Diritto Romano
Nota su Pietro Bonfante (1864-1932)
Pubblicato in Pietro
Bonfante, Memoria per
1. A
distanza di quasi sessant’anni dalla stesura della memoria inedita che qui si
pubblica, il ricordo della passione civile e dello scrupolo documentario con
cui Pietro Bonfante aveva atteso a quel compito restava ancora vivo nella mente
del figlio Giuliano. Egli ne offre una significativa testimonianza in una breve
nota dal titolo Il pensiero politico di
mio padre, scritta per confutare l’epiteto di «nazionalista» con cui
l’ignoto estensore della voce Bonfante
Pietro per il Dizionario biografico
degli Italiani aveva qualificato appunto Pietro Bonfante: «Mio padre fu sempre avverso al colonialismo, almeno nelle
sue forme più dure e crudeli. Mi raccontava con orrore certe stragi compiute
con efferatezza pari all’abilità dai Francesi in Siria. Mi à lasciato del resto
il testo manoscritto di un lungo parere in difesa del re àrabo Feisal contro i
Francesi davanti alla Società delle Nazioni».
Nel momento in cui
riceveva quest’incarico da re Faysal, quasi per certo su indicazione di
Vittorio Scialoja, Pietro Bonfante,
cattedratico nell’Università di Roma e profondissimo conoscitore di ogni ramo
del diritto _ quantunque il suo campo di interesse si incentrasse
principalmente sugli studi di diritto romano _, era considerato
ormai, non senza ragione, uno degli esponenti più significativi della cultura
giuridica italiana. Ma, al di là della stima per il suo allievo più illustre,
potrebbe aver motivato l’indicazione dello Scialoja soprattutto il fervore
convinto con cui Pietro Bonfante andava sostenendo, in quei primi anni del suo
trasferimento a Roma, l’opportunità di introdurre negli studi giuridici i
diritti orientali: lo troviamo, così, ad essere fra i massimi sostenitori del
progetto per la creazione della Sezione giuridica della Scuola orientale,
annessa alla Facoltà di Giurisprudenza; e fra i principali artefici, nel 1919,
della chiamata per chiara fama alla cattedra di
Diritti dell’Oriente mediterraneo della Facoltà giuridica romana di un altro
allievo dello Scialoja, Evaristo Carusi (1866-1940). Per quanto, com’è noto,
proprio sulla produzione orientalistica del Carusi (il quale al tempo della
guerra di Libia «scoprì – scrive Mario Talamanca – l’Islam, il mondo e i
diritti orientali, venendo ad elaborare sugli stessi dottrine prive di
qualsiasi fondamento») si appuntassero le maggiori obiezioni e le critiche più
fondate degli specialisti; come avrebbe ben evidenziato qualche anno dopo la
chiamata romana, con la competenza che gli era propria, l’insigne orientalista
Carlo Alfonso Nallino (1872-1938).
2. Pietro
Bonfante si era laureato in giurisprudenza nell’Università di Roma all’età di ventitré
anni (7 luglio 1887), discutendo una tesi sulla
distinzione tra le res mancipi e le res nec mancipi: un tema _
come ha rilevato Emilio Albertario nel necrologio dedicato al Maestro _
di difficilissimo approccio per una dissertazione di laurea: «Nessun altro
studio poteva essere più sconsigliato e giudicato infecondo di quello che
avesse riesaminato ancora una volta la distinzione tra le res mancipi e le res nec
mancipi». Invece, da tale ricerca egli ricaverà il suo primo importante
lavoro, che venne pubblicato a Roma in due distinti volumi, nel 1888 e nel
1889, con il titolo: ‘Res mancipi’ e ‘nec
mancipi’.
In quegli anni
iniziò il suo insegnamento di materie romanistiche nell’Università di Camerino
(1888-1889) per trasferirsi l’anno successivo nell’Università di Macerata in
qualità di professore di Istituzioni di diritto romano. Ricoprirà lo stesso
insegnamento per alcuni anni (1891-1894) nell’Università di Messina; mentre dal
1894 al 1901 insegnerà nell’Università di Parma, per passare poi (1901-1904)
nell’Università di Torino. Seguirà il lungo periodo di permanenza nella
cattedra di Diritto romano dell’Ateneo di Pavia, dove era stato designato a
succedere al grande Contardo Ferrini. Finalmente, nel 1917, la chiamata a Roma,
nella cui Facoltà di Giurisprudenza egli terrà il suo insegnamento fino alla
morte. Inoltre, a partire dal 1906, aveva cominciato ad insegnare presso
l’Università Bocconi (ne fu anche rettore nell’anno accademico 1915-1916)
tenendovi corsi di Storia del commercio.
Col passare degli
anni, si fanno sempre più numerosi e importanti i riconoscimenti del prestigio
scientifico di Pietro Bonfante: socio ordinario dell’Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere; socio nazionale dell’Accademia dei Lincei; socio dell’Accademia delle
Scienze di Torino, di quella di Bologna e della Pontaniana di Napoli;
vicepresidente della Accademia d’Italia per
Ma, il segno più
evidente della sua indiscussa autorità scientifica è costituito dalla folta
schiera di romanisti insigni che si formò alla sua scuola: Giovanni Rotondi,
Guglielmo Castelli, Pietro de Francisci, Emilio Albertario, Edoardo Volterra,
Giuseppe Branca, Paolo Frezza e i molti altri che ancora si potrebbero citare.
3. La produzione scientifica di Pietro Bonfante è di una vastità a dir
poco imponente. Nel 1896 pubblicò a Firenze il suo
manuale di Istituzioni di diritto romano:
un manuale concepito per la scuola, ma che realizzava nell’esposizione
fortemente innovativa una fusione quasi perfetta tra la costruzione dogmatica e
lo svolgimento storico degli istituti giuridici. Immediatamente dopo la sua
pubblicazione, ad un recensore severo come Silvio Perozzi non sfuggì questa
originalità d’impostazione: «non ricorda nessun altro lavoro italiano o
straniero d’istituzioni o di pandette»; né l’importanza dell’opera per la
romanistica italiana: «Tra noi dall’imitazione straniera si emancipò prima
l’articolo; questo libro direbbe che si è emancipato anche il trattato». L’opera
ebbe un gran numero di edizioni e fu tradotta in diverse lingue straniere
(olandese, estone, ceco, spagnolo). Sempre a Firenze, nel 1900, il Bonfante
pubblicava un volume di sintesi intitolato Diritto romano, «l’opera più originale e poderosa nella sua
meravigliosa unità» (de Francisci), che pur nella sua brevità appariva «denso e
pieno di spirito» a Vittorio Scialoja, e che per Edoardo Volterra costituiva «una geniale sintesi in cui è tratteggiata l’evoluzione del
diritto romano». Seguì ad appena tre anni di distanza la prima edizione
della sua Storia del diritto romano
(Milano 1903), «con la quale egli si cimentava in un lavoro pionieristico, e
destinata ad una durevole fortuna nei nostri Atenei» (Capogrossi Colognesi); «lavoro che forse meglio di ogni altro rivela la forza del
pensiero e la vastità dei campi su cui spaziava il Bonfante» (Volterra).
Per il Bonfante una
storia del diritto doveva necessariamente rappresentare «nel campo delle scienze
giuridiche l’indirizzo positivo e sperimentale, che domina il pensiero
speculativo moderno»; in quanto, a suo avviso, soltanto dalla storia («intesa
quale una scienza naturalistica, non una disciplina letteraria») poteva
emergere «Il carattere organico e vivo degli istituti di diritto, il sentimento
delle loro finalità». Dunque, per queste ragioni, scriveva il Bonfante nella Prefazione dell’Autore: «la storia del
diritto romano sovrasta e s’impone per la sua grandiosa unità e continuità, per
l’armonica corrispondenza di tutti gli istituti pubblici e privati, per la
lunga catena di secoli, di cui ci è dato ricongiungere le anella col sussidio
di fonti ricche e sicure».
In seguito, a
partire dal 1916, la raccolta della vasta massa di studi minori in quattro
volumi di Scritti giuridici varii
contribuì a che i suoi lavori e le sue teorie godessero di una larghissima
diffusione, anche fuori dall’Italia: nel 1916 fu pubblicato a Torino il primo
volume (Famiglia e successione)
dedicato al diritto familiare e alle successioni; sempre a Torino, apparvero
nel 1918 il secondo volume (Proprietà e
servitù), in cui si ripubblicava, fra l’altro, con modifiche sostanziali il
saggio giovanile sulle Res mancipi, e
nel 1921 il terzo (Obbligazioni e
possesso), in cui sono raccolti i numerosi saggi dedicati alle
obbligazioni, alla comunione ed al possesso; fu invece stampato a Roma, nel
1925, il quarto volume (Studi generali) dal contenuto più eterogeneo:
saggi di carattere metodologico, contributi attinenti al diritto positivo,
interventi sull’Università o su problemi politici più generali. Dei circa
centosessanta articoli vari e monografie scritti dal Bonfante, che
costituiscono in alcuni casi esposizioni compiute di istituti giuridici, ben
centotredici sono state raccolte nei quattro volumi degli scritti giuridici.
Infine, il Bonfante
si risolse di intraprendere la composizione della sua opera di maggiore respiro
sistematico, rimasta purtroppo incompiuta: intendo riferirmi al trattato
monumentale, intitolato assai modestamente Corso
di diritto romano, che di fatto «pone la sua opera ad un livello mai
precedentemente raggiunto (e non più, forse, raggiungibile) nella tradizione
romanistica italiana» (Capogrossi Colognesi). Il primo volume del Corso, sul Diritto di famiglia, comparve nel 1925; ad esso seguirono tra il
1926 e 1928 altri due volumi su La
proprietà (II,1 - II,2); infine nel 1930 fu pubblicato dal Bonfante il
sesto volume dedicato a trattare Le
successioni (Parte generale); doveva poi uscire postumo, nel 1933, il terzo
volume (Diritti reali) sui diritti
reali e sul possesso, lasciato incompiuto dal Maestro e completato per la
stampa da uno dei suoi ultimi allievi, Edoardo Volterra.
Altri lavori del
Bonfante meritano di essere ancora citati: le Lezioni di storia del commercio (due volumi, Roma 1924-1925); la
edizione critica dei Digesta Iustiniani
Augusti, in collaborazione con Scialoja, Fadda, Ferrini, Riccobono; le Note al diritto delle Pandette
del Windscheid, in collaborazione col Maroi; le Appendici alla traduzione italiana del Trattato di diritto civile del Baudry-Lacantinerie (vol. I e II:
Dei beni e delle successioni); le Note
e Appendici alla traduzione italiana
del Glück. Vanno inoltre ricordati i suoi corsi universitari non rielaborati
nel Corso di diritto romano, come ad
esempio: Teoria del possesso e degli
istituti possessori (Pavia 1905-1906), Delle
obbligazioni (Pavia 1906-1907), Le obbligazioni (Pavia 1912), Lucri a causa di morte (Pavia 1914-1915)
e ancora Le obbligazioni (Roma
1918-1919).
Notevole fu anche la
sua attività di traduttore. Sono dovute, infatti, all’infaticabile opera di
Pietro Bonfante le traduzioni in lingua italiana di alcune opere fondamentali
della cultura giuridica tedesca contemporanea: il Disegno del diritto pubblico romano di Theodor Mommsen (Milano
1907);
4. Pochi altri studiosi sono stati
consapevoli al pari del Bonfante del fatto che lo studio del diritto non deve
essere isolato dalle altre manifestazioni della vita sociale: era per lui
inconcepibile indagare su di un determinato ordinamento giuridico, senza
ricostruire complessivamente l’evoluzione della vita del popolo che tale
ordinamento aveva espresso. Nella sua ricerca non considerava mai un istituto
giuridico in maniera isolata, bensì come un prodotto di un sistema economico-sociale
determinato, al quale bisognava risalire per trarre tutti gli elementi
indispensabili alla ricostruzione compiuta dello stesso istituto.
Fin dai suoi primi
lavori, il Bonfante applicò alla storia del diritto idee e principi propri
della biologia, con un metodo di ricerca che egli chiamò «naturalistico» e a
cui diede formulazione teorica nella celebre prolusione (Il metodo naturalistico nella storia del diritto) al corso di
Storia del diritto romano, tenuta nell’Università di Roma il 20 gennaio 1917:
«Il movimento degli istituti giuridici è un perenne adattamento della struttura
a nuove funzioni.[…] vieti istituti periscono per il cessare delle funzioni
ch’essi adempivano e nuove funzioni possono dar vita a nuovi istituti: istituti
di origine straniera possono esser trasportati in un nuovo ambiente sociale,
adattandosi ed acclimatandosi in esso. Tuttavia il principio fondamentale,
secondo cui nell’andamento normale delle cose procede l’evoluzione, consiste
nell’adattamento di vecchi istituti a funzioni nuove. L’evoluzione naturale
quando è lasciata a se stessa, procede economicamente, si vale di quel che
esiste, accomodando via via i vecchi elementi a nuovi fini».
Di Pietro Bonfante
risultano, ancora oggi, fondamentali le indagini sulla familia romana, della quale ha dimostrato l’originario carattere di
organismo politico. Così, grazie ai suoi studi, sono stati risolti molteplici
problemi che avevano travagliato la storiografia romanistica: valga per tutti
la definizione del ruolo dell’antico pater
familias, la cui somma di diritti
potestativi e reali egli inquadrava nel concetto unificante di “potere
sovrano”, sul quale si sarebbero modellati sia i rapporti fra i vari membri
della familia, sia il regime della
proprietà romana, la cui originaria corrispondenza con la sovranità del gruppo
familiare chiariva molti requisiti, apparentemente incongrui, del dominium ex iure Quiritium.
Gli studi del
Bonfante sono illuminanti anche per quanto riguarda l’origine della successione
ereditaria romana, in età storica ormai semplice
successione patrimoniale. Ma considerando soltanto l’ordinamento meramente
patrimoniale dell’istituto, non si sarebbero trovate sufficienti ragioni per
giustificare la vigenza di alcuni dei principi che ne stavano alla base;
conseguiva da tutto ciò, per il Bonfante, uno stretto rapporto causale tra il
carattere politico della famiglia quiritaria e la successione ereditaria romana
primitiva: nel senso che questa sarebbe consistita principalmente nella
successione alla sovranità del gruppo familiare per designazione diretta da
parte del pater, il quale in tal modo
avrebbe disposto anche in merito all’aspetto patrimoniale della successione.
Nella prospettiva bonfantiana, dunque, la successione per testamento
precederebbe storicamente la successione legittima.
La ricostruzione
dell’antica famiglia romana come organismo politico consentì, inoltre, al
Bonfante di prospettare la famosa tesi relativa al «parallelismo del diritto
pubblico e del diritto privato in Roma». Come è noto, tale tesi, formulata
dallo studioso fin dal
Nel breve spazio
riservato a questa nota, non sarebbe certo possibile dar conto in maniera
compiuta delle teorie e dei risultati conseguiti dal Bonfante applicando la sua
visione naturalistica del diritto. Basterà avervi fatto qualche breve cenno, da
cui spero sia stato possibile cogliere l’originalità e la raffinata complessità
del suo pensiero.
Anche per questa ragione, non può che
considerarsi impresa altamente meritoria sul piano scientifico, quella
intrapresa da Giuliano Bonfante e da Giuliano Crifò: i quali, a partire dal
1958, hanno curato con pietà filiale e devota la riedizione delle Opere complete di Pietro Bonfante, per i
tipi della Casa Editrice Giuffrè. E proprio alla loro riedizione delle opere
complete dobbiamo un rinnovato interesse per le teorie bonfantiane e la
ammirata constatazione che, a distanza di molti anni dalla scomparsa del
Maestro, gli scritti del Bonfante «si presentano tuttora vivi e fecondi non
solo per lo studio del diritto romano, degli altri diritti antichi e della
storia antica, ma anche della storia in generale e della filologia (non solo
classica); essi anzi, pur dopo molti decenni, rappresentano ancora oggi il
fondamento per la discussione di problemi capitali» (Tibiletti).
5. Si è già detto che l’incarico di stendere
una memoria «per Faysal re di Siria», destinata alla Società delle Nazioni, fu
conferito al Bonfante, che allora «era anche delegato italiano al Congresso
Internazionale di Milano per deliberare circa le attribuzioni della Società
delle Nazioni» (Castro), su indicazione di Vittorio Scialoja. Forse l’incarico
istituzionale del Bonfante ebbe un qualche peso nella sua designazione da parte
di re Faysal; non direi che ne abbia avuto per lo Scialoja, poiché egli sapeva
troppo bene quanto gli interessi scientifici e gli orientamenti culturali
rendessero il suo illustre allievo particolarmente adatto a sostenere,
magistralmente, «il buon diritto del popolo arabo».
Gli interessi del
Bonfante per i diritti dell’Oriente mediterraneo, considerati come «ampliamenti
di orizzonte della sua stessa disciplina» (Capogrossi Colognesi), datavano
ormai da qualche decennio; da quando, cioè, le scoperte archeologiche avevano
riportato alla luce importanti documenti giuridici delle antiche civiltà
mesopotamiche, come il famoso codice di Hammurabi, di cui lo studioso aveva
pubblicato la traduzione italiana, preceduta da una prefazione piena di elogi
(«questa legge di Hammurabi non è primitiva se non per la data. Essa ci offre
dinanzi una matura e splendida civiltà, di fronte alla quale il tipo arcaico
delle XII Tavole risalta ancora più vivo. […] tutto rivela una società
ordinata, culta, fiorente di arti e degli agi della civiltà»); ma anche molto
cauta nella comparazione con l’esperienza giuridica romana («Notiamo in
particolare alcune caratteristiche schiettamente orientali che spiccano in
questo codice, specialmente in antitesi al tipo giuridico latino»).
Per di più, come
rileva il Capogrossi Colognesi, «l’orizzonte indoeuropeo non è mai diventato in
Bonfante – neppure nei suoi anni giovanili quando esso era maggiormente presente
all’attenzione sua e dei suoi contemporanei – una gabbia entro cui confinare il
suo comparativismo». Anzi, in una delle sue opere più mature,
Per quanto riguarda
la difesa degli Arabi, va dato atto al Bonfante di non aver disatteso le
aspettative che erano state riposte in lui. Infatti, nella memoria troviamo
esposte tutte le possibili ragioni storiche, morali e di diritto internazionali
a favore della causa araba; sviluppate con una profondissima competenza
storico-giuridica e con un notevole vigore argomentativo.
Per quanto riguarda
le ragioni storiche (e solo a queste posso qui accennare), esse si
sostanziavano per il Bonfante nel grande contributo culturale del popolo arabo
(«nell’era del suo splendore ha dato al mondo una civiltà ricca e di carattere
altrettanto universale quanto la civiltà greca e romana»), che ha rappresentato
a tutti gli effetti una delle componenti essenziali della civiltà occidentale
(«Il medio evo più antico che dal VII secolo va fino al 1000 può chiamarsi
nella storia del mondo l’epoca araba, come l’evo antico si chiama epoca
greco-romana»).
Tali ragioni avrebbero
dovuto, assieme alle altre più squisitamente politiche e giuridiche, superare
infine le motivazioni (politiche) che inducevano le potenze dell’Intesa a non
riconoscere validità alle convenzioni anglo-arabe. Queste erano, a parere del
Bonfante, sostanzialmente di due specie: «Da un lato il pregiudizio europeo pel
quale un popolo asiatico inconsciamente non è collocato allo stesso livello di
un popolo europeo, dall’altro la posizione della Francia, che per le sue
antiche aspirazioni in Siria, era rimasta estranea alla convenzione conclusa
con l’Inghilterra». Si trattava, quindi, di rimuovere in sede internazionale
questi due motivi, «deplorevolissimi entrambi»; ma dei quali il primo sembrava
particolarmente odioso, in quanto sarebbe stata una vera e propria assurdità
della storia «considerare estraneo alla civiltà un popolo dell’Asia
mediterranea, che ha contribuito con elementi essenziali in epoche diverse alla
creazione della civiltà europea».
Queste
argomentazioni, del resto, racchiudono convincimenti profondi che Pietro
Bonfante aveva manifestato anche in alcune delle sue opere scientifiche:
espressioni compiute di una ricerca storica che si è mossa costantemente nel
grande campo «della nostra civiltà, che potremo dire, secondo il punto di
vista, occidentale o europea o anche mediterranea, guardando al suo centro
antico di formazione» (Lezioni di storia
del commercio). E proprio
nelle Lezioni di storia del commercio
possiamo leggere una valutazione dell’apporto degli Arabi alla civiltà
mediterranea sostanzialmente simile a quelle della “memoria”: «nessun popolo ha
propagato in così piccolo spazio di tempo gli elementi più rari di tutte le
civiltà, Per talento commerciale e per la missione storica gli Arabi richiamano
molto dappresso i Fenici ed in genere le civiltà semitiche».
Per concludere,
sempre dalle Lezioni di storia del
commercio, vorrei ricordare una previsione del Bonfante sullo sviluppo
economico mondiale, ennesima conferma dell’acutezza del suo pensiero: «Il fatale
cammino della storia si rappresenta, com’è chiaro, anche sulla carta della
terra, e segue precisamente il cammino del sole da oriente a occidente. Dalle
sue prime sedi sulle rive dell’Eufrate e del Tigri, il centro della vita
economica passa al Mediterraneo e prima al Mediterraneo orientale, quindi a
tutto questo classico mare. Sulla fine del Medio Evo prosegue il suo cammino
per l’Atlantico, prima sulle rive orientali ed europee, poi sulle rive
occidentali in America. L’avvenire ci dirà se il futuro campo delle lotte
diverrà effettivamente, come pare accenni, l’Oceano Pacifico e l’Oceano
Indiano».
Ma forse il Maestro,
mai, avrebbe osato pensare che gli studenti del più grande popolo del nostro
tempo, il popolo cinese, avrebbero letto – come oggi leggono – le sue Istituzioni di diritto romano nella loro
lingua (Edizioni dell’Università della Cina di Scienze Politiche e
Giurisprudenza, Pechino 1993)[1].
-
S. Perozzi, recens. a P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 9, 1896, pp. 205 ss.[= Id., Scritti giuridici, III, a cura di U. Brasiello, Milano 1948, pp.
667 ss.];
-
V. Scialoja, Un maestro: Pietro
Bonfante, in L’illustrazione italiana,
22 gennaio 1933, p. 126 [= Id., Scritti giuridici, II, Diritto romano, seconda parte, Roma
1934, pp. 307 ss.];
-
E. Albertario, Pietro Bonfante, in Archivio Giuridico “Filippo Serafini” 109, 1933, pp. 5 ss.;
-
G. Bortolucci, Pietro Bonfante, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 41, 1933, pp. III ss.;
-
F. Maroi, Pietro Bonfante, in Rivista Internazionale di Filosofia del
Diritto, 1933 [= Id., Scritti giuridici, II, Milano 1956, pp.
497 ss.];
-
P. de Francisci, Commemorazione di Pietro
Bonfante e celebrazione del centenario giustinianeo, in Per il XIV centenario della codificazione
giustinianea. Studi di diritto pubblicati dalla Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Pavia, a cura di P.
Ciapessoni, Pavia 1934, pp. XXXVII ss.;
-
E. Volterra, Pietro Bonfante, in Genus 2, 1937, pp. 371 ss.;
-
F. P. Gabrieli, v. Bonfante Pietro, in Nuovo Digesto Italiano, II, Torino 1937, pp. 474 s.;
-
E. Albertario, Prefazione in P. Bonfante, Istituzioni di diritto
romano, X edizione, Torino 1946 [Ristampa corretta a cura di G. Bonfante e
di G. Crifò, Milano 1987, pp. IX ss.];
-
P. Voci, Esame delle tesi del
Bonfante su la famiglia romana arcaica, in Studi in onore di V. Arangio Ruiz, I, Napoli 1952, pp. 101 ss. [= Id., Scritti di diritto romano, I, Padova 1985, pp. 147 ss.];
-
E. Betti, Ancora in difesa della
congettura del Bonfante sulla “familia” romana arcaica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris
18, 1952, pp 241 ss.;
-
P. Voci, Qualche osservazione sulla
famiglia romana arcaica, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris 19, 1953, pp. 307 ss. [= Id., Scritti di diritto romano, I, Padova 1985, pp. 197 ss.];
-
F. P. Gabrieli, v. Bonfante Pietro, in Novissimo Digesto Italiano, II, Torino 1958, pp. 500 s.;
-
E. Betti, Pietro Bonfante. Prefazione alla ristampa
della IV edizione della Storia del diritto romano in P. Bonfante, Storia del diritto romano, I, [Opere complete di Pietro Bonfante, I]
Ristampa della IV ediz. riveduta dall’Autore, a cura di G. Bonfante e G. Crifò,
Milano 1959, pp. VII ss.;
-
M. Bretone, Il «naturalismo» del
Bonfante e la critica idealistica, in Labeo
5, 1959, pp. 275 ss.;
-
F. Casavola, Cronaca di una Storia del
diritto romano, in Labeo 5, 1959,
pp. 305 ss.;
-
P. Frezza, A proposito della riedizione delle ‘Opere’
di Pietro Bonfante, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris 25, 1959, pp. 371 ss.;
-
G. Tibiletti, Sull’opera di Pietro
Bonfante, in Rendiconti dell’Istituto
Lombardo, Classe di Lettere, 103, 1969, pp. 287 ss.;
-
L.
Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà e la formazione
dei «iura praediorum» nell'età repubblicana, I, Milano 1969, pp. 74 ss.;
-
Anonimo, v. Bonfante, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani,
XII, 1970, pp. 7 ss.;
-
G. Crifò, Nota introduttiva, in P. Bonfante, Diritto romano, [Opere
complete di Pietro Bonfante, IX] Ristampa corretta della I edizione
(Firenze 1900), a cura di G. Bonfante
e di G. Crifò, Milano 1976, pp. 3
ss.;
-
G. Bonfante, Il pensiero politico di mio padre, in Intervento 37, 1979, pp. 31 ss.;
-
G. Bonfante, Nota introduttiva, in P. Bonfante,
Lezioni di storia del commercio,
I. Era antica (mediterranea), [Opere complete di Pietro Bonfante, XI]
Edizione riveduta e corretta a cura di G.
Bonfante e di G. Crifò, Milano
1982, pp. V ss.;
-
R. Orestano, Prologo, in P. Bonfante, Lezioni di filosofia del diritto, a cura di G. Crifò, Milano 1986,
pp. VII-XII;
-
G. Crifò, «Un libro, che serve poco ai piccoli,
ma giova moltissimo ai grandi», in P. Bonfante, Istituzioni
di diritto romano, [Opere complete di
Pietro Bonfante, X] Ristampa corretta della X ediz. a cura di G. Bonfante e
di G. Crifò, Milano 1987, pp. XXI ss;
-
L. Capogrossi Colognesi, A cent’anni dalle
‘Res mancipi’ di Pietro Bonfante, in Quaderni
fiorentini per
-
G. Crifò, Bonfante a Betti (una
lettera del 1927), in Quaderni
fiorentini per
-
M. Talamanca, Un secolo di "Bullettino", in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano “Vittorio Scialoja” 91,
1988 [ma 1992], pp. IX ss.;
-
L. Capogrossi Colognesi, Il modello di
Stato e di famiglia nella storiografia dell’800, Roma 1994, pp. 165 ss. [Un romanista italiano di fine secolo: Pietro
Bonfante].
[1]
L’edizione cinese dell’opera del Bonfante (traduzione di Huang Feng,
con una “Nota introduttiva” di S.
Schipani) è stata pubblicata dall’Università della Cina di Scienze
Politiche e Giurisprudenza, nel quadro dell’accordo di collaborazione con il
Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano, con il Consiglio
Nazionale delle Ricerche e con l’Università di Roma “Tor Vergata”.