N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso – Contributi
Due poco noti processi per concussione:
pretori in Sardegna
Il processo celebrato a Roma nel
A partire dal
Bellieni, la vicenda di Scauro è stata assunta dalla storiografia sulla
Sardegna romana quale emblematica del malgoverno romano, fondato sulla
corruzione, la sopraffazione, la legge del più forte: l'uccisione di Bostare,
la violenza sulla moglie di Arine e la riscossione da parte di Scauro delle tre
decime testimonierebbero i metodi adottati dai governatori romani in Sardegna[2].
Eppure non mancano nella storia della Sardegna anche sporadici casi di buon
governo, come quelli di M. Porcio Catone, pretore nel
Del resto quello
contro Scauro non fu il solo ed il primo procedimento penale ad essere
intentato contro un governatore della provincia Sardinia (che comprendeva
Noi conosciamo a grandi linee attraverso
Strabone la situazione militare dell'isola ancora alla fine della repubblica,
quando i barbari Iolei (Iliensi), i Parati, i Sossinati, i Balari e gli Aconti
continuavano a ribellarsi ai Romani[11], per quanto il trionfo di M. Cecilio Metello, celebrato il 15
luglio 111 ex Sardini(a) , fosse
stato l’ottavo e ultimo sui Sardi[12]. La situazione di disordine, alimentata da rivolte endemiche, dovè
continuare dunque anche dopo tale data e proseguire per tutto il I secolo a.C.,
tenuta sotto controllo con ripetute operazioni di polizia, come quelle
descritteci da Strabone. Dunque anche le campagne militari condotte da T.
Albucio durante il suo mandato devono essere ridimensionate, in quanto dovevano
avere degli obiettivi specifici e limitati nel tempo e nello spazio. Del resto
Cicerone afferma esplicitamente che Albucio celebrò una sorta di trionfo
privato, poiché gli era stato rifiutato dal senato l’onore della supplicatio[13]. In proposito Cicerone sottolinea la differenza tra le azioni
militari condotte in Sardegna, per le quali erano sufficenti un propretore con
una sola coorte ausiliaria per sbaragliare le bande di briganti, e quelle
condotte in Siria contro re potenti ed eserciti più agguerriti e preparati, per
le quali si aveva la necessità di un esercito consolare agli ordini di un
proconsole. Cicerone non solo metteva in evidenza la presunzione di T. Albucio,
che aveva osato celebrare nella provincia il trionfo senza il permesso del
senato, ma anche il fatto che egli aveva avuto a che fare semplicemente con mastrucati latrunculi, cioé con briganti
vestiti di pelli, e non certo con un esercito organizzato e in grado di
condurre una guerra[14]: e Isidoro, commentando Cicerone, osserva che i Sardi - seguendo
una tradizione millenaria - indossavano un loro tipico abbigliamento dal sapore
un po' selvatico, la caratteristica mastruca,
una veste fatta di pelli di capra, mostruosa se coloro che la vestono
assumono le sembianze di un animale: eo
quod qui ea induuntur, quasi in
ferarum habitum transformentur[15]. Questa doveva essere la veste dei Sardi Pelliti, secondo Livio facile
vinci adsueti[16], che erano stati gli sfortunati alleati di Ampsicora e dei
Cartaginesi nella guerra annibalica[17].
Tra le poche notizie in nostro possesso, va
comunque rilevato che T. Albucio é considerato il primo romano (almeno di cui si
abbia notizia certa) a condurre una vita conforme ai principi di Epicuro,
principi appresi probabilmente durante la sua giovinezza trascorsa ad Atene,
dove si era formato culturalmente[18]. E già il suo contemporaneo Lucilio, in un celebre frammento delle
satire, si burlava di codesto romano filelleno e della sua bizzarra grecomania[19]; nondimeno Cicerone dimostrava la sua disistima nei confronti di
Albucio definendolo graecum hominem ac
levem[20]. L’Arpinate ironizzava poi sul fatto che Albucio era assolutamente
inadatto agli affari militari e al comando, proprio per essere un seguace di
Epicuro, nè possedeva l’arte dell’eloquenza e soprattutto si rammaricava del
fatto che egli non avesse preferito tenersi lontano dalla politica
conformemente alla dottrina del filosofo prediletto[21].
Solo alla fine del suo mandato, probabilmente
nel
L’esigenza di perseguire penalmente i
magistrati provinciali accusati di concussione aveva indotto fin dal
Una successiva lex Iunia[27] non dovette innovare molto rispetto alla precedente, mentre la
materia venne totalmente rielaborata da una lex
repetundarum del 123-
L’iniziativa legislativa di Gaio Gracco,
arrivato al tribunato dopo una difficile esperienza di questore in Sardegna,
potrebbe essere un’ulteriore conferma dei soprusi subiti dai Sardi, che il
questore aveva potuto toccare con mano proprio nei tre anni trascorsi
nell’isola: con una qualche esagerazione, al suo rientro a Roma, Gaio Gracco
aveva raccontato degli abusi dei suoi predecessori, che, abituati a portare con
sè il vino necessario per tutto il periodo della magistratura in Sardegna,
riportavano nella capitale le anfore piene di oro e argento sottratto
illegalmente ai provinciali[31]. Lo sdegno del questore ha sicuramente determinato la
presentazione di tale proposta di legge; del resto altre analoghe decisioni di
Gaio Gracco sono state sicuramente prese in relazione all’esperienza sarda: si
pensi ad esempio alla Lex Sempronia
militaris del 123, con la quale si mettevano a carico della res publica le spese per le vesti dei
soldati[32]; e Plutarco racconta come in Sardegna Gaio Gracco si era dovuto
operare per ottenere gratuitamente dalle civitates
peregrinae le tuniche per i soldati, che soffrivano il freddo nella dura
stagione invernale[33].
La legge contenuta nelle tavole bembine affidò
la direzione del tribunale ad un pretore, praetor
repetundis, che compilava una lista di quattrocentocinquanta cittadini,
scelti fra i cavalieri; ad ogni processo l’accusatore aveva la facoltà di
scegliere da questa lista cento nomi e di comunicarli all’accusato, il quale a
sua volta fra quei cento indicava i cinquanta che avrebbero formato la giuria.
Il provinciale danneggiato era legittimato a promuovere personalmente la causa,
senza dover dipendere dai patroni romani e, in caso di vittoria, se straniero,
otteneva il privilegio della cittadinanza romana e il diritto di voto nella
tribù dell’accusato; se latino, la scelta tra la cittadinanza e lo ius provocationis. Qualsiasi cittadino
poteva presentarsi in qualità di accusatore e fare una postulatio, cioé chiedere al magistrato la facoltà di accusare; nel
caso di più postulanti si faceva una sorta di giudizio preventivo, la divinatio[34], per stabilire chi desse maggiore garanzia per far valere l’accusa
in modo adeguato. Accolta la postulatio,
seguiva l’accusa vera e propria, la nominis
delatio, cui corrispondeva il nomen
recipere da parte del magistrato. Formata la giuria, aveva luogo il
dibattimento con l’assunzione delle prove. A conclusione del processo, il pretore
(che non votava) raccoglieva i voti dei membri della giuria.
Nello sviluppo del processo delle quaestiones si deve rilevare la
progressiva affermazione della pena capitale; di fatto l’esilio divenne il solo
modo per sfuggire all’esecuzione della pena, con le conseguenti interdictio aquae et igni (la perdita
della cittadinanza) e publicatio (la
confisca dei beni, effetto necessario della pena capitale)[35]. L’esilio divenne quindi la conseguenza diretta della condanna e
la coscienza giuridica popolare fu portata a vedere nell’esilio e nell’interdictio aquae et igni una vera e
propria pena. In seguito questo concetto venne inserito nelle leggi e la
condanna all’esilio venne comminata direttamente[36]. E così l’interdictio aquae
et igni divenne una forma di pena capitale[37].
La materia fu successivamente regolata da una lex Servilia Caepionis, forse del
Le leges
repetundarum furono emanate, almeno in teoria, per tutelare principalmente
i socii e i sudditi provinciali, i
più soggetti agli abusi e alle malversazioni dei governatori[41].
Purtroppo non abbiamo nessuna testimonianza
dell'effettivo svolgimento del processo contro T. Albucio, poiché l’orazione Pro Sardis[42] pronunciata dall'accusatore C.
Iulius Caesar Strabo[43] é andata perduta. Cicerone elogia l’ars dicendi di Cesare Strabone, zio di Giulio Cesare, per la
vivacità e l’acutezza del linguaggio; la sua eloquenza non fu mai violenta e
nessun oratore gli fu superiore in eleganza e piacevolezza di espressione ma
soprattutto nell’arguzia delle battute[44]. Non dimentichiamo che Strabone è uno degli interlocutori del De oratore, in un passo nel quale espone
la teoria dell’uso della battuta nell’ars
dicendi[45]. Inoltre Cicerone ci informa dell’esistenza di qualche sua
orazione ancora in quegli anni, che ben più delle sue tragedie poteva dare
un’idea della validità della sua ars
oratoria, benché essa fosse priva di impeto verbale[46].
Svetonio conferma che l’ars dicendi di Giulio Cesare (che considera il miglior oratore di
tutti i tempi), almeno durante la sua giovinezza, doveva essere molto
influenzata dal genere di eloquenza di Strabone[47]. Anche Cicerone, enumerando gli oratori più famosi, dichiara che
nessuno può essere considerato superiore a Cesare per la sua eloquenza
elegante, brillante, ricercata e ricca di un’innata nobiltà[48]; anche in un'epistola indirizzata Cornelio Nepote, l'Arpinate
elogia la capacità espressiva di un uomo che non si era consacrato unicamente
all’arte del foro[49].
Nel
Per tornare al processo contro Albucio, va
rilevato che inizialmente si tentò si imbrogliare le carte, se in veste di
accusatore si era presentato Cn. Pompeo Strabone (più tardi console nell’89
a.C. e padre di Pompeo Magno), che era stato il questore agli ordini del
pretore accusato dai Sardi[57]; è dunque abbastanza credibile che egli fosse a conoscenza delle
azioni illegali commesse da Tito Albucio, suo superiore diretto, se non
addiritura uno dei complici del magistrato. Proprio per evitare accordi di
questo tipo, la lex Servilia Caepionis
prevedeva un'azione preliminare, che imponeva a chi intendesse presentarsi in
veste di accusatore di pronunciare una postulatio, cioè di chiedere al
magistrato la facoltà di accusare.
Dal momento che i Sardi rifiutavano Pompeo e
chiedevano con insistenza che l’accusa venisse affidata invece a Giulio Cesare
Strabone, si pose il problema di una decisione preliminare in proposito. Nel
caso si presentassero più postulanti era consuetudine che si svolgesse una
specie di giudizio preventivo, la divinatio,
per stabilire chi poteva dare maggiore garanzia per far valere l’accusa vera e
propria, la nominis delatio.
Chiaramente se fosse stata accolta la candidatura di Pompeo Strabone, per la
sua posizione non imparziale, il processo si sarebbe orirentato fin dalle prime
battute in modo scandalosamente favorevole ad Albucio. Fu invece accolta la postulatio di Giulio Cesare Strabone[58], cui seguì l’accusa vera e propria; una volta formata la giuria,
ebbe luogo il dibattimento coll’assunzione delle prove. Alla fine delle varie
fasi del processo, il pretore raccolse i voti dei membri della giuria, che si
espressero a maggioranza per la condanna: le tavolette cerate con
Fu così che Cesare Strabone riuscì a dimostrare
la colpevolezza di T. Albucio, ottenendo un verdetto negativo per l’accusato:
eppure, osserva Cicerone, qualche sardo lo aveva elogiato (non nullis etiam laudantibus Sardis); ma a quanto sembra i giurati erano
stati convinti da testimoni imparziali e da documenti ufficiali autentici[59].
Albucio scelse allora l’esilio, con la
conseguente interdictio aquae et igni,
per cui l’esule era escluso da ogni comunanza di vita cittadina e non poteva
rientrare in suolo patrio senza rischiare la vita. Quindi decise di recarsi ad
Atene dove poté dedicarsi agli amati studi di filosofia in perfetta serenità
d’animo, nonostante la condanna inflittagli[60].
Ancor più scarne notizie abbiamo riguardo ad un
secondo processo celebrato contro un altro predecessore di Scauro in Sardegna,
che Cicerone cita insieme a T. Albucio[61], un C. Megabocchus, col
titolo forse di propretore, usuale dopo la riforma sillana dei governi
provinciali[62]. Pare che questo personaggio, per noi oscuro, sia stato giudicato
e poi condannato alla fine del suo mandato, sicuramente prima del
Una qualche definizione cronologica ci è
fornita da Plutarco, che ricorda un Megabacchus,
difficilmente da identificare con il propretore della Sardegna, che combatté al
fianco di Crasso il giovane e morì nella battaglia di Carre contro i Parti
nella primavera del
Appare in realtà alquanto problematico
procedere ad un'identificazione dei personaggi citati ed in particolare del C. Megabocchus ricordato insieme ad Albucio nella Pro Scauro come governatore della
Sardegna condannato per concussione, con il Megabocchus
menzionato nell’epistola indirizzata ad Attico[69] e il Megabacchus citato
da Plutarco. Anche ammesso che i due personaggi citati da Cicerone siano
un’unica persona, sembra inverosimile che Plutarco si possa esser riferito al
governatore concussionario della Sardegna, processato e dichiarato colpevole
del crimen pecuniarium repetundarum
prima del
Pare dunque evidente che il Megabocchus condannato per concussione
su richiesta dei Sardi, finito politicamente e ormai non più giovane, non
potesse trovarsi nel
[1] Esiste un’abbondante
letteratura sul processo contro Scauro; ci limitiamo in questa sede a ricordare
alcune delle principali opere: H.
Gaumitz, M. Aemilii Scauri causa
repetundarum et de Ciceronis pro Scauro oratione, in Leipziger Studien 2
(1879) 249-289; Klebs, v. M. Aemilius Scaurus, in R.E., 1.1 (1893) coll. 588-590, n. 141; E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano,
II, Cagliari 1923, 631-639; C. Bellieni,
[2] Vd. ora A. Mastino, P. Ruggeri, Camillo
Bellieni e
[4] Gell. 15.12; Plut. C. Gr., II.5, cfr. A. Mastino,
[6] T.R.S. Broughton,
The magistrates of the Roman Republic,
I, New York 1951, 556 e 560; III, Supplement, New York 1986, 14. Questa è anche la cronologia già di J. Klein, Die
Verwaltungsbeamten der Provinzen des Romischen Reichs bis auf Diocletian,
I, 1, Sicilien und Sardinia, Bonn 1878,
236-237; vd. anche, sulla stessa linea, C. Vismara,
Funzionari civili e militari nella
Corsica Romana, in Studi per Laura Breglia.
Supplemento al Bollettino di Numismatica 4.3 (1987) 60.
[7] A. Milan, Ricerche sul latrocinium
in Livio, I: Latro nelle fonti preaugustee, in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, Classe di Scienze morali e Lettere. Venezia 138 (1979-1980)
181 n. 27.
[8] E.S. Gruen, Roman Politics and the Criminal Courts in 104
B.C., in Transactions and proceedings
of the American Philological Association 95 (1964) 99-110; ID., Roman Politics and the Criminals Courts, 149-78 B.C., ibid. 99 (1968) 171-173; R. J. Rowland JR., The date of Pompeius Strabo’s Quaestorship, in Classical Philology 63, 1
(1968) 213-214; D. Mantovani, Il problema d’origine dell’accusa popolare:
dalla quaestio unilaterale alla quaestio bilaterale, Padova 1989, 64 ss.; M.A. Porcu, I magistrati romani in età repubblicana, Sassari 1991, 25.
[9] E. Badian, Three no Trials in Cicero. Notes on the Text, Prosopography and
Chronology in Divinatio in Caecilium
[10] W. Feemster-Jashemski, The origins
and history of the proconsular and propraetorian imperium to 27 B.C.,
Chicago 1959, 120.
[12] Fasti Consulares et
Triumphales, cur. A. Degrassi, in Inscriptiones
Italiae, XIII, 1, Roma 1947, 84 s.; cfr. Porcu,
I magistrati cit., 25 e 36.
[13] Cic., De prov. cons., 7.15: etiam T.
Albucio supplicationem hunc ordinem denegasse. Quod est primum dissimile, res
in Sardinia cum mastrucatis latrunculis a propraetore una cohorte auxiliaria
gesta et bellum cum maximis Syriae gentibus et tyrannis consulari exercitu
imperioque confectum. Deinde Albucius, quod a senatu petebant, ipse sibi in
Sardinia ante decreverat. Constabat enim Graecum hominem ac levem in ipsa
provincia quasi triumphasse, itaque hanc eius temeritatem senatus supplicatione
denegata notavit.
[14] Per le fonti sulla mastruca, vd. M. Perra,
[15] Isid., Orig., 19, 23,5, cfr. A. Mastino,
[17] Liv. 23.40.3; vd. anche
Varr., Res rust., 2.11.11: neque non quaedam nationes harum pellibus
sunt vestitae, ut in Gaetulia et in Sardinia, cfr. A. Mastino, Analfabetismo e resistenza: geografia epigrafica della Sardegna, in
L'epigrafia del villaggio, a cura di
A. Calbi, A. Donati, G. Poma (Epigrafia e
Antichità, 12), Faenza 1993, 496 s. e n. 148.
[22] Cic., Brutus 164, cfr. Mantovani,
Il problema d’origine dell’accusa
popolare cit., 68 n. 48; 71 ss.; V. Giuffrè,
La ‘repressione criminale’
nell’esperienza romana, Napoli
1993, 79 s.; B. Santalucia, Studi di diritto penale romano, Roma
1994, 193 s.
[23] Liv., 43.2., cfr. C. Venturini, La repressione degli abusi dei magistrati romani ai danni delle
popolazioni soggette fino alla lex Calpurnia al
[24] Cic., Brutus, 27.106: Nam et quaestiones
perpetuae hoc adulescente constitutae sunt, quae antea nullae fuerunt - L. enim
Piso tribunus plebis legem primus de pecuniis repetundis Censorino et Manilio
consulibus tulit. Vd. in proposito J.S. Richardson,
The Purpose of the ”lex Calpurnia de
repetundis”, in Journal of Roman
Studies 77 (1987) 1 ss.; Mantovani,
Il problema d’origine dell’accusa
popolare cit., 52, 167, 178, n. 183 e 182 ss.; GIUFFRÈ, La ‘repressione criminale’ cit., 75 ss.;
Santalucia, Studi di diritto penale cit., 186 ss.
[25] Per quanto riguarda il crimen pecuniarum repetundarum vd. W. Kunkel,
Untersuchungen zur Entwicklung des
romischen Kriminalverfahrens un vorsullanischer Zeit,, in Revue des Études Latines 41 (1963) 533-536; Gruen, Roman Politics cit., 8 ss.; W. Eder,
Das vorsullanische Repetundenverfahren,
München 1969, 15 ss.; C. Venturini,
Studi sul «crimen repetundarum» nell’età
repubblicana, Milano 1979, 129 ss.
[26] Cfr. F. Serrao, Appunti sui ”patroni” e sulla legittimazione attiva all’accusa nei processi
”repetundarum”, in Classi, partiti e
legge nella repubblica romana, Pisa 1974, 233 ss.; B. Santalucia, La repressione penale e le garanzie del cittadino, in Storia di Roma, II, L’impero mediterraneo, 1, La
repubblica imperiale, Torino 1990, 543. Pisa 1974, 233 ss.; Id., Studi di diritto penale romano cit., 187 e 190.
[28] CIL I 583; cfr. G. Rotondi,
Leges publicae popouli romani, Milano
1912, 312 s.; FIRA I, 1968, 84 ss.
[29] Sulla quale vd. Tac., Ann.,
12.60.3, cfr. G. WOLF, Historische
Untersuchungen zu den Gesetzen des C. Gracchus. «Leges de iudiciis» und
«leges de sociis», München 1972,
5 sgg.; A.N. Sherwin-White, The Lex Repetundarum and the
political ideas of Gaius Gracchus, in Jounal
of Roman Studies 72 (1982) 5.
[30] A. Lintott, The leges de repetundis and associate measures under the Republic,
in Zeitschrift der Savigny – Stiftung für
Rechtsgeschichte (Romanistische
Abteilung) 98 (1981) 182 ss. Vd. anche Mantovani, Il problema d’origine dell’accusa popolare cit., 78 ss.; Giuffrè, La ‘repressione criminale’ cit.,
78 s.; Santalucia, Studi di diritto cit., 188 ss., n. 128,
129 s. e 202.
[31] Gell. 15.12.4; vd. anche
Plut., C. Gr., II, 1 sgg.; cfr. P. Ruggeri, Alle orgini della viticoltura in Sardegna, in Quinta settimana della cultura scientifica, Sassari 1995, 39; A. Mastino,
[34] Sulla divinatio vd. Venturini,
Studi sul “crimen repetundarum” nell’età repubblicana, cit., 421, n. 54.
[35] Cic., Pro Cecina, 34.100; cfr. Pol., 6.14,78; Sall., Catil., 51.22 e 40; Liv., 25.4.9; 26.3.12.
[36] Così forse nella lex de ambitu di Cicerone (
[37] Vd. Giuffrè, La
“repressione criminale” cit., 53, 57 e 84; Santalucia, Studi di
diritto cit., 177 s.
[38] Vd. Mantovani, Il problema
d’origine dell’accusa popolare, cit., 62 ss; Giuffrè, La
“repressione criminale” cit., 78 s.; Santalucia,
Studi di diritto, cit., 193 e 203.
[39] Cic., In Vat., 12.29; Suet., Iul.,
43; cfr. Mantovani, Il problema d’origine dell’accusa popolare, cit. 158, 179 s. e 188.
[41] Cic., Div. in Caecil., 5.17-18: quasi
vero dubium sit quin tota lex de pecuniis repetundis sociorum causa constituta
sit; nam civibus cum sunt ereptae pecuniae, civili fere actione et privato iure
repetuntur. Haec lex socialis est, hoc ius nationum exterarum est, hanc habent
arcem, minus aliquanto nunc quidem munitam quam antea, verum tamen si qua
reliqua spes est, quae sociorum animos consolari possit, ea tota in hac lege
posita est; cuius legis non modo a populo Romano, sed etiam ab ultimis
nationibus iam pridem severi custodes requiruntur.
[43] Cic., Div. in Q. Caecil., 19.63: Atque
ille Cn. Pompeius ita cum C. Iulio contendit, ut tu mecum; quaestor enim Albuci
fuerat, ut tu Verris; Iulius hoc secum auctoritas ad accusandum adferebat quod,
ut hoc tempore nos ab Siculis, sic tum ille ab Sardis rogatus ad causam
accesserat.
[45] Cic., De orat., 2.58.235: Ac ne
diutius vos demorer, de omni isto genere quid sententiam perbreviter exponam.
De risu quinque sunt quae quaerantur: unum, quid sit; alterum, unde sit;
tertium, sitne oratoris risum velle movere; quartum, quatenus; quintum, quae
sint genera ridiculi.
[46] Cic., Brutus, 48.177: Sunt eius
aliquot orationes, ex quibus sicut ex eiusdem tragoediis lenitas eius sine
nervis perspici potest. Giulio Cesare Strabone fu considerato uno dei
migliori oratori del suo tempo ed un eccellente tragediografo. Fu ucciso mentre
esercitava l’edilità, poiché tentò di farsi eleggere console senza prima aver
prima esercitato la pretura. Dapprima il tribuno Sulpicius tentò di fermarlo attraverso le vie legali, ma la
controversia si inasprì ed il tribuno ricorse alla violenza ed alle armi (Cic.,
Brutus, 63, 226; 89, 305 e 307).
[51] Suet.,
Iul., 55.3: Genus eloquentiae dum
taxat adulescens adhuc Strabonis Caesaris secutus videtur, cuius etiam ex
oratione, quae inscribitur «Pro Sardis», ad verbum nonnulla transtulit in
divinationem suam.
[56] Tac. ann., 13.30.1, cfr. P. Meloni,
L'amministrazione della Sardegna da
Augusto all'invasione vandalica, Roma 1958, pros. 5.
[59] Cic., Pro Scauro, 18.40: Damnatus
est T. Albucius, C. Megabocchus ex Sardinia non nullis etiam laudantibus Sardis.
Ita fidem maiorem varietas ipsa faciebat. Testibus enim aequis,
tabulis incorruptis tenebantur.
[63] Broughton, The magistrates
cit., II, 481; Feemster-Jashemski, The origins
and history cit., 120; Vismara,
Funzionari civili e militari cit.,
60; Porcu, I magistrati cit., 26.