N° 2 - Marzo 2003 - Memorie

Esperanza Osaba

Università del País Vasco

 

 

Influenza delle leggi costantiniane

nella lex Visigothorum[1]

 

 

 

In questo seminario centrerò il mio intervento sull’influenza delle leggi costantiniane nella Lex Visigothorum[2]. Ho voluto sfruttare l’occasione che mi offre la mia partecipazione al seminario “Tradizioni religiose e istituzioni giuridiche del Popolo Sardo: il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente”, privilegiato foro d’analisi dell’opera legislativa dell’imperatore Costantino e della sua posteriore ripercussione, per continuare a approfondire la sua influenza sulla LV; dal punto di vista concreto della possibile presenza delle leggi costantiniane. Scoprendo risultati veramente soddisfacenti.

 

Mi soffermerò in maniera speciale su una serie di leggi della LV, tutte quante d’ascendenza nettamente costantiniana, che presentano una interessante particolarità in relazione con il diritto d’asilo. Al riguardo, la prima cosa che dobbiamo tenere in conto, è che il diritto d’asilo nella Chiesa, anche se era un’antica istituzione forse tollerata nella pratica, non comincia ad essere riconosciuta legalmente fino alla fine del IV secolo, momento in cui viene ad essere regolato paulatinamente, in alcune occasioni in maniera indiretta o tangenziale, fino ad arrivare a costituzioni come quella di Teodosio II e Valentino III dell’anno 431, nella quale gli si attribuisce un riconoscimento formale[3]. In ogni caso, anche le prime ed importanti misure che si adottano sono posteriori a Costantino, visto che, come sappiamo, è falsa l’attribuzione del riconoscimento del diritto d’asilo contenuta negli Actus Silvestri, secondo la quale Costantino, avrebbe ammesso la possibilità dell’ausilio della chiesa per quei rei, che in essa si fossero rifugiati[4].

 

Vorrei però, prima di entrare nell’analisi di queste leggi in concreto, sviluppare delle brevi note sul ruolo giocato dalla figura di Costantino in alcuni momenti chiave della storia della monarchia Visigota, che possono esere illustrativi ed al tempo stesso permettere di capire le cause del possibile ascendente della sua legislazione sui rè visigoti e sulla loro attività normativa. Come sappiamo, il popolo visigoto, di origine germaniche, si assesta nelle regione romane della Gallia nel V secolo, per poi passare alla penisola iberica all’ inizio del VI secolo e da li in avanti dar forma ad una monarchia che sarebbe poi di due secoli[5].

 

Un momento storicamente decisivo di questa monarchia si visse alla fine del VI secolo durante i regni di Leovigildo (569-585) e del figlio dello stesso suo successore Recaredo (586-601). Leovigildo, primo re visigoto che adotta simboli propri degli imperatori romano-bizantini, come possono essere: trono, scettro, vestiti purpurei, diadema; prova, come si è poi potuto dimostrare, con la sua energica ricerca dell’unità del regno e cercando di rinforzare la sua autorità all’interno dello stesso, ad assimilarsi alla cultura romana. Questo monarca, per esempio, oltre a curare in modo particolare il miglioramento estetico delle città del regno e la fastuosa apparenza delle sedi reali, fonda anche nuove città: Recopolis nell’anno 578, e più tardi nell’anno 581, Vitoriacum[6]. Secondo Valverde[7], in nessun altro dei regni germanici i re assunsero questa prestigiosa ed allo stesso tempo ambiziosa funzione imperiale. A partire da Leovigildo si cominciò a pensare che Toledo, capitale della monarchia visigota, fosse un’ autentica civitas regia o urbs regia, la nuova Costantinopoli occidentale, alla quale senza alcun dubbio prova, riuscendovi, a ricalcare in tracciati ed  edifici[8]. 

 

Sembrerebbe, quindi, che con questo monarca si produce un formale rinnovamento della monarchia, con la definitiva assimilazione dei concetti politici tipici del mondo romano-bizantino, come nel caso del suo piano di unione, centralizzazione e riunificazione amministrativa dello Stato: per concludere lo si è definito come una autentica "Imitato Imperii"[9].

 

Questa similitudine al modello Romano chiaramente patente quando nel 589 Recaredo si converti nel primo re visigoto cattolico. Nel III concilio di Toledo, dove ha luogo la sua conversione e, per tanto il suo abbandono dell’eresia arianna, si manifesta, che nella Spagna visigota si sta seguendo da vicino il modello imperiale. In questo periodo lo stesso Recaredo viene identificato con Costantino[10]. Juan de Biclaro, Vescovo di Gerona e fondatore del monastero di Biclaro, di origini visigote ed autore della cronaca più importante che si conserva della Spagna Visigota, stabilisce il parallelismo tra Recaredo -al quale si riferisce come princeps- circondato dai suoi Vescovi nel III Concilio di Toledo, e Costantino in Nicea, anch’esso accompagnato dai suoi prelati[11]. E qui c’è la circostanza che Juan de Biclaro visse, per ben diciassette anni dal 558 al 575, in Costantinopoli, durante parte del mandato di Giustiniano, e quasi per tutto il periodo di Giustino II, da dove fece ritorno formato letteraria e teologicamente oltre a poter apprendere le lingue greca e latina[12].

 

Lo stesso Juan de Biclaro, cronista eccezionale dell’epoca, ci presenta il collegamento esistente tra l’apparizione dell’eresia ariana nell’epoca di Costantino, la sua condanna nel Concilio di Nicea, la sua continuazione in quello di Calcedonia e la sua definitiva estinzione in quello di Toledo, nel  III Concilio de Toledo. Si è segnalato, in questo senso, che il Concilio di Toledo, che si include tra i grandi Concili Ecumenici della storia cattolica, è continuatore e successore dei grandi sinodi dell’impero romano. L’identificazione costante tra Costantino e Recaredo il quale s’ acclama come il re ortodosso (ortodoxus rex),  e al quale i padri conciliari si riferiscono, come lo fanno con Costantino, come "Apostolo di Cristo", porta a che gli si riconosca il titolo di Flavius nel momento in cui firma gli atti del Concilio. A partire da questo momento tutti i monarchi visigoti ostenteranno il titolo di Flavius anteposto al propio nome, e a seguito dello stesso la parola rex[13].

 

Esisteva per tanto in questo momento, una conoscenza del ruolo chiave disimpegnato dall’imperatore Costantino, conoscenza che allo stesso tempo sembra compartisse anche il padre ed antecessore di Recaredo, l’energico monarca Leovigildo, primo tra i re visigoti ad addottare simboli reali propri degli imperatori. Di questo re, Leovigildo, sappiamo che diffuse un Codice; Codex Revisus, che oltre ad essere prova d’emulato degli imperatori romani è un’altra delle manifestazioni della coscienza della sua autorità[14]. Anche se non si sono conservati esemplari di quest’opera, le loro leggi come antiquae formano parte integrante della LV, una importante collezione di leggi di differenti monarchi visigoti che viene data alla luce nell’anno 654 in territorio ispanico e testo legale dalle grandi ripercussioni nei secoli posteriori, che fu il veicolo fondamentale di trasmissione del diritto Romano in Spagna fino al ricevimento del Corpus Iuris a partire dal XII secolo[15].

 

Considerato questo concetto come non pensare che anche nel caso delle leggi di Costantino non gli si riservò una attenzione speciale. Se, adesso, dirigiamo la nostra attenzione alle leggi che danno vita a questa composizione visigota, ci accorgiamo che quelle tra loro con influenza costantiniana sono presenti in un numero abbastanza elevato, ed allo stesso tempo distribuite all’interno dei dodici libri che la formano. Visto che non posso commentarle tutte, cercherò di analizzarne una piccola parte all’interno delle quali fattore comune sarà il diritto all’asilo. Concretamente, come cercherò di dimostrare, si riscontra una influenza di costituzioni costantiniane nelle seguenti quattro leggi della LV.

 

1) Nel VI libro, De isceleribus et tormentis, nel suo V titolo, De cede et morte hominum, si registra una legge con la denominazione di antiqua, LV 6,5,18 ant.[16], che in mia opinione ha come modello la costituzione di Costantino dell’anno 318, Codex Theodosianus 9,15,1[17], presente nella Lex Romana Visigothorum[18] 9,12,1, e che, come tra l’altro possiamo comprovare, segue molto da vicino il testo della sua Interpretatio[19]. Con la stessa si punisce con la pena capitale il parricidio. Rispetto al modello romano s’è perso senza dubbio il ricorso al culleus (poena cullei) come modo d’esecuzione della pena. Un allegato non presente nella legge costantiniana e si nella visigota, contempla la possibilità che gli omicida che avessero chiesto rifugio, asilo alla Chiesa salvassero la loro vita soffrendo solo l’esilio, sempre e quando contassero con la pietà dei principi o dei giudici. I beni del soggetto in asilo passerebbero in proprietà ai parenti della vittima, o in sua assenza, al fisco.

 

La regola stessa venne più tardi rivista da un monarca posteriore, Chindasvinto (642-653), in LV 6,5,16 Chind.[20]. Secondo il suo contenuto, i rei d’omicidio, e forse anche di veneficio, che avevano avuto asilo nella chiesa, dopo aver debitamente consultato ed ascoltato il clerico responsabile, potranno essere consegnati al loro persecutore sempre che lo stesso giuri il rispetto  delle loro vite. Quello che li aspetta non sarà l’esilio come nella norma precedente, LV 6,5, 18 ant., bensì l’accecamento.

 

Più tardi il monarca Ervigio (680-687), nella revisione della LV che porta a termine nel 681, modifica le due leggi, LV 6,5 16, Chind., e  LV 6,5,18 ant. A partire da questo momento, gli asilati verranno consegnati ai familiari della propria vittima, che potranno disporre degli stessi a loro libero arbitrio, però, questo si, sempre rispettandone la vita. La consegna in stato di schiavitù, sarà  pena abbastanza comune nella LV[21].

 

2) La seconda legge della quale ci interessiamo la possiamo trovare nel libro III, De ordine coniugali, nel suo II titolo, De nuptiis inlicitis, anch’essa antiqua, LV 3,2,2 ant.[22], sembra avere un predecessore nella Costituzione di Costantino dell’anno 326 o 329 seguendo al Mommsen[23] o al Seeck[24], CT 9,9,1, che fu poi ripresa nella LRV CT 9,6,1[25]. Come nella norma anteriore, presenta una relazione particolare con il testo della Interpretatio con la quale si può osservare un chiaro parallelismo[26]. Così come già aveva segnalato Zeumer, può essersi usata anche la Novella I di Antemio dell’anno 468, De Mulieribus quae servis propriis vel libertis se iunxerunt et naturalibus filiis, la quale, in cambio, non s’incluse nella LRV[27].

 

Questa legge proibisce le relazioni tra le donne ingenue ed i servi o i liberti delle stesse, stabilendo pene severissime per la sua contravvenzione. Nell’ultimo paragrafo, s’addotta una misura interessante e che, come nella legge anteriore e per le stesse ragioni, nemmeno faceva atto di presenza nella legge costantiniana. In primo luogo si ricorda che la stessa pena, fustigazione e morte nel rogo, sarà applicata a modi di castigo delle donne vergini o vedove, nel momento in cui la relazione con il loro stesso schiavo, qualificata come adulterio, venga provata in forma manifesta. Però, subito dopo, viene offerta loro una misura paliativa, l’asilo nella Chiesa, in modo che, le stesse donne, e non le sposate per esempio, possano eludere il rigore della condanna. Le donne in asilo -non vengono menzionate però gli uomini servi o liberti con i quali avevani avuto relazioni- potendo in questo modo salvare la propia vita, verranno però consegnate a chi il re ordini in perenne stato di schiavitù. La riduzione alla schiavitù sarà una  tipica pena dell’adulterio nella legislazione visigota[28].

 

3) la terza legge di cui dobbiamo occuparci, LV 3,3,2 ant., come la precedente, la possiamo trovare nello stesso libro, il III, De ordine coniugali, all’interno del suo titolo III, De raptu virginum vel viudarum, e contempla il ratto [29]. Molte delle leggi di questo titolo III, dodici in totale, si rifanno al modello della costituzione di Costantino del 318, 320 o 326[30], CT 9,24,1, ripresa anche nella  LRV CT 9,19,1[31]. In questo caso, la influenza del precedente romano sembra più assumere in modo rilevante il contenuto che l’aspetto formale. Nella legge visigota che abbiamo menzionato, anche s’ammette l’asilo, che, oviamente, non viene contemplato nel testo costantiniano.

 

Il rapitore e la donna rapita erano rei della pena capitale nel caso in cui lei si fosse unita a lui, però allo stesso tempo potevano eludere il castigo nel momento in cui chiedessero l’asilo del vescovo[32] o della  altaria sancta (della Chiesa), come é dettato dalla legge. In questo caso, pertanto, grazie all’asilo potevano salvare la vita, però venivano separati e sommessi alla servitù dei parenti della rapita. D’Ors[33] attribuisce questa legge a Leovigildo, segnalando, secondo me con ragione, come rispetto al modello della costituzione di Costantino si soavizza la condanna per ratto nella LV, che solo tornava ad essere di pena di morte nel caso contemplato da questa legge, ovvero quando i due decidessero unirsi, però come abbiamo già detto potevano addirittura evitare la morte chiedendo asilo alla Chiesa[34].

 

4) E per finire, ancora una antiqua, LV 9.2.3 ant., del libro IX, De fugitivis et refugientibus, titolo II, De his, qui ad bellum non vadunt aut de bello refugiunt, ci offre anche la possibilità che il centenarius (comandante dell’esercito, con cento uomini ai suoi ordini) disertore, ricorra alla richiesta d’asilo alla Chiesa o al vescovo ed in questo modo salvi la sua vita[35]. Questa legge anche se non segue formalmente il modello romano, credo possa essere ispirata dalla costituzione di Costantino del 323, CT 7,12,1, sui permessi (commeatus) ingiustificati[36]. Questa legge non fu, invece, riprodotta nelle LRV[37].

 

Come abbiamo visto ci troviamo, per tanto, di fronte a quattro leggi antiquae, il cui precedente romano può essere individuato con maggior o minor sicurezza secondo i casi, nelle costituzioni di Costantino, riportate nel CT ed incluse anche nelle LRV -eccezion fatta per l’ultima trattata-, e nelle quali vediamo che si è seguito principalmente il testo della Interpretatio. Sappiamo che nella LRV, raccolta di leges e iura romani che completa Alarico II nell’anno 506, venivano raggruppate costituzioni imperiali del CT, con alcune novelle post-Teodosianas, testi delle PS, così come certe costituzioni dei codici Gregoriano ed Emogeniano, con l’epitome di Gaio ed un frammento dei Responsa di Papiniano. Tutti questi testi vengono accompagnati in molti casi –non tutti- da una Interpretatio per rendere più chiaro e comprensibile il loro contenuto[38]. La genesi di queste interpretazioni si è situata nella Gallia nel V secolo. Nemmeno possiamo dimenticarci che fu proprio in territorio Gallo dove i visigoti promulgarono due dei loro corpi legali: il Codice d’Eurico, della fine del V secolo e la già citata LRV.

 

            Nelle quattro leggi alle quali mi sono riferita  -rispetto ad omicidio, adulterio, ratto, diserzione o  licenza ingiustificata dall’esercito- viene stabilita la pena di morte, seguendo così in questo aspetto il loro precedente romano, fatto salvo forse il supposto di diserzione. Su questa base, verrà aggregato posteriormente, in epoca visigota, la possibilità per i condannati di salvare la propria vita chiedendo asilo alla Chiesa. Un altro punto molto interessante da prendere in considerazione è che Giustiniano nell’anno 535 esclude dalla prerogativa dell’asilo concretamente i rei di omicidio, adulterio e ratto (ratto di donne vergini), come è riportato nella Nov. 17,7[39]. Quindi vediamo che Giustiniano elimina dall’asilo questi supposti sopraindicati, chi sono invece ammessi espressamente nella LV.

 

Però, inoltre, dobbiamo prendere in considerazione altre circostanze. Nella LV, un titolo, il III del libro IX, De his, qui ad ecclesiam confugiunt, contiene quattro leggi, tutte loro anche antiquae, che ordinano gli aspetti basici del diritto d’asilo e ci offrono temi in diretta relazione con due dei più regolamentati casi di rifugio: quello degli schiavi, e quello dei debitori. Nell’ultima delle leggi del titolo, LV. 9.3.4, si fa un riferimento concreto a ipotesi dove viene riconosciuto anche il diritto d’asilo, che si concretizza per i casi di omicidio, maleficio e veneficio. Come si indica espressamente nella legge, il regolamento del diritto d’asilo per i rei di questi delitti si trova nelle loro proprie sedi. Quindi, nella legge si ammette la possibilità d’asilo nelle ipotesi che si riferiscano a colpevoli di omicidio, maleficio e veneficio, però si rimanda a quelle leggi specifiche che trattano questi delitti per regolarne gli effetti[40]. Le leggi corrispondenti a questi ultimi atti illeciti furono, nonostante, riviste da un monarca posteriore, Chindasvinto, e in esse non figura (nello stato nelle quale ci sono pervenute) la possibilità d’asilo. Nonostante tutto, sono leggi che, anche se modificate, continuano a mostrarci chiaramente le loro origini costantiniane sulle quali senza dubbio si basano[41], e ci permettono di affermare che probabilmente i condannati per maleficio e beneficio potrebbero servirsi dell’asilo della Chiesa per salvare la propria vita. Tra le altre cose assume importanza particolare il fatto che in LV 6.2.1 e 4[42] Chind. già non venga considerata, dopo la riforma di Chindasvinto, la pena di morte per i rei di maleficio e veneficio.

 

Quindi possiamo costatare che in materia d’omicidio, specialmente parricidio, adulterio, ratto e diserzione  troviamo all’ interno della LV leggi di origine costantiniana, anche se LV 6.5.18 ant. e LV 3.2.2 ant. sono in maggior livello debitrici della versione dell’Interpretatio visigota, di ben più facile comprensione, alla quale i legislatori visigoti aggiunsero la possibilità del ricorso alla richiesta d’ asilo della Chiesa in modo da mitigare la pena. Tutte queste leggi, di cui abbiamo parlato appartengono all’ insieme delle leggi registrate come antiquae. Appellativo, con il quale furono battezzate dagli stessi compilatori visigoti, che rimanda effettivamente all’appartenenza delle stesse al substrato più antico dell’insieme delle norme che compongono la LV[43]. Di difficile ubicazione temporale, potrebbero provenire dal Codice d’Eurico della fine del V secolo, o dal posteriore, ed anche scomparso, Codex Revisus di Leovigildo. Anche se, in realtà, è necessario sottoliniare l’insicurezza dell’attribuzione di una gran parte delle antiquae ad un determinato periodo o monarca. In ogni caso, molte tra queste leggi in più ci mostrano, in forma patente, l’essere state rielaborate nel corso del tempo; questo forse per poterle addattare necessariamente alla realtà di cambiamento visigota. Mi inclino a considerare che le leggi che ho preso in considerazione potrebbero trovarsi, precisamente, tra queste.

 

Per concludere, e una volta sottolineata questa premessa, vorrei mettere in rilievo i seguenti aspetti:

 

1- Da una parte il prestito evidente di costituzioni costantiniane in materia penale, in un momento in cui, con tutte le cautele, mi inclino ad identificare in origine con Leovigildo. Non possiamo considerare estraneo alle pretensioni di questo energico monarca, che, nel suo tentativo di dar forza alla sua autorità con un potere legittimo, autonomo e superiore rispetto all’estero ed all’aristocrazia, prendesse in grande considerazione le norme costantiniane, nello stesso modo in cui per altro aveva fatto emulando altre manifestazioni del potere imperiale.

 

2- Tra le altre cose, il castigo in tutte queste leggi, quando è di pena capitale, viene mitigato accettando il ricorso all’asilo della chiesa, senza dubbio alcuno un allegato dei propi legislatori visigoti.

 

3- D’altro canto, e anche se dobbiamo rinunciare a determinare con assoluta sicurezza in che momento della storia si produsse l’allegato, se nell’epoca di Leovigildo o più tardi, è curioso il fatto che precisamente si contempli l’asilo nei casi espressamente esclusi da Giustiniano nella sua Nov. 17,7.

 

In conclusione, penso di aver evidenziato il fatto che la monarchia visigota, non solo non abbandonò il modello romano, ma si raffermò in esso basandovi le speranza di consolidarsi, ed in questa fase ricorsero anche alle leggi costantiniane nella loro “Imitato Imperii.

 

 

 

 



 

[1] Versione non definitiva. Fonti: Ioannis Biclarensis, Chronicon. Edizioni di J. CAMPOS (Madrid 1960); Lex Visigothorum (LV), ed. K. ZEUMER, Monumenta Germaniae Historica, Legum sectio 1, tomus 1. (Hannoverae et Lipsiae 1973 = 1902); Codex Theodosianus2, edd T. MOMMSEN-P.M. MEYER, Theodosiani libri XVI (Berlin 1971=1905).

 

[2] In seguito LV.

 

[3] CT 9,45,4. Sul diritto d’asilo esiste un’amplia letteratura Cfr. D. A. MANFREDINI, ‘Ad ecclesiam confugere‘, ‘Ad statuas confugere‘ nell’età di Teodosio I, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana. VI Convegno Internazionale (Perugia 1986) 39-58; P. TIMBAL DUCLAUX DE MARTIN, Le droit d’ asile (Paris 1939) pp. 55 ss.; J. GAUDEMET, L’Église dans l’Empire Romain ( IVe - Ve siécles ) (Paris 1958) pp. 282-287; H. SIEMS, Zur Entwicklung des Kirchenasyls zwischen Spätantike und Mittelalter, in Libertas Grundrechtliche und rechtsstaatliche Gewährungen in Antike und Gegenwart. Symposion aus Anlaß des 80. Geburtstages von Franz Wieacker (Ebelsbach 1991) pp. 139-186; L. WENGER, v. Asylrecht , in Reallexikon für Antike und Christentum I (1950) 836-844; G. CRIFÒ, v. Asilo. Diritti antichi, in ED III (Milano 1958) pp. 191-197; G. VISMARA, v. Asilo. Diritto intermedio, in ED III (Milano 1958) pp. 198-203; B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, 1 (Milano 1952) pp. 387-391; Th. MOMMSEN, Römisches Strafrecht (Leipzig 1961=1899) pp. 458-462; M. SIEBOLD, Das Asylrecht der römischen Kirche mit besonderer Berücksichtigung seiner Entwicklung auf germanischem Boden (Münster i. Westf. 1930); R. GAMAUF, Ad statuam licet confugere. Untersuchungen zum Asylrecht im römischen Prinzipat (Frankfurt am Main 1999); P. LANDAU, Traditionem des Kirchenasyls, in Asyl am Heiligen Ort. Sanctuary und Kirchenasyl. Vom Rechtsanspruch zur ethischen Verpflichtung  (Ostfildern 1994); A. D’ORS, op. cit., pp. 81-83; M. TORRES, Historia de España, R. Menéndez Pidal, III (Madrid 1940) p. 310. W. MOSSAKOWSKI, Azyl w póznym Cesarstwie Rzymskim (confugium ad statuas, confugium ad ecclesias) (Torun 2000); A. DUCLOUX, Ad ecclesiam confugere. Naissance du droit d’asile dans les églises (IVe – milieu du Ve s.) (Paris 1994).

 

[4] Cfr. D. A. MANFREDINI, op. cit., 44; V. AIELLO, Costantino, la lebra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico 1 (Macerata 1992) pp. 17-58; G. VISMARA, op. cit., p. 198; P. TIMBAL DUCLAUX DE MARTIN, op. cit., p. 114.

 

[5] Mª. R. VALVERDE CASTRO, Ideología, simbolismo y ejercicio del poder real en la monarquía visigoda: un proceso de cambio (Salamanca 2000); L. A. GARCÍA MORENO, Historia de España Visigoda (Madrid 1989); E. A. THOMPSON, Los godos en España, 3 éd (Madrid 1985); R. COLLINS, España en la Alta Edad Media (Barcelona 1986); P. D. KING, Derecho y sociedad en el reino visigodo  (Madrid 1981).

 

[6] Ioannis Biclarensis, Chronicon, a. 578.4: Liuuigildus rex extinctis undique tyrannis,  et pervasoribus Hispaniae superatis sortitus requiem propriam cum plebe resedit civitatem in Celtiberia ex nomini filii condidit, quae Recopolis nuncupatur: quam miro opere et in moenibus et suburbanis adornans privilegia populo novae Urbis instituit. a. 581, 3: Liuuigildus rex partem Vasconiae occupat et civitatem, quae Victoriaco nuncupatur, condidit. Cfr. E. A. THOMPSON, op. cit., 3 éd (Madrid 1985) 80; Mª. R. VALVERDE CASTRO, op. cit., pp. 182 ss.

 

[7] Op. cit. 184 ed anche E. A. THOMPSON, op. cit., p. 80.

 

[8] L. A. GARCÍA MORENO, op. cit., pp. 120-121.

 

[9] Mª. R. VALVERDE CASTRO, op. cit., pp. 181 ss. GARCÍA MORENO, op. cit, pp. 321 ss., segnala come Leovigildo cerchi anche d’emulare Giustiniano.

 

[10] VALVERDE CASTRO, op. cit., 195 ss.; E. A. THOMPSON, Los godos en España, 3 éd (Madrid 1985) 113 ss.; R. GIBERT, La fundación del reino visigótico. Una perspectiva histórico-jurídica, in: Album J. Balon (Belgique 1968) pp. 22 ss.; M. C. DÍAZ y DÍAZ, Los discursos del rey Recaredo: El Tomus, in El concilio III de Toledo. XIV Centenario 589-1989 (Toledo 1991) pp. 223-231.

 

[11] Ioannis Biclarensis, Chronicon, a. 590.1.343-368: Memoratus vero Reccaredus rex ut diximus, sancto intererat concilio, renovans temporibus nostris antiquum principem Cosntantinum Magnum sanctam synodum Nicaenam sua illustrasse praesentia nec non et Marciamum, Christianissimum imperatorem, cuius instantia Chalcedonensis Synodi decreta firmata sunt; siquidem in Nicaena urbe haeresis Arriana et initium sumpsit et damnationem meruit radicibus non amputatis, Chalcedona vero Nestorius et Eutyches una cum Dioscoro ipsorum patrono et haeresibus propriis condemnati sunt. In praesenti vero Sancta Toletana synodo Arrii perfidia post longas catholicorum neces, atque innocentium strages ita est radicitus amputata insistente principe memorato Reccaredo rege, ut ulterius non pullulet catholica ubique pace data ecclesiis. (...) Quae post haec non solum Orientis et Occidentis partem maculavit, sed etiam meridianam et septentrionis plagam et ipsas insulas, sua perficia irretivit. A vicemo ergo imperii Constantini principis anno, quo tempore haeresis Arriana initium sumpsit, usque in octavum annum Mauricii principis Romanorum, qui est Reccaredi quartus Regni annus, anni sunt CCLXXX, quibus ecclesia catholica huius haeresis infestatione laboravit: sed favente domino vicit, quoniam fundata est supra petram.

 

[12] J. CAMPOS, Juan de Biclaro, obispo de Gerona. Su vida y su obra. Introducción, texto crítico y comentarios  (Madrid 1960) pp. 15 ss.

 

[13] Vedere un’analisi dettagliata di questa intreressante assimilazione e dell’epoca nella quale viene situada in VALVERDE CASTRO, op. cit., p. 201; L. A. GARCÍA MORENO, La coyuntura política del III Concilio de Toledo. Una historia larga y tortuosa, in El concilio III de Toledo. XIV Centenario 589-1989 (Toledo 1991) 271-296; J. N. HILLGARTH, El concilio III de Toledo y Bizancio, in El concilio III de Toledo. XIV Centenario 589-1989 (Toledo 1991) pp. 297-306.

 

[14] E’ stata segnalata la relazione esistente tra Costantino ed Alarico, responsabile della promulgazione della LRV, cfr. R. LAMBERTINI, La codificazione di Alarico II, 2 ed. ( Torino 1991) p. 49.

 

[15] Rispetto alla LV, cfr. A. IGLESIA FERREIRÓS, La creación del Derecho. Una historia de la formación de un derecho estatal español, v. I, 2 éd. (Barcelona 1996) pp. 201-240; D’ORS, Estudios visigóticos II. El Código de Eurico, Cuadernos del Instituto Jurídico Español 12 (Roma - Madrid 1960) pp. 1-19; K. ZEUMER, Historia de la legislación visigoda  (Barcelona 1944) pp. 13-68; R. UREÑA Y SMENJAUD, La legislación gótico-hispana (Leges Antiquiores - Liber Iudiciorum ). Estudio crítico (Madrid 1905); P.D. KING, op. cit., pp. 19-41; J. ALVARADO PLANAS, El problema del germanismo en el Derecho Español (Madrid 1997) pp. 15-103; J. MORALES ARRIZABALAGA, Ley, jurisprudencia y derecho en Hispania romana y visigoda  (Zaragoza 1995) pp. 120 ss.; Y. GARCÍA LÓPEZ, Estudios críticos y literarios de la “Lex Wisigothorum” (Alcalá de Henares 1996); E. ÁLVAREZ CORA, Qualis erit Lex: la naturaleza jurídica de la ley visigótica, in AHDE 66 (1996) pp. 11-117; J. Mª PÉREZ-PRENDES MUÑOZ-ARRACO, Historia del Derecho Español (Madrid 1999) pp. 479 ss.; Mª. R. VALVERDE CASTRO, op. cit., 226 ss.; E. OSABA, El adulterio uxorio en la Lex Visigothorum (Madrid 1997) pp. 81 ss.

 

[16] LV 6.5.18, antiqua: Si patrem filius aut pater filium seu maritus uxorem aut uxor maritum aut mater filiam aut filia matrem aut frater fratrem aut soror sororem vel socerum gener aut socer generum vel nurus socrum aut socrus nurum vel quemcumque consanguinitate sibi proximum aut suo generi copulatum occiderit, morte damnetur. Quod si propter hoc homicida ad ecclesiam vel ad altaria sacra concurrens pietate principum vel iudicum fuerit reservatus ad vitam, perpetuo maneat persona eius exilio mancipata. [Ervigio.: Quod si propter hoc homicida ad ecclesiam vel ad altaria sacra concurrerit, in potestate parentum vel propinquorum occisi tradendus est, ut salva tantum anima quidquid de eo facere voluerint habeant potestatem.] Omnem vero substantiam suam heredibus occisi iuxta legis superioris ordinem iubemus addici, aut etiam fisco, si heredes proximos occisus non reliquerit, sociari. Nam homicida nec facultatibus suis liberatus utetur, etiam si penam mortis evadere mereatur.

 

[17] In seguito CT. C. DUPONT, Le Droit Criminel dans les Constitutions de Constantin. Les infractions (Lille 1955) pp. 31 ss.; Th. MOMMSEN, Römisches Strafrecht (Leipzig 1961=1899) pp. 643 ss.; O. F. ROBINSON, The Criminal Law of Ancient Rome (London 1995); B. SANTALUCIA, Studi di diritto penale romano (Roma 1994) pp. 107 ss.; id., v. Omicidio (Diritto romano), in ED 19 (Milano 1979) pp. 885-896;

 

[18] In seguito LRV.

 

[19] IT CT 9.15.1, Interpretatio: Si quis patrem matrem, fratrem sororem, filium vel filiam aut alios propinquos occiderit, remoto omnium aliorum genere tormentorum, facto de coriis sacco, qui culleus nominatur, in quo missus fuerit, cum ipso etiam serpentes claudantur: et si de mare vicinum non fuerit, in quolibet gurgite proiciatur, ut tali poena damnatus nullo tempore obtineat sepulturam. [CT 9.15.1 (=LRV CT 9.12.1) IMP. CONSTANTINUS A. AD VERINUM VIC(ARIUM) AFRIC(AE). Si quis in parentis aut filii aut omnino affectionis eius, quae nuncupatione parricidii continetur, fata properaverit, sive clam sive palam id fuerit enisus, neque gladio, neque ignibus, neque ulla alia solemni poena subiugetur, sed insutus culleo et inter eius ferales angustias comprehensus serpentum contuberniis misceatur et, ut regionis qualitas tulerit, vel in vicinum mare vel in amnem proiciatur, ut omni elementorum usu vivus carere incipiat, ut ei coelum superstiti, terra mortuo auferatur. DAT. XVI. KAL. DEC. LICINIO V. ET CRISPO C. COSS. ACC. PRID. ID. MART. KARTHAGINE, CONSTANTINO A. V. ET LICINIO C. COSS.]

 

[20] LV 6.5.16 Chindasvinto: Si homicida ad ecclesiam confugiat. Non sumus inmemores, de homicidis actenus adque maleficis diversas quidem legum sententias precessisse et iuxta qualitate sceleris penas esse prepositas, quas unusquisque eorum merebatur excipere. Tamen, quia nequitie huius autores, quanto in malis amplius promti sunt, tanto ad evadendum supplicium occasiones sepe pretendunt, ac se plerumque basilicarum Dei defensione conmittunt, qui contra divinum preceptum scelera perpetrare non metuunt, ideo, quia numquam debet hoc scelus inultum relinqui, quod et vitam perimit et quorundam mentes ad deterius frequenter inpellit, hoc omnem per evum mansurum damus edictum: ut, quemcumque homicidam seu maleficum lex puniri precipit, et preterea, qui ex suo disposito vel male volumtatis adsensum tale nefas committit, nulla hunc occasio nullaque umquam ab hac sententia potestas excuset ; sed etiam, si contingerit eum ad altare sanctum fortasse confugere, consulto tamen sacerdote ac reddito sacramento, ne eundem sceleratum publica mortis pena condemnet, sacerdos eum sua intentione ab altario repellat et extra corum proiciat, et sic ille, qui eum persequitur, conprehendat ; cui ab ecclesia eiecto non alias mortales inferat penas, nisi omnem oculorum eius visionem extinguat et sic ad aliorum terrorem infeliciter victurum dimittat.     Erv: [ sed in potestate parentum vel eorum, cuius propinquus occisus fuerit, contradendus est, ut excepto mostis periculo quicquid de eo facere voluerint licentiam habeant ]

quatenus, dum malorum pravitas conspicit constituta sibi supplicia preterire non posse, vel metu saltim territus a mali abstineat, quem male volumtatis intentio ad inlicitum facinus sponte sepe precipitat.

 

[21] Ho portato a termine una dettagliata analisi su queste due leggi in: Responsabilité pénale et droit d’asile dans l’Hispania visigothique, en: Méditerranées (2002/2003) 22 pp. [in stampa].

 

[22] LV 3.2.2, antiqua: Si ingenua mulier servo suo vel proprio liberto se in adulterio miscuerit aut forsitan eum maritum habere voluerit et ex hoc manifesta probatione convincitur, occidatur; ita ut adulter et adultera ante iudice publice fustigentur et ignibus concrementur. Cum autem per reatum tam turpis admissi quicumque iudex, in quacumque regni nostri provincia constitutus, agnoverit dominam servo suo sive patronam liberto fuisse coniunctam, eos separare non differat; ita ut bona eiusdem mulieris, aut si sunt de alio viro idonei filii, evidenter obtineant, aut propinquis eius legali successione proficiant. Quod si usque ad tertium gradum defecerit heres, tunc omnia fiscus usurpet; ex tali enim consortio filios procreatos constitui non oportet heredes. Illa vero, seu virgo sive vidua fuerit, penam excipiat superius conprehensam. Quod si ad altaria sancta confugerit, donetur a rege, cui iussum fuerit, perenniter servitura.

 

[23] CT, 476.

 

[24] O. SEECK, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 N. CHR. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen Kaiserzeit (Frankfurt/Main 1984 = Stuttgart 1919) 432.

 

[25] Sobre esta constitución, cfr. M. NAVARRA, A proposito delle unione tra libere e schiavi nella legislazione costantiniana, en: AARC 8 (1990) 427-437, en especial 433; W. WALDSTEIN, Schiavitù e Cristianesimo da Constantino a Teodosio II, en: AARC 8 (Perugia 1990) 123-145; T. YUGE, Die Gesetze im Codex Theodosianus über die eheliche Bindung von freien Frauen mit Sklaven, en: Klio 64 (1982) 145-150; C. DUPONT, op. cit., 40-43; J. BEAUCAMP, Le statut de la femme à Byzance (4e-7e siècle) I. Le droit imperial (Paris 1990) 181 ss.

 

[26] IT CT 9.9.1, Interpretatio: Si qua ingenua mulier servo proprio se occulte miscuerit, capitaliter puniatur. Servus etiam, qui in adulterio dominae convictus fuerit, ignibus exuratur. In potestate habeat huiusmodi crimen quicumque voluerit accusare. Servi etiam aut ancillae, si de hoc crimine accusationem detulerint, audiantur: ea tamen ratione, ut si probaverint, libertatem consequantur, si feffelerint, puniantur. Hereditas mulieris, quae se tali crimine maculaverit, vel filiis, si sunt ex marito suscepti, vel propinquis ex lege venientibus tribuatur. [CT 9.9.1 (=LRV CT 9.6.1) IMP. CONSTANTINUS A. AD POPULUM. Si qua cum servo occulte rem habere detegitur, capitali sententia subiugetur tradendo ignibus verberone, sitque omnibus facultas crimen publicum arguendi, sit officio copia nuntiandi, sit etiam servo licentia deferendi, cui probato crimine libertas dabitur, cum falsae accusationi poena immineat. 1. Ante legem nupta tali consortio segregetur, non solum domo, verum etiam provinciae communione privata, amati abscessum defleat relegati. 2. Filii etiam, quos ex hac coniunctione habuerit, exuti omnibus dignitatibus insignibus, in nuda maneant libertate, neque per se neque per interpositam personam quolibet titulo voluntatis accepturi aliquid ex facultatibus mulieris. 3. Successio autem mulieris ab intestato vel filiis, si erunt legitimi, vel proximis cognatisque deferatur vel ei, quem ratio iuris admittit, ita ut et quod ille, qui quondam amatus est, et quod ex eo suscepti filii quolibet casu in sua videntur habuisse substantia, dominio mulieris sociatum a memoratis successoribus vindicetur. 4. His ita omnibus observandis, et si ante legem decessit mulier vel amatus, quoniam vel unus auctor vitii censurae occurrit. 5. Sin vero iam uterque decessit, suboli parcimus, ne defunctorum parentum vitiis praegravetur; sint filii, sint potiores fratribus, proximis atque cognatis, sint relictae successionis heredes. 6. Port legem enim hoc commitentes morte punimos. Qui vero ex lege disiucti clam denuo convenerit, congressus vetitos renovantes, hi servorum indicio vel speculantis officii vel etiam proximorum delatione convicti poenam similem sustinebunt. DAT. IIII KAL. IUN. SERDICAE, CONSTANTINO A. VII. ET CONSTANTIO CAES. CONSS.]

 

[27] Nov. I Anthemius (468 Febr. 21): De mulieribus quae servis propriis vel libertis se iunxerunt et de naturalibus filiis. IMPP. LEO ET ANTHEMIUS A.A. LUPERCIANO P(RAEFECTO) P(RAETORI)O. Humano generi et fluctuantibus rebus mortalium una post deum ratione consulitur, si adversorum ingruentium procellis occurrat saepius nostra serenitas. Nec dubium est inminui materiam conversationis humanae, nisi conponat providum regentis imperium quidquid per se non potest impetrare mortalitas: eritque ita magis florida ac tranquilla civilitas, si circa inprovisos hominum casus excubet circumspecti principis favor. Iulia quaedam preces nostris fundit altaribus adstruens cum eo sibi matrimonium contigisse, qui familiae quidem suae servus extiterit, sed libertatem morum claritate meruerit, exoratque nostri numinis maiestatem, ne sibi noceat, quod venerabilis sanctio Constantini dominam servorum suorum conplexibus inflammari districtissimo rigore non patitur: incongruum quippe existimans in suo casu de servorum coniunctionibus constituta tractari, cum ipsa non servo nupserit, sed liberto; praecipue nuptias suas in culpam venire non posse, quod de libertorum consortiis prohibendis evidens ..... nihilhominus aestimari quidquid antehac lex ulla non vetuit. Geminatam igitur causam huiusmodi casibus consulendi repperit nostra serenitas, ut nec confirmatio subtrahatur de suscepto quasi errore nutantibus et honeste ac probabiliter constituta sine aliqua deinceps ambiguitate serventur. Primum igitur edictali decernimus sanctione, ut matrimonia, si quae usque ad secundum numinis nostri consulatum similia probabuntur inisse coniugia, legitima firmitate non careant, sed hanc quoque munificentiam nostrorum fascium securitati suae adfuisse laetentur, ut, si quae sunt feminae, quae pro nobilitate natalium de eiusmodi forsitan consortio quicquam verentur, superfluum pondus iniusti timoris abiciant nec se non licito quasi fecisse formident, quae nulla nunc usque ad liquidum iura vetuerunt: ita ut cum libertis suis iustas nuptias contraxisse videantur natique et nascendi ex his liberi nullam umquam de parentum suorum coniunctione sustineant quaestionem, sed matris ac patris hereditatem legum more percipiant. Ipsi quoque, inter quos huiusmodi est contractus societas, testandi inter se invicem vel succedendi sibi iuxta formam iuris licentiam non amittant neque quicquam matromonii gratia a ceteris discrepare credantur, de quibus ante hanc nostri numinis sanctionem nihil legum scita praescripserint. Et re vera principalis gratiae est eruere suis casibus suspicaces mortalium mentes, ne sibi non licuisse, quod nemo prohibuerat, arbitrentur, universorum quoque notitiam evidenter instruere, ne sibi fas esse quisquam existimet, quod fas esse non patimur. Ex hoc ergo nostrae clementiae consulatu decorem publicum augere cupientes cum servis et libertis dominas et patronas ineundi matrimonia facultatem habere prohibemus, ne insignium familiarum clara nobilitas indigni consortii foeditate vilescat et, quod splendore forsitan senatoriae generositatis obtinuit, contractu vilissimae societatis amittat aut nudo tantum ingenuae libertatis fulgore perspicuum genus in femina inpudentior conplexus inminuat: ea sine dubio cautione valitura, ut de consortiis servorum perpeti firmitate servetur quidquid divus Constantinus venerabili sanctione constituit. Circa eas vero, quae in libertorum suorum abhinc vota convenerit, custodiri in aeternum duratura lege sancimus, ut coniunctio vetita ne nomen quidem matrimonii sortiatur, sed ad inlicita consortia execrabiliter adspirantes publicatione omnium facultatum et perpetua deportatione plectantur: his, qui ex huiusmodi societate nascuntur, non solum iure, sed et vocabulo liberorum privandis, servili quoque condicioni probabiliter addicendis, ita ut in his dominium sibi noster fiscus usurpet.

De coniunctionibus sane ancillarum et libertarum nec non de naturalibus liberis quoquomodo procreatis procreandisve inter omnes decernimus custodiri, quod divorum retro principum saluberrima constituta sanxerunt, Luperciane p(arens) k(arissime) a(tque) a(mantissime). Inl(ustris) igitur et praecelsa magnificentia tua saluberrimam sanctionem ad omnium notitiam pervenire edictorum divulgatione praecipiat, ne cui supersit ignorationis auxilium, quominus caute quae sunt decreta serventur. DAT. X KAL. MART. ROMAE D. N. ANTHEMIO A. CONS. ACCEP(TA) ID. MART. ROMAE IPSO A. CONS.

 

[28] Un’analisi di questa legge Visigota si può consultare in E. OSABA, El adulterio uxorio en la Lex Visigothorum (Madrid 1997) pp. 283-290, inoltre in: Observaciones sobre el nacimiento del derecho matrimonial cristiano: uniones desiguales II. Derecho visigodo, in: Actas del IX Congreso Iberoamericano de Derecho Romano, di prossima pubblicazione.

 

[29] LV 3.3.2, antiqua: Si parentes mulierem vel puellam raptam excusserint, ipse raptor parentibus eiusdem mulieris vel puelle in potestate tradatur, et ipsi mulieri penitus non liceat ad eundem virum se coniungere. Quod si facere presumserit, ambo morti tradantur. Si certe ad episcopum vel ad altaria sancta confugerit, vita concessa, omnismodis separentur et parentibus rapte servituri tradantur.

 

[30] F. GORIA, v. Ratto (diritto romano), in ED 38 (Milano 1987) 714.

 

[31] IT CT 9.24.1 pr., Interpretatio: Si cum parentibus puellae nihil quisquam ante definiat, ut eam suo debeat coniugio sociare, et eam vel invitam rapuerit vel volentem, si raptori puella consentiat, pariter puniantur. [CT 9.24.1 pr. (=LRV 9.19.1 pr.) IMP. CONSTANTINUS A. AD POPULUM. Si quis nihil cum parentibus puellae ante depectus invitam eam rapuerit vel volentem abduxerit patrocinium ex eius responsione sperans, quam propter vitium levitatis et sexus mobilitatem atque consili a postulationibus et testimoniis omnibusque rebus iudiciariis antiqui penitus arcuerunt, nihil ei secundum ius vetus prosit puellae responsio, sed ipsa puella potius societate criminis obligetur (…)]. Sul ratto in Diritto Romano, cfr. F. GORIA, op. cit., 707-724, e la letteratura in esso citata; C. DUPONT, op. cit., p. 47; J. BEAUCAMP, op. cit., pp. 109 ss.; G. RIZZELLI, Lex Iulia de adulteriis. Studi sulla disciplina di adulterium, lenocinium, stuprum (Lecce 1997) pp. 249 ss.

 

[32] Una spiegazione sull’ organizzazione della chiesa nella Spagna visigota può essere consultata in J. FERNÁNDEZ ALONSO, La cura pastoral en la España romanovisigoda  (Madrid 1955) pp. 191 ss.; A. BARBERO DE AGUILERA, Las divisiones eclesiásticas y las relaciones entre la iglesia y el estado en la españa de los siglos VI y VII, in La sociedad visigoda y su entorno histórico (Madrid 1992) pp. 168-198; P. DE PALOL SALELLAS, Historia de España de R.. Menéndez Pidal, III, v. II (Madrid 1991) pp. 285-337. Sul ruolo dei vescovi in relazione con il controllo giuridico da loro esercitato cfr. C. PETIT, Iglesia y Justicia en el reino de Toledo, in Los visigodos. Historia y civilización. Antigüedad y cristianismo III (Murcia 1986) pp. 261-274; L. A. GARCÍA MORENO, op. cit., pp. 43 ss., 119 ss.; id., Historia de España de R. Menéndez Pidal  III, v. I (Madrid 1991) pp. 398-402; K. ZEUMER, Historia de la legislación visigoda (Barcelona 1944) pp. 148 ss., 166 ss.; Mª. R. VALVERDE CASTRO, op. cit., pp. 230 ss.

 

[33] Op. cit., pp. pp. 140 ss.

 

[34] Sul ratto in epoca visigota si può vedere D’Ors, op. cit., pp. 140 ss., K. ZEUMER, op. cit., pp. 243 ss.; P. D. KING, op. cit., pp. 259 ss.; H. NEHLSEN, Sklavenrecht zwischen Antike und Mittelalter, germanisches und römisches Recht in den germanischen Rechtsaufzeichnungen (Göttingen 1972), p. 241.

 

[35] LV 9.2.3, antiqua: Si quis centenarius, dimittens centenam suam in hostem, ad domum suam refugerit, capitali supplicio subiacebit. Quod si ad altaria sancta vel ad episcopum forte confugerit, CCC solidos reddat comiti civitatis, in cuius est territorio constitutus, et pro vita sua non pertimescat. (…) Et si centenarius sine conscientia aut volumtate prepositi hostis aut thiufadi sui de centena sua, ab aliquo per beneficio persuasus aut rogitus, quemquam ad domum suam redire permiserit vel in hostem, ut non ambularet, relaxaverit, quantum ab eo acceperat in novecuplum comiti civitatis, in cuius est territorio constitutus, satisfacere conpellatur (…). Quod si centenarius ab eo nullam mercedem acceperit et sic eum ad domum suam ambulaturum dimiserit, ille centenarius, sicut superius est conprehensum, det comiti civitatis solidos X.

 

[36] CT 7.12.1 IMP. CONSTANTINUS A. ET C. Ne cui liceat praepositorum vel decurionum vel tribunorum cohortium quocumque genere cuiquam de militibus a castris atque signis vel his etiam locis, quibus praetendant, discedendi commeatum dare. Si quis vero contra legem facere ausus fuerit et militem contra interdictum commeatu dimiserit atque id temporis nulla eruptio erit, tunc deportatione cum amissione bonorum adficiatur; sin vero aliqua barbarorum incursio extiterit et tunc, cum praesentes in castris atque aput signa milites esse debeant, quisquam afuerit, capite vindicetur. DAT. IIII KAL. MAI. SEVERO ET RUFINO CONSS. (323 apr. 28). V. ARANGIO-RUIZ, Sul reato di diserzione in diritto romano, in Scritti di diritto romano II (Camerino 1974) 1-12; A. MASI, v. Diserzione (diritto romano), in ED 12 (Milano 1964) 104-106; ROSTOWZEW, v. Commeatus, in PWRE 4 (Stuttgart 1901) 718-722. FIEBIGER, v. Desertor, in PWRE 5 (Stuttgart 1905) 249-250; C. DUPONT, op. cit., 112-113.

[37] Rispetto all’esercito in epoca visigota, cfr. Mª R. VALVERDE CASTRO, op. cit., 233-236; P. D. KING, op. cit., 91-97; D. PÉREZ SÁNCHEZ, El ejército en la sociedad visigoda (Salamanca 1989); L. A. GARCÍA MORENO, Estudios sobre la organización administrativa del reino visigodo de Toledo, in AHDE 44 (1974) 65-152; A. BARBERO y M. VIGIL, Algunos aspectos de la feudalización del reino visigoda en relación con su organización financiera y militar, in Sobre los orígenes sociales de la Reconquista, 2 ed. (Barcelona 1988)105-137; J. MIRANDA CALVO, Panorámica castrense de la etapa visigoda, in El concilio III de Toledo. XIV Centenario 589-1989 (Toledo 1991) M. PICCIALUTI, v. Diserzione (diritto intermedio), in ED 12 (Milano 1964) 106-111.

 

[38] Cfr. R. LAMBERTINI, op. cit., 51 ss.

 

[39] Nov. 17.7: Neque autem homicidis neque adulteris neque virginum raptoribus delinquentibus terminorum custodies cautelam, sed etiam inde extrahes et supplicium eis inferes. Non enim talia delinquentibus parcere competit, sed obpatientibus, ut non talia a praesumptoribus patiantur. Deinde templorum cautela non nocentibus, sed laesis datur a lege, et non erit possibile utrumque tueri cautela sacrorum locorum et laedentem et laesum. Da vedere anche Nov. 37.10;117.15.

 

[40] LV 9.3.4, antiqua: Eos, qui ad ecclesiam vel ad ecclesie porticos confugerit, nullus contingere presumat, sed presbitero vel diacono repetat, ut reformet; et seu debitor sive reus, qui confugerat, si non meretur iccidi, aput repetentem ecclesie cultor interveniat, ut ei veniam det, et exoratus indulgeat (…) De homicidis autem, maleficis et veneficis in eorum titulis leges sunt requirende.

 

[41] LV 6.2.1 Chind.; CT 9.16.4 (=LRV CT 9.13.2 e IT; CJ 9.18.5) e LV 6.2.3; CT 9.16.3 (= LRV CT 9.13.1 e IT; CJ 9.18.4). Cfr. D’ORS, op. cit., pp. 120 ss.; C. DUPONT, op. cit., pp. 36, 80 ss.

           

            [42] LV 6.2.4, Chindasvinto: Malefici vel inmissores tempestatum, qui quibusdam incantationibus grandines in vineis messibusque inmittere peribentur, vel hii, qui per invocationem demonum mentes hominum turbant, seu qui nocturna sacrificia demonibus celebrant eosque per invocationes nefarias nequiter invocant, ubicumque a iudice vel actore sive procuratore loci repperti fuerint vel detecti, ducentenis flagellis publice verberentur et decalvati deformiter decem convicinas possessiones circuire cogantur inviti, ut eorum alii corrigantur exemplis. (…). IT CT 9.16.3, Interpretatio: Malefici vel incantatores vel inmissores tempestatum vel hi, qui per invocationem daemonum mentes hominum turbant, omni poenarum genere puniantur. [CT 9.16.3 (= LRV CT 9.13.1) IMP. CONSTANTINUS A. ET CAES. AD BASSUM P(RAEFECTUM) U(RBI). Eorum est scientia punienda et severissimis merito legibus vindicanda, qui magicis adcincti artibus aut contra hominum moliti salutem aut pudicos ad libidinem deflexisse animos detegentur. Nullis vero criminationibus inplicanda sunt remedia humanis quaesita corporibus aut in agrestibus locis, ne maturis vindemiis metuerentur imbres aut ruentis grandinis lapidatione quaterentur, innocenter adhibita suffragia, quibus non cuiusque salus aut existimatio laederetur, sed quorum proficerent actus, ne divina munera et labores hominum sternerentur. DAT. X. KAL. IUN. AQUIL(EIAE), CRISPO ET CONSTANTINO CAESS. COSS. ]. LV 6.2.1, Chindasvinto: Qui de salute vel morte principis vel cuiuscumque hominis ariolos, aruspices vel vaticinatores consulit, una cum his, qui responderint consulentibus, ingenui siquidem flagellis cesi cum rebus omnibus fisco servituri adsocientur, aut a rege cui iusserit donati perpetuo servitio addicantur. (...) IT CT 9.16.4, Interpretatio: quicumque pro curiositate futurorum vel invocatorem daemonum vel divinos, quos hariolos appellant, vel haruspicem, qui auguria colligit, consuluerit, capite punietur. [CT 9.16.4 (= LRV 9.13.2) IMP. CONSTANTIUS A. AD POPULUM. Nemo haruspicem consulat aut mathematicum, nemo hariolum. Augurum et vatum prava confessio conticescat. Chaldaei ac magi et ceteri, quos maleficos ob facinorum magnitudinem vulgus appellat, nec ad hanc partem aliquid moliantur. Sileat omnibus perpetuo divinandi curiositas. Etenim supplicium capitis feret gladio ultore prostratus, quicumque iussis obsequium denegaverit. DAT. VIII. KAL. FEBR. MEDIOL(ANO), CONSTANTIO A. IX. ET IULIANO CAES. II. CONSS.].

 

[43] Vedere alla nota 15 un riferimento alla LV dove trovare un’esposizione dettagliata della genesi della legislazione visigota, e la corrispondente bibliografia.