Università del País Vasco
Influenza
delle leggi costantiniane
nella lex Visigothorum[1]
In questo seminario centrerò
il mio intervento sull’influenza delle leggi costantiniane nella Lex Visigothorum[2].
Ho voluto sfruttare l’occasione che mi offre la mia partecipazione al seminario
“Tradizioni religiose e istituzioni
giuridiche del Popolo Sardo: il culto di San Costantino imperatore tra Oriente
e Occidente”, privilegiato foro d’analisi dell’opera legislativa
dell’imperatore Costantino e della sua posteriore ripercussione, per continuare
a approfondire la sua influenza sulla LV; dal punto di vista concreto della possibile
presenza delle leggi costantiniane. Scoprendo risultati veramente
soddisfacenti.
Mi
soffermerò in maniera speciale su una serie di leggi della LV, tutte quante
d’ascendenza nettamente costantiniana, che presentano una interessante
particolarità in relazione con il diritto d’asilo. Al riguardo, la prima cosa
che dobbiamo tenere in conto, è che il diritto d’asilo nella Chiesa, anche se
era un’antica istituzione forse tollerata nella pratica, non comincia ad essere
riconosciuta legalmente fino alla fine del IV secolo, momento in cui viene ad
essere regolato paulatinamente, in alcune occasioni in maniera indiretta o
tangenziale, fino ad arrivare a costituzioni come quella di Teodosio II e
Valentino III dell’anno 431, nella quale gli si attribuisce un riconoscimento
formale[3]. In
ogni caso, anche le prime ed importanti misure che si adottano sono posteriori
a Costantino, visto che, come sappiamo, è falsa l’attribuzione del
riconoscimento del diritto d’asilo contenuta negli Actus Silvestri, secondo la
quale Costantino, avrebbe ammesso la possibilità dell’ausilio della chiesa per
quei rei, che in essa si fossero rifugiati[4].
Vorrei
però, prima di entrare nell’analisi di queste leggi in concreto, sviluppare
delle brevi note sul ruolo giocato dalla figura di Costantino in alcuni momenti
chiave della storia della monarchia Visigota, che possono esere illustrativi ed
al tempo stesso permettere di capire le cause del possibile ascendente della
sua legislazione sui rè visigoti e sulla loro attività normativa. Come
sappiamo, il popolo visigoto, di origine germaniche, si assesta nelle regione
romane della Gallia nel V secolo, per poi passare alla penisola iberica all’
inizio del VI secolo e da li in avanti dar forma ad una monarchia che sarebbe
poi di due secoli[5].
Un
momento storicamente decisivo di questa monarchia si visse alla fine del VI
secolo durante i regni di Leovigildo (569-585) e del figlio dello stesso suo
successore Recaredo (586-601). Leovigildo, primo re visigoto che adotta simboli
propri degli imperatori romano-bizantini, come possono essere: trono, scettro,
vestiti purpurei, diadema; prova, come si è poi potuto dimostrare, con la sua
energica ricerca dell’unità del regno e cercando di rinforzare la sua autorità
all’interno dello stesso, ad assimilarsi alla cultura romana. Questo monarca,
per esempio, oltre a curare in modo particolare il miglioramento estetico delle
città del regno e la fastuosa apparenza delle sedi reali, fonda anche nuove
città: Recopolis nell’anno 578, e più
tardi nell’anno 581, Vitoriacum[6].
Secondo Valverde[7],
in nessun altro dei regni germanici i re assunsero questa prestigiosa ed allo
stesso tempo ambiziosa funzione imperiale. A partire da Leovigildo si cominciò
a pensare che Toledo, capitale della monarchia visigota, fosse un’ autentica civitas regia o urbs regia, la
nuova Costantinopoli occidentale, alla quale senza alcun dubbio prova,
riuscendovi, a ricalcare in tracciati ed
edifici[8].
Sembrerebbe,
quindi, che con questo monarca si produce un formale rinnovamento della monarchia,
con la definitiva assimilazione dei concetti politici tipici del mondo
romano-bizantino, come nel caso del suo piano di unione, centralizzazione e
riunificazione amministrativa dello Stato: per concludere lo si è definito come
una autentica "Imitato Imperii"[9].
Questa
similitudine al modello Romano chiaramente patente quando nel 589 Recaredo si
converti nel primo re visigoto cattolico. Nel III concilio di Toledo, dove ha luogo
la sua conversione e, per tanto il suo abbandono dell’eresia arianna, si
manifesta, che nella Spagna visigota si sta seguendo da vicino il modello
imperiale. In questo periodo lo stesso Recaredo viene identificato con
Costantino[10].
Juan de Biclaro, Vescovo di Gerona e fondatore del monastero di Biclaro, di
origini visigote ed autore della cronaca più importante che si conserva della
Spagna Visigota, stabilisce il parallelismo tra Recaredo -al quale si riferisce
come princeps- circondato dai suoi
Vescovi nel III Concilio di Toledo, e Costantino in Nicea, anch’esso
accompagnato dai suoi prelati[11].
E qui c’è la circostanza che Juan de Biclaro visse, per ben diciassette anni
dal 558 al
Lo
stesso Juan de Biclaro, cronista eccezionale dell’epoca, ci presenta il
collegamento esistente tra l’apparizione dell’eresia ariana nell’epoca di
Costantino, la sua condanna nel Concilio di Nicea, la sua continuazione in
quello di Calcedonia e la sua definitiva estinzione in quello di Toledo,
nel III Concilio de Toledo. Si è
segnalato, in questo senso, che il Concilio di Toledo, che si include tra i
grandi Concili Ecumenici della storia cattolica, è continuatore e successore
dei grandi sinodi dell’impero romano. L’identificazione costante tra Costantino
e Recaredo il quale s’ acclama come il re ortodosso (ortodoxus rex), e al quale i
padri conciliari si riferiscono, come lo fanno con Costantino, come
"Apostolo di Cristo", porta a che gli si riconosca il titolo di Flavius nel momento in cui firma gli
atti del Concilio. A partire da questo momento tutti i monarchi visigoti
ostenteranno il titolo di Flavius anteposto al propio nome, e a seguito dello
stesso la parola rex[13].
Esisteva
per tanto in questo momento, una conoscenza del ruolo chiave disimpegnato
dall’imperatore Costantino, conoscenza che allo stesso tempo sembra compartisse
anche il padre ed antecessore di Recaredo, l’energico monarca Leovigildo, primo
tra i re visigoti ad addottare simboli reali propri degli imperatori. Di questo
re, Leovigildo, sappiamo che diffuse un Codice; Codex Revisus, che oltre ad essere prova d’emulato degli imperatori
romani è un’altra delle manifestazioni della coscienza della sua autorità[14].
Anche se non si sono conservati esemplari di quest’opera, le loro leggi come antiquae formano parte integrante della
LV, una importante collezione di leggi di differenti monarchi visigoti che
viene data alla luce nell’anno
Considerato
questo concetto come non pensare che anche nel caso delle leggi di Costantino
non gli si riservò una attenzione speciale. Se, adesso, dirigiamo la nostra
attenzione alle leggi che danno vita a questa composizione visigota, ci
accorgiamo che quelle tra loro con influenza costantiniana sono presenti in un
numero abbastanza elevato, ed allo stesso tempo distribuite all’interno dei
dodici libri che la formano. Visto che non posso commentarle tutte, cercherò di
analizzarne una piccola parte all’interno delle quali fattore comune sarà il
diritto all’asilo. Concretamente, come cercherò di dimostrare, si riscontra una
influenza di costituzioni costantiniane nelle seguenti quattro leggi della LV.
1) Nel
VI libro, De isceleribus et tormentis,
nel suo V titolo, De cede et morte
hominum, si registra una legge con la denominazione di antiqua, LV 6,5,18 ant.[16],
che in mia opinione ha come modello la costituzione di Costantino dell’anno
318, Codex Theodosianus 9,15,1[17],
presente nella Lex Romana Visigothorum[18]
9,12,1, e che, come tra l’altro possiamo comprovare, segue molto da vicino il
testo della sua Interpretatio[19]. Con la stessa si punisce con la pena
capitale il parricidio. Rispetto al modello romano s’è perso senza dubbio il
ricorso al culleus (poena cullei) come modo d’esecuzione
della pena. Un allegato non presente nella legge costantiniana e si nella
visigota, contempla la possibilità che gli omicida che avessero chiesto
rifugio, asilo alla Chiesa salvassero la loro vita soffrendo solo l’esilio,
sempre e quando contassero con la pietà dei principi o dei giudici. I beni del
soggetto in asilo passerebbero in proprietà ai parenti della vittima, o in sua
assenza, al fisco.
La
regola stessa venne più tardi rivista da un monarca posteriore, Chindasvinto
(642-653), in LV 6,5,16 Chind.[20].
Secondo il suo contenuto, i rei d’omicidio, e forse anche di veneficio, che
avevano avuto asilo nella chiesa, dopo aver debitamente consultato ed ascoltato
il clerico responsabile, potranno essere consegnati al loro persecutore sempre
che lo stesso giuri il rispetto delle
loro vite. Quello che li aspetta non sarà l’esilio come nella norma precedente,
LV 6,5, 18 ant., bensì l’accecamento.
Più
tardi il monarca Ervigio (680-687), nella revisione della LV che porta a
termine nel 681, modifica le due leggi, LV 6,5 16, Chind., e LV 6,5,18 ant. A partire da questo momento,
gli asilati verranno consegnati ai familiari della propria vittima, che
potranno disporre degli stessi a loro libero arbitrio, però, questo si, sempre
rispettandone la vita. La consegna in stato di schiavitù, sarà pena abbastanza comune nella LV[21].
2) La seconda legge della quale ci interessiamo la possiamo trovare nel
libro III, De ordine coniugali, nel
suo II titolo, De nuptiis inlicitis,
anch’essa antiqua, LV 3,2,2 ant.[22],
sembra avere un predecessore nella Costituzione di Costantino dell’anno 326 o
329 seguendo al Mommsen[23]
o al Seeck[24],
CT 9,9,1, che fu poi ripresa nella LRV CT 9,6,1[25].
Come nella norma anteriore, presenta
una relazione particolare con il testo della Interpretatio con la
quale si può osservare un chiaro parallelismo[26].
Così come già aveva segnalato Zeumer, può essersi usata anche
Questa
legge proibisce le relazioni tra le donne ingenue ed i servi o i liberti delle
stesse, stabilendo pene severissime per la sua contravvenzione. Nell’ultimo
paragrafo, s’addotta una misura interessante e che, come nella legge anteriore
e per le stesse ragioni, nemmeno faceva atto di presenza nella legge
costantiniana. In primo luogo si ricorda che la stessa pena, fustigazione e
morte nel rogo, sarà applicata a modi di castigo delle donne vergini o vedove,
nel momento in cui la relazione con il loro stesso schiavo, qualificata come
adulterio, venga provata in forma manifesta. Però, subito dopo, viene offerta
loro una misura paliativa, l’asilo nella Chiesa, in modo che, le stesse donne,
e non le sposate per esempio, possano eludere il rigore della condanna. Le
donne in asilo -non vengono menzionate però gli uomini servi o liberti con i
quali avevani avuto relazioni- potendo in questo modo salvare la propia vita,
verranno però consegnate a chi il re ordini in perenne stato di schiavitù. La
riduzione alla schiavitù sarà una tipica pena dell’adulterio nella legislazione
visigota[28].
3) la
terza legge di cui dobbiamo occuparci, LV 3,3,2 ant., come la precedente, la
possiamo trovare nello stesso libro, il III, De ordine coniugali, all’interno del suo titolo III, De raptu virginum vel viudarum, e
contempla il ratto [29].
Molte delle leggi di questo titolo III, dodici in totale, si rifanno al modello
della costituzione di Costantino del 318, 320 o 326[30],
CT 9,24,1, ripresa anche nella LRV CT 9,19,1[31].
In questo caso, la influenza del precedente romano sembra più assumere in modo
rilevante il contenuto che l’aspetto formale. Nella legge visigota che abbiamo
menzionato, anche s’ammette l’asilo, che, oviamente, non viene contemplato nel
testo costantiniano.
Il
rapitore e la donna rapita erano rei della pena capitale nel caso in cui lei si
fosse unita a lui, però allo stesso tempo potevano eludere il castigo nel
momento in cui chiedessero l’asilo del vescovo[32]
o della altaria sancta (della Chiesa), come é dettato dalla legge. In
questo caso, pertanto, grazie all’asilo potevano salvare la vita, però venivano
separati e sommessi alla servitù dei parenti della rapita. D’Ors[33]
attribuisce questa legge a Leovigildo, segnalando, secondo me con ragione, come
rispetto al modello della costituzione di Costantino si soavizza la condanna
per ratto nella LV, che solo tornava ad essere di pena di morte nel caso
contemplato da questa legge, ovvero quando i due decidessero unirsi, però come
abbiamo già detto potevano addirittura evitare la morte chiedendo asilo alla
Chiesa[34].
4) E
per finire, ancora una antiqua, LV
9.2.3 ant., del libro IX, De fugitivis et
refugientibus, titolo II, De his, qui ad bellum non vadunt aut de
bello refugiunt, ci offre anche la possibilità che il centenarius (comandante dell’esercito,
con cento uomini ai suoi ordini) disertore, ricorra alla richiesta d’asilo alla
Chiesa o al vescovo ed in questo modo salvi la sua vita[35].
Questa legge anche se non segue formalmente il modello romano, credo possa
essere ispirata dalla costituzione di Costantino del 323, CT 7,12,1, sui permessi (commeatus) ingiustificati[36].
Questa legge non fu, invece, riprodotta nelle LRV[37].
Come
abbiamo visto ci troviamo, per tanto, di fronte a quattro leggi antiquae, il cui precedente romano può
essere individuato con maggior o minor sicurezza secondo i casi, nelle
costituzioni di Costantino, riportate nel CT ed incluse anche nelle LRV
-eccezion fatta per l’ultima trattata-, e nelle quali vediamo che si è seguito
principalmente il testo della Interpretatio.
Sappiamo che nella LRV, raccolta di leges
e iura romani che completa Alarico II
nell’anno 506, venivano raggruppate costituzioni imperiali del CT, con alcune
novelle post-Teodosianas, testi delle PS, così come certe costituzioni dei
codici Gregoriano ed Emogeniano, con l’epitome di Gaio ed un frammento dei Responsa
di Papiniano. Tutti questi testi vengono accompagnati in molti casi –non tutti-
da una Interpretatio per rendere più
chiaro e comprensibile il loro contenuto[38].
La genesi di queste interpretazioni si è situata nella Gallia nel V secolo.
Nemmeno possiamo dimenticarci che fu proprio in territorio Gallo dove i visigoti
promulgarono due dei loro corpi legali: il Codice d’Eurico, della fine del V
secolo e la già citata LRV.
Nelle
quattro leggi alle quali mi sono riferita
-rispetto ad omicidio, adulterio, ratto, diserzione o licenza ingiustificata dall’esercito- viene
stabilita la pena di morte, seguendo così in questo aspetto il loro precedente
romano, fatto salvo forse il supposto di diserzione. Su questa
base, verrà aggregato posteriormente, in epoca visigota, la possibilità per i
condannati di salvare la propria vita chiedendo asilo alla Chiesa. Un altro
punto molto interessante da prendere in considerazione è che Giustiniano
nell’anno 535 esclude dalla prerogativa dell’asilo concretamente i rei di
omicidio, adulterio e ratto (ratto di donne vergini), come è riportato nella
Nov. 17,7[39].
Quindi vediamo che Giustiniano elimina dall’asilo questi supposti
sopraindicati, chi sono invece ammessi espressamente nella LV.
Però,
inoltre, dobbiamo prendere in considerazione altre circostanze. Nella LV, un
titolo, il III del libro IX, De his, qui ad ecclesiam confugiunt, contiene quattro leggi, tutte loro anche
antiquae, che ordinano gli aspetti
basici del diritto d’asilo e ci offrono temi in diretta relazione con due dei
più regolamentati casi di rifugio: quello degli schiavi, e quello dei debitori.
Nell’ultima delle leggi del titolo, LV. 9.3.4, si fa un riferimento concreto a
ipotesi dove viene riconosciuto anche il diritto d’asilo, che si concretizza
per i casi di omicidio, maleficio e veneficio. Come si indica espressamente
nella legge, il regolamento del diritto d’asilo per i rei di questi delitti si
trova nelle loro proprie sedi. Quindi, nella legge si ammette la possibilità
d’asilo nelle ipotesi che si riferiscano a colpevoli di omicidio, maleficio e
veneficio, però si rimanda a quelle leggi specifiche che trattano questi
delitti per regolarne gli effetti[40].
Le leggi corrispondenti a questi ultimi atti illeciti furono, nonostante,
riviste da un monarca posteriore, Chindasvinto, e in esse non figura (nello
stato nelle quale ci sono pervenute) la possibilità d’asilo. Nonostante tutto,
sono leggi che, anche se modificate, continuano a mostrarci chiaramente le loro
origini costantiniane sulle quali senza dubbio si basano[41],
e ci permettono di affermare che probabilmente i condannati per maleficio e
beneficio potrebbero servirsi dell’asilo della Chiesa per salvare la propria
vita. Tra le altre cose assume importanza particolare il fatto che in LV 6.2.1
e 4[42]
Chind. già non venga considerata, dopo la riforma di Chindasvinto, la pena di
morte per i rei di maleficio e veneficio.
Quindi possiamo costatare che in materia
d’omicidio, specialmente parricidio, adulterio, ratto e diserzione troviamo all’ interno della LV leggi di
origine costantiniana, anche se LV 6.5.18 ant. e LV 3.2.2 ant. sono in
maggior livello debitrici della versione dell’Interpretatio visigota, di ben più facile comprensione, alla
quale i legislatori visigoti aggiunsero la possibilità del ricorso alla
richiesta d’ asilo della Chiesa in modo da mitigare la pena. Tutte queste
leggi, di cui abbiamo parlato appartengono all’ insieme delle leggi registrate
come antiquae. Appellativo,
con il quale furono battezzate dagli stessi compilatori visigoti, che rimanda
effettivamente all’appartenenza delle stesse al substrato più antico
dell’insieme delle norme che compongono la LV[43].
Di difficile ubicazione temporale, potrebbero provenire dal Codice d’Eurico
della fine del V secolo, o dal posteriore, ed anche scomparso, Codex Revisus di Leovigildo. Anche se,
in realtà, è necessario sottoliniare l’insicurezza dell’attribuzione di una
gran parte delle antiquae ad un
determinato periodo o monarca. In ogni caso, molte tra queste leggi in più ci
mostrano, in forma patente, l’essere state rielaborate nel corso del tempo;
questo forse per poterle addattare necessariamente alla realtà di cambiamento
visigota. Mi inclino a considerare che le leggi che ho preso in considerazione
potrebbero trovarsi, precisamente, tra queste.
Per
concludere, e una volta sottolineata questa premessa, vorrei mettere in rilievo
i seguenti aspetti:
1- Da
una parte il prestito evidente di costituzioni costantiniane in materia penale,
in un momento in cui, con tutte le cautele, mi inclino ad identificare in
origine con Leovigildo. Non possiamo considerare estraneo alle pretensioni di
questo energico monarca, che, nel suo tentativo di dar forza alla sua autorità
con un potere legittimo, autonomo e superiore rispetto all’estero ed
all’aristocrazia, prendesse in grande considerazione le norme costantiniane,
nello stesso modo in cui per altro aveva fatto emulando altre manifestazioni
del potere imperiale.
2- Tra
le altre cose, il castigo in tutte queste leggi, quando è di pena capitale,
viene mitigato accettando il ricorso all’asilo della chiesa, senza dubbio
alcuno un allegato dei propi legislatori visigoti.
3-
D’altro canto, e anche se dobbiamo rinunciare a determinare con assoluta
sicurezza in che momento della storia si produsse l’allegato, se nell’epoca di
Leovigildo o più tardi, è curioso il fatto che precisamente si contempli
l’asilo nei casi espressamente esclusi da Giustiniano nella sua Nov. 17,7.
In
conclusione, penso di aver evidenziato il fatto che la monarchia visigota, non
solo non abbandonò il modello romano, ma si raffermò in esso basandovi le
speranza di consolidarsi, ed in questa fase ricorsero anche alle leggi
costantiniane nella loro “Imitato Imperii”.
[1]
Versione non definitiva. Fonti: Ioannis Biclarensis, Chronicon. Edizioni
di J. CAMPOS (Madrid 1960); Lex
Visigothorum (LV), ed. K. ZEUMER, Monumenta
Germaniae Historica, Legum sectio 1, tomus
1. (Hannoverae et Lipsiae 1973 = 1902); Codex
Theodosianus2, edd T. MOMMSEN-P.M. MEYER, Theodosiani libri XVI (Berlin 1971=1905).
[3] CT 9,45,4.
Sul diritto d’asilo esiste un’amplia letteratura Cfr. D. A. MANFREDINI, ‘Ad ecclesiam confugere‘, ‘Ad statuas
confugere‘ nell’età di Teodosio I, in Atti
dell’Accademia Romanistica Costantiniana. VI Convegno Internazionale
(Perugia 1986) 39-58; P. TIMBAL DUCLAUX DE MARTIN, Le droit d’ asile (Paris 1939) pp. 55 ss.; J. GAUDEMET, L’Église dans l’Empire Romain ( IVe - Ve siécles ) (Paris 1958) pp. 282-287; H. SIEMS, Zur Entwicklung des Kirchenasyls zwischen Spätantike und Mittelalter,
in Libertas Grundrechtliche und
rechtsstaatliche Gewährungen in Antike und Gegenwart. Symposion aus Anlaß des 80.
Geburtstages von Franz Wieacker (Ebelsbach 1991) pp. 139-186;
L. WENGER, v. Asylrecht , in Reallexikon für Antike und Christentum I
(1950) 836-844; G. CRIFÒ, v. Asilo. Diritti antichi, in ED III (Milano 1958) pp. 191-197; G.
VISMARA, v. Asilo. Diritto intermedio,
in ED III (Milano 1958) pp. 198-203;
B. BIONDI, Il diritto romano cristiano,
1 (Milano 1952) pp. 387-391; Th. MOMMSEN, Römisches Strafrecht
(Leipzig 1961=1899) pp. 458-462; M. SIEBOLD, Das Asylrecht der römischen Kirche mit besonderer Berücksichtigung
seiner Entwicklung auf germanischem Boden (Münster i. Westf. 1930); R.
GAMAUF, Ad statuam licet confugere.
Untersuchungen zum Asylrecht im römischen Prinzipat (Frankfurt am Main
1999); P. LANDAU, Traditionem des
Kirchenasyls, in Asyl am Heiligen
Ort. Sanctuary und Kirchenasyl. Vom Rechtsanspruch zur ethischen Verpflichtung (Ostfildern 1994); A. D’ORS, op. cit.,
pp. 81-83; M. TORRES, Historia de España,
R. Menéndez Pidal, III (Madrid 1940) p. 310. W. MOSSAKOWSKI, Azyl w póznym Cesarstwie Rzymskim (confugium
ad statuas, confugium ad ecclesias) (Torun 2000); A. DUCLOUX, Ad ecclesiam confugere. Naissance du droit d’asile dans
les églises (IVe –
milieu du Ve s.) (Paris 1994).
[4] Cfr. D. A. MANFREDINI, op. cit., 44; V. AIELLO, Costantino,
la lebra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo. Colloquio sul
Cristianesimo nel mondo antico 1 (Macerata 1992) pp. 17-58; G. VISMARA, op. cit., p. 198; P. TIMBAL DUCLAUX DE
MARTIN, op. cit., p. 114.
[5] Mª. R. VALVERDE
CASTRO, Ideología, simbolismo y ejercicio
del poder real en la monarquía visigoda: un proceso de cambio (Salamanca
2000); L. A. GARCÍA MORENO, Historia de
España Visigoda (Madrid 1989); E. A. THOMPSON, Los godos en España, 3 éd (Madrid 1985); R. COLLINS, España en
[6] Ioannis Biclarensis, Chronicon, a. 578.4: Liuuigildus rex
extinctis undique tyrannis, et
pervasoribus Hispaniae superatis sortitus requiem propriam cum plebe resedit
civitatem in Celtiberia ex nomini filii condidit, quae Recopolis nuncupatur:
quam miro opere et in moenibus et suburbanis adornans privilegia populo novae
Urbis instituit. a. 581, 3: Liuuigildus
rex partem Vasconiae occupat et civitatem, quae Victoriaco nuncupatur,
condidit. Cfr. E. A. THOMPSON, op.
cit., 3 éd (Madrid 1985) 80; Mª. R. VALVERDE CASTRO, op. cit., pp. 182 ss.
[9] Mª. R.
VALVERDE CASTRO, op. cit., pp. 181
ss. GARCÍA MORENO, op. cit, pp. 321
ss., segnala come Leovigildo cerchi anche d’emulare Giustiniano.
[10] VALVERDE CASTRO, op. cit., 195 ss.; E. A. THOMPSON, Los godos en España, 3 éd (Madrid 1985)
113 ss.; R. GIBERT, La fundación del
reino visigótico. Una perspectiva histórico-jurídica, in: Album J. Balon (Belgique 1968) pp. 22
ss.; M. C. DÍAZ y DÍAZ, Los discursos del
rey Recaredo: El Tomus, in El
concilio III de Toledo. XIV Centenario 589-1989 (Toledo 1991) pp. 223-231.
[11] Ioannis Biclarensis, Chronicon, a.
590.1.343-368: Memoratus vero Reccaredus
rex ut diximus, sancto intererat concilio, renovans temporibus nostris antiquum
principem Cosntantinum Magnum sanctam synodum Nicaenam sua illustrasse
praesentia nec non et Marciamum, Christianissimum imperatorem, cuius instantia
Chalcedonensis Synodi decreta firmata sunt; siquidem in Nicaena urbe haeresis
Arriana et initium sumpsit et damnationem meruit radicibus non amputatis,
Chalcedona vero Nestorius et Eutyches una cum Dioscoro ipsorum patrono et
haeresibus propriis condemnati sunt. In praesenti vero Sancta Toletana synodo
Arrii perfidia post longas catholicorum neces, atque innocentium strages ita
est radicitus amputata insistente principe memorato Reccaredo rege, ut ulterius
non pullulet catholica ubique pace data ecclesiis. (...) Quae post haec non solum
Orientis et Occidentis partem maculavit, sed etiam meridianam et septentrionis
plagam et ipsas insulas, sua perficia irretivit. A vicemo ergo imperii
Constantini principis anno, quo tempore haeresis Arriana initium sumpsit, usque
in octavum annum Mauricii principis Romanorum, qui est Reccaredi quartus Regni
annus, anni sunt CCLXXX, quibus ecclesia catholica huius haeresis infestatione
laboravit: sed favente domino vicit, quoniam fundata est supra petram.
[12] J. CAMPOS, Juan de Biclaro, obispo de Gerona. Su vida y
su obra. Introducción,
texto crítico y comentarios (Madrid 1960)
pp. 15 ss.
[13] Vedere
un’analisi dettagliata di questa intreressante assimilazione e dell’epoca nella
quale viene situada in VALVERDE CASTRO, op.
cit., p. 201; L. A. GARCÍA MORENO, La
coyuntura política del III Concilio de Toledo. Una
historia larga y tortuosa, in El
concilio III de Toledo. XIV Centenario 589-1989 (Toledo 1991) 271-296; J.
N. HILLGARTH, El concilio III de Toledo y
Bizancio, in El concilio III de
Toledo. XIV
Centenario 589-1989 (Toledo 1991) pp. 297-306.
[14] E’
stata segnalata la relazione esistente tra Costantino ed Alarico, responsabile
della promulgazione della LRV, cfr. R. LAMBERTINI, La codificazione di Alarico II, 2 ed. ( Torino 1991) p. 49.
[15] Rispetto alla LV,
cfr. A. IGLESIA FERREIRÓS, La creación
del Derecho. Una historia de la formación de un derecho estatal español, v.
I, 2 éd. (Barcelona 1996) pp. 201-240; D’ORS,
Estudios visigóticos II. El Código de Eurico, Cuadernos del Instituto Jurídico Español
12 (Roma - Madrid 1960) pp. 1-19; K. ZEUMER,
Historia de la legislación visigoda (Barcelona 1944) pp. 13-68; R. UREÑA Y SMENJAUD, La legislación gótico-hispana (Leges Antiquiores - Liber Iudiciorum ).
Estudio crítico (Madrid 1905); P.D. KING, op. cit., pp. 19-41; J. ALVARADO PLANAS, El problema del germanismo en el Derecho Español (Madrid 1997) pp.
15-103; J. MORALES ARRIZABALAGA, Ley,
jurisprudencia y derecho en Hispania romana y visigoda (Zaragoza 1995) pp. 120 ss.; Y. GARCÍA
LÓPEZ, Estudios críticos y literarios de
la “Lex Wisigothorum” (Alcalá de Henares 1996); E. ÁLVAREZ CORA, Qualis erit Lex: la naturaleza jurídica de
la ley visigótica, in AHDE 66
(1996) pp. 11-117; J. Mª
PÉREZ-PRENDES MUÑOZ-ARRACO, Historia del
Derecho Español (Madrid 1999) pp. 479 ss.; Mª. R. VALVERDE CASTRO, op. cit., 226 ss.; E. OSABA, El adulterio
uxorio en
[16] LV 6.5.18, antiqua: Si patrem filius aut pater filium
seu maritus uxorem aut uxor maritum aut mater filiam aut filia matrem aut
frater fratrem aut soror sororem vel socerum gener aut socer generum vel nurus
socrum aut socrus nurum vel quemcumque consanguinitate sibi proximum aut suo
generi copulatum occiderit, morte damnetur. Quod si propter hoc homicida ad ecclesiam vel ad altaria sacra concurrens
pietate principum vel iudicum fuerit reservatus ad vitam, perpetuo maneat
persona eius exilio mancipata. [Ervigio.: Quod si propter hoc homicida ad
ecclesiam vel ad altaria sacra concurrerit, in potestate parentum vel
propinquorum occisi tradendus est, ut salva tantum anima quidquid de eo facere
voluerint habeant potestatem.] Omnem vero substantiam suam heredibus occisi
iuxta legis superioris ordinem iubemus addici, aut etiam fisco, si heredes
proximos occisus non reliquerit, sociari. Nam homicida nec facultatibus suis liberatus utetur,
etiam si penam mortis evadere mereatur.
[17] In seguito CT. C. DUPONT, Le Droit
Criminel dans les Constitutions de Constantin. Les infractions (Lille 1955)
pp. 31 ss.; Th. MOMMSEN, Römisches
Strafrecht (Leipzig 1961=1899) pp. 643 ss.; O. F. ROBINSON, The Criminal Law of Ancient Rome (London
1995); B. SANTALUCIA, Studi di diritto
penale romano (Roma 1994) pp. 107 ss.; id., v. Omicidio (Diritto romano), in
ED 19 (Milano 1979) pp. 885-896;
[19] IT CT 9.15.1, Interpretatio: Si quis patrem matrem,
fratrem sororem, filium vel filiam aut alios propinquos occiderit, remoto
omnium aliorum genere tormentorum, facto de coriis sacco, qui culleus
nominatur, in quo missus fuerit, cum ipso etiam serpentes claudantur: et si de
mare vicinum non fuerit, in quolibet gurgite proiciatur, ut tali poena damnatus
nullo tempore obtineat sepulturam. [CT
9.15.1 (=
[20] LV 6.5.16 Chindasvinto: Si homicida ad ecclesiam confugiat. Non sumus inmemores, de homicidis
actenus adque maleficis diversas quidem legum sententias precessisse et iuxta qualitate
sceleris penas esse prepositas, quas unusquisque eorum merebatur excipere.
Tamen, quia nequitie huius autores, quanto in malis amplius promti sunt, tanto
ad evadendum supplicium occasiones sepe pretendunt, ac se plerumque basilicarum
Dei defensione conmittunt, qui contra divinum preceptum scelera perpetrare non
metuunt, ideo, quia numquam debet hoc scelus inultum relinqui, quod et vitam
perimit et quorundam mentes ad deterius frequenter inpellit, hoc omnem per evum
mansurum damus edictum: ut, quemcumque homicidam seu maleficum lex puniri
precipit, et preterea, qui ex suo disposito vel male volumtatis adsensum tale
nefas committit, nulla hunc occasio nullaque umquam ab hac sententia potestas
excuset ; sed etiam, si contingerit eum ad altare sanctum fortasse confugere,
consulto tamen sacerdote ac reddito sacramento, ne eundem sceleratum publica
mortis pena condemnet, sacerdos eum sua intentione ab altario repellat et extra
corum proiciat, et sic ille, qui eum persequitur, conprehendat ; cui ab ecclesia
eiecto non alias mortales inferat penas, nisi omnem oculorum eius visionem
extinguat et sic ad aliorum terrorem infeliciter victurum dimittat. Erv: [ sed in potestate parentum vel
eorum, cuius propinquus occisus fuerit, contradendus est, ut excepto mostis
periculo quicquid de eo facere voluerint licentiam habeant ]
quatenus, dum malorum pravitas conspicit constituta sibi
supplicia preterire non posse, vel metu saltim territus a mali abstineat, quem
male volumtatis intentio ad inlicitum facinus sponte sepe precipitat.
[21] Ho
portato a termine una dettagliata analisi su queste due leggi in: Responsabilité
pénale et droit d’asile dans l’Hispania visigothique, en: Méditerranées (2002/2003) 22 pp. [in
stampa].
[22] LV
3.2.2, antiqua: Si ingenua mulier servo suo
vel proprio liberto se in adulterio miscuerit aut forsitan eum maritum habere
voluerit et ex hoc manifesta probatione convincitur, occidatur; ita ut adulter
et adultera ante iudice publice fustigentur et ignibus concrementur. Cum autem
per reatum tam turpis admissi quicumque iudex, in quacumque regni nostri
provincia constitutus, agnoverit dominam servo suo sive patronam liberto fuisse
coniunctam, eos separare non differat; ita ut bona eiusdem mulieris, aut si
sunt de alio viro idonei filii, evidenter obtineant, aut propinquis eius legali
successione proficiant. Quod si usque ad tertium gradum defecerit heres, tunc
omnia fiscus usurpet; ex tali enim consortio filios procreatos constitui non
oportet heredes. Illa vero, seu virgo sive vidua fuerit, penam excipiat
superius conprehensam. Quod si ad altaria sancta confugerit, donetur a rege,
cui iussum fuerit, perenniter servitura.
[24] O. SEECK, Regesten der Kaiser und
Päpste für die Jahre 311 bis 476 N. CHR. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen
Kaiserzeit (Frankfurt/Main 1984 = Stuttgart 1919) 432.
[25] Sobre esta constitución, cfr. M.
NAVARRA, A proposito delle unione tra
libere e schiavi nella legislazione costantiniana, en: AARC 8 (1990) 427-437, en especial 433; W. WALDSTEIN, Schiavitù e Cristianesimo da Constantino a
Teodosio II, en: AARC 8 (Perugia
1990) 123-145; T. YUGE, Die Gesetze im
Codex Theodosianus über die eheliche Bindung von freien Frauen mit Sklaven,
en: Klio 64 (1982) 145-150; C.
DUPONT, op. cit., 40-43; J. BEAUCAMP, Le statut de la femme à Byzance (4e-7e
siècle) I. Le droit imperial (Paris 1990) 181 ss.
[26] IT CT 9.9.1, Interpretatio:
Si qua ingenua mulier servo proprio se occulte miscuerit, capitaliter puniatur.
Servus etiam, qui in adulterio dominae convictus fuerit, ignibus exuratur. In
potestate habeat huiusmodi crimen quicumque voluerit accusare. Servi etiam aut
ancillae, si de hoc crimine accusationem detulerint, audiantur: ea tamen
ratione, ut si probaverint, libertatem consequantur, si feffelerint, puniantur.
Hereditas mulieris, quae se tali crimine maculaverit, vel filiis, si sunt ex
marito suscepti, vel propinquis ex lege venientibus tribuatur. [CT 9.9.1
(=LRV CT 9.6.1) IMP. CONSTANTINUS A. AD
POPULUM. Si qua cum servo occulte rem habere detegitur, capitali sententia
subiugetur tradendo ignibus verberone, sitque omnibus facultas crimen publicum
arguendi, sit officio copia nuntiandi, sit etiam servo licentia deferendi, cui
probato crimine libertas dabitur, cum falsae accusationi poena immineat. 1.
Ante legem nupta tali consortio segregetur, non solum domo, verum etiam
provinciae communione privata, amati abscessum defleat relegati. 2. Filii
etiam, quos ex hac coniunctione habuerit, exuti omnibus dignitatibus
insignibus, in nuda maneant libertate, neque per se neque per interpositam
personam quolibet titulo voluntatis accepturi aliquid ex facultatibus mulieris.
3. Successio autem mulieris ab intestato vel filiis, si erunt legitimi, vel
proximis cognatisque deferatur vel ei, quem ratio iuris admittit, ita ut et quod
ille, qui quondam amatus est, et quod ex eo suscepti filii quolibet casu in sua
videntur habuisse substantia, dominio mulieris sociatum a memoratis
successoribus vindicetur. 4. His ita omnibus observandis, et si ante legem
decessit mulier vel amatus, quoniam vel unus auctor vitii censurae occurrit. 5.
Sin vero iam uterque decessit, suboli parcimus, ne defunctorum parentum vitiis
praegravetur; sint filii, sint potiores fratribus, proximis atque cognatis,
sint relictae successionis heredes. 6. Port legem enim hoc commitentes morte
punimos. Qui vero ex lege disiucti clam denuo convenerit, congressus vetitos
renovantes, hi servorum indicio vel speculantis officii vel etiam proximorum
delatione convicti poenam similem sustinebunt. DAT. IIII KAL. IUN. SERDICAE, CONSTANTINO
A. VII. ET CONSTANTIO CAES. CONSS.]
[27] Nov. I Anthemius
(468 Febr. 21): De mulieribus quae servis
propriis vel libertis se iunxerunt et de naturalibus filiis. IMPP. LEO ET ANTHEMIUS A.A. LUPERCIANO P(RAEFECTO)
P(RAETORI)O. Humano generi et fluctuantibus rebus mortalium una post deum
ratione consulitur, si adversorum ingruentium procellis occurrat saepius nostra
serenitas. Nec dubium est inminui materiam conversationis humanae, nisi
conponat providum regentis imperium quidquid per se non potest impetrare
mortalitas: eritque ita magis florida ac tranquilla civilitas, si circa
inprovisos hominum casus excubet circumspecti principis favor. Iulia quaedam
preces nostris fundit altaribus adstruens cum eo sibi matrimonium contigisse,
qui familiae quidem suae servus extiterit, sed libertatem morum claritate
meruerit, exoratque nostri numinis maiestatem, ne sibi noceat, quod venerabilis
sanctio Constantini dominam servorum suorum conplexibus inflammari
districtissimo rigore non patitur: incongruum quippe existimans in suo casu de
servorum coniunctionibus constituta tractari, cum ipsa non servo nupserit, sed
liberto; praecipue nuptias suas in culpam venire non posse, quod de libertorum
consortiis prohibendis evidens ..... nihilhominus aestimari quidquid antehac
lex ulla non vetuit. Geminatam igitur causam huiusmodi casibus consulendi
repperit nostra serenitas, ut nec confirmatio subtrahatur de suscepto quasi
errore nutantibus et honeste ac probabiliter constituta sine aliqua deinceps
ambiguitate serventur. Primum igitur edictali decernimus sanctione, ut
matrimonia, si quae usque ad secundum numinis nostri consulatum similia
probabuntur inisse coniugia, legitima firmitate non careant, sed hanc quoque
munificentiam nostrorum fascium securitati suae adfuisse laetentur, ut, si quae
sunt feminae, quae pro nobilitate natalium de eiusmodi forsitan consortio
quicquam verentur, superfluum pondus iniusti timoris abiciant nec se non licito
quasi fecisse formident, quae nulla nunc usque ad liquidum iura vetuerunt: ita
ut cum libertis suis iustas nuptias contraxisse videantur natique et nascendi
ex his liberi nullam umquam de parentum suorum coniunctione sustineant
quaestionem, sed matris ac patris hereditatem legum more percipiant. Ipsi
quoque, inter quos huiusmodi est contractus societas, testandi inter se invicem
vel succedendi sibi iuxta formam iuris licentiam non amittant neque quicquam
matromonii gratia a ceteris discrepare credantur, de quibus ante hanc nostri
numinis sanctionem nihil legum scita praescripserint. Et re vera principalis
gratiae est eruere suis casibus suspicaces mortalium mentes, ne sibi non
licuisse, quod nemo prohibuerat, arbitrentur, universorum quoque notitiam
evidenter instruere, ne sibi fas esse quisquam existimet, quod fas esse non
patimur. Ex hoc ergo nostrae clementiae consulatu decorem publicum augere
cupientes cum servis et libertis dominas et patronas ineundi matrimonia
facultatem habere prohibemus, ne insignium familiarum clara nobilitas indigni
consortii foeditate vilescat et, quod splendore forsitan senatoriae
generositatis obtinuit, contractu vilissimae societatis amittat aut nudo tantum
ingenuae libertatis fulgore perspicuum genus in femina inpudentior conplexus
inminuat: ea sine dubio cautione valitura, ut de consortiis servorum perpeti firmitate
servetur quidquid divus Constantinus venerabili sanctione constituit. Circa eas
vero, quae in libertorum suorum abhinc vota convenerit, custodiri in aeternum
duratura lege sancimus, ut coniunctio vetita ne nomen quidem matrimonii
sortiatur, sed ad inlicita consortia execrabiliter adspirantes publicatione
omnium facultatum et perpetua deportatione plectantur: his, qui ex huiusmodi
societate nascuntur, non solum iure, sed et vocabulo liberorum privandis,
servili quoque condicioni probabiliter addicendis, ita ut in his dominium sibi
noster fiscus usurpet.
De coniunctionibus sane ancillarum et libertarum
nec non de naturalibus liberis quoquomodo procreatis procreandisve inter omnes
decernimus custodiri, quod divorum retro principum saluberrima constituta
sanxerunt, Luperciane p(arens) k(arissime) a(tque) a(mantissime). Inl(ustris)
igitur et praecelsa magnificentia tua saluberrimam sanctionem ad omnium
notitiam pervenire edictorum divulgatione praecipiat, ne cui supersit
ignorationis auxilium, quominus caute quae sunt decreta serventur. DAT. X KAL. MART. ROMAE D. N.
ANTHEMIO A. CONS. ACCEP(TA) ID. MART. ROMAE IPSO A. CONS.
[28] Un’analisi di questa legge Visigota si può consultare in E. OSABA, El adulterio uxorio en
[29] LV 3.3.2, antiqua:
Si parentes mulierem vel puellam raptam excusserint, ipse raptor parentibus
eiusdem mulieris vel puelle in potestate tradatur, et ipsi mulieri penitus non
liceat ad eundem virum se coniungere. Quod si facere presumserit, ambo morti
tradantur. Si certe ad episcopum vel ad altaria sancta confugerit, vita
concessa, omnismodis separentur et parentibus rapte servituri tradantur.
[31] IT CT
9.24.1 pr., Interpretatio: Si cum parentibus
puellae nihil quisquam ante definiat, ut eam suo debeat coniugio sociare, et
eam vel invitam rapuerit vel volentem, si raptori puella consentiat, pariter
puniantur. [CT 9.24.1 pr. (=LRV 9.19.1 pr.) IMP. CONSTANTINUS A. AD POPULUM. Si quis nihil cum parentibus puellae
ante depectus invitam eam rapuerit vel volentem abduxerit patrocinium ex eius
responsione sperans, quam propter vitium levitatis et sexus mobilitatem atque
consili a postulationibus et testimoniis omnibusque rebus iudiciariis antiqui
penitus arcuerunt, nihil ei secundum ius vetus prosit puellae responsio, sed
ipsa puella potius societate criminis obligetur (…)]. Sul ratto in Diritto
Romano, cfr. F. GORIA, op. cit.,
707-724, e la letteratura in esso citata; C. DUPONT, op. cit., p. 47; J.
BEAUCAMP, op. cit., pp. 109 ss.; G. RIZZELLI, Lex Iulia de adulteriis. Studi sulla
disciplina di adulterium, lenocinium, stuprum (Lecce 1997) pp. 249 ss.
[32] Una spiegazione
sull’ organizzazione della chiesa nella Spagna visigota può essere consultata in
J. FERNÁNDEZ ALONSO, La cura pastoral en
[34] Sul ratto in epoca
visigota si può vedere D’Ors, op.
cit., pp. 140 ss., K. ZEUMER, op.
cit., pp. 243 ss.; P. D. KING, op.
cit., pp. 259 ss.; H. NEHLSEN, Sklavenrecht zwischen Antike und
Mittelalter, germanisches und römisches Recht in den germanischen
Rechtsaufzeichnungen (Göttingen 1972), p. 241.
[35] LV
9.2.3, antiqua: Si quis centenarius,
dimittens centenam suam in hostem, ad domum suam refugerit, capitali supplicio
subiacebit. Quod si ad altaria sancta vel ad episcopum forte confugerit, CCC
solidos reddat comiti civitatis, in cuius est territorio constitutus, et pro
vita sua non pertimescat. (…) Et si centenarius sine conscientia aut volumtate
prepositi hostis aut thiufadi sui de centena sua, ab aliquo per beneficio
persuasus aut rogitus, quemquam ad domum suam redire permiserit vel in hostem,
ut non ambularet, relaxaverit, quantum ab eo acceperat in novecuplum comiti
civitatis, in cuius est territorio constitutus, satisfacere conpellatur (…).
Quod si centenarius ab eo nullam mercedem acceperit et sic eum ad domum suam
ambulaturum dimiserit, ille centenarius, sicut superius est conprehensum, det
comiti civitatis solidos X.
[36] CT
7.12.1 IMP. CONSTANTINUS A. ET C. Ne cui
liceat praepositorum vel decurionum vel tribunorum cohortium quocumque genere
cuiquam de militibus a castris atque signis vel his etiam locis, quibus
praetendant, discedendi commeatum dare. Si quis vero contra legem facere ausus
fuerit et militem contra interdictum commeatu dimiserit atque id temporis nulla
eruptio erit, tunc deportatione cum amissione bonorum adficiatur; sin vero
aliqua barbarorum incursio extiterit et tunc, cum praesentes in castris atque
aput signa milites esse debeant, quisquam afuerit, capite vindicetur. DAT. IIII
KAL. MAI. SEVERO ET RUFINO CONSS. (323 apr. 28). V. ARANGIO-RUIZ, Sul reato di diserzione in diritto romano,
in Scritti di diritto romano II
(Camerino 1974) 1-12; A. MASI, v. Diserzione
(diritto romano), in ED 12 (Milano 1964) 104-106; ROSTOWZEW,
v. Commeatus, in PWRE 4 (Stuttgart 1901) 718-722. FIEBIGER,
v. Desertor, in PWRE 5 (Stuttgart 1905) 249-250; C. DUPONT, op. cit., 112-113.
[37] Rispetto
all’esercito in epoca visigota, cfr. Mª R. VALVERDE CASTRO, op. cit., 233-236; P. D. KING, op. cit., 91-97; D. PÉREZ SÁNCHEZ, El ejército en la sociedad visigoda
(Salamanca 1989); L. A. GARCÍA MORENO, Estudios
sobre la organización administrativa del reino visigodo de Toledo, in AHDE 44 (1974) 65-152; A. BARBERO y M.
VIGIL, Algunos aspectos de la
feudalización del reino visigoda en relación con su organización financiera y
militar, in Sobre los orígenes
sociales de
[39] Nov. 17.7: Neque
autem homicidis neque adulteris neque virginum raptoribus delinquentibus
terminorum custodies cautelam, sed etiam inde extrahes et supplicium eis
inferes. Non enim talia delinquentibus parcere competit, sed obpatientibus, ut
non talia a praesumptoribus patiantur. Deinde templorum cautela non nocentibus,
sed laesis datur a lege, et non erit possibile utrumque tueri cautela sacrorum
locorum et laedentem et laesum. Da vedere anche Nov. 37.10;117.15.
[40] LV 9.3.4, antiqua:
Eos, qui ad ecclesiam vel ad ecclesie porticos confugerit, nullus contingere
presumat, sed presbitero vel diacono repetat, ut reformet; et seu debitor sive
reus, qui confugerat, si non meretur iccidi, aput repetentem ecclesie cultor
interveniat, ut ei veniam det, et exoratus indulgeat (…) De
homicidis autem, maleficis et veneficis in eorum titulis leges sunt requirende.
[41] LV 6.2.1 Chind.; CT
9.16.4 (=LRV CT 9.13.2 e IT; CJ 9.18.5) e LV 6.2.3; CT 9.16.3 (= LRV CT 9.13.1
e IT; CJ 9.18.4). Cfr. D’ORS, op. cit.,
pp. 120 ss.; C. DUPONT, op.
cit., pp. 36, 80 ss.
[42] LV 6.2.4, Chindasvinto: Malefici vel inmissores tempestatum, qui
quibusdam incantationibus grandines in vineis messibusque inmittere peribentur,
vel hii, qui per invocationem demonum mentes hominum turbant, seu qui nocturna
sacrificia demonibus celebrant eosque per invocationes nefarias nequiter
invocant, ubicumque a iudice vel actore sive procuratore loci repperti fuerint
vel detecti, ducentenis flagellis publice verberentur et decalvati deformiter
decem convicinas possessiones circuire cogantur inviti, ut eorum alii
corrigantur exemplis. (…). IT CT 9.16.3, Interpretatio: Malefici
vel incantatores vel inmissores tempestatum vel hi, qui per invocationem
daemonum mentes hominum turbant, omni poenarum genere puniantur. [CT 9.16.3 (= LRV CT 9.13.1) IMP. CONSTANTINUS A. ET CAES. AD BASSUM
P(RAEFECTUM) U(RBI). Eorum est scientia punienda et severissimis merito legibus
vindicanda, qui magicis adcincti artibus aut contra hominum moliti salutem aut
pudicos ad libidinem deflexisse animos detegentur. Nullis vero criminationibus
inplicanda sunt remedia humanis quaesita corporibus aut in agrestibus locis, ne
maturis vindemiis metuerentur imbres aut ruentis grandinis lapidatione
quaterentur, innocenter adhibita suffragia, quibus non cuiusque salus aut
existimatio laederetur, sed quorum proficerent actus, ne divina munera et
labores hominum sternerentur. DAT. X. KAL. IUN. AQUIL(EIAE), CRISPO ET
CONSTANTINO CAESS. COSS. ]. LV 6.2.1,
Chindasvinto: Qui de salute vel morte
principis vel cuiuscumque hominis ariolos, aruspices vel vaticinatores
consulit, una cum his, qui responderint consulentibus, ingenui siquidem
flagellis cesi cum rebus omnibus fisco servituri adsocientur, aut a rege cui
iusserit donati perpetuo servitio addicantur. (...) IT CT 9.16.4, Interpretatio:
quicumque pro curiositate futurorum vel invocatorem daemonum vel divinos, quos
hariolos appellant, vel haruspicem, qui auguria colligit, consuluerit, capite
punietur. [CT 9.16.4 (= LRV
9.13.2) IMP. CONSTANTIUS A. AD POPULUM.
Nemo haruspicem consulat aut mathematicum, nemo hariolum. Augurum et vatum
prava confessio conticescat. Chaldaei ac magi et ceteri, quos maleficos ob
facinorum magnitudinem vulgus appellat, nec ad hanc partem aliquid moliantur.
Sileat omnibus perpetuo divinandi curiositas. Etenim supplicium capitis feret
gladio ultore prostratus, quicumque iussis obsequium denegaverit. DAT. VIII. KAL. FEBR. MEDIOL(ANO), CONSTANTIO A.
IX. ET IULIANO CAES. II. CONSS.].
[43] Vedere
alla nota 15 un riferimento alla LV dove trovare un’esposizione dettagliata
della genesi della legislazione visigota, e la corrispondente bibliografia.