Università Kardinal Stefan Wyszynski, Varsavia
Soltanto nella mitica aurea aetas gli uomini andavano d’amore e d’accordo e ogni vincolo giuridico era superfluo. In realtà anche le prime società umane non potevano fare a meno di una – ancorché rudimentale – forma di statuizione. Man mano che i rapporti sociali ed economici si andavano articolando, la regolamentazione dei diritti e dei doveri diventava più ampia e precisa. Qualunque cosa faccia – pascoli il bestiame, ari la terra, semini, commerci, viaggi, tratti affari, scriva libri o navighi su internet – l’uomo è obbligato ad agire e scegliere. I suoi atti possono essere leciti o illeciti, penalmente o civilmente irrilevanti o, al contrario, rilevantissimi – il che, peraltro, non sempre gli è chiaro. Talvolta quel che massimamente lo riguarda gli sfugge al punto da farne oggetto inconsapevole di atti altrui.
I giuristi sanno bene quanto possa essere astruso un diritto in continua evoluzione. Le modifiche, se troppo frequenti, li lasciano perplessi. Tanto più che lo sviluppo del diritto non è lineare. Il diritto sumero-accadico e babilonese a cavallo del III e II millennio a.C. era più articolato dei diritti ebraico, greco, romano ed egizio di circa 1500 anni dopo. Nel Basso Medioevo, ma anche più tardi, il diritto dei popoli germanici e slavi non era senz’altro all’altezza del diritto romano classico. In tutti i tempi legislazioni rudimentali hanno fatto da contraltare ad ordinamenti raffinati. L’evoluzione del diritto è stata, nei secoli, disuguale. Cesure e passaggi fra i vari stadi di sviluppo non sono chiari e netti. Non mancano commistioni, tanto nell’antica Grecia, quanto a Roma, dove con i primordi di un ordinamento più evoluto coesistettero a lungo residui del diritto arcaico, che la cultura giuridica riuscì infine ad eliminare. Nell’Europa medioevale gli ordinamenti arcaici slavi e germanici seppero convivere con il grande diritto dei Romani. In epoca moderna le grandi codificazioni, varate a ridosso dell’Ottocento, conclusero un tempestoso periodo di trasformazioni, facilitate in parte dal diritto romano. Influenze e condizionamenti reciproci non sono mai venuti meno, articolandosi in sei cerchi di differente intensità.
Al primo cerchio appartengono i paesi che non soltanto furono retti dal diritto romano all’epoca in cui i loro territori facevano parte dell’Impero Romano, ma non cessarono del tutto a conformarsi ai suoi principi anche dopo la caduta dell’Impero d’Occidente. Così fu in Italia, Spagna, Portogallo e nella Francia del Sud. Il primo cerchio non fu mai omogeneo. La Spagna e il Portogallo imboccarono cammini diversi; la Francia del Sud si unì con quella del Nord. Soltanto l’Italia continuò a coltivare con cura la tradizione giuridica romana e a saperne interpretare i principi per avvicinarla alle nuove esigenze.
Nel secondo cerchio il diritto romano non ebbe mai a radicarsi, come nella Francia settentrionale, oppure non fu mai in vigore. Vi rinveniamo paesi forti di un diritto consuetudinario di altissimo livello, talvolta sorretto da ordinamenti di assai pronta formazione. Il ricorso a modelli e principi d’importazione romana non era quindi indispensabile. L’influenza del diritto romano si manifestò tardi e fu piuttosto circoscritta, incontrando sovente resistenze ostinate e in fin dei conti vincenti. Fra i paesi di questo cerchio si annovereranno la Francia del Nord, la Scozia, l’Ungheria, la Polonia, la Germania sotto l’influenza dello Speculum Saxonum (Sachsenspiegel) e, nella misura in cui sia lecito mettere da parte l’influsso di Bisanzio, la Russia. Tale elenco può sembrare disorganico. Tuttavia il collante non gli fa certo difetto: radicamento del vecchio diritto consuetudinario, rapporto con il diritto romano oscillante fra ignoranza, avversione e indifferenza, aspirazione a un diritto proprio, soddisfatta talvolta con compilazioni di diritto consuetudinario. In Russia già nell’XI sec. si andava formando la Ruskaja Prawda (La Verità Russa), raccolta di leggi slave; paragonabile, in Polonia, fu l’impatto degli Statuti di Casimiro il Grande della metà del Trecento. Numerosi tentativi di codifica davano manforte alla formazione di sistemi giuridici particolari.
Nel terzo cerchio – che pur se affine, si distingue nettamente dal precedente – troviamo i sistemi giuridici svizzeri e scandinavi, frutto dell’incontro di una ricca tradizione consuetudinaria con nozioni tratte dal diritto romano. Com’è noto, la Svizzera elaborò un proprio ordinamento che, a differenza dei diritti condizionati dal Sachsenspiegel, fu sensibile all’influenza romana senza spingersi tuttavia a recepirlo. Quanto alla Scandinavia, la prima legislazione si richiamò unicamente ai diritti consuetudinari locali, quella più tarda attinse invece largamente dal diritto romano.
Nel quarto cerchio si hanno i paesi tedeschi e austriaci non subordinati al Sachsenspiegel, e l’Olanda. Il diritto consuetudinario locale, al pari di quello positivo, non si rivelò abbastanza forte da soddisfare esigenze sempre più complesse. Vi si ovviò con una soluzione poco originale, ma semplice ed efficace: cioè con la recezione del diritto romano quale diritto in principio sussidiario, ma di fortissimo impatto, ben più importante che nei paesi del secondo e terzo cerchio.
Il quinto cerchio è appannaggio dei paesi balcanici, retti da ordinamenti particolari che risentivano dell’influenza della cultura bizantina, tanto più forte, quanto più stretti erano i rapporti con Bisanzio e meno ricco il diritto consuetudinario locale.
Il sesto cerchio è occupato quasi per intero dall’Inghilterra e in qualche modo dall’Irlanda, le quali, a dispetto del dominio romano, estesosi fino ai confini della Scozia, elaborarono un singolare sistema giuridico, del tutto dissimile non soltanto da quello romano, ma anche da principi e nozioni vigenti nel resto d’Europa. Difatti alla radice del diritto inglese non v’è né un diritto consuetudinario, né una legislazione antecedente, bensì una rispettata giurisprudenza.
Oggidì la divisione dell’Europa in sei cerchi giuridici appartiene perlopiù alla storia, conservando qualche ultimo residuo di attuale importanza. Si ricorderà a tal proposito che il sistema inglese si è trapiantato con relativo successo negli Stati Uniti; che gli effetti della recezione del diritto romano erano percepibili in Germania fino allo scadere dell’Ottocento; e che la sua recezione in Olanda portò alla formazione del romandutch law, le cui ultime tracce possono rinvenirsi a tutt’oggi in Sudafrica e Sri Lanka.
Gli studi sulla presenza del diritto romano in Polonia prendono lo spunto dal Battesimo del 966 secondo il rito latino e la contestuale scelta della civilizzazione mediterranea. Il problema dell’influenza esercitata dal diritto romano in Polonia, tuttora vivamente discusso, arroventò gli animi degli studiosi all’inizio del Novecento. Non appena ebbe, nel 1918, riconquistato l’indipendenza, la Polonia si cimentò con la ricostruzione del proprio sistema giuridico, frantumatosi dopo le spartizioni della fine del Settecento. I giuristi dell’epoca si divisero in coloro che tendevano a enfatizzare le peculiarità del diritto polacco e i loro avversari decisamente propensi a far tesoro dei grandi codici – francese, tedesco e austriaco – già vigenti in parti del territorio nazionale. Ma tutti convenivano a raccordarsi alla grande tradizione romana, comune a tutte le culture giuridiche presenti in Polonia. Perché Roma vuol dire diritto. Suoi sono i grandi principi, sue le nozioni, pazientemente affinate e quindi tramandate da Giustiniano, patrimonio irrinunciabile e sempiterno di tutti gli europei.
Dopo la II guerra mondiale si cercò di elaborare un particolare sistema giuridico socialista. In Polonia vi si oppose un forte attaccamento alle radici storiche del diritto civile e la volontà di conservare stretti legami con la grande tradizione giuridica europea, difesa in primo luogo da romanisti e civilisti. Mai si stancarono di ripetere che senza indagarne le radici, non si comprende il diritto moderno. Gli arrise un discreto successo.
Attualmente la Polonia si appresta a integrarsi con l’Unione Europea. Ciò comporta, tra l’altro, l’obbligo di uniformare la legislazione al dettato comunitario e di prepararsi a una fruttuosa cooperazione con gli organi europei. L’Europa vuole avere un diritto. La cosa non è nuova. Ci fu un tempo in cui, giuridicamente, l’Europa era unita. Grazie alla recezione del diritto romano, nell’Europa continentale vigeva un unico sistema giuridico. Il diritto romano e il diritto canonico costituivano la ratio scripta, condivisa da tutti; al pari del latino, usato da ogni giurista. Oggi si discute dell’opportunità di dar vita a un sistema giuridico europeo, fondato sul diritto romano e l’etica cristiana; che potrebbe far le veci di un ius commune Europeum, metro e punto di richiamo degli ordinamenti particolari.
Non si pensa ovviamente di ripristinare il diritto romano nella sua antica veste, ma di applicarne alcune regole e principi. I filosofi riprendono da secoli i grandi quesiti dei Greci, i fedeli si confrontano con l’insegnamento dei primi cristiani: perché i giuristi non dovrebbero far ricorso all’impareggiabile bravura dei giurisperiti romani? Tanto più che vi sono abituati, e da tempo. Utile al legislatore, la tradizione romanistica sovverrebbe anche, e forse più, l’interprete, aiutando giudici di varia nazionalità a delimitare il bene tutelato. Importantissimo al riguardo il ruolo della scienza impegnata a veicolare lo sguardo degli operatori su elementi e valori del diritto romano che hanno permeato la tradizione giuridica europea. Non sarà facile: l’abitudine a concepire il diritto in chiave nazionale è assai diffusa, il ritorno al ius commune non è certo all’ordine del giorno, chiedere il ripristino del latino quale lingua comune dei giuristi è fatica persa. Ma l’idea è buona e farà strada, sostenuta per indole naturale dai romanisti e da quei cultori del diritto privato che non hanno perso memoria delle loro origini. Se son pochi, si provveda, educando i giovani.
Tanto più che gli studi giuridici dovrebbero insegnare anzitutto nozioni, terminologie e istituzioni, formatesi nel corso dei secoli.
In secondo luogo, lo studente di giurisprudenza dovrebbe acquisire la capacità di interpretare e applicare qualsiasi norma gli venga preposta. Pertanto le istituzioni non possono insegnarsi come entità astratte, bensì radicate nel loro contesto storico, culturale ed economico. Lo studente dovrebbe imparare a distinguerle, paragonarle e anzitutto saper individuare a occhio sicuro quel che a tutte è proprio. Non guasta una discreta abilità pratica che nel caso di un giurista in erba significa ad esempio redigere un contratto. Pertanto nel programma di studi non può farsi a meno della logica, del diritto romano, della storia del diritto o l’economia. Non meno importante è la conoscenza delle lingue che indirizza a proficui studi di diritto comparato.
Ecco perché la capacità di individuare, interpretare e applicare una norma, di cui il diritto romano è da sempre maestro impareggiabile, risulta di gran lunga più utile dell’insegnamento, peraltro alquanto meccanico, del diritto vigente. Il mondo corre. Il progresso della scienza impone leggi e modifiche a getto continuo. I parlamenti sfornano centinaia di leggi, migliaia di norme all’anno. In concomitanza con l’accesso all’Unione Europea la Polonia si appresta a includere nel suo ordinamento il diritto comunitario primario e derivativo. I nostri giuristi dovranno sapersi districare nel contorto labirinto delle norme comunitarie e della ricca giurisprudenza della Corte di Giustizia. Non sarà facile.
Si hanno tanti giuristi. Tutti cominciano nelle facoltà di giurisprudenza. Alcuni diventeranno avvocati e commercialisti, altri magistrati e legislatori. Quelli dovrebbero imparare sui nostri banchi a fronteggiare situazioni difficili per difetto di regolamentazione giuridicamente indefinite; questi – a capire il mondo e intervenire con nuove norme laddove sia necessario.
Il diritto romano li aiuterà. Li aiuterà, se sapranno ricordarsi non soltanto del praetor peregrinus e dell’aequitas che gli era faro, ma altresì del praetor urbanus e di come interpretassero la legge i raffinati giurisperiti di Roma antica.