Istituto Giuridico di San Pietroburgo
della Procura Generale della
Federazione Russa
L’IMMAGINE
DELL’IMPERATORE COSTANTINO
IL
GRANDE NELLA TRADIZIONE POLITICO-
GIURIDICA
DEI CONSERVATORI RUSSI
G.
Kurbatov, famoso specialista sulla storia di Bisanzio, parlando di Costantino
il Grande, notava tra l’altro: «La storiografia cristiana non poco lavorò per
idealizzare la persona dell’imperatore cercando di approfittare della sua
gloria per santificare molte cose di quelle che ebbero sviluppo nella prassi
ecclesiastica solo nelle epoche successive».
Questa
definizione potrebbe essere applicata, in un certo modo, a tutta la letteratura
russa dedicata a Costantino, a tutte le opere scritte dagli storici della
chiesa e dei ricercatori che appartenevano alla corrente conservatrice del
periodo fine dell’Ottocento, inizio del Novecento, la cosiddetta corrente
“okhranitelnaja”, cioè “di protezione”. Di per se questo fatto non diminuisce
l’importanza delle suddette opere. Ricordo a questo proposito i nomi di N.S.
Grossu, A.P. Lebedev, D.A. Lebedev, F. Uspenskij ed altri.
In
misura ancora più notevole l’immagine del primo imperatore cristiano acquistava
un aspetto mitico negli scritti, che avevano carattere piuttosto di pamphlet
politico piuttosto che quello di ricerca puramente storica. Questo fenomeno si
spiega facilmente perché proprio da opere di questo tipo attingevano le loro
argomentazioni i sostenitori dell’influenza illimitata della chiesa sulla vita
dello stato, considerando le testimonianze storiche come materiale utile per
costruire le loro concezioni politico-giuridiche.
Così il
pubblicista conservatore dell’inizio del Novecento F.A. Kurganov scriveva: «da
quel giorno quando quel documento (intendeva l’editto di Milano del 313) venne
firmato, il pensiero di tutti i cristiani si rivolgeva tanto spesso all’editto
<di Milano>. In esso si definiscono giustamente le fondamenta della politica
ecclesiastica in uno stato cristiano».
Un elemento importantissimo
della detta tradizione politico-giuridica consiste nella concezione
dell’organizzazione monarchica statale come fenomeno dell’originalità
storico-culturale russa. Con questo il suddetto fenomeno viene contrapposto
all’idea tradizionale europea sulla monarchia. Come notava uno dei teorici del
movimento monarchico russo dell'emigrazione I.L. Solonevitch: «Tutto il corso
della storia della Russia portava il paese alla creazione di quella forma del
potere che in lingua russa si chiama “samoderzhavije” (assolutismo, autocrazia
zarista) per il quale non esiste termine straniero adeguato».
Un simile punto di vista
prevede di tenere in considerazione l’esistenza di una speciale “ideologia
russa” come un sistema coerente di concezioni sulla natura della società, del
potere e del diritto, nonché sul ruolo e sul luogo della Russia nella storia
mondiale.
Questa
ideologia venne elaborata su base delle idee di una particolare missione universale
della Russia ortodossa, quindi di un ruolo basilare della chiesa, della sua
dottrina ortodossa nella regolazione della vita sociale e statale.
Il
recepimento delle concezioni bizantine sullo stato e sul diritto serviva da
fondamenta per la costruzione della suddetta “ideologia russa”, nonché dei
rispettivi termini. Perciò questo complesso di concezioni potrebbe essere
chiamato in modo condizionale “bizantinismo” e perfino anche “costantinismo”.
Non si
può non acconsentire al fatto che «il problema politico-giuridico di notevole
importanza sociale rappresenti un elemento centrale della genesi delle dottrine
politiche e giuridiche come forme specifiche della conoscenza sociale».
L’epoca
di Costantino, l’attività riformatrice di questo imperatore, la suo riflesso
nel pensiero politico-giuridico bizantino e nella tradizione storica
diventavano un problema storiografico primario per i teorici della monarchia
russa.
Come
notava uno dei più illustri teorici di questa corrente L.A. Tikhomirov: «In
questo (cioè nell’unione della chiesa e dello stato) consiste la sua grande
idea che dimostra che Costantino era uno dei pochi uomini geniali che sanno
aprire una nuova direzione di movimento e di costruzione per tutta l’umanità».
A
Costantino si ascriveva non solo l’atto politico di unione delle due strutture:
dello stato e della chiesa, ma anche l’apporto nella vita politica della nuova
idea di una particolare “monarchia cristiana” che divenne fonte vivificatrice
per il pensiero politico-giuridico del Bisanzio e dopo per quello della Russia.
Nella
Russia ante-pietrina (=antecedente al regno di Pietro il Grande), nella Russia
“moscovita”, questa influenza si rivelava in modo esplicito, ma cominciando da
Pietro essa si trovò in uno stato del conflitto permanente con la nuova
tendenza, la tendenza occidentalista, che era per sostanza una tendenza di
razionalità secolarizzante delle idee sulla natura del potere e del diritto.
Però le
radici bizantine della dottrina politico-giuridica del monarchismo russo, anche
nel periodo post-pietrino, venivano riconosciute pienamente dal governo e dai
teorici che si attenevano alla corrente conservatrice. Su questo indica, in
particolare, almeno quel fatto che nel periodo di scoppio degli umori
“okhranitelnyje” (di protezione), durante il regno dell’imperatore Nicola I,
assieme alla limitazione e perfino all’abolizione dell’insegnamento nelle
università del diritto statale dei paesi europei si aboliva anche
l’insegnamento del diritto romano, che veniva sostituito dallo studio del diritto
bizantino.
Così
l’esame del riflesso delle realtà bizantine nelle concezioni
politico-giuridiche del conservatorismo russo, delle idee fondamentali ad esse
legate, ci permette di scoprire le ideologie di partenza del conservatorismo russo,
di descriverle in modo sistematico nei concetti e nei termini che vengono
utilizzati dalla scienza moderna giuridica. A suo tempo questo permette
inquadrare in quale paradigma di pensiero veniva creata l’immagine di
Costantino entro il corso del pensiero politico-giuridico e della storiografia
russa ad esso legata.
È noto che la nascita di quel complesso di concezioni giuridiche che in modo condizionale potrebbe essere chiamato “bizantinismo” avvenne nel periodo del regno del primo imperatore cristiano dell’Impero Romano Costantino il Grande (IV secolo). Il complesso ebbe una forma teorica per la prima volta grazie alla “vita di Costantino”, scritta dal suo contemporaneo Eusebio, vescovo di Cesarea.
Proprio lui tracciò i primi
contorni del sistema di cooperazione dei fattori della vita statale nell'impero
cristiano che dopo fu denominata "la sinfonia".
L’essenza
di questa concezione consiste nel paragonare l’impero terrestre al “Regno di
Dio”. La realizzazione dei principi cristiani va garantita nella vita terrestre
dal potere statale, cioè dall’imperatore insieme alla Chiesa.
La
teoria della “sinfonia” ebbe il successivo sviluppo nella legislazione
bizantina e nei canoni della Chiesa. L’idea che
«Rendete
dunque a Cesare quel ch’è di Cesare, e a Dio quel ch’è di Dio» (Matteo, XXII, 21).
Siccome il compito del
monarca è una sistemazione pratica della vita per assicurare l’attività della
Chiesa, mentre quello della Chiesa è la cura delle “anime”, allora dalla
competenza del potere laico vengono automaticamente escluse la direzione della
Chiesa e la soluzione dei problemi dogmatici della dottrina religiosa, cioè
tutto quello che si riferisce alla sfera del culto. Partendo dalle parole
dell’Apostolo Paolo sul giudizio della Chiesa (Prima lettera ai Corinzi, 6, 1-7):
V’è tra voi chi, avendo una questione con un altro, osa farsi giudicare
dagli ingiusti anziché dai santi? O non sapete che i santi giudicheranno il
mondo? E se è da voi che verrà giudicato il mondo, siete dunque indegni di
giudizi di minima importanza? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto
più le cose di questa vita! Se dunque avete liti per cose di questo mondo, voi
prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? Lo dico per vostra
vergogna! Cosicché non vi sarebbe proprio nessuna persona saggia tra di voi che
possa far da arbitrio tra fratello e fratello? No, anzi, un fratello viene
chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a infedeli!
anche
l’esercizio della giustizia in una certa misura capita nella competenza della
Chiesa.
Tutte
le sfere indicate si trovano nella zona di azione del diritto canonico.
Quest’ultimo viene considerato come quello che sta più in alto rispetto alla
legislazione civile. Da qui deriva come conseguenza logica la necessità di
coordinare la legislazione civile con le norme del diritto canonico, cioè in
fin dei conti con la dottrina della Chiesa.
In
questo modo la base del principio bizantino monarchico e poi di quello russo
non sta l’idea del dispotismo del monarca, ma nell’idea di servire Dio, di
realizzare nella vita pratica degli ideali cristiani. Da qui per il monarca
nasce il dovere di coordinare i propri atti del potere con le esigenze sei suoi
sudditi cristiani. Questo principio sottende un altro fattore della vita dello
stato, cioè l’espressione della volontà del popolo come modo di far pervenire
al sommo potere le opinioni e le speranze della popolazione.
Si
riconoscono legittimi soltanto gli atti del monarca che non violano le
prerogative della Chiesa e si recepiscono in conformità alla volontà delle
masse popolari e allo spirito dei comandamenti evangelici.
Il “samoderzhavije” (= assolutismo zarista, autocrazia) nella sua interpretazione ideale viene considerato come forma della “democrazia popolare” con la quale tanto il diritto positivo, quanto le disposizioni delle autorità costituite non possono contraddire di principio l’idea del dovuto e giusto, in altre parole non devono contraddire la coscienza civile della popolazione cristiana.
La
particolarità di un tale sistema consiste nel suo carattere di principio “non
giuridico”, nell’assenza di una esplicito impegno formale, e di sanzioni per la
violazione di questa “costituzione non scritta” da parte del monarca.
Però,
se il monarca trasgredisce la “sinfonia”, il suo potere può perdere la sanzione
ecclesiastica e come conseguenza il popolo sarà liberato dal dovere di subire a
questo potere. La “sinfonia”, a differenza del principio occidentale di
dividere i due poteri, non deve portare al reciproco equilibrio dei fattori
della vita dello stato, ma alla loro fusione nella volontà unita del
samoderzhez dello zar. La sua volontà non è l’arbitrio del monarca assoluto, ma
rappresenta una formalizzazione dell’espressione della volontà del popolo che
trasforma in diritto ciò che lo è dal punto di vista della coscienza civile del
popolo, educato nei valori cristiani.
Il
sistema che abbiamo esposto può essere considerato un fondamento generale sui
cui poggiavano le concezioni politico-giuridiche dei rappresentanti del
pensiero conservatore russo. I conservatori russi differiscono l’uno dall’altro
soprattutto nel collocamento degli accenti e nella misura di coerenza logica e
di elaborazione dei particolari.
Oltre a
questo non sempre veniva apertamente riconosciuta la presenza delle radici
bizantine nelle opinioni sull’ordinamento monarchico dello stato. Così i
rappresentanti della corrente “slavofila”, di regola, aggirano questo problema
senza affrontarlo, cercando, evidentemente, di sottolineare l’originalità e
l’unicità del modello storico dell’ordinamento dello stato russo (I.S. Aksakov,
A.A. Kireevskij, A. Khomiakov, D. Khomiakov ed altri).
Nello
stesso tempo K.N. Leontiev indicava direttamente Bisanzio come luogo di nascita
del modello dell’ordinamento monarchico dello stato - samoderzhavije –
assimilato dalla Russia.
Anche
M.N. Katkov notava che: «Lo zar russo è, più che erede dei suoi antenati,
successore dei cesari dell’Impero Romano d'Oriente, custodi e protettori
dell'attività della Chiesa e dei suoi Concili che stabilirono il simbolo stesso
della Chiesa. Con la caduta di Bisanzio emerse Mosca e ebbe inizio la grandezza
della Russia. Ecco dove sta quel segreto fenomeno della profonda particolarità
che differenzia
Anche
L.A. Tikhomirov attribuisce a Bisanzio un ruolo singolare nella formazione
della “monarchia cristiana”.
L’esposizione
dei motivi storici di queste idee fu dato nelle opere dei rappresentanti sia della
storiografia ecclesiastica, sia di quella laica. Per loro questo insieme di
idee definiva la scelta dell’argomento e dei metodi di ricerca.
Come
abbiamo detto prima, il problema centrale è l’immagine di Costantino il Grande
come modello del “monarca cristiano”, fondatore di Bisanzio e del
“bizantinismo”. Questa immagine si creava in gran parte grazie all’aperta
opposizione verso gli storici occidentali che criticavano la tradizione
ecclesiastica, nonché grazie alla polemica nascosta con gli avversari russi del
“bizantinismo”, liberali e “nichilisti”.
Come
scrive E.D. Frolov, è fuori dubbio che «quello che fu fatto nel ramo della
storia universale (in Russia) nell’epoca ante-pietrina (cioè prima dell’inizio
dell’Ottocento), è interessante non tanto per la storia di questa scienza
quanto per l’illustrazione delle concezioni della società russa dell’epoca».
Però, relativamente al nostro tema, la situazione cambiò ben poco anche nel
periodo post-pietrino. Un grado tanto alto di attualità politica induceva gli
storici a definire a priori le conclusioni di una ricerca ancora non compiuta.
Oltre a questo, molto spesso, scrivendo di Costantino, gli autori si attenevano
ai calcoli attuali dell’opportunità politica.
L’opera
di I.I. Golikov "Il confronto delle qualità e delle azioni di Costantino
il Grande con le qualità e azioni di Pietro il Grande", famoso anche come
autore degli “Atti di Pietro il Grande”, si può annoverare tra i primissimi
scritti di questo genere: un libro apologetico dedicato alla vita e attività
dell’imperatore riformatore russo Pietro I.
Lo
scritto di Golikov è pregevole per tanti motivi. Anche se l’autore cita
Plutarco per spiegare la sua scelta del genere delle biografie parallele,
ciononostante, è molto caratteristica la composizione della coppia Costantino –
Pietro. Questa scelta rivela il desiderio creare un collegamento tra la
tradizione della vecchia Mosca, fondata sul “bizantinismo”, e quella nuova
tradizione occidentalista, che si sviluppava dai tempi di Pietro .
È
interessante notare che il libro citato non era un'opera originale dello stesso
Golikov, ma era stato pensato e scritto da un rappresentante del clero,
l'arciprete della cattedrale Arkhangelskij di Mosca, Petr Alekseevitch, il
quale, per motivi ignoti, consegnò il suo lavoro a I.I. Golikov affinché lo
terminasse.
In
questo libro ci sono già i primi elementi della critica storica. L’autore
cautamente biasima gli scrittori cristiani, rappresentanti della storiografia
ecclesiastica, trovando le loro opere troppo simili al panegirico di Costantino
e, con grande circospezione, nota che anche gli scritti degli autori pagani
contengono un parte di verità. Ma, dalle parole che seguono, possiamo capire
che nei suddetti scritti quella parte di verità riguarda soltanto ciò che si
dice a favore di Costantino.
Il
conflitto di Costantino con i pagani viene direttamente paragonato alla lotta
di Pietro contro “fanatici esaltati e raskolnik (scismatici)”, una
denominazione che serve per tutti quei tradizionalisti che si opponevano alle
innovazioni. Gli strelizzi (= la guardia, strelets) ribelli vengono equiparati
agli ebrei che avrebbero cospirato contro Costantino. Per tutta la narrazione
si ripete come un ritornello il ricordo della tolleranza di Costantino nei
riguardi dei pagani e di quella di Pietro nei riguardi dei conservatori.
La
legislazione di Costantino viene vagamente definita come “elegante”, ma dal
contesto si può capire che l’autore ritiene che la sua legislazione, come
quella di Pietro, esprime il principio della giustizia naturale e della
razionalità.
Molto
importante è il tentativo di provare che la politica ecclesiastica di Pietro ha
dei diretti paralleli con la politica religiosa di Costantino.
In modo
particolare l’autore sottolinea la devozione di entrambi, la loro avversione
per gli eretici e la loro attività missionaria.
Tra
Pietro e Costantino si stabilisce un certo legame sacrale. I.I. Golikov
riferisce che, durante la battaglia di Poltava, Pietro fu colpito in petto da
una pallottola che si conficcò nello scapolare, decorato con la croce, che una
volta apparteneva a Costantino il Grande.
Dopo il
libro di I.I. Golikov in Russia non vi sono più nuove opere dedicate a
Costantino. Nel pieno della guerra contro Napoleone il 1500o
anniversario dell’editto di Milano passò inosservato. Anche nei decenni
successivi
Un
nuovo interesse nei confronti della personalità di Costantino fu promosso dalle
accese discussioni dell’epoca tra i liberali-occidentalisti e i conservatori -
“potchvennik” (= chi sta sul proprio suolo) - quando l’esame retrospettivo
diventò necessario per attingere gli argomenti nelle contese verbali. In questa
situazione, il nuovo interesse su Costantino e sulla sua epoca generava
un’immagine notevolmente diversa da quella dipinta nel libro di I.I. Golikov.
Nella
seconda metà del XIX secolo cresce la quantità di opere dedicate interamente
all’attività di Costantino, oppure trattanti questa attività nel campo di un
tema più vasto, per esempio, nell'ambito della storia generale dei primi anni
della Chiesa o della storia di persecuzioni dei cristiani. Non possiamo
confermare la tesi che: «La letteratura teologica russa è meno ricca, dal
confronto con quella occidentale, di opere dedicate alla personalità di
Costantino».
Tenendo
conto della tardiva formazione degli studi sull'antichità in Russia come
scienza (ivi compresi gli studi di carattere storico-ecclesiastico), è
impressionante la quantità di opere che si riferiscono al nostro tema.
Il
maggior interesse nei confronti della figura del primo imperatore cristiano si
verificò in occasione del 1600o anniversario dell’editto di Milano,
quando vennero pubblicati numerosi scritti in prossimità della data che
otteneva un carattere politicamente impegnato. Il loro orientamento più
propagandistico che scientifico non veniva celato nemmeno dagli stessi autori.
Così F.A. Kurganov riconosce, che il 1600o anniversario era una
“data storta” e i festeggiamenti su larga scala si facevano per contrastare
quei notevoli successi del processo di distruzione delle fondamenta
dell’edificio ecclesiastico-statale posti da Costantino. Successi dovuti alle
forze avverse a questo ordine all’inizio del XX secolo. In particolare, F.A.
Kurganov polemizza con il primo ministro P.A. Stolypin, di orientamento
riformista. Kurganov dichiarava: «Bisogna tenersi ai principi di edificazione
ecclesiastico-statale, stabiliti dall’imperatore Costantino il Grande» poiché
«secondo essi si edificava, cresceva e si rafforzava
Il
primo imperatore cristiano si presenta in veste del “vescovo degli affari
esteri della Chiesa”. Questa definizione significa che tutta la sua attività
serviva, da una parte, per allargare l’influenza della Chiesa e, d’altra parte,
serviva per organizzare tutta la vita statale e sociale nello spirito della
dottrina cristiana. Si evidenzia che Costantino non costringe nessuno a
professare “la fede giusta”, ma ostacola la manifestazione degli elementi che
contraddicono le concezioni morali del cristiano. In questo modo egli priva
della possibilità di peccare perfino a chi non è capace di accettare
consapevolmente i precetti evangelici. La predica in Chiesa unita
all’ordinamento legislativo della vita, in conformità agli ideali cristiani,
contribuisce al trionfo completo del cristianesimo, in cui la morale e il
diritto,
Il
potere non è più un qualcosa di esterno rispetto alla società, ma rappresenta
un’unità organica dei “pasciuti” e del “pastore” che è il monarca in veste del
governatore Divino.
Questo
ordinamento mondiale viene rafforzato nella sfera spirituale dalla Chiesa e
dall’imperatore cristiano nella vita pratica materiale. Costantino considera sé
stesso come “Ministro del culto” (= Servitore di Dio) chiamato a realizzare nel
mondo terrestre gli ideali della dottrina ecclesiastica. Questo definisce e la
sua attività legislativa e la politica estera di cui la pietra angolare è il
desiderio di diffondere la luce della fede cristiana più largamente possibile.
Lo
stato cristiano non è semplicemente “l’impero per l’impero” oppure strumento di
dominio di un gruppo di uomini sull’altro, ma è una comunità che serve a
realizzare nella vita dei sommi ideali, che è predestinata non solo per
eliminare i nemici di Gesù Cristo, ma per aiutare i poveri e difendere i
deboli.
La
crudeltà dell’imperatore cristiano nei riguardi degli eretici (ma non dei
pagani) si ritiene inevitabile, poiché loro attentano la ragione stessa
dell’esistere dello stato, la cui la giustificazione principale consiste nella
verità assoluta, percepita in modo univoco e la sua completa realizzazione
nella vita pratica. Questa verità va precisata, se è necessario, al concilio,
ma tutta la vita dello stato deve presentare la sua rivelazione nelle
circostanze concrete.
L’imperatore
prende parte alla discussione al concilio, ma egli stesso ubbidisce alle
decisioni del concilio.
Tante
volte viene sottolineata l’umiltà di Costantino, la sua rinuncia di ingerirsi
negli affari della Chiesa. Si capisce che la conversione dell’imperatore al
cristianesimo viene interpretata come provvidenza Divina. Tutta la sua vita
viene presentata come una vita indirizzata all’unico scopo: al trionfo della
dottrina evangelica .
L’immagine
morale di Costantino appare praticamente impeccabile e le testimonianze
storiche di carattere opposto si smentiscono in diversi modi.
Il
metodo principale per costruire il detto schema storico comprende una scelta
tendenziosa delle fonti combinata ad un antistoricismo (sic!) intenzionato che
emerge in grado maggiore o minore presso i diversi autori. La tradizione pagana
viene ignorata solo perché pagana. La ricerca rappresenta nella maggioranza dei
casi una semplice miscela di nozioni e di opinioni di Eusebio di Cesarea con
alcuni commenti molto particolareggiati da parte dell'autore.
L’antistoricismo
si rivela nella rinuncia di esaminare l’attività di Costantino nel contesto
dell’epoca, nella tendenza chiara di non vedere la specificità dell’atmosfera
psicologica del Tardo Impero Romano al confronto del periodo storico
contemporaneo del ricercatore.
Risulta
interessante notare che qualche volta i procedimenti metodologici descritti
sopra si presentavano insufficienti, e allora la concezione storica di Eusebio
veniva corretta.
Così A.
Kastorskij, il quale, forse, si rendeva conto che il racconto di Eusebio sulla
conversione di Costantino, avvenuta dopo la visione della croce nel cielo,
tradiva alcunché della coscienza religiosa pagana dell’imperatore, e quindi,
senza negare il fatto stesso della visione, nondimeno, cerca di menomarne il
suo significato e, a differenza di Eusebio, non ritiene la visione della croce
come fattore decisivo per la religiosità di Costantino.
Riassumendo
quanto è stato detto a proposito descrizione dell’attività di Costantino il
Grande nella storiografia russa del periodo pre-rivoluzionario e alla storia
del pensiero politico-giuridico, è possibile notare che l’immagine di
Costantino diventò elemento di ideologia della “monarchia cristiana” e perciò
veniva presentata in modo stereotipato e unilaterale.
Ma
questo potrebbe significare che le opere russe di quel periodo dedicate a
Costantino siano di interesse esclusivo degli specialisti della storia delle
dottrine politico-giuridiche del conservatorismo russo?
La
risposta è nettamente negativa.
Qualsiasi
mitologia sociale si appoggia sempre sulla preferenza nei confronti di certe
fonti piuttosto che di altre. Siccome nell’opera dello storico si rivelano
sempre le sue simpatie e antipatie nascoste, bisogna tenerne conto
nell'utilizzare il suo lavoro. Ma allora non si può fare a meno di studiare e
conoscere i limiti del paradigma del pensiero, del “campo culturale”, in cui
agiva lo studioso.
Nel
nostro caso le opere ideologizzate dedicate a Costantino, con la loro
illimitata fiducia alla tradizione della Chiesa servirono da buon contrappeso alla
storiografia occidentale ipercritica, la quale in quel periodo ripudiò
completamente la suddetta tradizione.