N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso – Contributi
Università di Sassari
Mi
sono assunto incautamente il compito di presentare un quadro generale della
storia della Sardegna in età tardo-antica, iniziando dalle prime testimonianze
relative allo sviluppo del cristianesimo nell'isola fino all'età di Gregorio
Magno.
In
realtà gli ultimi anni hanno conosciuto un progresso negli studi così
consistente e significativo da rendere parziale e deludente qualunque tentativo
di sintesi. Sono state rilette, ridiscusse ed interpretate le fonti letterarie,
partendo dall'opera di Piero Meloni[1],
con una serie di approfondimenti che si debbono soprattutto a Raimondo Turtas,
che si è dedicato sostanzialmente a due temi principali, Fulgenzio e Gregorio
Magno[2];
sono state allargate le indagini archeologiche in tutta l'isola, soprattutto
grazie all'impegno delle due Soprintendenze e dell'équipe guidata da Letizia
Pani Ermini, partendo da quella prima campagna di scavi a Cornus nel 1978, alla
quale io stesso ebbi l'onore di partecipare[3];
sono state presentate importanti novità nella documentazione epigrafica, con
nuove scoperte, letture e riletture che dobbiamo a Giovanna Sotgiu ed ai suoi
allievi[4].
Dopo un secolo di eccessive cautele, una nuova generazione di studiosi si è
positivamente interessata alle grandi scoperte epigrafiche del Seicento: una
consistente quantità di documenti, oltre 400 epigrafi paleocristiane, che il
Mommsen aveva giudicato incautamente «di fabbrica fratesca»[5],
può essere dunque oggi parzialmente recuperata e portata all'attenzione degli
studiosi, grazie agli studi di Donatella Mureddu, Donatella Salvi, Grete
Stefani[6],
Marcella Bonello[7] e
Paola Ruggeri[8].
Sono stati soprattutto i convegni di Cuglieri ed i convegni internazionali de
«L'Africa Romana», che hanno in qualche modo periodicamente scandito i
progressi della ricerca in questo campo. Non dimenticherò le tesi di laurea,
come quella di Giovanna Artizzu, dedicata all'età vandalica[9];
oppure le memorie di «diploma di studi approfonditi» (D.E.A.), come quella
presso l'Università di Bordeaux di Daniela Sanna sulle iscrizioni c.d. falsae, gran parte delle quali sono
forse conservate nella cripta seicentesca della Cattedrale di Cagliari ed
andrebbero rivisitate[10];
e infine le tesi di dottorato, quella di Antonio Corda sulle iscrizioni
paleocristiane[11],
quella di Piergiorgio Spanu sulla prima età bizantina[12]
e quella di Klaus Pokorny sui monumenti tardoantichi e paleocristiani della
Sardegna[13].
Lavori che ci auguriamo possano essere tra breve pubblicati.
Al di là dei problemi di
dettaglio, emerge la straordinaria complessità della storia della Sardegna in
un periodo che rappresenta veramente la cerniera tra l'età antica e l'età
moderna: la pace costantiniana, la vivace resistenza delle tradizioni pagane
profondamente radicate nella società isolana soprattutto in ambito rurale,
l'organizzazione civile ed ecclesiastica nel basso impero, il marcato
orientamento africano anche in ambito religioso, l'occupazione vandalica ed il
confronto con il mondo germanico ariano, la spedizione dei Goti, la riconquista
giustinianea, l'attività del grande papa Gregorio Magno e della chiesa di Roma,
le sollecitazioni culturali orientali, le prime minacce arabe. L'isola ci
appare veramente collocata nel cuore del Mediterraneo, aperta alle più diverse
influenze culturali, tra oriente ed occidente, in bilico tra mondo europeo e
mondo africano.
E' singolare il fatto
che la prima vicenda che riguarda i cristiani esiliati eji" mevtallon
Sardoniva", quella del futuro papa Callisto dopo il fallimento della banca di
Carpoforo, sia localizzata nelle miniere sulcitane nell'età di Commodo, forse a
Metalla ed in quella stessa valle di Antas nella quale Caracalla avrebbe
restaurato vent'anni più tardi il tempio dedicato al culto salutifero del
grande dio eponimo della Sardegna, il Sardus
Pater-Sid-Baby[14]:
un tempio che credo abbia rappresentato nell'antichità preistorica, poi in
quella punica e soprattutto in età romana, il luogo alto dove era ricapitolata
tutta la storia del popolo sardo, nelle sue chiusure e resistenze, ma anche
nella sua capacità di adattarsi e di confrontarsi con le culture mediterranee.
E' solo uno dei tanti dati sulla forza e sulla vitalità che le tradizioni
pagane continuavano ad avere in Sardegna, dove per tutto il III ed anche nel IV
secolo abbiamo notizia di restauri di edifici di culto pagani e, su base
municipale e provinciale, della ramificata e capillare organizzazione del culto
imperiale[15],
che fu il modello territoriale diretto sul quale credo dovette impiantarsi la
nuova organizzazione religiosa diocesana, che troviamo documentata (per la
capitale provinciale Karales, successivamente qualificata come
mhtrovpoli")[16]
a partire dal concilio antidonatista di Arelate all'indomani della pace
costantiniana, ma che risale sicuramente almeno al secolo precedente[17].
Raimondo Zucca ha
scritto di recente che proprio in questo periodo il tempio del Sardus Pater fu abbandonato dai fedeli:
le testimonianze più tarde sono infatti delle monete imperiali del IV secolo,
che offrono evidentemente il terminus
post quem per la caduta in disuso o per la distruzione violenta del tempio,
forse per volontà del clero cristiano locale[18].
C'è da chiedersi quanti altri templi pagani nel corso del IV secolo e
soprattutto nei due secoli successivi siano stati distrutti dai cristiani,
oppure siano stati destinati ad altro uso o più probabilmente trasformati e
riconvertiti, secondo le istruzioni che per un'epoca più avanzata furono
impartite dai pontefici romani, come Gregorio Magno, a proposito della
necessità di trasformare i templi degli Angli da luogo di adorazione dei démoni
a luogo di adorazione del vero Dio[19].
Un altro caso
assolutamente emblematico è rappresentato dall'ipogeo di Ercole salvatore alle
porte di Tharros, in territorio di Cabras[20]:
in questo caso il culto salutifero delle acque ed il culto di Eracle swthr, dio che rimane alla
base di tutti i miti classici sulla colonizzazione della Sardegna[21],
è stato ribattezzato e reinterpretato con riferimento a Cristo Salvatore, con
un sincretismo di profondissimo significato, forse testimoniato dalla
raffigurazione di Daniele nella fossa dei leoni[22].
Del resto, già Robert Rowland ha osservato che la nuova pratica religiosa si
andò impiantando su luoghi di culto pagani, assimilando i più fortunati culti
precedenti; altre volte monumenti ed edifici religiosi nuragici, punici o
romani furono forse invece
demoliti con l'intento di sopprimere una più antica devozione pagana[23]:
il primo caso è ben esemplificato dal sorgere delle chiese rupestri all'interno
delle domus de janas abbandonate[24];
oppure dal subentro, nell'ipogeo di Forum Traiani, del culto del martire
Lussorio[25],
sull'antichissimo culto di Esculapio e delle Ninfe salutari delle sorgenti
calde delle Aquae Hypsitanae[26];
ma la continuità del culto è documentata di frequente in Sardegna, come per il
tempio di Ercole-Melkart di Olbia, sul quale si sono sovrapposti due successivi
edifici cristiani, l'ultimo dei quali consacrato a San Paolo[27].
Per il secondo caso, si
può pensare al tempio dedicato a Giove in Barbaria,
sulla montagna sacra di Bidonì al di là del Tirso, dove forse era proseguito l'antichissimo culto paleosardo del toro[28].
La vicenda dei cristiani
esiliati in Sardegna sfiora soltanto la storia dell'isola e rimane in gran
parte estranea alla natura profonda della società sarda: e questo vale per quei
ejn Sardoniva mavrture" romani liberati assieme a Callisto dal presbitero
Giacinto per volontà della liberta e concubina di Commodo Marcia Aurelia Ceionia Demetrias e grazie alla disponibilità
dell'ejpitropeuvwn th'" cwvra", il locale procurator metallorum imperiale[29],
su un elenco fornito dall'africano Papa Vittore[30];
ma quest'estraneità all'isola ritorna anche per l'episodio dell'esilio di Papa
Ponziano e del presbitero Ippolito nell'età di Massimino il Trace[31],
che conferma come
Al di là di
quest'esemplificazione, che ovviamente può apparire troppo schematica anche in
rapporto con le nostre conoscenze sulle origini e sulla dignità della chiesa
caralitana, il vero tornante della storia religiosa isolana fu dunque ancora una
volta Costantino Magno, l'imperatore così caro alla chiesa sarda, il cui culto
si è sviluppato probabilmente ben prima dell'età bizantina[42];
per il periodo più tardo abbiamo ora nuove testimonianze, come quella in lingua
greca ma in caratteri latini di Nuraminis, riferita dalla Pani Ermini all'età
alto-giudicale[43].
Fu appunto Costantino, dopo la battaglia del Ponte Milvio del 28 ottobre
Fu Costantino ad
assicurare anche in Sardegna la libertà religiosa e ad adottare provvedimenti che
potrebbero esser stati ispirati dalle autorità della chiesa locale, come ad
esempio quello del 325, conservatoci parzialmente modificato nel Codex Theodosianus, relativo alla
ricostituzione delle famiglie degli schiavi smembrate tra i conduttori in enfiteusi
dei latifondi imperiali[48]:
gli studiosi prevalentemente ritengono che il principio di inscindibilità delle
famiglie servili introdotto a partire da questo periodo ed il conseguente
temperamento della condizioni di vita degli schiavi coinvolti nei processi di
smembramento dei fondi patrimoniali ed enfiteuticari, possano essere ritenuti
come il «frutto di uno spirito nuovo e veramente cristiano»[49].
Fu ancora Costantino ad avviare la controversa politica delle grandi donazioni,
come quella alla basilica dei Santi Pietro e Marcellino, alla quale iniziavano
forse ad essere versati i proventi derivanti dalle proprietà imperiali in
Sardegna: insulam Sardiniam cum
possessiones omnes ad eandem insulam pertinentes[50].
Possiamo seguire lo sviluppo
della Chiesa sarda, che il Guillou vede inquadrata fin dal IV secolo
all'interno della Chiesa d'Africa[51],
ma che manteneva saldi legami con la chiesa romana dalla quale provenivano i
primi martiri, anche attraverso le vicende personali dei sardi Eusebio, vescovo
di Vercelli[52]
e di Lucifero vescovo di Cagliari[53],
che ebbero un ruolo determinante nelle vicende del IV secolo e, in qualche
misura, nell'elaborazione del pensiero cristiano e che nel 354 vediamo inviati
ad Arelate presso Costanzo II per incarico del pontefice Liberio; l'anno dopo,
partecipando pur con qualche titubanza (almeno Eusebio) al concilio di Milano,
i due vescovi sarebbero andati incontro all'esilio, fino all'età di Giuliano.
Non a caso l'autorità dell'Apostata fu immediatamente riconosciuta in Sardegna
e la marcia di Giuliano verso l'oriente contro l'eretico Costanzo II fu seguita
con favore nell'isola[54]:
forse un indizio di quanto ci si
sbagliasse nel giudicare il nuovo imperatore[55].
Una debole traccia del seguito di cui Lucifero continuava a godere tra i
vescovi della Sardegna ben oltre lo scisma luciferiano successivo al concilio
di Alessandria e ben oltre la sua stessa morte avvenuta attorno al 370 ci è
conservata in una poco nota opera di Sant'Ambrogio, Fe excessu fratris Satyri, dove si narra tra l'altro del naufragio
di Satiro, avvenuto in una terra nella quale Lucifero aveva lasciato dei
sostenitori (fidei suae reliquisset
haeredes), che Ambrogio considera a tutti gli effetti degli scismatici (et forte ad id
locorum in schismate regionis illius Ecclesia erat). L'episodio appare
effettivamente svoltosi in Sardegna a pochi anni di distanza dalla morte di
Lucifero: nonostante la scomparsa del
loro maestro, i vescovi sardi non apparivano in comunione con la chiesa di Roma
e pare si mantenessero ancora uniti ed isolati nello scisma[56]. Riconoscente per esser scampato al naufragio
ed all'affondamento della nave (in
naufragio constitutus, cum ea qua veheretur navis scopuloso illisa vado),
Satiro tuttavia non volle farsi battezzare da un vescovo che seguiva le
posizioni dottrinarie di quel Lucifero che ormai appariva ad Ambrogio
totalmente coinvolto nello scisma: Lucifer
enim se a nostra tunc temporis communione diviserat[57].
Le recenti eccezionali
scoperte effettuate da Francesca Manconi nell'area antistante la basilica di
San Gavino a Porto Torres[58]
dimostrano che già alla metà del IV secolo esisteva nella colonia una fiorente
comunità cristiana, un vulgus ed un populus concorde, che apprezzava gli
operatori di giustizia, come Matera, auxilium peregrinorum saepe quem censuit
vulgus[59], un’espressione che forse anticipa la pia fama di un dubbio epitafio tardo di
Karales[60];
ed esisteva un culto dei martiri, se alla Puella
dulcia immaculata Ad[e]odata si augurava di venire accolta dai santi martiri, a sanctis marturibus suscepta spons[a]ta[61]. Il riferimento cronologico è sicuro,
dal momento che appunto da quest'area proviene la prima iscrizione sicuramente
datata della Sardegna paleocristiana, l'epitafio di Musa, sepolta presso la basilica martiriale, datato al I giugno 394
grazie alla menzione del consolato di Arcadio ed Onorio, alla vigilia della
separazione dell'impero tra oriente e occidente: appare ora dimostrata
stratigraficamente la relazione con le altre epigrafi dell'area, alcune delle quali
sono di poco precedenti[62]. La data consolare compare solo un'altra volta
in Sardegna, nell'iscrizione funeraria su marmo (rinvenuta anch'essa presso la
basilica di San Gavino a Porto Torres) del puer
Victorinus, morto a 15 anni il giorno mercoledì 26 ottobre 415 d.C., in
occasione del consolato di Onorio e di Teodosio II[63].
L'espressione auxilium peregrinorum non è inedita in
Sardegna: essa ricorre in altre due iscrizioni un poco più tarde, che
contengono concetti analoghi riferiti alla classe sociale dei ricchi possessores; esse sembrano conservare a
giudizio di Letizia Pani Ermini un «emblematico elemento di continuità:
l'immagine del ricco proprietario, uomo di grande integrità morale, padre degli
orfani, rifugio dei poveri, aiuto dei pellegrini»[64]:
ad Olbia il cristiano Secundus, è
esaltato come magnae integritatis vir
bonus, pater orfanorum, inopum
refugium, peregrinorum fautor, religiosissimus
adque exercitatissimus totius sinceritatis disciplin(ae)[65];
a Tharros si ricorda in un'epoca che per il De Rossi è il IV secolo, ma che per
il Duval è appena più tarda, Karissimus,
amicorum omnium pr(a)estator bonus, pauperum mandatis serviens[66].
Del resto dall'epistolario di Gregorio Magno sappiamo che proprio a Turris
Libisonis il vescovo Mariniano, arrivando fino all'esarca d'Africa, aveva
dovuto difendere contro il dux Theodorus
i poveri della sua Chiesa, in tutti i modi vessati e afflitti da svariate
usure: civitatis suae pauperes omnino
vexari et commodalibus affligi dispendiis[67].
Il IV
secolo, l'età successiva alle grandi persecuzioni, fu dunque il momento più
significativo per lo sviluppo del cristianesimo in Sardegna, almeno nei
municipi e nelle colonie collocati sulla costa, più aperti verso l'esterno e
fondati su un'economia prevalentemente commerciale e di scambio, mentre invece
ancora nell'età di Gregorio Magno la regione interna abitata dai barbari -
Come è
noto nessuna delle iscrizioni paleocristiane della Sardegna, se si esclude il
falso epitafio di Anania rinvenuto ad
Orgosolo[74],
è stata ritrovata nella Barbaria
interna, ma tutte provengono dai municipi e dalle colonie della costa e delle
pianure, luoghi più aperti e disponibili ad accettare innovazioni esterne:
dunque soprattutto Karales, ma anche Nora, Sulci, Forum Traiani, Tharros,
Cornus, Turris Libisonis ed Olbia[75];
viceversa anche in età più antica l'epigrafia latina si è quasi sempre
limitata, nelle aree interne e collinari, a testimoniare la presenza
dell'autorità in un territorio ostile e non troppo ben disposto verso gli
immigrati, comunque non interessato, a quel che pare, a superare i limiti di un
millenario analfabetismo[76]. Proprio nelle città della costa, che pure
secondo la storiografia prevalente hanno conosciuto un processo di progressivo
restringimento del perimetro urbano, possiamo seguire il restauro di edifici e
di opere pubbliche con il riuso di materiali di spoglio della prima età
imperiale, come per le terme di Cornus restaurate nell'età di Graziano,
Valentiniano II e Teodosio[77];
o come per l'acquedotto di Nora restaurato alla vigilia dell'invasione
vandalica sotto Teodosio II dal principalis
et primor di Nora Valerius Euhodius[78];
o come le nuove destinazioni civili o militari o religiose degli edifici
termali[79].
Del resto si andavano verificando in questo periodo modificazioni profonde
della geografia e dell'urbanistica isolana, soprattutto in relazione alle nuove
funzioni assunte sul territorio dai diversi centri e dallo sviluppo degli
agglomerati rustici attorno alle ville imperiali; nascevano nuovi centri
urbani, come Aristianes[80]
o Nurachi[81].
Proprio nelle città del resto dovevano essersi concentrati i possessores, primi tra tutti gli
appartenenti all'ordine senatorio, di cui ci è rimasta traccia nelle fonti[82]:
i senatores de Sardinia, forse
colpevoli di essersi schierati dalla parte dell'usurpatore Magno Massimo, difesi
nel 390 da Simmaco presso il tribunale di Nicomaco Flaviano[83];
oppure i clarissimi rifugiatisi in
Sardegna alla vigilia del sacco alariciano di Roma del
Marcella
Bonello ha recentemente tentato un bilancio dell'epigrafia paleocristiana della
Sardegna ed ha elencato le iscrizioni più antiche (una trentina),
prevalentemente caralitane, che per caratteristiche stilistiche, paleografia,
simboli e formulario, possono essere riferite al IV secolo[85];
in almeno un caso, abbiamo un epitafio in lingua greca, che ricorda la morte in
Sardegna di una giovane originaria dalla lontana Frigia[86].
La tipologia è quanto mai varia, perchè ci rimangono epitafi su mosaico[87],
iscrizioni metriche[88],
grafiti, lastre e sarcofagi, con un progressivo aumento nel tempo, a partire
dalla riconquista bizantina, della documentazione in lingua greca[89].
Anche i contenuti sono estremamente significativi, soprattutto se la
documentazione tradizionale viene integrata con altre fonti e soprattuto con le
epigrafi c.d. falsae (senza nessuna
pretesa in questa sede di affermare l'autenticità dell'insieme della
documentazione, che pure in parte andrà rivalutata)[90].
Conosciamo
in successione (distinguendo gli ordini maggiori dagli ordini minori):
- archiepiscopi[91] ed
episcopi[92]
oltre che dei rectores[93];
- archipresbiteri s(an)c(ta)e ec(c)les(iae)
Ka(ra)litan(a)e[94] e presbyteri[95];
-
archidiaconi[96], alcunidiaconi, definiti ecclesiae
sanctae ministri oppure ministri
Christi[97], un levita[98],
subdiaconi[99];
- un acoluthus[100];
- dei
lectores sanctae ecclesiae[101],
- alcuni
clerici[102].
Decisamente più tardi appaiono gli abbates[103]
e le abbatissae[104];
conosciamo anche una mwnavstrha[105]; vd. anche le famulae s(anctae) eclesiae[106], le castae virgines[107] e gli
altri viri religiosi[108].
Possiamo
anche richiamare un a(c)tuar(ius)[109],
un notar(ius) subregionarius s(an)ct(ae)
Rom(anae) eccl(esiae)[110], un
defensor sedis apostolicae[111], un
defensor s(an)c(ta)e ec(c)lesi(a)e Karalitan(a)e[112].
Il richiamo alla chiesa caralitana, che ricorre ripetutamente sulle iscrizioni
(accanto alla chiesa universale ed alla chiesa romana)[113],
ritorna del resto su due sigilli di età vandalica rinvenuti rispettivamente in
un luogo indeterminato della Sardegna[114]
e presso la chiesa di S. Giorgio megalomartire a breve distanza da Tharros: è
la prima testimonianza di un archivio rimasto in attività almeno fino all'XI
secolo ed all'epoca del giudice arborense Zerchis[115].
Numerosi
sono anche i riferimenti al popolo di Dio, composto dai fedeli[116]
e dalle fideles puellae[117], dai viri devoti[118], Dei servi[119], famulae Dei[120], ancillae Dei[121], feminae honestae[122];
ma si vedano anche docendi (nel senso
di catecumeni)[123];
e l'elenco è destinato ad ampliarsi con un utilizzo più consapevole delle circa
400 iscrizioni condannate dal Mommsen: l'esistenza effettiva di alcune di esse
è stata limpidamente dimostrata, anche dopo il ritrovamento nell'altare della
chiesa di Sant'Antonio, nel palazzo arcivescovile di Cagliari e nella chiesa di
S. Restituta di otto epigrafi, considerate in passato a tutti gli effetti tra
le falsae[124].
Infine i
martiri[125],
i numerosi santi ricordati dalle passioni tarde o nel Martirologio Geronimiano[126],
i dubbi sanctissimi confessores[127],
i tanti beati sardi[128],
come il beatissimus martyr Luxurius[129]
ed il beatus martir Archelaus
a Forum Traiani[130]
ed africani come Restituta a Karales
(che la tradizione identifica come la madre di Eusebio), sepolta assieme alle sanctissimae martires et virgines Dorothea,
Theodosia ed Eugenia[131].
Per non parlare degli altri santi della chiesa universale, come San Paolo, di
cui ci è rimasta a Cornus una statuina bronzea del IV secolo[132],
ma il cui culto è documentato nella stessa località fino all'età medioevale da
alcune epigrafi, che ricordano anche
Le
iscrizioni ci fanno conoscere anche alcuni monasteri[135],
come quello femminile di San Lorenzo a Cagliari (forse da localizzare presso
San Mauro), con l'abbatissa Redemta,
nella seconda metà del VI secolo[136].
Dall'epistolario
di Gregorio Magno conosciamo anche alcune sorprendenti presbyterae[137],
un oeconomus della chiesa caralitana[138],
dei sacerdotes[139]
e, con riferimento alla vita monastica, religiosi[140], religiosae feminae[141],
monachi[142]
ed i diversi monasteri[143],
quelli femminili dei Santi Gavino e Lussorio (che prendeva il nome dalla
devozione per due santi sardi)[144],
di S. Erma[145],
di S. Vito, quest'ultimo istituito da una Vitula
che potrebbe essere identificata con una omonima nobile maura, originaria di
Sitifis, ricordata da Draconzio[146];
quelli maschili di S. Giuliano[147]
e il monasterium Agilitanum, la cui denominazione potrebbe ancora suggerire un
collegamento con Cartagine e con il Nord Africa[148].
Infine,
emergono aspetti legati alla conoscenza in sede locale delle Scritture, Vecchio
Testamento e Vangeli, sicuramente anche attraverso la lettura degli scritti di
Lucifero, fondati su una antichissima versione latina della Bibbia: si pensi
alle maledizioni evocate per chi violerà la tomba di Lellus: habeat partem cum
(Iuda et lebra ?) Gezi qui istum locum boluerit biolare[149];
oppure agli anatemi, che minacciano la vendetta del Signore nel giorno del
giudizio, come quelli di un epitafio frammentario di Porto Torres: [coniuro per diem tremendam ?] iudicii [---
et] nullus aude[at mole]stare ossa m[ea][150]. In positivo, si citerà l'augurio di Amantius, quiescens in sinus Abrahae Isac et
Iacob in pace X(ris)ti[151];
oppure, all'inizio del VI secolo, la speranza di Silbius, ecclesiae sanctae minister, un diacono che attende con
fede la resurrezione della carne: expectat
Christi ope / rursus sua vivere carne / et gaudia lucis nobae / ipso dominante
videre[152].
Infine ricorderei il rammarico di Demeter
per la scomparsa della moglie Flavia
Cyriace a Turris Libisonis, ancora nel IV secolo: et ego optabam in manibus tuis
anans spiritum dare: un'espressione che richiama indirettamente il
Vangelo secondo Luca 23, 46, con riferimento al grido di Cristo in croce: «Pater, in manus tuas commendo spiritum meum»
e che va sicuramente confrontata con la frase pronunciata dal protomartire
Stefano morente, alla presenza di Saulo, ancora in Luca, Act. Ap. 7,59: Domine Iesu,
suscipe spiritum meum; in entrambi i casi è però evidente la ripresa di un
notisimo passo dell'Antico Testamento ed in particolare di un Salmo di David: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum
(30,6)[153].
Dev'essere
segnalata inoltre la possibilità di ulteriori indagini nell'ambito
dell'onomastica cristiana della Sardegna, con evidenti stratificazioni
culturali che lasciano intravvedere una linea di continuità con il passato, ma
anche con evidenti innovazioni ed aperture significative, sia in ambito latino
che greco: penso ai nomi teofori, ai nomi composti, ai nomi derivati da
participi passati, ai nomi di buon augurio, ai nomi di santi, ai nomi di
umiliazione, ai nomi introdotti dal Nord Africa, agli etnici ecc.[154]
L'impegno
più pressante per gli studiosi credo debba esser volto in futuro al tentativo
di recuperare le iscrizioni rinvenute nel Seicento e soprattutto di definire da
un punto di vista cronologico l'attribuzione della documentazione epigrafica
alla fase tardo-antica, alla fase vandalica oppure alla prima età bizantina, e
ciò al fine di articolare e distinguere correttamente le diverse realtà
istituzionali e religiose, soprattutto per chiarire il rapporto tra la realtà
locale e le posizioni politiche e dottrinarie prevalenti. Penso alla chiusura
della Sardegna di fronte al donatismo africano[155],
che pure sembra in qualche modo ripreso e rivitalizzato nel pensiero rigorista
di Lucifero, nutrito dalla lettura degli autori cristiani d'Africa[156];
penso più tardi al rapporto tra la fides
ariana, sentita come carattere nazionale e distintivo dei Vandali, capace
di definire l'identità stessa di un popolo, e la fede cattolica comunemente
praticata nell'isola dai romani[157];
ma, per un'epoca più avanzata si può pensare alla dedica dei dipendenti delle
saline di Karales forse con una sottolineatura nicena ed antiariana in n(omine) d(omini) D(e)i n(ostri) Ih(es)u
Xr(ist)i[158] o alle posizioni in tema di monotelismo e di
iconoclastia, pur nell'ambito di una sostanziale «romanità» della chiesa sarda[159].
Infine penso allo sviluppo della presenza giudaica nell'isola, a ridosso della
comunità cristiana[160]:
gruppi che mantennero per secoli una propria identità, come i Beronicenses, forse incolae aggregati al municipio di Sulci[161],
o gli ebrei di Tharros[162]
o quelli di Turris[163]
e di Karales, che avevano una propria sinagoga[164];
ma le attestazioni di una presenza giudaica si spingono all'interno, fino ad
Isili[165]
ed a Macomer[166].
Una
rilettura dell'opera di Procopio di Cesarea, diretto collaboratore di Belisario
e di Solomone in Africa e testimone del passaggio dalla dominazione vandalica
alla riconquista giustinianea, può forse consentire di portare nuova luce sul
periodo vandalico, il cui inizio in Sardegna credo vada posticipato di qualche
anno e collocato ben oltre il sacco di Roma del 2 giugno 455, se Sidonio
Apollinare nel suo panegirico all'imperatore d'occidente Maggioriano, ancora
nel 458 poteva esaltare l'esportazione
di argento a Roma dalle miniere sarde, Sardinia
argentum ...defert[167];
l'isola dunque forse non riconosceva ancora l'autorità di Genserico, che pure
fin dal 440, all'indomani dell'occupazione di Cartagine, aveva iniziato gli
assalti contro le isole tirreniche, provocando gravi incertezze nella
navigazione[168].
Del
resto la provincia Sardinia fu
amministrata dai re vandali con relativa mitezza, senza quella sinistra ferocia
che Vittore Di Vita denuncia per Cartagine ed il Nord Africa, sicuramente con
qualche deformazione ed eccesso retorico determinato dal proposito di
sollecitare l'intervento militare di Giustiniano, unico titolare del potere
imperiale dopo la traslatio imperii
successiva alla caduta dell'impero d'occidente[169]:
già l'effimera riconquista della Sardegna nel 466, avvenuta forse su
sollecitazione del papa sardo Ilaro (anni 461-468)[170],
con l'intervento di Marcellino che riuscì senza troppa difficoltà a travolgere
le piccole guarnigioni vandale stanziate nell'isola[171],
dimostra come i Vandali si limitassero a controllare soltanto alcune località,
lasciando la massima libertà ai Sardi dell'interno ed agli stessi Mauri
trasferiti dalla Cesariense ed esiliati da Genserico in Sardegna, confinati
assieme alle loro donne, che avrebbero rappresentato un problema solo qualche
decennio dopo, in età bizantina[172].
Ma è
soprattuto la vicenda del temporaneo esilio in Sardegna ed in Sicilia dei laici
funzionari della curia regia cacciati da Unnerico nel corso del dibattito teologico
che avrebbe portato al Concilio di Cartagine, domibus proiecti omnique substantia expoliati[173],
e poi quella dell'esilio dei vescovi africani allontanati dopo il 507 da
Trasamondo[174]
a rivelare paradossalmente la relativa mitezza del governo vandalico: in
particolare sappiamo che Fulgenzio, appena ordinato vescovo dal primate della
Byzacena, s'installò a Karales, dove poteva ricevere come giudice e mediatore
(«ultor» ed «intercessor») i vescovi esiliati, e coloro che dal Nord Africa - «enavigato mari» - gli si presentavano
per ottenere il perdono[175];
potè continuare la sua attività monastica e poté allargare il suo proselitismo,
contando sull'appoggio del papa sardo Simmaco (498-514) e del vescovo
Primasio-Brumasio[176];
c'è chi vorrebbe identificare quest'ultimo personaggio con il vescovo che si
occupò delle reliquie di Speratus e
di altri martiri africani ricordato in un'iscrizione rinvenuta nel basso
Campidano[177].
Fulgenzio fu poi temporaneamente richiamato in Africa tra il 517 ed il 519[178]
e, al suo ritorno in Sardegna, poté fondare presso la basilica di San Saturno a
ridosso della necropoli paleocristiana un secondo cenobio[179],
che segnò un salto di qualità nello sviluppo dell'esperienza monastica[180],
che doveva rappresentare per l'isola un momento di straordinaria fioritura
culturale e di profonda spiritualità, almeno fino al definitivo richiamo di
Fulgenzio e degli altri vescovi esiliati per volontà di Ilderico[181]:
cultura teologica in Sardegna al tempo
di Fulgenzio era stato comunque avviato un significativo rilancio
dell'edilizia religiosa, fortemente influenzata dai modelli africani[182].
Attorno al santuario martiriale di Karales, un po' come anche a Cornus[183],
a Forum Traiani[184],
a Sulci[185]
ed a Nora[186],
si andò sviluppando la necropoli di età vandalica che proseguì in età
bizantina, di cui ormai conosciamo decine di epitafi, alcuni dei quali come
quello di Numida Cuiculitanus, dunque
originario di Djemila[187],
sono sicuramente da connettere con l'ambiente africano degli esiliati, che
aveva propri martiri da venerare, proprie tradizioni, proprie consuetudini
religiose; ma si pensi anche ad alcuni etnici, come Maurus e Maurusius[188], o Bizacena[189],
oppure ad altri nomi africani, come Mapparia[190]
o Restituta[191].
Del resto nell'isola fu celebrato nel 521 un Concilium Sardiniense episcoporum Africanorum in Sardinia exulum,
che si occupò del rapporto tra grazia e libero arbitrio: i risultati del
dibattito furono raccolti in un'epistola
synodica trasmessa da Fulgenzio ai monaci orientali[192].
A
proposito della relativa libertà di azione di cui godevano i cattolici in
Sardegna[193],
citerei un aspetto significativo e poco noto, rappresentato dalle circostanze
attraverso le quali si pervenne alla convocazione da parte di Unnerico del
concilio di Cartagine, al quale secondo il primo editto conservatoci da Vittore
di Vita avrebbero dovuto partecipare soltanto universi coepiscopi ... per universam Africam constituti[194];
il vescovo cattolico di Cartagine Eugenio, subito dopo l'editto reale del 18
maggio 483, chiese invece la convocazione di un concilio ecumenico e sostenne
che, dal momento che dovevano discutersi questioni che non riguardavano
unicamente le provinciae africanae,
l'invito dovesse essere esteso anche a quei vescovi transmarini qui nobiscum sunt in una religione vel
communione consortes[195]:
vescovi, transmarinarum omnium partium,
non pressati dalla dominazione vandala e dunque più aperti e pieni di fiducia sulla possibilità
di ribaltare la situazione e comunque in grado di far pervenire in tutto il
Mediterraneo, forse attraverso il vescovo di Roma, le informazioni sulla
politica anticattolica portata avanti dai Vandali in Africa; dovevano esser
convocati anche «qui alieni ab eorum
dominatu maiorem fiduciam libertatis haberent, pariterque oppressionis nostrae
calumnias universis terris et populis nuntiarent»[196].
Di
fatto, la richiesta del vescovo Eugenio fu forse parzialmente accolta, se al
Concilio di Cartagine non parteciparono solo i 458 episcopi per universam Africam constituti, ma anche gli otto
vescovi trasmarini, ricordati tutti come episcopi
insulae Sardiniae, nell'ordine il vescovo di Karales, forse già con
l'autorità di metropolita su 7 vescovi suffraganei, di Forum Traiani, di
Senafer, di Minorica, di Sulci, di Turris, di Maiorica e di Evusum; di essi
dunque 4 sicuramente sardi, tre delle Baleari, uno, quello di Senafer, ancora
della Sardegna pittosto che della Corsica[197].
Comunque la presenza anche di almeno un vescovo della Corsica è sicura dai
documenti conciliari[198].
Non sappiamo se questi vescovi effettivamente abbiano svolto un ruolo attivo
nel difendere la libertas dei
colleghi africani dall'oppressione vandala; di certo il concilio si concluse
con una condanna per le posizioni ariane e con una clamorosa sconfitta per il
re qeomavco", Unnerico, destinato ad un'orribile morte descrittaci da
Vittore di Vita con particolari orripilanti tipici di un genere letterario, che
si rifà ai modelli biblici, già imitati e riproposti nel De mortibus persecutorum di Lattanzio[199].
Credo che
il passo di Vittore di Vita conservi una piccola testimonianza sulla libertà di
cui godevano i vescovi transmarini delle isole mediterranee, meno pressati
dalla dominazione dei Vandali: è comunque probabile che non ci fosse neppur un
vescovo sardo tra gli 88 vescovi morti all'indomani del concilio di Cartagine
(prevalentemente provenienti dalla Numidia e dalla Cesariense), così come tra i
46 vescovi africani relegati in Corsica[200].
Del
resto la debolezza del potere vandalo in Sardegna può essere verificata anche
alla fine del periodo, quando sotto il vecchio Ilderico l'isola con i suoi
redditi fu quasi data in appalto ad uno schiavo di origine gota, Godas, secondo
Procopio, qumoeidh;" me;n kai;
drasth;rio" kai; pro;" ijscu;n ijkanw'" pefukwv", «un individuo appassionato ed energico in
possesso di una grande forza fisica»[201].
Per i Vandali si trattava del resto di una politica tradizionale di
sfruttamento e di indiretto interesse per
Dopo la
vittoria di Belisario a Bulla Regia, la testa mozzata di Tzazon fu mostrata da
Cirillo agli isolani di Sardegna, oij nhsiw'tai, che non sembravano entusiasti
dei nuovi padroni, se Procopio precisa che non erano del tutto spontanei nel
sottomettersi ai Romani[205].
Dai territori di quello
che era stato il regno vandalico dunque dalla Sardegna e dall'Africa
Giustiniano volle avviare la sua straordinaria renovatio imperii : con
l'occupazione bizantina, l'isola divenne una delle sette province africane, organizzate
in prefettura e successivamente in esarcato[206].
Il VI secolo fu per
Da un punto di vista
sociale André Guillou ha recentemente suggerito la progressiva scomparsa della
classe dei grandi proprietari laici, colpiti dal fiscalismo bizantino, che
abbandonarono i loro domini e scomparvero dalla vita economica, con vantaggio
dell'alto clero e dei più alti esponenti dell'esercito imperiale[222]:
anche se tale processo non si sviluppò esattamente con queste dimensioni[223],
furono gli esponenti del clero e dell'esercito che andarono a costituire la
nuova aristocrazia fondiaria, che viveva utilizzando la mano d'opera degli
schiavi rustici e l'iniziativa dei
contadini-coloni e che rappresentava la nuova controparte rispetto agli
interessi del fisco imperiale. Un collare di schiavo dell'inizio del VI secolo
rinvenuto probabilmente a Monastir ci dà una vivacissima testimonianza di una
società nella quale gli alti esponenti del clero erano tra i principali proprietari di schiavi: l'arcidiacono Felix raccomandava a chi avesse trovato lo schiavo fuggitivo: tene me ne fugiam[224]. Del resto Gregorio Magno si procurava schiavi
barbaricini per le necessità della chiesa di Roma[225].
E poi i vasti latifondi
del demanio bizantino e della chiesa isolana, che sono sicuramente alla base di
quelle proprietà di cui i giudici potranno disporre liberamente dopo il Mille.
Anche la geografia
religiosa isolana si era notevolmente modificata, se il metropolita di
Cagliari, ricordato spesso come Episcopus
Sardiniae[226]
e presidente del sinodo provinciale[227],
aveva ora sei vescovi suffraganei, sicuramente quelli di Fausiana[228]
e Turris Libisonis[229],
ma anche presumibilmente di Forum Traiani-Crusovpoli", Sulci, Cornus e
forse Tharros-Sines[230];
queste ultime due sedi dovevano essere di recente costituzione, forse dopo la
divisione della diocesi di Senafer, se quest'ultima era veramente una sede
sarda e non della Corsica, dato che alla metà del VII secolo conserviamo la
testimonianza di Boethius, episcopus della Sancta Cornensis Ecclesia, per la sua partecipazione al Concilium Lateranense Romanum[231].
Gli ultimi studi hanno accertato una serie di aspetti topografici ed
urbanistici, legati alla localizzazione della cattedrale e della vasca
battesimale[232],
come nel caso di Sulci, dove l'edificio ubi
corpus beati sancti Anthioci quiebit potrebbe coincidere con la primitiva
cattedrale diocesana, che il vescovo Pietro nel VII secolo restaurò ed abbellì
con marmi e tituli epigrafici[233].
La
specificità delle posizioni dottrinarie, degli usi e costumi dimostrano una
qualche peculiarità della chiesa
sarda, rispetto alla chiesa di Roma[235]:
si pensi alle questioni di forma, come per le vesti indossate delle monache di
S. Gavino e di S. Lussorio a Karales che vestivano come le mogli dei presbiteri
(le presbyterae)[236];
alla deroga concessa da Gregorio in materia di unzione col crisma, effettuata
dai presbiteri anzichè dai vescovi[237];
al rito del battesimo degli infantes
praticato nell'isola[238];
ma si vedano anche le questioni disciplinari, come le ricorrenti violazioni al
voto di castità, il concubinaggio di alcuni sacerdoti, ecc.[239]
Oppure anche le questioni di sostanza, adombrate dalle posizioni dottrinarie
assunte dai seguaci di Lucifero[240].
Le iscrizioni attestano la predilezione per alcuni temi e per alcuni passi del
vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli riguardanti i pauperes, l'obbligo dell'elemosina e della carità[241];
in particolare segnalano l'attenzione per i
peregrini, intesi come i fedeli che vivevano o erano di passaggio in una
comunità diversa da quella presso la quale avevano ricevuto il battesimo[242].
Ed è noto che a Karales si utilizzava una rara versione della Bibbia, se
l'epitafio del VI secolo, dettato dal padre affranto in memoria del giovane Gaudiosus, optio dracconarius forse un marinaio in servizio su un dromone,
conserva il Miserere del Salmo 50 di
Davide nella versione del Salterio romano anzichè della Vulgata[243].
Del resto si è detto che già Lucifero aveva utilizzato un'antica versione della
Bibbia[244].
E' stato
anche osservato come i ricorrenti interventi di Gregorio Magno attestino le
preoccupazioni del Papa per la degenerazione di un fenomeno, il monachesimo
sardo, che restava sostanzialmente estraneo alle tradizioni isolane e che non
riusciva a raggiungere una piena maturità, nel suo adattarsi alle condizioni
locali; a causa del troppo breve contatto con i maestri africani, secondo
Raimondo Turtas, il fenomeno non sempre sembrava aver assimilato in Sardegna le
motivazioni profonde del movimento monastico[245].
Infine, come non
ricordare un'espressione del papa sardo Simmaco (498-514), che arrivò a Roma e
fu battezzato ex paganitate [246]
? Quest'episodio la dice lunga sulle
difficoltà incontrate dalla nuova religione ad affermarsi in Sardegna. Del
resto anche successivamente sarebbero sopravvissute in tutta l'isola antiche
forme di religiosità popolare, spesso confinanti con la magia. Per di più, le
popolazioni ad economia pastorale e fortemente conservatrici della Barbaria sarebbero rimaste pagane ancora
all'epoca di Gregorio Magno ed oltre:
Siamo ormai
cronologicamente fuori dal periodo che è oggetto di quest'intervento: eppure
non potrà omettersi che la conquista araba di Cartagine avvenuta nel 698
(vanamente contrastata da un esercito bizantino, forse integrato da elementi
sardi), provocò il distacco politico della Sardegna dall'Africa, ma non
interruppe gli scambi culturali. Furono numerosi i profughi africani che si
rifugiarono nell'isola prima dell'arrivo degli Arabi[260]:
la stessa struttura burocratica dell'esarcato d'Africa fu in parte trasferita
per qualche decennio in Sardegna, assieme alla zecca imperiale di Cartagine con
tutto il suo personale; ma è fondamentale per il successivo destino
dell'occidente la vicenda del trasferimento a Karales da Ippona delle reliquie
di Sant'Agostino[261]:
un episodio che, nel naufragio della romanità africana, dopo la fase più matura
della classicità, segna veramente l'inizio di tempi nuovi.
* Pubblicato in
Il testo mantiene il carattere discorsivo dell'esposizione orale,
con la sola aggiunta delle note. Ringrazio cordialmente i proff. Raimondo
Turtas e Raimondo Zucca, per le numerose osservazioni ed integrazioni.
[2] R. Turtas, Note sul monachesimo in Sardegna tra
Fulgenzio e Gregorio Magno,
"Rivista di Storia della Chiesa in Italia", XLI, 1987, pp. 92-110; Id., Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistolario di Gregorio Magno
(590-604), in «L'Africa Romana»,
IX,1991 (1992), pp. 691-710; Id.,
Informatori sardi nell'epistolario di
Gregorio Magno (590-604), in Atti
Convegno «
[3] Vd. L. Pani Ermini, Cornus (Oristano). Indagini nell'aea
paleocristiana. Relazione preliminare della campagna 1978, "NSc",
1981, pp. 543-591; AA.VV., Cultura, materiali e fasi storiche del
complesso archeologico di Cornus: primi risultati di una ricerca, in L'archeologia romana e altomedievale
nell'Oristanese, Atti del Convegno di Cuglieri (22-23 giugno 1984) (Mediterraneo
tardoantico e medievale, Scavi e ricerche, 3), Taranto 1986, pp. 69 ss.; per la
campagna di scavo del 1978, vd. A.
Mastino, Cornus nella storia degli
studi (con un catalogo delle iscrizioni rinvenute nel territorio di Cuglieri),
Cagliari 1979.
[4] G. SOTGIU, L'epigrafia
latina in Sardegna dopo il C.I.L. X e l'E.E. VIII, in ANRW II, 11, 1, Berlino-New York, pp. 552-739 (= ELSard.).
[5] Vd. S.A. De Castro, Il prof. Mommsen e le Carte d’Arborea,
Sassari 1878, pp. 17 s., cfr. A.
Mastino, P. Ruggeri, I falsi
epigrafici romani delle Carte d'Arborea, in Le Carte d'Arborea. Falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo, Atti
del Convegno, Oristano 22-23 marzo 1996, Cagliari 1997, pp. 223 ss.
[6] D. Mureddu, D. Salvi, G.
Stefani, Sancti innumerabiles,
Scavi nella Cagliari del Seicento:
testimonianze e verifiche, Oristano
1988; Eaed., Alcuni contesti funerari cagliaritani attraverso le cronache del
Seicento, in Le sepolture in Sardegna
dal IV al VII secolo, IV Convegno sull'archeologia tardoromana e medievale
(Cuglieri, 27-28 giugno 1987) (Mediterraneo tardoantico e medievale, Scavi
e ricerche, 8), pp. 179 ss. Vd. già D.
Mureddu, G. Stefani, Scavi
"archeologici" nella cultura del Seicento in Sardegna, in Arte e cultura del '600 e '
[7] M. Bonello Lai, Le
raccolte epigrafiche del '600 e del '
[8] P. Ruggeri, D. Sanna,
Mommsen e le iscrizioni latine della
Sardegna: per una rivalutazione delle falsae con tema africano, "Sacer", 3, 1996, pp. 99 ss.; Eaed., L'epigrafia paleocristiana: Theodor Mommsen e la condanna delle "falsae", in
Atti Convegno «
[9] G. Artizzu, I Vandali in Africa ed in Sardegna. Le fonti
letterarie, Facoltà di Lettere e Filosofia, Univ. di Cagliari, relatori i
proff. A. Mastino e M. Bonello, aa. 1992-93.
[10] D. Sanna, CIL X,1: Sardinia, Inscriptiones falsae vel
alienae. Il problema dei falsi epigrafici in Sardegna, Mémoire de DEA préparé sous la direction de M.
le Professeur J.-M. Roddaz et M. le Professeur A. Mastino, Université Michel De
Montaigne, Bordeaux III, U.F.R. d'Histoire, Bordeaux 1996.
[11] A. Corda, La popolazione della Sardegna cristiana.
Onomastica e formulari, tesi di Dottorato in Archeologia Cristiana presso
il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, a.a. 1993-94, relatori i
proff. Danilo Mazzoleni e Vincenzo Fiocchi Nicolai.
[12] P.G.I. Spanu,
[13] K.
Pokorny, Die
Spätantiken und frühchristlichen Monumente Sardiniens, Diplomarbeit zur
erlangung des Magistergrades der Philosophie an der Geistewissenschaftlichen
Fakultät der Universität Wien (Institut für klassische Archäologie),
Begutachterin: prof. Dr. R. Pillinger, Wien 1995.
[14] R. Zucca, Il tempio di Antas (Sardegna
archeologica, Guide e Itinerari, 11), Sassari 1989; vd. ora F.O. Hvidberg-Hansen, Osservazioni su Sardus Pater in Sardegna, "Analecta Romana Instituti Danici", 20,
1992, pp. 7-30. Per l'iscrizione, vd. CIL
X 7539 = AE 1971, 119 = ELSard. p. 583 B 13 = AE 1992, 867.
[15] Sulla quale vd. ora D. Fishwick,
Un sacerdotalis provinciae Sardiniae à
Cornus (Sardaigne), in "CRAI",
[17] CONC. Arel. a. 314 CCH
148, p. 4, 1-7; p. 15, 70-71; p. 17,
57-58; p. 19 e 20, 57-58; p. 22, 55-56, vd. G.D.
Mansi, Sacrorum Conciliorum nova
et amplissima collectio, II, Parigi 1901, col. 477 B; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII, Faenza
1927, pp. 656 ss.; O. Alberti,
[18] R. Zucca, Il Sardopavtoro"
ijerovn e la sua decorazione fittile, in Carbonia e il Sulcis.
Archeologia e territorio, a cura di V.
Santoni, Oristano 1995, pp. 317
ss.
[19] GREG. M., Epist. XI, 56, cfr.
F. Gandolfo, Luoghi dei santi e
luoghi dei demoni: il riuso dei templi nel medioevo, in Santi e demoni nell'alto medioevo
occidentale. Atti della XXXVI Settimana CISAM (Spoleto 1988), Spoleto 1989,
pp. 883 ss.
[20] A. Donati, R. Zucca,
L'ipogeo di San Salvatore (Sardegna
Archeologica, Guide e itinerari, 21), Sassari 1992.
[21] Per i rapporti con il culto di Sardus,
vd. ora Hvidberg-Hansen, Osservazioni su Sardus Pater cit., pp. 11 ss.
[22] Vd. D. Levi, L'ipogeo di San Salvatore di Cabras in
Sardegna, Roma 1949, p. 57 e tav. XII b (molto dubbia). La scena di Daniele fra i leoni è sicuramente
presente nel IV secolo nella catacomba cristiana di S. Antioco, vd. A. M. Nieddu, La pittura paleocristiana in Sardegna: nuove acquisizioni,
"Rivista di Archeologia Cristiana", LXXII, 1996, pp. 266 ss.
[23] R. J. Rowland, The Christianization of Sardinia to ca. A.D. 600, "Bulletin of
the
[24] Vd. R. Caprara, Due chiese rupestri altomedievali nella
Sardegna settentrionale, "NBAS", I, 1984, pp. 301-322; Id., Le chiese rupestri medievali della Sardegna, "NBAS", 3,
1986, pp. 251-278; Nieddu, La pittura paleocristiana cit., pp. 270
ss.
[25] Vd. B.R. Motzo, La passione di S. Lussorio o S. Rossore,
"Studi Sardi", I, 1934, pp. 145-153; R. Zucca, Il complesso
paleocristiano di San Lussorio (Forum Traiani), "Quaderni
Oristanesi", 15-16 (1987), pp. 3-16; Id.,
Le iscrizioni latine del martyrium
di Luxurius (Forum Traiani-Sardinia), Oristano 1988, cfr. AE 1990, 459 = 1992, 879.
[26] Per le Ninfe salutari, vd. AE
1991, 908-9. Vd. anche AE 1988,
644 ed ora G. Sotgiu, Ricerche
epigrafiche a Fordongianus (Cagliari), in Epigrafia. Actes du colloque en mémoire de Attilio
Degrassi, Roma 1988 (Coll. EFRome, 143), Roma 1991, pp. 725-731; B.P. Serra, G. Bacco, G. Sotgiu, Forum Traiani: il contesto termale e l'indagine
archeologica di scavo, in «L'Africa
Romana», XII,
Per Esculapio, vd. G. Sotgiu,
Arula dedicata ad Esculapio da un L.
Cornelius Sylla (Fordongianus, Forum
Traiani), in Studi in onore di G.
Lilliu per il suo settantesimo
compleanno, Cagliari 1985, pp. 117-124 = AE 1986, 272.
[27] Vd. R. D'Oriano, Un santuario di Melqart-Ercole da Olbia,
in «L'Africa Romana», X, 1992 (1994),
pp. 937-948; T. Bruschi, Un saggio di scavo sull'acropoli di Olbia,
in Da Olbìa ad Olbia. 2500 anni di storia
di una città mediterranea, Sassari 1996, p. 351.
[28] Vd. R. Zucca, L'altare rupestre di Iuppiter a Bidonì (Sardinia), in «L'Africa Romana», XII,
[29] Così R. Zucca, Le massae plumbeae di Adriano in Sardegna, in «L'Africa
Romana», VIII, 1990 (1991), p. 814 n. 50.
[30] HIPPOL., Refutatio omnium
haeresium, IX, 12, cfr. C. Cecchelli, Tre deportati in Sardegna: Callisto,
Ponziano e Ippolito, in AA.VV., Sardegna
Romana, II, Roma 1939, pp. 55 ss.; A.
Bellucci, I martiri cristiani
'damnati ad metalla' nella Spagna e nella Sardegna, "Asprenas",
V,1, 1958, pp. 31 ss.; V, 2, 1958, pp. 125 ss.
[31] Catal. Lib. ed. Duchesne, I, Parigi ed. anast. 1955,
pp. 4 s.; CHRONOGR. a. 354, chron. I, pp. 74 s., 37-38, 1-3; Liber Pontificalis, ed. Duchesne,
I, Parigi ed. anast. 1955, p. 145, cfr. Bellucci,
I martiri cristiani cit.,
"Asprenas", VI,2, 1959, pp. 152 ss.
[32] Vd. B.R. Motzo, La passione di S. Antioco, in Studi cagliaritani di Storia e Filologia,
I, Cagliari 1927, pp. 98-128. Si tratta di un martire di origine sarda per H. Delehaye, Origines du culte des martyrs, Bruxelles 1933 (2a ed.), p. 313. Vd.
ora Turtas, La diocesi di Sulci cit., pp. 146-170 e G. P. Mele, La passio medioevale di
Sant'Antioco e la cinquecentesca Vida y miracles del benaventurat
Sant'Anthiogo fra tradizione manoscritta,
oralità e origini della stampa in Sardegna, "Theologica &
Historica, Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna", VI,
1997, pp. 111-139. Il santo (Presbyter
martyr sanctus Antiocus Sulcytanus filius) potrebbe esser ricordato
addirittura già nel II secolo (!!) in una dubbia epigrafe rinvenuta a Barega
presso Corongiu, vd. F. Pili, Nuove iscrizioni dal Sulcis-Iglesiente,
in Dottrina sacra. Saggi di Teologia e di
Storia, Cagliari 1977, pp. 137 ss. nr. 1.
[33] Vd. P. Meloni, Sul valore storico di alcuni riferimenti
contenuti nelle passioni dei martiri sardi, in Atti del Convegno di studi religiosi sardi (Cagliari, 24-26 maggio
1962), Padova 1963, pp. 55-66.
[34] Passio S. Ephysii martyris,
Carali in Sardinia, "Analecta Bollandiana", III, 1884, pp. 362
ss., cfr. D. Filia,
[36] Acta Sanctorum, a cura
dei Bollandisti, Gennaio, I, pp. 997 sgg., cfr. B.R. Motzo, La passione
dei Santi Gavino, Proto e Gianuario, in
Sudi cagliaritani di Storia e Filologia, I, Cagliari 1927, pp. 129-161; B. De Gaiffier,
[37] Vd. A. Mastino, H. Solin,
Supplemento epigrafico turritano, II,
in Sardinia antiqua. Studi in onore di Piero
Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Cagliari 1992, pp. 361
ss. nr. 6, cfr. AE 1992, 902.
[39] F. Manconi, Nuove iscrizioni paleocristiane dalla
basilica di San Gavino a Porto Torres, in Epigrafia romana in area adriatica, IXe Rencontre franco-italienne sur
l'épigraphie du monde romain, Macerata 10-11 novembre
[40] ICUR IV, 11805 = Diehl
1251, cfr. Bonello Lai, Una Abbatissa cit., p. 1046 e n. 56; vd.
già A. Mastino, Popolazione e classi sociali a Turris
Libisonis: i legami con Ostia, in A. Boninu, M. Le Glay, A. Mastino, Turris Libisonis colonia Iulia, Sassari
1984, p. 80. Vd. ora A. Ferrua, La polemica antiariana nei monumenti
paleocristiani, Città del Vaticano 1991, p. 273 nr. 357. La cronologia è
fissata dalla data del 366 per la morte del fratello An(nius) Vincentius presb(yter) cu(m) quo bene laborabit, cfr. ICUR IV 11763 (dep. XI Kal. Iulias Gratiano et [Dag]alaifo conss.); vd. anche
11933. Per la traslazione dei cadaveri,
vd. Grossi
Gondi, Trattato cit., pp. 259
ss.
[42] Vd. A. F. Spada, Santu Antine. Il culto di Costantino il
grande da Bisanzio alla Sardegna, Nuoro 1989; vd. ora Atti Convegno «Popolo sardo tra Oriente e Occidente. Il culto di San
Costantino imperatore», Oristano-Sedilo, 4-5 luglio 1997, ISPROM Sassari,
in c.d.s. ed Atti Convegno «San
Costantino Imperatore e il progresso del diritto», Roma 3-4 ottobre 1997,
ISPROM Sassari, in c.d.s.
[43] L. Pani Ermini, Una testimonianza del culto di San
Costantino in Sardegna, in Memoriam
Sanctorum venerantes. Miscellanea in onore di Mons. V. Saxer, Città del
Vaticano 1992, pp. 613-625.
[44] ILSard. I 372 = AE 1966, 169 = ELSard. pp. 578 s. A 372, cfr. G.
Sotgiu, Un miliario sardo di L.
Domitius Alexander e l'ampiezza della sua
rivolta, «ASS», XXIX, 1964, pp. 151-158.
[45] Cfr. H.G. Pflaum, L'alliance entre Constantin et L. Domilius
(sic) Alexander, «BAA», I, 1962-65
(1967), pp. 159-161 = Scripta varia, I,
Afrique romaine, pp. 226-228; R. Andreotti, Problemi di epigrafia costantiniana, I, La presunta alleanza con
l'usurpatore L. Domizio Alessandro, "Epigraphica", XXXI, 1969, p.
167; sul personaggio, cfr. PLRE, I, p. 656.
[46] CONC. Arel. a. 314 CCH
148, p. 4, 1-7; p. 15, 70-71; p. 17,
57-58; p. 19 e 20, 57-58; p. 22, 55-56. Per la collocazione del vescovo di
Karales negli atti conciliari, vd. Turtas,
Rapporti tra Africa e Sardegna cit.,
p. 708 n. 23.
[47] Vd. ATHAN., Apol. sec. 1
PG 25; Hist. Arian. 28 PG 25;
CASSIOD., Hist. 4. 24, 1-2; COLL. Antiar.
[48] Codex Theod. II, 25,1,
cfr. A. Puglisi, Servi, coloni, veterani e la terra in alcuni
testi di Costantino, "Labeo", XXIII, 1977, pp. 305-317.
[49] Così P. Bonfante, Corso di diritto romano, I, Roma 1925,
p. 204; vd. anche C. Bellieni, Enfiteusi, schiavitù e colonato in Sardegna
all'epoca di Costantino, Edizioni della Fondazione Il Nuraghe, Cagliari
1928, pp. 1-67; vd. A. Mastino, P.
Ruggeri, Camillo Bellieni e
[51] A. Guillou, La diffusione della cultura bizantina,
in AA.VV., Storia della Sardegna e del Sardi, I, Dalle origini all'età
bizantina, Milano 1988, pp. 373 ss.
[52] HIEROL., De viris ill. XCVI,
cfr. Alberti,
[53] Cfr. Alberti,
[54]
[55] Su Giuliano, vd. ora M.
Caltabiano, L'imperatore Giuliano
negli autori latini cristiani del IV secolo, in Cristianesimo Latino e cultura Greca fino al sec. IV, in XXI Incontro di studiosi dell'antichità
cristana (Roma 1992) (Studia Ephemeriudis «Augustinianum», 42), Roma 1993,
pp. 99 ss.
[56] De excessu fratis sui
Satyri, I, 43-
[58] Sulla quale vd. ora G.
Maetzke, Monte Agellu. Le origini
della basilica di S. Gavino a Porto Torres secondo le testimonianze
archeologiche, Sassari 1989; F. Poli,
La basilica di San Gavino a Porto Torres.
La storia e le vicende architettoniche, Sassari 1997.
[62] Mastino, Solin, Supplemento epigrafico turritano, II,
cit., pp. 361 ss. nr. 6, cfr. AE 1992,
902.
[63] ILSard. I 299 = Diehl 1358 = ELSard. p. 574, nr. A 299, cfr. Mastino,
Solin, Supplemento epigrafico
turritano, II, cit., pp. 366 s. figg. 14-15. Vd. anche H. Solin, Analecta
epigraphica XXXII, Zu sardischen Inschriften, "Arctos", X, 1976,
p. 88.
[64] L. Pani Ermini,
[65] CIL X 7995 (San Simplicio), cfr. ora A. Mastino, Olbia in età
antica, in Da Olbìa ad Olbia. 2500
anni di storia di una città mediterranea, Sassari 1996, pp. 74 s.
[66] CIL X 7914 = Diehl 3400 = L. Pani Ermini, M. Marinone, Museo Archeologico di Cagliari. Catalogo dei materiali paleocristiani e
altomedievali, Roma 1981, pp. 8 s. nr. 9 = ELSard. p.
[68] Vd. A. Taramelli, Il nuraghe Lugherras presso Paulilatino,
"NdSc", 1910, p. 179, ora in
Scavi e scoperte, I, 1903-1910, Sassari 1982, p. 510; M.L. Ferrarese Ceruti, in C. Vismara, Sarda Ceres. Busti fittili di divinità femminile della Sardegna romana (Quaderni
Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, 11),
Sassari 1980, p. 9.
[70] GREG.M., Epist. IV, 29, cfr. T.
Pinna, Gregorio Magno e
[71] J.
Durliat, Taxes sur
l'entée des marchandises dans la cité de Carales-Cagliari à l'époque byzantine
(582-602), in "Dumbarton Oaks Papers", 36, 1982, pp. 1-14.
[75] Vd. L. Pani Ermini, Le città sarde tra tarda antichità e
medioevo: uno studio appena iniziato, in «L'Africa Romana», V, 1987 (1988), pp. 431-438; Ead., Le città sarde nell'altomedioevo: una ricerca in atto, in Materiali per una topografia urbana. Status
quaestionis e nuove acquisizioni, Atti V Convegno sull'archeologia tardoromana
e medievale in Sardegna (Cagliari-Cuglieri, 24-26 giugno 1988), a cura di P.G. Spanu (Mediterraneo tardoantico e
medievale, Scavi e ricerche, 10), Oristano 1995, pp. 55 ss.
[76] Vd. A. Mastino, Analfabetismo e resistenza: geografia
epigrafica della Sardegna, in "L'epigrafia
del villaggio", a cura di A. Calbi, A. Donati, G. Poma (Epigrafia e
Antichità, 12), Faenza 1993, pp. 457- 536.
[77] Mastino, Cornus cit.,
pp. 174 ss. nr. 100 = AE 1979, 323 = ELSard. pp. 593 s. B 60 e p. 641 add. B
60, cfr. G. Sotgiu, La lapide con la menzione "dei tre
imperatori", in Le sepolture in
Sardegna dal IV al VII secolo, IV Convegno sull'archeologia tardoromana e
medievale (Cuglieri, 27-28 giugno 1987) (Mediterraneo tardoantico e
medievale, Scavi e ricerche, 8), pp. 207-9. Vd. anche R.J.
Rowland, Another anachronism in
the Historia Augusta ?, "Liverpool Classical Montly", 2, 1977, p.
59.
[78] CIL X 7542, cfr. T. Kotula, Les
principales d'Afrique. Étude sur l'élite municipale nord-africain au bas-empire
romain (Travaux de
[79] Vd. p.es. ancora il caso di Cornus, con l'epigrafe AE 1979, 323, riferita al restauro delle
[termae] aestivae quae olim squalor[e et
magna] ruina fuerant conlabsae, reimpiegata all'interno della primitiva
basilica, poi trasformata in battistero. Il fenomeno è documentato ampiamente
anche in ambito rurale, come a Mesumundu di Siligo, dove però il rapporto tra
l'edificio termale romano e la chiesa bizantina è ancora da investigare, vd.
ora A. Teatini, Alcune osservazioni sulla
primitiva forma architettonica della chiesa di N.S. di Mesumundu a Siligo
(Sassari), "Sacer", 3, 1996, pp. 119-150.
[81] Vd. R. Zucca, Ad Nuragas in età romana e altomedievale,
in AA.VV., Nurachi, Storia di una
ecclesia, Oristano 1985, pp. 27-31.
[82] Vd. anche alcuni notabili cittadini, tra i quali ad esempio il v(ir) c(larissimus) Martialis
a Turris Libisonis (ILSard. I 300).
[85] Bonello Lai, Una Abbatissa cit., pp. 1040 ss. Per la
cronologia, vd. ora Nieddu, La pittura paleocristiana cit., pp. 259
s.
[86] Pani Ermini, Marinone,
Museo Archeologico di Cagliari cit.,
p. 49 nr. 79 = ELSard. p. 588 e 635 B
43 = SEG 38, 1988, p. 294 nr.
977.
[87] Vd. S. Angiolillo, Mosaici antichi in Italia, Sardinia,
Roma 1981, p. 193 nr. 173 e pp. 194 s. nr. 174 (ELSard. pp. 596 s. B75-76). Vanno rivalutati gli epitafi musivi dei
vescovi di Turris Libisonis Gaudentius,
Florentius, Iustinus e Luxsurius
(CIL X 1457*), cfr. Angiolillo, Mosaici cit., p. 195 ed ELSard. p. 645 B 159. Per la scoperta
seicentesca, vd. R. Turtas, Scuola e Università in Sardegna tra '500 e '
[88] Vd. p.es. CIL X 7777; ILSard. I 119 = AE 1990, 443. Tra le c.d. falsae,
vd. p.es. CIL X 1368*, 1377*.
[89] Oltre alla citata ELSard.
pp. 588 e 635 B 43 = SEG 38,
1988, p. 294 nr. 977 (jAmmivh), vd. p.es. ELSard.
pp. 648 s. B 175 = SEG 38, 1988 p.
295 nr. 982 (Grevka), p. 649 B 176 = SEG
38, 1988 p. 295 nr. 983 (Mariva), cfr. Pani
Ermini, Marinone, Museo
Archeologico di Cagliari cit., p. 50 nr. 80 e p. 50 nr. 81. Tra le c.d. falsae, vd. CIL X,1 1174*, 1310*, 1319*, 1372*,
1400*, 1447*.
[90] Va ovviamente considerata a parte tutta la documentazione
epigrafica pervenutaci attraverso le Carte d'Arborea, una falsificazione della
metà dell'Ottocento che comprende anche alcune iscrizioni paleocristiane di
sicura falsificazione, CIL X 1479*,
1480*, ecc., vd. Mastino, Ruggeri,
I falsi epigrafici cit., pp. 267
s. Una valutazione ragionata
sull'autenticità delle iscrizioni conservateci attraverso la tradizione manoscritta
seicentesca deve passare anche attraverso un confronto con la lingua delle
iscrizioni paleocristiane autentiche: sull'argomento vd. ora G.
Lupinu, Contributo allo studio
della fonologia delle iscrizioni latine della Sardegna paleocristiana, in «
[91] Il titolo compare, oltre che tra le iscrizioni c.d. falsae, solo nelle prime lettere di
Gregorio Magno inviate a Gianuario archiepiscopus
de Caralis Sardiniae (GREG. M., Epist.
I, 60-62 ed 81; II, 47), almeno fino all'anno 592: da quel momento il Pontefice
utilizza di norma il titolo di episcopus
(GREG. M., Epist. IV, 8-10, 24, 26,
29; VIII 35; IX, 1, 11, 195, 197, 204; X, 17; XI, 13; XIII, 6 ecc.), ma non si
può certo pensare ad un vero e proprio ripensamento del Pontefice.
Tra le iscrizioni c.d. falsae
il titolo compare in CIL X 1147* (Bonus arc[hiepiscopus Kar]al(itanus));
1212* (Florius ar(c)h(ie)p(iscop)us);
1291* (Luciferus arc(hi)epis(copus)
callaritanus primarius Sardin(ia)e et Corcic(a)e (!!)); 1355* (Restutus arch(iepi)sc(op)us sanctae
Cara[litanae eccl]esiae); 1418* (Vivianus
[a]rchiep(iscopus)).
[92] Vd. R. Zucca, Appunti sui Fasti Episcopales Sardiniae (Il periodo paleocristiano e l'età
altomedievale), in «Archeologia
paleocristiana e altomedievale in Sardegna: Studi e ricerche recenti»,
Seminario di studi, maggio 1986 (a cura di P. Bucarelli e M.
Crespellani), Cagliari 1988, pp. 36 ss.
La documentazione epigrafica conserva il ricordo di due soli episcopi caralitani, un Bonifatius
(CIL X 7753: sedit cathedra annis VII m(ensibus) IIII) ed un anonimo (ILSard. I 94); vd. anche il Petrus antistes, ricordato per aver
restaurato e decorato marmoribus,
titulis, nobilitate fidei la
basilica di Sant'Antioco, in CIL X
7533 = T. Casini, Le iscrizioni sarde del Medio Evo,
"Archivio Storico Sardo", I, 1905, pp. 311 s. nr. 6. Più tarde
appaiono le epigrafi del santuario martiriale di Forum Traiani, AE 1990, 459 (Helia ep(is)c(o)p(us)) e 460 (Stefanus
ep(i)s(copus)); 1992, 878 (Victor
ep(is)c(opus)), cfr. L. Gasperini,
Ricerche epigrafiche in Sardegna, II,
in Sardinia antiqua. Studi in onore di
Piero Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Sassari 1992,
pp. 313-316 nr. 8 (difficile un'identificazione con il Victor vescovo di Fausiana di GREG. M., Epist. IX, 203).
Più abbondante la documentazione letteraria, vd. Zucca, Fasti Episcopales Sardiniae cit., pp. 36 s. Nella corrispondenza di
Gregorio Magno sono ricordati i vescovi di Cagliari (Ianuarius), di Turris (Marinianus),
di Fausiana (Victor) e di altre sedi
sarde (Agatho, Innocentius, Libertinus,
Vincentius, Felix e Thomas),
cfr. Bonello
Lai, Una Abbatissa cit., pp.
1050 s. n. 91.
Tra le c.d. falsae, il
numero degli episcopi, veri o
presunti, è rilevante: vd. p.es. a Turris Libisonis CIL X 1457*, cfr. Angiolillo,
Mosaici
cit., p. 195 ed ELSard. p.
645 B 159 (Gaudentius, Luxurius, Iustinus
e Florentius episcopi). Vd. anche
CIL X 1113* (sanctus Amatus episcop(us) et martir a Gesico), 1114* (Egidius ep(isco)p(us) ad Orgosolo),
1131* (Bertorius m(artyr)
ep(iscopus) a Samatzai), 1143* (Bonifatiu[s]
ep[iscopus]), 1166* (Devorinus
ep(iscop)us), 1190* (Eutimius
mar(tyr) ep(i)s(copus)), 1194* (Fabricius
ep(isco)p(us)); 1198* (Felicianus ep(isco)pus), 1203* (Felix [qui fuit e]p(i)s(copus karalit[anus]),
1204* (Felix ep(iscopus)), 1226* (Gregorius ep(iscopus), Paulus ep(iscopus)), 1240* (S(anctus)
Ianuarius ep(isco)p(us) et m(artyr) et s(anctus Egidianus ep(isco)p(us) et
m(artyr) et s(anctus) Ludovicus ep(isco)p(us) et m(artyr) sunt africani); 1263* (Alexander
ep(iscopus) m(artyr), Mamertus ep(iscopus) m(artyr), Iulius Tiburtinus
ep(iscopus) m(artyr)); 1267* (Iustus
ep(iscopus)), 1273* (Laverinus
ep(isco)p(us)), 1275* (L[a]urentius
ep(i)s(scopus)), 1281* (Linus et
Severinus ep(iscopi)), 1292* (Lucifer
ep(isco)pus), 1293* ([Luciferus
episcopus]), 1295* (Lucius
ep(iscop)us), 1358* (m(artyr) Rudis
ep(iscopus)), 1374* (Severinus ep(isco)pus,
Hilarius ep(isco)pus), 1375* (m(a)r(tyr)
Severus ep(i)s(copus)), 1383* (Brumasius
episcopus), 1402* (Tiberius
ep(isco)p(us)), 1406* (Vene[---]s
ep(iscop)us [---] ca[ralitanus]), 1407* (Verisimus ep(iscop)us), 1436* ([---]
mar(tyr) et ep(i)sc(copus)); Actas
originales sobre la inbencion de las reliquias de santos que se hallaron en
Si può rinviare anche a CIL
X 1126*: huius aulae praesules duo (Aymus e Albertus a S. Maria di Tratalias), vd. Casini, Le iscrizioni
sarde del Medio Evo cit., p. 319 nr. 13.
[93] ILSard. I 114 (Menas: notar(ius) subregionarius
s(an)ct(ae) Rom(anae) eccl(esiae)): sul titolo vd. Bonello Lai, Una Abbatissa
cit., p. 1050 n. 83. Il titolo di rector è più regolarmente attribuito a
vescovi, vd. F. Grossi Gondi s. J.,
Trattato di epigrafia cristiana latina e
greca del mondo romano occidentale, Roma 1920, pp. 122 e 149.
[94] L. Pani Ermini, Iscrizioni cristiane inedite di S. Saturno a
Cagliari. Contributo allo studio del '"Defensor Ecclesiae"
nell'antichità cristiana, "Rivista di Storia della Chiesa in
Italia", XXIII, 1969, pp. 18 s. nr. 3 = AE 1971, 136 = ELSard. p.
586 B 37 (Istefanus archiepresbiter
(sic) s(an)c(ta)e ec(c)les(iae) Ka(ra)litan(a)e). Vd. anche l'archipresbyter Epiphanius in
due lettere di Gregorio Magno (GREG. M.,
Epist. IX, 197 e XIV,2). Il titolo compare dopo il IV secolo, vd. Grossi Gondi, Trattato cit., p. 150.
[95] ILSard. I 160 = Pani
Ermini, Marinone, Museo Archeologico
di Cagliari cit., pp. 16 s.
nr. 20 = ELSard. p. 565
nr. A 160, cfr. Bonello Lai , Una Abbatissa cit., p. 1043, nn. 41 s.
(Maracalagonis): Iohannes p(res)b(iter)
huius aecl(esiae). Nelle lettere di
Gregorio Magno, il termine ricorre di frequente (p.es. GREG. M., Epist. III, 36 e IV, 24 (Epiphanius); IV, 9 e 26), assieme a
quello di sacerdos (p.es. GREG. M., Epist. IX, 26 e 29; XIII, 20).
Tra le c.d. falsae, vd. CIL X 1118* cfr. Mureddu, Salvi, Stefani, Sancti innumerabiles cit., p. 170 tav.
26 (Antiochus presbiter), 1120* (beatus martir Archelaus presbyter), 1131* (s(anctus)
Iustinius presbiter), 1193* (Exitiosus
presb(iter)), 1206* (Felix presbyter), 1234* (Iacobus
presbyter mart(ir)), 1288* (Lucifer
prae(s)b(iter)), 1454* (Edesius presbyter).
[96] G. Sotgiu, Un collare di schiavo rinvenuto in Sardegna,
"Archeologia Classica", XXV-XXVI, 1973-74, pp. 688-697 = AE 1975, 465 = ELSard. p. 606 nr. B 104d (Felix).
Un archidiaconus, accusato di
convivere con una donna, compare in una
lettera di Gregorio Magno, che invita il vescovo di Karales Gianuario a
privarlo del sacer ordo (GREG. M.,
Epist. IV, 26). Tra le c.d. falsae:
vd. Actas originales cit., f. 375,
cfr. Mureddu, Salvi, Stefani, Sancti innumerabiles cit., p. 124 n. 22
(Lutiaus archidiaconus ecclesie
callaritane). Il titolo compare dopo il IV secolo, riferito ai titolari di
uno degli uffici ecclesiasitici maggiori, vd. Grossi
Gondi, Trattato cit., p. 149.
[97] CIL X 7972 = Diehl 3445 = Pani
Ermini, Marinone, Museo Archeologico
di Cagliari cit., pp. 35 s. nr. 47 = ELSard.
p.
[98] CIL X 1304*, cfr. Mureddu, Salvi, Stefani, Sancti innumerabiles cit., p. 118 n. 273
(Marinus levita). Per il titolo,
equivalente a diaconus ed a minister, vd. Grossi Gondi, Trattato
cit., pp. 140 s.; P. Testini, Archeologia cristiana. Nozioni generali
dalle origini alla fine del sec. VI, Bari 1980 (2a ed.), p. 38.
[99] Solo tra le c.d. falsae:
CIL X 1306* (Martinus... [fuit su]bdiaconus iustus);
1330* (Paulinus subdiaconus).
[100] ICUR IV, 11805 = Diehl
1251, cfr. Bonello Lai, Una Abbatissa cit., p. 1046 e n. 56 e Ferrua,
La polemica antiariana cit., p. 273
nr. 357 (Annius Innocentius). Per il
titolo di ajkouvlouqo", in latino sequens
(un ordine minore), vd. Grossi
Gondi, Trattato cit., p. 123.
[101] CIL X 7551 = Diehl 3399 = Pani Ermini, Marinone, Museo
Archeologico di Cagliari cit., p. 30 nr. 40 = ELSard. p.
Tra le c.d. falsae, vd.
anche CIL X 1363* (Antiocus lector) e 1378* (Sisin[nius] lector s(an)c(ta)e
ec(c)l(e)s[i(a)e]).
Per la collocazione gerarchica dei lectores (un ordine minore), vd. Grossi Gondi, Trattato cit., pp. 121 e 139.
[102] ILSard. I 95 = ELSard. p. 562 nr. A 95; ILSard. I 96 = ELSard. p. 562 nr. A 96 (Iomisus-Ionisus),
cfr. Bonello Lai, Una Abbatissa cit., p. 1045 n. 50. Altri
clerici sardi sono ricordati nelle
lettere di Gregorio Magno (GREG. M.,
Epist. II, 47; IV, 9; IV, 24; IV, 26; IX, 203; IX, 204; XIII, 20). E'
significativo l'episodio del chierico Paolo, scoperto a compiere i riti magici
(in maleficiis deprehensus) e
rifugiatosi in Africa, una volta tornato allo stato laicale (IV,
[103] Numerosi gli abbates
citati nella corrispondenza di Gregorio Magno, cfr. GREG. M., Epist. XIV,2; d. anche IV, 26; V, 2; IX,
1 e 11 (Cyriacus); V, 2 (Musicus); XI, 13 (Iohannes). Tra le c.d. falsae,
vd. CIL X 1402*: Felicianus abb(as); 1166*: Benedictus
ab(bas).
[104] Bonello Lai, Una Abbatissa cit., pp. 1031-1061 = AE 1991,
906. Alcune abbatissae anche nella
corrispondenza di Gregorio Magno, cfr. GREG. M., Epist. XIII, 6 (Desideria);
vd. anche IX, 197 (Syrica e Gavinia).
[105] Pani Ermini, Marinone,
Museo Archeologico di Cagliari cit.,
p. 50 nr. 81 = ELSard. pp. 648 s. B 175 = SEG
38, 1988 p. 295 nr. 982.
[106] Solo tra le c.d. falsae, CIL X 1160*: Kintina, [quae
cum esset fam]ula s(anctae) ecle[siae obtinuit divi]na suor[um laborum
praemia].
[107] CIL X 7778 = Diehl 3063 = Pani Ermini, Marinone, Museo
Archeologico di Cagliari cit., p. 37 nr. 49 = ELSard. p.
Vd. anche, tra le c.d. falsae,
v(irgo) et m(artir) in CIL X 1127* (s(ancta) Barbara), 1154* (Catherina), 1189* (Eutimia), 1242* (Dorothea),
1267* (Uleria), 1281* (s(ancta) Supilia e s(ancta)
Vicencia), 1305* (Marta v(irgo)
m(artir)), oppure m(artir) et v(irgo) in 1246* (Lucretia);
m(artir) et v(irgo) s(anctis)s(ima) in
(Christo) in 1155* (Catherina); 1211* m(artir)
et virgo (s(ancta) Florentia); omnes v(irgines) m(artires) s(anctae) in
1329* (Palomba, Delfinia, Praxedia);
infine v(irgines) et m(artires) in
1262* (Iusta, Iustina et Heredina).
Assolutamente arbitrari anche altri scioglimenti, p.es. v(irgines) in 1170* (D(orothea)
e T(heodosia)). Vd. infine 1441*: vir(go)
Dei (oppure vir Dei ?).
[108] Il termine, a giudizio di M.
Bonello Lai (Una Abbatissa
cit., p. 1035 n. 11) potrebbe comparire su un frammento epigrafico caralitano (ILSard. I 358a), che ricorda un B[onifat]ius
od un B[oet]ius r(e)l(igiosus),
cfr. L. Pani Ermini, R. Zucca, L'età paleocristiana e altomedioevale. La
produzione artigianale e l'epigrafia, in Il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, Sassari 1989, p. 256;
vd. soprattutto L. Pani Ermini, Contributo alla conoscenza del suburbio
cagliaritano "iuxta basilicam sancti martyris Saturini", in
Sardinia antiqua, Studi in onore di Piero
Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Cagliari 1992, pp. 477
ss., cfr. AE 1992, 872 (VI secolo).
Dalle lettere di Gregorio Magno conosciamo alcuni religiosi (GREG. M., Epist.
I, 59; IV, 24 e XIII, 6) e religiosae
feminae (GREG. M., Epist. I, 60 (Catella);
III, 36 (Pompeiana et Theodosia);
XIV, 2 (Pomponiana)).
[109] CIL X 1173* (Elias). Per un confronto, vd. p.es. CIL V 1595 = Diehl 1311 (Grado), actoarius
s(an)c(t)ae eccl(esiae) Aquil(eiensis). Per le funzioni esercitate, vd. Grossi Gondi, Trattato cit., p. 151.
[110] ILSard. I 114 (Menas), cfr. Bonello Lai, Una Abbatissa
cit., pp. 1049 s. n. 81 s. Alcuni notarii della chiesa di Roma, attivi in
Sardegna, compaiono nella corrispondenza di Gregorio Magno: GREG. M., Epist.
IX, 123 (Bonifatius), X, 3 (Gratiosus), II, 47 e III, 36 (Iohannes). Per le funzioni esercitate,
vd. Grossi Gondi, Trattato cit., p. 151.
[111] CIL X 1370* = AE 1992, 875, Savinus. Il personaggio potrebbe essere realmente esistito: è stata
proposta un'identificazione con il Savinus
defensor, destinatario di una lettera inviata da Gregorio Magno nel maggio
593 (GREG. M., Epist., III, 36), cfr.
Bonello Lai, Una Abbatissa cit., pp. 1049 n. 80 e soprattutto Stefani, A proposito di Savinus, defensor cit., pp. 711 ss.
[112] Deusdedit, defensor s(an)c(ta)e ec(c)lesi(a)e
Karalitan(a)e, vd. Pani Ermini,
Iscrizioni cristiane inedite di S.
Saturno cit., pp. 9 ss. nr. 2; G.
Sotgiu, Nuove iscrizioni inedite
sarde, "Annali Fac. Lettere-Filofia e Magistero dell'Univ.
Cagliari", XXXII, 1969, pp. 65 s. nr. 88 = AE 1971, 134 ed ELSard.
p. 586 B 36, cfr. Stefani, A proposito di Savinus, defensor cit.,
pp. 711 n. 2 ed AE 1992, 874. Per il titolo, vd. Bonello Lai, Una Abbatissa
cit., pp. 1048 s. e n. 79. Conosciamo alcuni altri defensores della chiesa caralitana e sarda nelle lettere di
Gregorio Magno, come Vitalis (GREG.
M., Epist. IX, 2: defensor Caralis; 203 e XIV, 2: defensor Sardiniae; vd. anche IX, 204; X, 3; XI, 13), od un altro personaggio anonimo (X,
17).
[113] P.es. AE 1971, 136 = ELSard. p. 586 B 37 (Istefanus archiepresbiter (sic) s(an)c(ta)e ec(c)les(iae) Ka(ra)litan(a)e);
AE 1971, 134 ed ELSard. p. 586 B 36, vd. Bonello
Lai, Una Abbatissa cit., pp.
1048 s. e n. 79 (Deusdedit, defensor
s(an)c(ta)e ec(c)lesi(a)e Karalitan(a)e); più generiche le espressioni ecclesiae sanctae minister in CIL X 7972 = ELSard. p.
[114] F. Ficoroni, De plumbeis antiquorum numismatibus,
Roma 1750, p. 23 tav. IX, 6; A. Manno,
Sopra alcuni piombi sardi, Torino
1878, p. 5 n. 4; V. Laurent, Le Corpus des sceaux de l'Empire Byzantin,
V, 1, Paris 1963, pp. 722 s. nr. 916 (datato tra il V ed il VI secolo).
[115] Vd. Spanu,
[116] L'aggettivo fidelis
ricorre di frequente, vd. p.es. ILSard. I 299 = ELSard.
p.
[117] Vd. CIL X 7971, dedicata
mirae innocentiae adq(ue)
integritati(is) fideli puell(ae)
Theodor(a)e. Una [Bene]nata fidelis
in CIL X, 7798; una Prisca fidel[is] in CIL
X 7738 = ELSard. p.
[118] P.es. AE 1990, 446, cfr.
G. Sotgiu, in ELSard., pp. 586 s. B 38 ed S. Cosentino, Gaudiosus «draconarius».
Tra le c.d. falsae,
vd. ad esempio CIL X 1361*: i(ustus)
v(ir); e anche 1441*: vir Dei (oppure
vir(go) Dei ?).
[119]Amabilis D(e)i s(e)rb(us) in CIL X 7747. Tra le
c.d. falsae, vd. anche Victor servus Xr(isti) in CIL X 1286*; oppure Ioachim, unus ex
servis d(omini) n(ostri) Xh(isti), in CIL
X 1249*. Il corrispondente greco douvlo" tou' Qeou' compare ad esempio
solo tra le c.d. falsae in CIL X 1319* (Nhkoivta"), 1372*
(Sergovna", Qwma'", ecc.) e 1400* ([Q]eofivl[a]). Sicura è invece
l'attestazione femminile, douvlh tou' Qeou', in Pani Ermini, Marinone, Museo
Archeologico di Cagliari cit., p. 50 nr. 80 = ELSard. p. 649 B 176 = SEG
38, 1988 p. 295 nr. 983 (Mariva). Per l'insieme di questi titoli, vd. Grossi Gondi, Trattato cit., pp. 159 ss.
[120] Come Inbenia a Cuglieri, vd. CIL X,1, 1248*, cfr. M.G. Campus, Il titulus funerario di Inbenia (Cuglieri). Contributo alla rilettura
del materiale epigrafico cristiano della Sardegna, in «L'Africa Romana», VIII, pp. 1063-1072 = AE 1991, 910. Vd. anche H.
Solin, Analecta epigraphica CLIV. Inbenia.
Zu einer Sardischen Inschrift, "Arctos", 27, 1993, pp. 130-131,
cfr. AE 1993, 851. Oppure Aurelia
Florentia ad Olbia, vd. CIL X 1125* = AE 1990, 456, cfr. G. Maetzke,
Olbia (Sassari). Titolo funerario
cristiano da S. Simplicio, in "NSc", 1966, pp. 353 s. = ELSard. p. 599 B 86; per
l'identificazione, vd. Mastino, Olbia in età antica cit., pp. 74 s.; M. Dadea, Sancta Florentia in Terra Nova, Autenticità dell'iscrizione CIL X,1
1125*, in Da Olbìa ad Olbia. 2500 anni di storia di una città mediterranea,
I, Sassari 1996, pp. 505-519.
[121] CIL X 1259* (Preiticia, ancil(l)a D(e)i); 1360* (Rustica ancilla D(e)i). Un'ancill(a) compare in ILSard. I 315, cfr. ELSard. pp.
[122] Così Patriga a Cornus,
cfr. L. Pani Ermini, Recenti contributi dell'archeologia per
[123] CIL X 1181* (Epifanius), cfr. Mureddu, Salvi, Stefani, Sancti
innumerabiles cit., pp. 115 e 174.
[124] Vd. Salvi, Stefani, Riscoperta
di alcune iscrizioni cit., pp. 244 ss.:
AE 1988,
Per Karales sono rilevanti le osservazioni topografiche sul ritrovamento
delle epigrafi e delle tombe di numerosi defunti, effettuate tra il 1615 ed il
1630 nell'area di San Lucifero, vd. G.
Stefani, La cosiddetta "1a
chiesa sotterranea" di San Lucifero di Cagliari, in Mureddu, Salvi, Stefani, Alcuni contesti funerari cagliaritani cit.,
pp. 186 ss.; Eaed., Sancti
innumerabiles cit., pp. 29 ss.; per l'altare settecentesco della Chiesa di
S. Antonio, al cui interno sono state recentemente ritrovate alcune delle
iscrizioni citate, vd. D. Salvi, Le sepolture della c.d. 2a e 3a chiesa di
San Lucifero, ibid., pp. 197 ss.
[125] Vd. Meloni,
Nelle c.d. falsae, martir compare per esteso in CIL X 1113* (Sanctus Amatus episcop(us) et martir), 1120* (beatus martir Archelaus) e
1244* (beatus martir Floris), 1170* (Dorothea, Theodosia et Eugenia martires et
virgines), 1194* (s(anctus) Vinditius
martir), 1249* (beata martir Pie),
1320* (beati martires Nicolaus, Iosephus
et Ioannes), 1376* (Silvanus martir
venerab(ilis)), 1419* (Urbanus martir
et Fortunata martir), 1456* (beatus
martir Fortunatus), 1463* (beatus
martir Beatus); S. Esquirro, Santuario de Caller y verdadera historia de la
invencion de los cuerpos santos hallados en la dicha ciudad y su Arçobispado,
Caller 1624, p. 237, cfr. Mureddu, Salvi
Stefani, Sancti innumerabiles
cit., p. 123 n. 3 (beatus martir Iulianus).
Vd. anche CIL X 1277* (Leo m[artyr]), 1309* (sancti martyres), 1311*([martirium]), 1390* ([s]anctitate adque [martyrio insignis]
Stefanus), 1421* (locus sanctorum
martyrum), 1435* (martir), 1452*
(b(eatus) mar[tyr Ama]ntius), 1456* (ss. martires), 1458* ([martyres]), 1464* ([beatus] martir) e 1470* (m[artir]). Incerti
appaiono gli scioglimenti di alcuni testi pervenutici attraverso la tradizione
manoscritta seicentesca, soprattutto quando la parola martir è abbreviata: p.es. mart(ir) in 1474*; oppure mart(ires) in 1383* (sanctus Speratus et alii); oppure mar(tir), in 1190* (Eutimius mar(tir) ep(i)s(copus)), 1221* (mar(tir)
Gerinus), 1234* (Iacobus); oppure
m(a)r(tir) in 1375* (Severus ep(i)s(copus)), 1436* (mar(tyr) et ep(i)s(copus)). Assolutamente arbitrari alcuni scioglimenti:
vd. p.es. v(irgo) et m(artir) in 1127* (s(ancta) Barbara), 1154* (Catherina), 1189* (Eutimia), 1242* (Dorothea),
1267* (Uleria), 1281* (s(ancta) Supilia e s(ancta)
Vicencia), 1305* (Marta v(irgo)
m(artir) ), oppure m(artir) et v(irgo) in 1246* (Lucretia);
m(artir) et v(irgo) s(anctis)s(ima) in
(Christo) in 1155* (Catherina); infine v(irgines) et m(artires) in 1262* (Iusta, Iustina et Heredina).
Vd. anche m(artir) et v(irgo)
s(anctis)s(ima): in 1155* (Catherina); v(irgines) m(artires) s(anctae) in 1329* (Palomba, Delfinia, Praxedia), m(artir)
sanctissima: in 1223* (Gilla), s(ancta) m(artir) et virgo in 1211* (s(ancta) Florentia), s(ancta) m(artir), in 1170* (Restituta), sancta m(artir), in 1323* (Numida);
s(anctus) m(artir), in 1172* (Edictius), 1265* (Iustus) e 1240* (gli ep(isco)p(i)
Ianuarius, Egidianus, Ludovicus); i s(ancti)s(simi)
m(artires) in 1226* (Petrus, Valerius, Fluvius, Emenciana); f(ide)l(is) mart(ir), in 1344* (Prisca); d(ivinus) m(artir), in 1385* (Stefanus).
Si sorvola su numerosissimi casi di parole con l'abbreviazione M
resa con m(artir). Vd. anche più avanti, per i beati martires.
[126] Un elenco è stato recentemente proposto da M. A. Porcu,
- Camerinus
: Pass. SS. Lux. Cis. et Cam., Acta
SS. Aug. IV, pp. 416 s.
- Cisellus
: Pass. SS. Lux. Cis. et Cam., Acta SS.
Aug. IV, pp. 416 s.
- Crescentinus
: Martyr. Hier., Prid. Kal. Iun.
- Criscentianus oppure Ticianus
: Martyr. Hier., Prid. Kal. Iun.
v. VI Kal. Iun.
- Crispolus (?): Martyr.
Hier., III Kal. Iun.
- Emilius
(?): Martyr. Hier., V Kal. Iun.
- Ephysius : Pass. S. Eph., "Anal. Boll.", III, 1884, pp. 362-377.
- Eutropius (?): Martyr.
Hier., VI Kal. Iun.
- Felicianus (?): Martyr.
Hier., V Kal. Iun.
- Felix (?): Martyr.
Hier., V Kal. Iun.
- Gavinus
: GREG. M., Epist. IX, 198; Martyr. Hier., III Kal. Iun.; VIII Kal. Nov.; vd. anche
Prid. Kal. Iun.; Passio S. Gav.,
"Anal. Boll.", 78, 1960, pp. 326-327; Passio SS. Gav. Proti et Ian., in Motzo, La passione dei Santi Gavino, Proto e Gianuario cit., pp. 129-161,
pp. 147-156; Pass. S. Gav., Acta SS.,
Oct. XI, pp. 560 s. (Arca); Pass. Proti et
Jan., Acta SS., Oct. XI, pp. 562-564 (Arca);
Pass.
- Ianuarius
: Martyr. Hier, VI Kal. Nov.; Pass. S.
Gav., "Anal. Boll.", 78, 1960, pp. 325-327; Pass. SS. Gav. Prot. et Ian.,
in Motzo, La passione dei Santi Gavino, Proto e
Gianuario cit., pp. 147-156, pp. 147-156; Pass. S. Gav., Acta SS., Oct. XI, pp. 560 s. (Arca); Passio SS. Prot.
et Jan., Acta SS., Oct. XI, pp. 562-564 (Arca);
Pass. S. Saturn. 4-5, Acta SS., Oct. XIII, p. 306.
- Luxurius
: GREG. M, Epist. IX, 198; Martyr. Hier., XII
Kal. Sept.; VI Kal. Oct.; vd. XIII Sept. (Cambr.); Pass. SS. Lux. Cis. et Cam., Acta SS., Aug. IV, pp. 416 s.
- Priamus
(?): Martyr. Hier., V Kal. Iun.
- Primus
(?): Martyr. Hier., XII Kal. Sept.
- Protus
: Martyr. Hier., VI Kal. Nov.;
vd. V Kal. Iun.; Pass. S. Gav., "Anal. Boll.",
78, 1960, pp. 325-327; Pass. SS. Gav. Prot. et Ian., in Motzo, La passione dei Santi Gavino, Proto e Gianuario cit., pp. 147-156,
pp. 147-156; Passio SS. Prot. et Jan., Acta SS., Oct. XI, pp. 562-564 (Arca); Pass. S. Saturn.
4-5, Acta SS., Oct. XIII, p. 306.
- Quadratus
(?): Martyr. Hier., XII Kal. Sept.
- Quintus
: Martyr. Hier., VI Kal. Iun.
- Regulus
: Martyr. Hier. (Ept.; Sen.),
- Rosula (?): Martyr. Hier., Id. Mai. (Cambr.,
Sen.)
- Sallustianus : Martyr. Hier., VI Kal. Iun.;
VI Id. Iun.
- Saturninus : Pass.
- Simplicius
: Martyr.
- Stiabilus
: Martyr. Hier., VI Kal. Iun. (Rich.).
[127] CIL X 1348*: s(ancti)s(simi) Raimundus et Pheli(p)pus confessores. Vd. anche CIL X 1263*: b(eatus) m(artyr) Iustinus conf(essor) .
[128] Vd. CIL
X 7781 = ELSard. p.
[131] CIL X 1170*, cfr. 1352*, vd. AA.VV, Domus
et carcer Sanctae Restitutae. Storia di un santuario rupestre a Cagliari, Cagliari 1988.
[132] Vd. L. Pani Ermini, Le sepolture in Sardegna dal IV al VII
secolo: stato delle conoscenze e prospettive di ricerca, in Le sepolture in Sardegna dal IV al VII
secolo, IV Convegno sull'archeologia tardoromana e medievale (Cuglieri, 27-28
giugno 1987) (Mediterraneo tardoantico e medievale, Scavi e ricerche, 8),
p. 28 n. 38; Ead., Un piccolo bronzo da Cornus raffigurante S.
Paolo, "Atti della Pontificia Accademia di Archeologia,
Rendiconti", LXI, 1988-89, pp. 3-25.
[133] Mastino, Cornus cit., pp. 165 ss. nrr. 88 ss.,
cfr. AE 1979, 318-322. Il nome della
Vergine, Maria, è d'altra parte
diffuso nell'epigrafia isolana, vd. CIL
X 7762-63 = Diehl
[137] GREG. M., Epist. IX,
197. Per un confronto, vd. ad es. CIL
X 8079 = Diehl 1192 (Leta presbitera, a Tropea in Calabria),
cfr. Grossi Gondi, Trattato cit., p. 153 e soprattutto G. Rossetti, Il matrimonio del clero nella società altomedievale, in XXIV Settimana di studio del Centro italiano
di studi sull'alto medioevo, Spoleto 1977, pp. 510 s.
[146] GREG. M., Epist. I, 46;
per Vitula di Sitifis, vd. DRACONT., Epithalamium Johannis et Vitulae, in Poetae Latini minores, ed. Baeherens, Leipzig 1914, vol. V, pp.
134 ss. Per l'identificazione, vd., ora Pani
Ermini,
[148] GREG. M., Epist. V, 2. Sulla denominazione, forse
connessa con il santo africano Agileus,
vd. Bonello Lai, Una Abbatissa cit., pp. 1052 s. n. 107.
[149] CIL X 1276*, cfr. ora Mureddu, Salvi, Stefani, Sancti innumerabiles cit., p. 76 e 112
n. 83; un testo analogo compare in un'epigrafe recentemente rinvenuta a Santu
Iorgi di Cabras, cfr. R. Zucca, Le formule deprecatorie nell'epigrafia
cristiana in Sardegna, in Le
sepolture in Sardegna dal IV al VII secolo, IV Convegno sull'archeologia
tardoromana e medievale (Cuglieri, 27-28 giugno 1987) (Mediterraneo
tardoantico e medievale, Scavi e ricerche, 8), pp. 211-214: si [quis] (h)anc sepultu[ram] ebertere
bolu[erit] (h)abeat parte(m) c[um] Iuda et lebra[m] G(iezi). Vd. anche CIL
X 1449*, per la sepoltura di Peon Geta
senex: si quis ipsum vexaverit ultor
erit Deus Israel in saeculum: un'espressione che potrebbe portarci ad un
ambito ebraico, cfr. ora Ruggeri, Sanna, L'epigrafia paleocristiana cit., in c.d.s.
[150] ILSard. I 302 = ELSard. p.
[152]CIL X 7972 = Diehl 3445 = Pani
Ermini, Marinone, Museo
Archeologico di Cagliari cit., pp. 35 s. nr. 47 = ELSard. p.
[153] Vd. F. Manconi, A. Mastino,
Optabam in manibus tuis anans spiritum dare: l'epitafio di Flauia Cyriace a Turris Libisonis, in L'Afrique,
[154] Per un inquadramento generale, vd. H.-I. Marrou, Problèmes généraux de l'onomastique chrétienne, in AA.VV., L’onomastique
Latine. Paris, 13-15 octobre 1975 (Colloques internationaux du Centre
National de
[155] Si ricordi la partecipazione del vescovo Quintasius al concilio antidonatista di Arles, vd. Alberti,
[157] Vd. M. Simonetti, L'incidenza dell'arianesimo nel rapporto tra
Romani e Barbari, in Il passaggio dal
mondo antico al medioevo. Da Teodosio a San Gregorio Magno, Roma 1980, p. 374.
[158] ILSard. I 93 = AE
1982, 427 = Diehl 2450 = Pani
Ermini, Marinone, Museo
Archeologico di Cagliari cit., p. 40 nr. 53 = ELSard. p. 630 add. A 93, vd. Bonello
Lai, Nuove proposte di lettura cit.,
pp. 199-201.
[160] Sull'esilio di 4000 ebrei in Sardegna, deciso da Tiberio nel 19,
vd. FLAV. JOS.,
[161] ILSard. I 4, cfr. A.
Mastino, Le relazioni tra Africa e
Sardegna in età romana, "Archivio Storico Sardo", XXXVIII, 1995,
p. 23 e n. 57; vd. anche ILSard. I 30
= Diehl
[162] R.D. Barnett, The Burials: a Survey and Analysis, in R.D. Barnett, C. Mendleson, Tharros. A Catalogue of Material in the British Museum from Phoenician
and other Tombs at Tharros - Sardinian, London 1987, p. 48 n. 111, vd. R. Zucca, Tharros, Oristano 19932, pp. 60 e 151.
[163] Vd. CIJ , Prolegomenon, I, p. 55 nr. 660 b = Mastino, Popolazione e classi sociali cit., pp. 67 ss. e p. 96 nr. 10 = Corda,
Considerazioni sulle epigrafi giudaiche cit.,
pp. 9 ss. nr. 6 = AE 1966, 175 =
1982, 437 = 1994, 793 (Anianus); CIJ , Prolegomenon, I, p. 55 nr.
[164] GREG. M., Epist. IV, 9 e
IX, 195, cfr. Pinna, Gregorio Magno cit., pp.. 63 ss. Da
Cagliari proviene una lucerna con menorah, vd. ora Corda, Considerazioni
sulle epigrafi giudaiche cit., pp. 13 s. nr. 9.
[165] A.M. Corda, Note di epigrafia dal territorio di Isili (Quaderni
di Epigrafia, Cattedra di Epigrafia Latina dell'Univ. deli studi di Cagliari,
2), Cagliari 1995, pp. 2 s. nr. 1; Id., Considerazioni
sulle epigrafi giudaiche cit., pp. 4 s. nr. 1, cfr. AE 1994, 792 (Iudaeus);
vd. anche ibid., p. 14 nr. 10
(lucerna dalla loc. Sa Idda con candelabro eptalicne).
[167] SIDON., Carm. V, 49. Gli
studiosi fissano generalmente l'inizio della dominazione vandalica in Sardegna
tra il 456 ed il 466-8, cfr. Meloni,
[168] PROCOP., Bell. Vand. II,
42-44; VICTOR VITENSIS, Historia
persecutionis Africanae provinciae sub Geiserico et Hunirico regibus
Wandalorum, in MGH, auct. ant.,
3,1 (Berlin 1879 = München 1981), I, 12-13; I, 51, ed. C. Halm; anche in CSEL,
VII, Vindobona 1881, pp. 7 e 22 s. ed. M. Petschenig,
vd. Chr. Courtois, Les Vandales et l'Afrique, Paris 1955, pp.
187 ss.
[170] Per l'origine sarda di Hilarus,
natione Sardus, ex patre Crispino, vd. Liber
Pontificalis, p. 242, ed. Duchesne
e Prolegomena, in PL 58, c. 9, cfr. Courtois,
Les Vandales cit., p. 187 n. 3.
[172] PROCOP., Bell. Vand. IV,
13, 41 ss.; i Barbaricini sono
ricordati nel
Per la localizzazione dei Mauri sulle montagne del Gerrei o
comunque della Barbagia e non nel Sulcis, come pure è stato supposto, vd. M. Bonello Lai, Sulla localizzazione delle sedi di Galillenses e Patulcenses Campani, «SS», XXV, 1978-80, pp. 34 s. n. 30, ora in
[173] Cfr. VICTOR VITENSIS, Historia
cit., II, 23, p. 18 ed. C. Halm e
p. 32 ed. M. Petschenig III, 20;
per l'esilio in Corsica, all'indomani del Concilio di Cartagine, di numerosi
vescovi destinati a lavorare nei cantieri navali (ut ligna profutura navibus dominicis incidatis), vd. ibid., p. 45 ed. C. Halm e p. 81 ed. M. Petschenig. Un precedente esilio di
vescovi, sacerdoti e diaconi, disposto da Genserico è ricordato ibid., I, 51, p. 22 ed. M. Petschenig.
In proposito, vd. anche E. Pais,
Storia della Sardegna e della Corsica
durante il dominio romano, Roma 1923, p. 205 e n. 2, che crede anche di
localizzare a Viniola in Sardegna l'exilium Vibianense o Vivianense o Vibionense di VICT. VIT., Historia cit., II, 45, p. 23 ed. C. Halm, cfr. p. 78 = p. 32 ed. M. Petschenig; in realtà si tratta di un
fraintendimento del Pais, vd. R. Zucca,
[174] Il numero di 220 vescovi (il numero complessivo deve forse
comprendere anche sacerdoti e monaci) è dato da BEDA, De temp. rat., Chron. a.
[176] Per Simmaco, vd. BEDA, De
temp. rat. chron. III pp. 306, 507; Lib.
Pontif. p. 260 ed. Duchesne;
infine Vita Alcimi Aviti, I (MGH, A.A. VI, 2, pp. 177 s.): Huius temporibus gravissima persecutio
Wandalorum ceterarumque gentium in Africa excanduit et Symmachus pontifex per
Africam et Sardiniam episcopis, qui in exilio erant, quingentis quinquaginta
pecunias et vestes ministravit; per il vescovo Primasio, vd. PS. FERR., Vita Fulgentii 24, cfr.
Isola, Vita di San Fulgenzio
cit., p. 99. Vd. M. Simonetti, Note
sulla «Vita Fulgentii», in Mélanges
offerts à B. De Gaiffier et F. Halkin, "Analecta Bollandiana",
100, 1982, pp. 277-289; S.T. Stevens,
The circle of bishop Fulgentius,
"Traditio", XXXVIII, 1982, pp. 327-341.
[177] CIL X 1383*, cfr. ora
ora Ruggeri, Sanna, Mommsen cit., pp.99 ss.; per
l’identificazione, vd. Pani Ermini,
[179] Pani Ermini, Contributo alla conoscenza del suburbio
cagliaritano cit., pp. 477-490; Ead.,
Il complesso martiriale di San Saturno,
in La "Civitas christiana". Urbanistica
delle città italiane tra tarda antichità e altomedioevo, Aspetti di archeologia
urbana, Atti del I Seminario di studio (Torino 1991) (Mediterraneo
tardoantico e medievale, Quaderni, 1), Torino 1992, pp. 55-81, anche in L.
Pani Ermini, P.G. Spanu, Aspetti
di archeologia urbana: ricerche nel suburbio orientale di Cagliari,
Oristano 1992, pp. 7-38.
[181] Cfr. E. Cau, Fulgenzio e la cultura scritta in Sardegna
agli inizi del VI secolo, «Sandalion», II, 1979, pp. 221 ss.; Id., Note e ipotesi sulla cultura in Sardegna nell'altomedioevo, in Atti del primo convegno internazionale di
studi geografico-storici «
[182] E' soprattutto la documentazione archeologica che evidenzia
l'importanza e la singolarità di quest'episodio, cfr. per tutti L. Pani Ermini, Antichità cristiana e alto medioevo in Sardegna attraverso le più
recenti scoperte archeologiche, in La
cultura in Italia fra tardo antico e alto medioevo. Atti del convegno CNR, Roma
12-16 novembre 1979, II, Roma 1981, pp. 903-911; vd. anche EAD.,
[183] Vd. A.M. Giuntella, Mensae e refrigerium a Cornus: i monumenti,
in Giuntella, Borghetti, Stiaffini,
Mensae e riti funerari in Sardegna. cit.,
pp. 17 ss.; N. Duval, Des installations pour banquets funéraires
dans
[184] Vd. R. Zucca, Forum Traiani alla luce delle nuove scoperte
archeologiche, in AA.VV., Il suburbio delle città in Sardegna:
presistenze e trasformazioni, Atti del III Convegno di studio sull'archeologia
tardoromana e altomedievale in Sardegna (Cuglieri, 28-29 giugno 1986)
(Mediterraneo tardoantico e medievale, Scavi e ricerche, 7), Taranto 1989, pp.
125-143.
[185] Vd. O. Lilliu, Il Martyrium di Sant'Antioco nel Sulcis, Cagliari 1986; L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Sant'Antioco. Le catacombe.
[186] Vd. F. Fois, Una nota su tre chiese vittorine del
Cagliaritano, "ASS", XXIX, 1964, pp. 278 -280; Mureddu, Stefani,La diffusione del mosaico funerario cit., pp. 344 ss.
[188] CIL X 1311*, cfr. Ruggeri, Sanna, Mommsen cit., pp. 91 ss.; cfr. già Mastino, Le relazioni
tra Africa e Sardegna cit., p. 24 n. 60a. Si rimanda anche all'epitafio
greco di un Maurit[---] (CIL X
1310*). Si ricordi per inciso l’attestazione di una cohors Maurorum et Afrorum a
Cagliari in CIL X 7600 = AE 1992, 870 (cfr. Y. Le Bohec,
[190] CIL X, 1298*, cfr. Ruggeri, Sanna, Mommsen cit., pp. 95 ss. Vd. anche Vd. M.M. Magalhães, C. A. Sertá, Mapalia,
lo spazio urbano e il nomadismo, in «L'Africa
Romana», X Oristano 1992, Sassari 1994, pp. 499 ss.; vd. anche M. Gaggiotti, Macellum e magalia: ricezione di elementi «culturali» di origine punica
in ambiente romano-repubblicano, in «L'Africa
romana», VII, 1989 (1990), pp. 773 ss.
[191] Restituta: CIL X 1170*,
1352*., vd. O. LILLIU, Un microcosmo
storico culturale: la grotta-santuario di Santa Restituta, in AA.VV, Domus et carcer Sanctae Restitutae. cit.,
pp. 59 ss.; vd. anche Restitutus CIL
X 1353* e 1476* (Marcus Restitutus, proc(urator) et praes(es) della provincia Sardinia), che però è sicuramente un
falso ottocentesco, vd. Mastino, Cornus cit., p. 18, n. 9; Mastino, Ruggeri, I falsi epigrafici cit., p. 240 e p. 266 nr. 2. Per Restutus, vd. CIL X 1119* e 1355*, in cui si ha un Restutus arch(iepi)sc(op)us
sanctae cara[litanae eccl]esiae.
Infine, per Restuta, vd. CIL X
1354*, cfr. Ruggeri, Sanna,
Mommsen cit., pp. 98 s.
[192] Conc. Sardin. a.
[196] VICT. VIT, Historia
cit., II, 44, p. 23 ed. C. Halm =
pp. 41 s. ed. M. Petschenig, cfr.
A. Pastorino, Osservazioni sulla Historia
persecutionis Africanae provinciae di
Vittore di Vita, in La storiografia
ecclesiastica nella tarda antichità, Atti del convegno (Erice, 3-8 dicembre
1978), Messina 1980, pp. 74 ss.
[197] Notitia provinciarum et
civitatum Africae, in VICT. VIT., Historia cit., p. 71 ed. C. Halm = pp. 133 s. ed. M. Petschenig. Vd. C.G. Mor, In tema di origini: vescovadi e giudicati in Sardegna, in Studi storici e giuridici in onore di
Antonio Era, Padova 1963, pp. 255-268.
[198] Il c.d. liber de fidei
catholicae, una sorta di professione di fede antiariana (VICT. VIT, Historia cit., pp. 49-71 ed. M. Petschenig), fu adottato, su proposta
del vescovo Eugenio «cum consensu omnium Africae, Mauritaniae et Sardiniae atque Corsicae
episcoporum et confessorum qui in catholica permanserunt fide» (GENNADII
MASSIL., De scriptoribus eccl. liber,
XCVII, in PL, 58, cc. 1116 B
[199] VICT. VIT, Historia
cit., III, 71, p. 107 ed. M. Petschenig,
cfr. Pastorino, Osservazioni sulla Historia
persecutionis cit., pp. 57 ss.
[200] La contabilità finale è fornita in appendice alla Notitia provinciarum et civitatum Africae: parteciparono al Concilio di Cartagine 466
vescovi, di cui 378 sopravvissuti e 88 deceduti (tra questi ultimi, 3 della
Proconsolare, 33 della Numidia, 32 della Cesariense; al conto mancano 20
vescovi); relegati in Corsica 46 (ma negli elenchi precedenti sono solo 28);
relegati in Africa 202; fuggitivi 28; 2 martiri, vd. in VICT. VIT, Historia cit., p. 134 ed. M. Petschenig. Le incongruenze del
testo sono esaminate da Chr. Courtois, Victor
de Vita et son œuvre, Alger 1954, p. 99.
[202] PROCOP., Vand. I, 11, 22-24; I, 24, 1-4; I, 24,19; I, 25, 10-26; II, 2,
23-27; II, 5, 1-4; cfr. BOSCOLO,
[204] DRACONT., Epithalamium
Johannis et Vitulae, in Poetae Latini
minores, ed. Baeherens,
Leipzig 1914, vol. V, pp. 134 ss., cfr. Lilliu,
Presenze barbariche cit., p. 565. Per
altri casi di immigrati africani in Sardegna, vd. Mastino, Le relazioni
tra Africa e Sardegna cit., pp. 20 ss. Per un commento del v. 47
dell'epitalamio: Sardoasque iuget (iuvet
?) rosulis Sitifensibus herbas, cfr. BOSCOLO,
[206] Vd. ora J. Durliat, Magister militum - Strathlavth" dans l'empire byzantin (VIe-VIIe siècle),
"Byzantinische Zeitschrift", 72, 1979, pp. 306-320.
[207] LEO SAPIENS, Orient. episc. not. PG 107 344 B; GEORG. CYPR., Descriptio orbis
Romani 684; vd. anche PROCOP., Bell.
Vand. IV, 13, 41 (Karanavlew" ejgguv"), cfr. Courtois, Les Vandales cit., pp. 188 s. Vd. inoltre P.M. Conti, Crusopolij, Parma e Fordongianus,
"Archivio Storico per le Province Parmensi", XXXVI, 1984, pp.
447-457; Zucca, Forum Traiani alla luce delle nuove scoperte
archeologiche cit., pp. 125 ss.
[208] Si veda ora R. Zucca, Africa romana e Sardegna romana alla luce di recenti studi archeologici,
in «Archivio Storico Sardo», XXXVIII
1995, p. 98.
[209] Vd. Spanu,
[211]
PROCOP.,
[213] A. Taramelli, Portotorres. Iscrizione bizantina rinvenuta
presso i ruderi delle antiche terme di Turris Libisonis proveniente da una
chiesa distrutta, "Notizie degli Scavi", 1931, pp. 111 ss.; B.R. Motzo, Barlumi dell'età bizantina in Sardegna, in Studi Cagliaritani di storia e filologia, Cagliari 1927, pp. 90 s.;
G. De Sanctis,
[217] Vd. F.
Villedieu, Turris Libisonis.
Fouille d'un site romain tardif à Porto Torres, Sardaigne (BAR
International Series, 224), Oxford 1984, p. 5.
[218] Vd. soprattutto ora Pani Ermini, Sulci dalla tarda antichità al medioevo cit., pp. 365-377 e Serra, Status quaestionis sul santuario cit., pp. 407-418.
[222] A. Guillou, La lunga età bizantina. Politica ed economia,
in AA.VV., Storia della Sardegna e del Sardi, I, Dalle origini all'età
bizantina, Milano 1988., pp. 350 ss.
[223] Vd. ad esempio i magnifici nobiles
ac possessores in Sardinia insula consistentes ricordati in una lettera di
Gregorio Magno (GREG. M., Epist. IV,
23).
[227] GREG. M., Epist. IV, 9: «episcoporum etiam concilia sicut tam tuae
mos dicitur fuisse provinciae ... bis in anno celebrare te volumus».
[231] Conc. Later. a. 649, Mansi, Sacrorum
Conciliorum nova et amplissima collectio cit., X,
[232] L.P(ani) E(rmini), Cornus
(Senafer), Sulci e Tharros, in Actes du XIe Congrès International d'Archéologie chrétienne, 21-28
septembre 1986 (Coll.EFR, 123), Roma 1989, pp. 133 ss.; A.M. G(iuntella), Porto Torres, ibid., pp. 136 s.; A.M.
Giuntella, L. Pani Ermini,
Complesso episcopale e città nella Sardegna tardoromana e altomedievale, in
Il suburbio delle città in Sardegna: presistenze
e trasformazioni, Atti del III Convegno di studio sull'archeologia tardoromana
e altomedievale in Sardegna (Cuglieri, 28-29 giugno 1986) (Mediterraneo
tardoantico e medievale, Scavi e ricerche, 7), Taranto 1989, pp. 63-88.
[233] CIL X 7533 = Casini, Le iscrizioni sarde cit., pp. 311 s. nr. 6. Vd. ora Turtas, La diocesi di Sulci cit., pp. 146-170.
[238] GREG. M.,Epist. IV, 9: episcopi baptizandos infantes signare in frontibus bis chrismate non
praesumant, sed presbiteri baptizandos tangant in pectore, ut episcopi postmodum
tangere debeant in fronte.
[240] Si è già osservato che lo stesso Lucifero veniva considerato
scismatico da Ambrogio (Lucifer enim se a
nostra tunc temporis communione diviserat); a maggior ragione era ritenuto
scismatico il vescovo, seguace di Lucifero, conosciuto dal fratello Satiro
probabilmente in Sardegna, comunque in una regione nella quale operava una
chiesa in schismate, vd. De excessu fratis sui Satyri, I, 43-
[241] Vd. Manconi, Mastino,
Optabam in manibus tuis anans spiritum dare cit., pp. 823 ss. = AE 1994, 796. Vd. anche CIL X 7914 = Diehl 3400 = AE 1982, 430 = ELSard. p.
[242] Vd. peregrinorum fautor in CIL X
7995 (San Simplicio, Olbia), cfr. Grossi
Gondi, Trattato cit., pp. 132
s.
[243] AE 1990, 446, cfr. Pani Ermini, Iscrizioni cristiane inedite di S. Saturno cit., pp. 2-9 nr. 1; G. Sotgiu, in ELSard., pp. 586 s. B 38; Cosentino,
Gaudiosus «draconarius» cit., pp. 3 ss.
[244] Vd. Del Chicca, Per una valutazione della personalità
linguistico-stilistica di Lucifero cit., pp. 455 ss.
[246] SYMM. PAPAE, Epist. X,
in PL 62. col. 68 (Roma mihi testis est, et scrinia testimonium
perhibent, utrum a fide catholica, quam in sede beati apostoli Petri veniens ex
paganitate suscepi, aliqua ex parte deviaverim), cfr. Rowland,
The Christianization of Sardinia cit.,
p. 31; A. Mastino, A proposito di continuità culturale nella
Sardegna romana, "Quaderni sardi di storia", 3, 1981-83, p. 214.
[247] Vd. E. Pais, Storia della Sardegna e Corsica durante il
dominio romano, II, Roma 1923, pp. 585 ss.
[249] Cfr. M. Pittau, Gereonticidio, eutanasia e infanticidio
nella Sardegna antica, in «L'Africa
Romana», VIII, 1990 (1991), pp. 703-711.
[250] Cfr. G. Paulis, Le "ghiande marine" e l'erba del
riso sardonico negli autori greco-romani e nella tradizione dialettale sarda,
"Quaderni di semantica", I, 1993, pp. 9-23.
[251] ARIST.,
Phys. IV, 11, 1, 218 b 24; SOLIN., I, 61; TERTULL., De anima 49,2; PHILOP. in Arist.
phys. IV, 11, 218 b 23; 219 31; SIMPL., in Arist. Phys. IV, 11 218 b 21; THEM. in Arist. phys. IV, 11, 1, cfr. M. Perra,
[252] SOLIN. IV, 6-7; PRISC., Periheg. 466-469; ISID., Orig. XIII, 13, 10; XIV, 6, 40, cfr. Perra,
[254] GREG. M., Epist. IV, 27
(dum enim Barbaricini omnes ut insensata
animalia vivant, Deum verum nesciant, ligna autem et lapides adorent...);
vd. anche IV, 23, 20 (vos veri Dei
cultores a commissis vobis lapides adorari conspicitis).
[255] SOL. I, 101: feminas nasci
quae bitiae vocantur: has in oculis pupillas geminas habere et perimere visu si
forte quem iratae aspexerint, cfr. PLIN., N.H. VII, 16.
[256] Vd. R. Caprara, Due «tabellae defixionis» (della collezione
Cabras di Orosei), in AA.VV., Sardegna
centro-orientale dal neolitico alla fine del mondo antico, Sassari 1978,
pp. 153 s. = ELSard. p. 639 B 128-129; Gasperini, Ricerche epigrafiche in Sardegna, II, cit., p. 323 nr. 11 = AE 1992, 911 («località ignota», ma Nulvi).
[261] E' stata ormai abbandonata la tesi che sia stato Fulgenzio a
portare con sé a Cagliari la salma di S. Agostino (BEDA, De temp. rat. chron. III, p. 521, 593; vd. PAUL. DIAC., Hist. Lang. VI, 48); cfr. P. Siniscalco, Agostino, l'Africa e