XIX convegno de “L’Africa romana”
“Trasformazione
dei paesaggi del potere
nell’Africa
settentrionale fino alla fine del mondo antico”
Sassari
e Alghero, 16-19 dicembre 2010
I convegni de “L’Africa romana” organizzati a
partire dal 1982 dall’Università degli Studi di Sassari sono
sempre stati una fervida occasione di confronto per gli studiosi dei Paesi
mediterranei che si occupano di storia antica, archeologia classica, epigrafia
latina, antichità romane. Anche grazie a questi incontri si sono create
durature sinergie nel campo della ricerca antichistica fra specialisti delle
due sponde del Mediterraneo, impegnati in una serie di attività sul
campo, come per le indagini italo-tunisine nella colonia romana di Uchi Maius
che hanno prodotto la pubblicazione di tre volumi[1]
e di numerosi articoli scientifici.
Si sono sviluppate vere e proprie imprese internazionali, a Zama Regia, a Neapolis, a Lixus, con
nuove profonde amicizie, che anche grazie all’informatica possono essere
coltivate con maggior vigore rispetto al passato. La ricerca si è sempre
concentrata sul versante del contributo dei territori africani alla romanizzazione,
sul tema della resistenza e delle specifiche identità africane.
A partire dal dicembre 2010, la “Rivoluzione araba”
e gli eventi che hanno caratterizzato la vita di alcuni dei principali Paesi
nordafricani hanno certamente avuto riflessi sulla cooperazione internazionale
e sul destino del patrimonio archeologico, portando una ventata di
novità e insieme ponendo gli studiosi di fronte a nuove sfide, nuove
difficoltà, nuovi traguardi, con un
deciso superamento delle fasi post-coloniali.
A rileggere dunque oggi a distanza di un anno il tema
dell’ultimo convegno de “L’Africa romana” (tenutosi tra
Sassari e Alghero dal 16 al 19 dicembre 2010) “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale
fino alla fine del mondo antico” si potrebbe dire che la scelta che
il Comitato scientifico aveva espresso sembra aver avuto qualcosa di profetico,
se veramente in molti paesi africani si è andato sviluppando un percorso
politico che ha pesantemente colpito i moderni centri del potere della Tunisia,
della Libia e dell’Egitto.
Il convegno ha visto la partecipazione di oltre 250 studiosi,
provenienti da 14 Paesi, fra i quali gli Stati Uniti, il Canada,
l’Argentina e il Giappone; oltre 60 Università rappresentate, per
non parlare delle Soprintendenze, degli Istituti e delle associazioni di
categoria come l’Associazione Nazionale Archeologi. Come di consueto
è stata molto nutrita la presenza degli specialisti maghrebini; fra loro
è doveroso ricordare almeno Azedine
Beschaouch, che sarebbe diventato dopo poche settimane il Ministro della
Cultura del nuovo governo provvisorio tunisino.
La cerimonia di apertura è stata caratterizzata dal coro
dell’Università degli Studi di Sassari che ha intonato il Gaudeamus igitur; successivamente
è stato il momento dei saluti delle autorità e di quello di Attilio Mastino in qualità di Presidente del Comitato scientifico,
il quale ha ricordato che il simposio, organizzato dalla Facoltà di
Lettere e Filosofia e dal Dipartimento di Storia, si svolgeva sotto
l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il
tema del convegno è stato magistralmente esposto da Raimondo Zucca, che lo
ha giustamente allacciato al concetto di “Landscapes of Power” ben studiato
da Sharon Zukin della University of California. La prima giornata è
continuata con la presentazione di numerosi volumi, fra i quali gli Atti del
XVIII convegno de “L’Africa romana” svoltosi due anni prima a
Olbia: i 3 tomi dell’opera (a cura di Marco Milanese, Paola
Ruggeri e Cinzia Vismara), che
comprendono un totale di 146 contributi per 2339 pagine, sono stati illustrati
da un intervento del sempre brillante Marc
Mayer dell’Universitat de Barcelona. Successivamente sono state
inaugurate le mostre dei posters.
Il convegno è stato articolato in quattro sessioni, che
si sono svolte nell’Aula Magna del Rettorato e nell’Aula Eleonora
d’Arborea dell’Ateneo turritano. Solo per la giornata del sabato i
lavori si sono spostati ad Alghero presso la Sala Congressi e la Sala Nettuno
del Porto Conte Ricerche; la trasferta “catalana” è stata
l’occasione per fare alcune escursioni nella Nurra e visitare alcuni dei
principali siti archeologici del territorio, dal Nuraghe Palmavera al Nuraghe
Sant’Imbenia passando per i resti della villa romana omonima.
La prima sessione è stata dedicata al tema del convegno
che è stato sviscerato in tutti i suoi aspetti. Molti interventi hanno
riguardato Lepcis Magna, città
che è stata caratterizzata fin dalle sue prime fasi romane da
un’importante monumentalizzazione[2].
Giorgio Rocco e Monica Livadiotti hanno trattato proprio l’aspetto
architettonico con “La Curia del
Foro Vecchio di Leptis Magna:
risultati preliminari di un nuovo studio architettonico”, puntando la
loro attenzione su un monumento che venne inizialmente identificato come tempio[3];
l’analisi condotta ha da una parte descritto la struttura e
dall’altra definito il quadro cronologico nel quale l’edificio fu
realizzato e successivamente sviluppato. Il mutamento del linguaggio
architettonico degli archi onorari africani dal II sec. d.C., con particolare
attenzione alla situazione tripolitana, è stato descritto da Giuseppe Mazzilli (Macerata) in “La polisemia degli archi onorari
nordafricani tra urbanistica e propaganda imperiale: l’arco di Traiano a Leptis
Magna”, mettendo in rilievo il ruolo non solo urbanistico ma anche
politico che essi assumevano. Non è stato trascurato neanche
l’impiego di marmo che si fece a Lepcis
Magna a partire dal II sec. d.C. grazie all’intervento di Matthias Bruno e Fulvia Bianchi (Roma), “Uso e distribuzione dei marmi policromi
nell’architettura pubblica di età imperiale a Leptis
Magna”, nel quale è stata rilevata l’assenza dei marmi
policromi per eccellenza (giallo antico, l’africano, il granito del Foro,
il porfido rosso egiziano) per la realizzazione dei fusti di colonna, anche in
età severiana; tali qualità venivano infatti assorbite
prevalentemente dal mercato urbano. L’argomento è stato toccato in
parte anche da André Laury-Nuria
(Paris) con “La couleur des palais:
la transformation du paysage urbain en Afrique du Nord dans
l’Antiquité tardive”, che ha evidenziato il cambio di
abitudini che vi fu nella città nella tarda antichità, durante la
quale aumentò lo sfruttamento dei marmi colorati.
Maria Rosa Scardamaglia
(Messina), con “Teatri,
biblioteche, scuole di retorica: manifestazione del potere e scambi culturali
nelle città dell’Africa romana”, ha puntato
l’attenzione sui luoghi di cultura che spesso e in particolare in
determinati periodi storici furono veri luoghi di potere. Il ruolo di primo
piano che doveva avere la cultura come collante di un impero fu ben chiaro ad
Augusto: la figura di Mecenate all’interno del meccanismo politico
augusteo ne è il più fulgido esempio. Il fondamentale ruolo di
Augusto in questo cambiamento culturale e politico che investì tutte le
province è stato sottolineato da Mario
Cesarano (Ferrara), “Dal
paesaggio fisico al paesaggio ideologico: i cicli statuari dinastici
giulio-claudii dell’Africa settentrionale”: la celebrazione del
princeps e della famiglia imperiale
divenne un vero e proprio atto religioso che doveva essere praticato da tutti i
cittadini per la salus
dell’impero. Con tale ottica devono essere letti i gruppi scultorei come
quello di età tiberiana proveniente dal forum vetus di Lepcis Magna.
Passando a Sabratha
anche qui le indagini hanno fornito notevoli spunti: è il caso
dell’intervento di Nicola Bonacasa
e Alessia Mistretta “Sabratha sotterranea: ultime ricerche al tempio di
Serapide” con il quale sono stati presentati i risultati preliminari
delle indagini svolte nel tempio del dio più importante della gens isiaca[4].
I lavori condotti nell’ultimo decennio dalla Missione della Sezione
Archeologica del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di
Palermo, in collaborazione con il Dipartimento alle Antichità di Sabratha, hanno messo in luce ad esempio
le strutture pertinenti alle prime fasi edilizie del monumento ed alcune di
quelle della fase punico-ellenistica della città.
Anche le Mauretaniae
sono state al centro di molti pregevoli interventi. Maria Milvia Morciano ha trattato il tema dei paesaggi del potere
con una presentazione su “Le
trasformazioni dei segni del potere nella città di Tipasa di Mauretania. Assetto del territorio, viabilità,
edifici pubblici e di culto”, affrontando l’argomento in
maniera diacronica e soffermandosi sui singoli monumenti che costituiscono
forme differenti di un medesimo potere. Anche per Caesarea è stato fatto uno studio sull’uso del marmo
che è stato presentato da Donato
Attanasio, Matthias Bruno (Roma)
e Christa Landwehr (Freiburg), “I
marmi scultorei di Caesarea Mauretaniae
(Cherchel, Algeria)”, che ha fornito interessanti indicazioni sul
flusso e la diffusione dei marmi statuari. Layla
Es-Sadra Akerraz (Rabat) si è invece proposta, in “Transformation du paysage urbain
volubilitain à l’époque préislamique”, di
verificare se per Volubilis sia
meglio parlare, con riferimento all’aspetto urbanistico e architettonico
della fine dell’età romana, di una rottura o di una evoluzione
rispetto al passato.
Uno dei tanti aspetti che è emerso dagli interventi di
questa prima sessione è che, a partire in particolare
dall’età augustea, le città africane hanno ricevuto
un’impronta molto “romana” soprattutto dal punto di vista
urbanistico; nonostante questo è possibile ancora oggi notare come in
molte città, nelle zone periurbane, si siano conservate importanti
tracce di monumenti legati alla tradizione locale, soprattutto in ambito
funerario[5].
La seconda sessione, che è stata come di consueto
dedicata alle “Relazioni del Nord
Africa con le altre province”, ha offerto la possibilità di
spostare il fuoco tematico verso altri territori; è stato così
possibile ad esempio trattare della Sardegna come ha fatto Giovanna Pietra (Olbia),
che con “Le forme del potere
imperiale a Olbia da Nerone ai Flavi” ha presentato un periodo
storico in cui gli interessi della famiglia imperiale in quel territorio furono
estesi e significativi.
La terza sessione, riservata come sempre ai “Nuovi ritrovamenti epigrafici”,
ha permesso la presentazione di alcune novità epigrafiche non solo
africane ma anche sarde come quella di “Egnatuleius Anastasius: un nuovo praefectus vigilum da Dorgali” (Fabrizio Delussu, Antonio Ibba – Sassari):
l’iscrizione che ricorda il prefetto dei vigili venne incisa in un disco
di bronzo che sarebbe stato pertinente
ad un edificio con funzione annonaria o a una sede locale dei vigili.
Nella quarta sessione, “Varia”, sono invece stati accolti gli interventi non direttamente
riconducibili alle tre sessioni canoniche: si pensi ad esempio a “Il Neapolitanus portus nel quadro della portualità antica
del Capo Bon (Tunisia)” (Mounir
Fantar, Imed Ben Jerbania, Ouafa Ben Slimane, Miriam Mastouri, Soumaya
Trabelsi, Intissar Sfaxi –
Tunis, Piero Bartoloni, Paolo Bernardini, Piergiorgio Spanu, Raimondo Zucca – Sassari), grazie al quale gli studiosi presenti al
convegno hanno potuto acquisire importanti novità sulle recenti scoperte
avvenute nelle acque di Nabeul. Tale lavoro rappresenta l’ennesima
conferma dello stretto rapporto scientifico che intercorre fra gli archeologi
dell’Università degli Studi di Sassari e i colleghi
dell’Institut National du Patrimoine de Tunisie e che da quasi venti anni
lavorano a stretto contatto in vari siti tunisini dove una generazione di
giovani studiosi tunisini e italiani si è ormai formata. Fra gli
interventi sulla Sardegna si può infine ricordare quello su “Il sarcofago di San Lussorio: ludi anfiteatrali, modelli urbani e rielaborazioni
locali a Karales” (Alessandro
Teatini – Sassari): si tratta
di una piccola (ma non per questo meno pregevole) anticipazione rispetto alla
recente pubblicazione da parte dallo stesso autore del “Repertorio dei
sarcofagi decorati della Sardegna romana” (Roma 2011). Ha concluso la
sessione l’intervento “Programmi
e attività
dell’Associazione Nazionale Archeologi Sardegna” (Giuseppina Manca di Mores, Franco Campus – Sassari) con il
quale presidente e vicepresidente hanno avuto modo di illustrare alla comunità
scientifica l’attività che l’ANA svolge per il
riconoscimento della figura professionale dell’archeologo, tema questo
molto sentito in particolare fra i liberi professionisti isolani.
Nel corso del convegno sono state indagate tutte le
realtà africane, dalla Libia al Marocco, passando per la Tunisia e
l’Algeria. Di questa ampia e dettagliata panoramica storica e
archeologica sull’Africa romana si sono giovati anche i numerosi studenti
del corso di Storia romana di Beni
Culturali dell’Ateneo turritano che, partecipando attivamente alla
segreteria organizzativa, hanno seguito attentamente tutto il colloquio.
Tutte le sessioni del convegno sono state animate da utili
dibattiti che hanno spesso permesso ai relatori di aggiungere confronti
importanti e di arricchire le loro ricerche. Si pensi ad esempio
all’articolata discussione che si è sviluppata sulla comunicazione di Giuseppe Mazzilli e che
ha coinvolto Mario Cesarano, Wolfgang Kuhoff, Azedine Beschaouch e Orietta
Dora Cordovana. La notevole quantità di dati che è stata
presentata troverà posto nella sua sede naturale, gli “Atti di
Sassari”, a cura di Maria Bastiana
Cocco, Antonio Ibba e di chi
scrive per l’Editore Carocci di Roma e che supereranno le tremila pagine.
Il tema del prossimo convegno “Momenti di continuità e rottura: bilancio di 30 anni di convegni
de L’Africa Romana” suggerisce una volontà da parte del
Comitato scientifico di mettere un punto alla fine di un lungo percorso che
possa essere contemporaneamente fine di un ciclo ed inizio di un altro; la
speranza di tutti è quella di poter celebrare nel 2013 l’edizione
XX a Sousse o comunque in una località sulla sponda sud del
Mediterraneo, per coronare un percorso che ha visto in questi ultimi tre
decenni molti scontri che sono stati solo dialettici e che la sera culminavano
sempre in memorabili incontri conviviali.
Come ha sottolineato Attilio
Mastino nel suo intervento
conclusivo, «la festa per il
92esimo compleanno di Joyce Reynolds (…) ha testimoniato il nostro legame
verso la persona, ma soprattutto la nostra ammirazione per un impegno
scientifico severo sulla frontiera delle nuove conoscenze»; vedere
con quanta energia la professoressa Joyce Reynolds partecipa alle sessioni e
alle escursioni del convegno è un vero e proprio inno alla gioia per la
cultura.
Università Sassari
[1] Uchi Maius. 1. Scavi e ricerche epigrafiche
in Tunisia, a cura di M. Khanoussi
e A. Mastino, Sassari 1997; Uchi Maius. 2. Le iscrizioni, a cura di A. Ibba, Sassari 2006; Uchi Maius. 3. I frantoi. Miscellanea, a
cura di C. Vismara, Sassari 2007.
[2] Non
sono mancate in questi anni le riletture architettoniche dei complessi
monumentali e le revisioni del ricco patrimonio epigrafico lepcitano. È
recente la pubblicazione di un corposo volume dal titolo Leptis Magna. Una città e le sue iscrizioni in epoca tardo romana, a cura di I. Tantillo
e F. Bigi, Cassino 2010, che
conferma l’interesse che la ricerca storica italiana mantiene nei
confronti della città tripolitana. Il titolo dell’opera non rende
giustizia alla ricchezza dei temi affrontati nel volume, che dedica numerose
pagine anche alla topografia della città. Di notevole interesse risulta
infine il capitolo 7 (pp. 219-252) dedicato allo studio dei supporti
epigrafici.
[3] Tale
malinteso fu forse dovuto al fatto che l’edificio è circondato da
un portico, delineando una tipologia simile a quella di molti templi africani:
cfr. J. Eingartner, Templa cum
porticibus. Ausstattung und Funktion italischer
Tempelbezirke in Nordafrika und ihre Bedeutung für die römische Stadt
der Kaiserzeit, Internationale Archäologie, 92, Rahden
[4] A Lepcis Magna le iscrizioni che ricordano Serapide sono una decina contro
una sola menzione di Iside: cfr. L. Bricault,
Recueil des inscriptions concernant les
cultes isiaques, II, MAI, XXXI, Paris 2005, pp. 747-754.
[5] Si
pensi ad esempio ai casi ben noti del Mausoleo di Massinissa di Thugga e alla “Tomba della
cristiana” di Caesarea.