versi».
La durezza della lingua sembra cercare «l’esattezza più che
lo slancio». La «adrenalina del pensiero e del linguaggio»
«rende ancora più tersi nella loro bellezza certi passaggi, specie
all’inizio di alcune composizioni». In quelli successivi trova
«un passo, un andamento senza contratture».
Due intere poesie nella prima e nella
seconda raccolta (“Non tutto ho perso” e “Se”) sono
scandite sul “se”. E vi sono altri versi nella prima come nella
seconda raccolta che egualmente iniziano con il “se”. Un verso fa
riflettere. La “inutile coscienza dell’inutile” (Alla fine
del giorno, “forse”).
In Sergio sono convissute due nature,
l’intuito, il fermento, la passione e l’ineccepibile argomentare
logico. L’inserimento in una scuola che, prima che Carlo Esposito si
immergesse nella concretezza della nuova fase costituzionale, del logicismo
aveva rappresentato la massima espressione, aveva accentuato in Fois la vena
raziocinante. Anche nelle fasi vitali più naturalmente impegnate non
riusciva a liberarsi dal ragionare su quanto accadeva: “la nostra
terribile autocoscienza” (O-mega, “Alla fine dei giorni”,
pag. 22). Il pendolo, orientato verso intuito e passioni all’inizio del
suo ragionare giuridico, vi era fermamente tornato nella fase ultima. Non era
sufficiente. «E questo basta, è quanto basta, e mi basta»,
è la frase del tutto insolita per un giurista che chiude la Relazione su
“La Costituzione materiale”. Basta liberarsi da.
Lo sbocco è la poesia. Una poesia
svela forse cosa gli era mancato: calore e tenerezza, grande tenerezza,
infinita tenerezza. «Ed ancora, poi, perdersi negli occhi, carezzandosi
lievemente con tenerezza, con infinita tenerezza, in silenzio» (Dialoghi
con Astaroth, pagg. 51-52).
Sergio Fois, nasce e cresce come grande
giurista. Termina come grande poeta. Le poesie della prima sezione della
seconda raccolta sono struggenti. L’accostamento del suo nome a Montale,
Fortini, Caproni è appropriato.
Intuito e sensibilità ed attitudini
logiche sono necessari per il giurista. Qualità presenti in Fois in
misura elevata. Il ruolo della logica è strumentale. Per una fase, non
breve, la dialettica è quasi divenuta dominante. Basta! (è anche
il titolo di una poesia). Si sarebbe risolto in uno snaturamento. Intuito e
sensibilità si sono riappropriati del loro ruolo. Lo hanno rafforzato
trasformandosi in poesia. Il logicismo ha tentato talvolta di fare capolino al
di là del suo confine. Anche lì.
Sergio, nella dedica del 2001, mi ringrazia
«per avermi, in fondo, accettato per quello che sono». E’ il
massimo dei riconoscimenti che un insegnante può attendersi da un allievo
di così alto livello. Come Sergio Fois. Gliene sono, nel ricordo,
infinitamente grato.