Anton D. Rudokvas
Istituto Giuridico di San Pietroburgo
Procura Generale della Federazione Russa
L’usucapione nel diritto civile
Russo
Come prima cosa, colleghi, vorrei esprimere la mia profonda gratitudine e riconoscenza agli organizzatori del convegno per l’onore che mi è stato riservato invitandomi a partecipare. Nella mia relazione tratterò le varie tappe dello sviluppo del concetto di usucapione nel diritto civile russo. Mi permetto di credere che l’argomento da me proposto serva da illustrazione caratteristica delle lotte tra i due orientamenti del diritto civile russo: quello di recezione del diritto romano e quello contrario alla recezione.
A prima vista, l’essenza di questo istituto nel diritto
civile della Russia non crea troppe difficoltà, in quanto il legislatore russo
trae i suoi fondamenti dal diritto romano. Sono riconosciuti capaci ad
usucapire le persone che esercitano il possesso in buona fede ininterrottamente.
Il possessore in mala fede è colui che è consapevole di essere titolare di
possesso ingiustificato. Il tempo necessario per l’usucapione è fissato in
cinque anni per i beni mobili e quindici per i beni immobili. In riferimento
all’usucapione, viene inoltre stabilito che il possessore può unire al tempo di
possesso proprio anche quello del precedente possessore (art. 234 parte 3).
Al possessore di buona fede viene assicurata la tutela
giuridica del suo possesso contro i terzi, che non sono proprietari e non hanno
diritto al possesso in forza della ragione prevista dalla legge o dal contratto
(articolo 234 parte 2).
A prima vista, la differenza dell’istituto dell’usucapione nel Codice Civile della Russia rispetto a quello del diritto romano consiste solo nella necessità di procedere alla registrazione pubblica del diritto acquistato (nel caso in cui il diritto sul bene fosse registrabile). La seconda differenza consiste nel fatto che l’usucapione nell’attuale diritto civile della Russia inizia a decorrere non prima della scadenza della prescrizione di rivendicazione della cosa posseduta. Nella pratica l’uso dell’istituto dell’usucapione ha trovato non poche difficoltà. Ciò giustifica le contraddizioni riguardo all’interpretazione del testo del Codice Civile.
Gli autori del Codice, nella elaborazione del concetto di usucapione, hanno ammesso di aver usato come modelli, traendoli dal diritto romano, la nozione di bonae fidei possessor e la costruzione romanistica dell’usucapione. Tuttavia, nella pratica si è tentato di interpretare le norme dell’usucapione del nuovo Codice Civile utilizzando nozioni risalenti al diritto civile dell’Impero Russo e del diritto sovietico. Tutto questo ha creato grande confusione e ha bloccato l’applicazione effettiva dell’istituto dell’usucapione.
In particolare si è cercato di provare che l’acquisto di buona fede a titolo gratuito non si trasforma in proprietà in seguito all’usucapione, ma diventa diritto di proprietà immediatamente nel caso in cui il proprietario precedente si fosse privato volontariamente del possesso della cosa. Però, bisogna sottolineare che nel Codice Civile della Russia non esiste nessun motivo formale per giungere a tali conclusioni.
Molti studiosi rimangono ancora fedeli all’idea tradizionale del diritto
sovietico che alla scadenza della prescrizione si estingua anche il diritto
protetto dall’azione. Il fondamento di tale interpretazione riposa nell’assenza
di precise indicazioni sugli effetti della prescrizione nello stesso Codice
Civile. Se si accetta questa interpretazione si rischia di non cogliere la
differenza tra i concetti di occupazione e di usucapione, come differenti modi
dell’acquisto del diritto di proprietà sulle res nullius.
Sorgono problemi in merito al contenuto dell’articolo 225 del Codice Civile Russo, che contiene le norme relative all’occupazione dei beni di nessuno, all’acquisto del tesoro e al ritrovamento di animali abbandonati, norme che devono prevalere su quelle dell’usucapione. Ne consegue che nel Codice Civile Russo esiste la duplice possibilità di divenire proprietari dei beni di nessuno: mediante l’occupazione o attraverso l’istituto dell’usucapione, anche se le norme dell’occupazione prevalgono su quelle dell’usucapione. Al riguardo, ritengo significativo occuparmi dei problemi connessi alla possibilità che l’affittuario possa divenire proprietario per usucapione.
Il problema è sorto negli anni novanta, in attuazione della privatizzazione, per la riluttanza di alcuni affittuari di beni pubblici ad eseguire il pagamento dovuto per l’acquisto di essi. Alcuni affittuari richiedevano di essere riconosciuti come proprietari dei beni presi in affitto sulla base del diritto di usucapione. In questo caso, si riferivano alla tradizione prerivoluzionaria dell’impiego dell’usucapione, anche se nell’Impero Russo la buona fede non era considerata requisito necessario per l’usucapione, come invece previsto dal Codice Civile attuale della Federazione Russa.
A giustificazione della richiesta degli affittuari è stata proposta la seguente motivazione: «Se l’affittuario non ha adempiuto al contratto ed ha rifiutato di restituire la cosa affittata, egli ha cambiato la natura del suo possesso. Ha cominciato ad avere un possesso pro suo. In tal caso, ha cominciato a possedere in mala fede. Poi, se il locatore non ha intentato la causa all’affittuario presso un tribunale, prima della scadenza della prescrizione, il possesso di mala fede si è trasformato in possesso di buona fede, perché il possessore ha motivo di pensare che il proprietario abbia rinunciato al suo diritto di proprietà. Di conseguenza, l’affittuario si trasforma in possessor ad usucapionem e può procedere all’usucapione». Si precisa poi che non può imputarsi al possessore il mancato controllo delle circostanze che impediscono al proprietario di intentare l’azione, poiché questo significherebbe pretendere molto di più rispetto al livello ordinario di cura e previdenza del bonus pater familias.
Nella motivazione presentata si intravede il richiamo al
diritto romano, almeno nella parte che riguarda il comportamento del bonus
pater familias, anche se nella restante parte della motivazione emergono
conflitti evidenti con la tradizione romanistica.
Primo:
generalmente l’affittuario di per sé non può essere considerato un possessor
ad usucapionem. Come scrisse Gajus: «Siamo considerati possessori non
soltanto quando possediamo da noi, ma anche se qualcun altro si trova nel
possesso a nostro nome, anche se
questo non fosse sotto il nostro potere, come il colonus e il
locatario». Questo significa che l’affittuario possiede a nome di un altro
soggetto e rappresenta il detentor alieno nomine. L’affittuario che si
sia appropriato dei beni presi in affitto diviene senza dubbio possessore,
perché anche un ladro possiede. Tuttavia, il possesso di mala fede non può
trasformarsi in possesso di buona fede per l’atteggiamento soggettivo dello
stesso possessore verso la situazione venutasi a creare.
Come
scrisse Paulus nel libro cinquantaquattresimo ad edictum: «gli
antichi prescrissero che nessuno di per sé stesso poteva cambiare la causa del
suo possesso». In tal modo, il diritto romano prevedeva che i requisiti del
possesso dovevano esistere al momento della sua acquisizione e formavano uno
stato immutabile, che non si trasformava con i mutamenti delle circostanze.
Nel settimo libro ad Plautium, Paulus scrisse quanto segue: «Se nel momento in cui la cosa mi consegnata la ritengo essere del venditore e solo dopo verrò a sapere che essa è di altri, siccome essa rimane tale, acquisto per usucapione» (D. 41.1.48. 1. si eo tempore, quo mihi res traditur, putem vendentis esse, deinde cognovero alienam esse, quia perseverat per longum tempus capio). Questo significa che né il possesso di buona fede può trasformarsi di proprio arbitrio in possesso di mala fede, né, al contrario, quello di mala fede può trasformarsi in possesso di buona fede. L’interpretazione contraria renderebbe impossibile al possessore di buona fede difendersi con l’actio in rem Publiciana: infatti, il tentativo d’intentare tale azione starebbe a significare una ammissione da parte del possessore del suo possesso illegale, che comporterebbe il riconoscimento della mala fede nel possesso.
Nella seconda parte dell’articolo 234 del Codice Civile Russo, viene riconosciuto
il diritto di intentare tale azione solo al possessore di buona fede. In
seguito a ciò, non si può fare a meno di constatare che, nel diritto civile
attuale della Russia, le nozioni di possesso di buona fede e di acquisto di
buona fede sono identiche a quelle del diritto romano.
In tal modo bisogna riconoscere, che il tentativo di giustificare la possibilità di usucapire da parte dell’affittuario rimane del tutto immotivato e contrasta con una serie di importanti caratteristiche dell’istituto dell’usucapione, modellate dal legislatore russo sulla base del diritto romano. La principale caratteristica di questo istituto, sia nel diritto romano, sia nel diritto civile attuale della Russia, presuppone che la sfera di impiego dell’usucapione resti sempre uguale. Questa sfera può restringersi o ampliarsi solo in virtù di speciali direttive della legge, riguardanti oggetti definiti o modi di acquisto del possesso della cosa.
Tuttavia, in ogni caso, questo modello di usucapione elaborato dalla giurisprudenza romana può essere utilizzato solo per l’acquisto del diritto di proprietà di cose, il cui possesso sia stato ottenuto con titolo viziato, sempre che il vizio fosse stato nascosto al nuovo possessore. Nel diritto romano si chiamava titulus putativus. Era possibile inoltre acquistare mediante usucapione le cose derelitte e i loro frutti. La discussione, sviluppatasi nella Russia contemporanea, riguardo alla sfera di applicazione dell’usucapione ben si spiega avendo presenti da due cause, profondamente legate tra loro.
La prima consiste nel fatto che molte delle principali nozioni nel Codice Civile Russo non sono determinate dal legislatore, perché si presuppone che esse fossero già conosciute. In particolare nella legislazione della Russia non c’è alcuna definizione della nozione giuridica di possesso e dei suoi requisiti necessari, come la buona fede o il possesso non clandestino ed ininterrotto. Sono considerati già conosciuti dal corso universitario del diritto romano: secondo quanto scriveva il professor Pokrovskij, un civilista russo prerivoluzionario, «con questo stato di istruzione civilistica il corso del diritto romano sostituisce per noi la teoria generale del diritto civile».
La seconda causa è insita nella riluttanza di molti
giuristi russi ad abbandonare gli schemi e i modi di trattare abituali a favore
di concezioni prese dal diritto romano. L’assenza di definizioni chiare e
precise per concetti e istituti tipici della legislazione civile russa genera
nei fatti la possibilità di molteplici interpretazioni differenti. Questo turba
l’unità della dottrina civilistica della Russia, immette elementi di caos nella
pratica giudiziaria, come si vede bene nel caso dell’usucapione.
In tal
modo, il chiarimento del senso più autentico dei principi e delle nozioni del
diritto romano rappresenta, nella Russia di oggi, un mezzo per la comprensione
e l’uso corretto delle norme del diritto civile. In questo consiste
l’importanza del diritto romano per la giurisprudenza della Russia nel XXI
Secolo.