N° 1 - Maggio 2002 - Tradizione - Lavori in corso - Didattica

 

 

Intorno alla storia delle Università medievali(*)

 

di Luisa Bussi

 

 

(*) Lezione destinata agli studenti di Storia del Diritto Italiano del corso di laurea in Scienze Giuridiche (2001-2002) della Università di Sassari

 

 

Sommario:


All'origine delle Università. 1

La rinascita del secolo XII 2

Le artes mechanicae. 3

Abelardo e il metodo del sic et non. 3

Il sorgere e i caratteri della scuola di Bologna. 3

La funzione dell'Università. 3

Metodi di studio e forme letterarie. 3

L'organizzazione dell’Università. 3

Il Rettore. 3

Non solo Bologna. 3

I collegia. 3

 

 

All'origine delle Università

         Nel XII secolo si verifica un evento destinato a caratterizzare fortemente l’Europa tutta: la nascita dell’Università. Con essa sorse e si affermò sia una organizzazione tesa a fornire l’insegnamento superiore, sia un metodo che caratterizzò tale insegnamento, sia - e ciò riguarda in particolare lo studio del diritto - un nuovo contenuto. Ai due poli intorno ai quali si articolava sin qui il pensiero medievale, il regnum e il sacerdotium, si affianca ora lo studium.

Il Makdisi[1] ha rilevato ben diciotto affinità sostanziali fra il modello occidentale di organizzazione della trasmissione del sapere e quello islamico[2]. Anche per questo studioso, tuttavia, mentre i collegia deriverebbero dal modello islamico[3], l'Università come tale sarebbe un grande prodotto dell'Occidente cristiano del XII secolo, non solo per quanto riguarda la sua organizzazione, ma anche per i privilegi e la protezione che ricevette dal potere politico e da quello religioso. Se questa tesi è generalmente condivisa[4], la stessa cosa non si può dire circa le cause che avrebbero determinato un fenomeno tanto peculiare. Questo è campo ove l'ottica personale dello storico guida le sue conclusioni storiografiche. Secondo la storia comparata del Meiner[5], l'origine dell'Università si collegava illuministicamente all'incessante spinta dello spirito umano verso la conoscenza. L'autore enfatizzava l'importanza di una educazione teorica e scientifica rispetto ad una educazione tesa alla pratica, e cercava di contrastare la politica – nihil sub sole novi – tesa a trasformare le Università in scuole professionali, anche se di alta specializzazione. Così egli spiegava la nascita delle Università con la crescita numerica di professori indipendenti e la vittoriosa lotta degli studenti, sempre più consapevoli della propria importanza, e intenzionati a ottenere il riconoscimento di diritti e privilegi loro propri. Insomma il Meiner era convinto che ben lungi dall'essere un prodotto della società, l'Università, al contrario, avesse avuto un ruolo importante nel formarla.

Diametralmente opposta la visione marxiana: secondo il Marxismo gli istituti di educazione superiore sarebbero quelli cui è deputata la funzione di mantenere il ruolo della classe dominante[6], e si collegherebbe a questa necessità anche l’origine della Università medievale.

A questa concezione si sono opposti vari studiosi. Grundman, ad esempio, sostiene che il sorgere delle Università fu sì favorito dallo sviluppo economico e sociale, va sì visto in relazione con il fiorire dei commerci e con l'indotto delle Crociate, ma che non questi o simili elementi furono determinanti, bensì l'interesse scientifico, lo stimolo a imparare e conoscere, in una parola  l'amor sciendi[7].

Tale tesi è stata successivamente condivisa da molti studiosi, o quanto meno ha fornito argomento di discussione. Il Classen, ad esempio, ne ha corretto l' originaria portata sostenendo che all'amore per lo studio andrebbero affiancate, con eguale efficacia causale, anche la ricerca di uffici e di fama[8]. Mentre poi Cobban e Esch[9] danno maggior peso alle esigenze della emergente classe di governo ecclesiastica e laica, Le Goff[10] punta l'accento sul processo di emancipazione delle Università dalle pressioni sociali. Per il Bellomo, invece, avrebbe giocato un ruolo fondamentale la decadenza delle scuole monastiche e la richiesta di nuovi modelli teorici, più congrui e suscettibili di dare una qualificazione giuridica a quanto accadeva in città[11]. Il Rüegg, recentemente, ha individuato in sette punti le fondamenta dell'Università medievale: 1)la fede in un ordine cosmico, creato da Dio, dotato di razionalità, quindi accessibile all'umana ragione; 2) una concezione dell'uomo come essere imperfetto, derivante dalla idea giudaico-cristiana della caduta (donde un forte criticismo intellettuale); 3) il rispetto per l'uomo quale creatura di Dio (per questa via, al criticismo sopraccennato si accompagnerebbe anche il graduale affrancamento della verità scientifica dalla verità di fede); 4) il precisarsi della specificità della verità scientifica e del connesso divieto di tornare sulle verità già dimostrate (principio di autorità); 5) il divenire tratto caratteristico dell' Università un relativamente scarso interesse nei confronti del significato economico del sapere scientifico, cui si accompagna il riconoscimento di tale sapere come pubblico bene; 6) l'ammettere che tale sapere possa crescere e migliorare, pur nel rispetto del principio di autorità; 7) l'uguaglianza e la solidarietà fra gli studenti, in contrasto con il carattere gerarchico e cetuale della società medievale[12].

 

 

La rinascita del secolo XII

 Per il Cassandro, la nascita dell’Università si inserisce nel movimento europeo di rinnovamento culturale che, secondo una fortunata espressione dell’Haskins[13], si suole definire come "Rinascenza del secolo XII" Egli sostiene che questo movimento in tanto si potè realizzare in quanto mutò il rapporto tra la cultura medievale e la cultura classica: sempre l’Europa sembra rinnovarsi recuperando il proprio passato, e trovare, riflettendo su di esso, l'impulso per un successivo balzo in avanti. Sta di fatto che si stabilisce un nuovo legame tra la cultura antico - pagana e quella cristiano - medievale, al punto che si può parlare di un “umanesimo” o “preumanesimo” di Chartres[14].

Sino a questo momento il bagaglio sapienziale del mondo antico era sopravvissuto nei monasteri (Umberto Eco lo ha rievocato molto suggestivamente ne “Il nome della Rosa”), per trasferirsi poi - e si tratta già della porta attraverso la quale entra il futuro - in città, all’ombra delle grandi cattedrali[15].

Ve n’è una che può, per la sua fama e importanza nella storia della cultura, essere assunta a modello delle altre, ed è Chartres, dalla quale il Gilson prende le mosse per ricostruire la filosofia del tempo[16]. A Chartres fioriva una scuola già nei primissimi anni del secolo XI e vi insegnava Fulberto, morto nel 1026, discepolo di quel Gerberto d’Aurillac che fu elevato al soglio di S. Pietro con il nome di Silvestro II.

E’ qui che alza la sua vela sant’Ivo, meglio noto come Ivo di Chartres, autore di opere che preparano la consolidazione del diritto canonico, e poi Guglielmo di Conches, Gilberto de la Porrée e infine  quel Giovanni di Salisbury che muore vescovo di Chartres nel declinare del secolo, e cioè nell’anno 1180.

A sua volta, il Salisbury è un personaggio emblematico, un vero clericus vagans. Nato in Inghilterra tra il 1110 e il 1115, studia anche in Francia, ma torna in patria al seguito dell’arcivescovo di Canterbury, Thomas Beckett. Lo accompagna nell’esilio e, dopo la sua tragica fine, viene nominato da Luigi il Giovane vescovo di Chartres. Il Salisbury raccomanda di leggere, leggere molto, e unisce all' ampia cultura classica anche nozioni di diritto. E’ in una sua opera, il Metalogicon, che si legge un passo giustamente ritenuto particolarmente significativo per comprendere la Weltanschauung che guidava il rapporto con il mondo antico, e il concetto di progresso che era proprio del dotto medievale:

"Fruitur tamen etas nostra beneficio precedentis, et sepe plura novit non suo quidem precedens ingenio, sed innitens viribus alienis et opulenta patrum. Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes, ut possim plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea"[17].

Noi - dice il passo - siamo come nani seduti sulle spalle di giganti. Vediamo perciò più cose degli antichi e più lontano, non a cagione della acutezza della nostra vista o della nostra statura, ma perchè siamo sollevati in alto e ci gioviamo della loro gigantesca grandezza. Il Cassandro vi legge soprattutto l'articolata idea di progresso del secolo XII[18]: un'idea fortemente improntata in senso cristiano e dunque comprendente una raffigurazione parabolica della la storia, con un acme coincidente con l' Incarnazione di Cristo, e una fine, prefigurata dalla visione profetica dell'Apocalisse. Un tale atteggiamento mentale avrebbe favorito una cultura fatta di recupero e riflessione delle opere del passato, seppur destinata, grazie ai suoi stessi progressi, a ribaltarsi nello slancio orgoglioso del Rinascimento. Se questa interpretazione pare condivisibile, è pur vero che nel passo si può leggere anche l'affacciarsi  dello spirito scientifico, inteso come rapporto consapevole e dichiarato dell'avanzamento della conoscenza con le basi fornite dagli studi precedenti.

La formazione culturale partiva dallo studio delle “arti”[19]. Quelle liberali – come quelle cosiddette mechanicae - erano sette, numero denso di contenuti simbolici. Numero perfetto, anzi, perché comprensivo del quattro, indicativo della concretezza, in ultima analisi del mondo terreno, e del tre, numero dello spirito[20]. E tre per l’appunto erano le arti del trivio cosiddette sermocinales, cioè grammatica retorica e dialettica, laddove quelle del quadrivio erano aritmetica, geometria, musica e astronomia. E’ cosa certa che lo studio del diritto era stato perseguito nei secoli precedenti nell’ambito di queste arti, segnatamente nell’ambito della retorica, i legami con la quale erano già assai stretti nella cultura greca e in quella romana. Quello studio dunque non era mai venuto meno del tutto: l'expositor ad librum papiensem  riconduce le teorie allegate un paio di volte a causidici e tutte le altre volte a iudices. Anche in Pier Damiani ricompaiono queste due categorie come portatrici di conoscenze specifiche, e lo stesso può dirsi della Glossa Coloniense[21]

 

 

Le artes mechanicae

Non bisogna dimenticare, però, che nonostante la damnatio di cui fu fatto segno dall'Illuminismo, il Medioevo compì grandi progressi anche nelle cosiddette artes mechanicae. Non è un caso se Ugo di S, Vittore, nel Didascalicon (1096-1141), concepì una classificazione del sapere che attribuì a tali arti altrettanto valore di quello riconosciuto alle arti liberali. Anche le artes mechanicae  non potevano che essere sette. Tre arti erano volte a studiare ciò che era al di fuori del corpo umano: 1) la prima era la tessitura; 2) la seconda comprendeva ogni sorta di artigianato, e dunque la meccanica, la metallurgia, l'architettura; 3) la terza era la nautica, la quale includeva anche il commercio. Quattro arti, invece, avevano a che fare con il corpo umano: ed erano l'agricoltura, la caccia, la medicina, il teatro.

         Ma mentre le arti liberali venivano considerate attinenti alla parte libera dell'uomo, le altre venivano riguardate come attività relative alla sua parte non libera, dunque come attività servili, artes serviles[22]. Solo la medicina venne a godere della stessa dignità delle arti liberali, anzi ne insidiò il primato: nel preambolo degli statuti della facoltà di medicina di Montpellier (1239) essa venne paragonata a una stella che di quelle arti illuminava il firmamento[23]. Una visione inutilmente contrastata da Petrarca[24]: Coluccio Salutati dovette  fare ricorso ad Averroè per affermare la superiorità della Giurisprudenza sulla Medicina.

         Va peraltro detto che le arti meccaniche rimasero appannaggio di corporazioni chiuse, laddove le Università si distinsero per il notevole grado di apertura e di eguaglianza, tanto più sorprendente se rapportato al carattere gerarchico e cetuale della società medievale. Ciò fu probabilmente dovuto - nota il Rüegg - all'obiettivo manifestamente occupazionale delle arti meccaniche, opposto alla nobiltà di quelle liberali[25].

In questo senso anche la giurisprudenza, però, si poneva su un crinale: Cortese rileva come per la prima volta il centro della cultura si trovava in una scienza anche pratica e non solo teorica. Una scienza, per di più, di cui, come rileva Santarelli, si pongono le basi per affermare la mutevolezza: auctor iuris homo, justitiae deus[26] .

In effetti vi è una forte tendenza a ritenere (così ad esempio da parte di Astuti, Caravale, in un certo senso anche Cortese) che la rinascita del diritto romano sia un fatto spontaneo accentuatosi negli ultimi decenni del sec. XI, e che l'esigenza di conoscerne i testi originali fosse venuta crescendo di pari passo con l'attenzione[27]. A Bologna come in altre città, s'infittiscono le testimonianze su iudices, causidici, sapientes, legum docti, si avverte la necessità di rinnovare i vecchi formulari notarili. E’ probabile che il nuovo successo del diritto romano sia favorito - come hanno rilevato l'Astuti e più di recente il Caravale - dalla sua capacità di offrire una disciplina concretamente utile alla regolamentazione dei rapporti economici della società, in particolare del dominio[28]. Tuttavia aveva probabilmente ragione Cassandro nel ricordare che non rinasce il diritto romano come tale, giacchè esso non aveva mai cessato di essere applicato, non solo come diritto personale dei Romani vinti, ma anche come diritto conservato dal clero[29], e ciò che “rinasce” in realtà è la scienza giuridica. Sta di fatto che si manifesta una propensione alla speculazione teorica specificamente giuridica, e ciò che appare insegnato a Bologna è lo studio di una tale teoria, sebbene questa venga presto ad essere utilizzata anche nella pratica .

 

 

 Abelardo e il  metodo del sic et non

Come si studiava? Ebbene, noi possediamo una straordinaria testimonianza del tempo, che è anche un affascinante quanto inquietante spaccato della grandezza e della miseria dell’animo di un gigante della filosofia. Vogliamo qui accennare alla Historia calamitatum di Abelardo di Bath (1079-1142), notissimo per il suo metodo del sic et non[30] e per la drammatica storia d’amore che lo lega all'allieva Eloisa, storia che ora gode di un relativo successo su Internet. Ad essa si riferisce un epistolario, al quale è stata restituita credibilità dal Gilson[31]: Abelardo vi descrive ad un amico le sue disgrazie, e comincia con il raccontare come si era procurata quella fama di grande dialettico che avrebbe costituito, tra l'altro, la causa del suo incontro con Eloisa. Come egli avesse aperto una propria scuola a Melun nonostante l’opposizione del suo maestro, poi,  tornato presso di lui, lo avesse costretto a rinunciare alla sua teoria degli universali, guadagnando così straordinaria autorità lui stesso e la sua teoria, al punto da essere chiamato ad insegnare a Parigi. Ma il passo per noi più significativo è forse quello ove si legge dell’interesse per gli studi della teologia, e della affermazione di Abelardo essere il proprio metodo il più adatto all’indagine scientifica; onde la sfida lanciatagli dai colleghi, che gli affidano un oscuro passo delle Scritture perchè egli mostri cosa ne sa dire di lì a ventiquattro ore. Il filosofo ci offre qui uno spaccato della vita di queste “scuole” medievali che ci mostra, oltre alla metastorica tendenza alla rivalità fra dotti, anche il ruolo che assume un indirizzo autenticamente scientifico: perchè Abelardo è molto chiaro sul fatto di essersi rivolto al testo affidatogli per ingenium, vale a dire utilizzando il proprio metodo di indagine, che consiste nel severo, attento esercizio del contrappunto della dialettica. Un metodo spregiudicato, che al momento appare – ed è – scandalosamente innovativo, eppure parte da un presupposto in qualche modo estraneo alla mentalità scientifica del nostro tempo: la mente umana non si librava nel vuoto, ma poggiava sulle solide basi di una verità data, la verità di un libro. L’uomo del ventunesimo secolo non può forse comprendere nella sua giusta valenza il portato di questa presenza, che non costituiva affatto un limite alla creatività dell’intelletto, giacchè questo, come ha dimostrato Goedel[32], non può costruire nessun sistema logico se non partendo da presupposti estranei al sistema stesso. Orbene, questi presupposti, nello studio del problema dell’essere, come nello studio del diritto, erano costituiti da un libro, il libro della Rivelazione, nel caso della teologia, la compilazione giustinianea nel caso dello studio del diritto.

 

 

Il sorgere e i caratteri  della scuola di Bologna

E’ in questo solco che germoglia la pianta più singolare e caratteristica fra quelle di questa specie: vale a dire lo studio scientifico del diritto, col conseguente precisarsi di una scienza giuridica autonoma e di un ceto di giuristi. Per questo si distinse Bologna.

Accade che dalla logica, ch’era dominio del trivio, si dirama una specifica logica giuridica, che secondo Cortese[33]  tende ad influenzare la filosofia e ne viene in un secondo tempo influenzata.

         Ce ne parlano alcune fonti che, nel fornirci qualche notizia sul sorgere della scuola anzidetta, non mancano di porci ulteriori complessi interrogativi. La prima di tali fonti è una cronaca lasciataci da Burcardo di Biberach, che era prevosto della abbazia di Ursperg:

"Huius temporibus magister Gratianus canones et decreta, quae variis libris erant dispersa, in unum opus compilavit adiungensque eis interdum auctoritates sanctorum patrum secundum convenientes sententias opus suum satis rationabiliter distinxit. Eisdem quoque temporibus dominus Wernerius libros legum, qui dudum neglecti fuerant nec quisquam in eis studuerat, ad petitionem Mathildae comitissae renovavit et secundum quod olim a divae recordationis imperatore Iustiniano compilati fuerant, paucis forte verbis alicubi interpositis, eos distinxit. In quibus continetur instituta prefati imperatoris, quasi principium et introductio iuris civilis; edicta quoque pretorum et aedilium curulium, quae rationem et firmitatem prestant iuri civili, haec in libro Pandectarum, videlicet in Digestis continentur; additur quoque his liber Codicis, in quo imperatorum statuta describuntur; quartus quoque liber est Autenticorum, quem prefatus Iustinianus ad suppletionem et correctionem legum imperialium superaddidit" [34].

La collocazione temporale cui rinvia il passo è un poco approssimativa. I tempi potrebbero essere quelli di Corrado II,  addicendosi sia ad Irnerio (sebbene Irnerio non sia vissuto oltre il 1130), sia a Graziano (benché questi scriva il suo Decretum ben oltre tale data). La contessa Matilde muore dieci anni prima della morte di Lotario II. Da un biografo di Matilde risulterebbe - unica fonte - che nel 1111 ella sarebbe stata nominata vicario imperiale, e questa sua condizione ella avrebbe mantenuto sino alla sua morte, dunque sino al 1115. Il Cencetti - seguendo il Gaudenzi - volle trarre da tali elementi conseguenze decisive: la petitio matildica sarebbe stata un vero e proprio incarico di natura pubblica. Un tale incarico veniva di conseguenza posto all'origine stessa dell'Università di Bologna.

         Questo modo di vedere è venuto meno per le critiche del De Vergottini[35], e ormai dai più si ritiene che il formarsi dell'Università derivò da un moto spontaneo di docenti e discenti. In particolare, il Cortese propende a credere che il renovavit della cronaca di Burcardo alluderebbe a un invito a preparare una sorta di edizione critica: opinione non tanto difficilmente condivisibile come sembrava ritenere Savigny, tenuto conto dello stato precario in cui materialmente dovevano trovarsi testi di così lontana compilazione e di così incerta tradizione[36]. Primo intento di Irnerio e dei suoi allievi dovette infatti essere la cosiddetta “consolidazione del testo”. La compilazione giustinianea venne ricostruita nella sua integrità e ad essa si rivolse  la meticolosa attenzione con la quale venivano interpretate le auctoritates dei Santi Padri.

Una memoria dell' improvviso interesse per i testi giustinianei è presente in Odofredo il quale, a proposito della definizione di ius civile fornita dal Digesto, ricorda l'insegnamento di Irnerio e il modo in cui tale insegnamento si sarebbe affermato, partendo da una scuola di arti liberali, che egli dice essere stata già presente a Bologna, e dalla traslazione dei libri legales che, secondo la sua testimonianza, sarebbero stati portati da Roma[37] a Ravenna, e di qui a Bologna:

"Signori, dominus Yr. qui fuit apud nos lucerna iuris: id est primus qui docuit in civitate ista in artibus: nam primo cepit studium esse in civitate ista in artibus et cum studium esset destructum Rome libri legales fuerunt deportati ad civitatem Ravenne et de ravenna ad civitatem istam: quidam dominus Pepo cepit autoritate sua legere in legibus tamen quicquid fuerit de scientia sua nullius nominis fuit. sed dominus Yr. dum doceret in artibus in civitate ista cum fuerunt deportati libri legales cepit per se studere in libris nostris, et studendo cepit docere in legibus: et ipse fuit maximi nominis et fuit primus illuminator scientie nostre: et quia primus fuit qui fecit glosas in libris nostris vocamus eum lucernam iuris"[38].

Il passo ha una forma colloquiale, legata con ogni probabilità all'uso di far trascrivere le lezioni, non di rado secondo le indicazioni dello stesso magister. Potrebbe essere quindi una lectura reportata. Ovvero potrebbe essere stato lo stesso Odofredo a scriverla riproducendo lo schema della lectura[39].

Che Irnerio abbia insegnato arti liberali, come vuole Odofredo, sembrerebbe del tutto logico. Ma non v'è alcuna evidenza storica dell'esistenza di una scuola di arti liberali a Bologna. Assolutamente isolata è la fonte in cui Irnerio compare come magister, titolo che competeva ai magistri in artibus[40]. Certamente intorno all'episcopio vi doveva essere una scuola di ars dictaminis e una cerchia di canonici che vi studiava. Che Irnerio possa essere uscito da una tale scuola è ipotesi che piace a Cortese[41]. Ma più ancora gli piace un' altra ipotesi, cioè che Irnerio possa invece essersi formato in una scuola di arti notarili[42]. In tali scuole si insegnava a redigere gli atti, e quindi i diversi tipi di documento, con tutte le cautele possibili. In un altro passo di Odofredo si allude a un formulario notarile che sarebbe stato scritto da Irnerio: al quale il Fitting ha ritenuto in effetti di poter attribuire un formulario notarile di cui sono state trovate le tracce. Benché l'attribuzione sia stata successivamente messa in dubbio, la formula dell'enfiteusi che Odofredo e Accursio riconoscono essere di Irnerio, coincide con l'incipit di tale formulario. Vi sono tracce documentate di Irnerio iudex o causidicus[43].

L'idea - cui Odofredo allude anche altrove - che i libri legales sarebbero giunti da Ravenna - è tanto più interessante in quanto la littera pisana è ormai comunemente attribuita[44] a una officina scrittoria ravennate, in grande espansione all'inizio del VII secolo[45]. Pepo, o Pepone, è personaggio interessante, anche se ne è rimasto poco più del nome. A lui, nel 1190, ci si riferisce come a un clarum Bononiensium lumen: sappiamo che si presentò alla corte dell'Imperatore Enrico IV come una autorità in diritto romano[46]. Doveva essere molto conosciuto, se ancora a distanza di circa un secolo Radulfus Niger, un inglese che scrive fra il 1179 e il 1189, ne apprezzava il pensiero addirittura ponendolo in risalto rispetto allo stesso Irnerio. Odofredo lo liquida come nullius nominis. Tuttavia non può egli stesso - parlando della attività di Pepone- non qualificarla come scientia. Si potrebbe pensare che egli fosse un esempio di quel legame stretto fra attività didattica e attività forense che – pur nell’oscurità che tuttora circonda le scuole alto-medievali sembra al Cortese aver caratterizzato il periodo precedente il sorgere dell'insegnamento bolognese[47].

         A stare a quanto dice Odofredo la differenza qualitativa fra Pepone e Irnerio, si radica peraltro in questo, che il primo avrebbe studiato per se, laddove Irnerio studendo cepit docere: merita di essere notata questa circostanza, perchè ci dice che alle origini della scuola di Bologna, alle origini cioè del rinnovamento degli studi superiori, v’è una unione (rimasta nonostante tutto sino ad oggi indissolubile), di ricerca e insegnamento[48]. E' appunto in questa luce che risulta essere più interessante la differenza che, proprio riguardo a Pepone sussiste fra ciò che ne dice Odofredo e ciò che ne dice Rodolfo il Nero.

Questi pone la figura di Pepone in grande risalto:

"Cum igitur a magistro Peppone velut aurora surgente iuris civilis renasceretur initium, et postmodum propagante magistro Warnerio iuris disciplinam religioso [s]cemate traheretur ad curiam Romanam, et in aliquibus partibus terrarum expanderetur in multa veneratione et munditia, ceperunt leges esse in honore simul et desiderio, adeo ut occideretur Amon, abrogato pravo ritu iudiciorum in plerisque partibus terrarum. Sed et quamquam ab initio displicerent iura principibus, quia vetustas consuetudines erasissent, tandem tamen ecclesia procurante et propagante eorum scientiam, usque ad principes produxerunt eorum notitiam, et apud eos invenit eis gratiam. Procedente vero tempore, aucto numero legis peritorum inpinguatus est dilectus, et recalcitravit in tantum ut legis doctores appellarentur domini, indigne ferentes appellari doctores vel magistri. Sed et in multis partibus orbis legis periti, vel potius picati legibus, parum docti, habundante cesarie, que eos gravaret, legum questu subito ditati et insolentes facti, fecerunt sibi currus et equites et 50 viros qui precederent eos, ad diversa genera questuum et ad consolationem rerum transitoriarum. Et mane consurgens Absalon: hoc est in brevi, postquam admissum est ius civile, surrexit ordo legis peritorum vel potius legis picatorum, et stabat iuxta introitum porte ad impediendum viam morum. Stabat laborans gratia questus temporalium, vel ignorans subtilitatem legum, et ideo nocens. Stabat iuxta introitum porte, et non in porta veritatis et via iustitiae. In causis enim emergentibus non intuentur veritatem amore divino, sed suam tantum venerantur utilitatem in omni iudicio"[49].

Va notato il titolo di dominus, che era proprio dei nobili, e che qui viene attribuito ai doctores: esso è verosimilmente connesso con la giurisdizione che essi esercitavano sugli allievi, ma forse anche con la loro ascesa sociale. Rodolfo il Nero ci attesta anche la resistenza opposta dai governanti alla diffusione della nuova scienza, la quale era suscettibile di inficiare l’autorità delle antiche consuetudini. Nello stesso tempo ci attesta anche l’importanza che ebbe in tale diffusione la Chiesa, la qual cosa scombina non poco la concezione tradizionale di un diritto romano proprio dell’Impero, in opposizione dialettica (e non solo) al diritto canonico, proprio della Chiesa.

E’ inoltre interessante la condanna della strumentalizzazione economica e sociale della scienza. Assume rilievo a questo riguardo il fatto che Rodolfo il Nero era un teologo. Egli si fa ancora portatore del punto di vista secondo il quale la sapienza appartiene a Dio e dovrebbe essere elargita gratuitamente come gratuitamente Dio la elargisce agli uomini. Non è ancora ben visto che il giurista, come il filosofo, tragga un utile dalla propria conoscenza scientifica. Di qui lo scandalo di Rodolfo il Nero, che del nuovo ceto descrive invece la grande arroganza. Il passo di Assalonne viene tratto dalla Bibbia, dove Assalonne, che è figlio di Davide, imita la regalità del padre facendosi un cocchio e un seguito di cinquanta uomini. L’immagine serve qui a descrivere la vanità dei giuristi, l’esorbitanza dei loro guadagni, l'ostentazione del numero degli studenti da cui essi si fanno seguire, come i nobili dal loro seguito. Non manca una certa condanna del formalismo della scienza giuridica, che impedisce la strada alle buone consuetudini: Tuttavia, se questi aspetti della nuova scienza vengono decisamente condannati, sono invece palesemente condivise le motivazioni che secondo questo teologo avrebbero presieduto tanto alla promozione del diritto romano da parte della Chiesa, quanto al suo progressivo successo: la necessità di abrogare il pravus ritus iudiciorum, e cioè la soluzione delle controversie intersoggettive tramite il ricorso alle ordalie, al duello, alla faida, a favore di procedimenti giurisdizionali che il diritto romano aiutava a individuare[50].

 

 

La funzione dell'Università

Sin dal principio la scuola di Bologna fu caratterizzata da una fama che oscurò quelle delle scuole che l'avevano preceduta[51]. Essa si faceva forte della costituzione Habita, concessa  dall’imperatore Federico Barbarossa nel 1155 a favore degli studenti bolognesi (vi torneremo fra poco), e della partecipazione dei dottori bolognesi alla dieta di Roncaglia del 1158, cioè la Dieta in cui lo stesso Imperatore, proprio grazie al loro consiglio, rivendicò alla corona le regalie e condannò le conventiculae e le coniurationes contrarie alla pace pubblica. Ma soprattutto si avvalse della più brillante campagna pubblicitaria che si possa portare ad esempio: il diritto giustinianeo venne presentato come un corpo di norme capace di porsi al di là del piano della mutevolezza in virtù dell’auctoritas che i giuristi gli riconoscevano, e in pari tempo questa stessa auctoritas venne a qualificare coloro i quali nello studio di quel diritto venivano riconosciuti maestri, e le loro opiniones. Presto - come rilevarono Bussi ed Engelman già negli anni '30 - queste opiniones vennero considerate a loro volta così autorevoli che su di esse si andò indirizzando l’analisi dei nuovi interpreti. I quali, di conseguenza, finivano con il trascurare il testo della raccolta imperiale per studiare la Glossa di Accursio o i commenti di Bartolo[52].

          Questo elemento risponde in parte al quesito che si pone a molti studiosi: cosa si aspettavano gli studenti dall'Università?

         La risposta che la storiografia tradizionale ha proposto per questa domanda è: l'apprendimento del diritto dell'Impero. Ma il corso di studi, gli esami, i gradi accademici non erano direttamente orientati a introdurre ad alcuna occupazione se non all'insegnamento stesso. La licentia ubique docendi non conferiva se non il diritto formale ad insegnare, sciogliendosi dalla guida di un maestro. Certo, i docenti universitari costituirono presto una forte corporazione, con un proprio status; una élite, secondo la testimonianza di Rodolfo il Nero[53]. Essi venivano chiamati a fornire pareri autorevoli circa questioni importanti, venivano nominati come ambasciatori, come mediatori o arbitri nelle controversie fra città e città, fra signore e signore, collaboravano alla stesura degli statuti, e presto non vi fu giudice che si sottraesse ai loro consilia[54].

         Il problema si lega, senza identificarvisi, con quello, speculare, di cosa si aspettavano le autorità dalle Università. Colpisce, infatti, che i re di Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo, Boemia, Polonia, Ungheria, seguiti da duchi e conti, nei territori da loro dominati, fecero a gara per fondare e proteggere i centri di studio universitari[55]. Anche se essi giustificavano i propri provvedimenti con la sollecitudine nei confronti dei giovani e delle loro necessità (come chiarisce Federico II in occasione della fondazione della Università di Napoli), è verosimile che essi si aspettassero un adeguato sostegno intellettuale al consolidamento del loro potere avverso la forza centrifuga della nobiltà[56]. E’ un fatto che – come affiora abbastanza chiaramente dalla stessa evoluzione del concetto di sovranità - sono i giuristi a trarre dallo studio del diritto romano il mantello splendente che del superanus medievale, titolare di tanti diritti quanti gliene derivano dai suoi dominia e dai rapporti feudali istituiti con i suoi vassalli, farà il sovrano in senso moderno, titolare di un unico potere di impero sui sudditi[57].

 

 

Metodi di studio e forme letterarie

         Forma letteraria principale e strumento di indagine fu la glossa: già usata in passato per spiegare singoli verba o interi passi e collocata fra le righe o ai margini dei testi giuridici. La scuola tende così a un tempo alla ricostruzione integrale del testo giustinianeo e alla sua interpretazione, e lega in maniera inscindibile lezione ed esegesi giuridica, ricerca e insegnamento, sciogliendo lo studio del diritto da quello delle arti liberali, efacendone un’ arte autonoma. Con Irnerio cominciò anche, consentito dalla grande padronanza del testo che anche i suoi allievi dimostrano di possedere, il richiamo ai testi paralleli della compilazione giustinianea, nella manifesta intenzione di pervenire non solo alla interpretazione di singoli verba, ma alla ricostruzione della disciplina degli istituti. Una intenzione, questa, che la storiografioa meno recente riteneva si fosse affacciato non prima dei Commentatori.

         L’opera esegetica e didattica proseguì con intensità e impegno per tutto il secolo XII cucendo ai margini del testo giustinianeo il dibattito su temi di forte attualità. Il risultato fu che si stabilì una corrispondenza convenzionale fra certi passi della compilazione giustinianea e certi temi cari al dibattito giuridico[58]. Nelle centinaia di manoscritti superstiti, troviamo glosse di innumerevoli maestri (Martino, Bulgaro, Rogerio, Alberico di Porta Ravennate, Enrico da Baila, Piacentino, Pillio, Giovanni Bassiano, Guglielmo da Cambriano, Azzone, Ugolino dei Presbiteri, Iacopo Baldovini, Carlo di Tocco, Benedetto da Isernia, Roffredo Beneventano e altri. Le glosse sono scritte nella scuola e per la scuola. A volte l’aggregazione di aggiunte successive ha dato luogo a “strati” che sono riconducibili a un reticolo composto da molte glosse: il Bellomo chiama “reticolo didattico” l’insieme dei frammenti orali documentati, e perciò superstiti, di un corso di lezioni. L’apparatus sarebbe invece il risultato di un ordine che un giurista ha assegnato a determinate glosse, scritte ex novo per l’occasione, o selezionate fra quelle preesistenti[59].

         Tra il terzo e il quarto decennio del secolo XIII Accursio[60] si assunse il compito di un bilancio dell’attività esegetica, passando al vaglio il materiale che col tempo si era venuto accumulando, e producendo un apparato che risultò composto di 96000 glosse. L’opera riscosse un immediato successo e in molti manoscritti accompagnò da allora il testo giustinianeo, racchiudendolo in una sorta di abbraccio esegetico, che venne indicato come Magna Glossa o Glossa ordinaria.  Dalla metà del sec. XV questa venne costantemente pubblicata, insieme al testo giustinianeo, nelle edizioni a stampa del Corpus Juris.

         Intanto, però, la giurisprudenza aveva cominciato a rivolgere la sua attenzione anche ad altri ambiti di indagine, aprendosi allo studio del diritto canonico, del diritto feudale, del diritto statutario. Del diritto feudale, proprio a uno studente bolognese viene attribuita l’iniziativa grazie alla quale viene raccolto il materiale normativo. A Oberto dall’Orto si deve così (negli ultimi decenni del sec. XII) una raccolta di consuetudini feudali, poi ripresa da Jacopo Ardizzone, e infine da Accursio (con glossa di Jacopo Colombi): si tratta dei cd. Libri feudorum (due libri, divisi in titoli) i quali vengono aggiunti alla decima collatio del volumen[61] insieme con alcune costituzioni imperiali. Poco studiato a Bologna, quanto meno nei primi tempi, al diritto feudale si prestava viceversa grande attenzione nella vicina Modena, ove secondo Santini già prima di Pillio esisteva una scuola di diritto aperta a influenze canonistiche e feudali[62]

         Insieme alla Glossa altri generi letterari si vennero evolvendo. Essi sono stati di recente distinti dal Cortese in due raggruppamenti. Il primo sarebbe quello dei generi di tipo esegetico: come lecturae, repetitiones, commenta, casus; il secondo, di tipo espositivo-sistematico  comprenderebbe le summae titulorum e le summulae su temi particolari. Si fecero summae del Codice (oltre alla famosa summa trecensis si conoscono quella di  Rogerio, Piacentino, e, massima fra tutte, di Azzone); delle Istituzioni (Piacentino e ancora Azzone); dei Libri feudorum (Pillio, Jacopo Colombi, Jacopo Ardizzone); dell’Authenticum (Giovanni Bassiano).

         Lo studio del diritto romano non fu esclusivo del centro bolognese, né in quest’ultimo si insegnò solo diritto. Vi fu una diffusione impressionante dell’interesse per la nuova scienza in tutta Europa, e molti altri centri di studio superiore si aprirono a imitazione di quello Bolognese, alcuni grandi, alcuni minori[63].  E vi fu un accorrere a Bologna di studenti da ogni parte d’Europa così come un muoversi di docenti con un intensissimo interscambio culturale.

         Frutto di questo scambio sarà infatti la virata della scuola di Bologna verso tecniche interpretative che faranno proprio il suggerimento  orleanese di un uso più insistito della dialettica, e di un maggiore distacco dal testo giustinianeo.

 

L'organizzazione dell’Università

Dunque accadeva che la fama guadagnata da taluno per il suo insegnamento invitasse molti ad udirlo e a imitarne l’esempio, per cui i discepoli si staccavano dal maestro per formare una scuola a sè stante.

         La mobilità del sec. XII è un fenomeno ben noto che riguarda cavalieri, mercanti, pellegrini. E' un'epoca di grandi viaggi, favoriti dalla adesione di molti studiosi alla vita clericale e dalla non invasività delle istituzioni così ben delineata dal Bussi nella sua "Evoluzione storica dei tipi di Stato" e più di recente nell'Ordine giuridico medievale del Grossi[64]: lo Stato (il termine stesso, se applicato al periodo in esame va inteso in una accezione diversa da quella comune alla moderna pubblicistica)  non è ora altro che il personale dominio del Principe, e come tale viene amministrato. Restano al di fuori di questa amministrazione molte funzioni oggi ritenute squisitamente sovrane, come per l'appunto la normazione in tema di rapporti fra  privati e di istruzione. Tali funzioni possono essere quindi assolte dai privati con i propri mezzi,  e in questo quadro lo spazio della dottrina è alto e ampio[65].

Si va dunque dove il maestro ha fama. Con esso, lo studente contratta un onorario - collecta[66] - per la lezione. Altre collectae saranno dovute anche per l'eventuale alloggio (pro pensione, pro bancis) e per il bidello. Alcuni si fermano solo il tempo che serve a mettere le piume[67]. 

Movendosi si perde la protezione della propria città o del proprio signore, e se non si è chierici non si può usufruire di quella fornita dallo status clericale. La Storti Storchi ricorda che, oltrechè limitato dal territorio, il diritto proprio della civitas  di arrivo esercitava la sua forza coercitiva solo sulle persone soggette all'ordinamento territoriale che l'aveva promulgato[68].

L'anonimo autore del Carmen Frederici I ci informa di come, in viaggio per Roma ove doveva essere incoronato, l'Imperatore avesse ricevuto gli studenti che chiedevano di essere garantiti ut nemo studium exercere volentes impediat stantes nec euntes nec redeuntes[69]. Con la costituzione promulgata in quella occasione la famosa costituzione Habita (1115)[70], l'imperatore:  a) concesse a professori e studenti di diritto il privilegio della sicurezza di movimento e di residenza in ogni sede "universitaria"; b) professando compassione per chi spendeva  la sua vita e le sue sostanze e affrontava mille rischi per seguire la via della scienza, pose studenti e docenti sotto la sua diretta protezione; nessuno studente poteva essere molestato o privato dei suoi beni per rappresaglia nei confronti della sua città di appartenenza, a pena di dover rimborsare i quadruplo  e,  per i magistrati, di essere radiato dall'ufficio; c) la giurisdizione sugli scolari poteva essere esercitata, a scelta degli stessi, dai loro propri maestri o dalla corte vescovile[71]. Così, da un lato, fu esteso agli studenti laici il privilegio di foro che era proprio dei chierici; dall’altro, le persone degli studenti e dei professori, prevalentemente estranee al diritto territoriale di Bologna, venivano a trovarsi sotto la tuitio imperiale. Probabilmente la costituzione servì anche a escludere la responsabilità solidale dei docenti per i debiti dei loro scolari[72]. 

Ecco che fra il professore e i suoi allievi si forma una comitiva (in questo Bellomo si stacca dalla precedente visione del Cencetti e da quella del Calasso che vi vedevano una societas)[73]: una comunità di amici e compagni sulla quale il magister ha la giurisdizione come il dominus sulla sua famiglia[74]. Il maestro chiama gli allievi socii mei e quelli lo chiamano dominus: un rapporto che richiama alla mente una gerarchia e, insieme, l'assunzione di un onere di protezione. Non sappiamo se le comitivae già attorno al 1160-1170 si siano chiamate universitates né se il termine universitas sia stato adoperato al singolare per indicare l'insieme di tutte le comitivae. L’articolazione del mondo degli studi non è uniforme: generalmente, però, esso parte dalla schola, che è sistemata nella stessa casa del maestro. Il dominus della casa è generalmente anche il doctor che regge la scuola (ma Piacentino è alloggiato presso i Da Castello, Alberico di Porta Ravennate presso un edificio del Comune).

         Certo, la crescita del fenomeno porta alla sua modificazione. Nei decenni centrali del sec. XII, attorno e dentro ogni scuola si formano delle associazioni. Per quanto concerne gli scholares, gli allievi di una scuola cominciano a legarsi e distinguersi in consortia, fraternitates, communitates tese al raggiungimento di fini specifici. Uno di questi fini poteva essere, ad esempio, il poter disporre di un libro: bisogna tener presente che per un codice, come ricorda Bellomo[75], erano necessarie le pelli di almeno cento pecore, dunque si trattava di un oggetto costoso, fuori della portata delle tasche dei più[76]. Ma soprattutto ci si univa per gestire i rapporti con il maestro. La tendenza a non terminare la spiegazione del libro pattuito, o a sorvolare sulle parti difficili, poichè i maestri erano pagati in ragione delle lezioni impartite, portò alla punctatio librorum: il maestro dovette obbligarsi, cioè, a non tralasciare le parti specificamente concordate.

         Talvolta il fattore aggregante è la provenienza geografica degli studenti, che allora si distinguono per nationes. Così si ebbe a Padova, a Bologna e altrove una fitta rete di corporazioni nazionali nelle quali si raccolsero gli Italiani, i Provenzali, i Francesi, i Tedeschi. Tali unioni di studenti, nella convergenza di interessi scientifici ed economici, a fronte dei professori e del comune di Bologna, viene designata con il nome di universitas, un termine destinato ad avere successo. L'universitas finisce presto con il prevalere sulla comitiva, che ai tempi di Azzone designa ormai il gruppo degli studenti più vicini al maestro. La struttura, variamente atteggiata, che queste universitates si dettero, tipizzò l’ordinamento universitario fino alla Rivoluzione Francese.

L'universitas, è dunque, in un certo modo, un frutto della tendenza associativa del tempo, la stessa che presiede all’affermazione del Comune[77]: l'unione per il perseguimento di uno scopo, nella garanzia della pace interna e della difesa dai pericoli esterni. Col nome di Università, infatti, non si voleva intendere nè che i suoi componenti erano in possesso di tutto il patrimonio dello scibile, nè quell’aspetto che venne successivamente indicato nell'altro modo con cui vennero chiamate le Università, cioè studium generale. Con quest’ultima espressione si voleva intendere sia che convenivano a studiare nell’Università studenti da ogni paese, sia che i titoli che tali studia conferivano erano riconosciuti ovunque. Il termine universitas riflette invece proprio il fenomeno corporativo che sottende alla organizzazione degli studi. Si poteva trattare di una corporazione di professori, come a Parigi, ovvero di una corporazione di studenti, come a Bologna: sta di fatto che le Università, come ebbe a notare già il Pertile, si diedero degli statuti, i quali erano compilati a nome dell’Università da giunte elettive senza che fosse necessaria la conferma da parte dell’Università tutta[78]. I Comuni nei quali vennero addensandosi le Università non reagirono in modo uniforme: generalmente intravvedendo i vantaggi derivanti dalla presenza della nuova istituzione, o cercarono di trattenere gli scolari col minacciare pene a chi si allontanava; oppure li allettarono con privilegi di varia natura. In quest’ultimo caso gli studenti ottennero vari privilegi: esenzioni fiscali, il diritto di portare le armi, libertà di gioco, esenzione dal servizio militare, esenzione dalle rappresaglie, diritto d'asilo nelle Università e nei Collegi, esclusione dalla pena della prigione per debiti. Non solo: molti Comuni tennero aperte le proprie casse per quei mutui di cui gli scolari spesso avevano bisogno, specialmente per acquistare i manoscritti. Una certa spinta evolutiva la dovette dare il Comune di Bologna, allorché (1182) volle obbligare i professori a prestare giuramento di non insegnare altrove. Di certo, sulla organizzazione interna si sa che entro la fine del secolo si svolgevano libere elezioni dei rettori delle Università da parte degli studenti. Come ricorda il Rossi[79], vi si opponevano i maestri i quali, a cominciare da Giovanni Bassiano e dallo stesso Azzone, rivendicavano a sè tale diritto, a somiglianza di quanto facevano i maestri delle corporazioni di mestiere che si andavano allargando in città. Nella vicina Modena, il breve di Onorio III assoggetta gli studenti alla giurisdizione vescovile.

 

 

Il Rettore

         A Bologna si distinguono una universitas citramontanorum, e una universitas ultramontanorum, rispettivamente formate dagli studenti provenienti di qua o di là delle Alpi. Sono rette ciascuna da un rector. Il rettore è uno studente con qualche anno di vita studentesca, eletto dagli studenti forestieri[80], secondo un uso che durò a Padova sino al 1644, e a Pavia sino al 1808, quando Napoleone volle a capo della Università un professore. Il Rettore doveva avere non meno di ventidue anni, essere di natali legittimi, avere buona fama, e possibilmente essere dotato di beni propri, perché non mancavano le spese per le festività. Egli aveva un abito particolare, presiedeva il Consiglio delle nazioni e il Tribunale universitario. Attivo fin da prima del 1190, conduceva anche le trattative con le autorità del comune civitatis. 

Con l’affermarsi della carica del rettore il privilegio del foro è ormai sancito, pur se è dubbio in quale misura vi fosse compresa o no la giurisdizione criminale. Va ricordato che ad essa avevano rinunciato i maestri: è tradizione che la rinuncia alla giurisdizione criminale sia stata fatta da questi ultimi all'epoca di Azzone, in occasione della grossa lite che oppose fra loro Lombardi e Toschi[81]. Il declino della giurisdizione dottorale  a favore di quella rettorale si verifica subito, e da Bologna si estende presto anche alle altre Università[82].

Inoltre, la giurisdizione del Rettore riguarda, come è comprensibile, solo gli studenti stranieri. Alla fine del secolo  s'incominciano a incontrare i primi atti giudiziari, e le prime sentenze rettorali che ci siano pervenute. Si tratta di una giurisdizione di cui evidentemente si possono tracciare i profili solo a partire dagli statuti che ci sono pervenuti. Essa comprende generalmente le cause civili e quelle penali di minor conto[83]. A Bologna, la competenza del Rettore è indeclinabile, anche da parte degli ecclesiastici, è inappellabile, e può giungere a comminare la privazione del commodum universitatis come pena unica e massima  applicata anche ai non scolari. Come il podestà del Comune, il rettore era sottoposto al sindacato da parte dei capi delle nazioni, oppure dei capi dei due corpi dei citramontani e degli ultramontani, che rappresentarono per più secoli l'organismo unitario delle nostre Università.

 

Non solo Bologna

Il successo di Bologna  non deve far dimenticare gli altri centri di studio che fiorirono numerosi in Italia e altrove. Alcune Università non fecero altro, nella redazione dei loro primi Statuti, che trascrivere quelli bolognesi, altre, come Firenze e Perugia, li rielaborarono: Firenze nel 1387 ammette che il Rettore sia competente anche per i levia delicta e cioè ubicumque arma non intervenerint. A Parma, il rettore è associato al podestà nella cognizione criminale degli Studenti, mentre a Pisa, nel 1487, al foro rettorale sono espressamente attribuite le cause penali non punibili con la morte o con la rescissione di un membro.

Altre Università, infine, seguirono strade completamente diverse. In Sicilia, Federico II offrì la sua protezione agli studenti che avrebbero frequentato lo Studium  di Napoli, vietando al contempo a chiunque di lasciare il Regno per insegnare o studiare altrove, con la minaccia di punire i parenti di chi non fosse tornato per il giorno di S. Michele, il 29 Settembre. Anche qui, gli studenti erano soggetti alla giurisdizione dei loro magistri, seppur solo per le cause civili, come a Montpellier. Veniva anche stabilito che il prezzo degli alloggi (hospitia) potesse essere fissato da una commissione mista di studenti e proprietari. Una differenza assai marcata, infine, fra l'Università di Napoli e le altre, consisteva nel fatto che le autorità ecclesiastiche non avevano alcun potere né per il reclutamento dei docenti, né per il conferimento della licentia docendi,  né infine per l'esercizio del potere giurisdizionale[84]. In diverse occasioni (1226, 1234, 1239) Federico II ripetutamente invitò docenti e scolari della scuola di Bologna, italiani o ultramontani, a lasciare Bologna e recarsi a Napoli, evidentemente desideroso di formare una élite capace di fare da supporto al suo trono. Non a caso, egli affermò che il suo trono si giovava tanto della forza della legge quanto della forza delle armi[85].

Modello assai diverso da quello bolognese segue per altro verso anche la scuola di Parigi, ove, sin dal principio, i maestri ebbero l'assoluta supremazia della corporazione. L'Università di Parigi, che venne alla luce pressocchè nello stesso tempo di quella di Bologna, si sviluppa come differenziazione dalle tradizionali scuole ecclesiastiche che erano attive a Parigi intorno alla fine del XI secolo, e la principale delle quali era quella del capitolo di Notre Dame. L'Università è qui il frutto di una iniziativa di maestri privati indipendenti, i quali derivano la loro licencia docendi dal cancelliere di Notre Dame[86]. La nascita dell'Università di Parigi vede i maestri  costituirsi in corporazione,  dotarsi di statuti, cooptare i colleghi, ed eludere il controllo del cancelliere di Notre Dame. La cosa non avvenne senza dissidi con la cattedrale. Tali dissidi furono composti dall'intervento del re di Francia e dal Papa come arbitri: il re concesse agli studenti i privilegi di cui godevano i chierici (1200); il Papa garantì all'Università i suoi primi statuti (1215 e 1231). Anche nei rispettivi indirizzi Bologna e Parigi furono molto diverse. L'Università parigina divenne, con Innocenzo III e Gregorio IX, quasi una istituzione ecclesiastica. Onorio II ne bandì l'insegnamento del diritto romano, sicchè essa rimase il crogiuolo ove si chiarificava la voce ufficiale della Chiesa nelle questioni riguardanti la fede e la dottrina.

         Ma vi sono anche Università che nascono dalla volontà del comune di dotarsi di un'Università. Cosi, ad esempio, l'Università di Vercelli. In questo caso, il comune invia fideles ambaxiatores juratos affinché  prendano contatto con Omobono per indurlo a recarsi a insegnare costì. Il comune si impegna al pagamento delle lezioni, mentre l'ammontare viene determinato da due studenti e due cittadini[87]. Percorso simile compie anche Pisa, ove torna alla luce l’antichissima littera pisana delle pandette. A Oxford uno studio compare già a partire dal XII secolo. In Francia il fenomeno non si limita al fiorire di Parigi e di Montpellier, ma vede anche Toulouse, e Orléans, per la quale cinque bolle di Clemente V, suo antico allievo, organizzano lo studium generale[88]. In Spagna sorgono  Palencia e Lérida. In Italia, Modena, Reggio, Padova, contendono il primato di Bologna. La maggior parte di queste scuole nasce spontaneamente e spontaneamente lo studente vi entra. Questo dato non viene contraddetto dal fatto che anche le più antiche a un certo punto (Montpellier 1289, Bologna 1291, Parigi 1292) ricevettero dal Papa la conferma della loro qualità di studium generale. Oxford non ricevette mai un tale riconoscimento ma non ne soffrì. Talvolta la scuola nasce per gemmazione di una scuola precedente: Oxford deve la sua nascita ad una migrazione di studenti parigini; Cambridge a studenti venuti da Oxford. Padova è figlia di Bologna, Parigi è madre di Colonia e Colonia di Lovanio[89].  Nei primi decenni del XII secolo solo le scuole di Bologna  fra loro concorrenti, sono famose, tra la fine del secolo e l’inizio del successivo, sono molte quelle che aspirano ad accogliere gli studenti e vi riescono. Le origini dell'Università di Erfurt sono particolari: alla fine del XII secolo le scuole conventuali di quel tempo avevano un ruolo decisivo nella educazione dei giovani pur non essendovi ammessi i laici. Più di 1000 studenti assistevano ai corsi. Ognuna delle scuole aveva un magister scholarum. L'insegnamento equivaleva a quello delle arti delle altre Università. Verso la metà del XIII secolo, queste scuole si raggruppano sotto la direzione di un rector superior, il raggruppamento viene chiamato studium generale e in una supplica a Urbano V (1362-1363) tesa a ottenerne il riconoscimento, il suo direttore si qualifica come Rector superior studii generalis et solemnioris Alamanniae artium Erfordensis.

 

 

I collegia

Come abbiamo visto, verso la fine del XII secolo la comitiva comincia a perdere spessore perchè gli studenti di varie comitivae e di diverse  scholae si aggregano in nuove organizzazioni che prendono il nome di nationes o universitates. Le linee di sviluppo si divaricano lungo due direttrici: da un lato il modello bolognese, dall’altro quello parigino. Il modello parigino comporta l'associazione dei magistri che si riuniscono anch’essi in collegia: vi sono quelli dei civilisti, dei canonisti, dei medici, degli artisti.

A Bologna prevale la componente studentesca che dapprima si attesta nelle nationes e rapidamente prende corpo e forma in associazioni più ampie che vengono chiamate universitates. A Bologna si distinguono quelle degli ultramontani e dei citramontani, comprendente, quest’ultima, le quattro nationes degli Italiani: Lombardi, Toscani, Romani, Campani;

Ma collegia sono chiamati anche gli ostelli sorti per ovviare alla penuria di alloggi. Tutte le città universitarie (Oxford, Avignone, Parigi, Bologna, Tolosa) hanno visto svilupparsi numerosi collegi, (halls, aulae in Inghilterra, bursale in Germania). Quello fondato a Parigi dal cappellano di Saint-Louis è uno dei più celebri (1257). Talvolta sono le nazioni stesse che fondano un collegio. Si ebbero così a Parigi il collegio degli Inglesi, quello degli Scozzesi e quello dei Lombardi. A Bologna il collegio Reggiano e il collegio di Spagna.  A Padova i collegi dei Tedeschi, dei Dalmati, dei Francesi, degli Armeni. Normalmente i collegi avevano una regola interna che si imponeva ai suoi utenti.

Funzioni importanti per la vita universitaria restano attribuite anche a personaggi che all’Università non appartengono, come il Vescovo o l’Arcidiacono: una bolla di Onorio III, del 1219, affida all’arcidiacono di Bologna il compito di attribuire ai candidati meritevoli le insegne dottorali. L’esame del merito così sdoppia: dapprima vi è un esame privato (la privata) che si svolge in sacrestia, di cui sono responsabili i professori (il collegium) poi l’esame pubblico (pubblica, conventus) nella cattedrale, che era una cerimonia solenne e assai costosa[90]. L'esame collegiale dei docenti, teso ad ottenere il dottorato, diventa il nucleo intorno al quale si cristallizza la comunità dei dottori[91]. Esso serve anche da presupposto per la cooptazione del circolo dei professori[92]. La corporazione dei legisti era così potente a Bologna che solo  nel 1288 gli studenti di medicina ottennero di godere degli stessi privilegi. A Parigi, nel 1213 il Cancelliere formula la Magna Charta dell'Università, la quale viene poi incorporata nella Bolla Parens scientiarum di papa Gregorio IX. Con la quale si confermò l'obbligo del Cancelliere di ottenere il voto dei professori in tutte quelle decisioni che riguardavano l'insegnamento della teologia e del diritto canonico.

A Reggio è il commune civitatis che vuole ordinare studium e stabilisce le modalità secondo le quali gli studenti si dovevano distribuire fra le scuole già esistenti[93]. Ma l’intervento proveniente dall’esterno dell’Universtà è raro. E’ più frequente che siano gli stessi capi delle universitates, i Rectores, studenti di più matura esperienza, a mettere alla prova la forza della Universitas sia nei confronti dei professori, soprattutto per quanto concerneva l’electio della scuola da frequentare o da evitare, sia nei confronti degli stationarii peciarum o stationarii exempla tenentes, che sono quelli specializzati nella copiatura dei testi.

A Parigi, è caratteristico il fatto che sono compresi in un unico ordinamento i tre elementi che a Bologna compaiono invece separati: studenti, professori e cancelliere con poteri di governo. Questo tipo di struttura tende a prevalere anche in Italia a mano a mano che dalle Università scholarium si passa all’Università scholarum; nel ‘400 è questa la struttura prevalente, e la troviamo a Perugia, Firenze, Pavia, Catania e fuori d’Italia a Praga (1348), Pecs, Heidelberg (1386), Tolosa, Salamanca.

         Anche a Bologna, l'intervento del Comune si sviluppa per gradi, assorbendo pian piano i compiti che erano stati della Universitas scholarium. I maestri che erano scelti dagli studenti vengono dapprima stipendiati dal Comune, poi nominati dallo stesso. Alla metà del XVI secolo, il processo è pressocchè compiuto. Ma un mutamento veramente significativo fu il sorgere di una magistratura specifica: quella dei "Riformatori dello Studio", organo creato fra il 1349 e il 1384. Si trattò di un organo amministrativo e tecnico, emanazione degli anziani, con funzione di controllo e di governo in vista dell' applicazione e osservanza delle leggi che regolano lo studio, così come della compilazione e redazione annuale dei rotuli dei lettori e del controllo effettivo delle loro eventuali inadempienze.

         Pur mostrando una evidente tendenza ad essere fagocitata dal potere pubblico, l’Università non perde tuttavia la sua caratteristica autonomia fin quasi all’età contemporanea.  Attaccata dall’affermarsi dello Stato accentrato, la soppressione di tale autonomia diviene un fatto compiuto con la Rivoluzione Francese, quando l’Assemblea Costituente sopprime le corporazioni degli insegnanti. Fondando nel 1806 l’Università imperiale, Napoleone I afferma il monopolio statale del sistema educativo[94].

         Mentre in Europa, in seguito a tale riforma, le Università mutavano la loro intima costituzione, le nostre antiche istituzioni universitarie dall'Inghilterra venivano trasportate in America, dove i collegi universitari si costituivano sul modello che era stato proprio delle nostre Università medievali[95].

 



[1]G. MAKDISI, The Rise of Colleges, Institutions of Learning in Islam and the West, Edinburgh 1981, p.287 e ss.; cfr W. Rüegg, Themes, in A history of the University in Europe, (a cura di H. De Ridder-Symoens), Cambridge 1992, p. XIX e ss.

[2] La differenza è marcata dal fatto che il termine djmi'a, che designa ufficialmente le Università moderne, non entra in uso prima del XIX secolo, come traduzione letterale di Università (la radice è la stessa di djama'a, unire). Tradizionalmente il centro di insegnamento superiore (madrasa) si sviluppa a fianco della Moschea, soprattutto per inculcare negli allievi la conoscenza dei testi sacri. Dunque il punto di partenza è costituito dall'apprendere a memoria il Corano, seguito dallo studio degli ahadîth, cioè le tradizioni dei detti o fatti di Maometto, con il quale, essendo egli il suggello dei profeti, cessa la produzione legislativa. Lo studio della parte di Legge Sacra che attiene alle attività esterne equivale allo studio del diritto (fiqh). La maggior dottrina che veniva riconosciuta a taluni maestri, fece sì che intorno ad essi si adunassero persone intente a raccoglierne gli insegnamenti. In questa guisa si formarono dei gruppi, che in favore del loro madhhab (letteralmente via, passaggio, ma poi anche sistema, scuola) invocarono l'autorità dei loro maestri. Anche nel mondo arabo si assiste al fenomeno delle migrazioni degli studenti alla ricerca di dotti insegnanti. I primi circoli si formarono nelle moschee, poi nelle case del maestro. In tema vedi E. BUSSI, Principi di diritto musulmano, Milano 1943, p. 34; J. PEDERSEN [G. MAKDISI], voce Madrasa, in Enciclopédie de l'Islam, vol. V (1985), p. 1119; C. Baffoni, L’apporto della civiltà classica e araba alla cultura europea del Medioevo, in Le Università dell’Europa. La nascita delle Università (a cura di G.P. Brizzi e J. Verger), Milano 1990, p. 53 e ss.

[3] Molto presto, il mondo islamico comprese l'importanza della trasmissione del sapere e ne fece una scienza: il tahammul al-'ilm . I circoli si formavano spontaneamente. Nel Khorâssân  certi istituti offrivano alloggio agli studenti partiti da diversi punti dell'impero musulmano Da qui nacque la medersa, che di tali circoli fu una sistematizzazione. Infatti nel XI secolo il visir selgiuchide Nizâmalmuk creò un waqf , cioè una fondazione destinata a sovvenzionare una medersa; e così a Bagdad fu fondata la Nizamiyya. Ciò che l'insegnamento guadagnò in stabilità, perse però in libertà di azione e di pensiero, perchè i professori furono nominati dall'autorità fondatrice, e i programmi vennero definiti dalla stessa. M. AZIZA, Oriente e Occidente: tra il minareto e la cattedrale all'inizio c'è Bologna, in Saecularia nona, 4, 24

[4] J. VERGER, Patterns, in A History, cit. , p. 35.

[5] C. MEINER, über die Verfassung und Verwaltung der deutschen Universitäten, Göttingen 1802 (= Aalen 1973).

[6] Sul punto W. PRAHL, Sozialgeschichte der Universität, Münich 1978, p. 13.

[7] H. GRUNDMANN, Vom Ursprung der Universität im Mittelalter, Darmstadt, 1957, p. 36-39.

[8] P. CLASSEN, Studium und Gesellschaft im Mittelalter, Stuttgart, 1983, p. 25.

[9] A. B. COBBAN, The Medieval Universities, 1975, p. 8; A. ESCH, Die Anfänge der Universität im Mittelalter, Rektoratrede Universität Bern, Bern, 1985, p. 8 ss.

[10] J. LE GOFF, Les universités et les pouvoirs publics au Moyen Age et à la Renaissance, in Rapports du XIIe congrès international des sciences historiques, III, Vienna  1965,  p. 189.

[11]M. BELLOMO, Saggio sull’Università nell’età del diritto comune,  p. 14. Il Bellomo pensa soprattutto a Bologna, che viene assunta a modello delle altre Università medievali.

[12] Rüegg, Themes, cit., p. 30 e ss.

[13] C.H. Haskins, The Renaissance of the 12th Century, tr. it. La rinascenza del dodicesimo secolo, Bologna 1972.

[14] G. CASSANDRO,  Lezioni di diritto comune,  Napoli 1971, p. 16.

[15] Vedi HASKINS, op. cit., p. 47.

[16] GILSON, La filosofia del Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, tr. it., Firenze 1983=1973, p. 313.

[17] Ioannis Saresberiensis, Metalogicon, lib. III, cap. 4, ed. Oxonii 1929, p, 136..

[18] CASSANDRO, op. cit., p. 31.

[19] Vedine la descrizione in IOANNIS SARESBERIENSIS, Metalogicon, l. I, cap. 12, ed. cit. p. 30.

[20] Sull'interrelazione fra simbolismo (le radici del quale risalivano al pensiero del mondo antico, attraverso Boezio, Sant'Agostino, Isidoro di Siviglia) e interpretazione giuridica, vedi V. PIANO MORTARI, Dogmatica e interpretazione. I giuristi medievali, Napoli 1976, p.125 e ss.; sulla mentalità simbolica, cfr. M-D. CHENU, La theologie au douzième siècle, Paris 19763, trad. it. La teologia nel Medio Evo. La teologia nel sec. XII, Milano 1972, p. 192 e ss.; nonchè, dello stesso, La teologia come scienza nel XIII secolo, cit., p. 48 e ss.

[21] E. CORTESE, Il  Rinascimento giuridico medievale, Roma 1996,  p. 17.

[22] TOMMASO D'AQUINO, In librum  Boetii De trinitate, 2,II, 1, hrg. P. Wyser, Fribourg 1948.

[23]Sui caratteri dello studio della medicina vedi HASKINS, op. cit., p. 282 e ss.

[24] Invectiva contra medicum, ed Ricci, Roma, 1950, l.1, cap. V; l. 2, cap XVIII; su  tutto ciò cfr. Rüegg, op. cit., p. 27

[25] Rüegg, op. cit., p.30.

[26] U. SANTARELLI, L'esperienza giuridica medievale, Torino 1977, p. 4. Sul punto cfr, ORESTANO, Introduzione allo studio storico del diritto romano,Torino 19612, pp. 131.

[27]Si pensi al famoso Placito di Marturi o Martuli (1075)  (vedilo in MANARESI,  I placiti del Regnum Italiae, vol.III, p.1, pag. 333-335: qui la controversia fra il monastero di S. Michele in Castello, rappresentato dall’avvocato Giovanni, e Sigizone di Firenze, concernente dei beni e una chiesa siti in loco papaiano, viene deciso applicando una norma del digestum vetus(D.4,6,26) per la quale il pretore concedeva la restitutio in integrum a coloro  che non avevano potuto adire il giudice; vale a dire in caso di denegata giustizia. In questo caso i beni, donati dal marchese Guinizone di Toscana al monastero, erano poi stati usurpati e posseduti dallo stesso Sigizone per oltre quarant’anni (prescrizione lunga). Il monastero, a dire il vero, aveva nel frattempo, con gli atti opportuni, interrotto la prescrizione, del che rendono testimonianza giurata sia l’advocatus Giovanni sia altri due testimoni.  Tuttavia, nel placito si preferisce richiamare una norma del Digesto molto più raffinata e complessa. Il placito, tenuto alla presenza di Nordillo, missus della marchesa Beatrice di Toscana, viene normalmente citato come prova del rinnovato serpeggiare della conoscenza del Digesto. Anzi, dal momento che nel placito compare un Pepo legis doctor, la conoscenza e il suggerimento della norma applicata viene connessa a tale personaggio, spesso avvicinato  al Pepo esperto in diritto romano, di cui parlano anche Odofredo (in D. 1, 1, 6)  Rodolfo il Nero (vedi ed. H. Kantorowicz, Rechtshistorische Schriften, rist. 1970, p. 250-251) e la Cronaca di Ursperg (vedi Burchardi et Cuonradi Urpergensium Chronicon,  in  M.G.H., Scriptores, XXIII, p. 342. Su ciò vedi infra.

[28]M. CARAVALE, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale , Bologna 1994,  p.307 e ss.

[29] In tal senso anche F. C. SAVIGNY, Storia del diritto romano nel Medio Evo, tr. it., Firenze 1846, I, II,  p. 171.

[30] PETRUS ABAELARDUS, Sic et non, Chicago- London 1977. Alcuni esempi delle coppie di opposti proposti da Abelardo – il quale pone più l’accento sulle contraddizioni che sulla concordanza – in HASKINS, op. cit., p. 296.

[31] Le cui opinioni sono sostanzialmente condivise dal Vasoli, autore dell’Introduzione ad una recente edizione dello stesso epistolario. Vedi  PETRUS ABAELARDUS, Lettere, Torino 1982.

[32] Su cui vedi E. DIAZ ESTVEZ, El teorema de Goedel, Pamplona 1975.

[33]E. CORTESE,  Il rinascimento, p.39

[34] Burchardi et Cuonradi Urspergensium, Chronicon, in MGH, SS, XXIII, p.242; CORTESE, Il Rinascimento, cit., p.22.

[35] G. VERGOTTINI, Lo studio di Bologna, l’Impero, il Papato, Bologna,1954.

[36] SAVIGNY, Storia, cit., II,II, p.13. In sostanza, nelle scuole di arti liberali dell’Alto Medio Evo, dove l'insegnamento della retorica comprendeva quello del diritto, solo le Istituzioni furono  studiate senza essere fatte oggetto di riduzioni o elaborazioni; il codice si era tramandato in forma epitomata e ridotto ai primi nove libri; del Digesto si erano praticamente perse le tracce per mezzo millennio. Solo nel secolo XI ricompare qualche testimonianza di un rinnovato  interesse per un testo che tramandava non solo le norme intese in senso contenutistico, ma la speculazione scientifica che intorno ad esse aveva svolto la giurisprudenza romana. G. ASTUTI, Tradizione dei testi del Corpus Juris nell’alto medioevo, in Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, Napoli 1984, p.189 e ss.

[36]Su Irnerio vedi soprattutto E. Spagnesi, Wernerius bononiensis iudex, Firenze 1970; cfr. M. BeLLomo, Saggio sull' Università, nell'età del diritto comune, Catania 1979, pp. 9 e ss. Ulteriore bibliografia in M. Bertram, Neu Scheinungen zur mittelalterlichen Geschichte von Stadt und Universitaet, Bologna, in Quellen und Forschungen, 67 (1987) pp. 477-488.

[37] La scuola di Roma, non trascurata da Teodorico, era stata ristabilita da apposita disposizione di Giustiniano contenuta nella stessa prammatica sanctio (554), che provvedeva anche a definire i quadri e gli stipendi di grammatici, oratores, giurisperiti, che in quella scuola dovevano insegnare. La disposizione supera così le direttive indicate nelle costituzioni Omnem e Tanta  con cui Giustiniano dava disciplina agli studi giuridici, e che sono appena dell'anno prima (553). Vedi U. GUALAZZINI, Sulla fine della scuola di Berito, in Studi in memoria di Mario E. Viora, Roma 1990, p.385.

[38] ODOFREDO, In D 1,1,6.

[39] Odofredo, allievo di Jacopo Baldovini forse sentì anche Azzone. E' studente nel 1226, mentre Azzone muore nel 1231. Forse fu professore intorno al 1228. Sappiamo che si recò in Francia, a Venezia, in Puglia. Le sue molte esperienze traspaiono dai suoi scritti: si spiega forse così l'attenzione alla pratica che egli dimostra e che gli fa guadagnare quel credito presso la generazione successiva che pare eccessivo a SAVIGNY, Storia, cit ., II,II,  p. 163.

[40] Che il titolo di dominus caratterizzasse i professori della nuova scuola di diritto, è tesi affermata dal Sarti e rilanciata dal Savigny,  Storia, cit., II, I, 110.

[41] CORTESE, Il rinascimento, cit., p. 20.

[42]E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale, II, Il basso Medioevo, Roma, 1995, p. 65.

[43] Ciò è desumibile da documenti del 1136 e 1137, da Pietro Diacono e da uno strumento notarile di compravendita fatto redigere dalla figlia Agnese. Vedi Cortese, Il Rinascimento,  p. 21. SAVIGNY,  Storia, cit.,, II,II, p. 13.

[44] Cfr. SANTINI, Il sapere giuridico occidentale, in Rivista di storia del diritto italiano, 1994,p. 148

[45] SAVIGNY,  Storia, cit. I, I,  p. 304. La lettera pisana sarebbe di pochi anni successiva all'età giustinianea. L'ambiente ravennate, inoltre, è legato a quello Matildico, come rilevava il Gaudenzi, e contatti con Ravenna ne ebbe anche Bologna.

[46]Cfr. L. SChmugge, Codicis Iustiniani et Institutionum baiulus.  Eine neue Quelle zu Magister Pepo von Bologna, in Ius Commune, 6 (1977) pp.1-9. In generale, su Pepone, P. FioreLLI, Clarum bononiensium lumen,   in Per Francesco Calasso, Studi degli allievi, Roma 1978, pp.426-454.

[47] CORTESE,  Il rinascimento, cit.,  p. 16 e ss.

[48]Da ultimo è stata avanzata l’ipotesi che la censura di Odofredo non avesse un fondamento scientifico, bensì politico- religioso, dato che una aggiunta in margine al passo del De utroque lumine  in cui è nominato Pepo quale clarum Bononiensium lumen precisa che egli non è altri che Pepo, vescovo di Bologna. Ma allora questi non può essere altri che Pietro, vescovo ritenuto scismatico in quanto aderente all’antipapa Clemente III, negli anni che vanno dal 1085 al 1096. Vedi G. ARNALDI, L’Università di Bologna, in Le Università, cit., p. 101. 

[49] Ed. H. Kantorowicz, Rechtshistorische Schriften, rist. 1970, pp.250-251.

[50] Il che non comporta una modificazione immediata delle Comunità giuridiche dell'età di mezzo, le quali restano caratterizzate dalla compresenza di più diritti e da sistemi giuridici fortemente decentrati. Non è un caso che nel diritto canonico il concetto di bellum justum si connette a quello della executio iuris, nella societas christiana (con una conseguente articolata eccezione al divieto non occides), e nella nascente civilistica si teorizza l’ammissibilità dell’uso della forza a difesa del dominium, e la comune radice iuris gentium di dominium e bellum. Vedi su ciò L. BUSSI, Il problema della guerra nella prima civilistica, in A Ennio Cortese, Roma, 2001, I, p. 125 e ss.

[51] Una tradizione molto antica pretendeva che fosse stata fondata da Teodosio II nel 433. Su ciò vedi savigny, Storia, II, I, p. 106.

[52] E. BUSSI, Intorno al concetto di diritto comune, Milano, 1935, p.55; W. ENGELMANN, Die Wiedergeburt der Rechtskultur in Italien, Leipzig 1938, p. 189 e ss.

[53] Contra Bellomo,  Saggio, cit., p. 17.

[54]CORTESE, Il rinascimento, cit., p. 44.  Per il Bussi il pensiero scientifico avrebbe costituito il vero elemento comune e unitario nella vita del diritto in tutto il travagliato e faticoso corso dei secoli dell’età di mezzo. Questa unità avrebbe consentito il formarsi di una  generalis opinio fra i giuristi, alla quale il Bussi connette concetto di ciò che egli ritiene essere stato il diritto comune: questo si identificherebbe con: “l’insieme dei principi, delle costruzioni giuridiche e delle risoluzioni pratiche rispettivamente formulate create od escogitate dalla dottrina” E. BUSSI, Intorno al concetto di diritto comune, Milano, 1935, p.55.

[55] J. GAUDEMET, Les universités et la vie politique,, in I poteri politici e il mondo universitario (XIII-XX secolo), (a cura di A. Romano e di J. Verger),  Catanzaro 1994, p. 7.

[56] W. Rüegg, Themes, cit., p. 18.

[57] E’ stato da tempo mostrato convincentemente (E. Bussi, Evoluzione storica dei tipi di Stato, Cagliari, 1970;  E. Cortese, Il problema della sovranità nel pensiero giuridico medievale, Roma 1966, p. 108 e ss; F. Calasso,I glossatori e la teoria della sovranità, Milano 19573; V. Piano Mortari, Gli inizi del diritto moderno in Europa, Napoli, 1989) come se il concetto di Stato, quale ente astratto, titolare di un potere assoluto  e originario, non e` conosciuto dal pensiero medievale - che parla di seigneurie, non di souverainité, di dominium, non di imperium (E. Bussi, op. cit., p. 145) e` proprio la dottrina che sul terreno feudale ha cominciato a formulare il concetto di potere sovrano, partendo dalla equiparazione del rex rispetto al regno suo e dell'imperator, rispetto a tutto l'Impero (F. Calasso, op. cit., pag. 23).

[58]Così, ad esempio, i primi titoli del Digesto furono il locus cui si legò prevalentemente la discussione relativa alle grandi partizioni del diritto – jus civile, ius naturale, jus gentium - nonchè al problema dell’uso legittimo della forza  e alla guerra giusta. In tema, da ultimo, vedi L. BUSSI, Il problema della guerra, cit., p. 125 e ss.

[59]M. BELLOMO, L'Europa del diritto comune, 1989, p.72.

[60] Fra Irnerio e Accursio si contano quattro generazioni di giuristi: 1) quella dei cosiddetti quattro dottori (Bulgaro Martino, Jacopo e Ugo); ad essi vanno  aggiunti i nomi di altri studiosi come Vacario, importante per la sua influenza sulla cultura giuridica inglese; 2) quella di Rogerio, Piacentino, Burgundione da Pisa, Enrico da Baila, Alberico da Porta Ravennate, Bencivenga da Siena, Giovanni Bassiano, Azzone, Pillio da Medicina; 3) quella di Ugolino dei Presbiteri, Jacopo di Ardizzone, Jacopo Colombi, Jacopo Baldovini, Rofredo Beneventano, Carlo di Tocco, Accursio. Vedi CARAVALE, Ordinamenti, cit., p. 291.

[61] La compilazione giustinianea riceve, alla scuola di Bologna, un ordine che la ripartisce in cinque volumi. Il primo volume contiene quella parte del digesto che ora viene indicata come digestum vetus (cioè i libri che vanno dal primo al secondo titolo del ventiduesimo); il secondo volume contiene il cosiddetto infortiatum, (cioè i libri che vanno dal terzo titolo del ventiduesimo al libro trentanovesimo); il terzo il digestum novum (e cioè il libri che vanno dal trentanovesimo al cinquantesimo libro). Il quarto volume contiene il codex   (che però del codex giustinianeo comprende solo i primi nove libri, cioè mantiene il distacco alto-medievale degli ultimi tre);  il quinto infine, il cosiddetto volumen parvum, contiene i tres libri (cioè gli ultimi libri del codex),le istituzioni e le novelle giustinianee. Queste ultime, sono tratte dalla raccolta dell’Authenticum e divise in nove collationes. Ad esse viene aggiunta una decima collatio che comprende alcuni importanti atti normativi degli Imperatori del Sacro Romano Impero, e i libri feudorum.  

[62] SANTINI, Università e società nel XII secolo, Pillio da Medicina e lo studio di Modena, Modena, 1979.

[63]Vedi G. P. BRIZZI- J. VERGER (a cura di-), Le Università minori in Europa, sec. XV-XIX, Convegno internazionale di studi, Alghero 30 ottobre - 2 novembre 1996, Rubettino 1998.

[64] P. GROSSI, L'ordine giuridico medievale, Bari, 1995.

[65] GROSSI, op. cit., p. 142 e ss.

[66] Non sempre il pagamento era puntuale: ce lo attesta Odofredo, gl. de divortiis in D. 24,2,11: In anno sequenti intendo docere ordinarie bene et legaliter: extraordinarie non, quia studentes non sunt boni pagatores, scire omnes volunt; solvere nemo. Vedi BELLOMO, Saggio, p.144. La lamentela usa un luogo comune, citato anche da Giovanni di Salisbury, Metalogicon, cit., p. 71.

[67] Giovanni di Salisbury, Metalogicon, I, 3 (in P.L., 199, col. 829 C)

[68] C. STORTI STORCHI, Ricerche sulla condizione giuridica dello straniero in Italia dal tardo diritto comune all'età preunitaria, Milano 1990, p. 14.

[69] I. SCHMALE- OTT (ed.), Carmen de gestis Frederici I, imperatoris in Lombardia, MGH Scriptores Rerum Germanicarum in usum scholarum, Hanover 1965 (496-97), pp. 17-18. Su ciò BELLOMO, Saggio, cit., p. 35.

[70]Vedila im W. Stelzer, Zum Scholarenprivileg Friedrich Barbarossas (Authentica „Habita“ ) in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelaltes, 34 (1978), pp.123-175; cfr. BELLOMO, Saggio, cit., p. 34.

[71] SAVIGNY, Storia, cit., II, I, p. 110.Anche il diritto giustinianeo, (vedi cost. Omnem, §§ 9-10) prevedeva un potere disciplinare dei professori di Berito e dei vescovi sugli studenti, ma tale potere disciplinare non rivestiva il carattere di un privilegio di foro.

[72] G. Cencetti, Il foro degli scolari negli studi medievali italiani, in R. Deputazione di storia patria per l'Emilia e la Romagna, 5 (1939-40), p. 167.

[73] CENCETTI, Il foro, cit., p. 164. Ma Ugolino Gosia dichiara di non poter accettare di diventare potestà degli anconitani senza il consenso dei suoi scolari con cui si è impegnato per un certo numero di anni (1202). Così erano socii  di Pillio quegli studenti  cui lui aveva prestato malleveria e per i quali si era indebitato nel 1182. Ciò che è interessante,  nel passo di Pillio, è che egli chiama socii solo gli studenti forestieri.

[74] L’accostamento è di BERNARDO DA PARMA, gl. vel consuetudine, ad X, 2, 2, 13.

[75] BELLOMO,  L’Europa, cit.,  p. 120

[76]Ma di questo parere non era SAVIGNY, Storia, cit., II, I, p. 357.

[77] M. ROBERTI, Storia del diritto italiano, Milano, 1946, p. 242, vi vide anzi uno dei più perfetti tipi corporativi tratti dal tipo della societas che aveva prodotto il Comune e le altre corporazioni.

[78] Anche le Nazioni ebbero i propri Statuti: i volumi delle deliberazioni di queste ultime vennero detti Atti delle Nazioni. Vedi ROBERTI, Storia, cit., pag. 243

[79] G. ROSSI, “Universitas scholarium” e Comune (sec. XII-XIV), in Studi e memorie per la storia della Università di Bologna, n.s., 1, Bologna 1956, p.167

[80] Gaudenzi, Lo studio, 161, 162.

[81] Vedi ODOFREDO, in Aut. Habita l. 8 C.1,4; la circostanza è notata anche da SAVIGNY, op. cit., II , I, 111, nota 34.

[82] Anche a Napoli il privilegio di foro è sancito dallo stesso atto di costituzione dell'Università (1224), ma la natura particolare di questa Università fa sì che accanto alla giurisdizione dei maestri si affianchi pure quella del giustiziere degli scolari, che era ufficiale regio

[83] Cencetti, Il foro, cit., p. 176

[84] P. NARDI, Relations with authority, in A history, cit,  p. 87.

[85] P. NARDI, Comune, Impero e Papato alle origini dell'insegnamento universitario di Siena, in Bollettino senese di storia patria, 90 (1983), p. 55 e ss.

[86] La scuola di Notre Dame nella seconda metà del XII secolo era una scuola famosa, che contava tra i suoi maestri come Pietro Lombardo autore del manuale più famoso e diffuso per lo studio della teologia. Il contenuto dello studio delle scuole private era molto vario: grammatica, retorica, dialettica, legge e medicina.

[87] I. SOFFIETTI, Contributo per la storia dello “Studium” di Vercelli nel sec. XIII, in Miscellanea Domenico Maffei dicata, Frankfurt/Main 1995,  p.85.

[88] J. GAUDEMET, Les universités, cit.,  p. 7.

[89] Leo Moulin, La vita degli studenti nel Medio Evo, Milano 1992, p. 182. Lovanio viene eretta dalla bolla Sapientia immarcescibilis  di papa Martino V il 9 dic. 1425, su richiesta  del duca Giovanni IV di Brabante,

[90] Grande era la propensione degli studenti per le feste e i divertimenti. A tale scopo, per consuetudine, essi pretendevano una tassa dagli ebrei, ma non di rado trattenevano una parte dello stipendio dei professori, sequestrandone i preziosi manoscritti. A Padova, quando cadeva la prima neve, gli studenti si presentavano al convento di Santa Giustina reclamando dei doni, e il giorno della Befana non mancavano scherzi a carico dei Maestri, dai quali non andò esente neanche il grande Galileo. Molti studenti, specialmente tedeschi, ostentavano grandi  ricchezze, avevano un seguito di servi, talvolta anche armati; invitavano a pranzo i maestri che venivano accompagnati dai bidelli.

[91]Già Alessandro III in una decretale indirizzata ai vescovi francesi si era espresso contro la prava consuetudo dei magistri delle scuole diocesane di esigere un pagamento per la concessione della licentia docendi. Vedi  P. NARDI, Relations with authority, in A history, cit, p. 79

[92] Cfr.  G.Cencetti, Studium fuit Bononie, in Studi Medievali, ser.  Il(1966) pp. 781-833, ora in Le origini dell'Università, con introduzione e a cura di G. Arnaldi, Bologna 1974..

[93]Vedi le consuetudines di Reggio Emilia del 1242 in A. CERLINI, Consuetudini e Statuti Reggiani del sec. XIII, I, Milano, 1933, p. 36. Il particolare è ricordato da Bellomo in L’Europa del diritto comune., cit., p. 133.

[94] P. GERBOD, Les pouvoirs politiques français et les facultés de l’Etat de la fondation de l’Université impériale (1806) au deuxième colloque de Caen (1966), in I poteri politici, cit., p. 198.

[95] ROBERTI,  op. cit., 244.