1. Il mito del pius agricola è una motivazione di tipo ideologico
che si inquadra storicamente nell’età appena successiva alla
seconda guerra punica.
Il manifesto programmatico di tale ideologia è in due passi molto
conosciuti, entrambi attribuiti a Catone[1]. In epoca catoniana si visualizzava così
il mito del buon contadino, legato all’ideologia della città e
ostile ad un’economia primitiva identificata nella pastorizia e ad una
dimensione silvestre e palustre. Il contadino così idealizzato era il
colono italico, rappresentante di un sistema in cui la villa diventò
il microcosmo di una campagna controllata dai poli di riferimento
dell’ordine romano: il municipio e la colonia. Siamo evidentemente in
pieno clima graccano considerando le allusioni al contadino/soldato (viri et
milites) e alla deduzione coloniaria (bonum agricolam bonumque colonum).
Guardando un passo altrettanto noto di Cicerone, ci rendiamo conto
però che le cose non possono essere ridotte in termini così
semplicistici[2].
In de off. 2. 25. 89 il retore riferendosi a Catone infatti afferma:
a quo cum quaereretur, quid maxime in re familiari expediret, respondit:
‘Bene pascere’; quid secundum: ‘Satis bene
páscere’; quid tertium: ‘Male páscere’; quid
quartum: ‘arare’.
A questo punto mi chiedo. Come avrebbe potuto l’autore del de agri
cultura esprimersi in questo modo e, nello stesso tempo, propugnare un
primato della agricoltura sulla pastorizia a Roma in età arcaica?
Se la citazione di Cicerone è attendibile, Catone allora forse sta
descrivendo fuor di retorica la realtà del suo tempo, una realtà
in cui, come si cercherà di mettere in evidenza, gli speculatori
impegnavano massicciamente i loro capitali nell’allevamento del bestiame.
A mio avviso in questa apparente contraddizione c’è forse tutto il
senso del contrasto tra l’agricoltura e la pastorizia in epoca post
annibalica.
Fino al tramonto dell’arcaismo (IV secolo a. C.), e forse ancora
oltre (l’età annibalica), il modo migliore per inquadrare la
dialettica tra pastorizia ed agricoltura è quello di parlare di
un’economia ‘mista’ o integrata, nel senso ancora descritto
da Varrone quando scrive: quod a pastoribus qui erant orti in
eodem agro et serebant et pascebant[3]; ma fuori da ogni suggestione però che
porterebbe ad attribuire al legislatore romano delle improbabili riforme
normative tese a regolamentare allevamenti su grande scala prima del III secolo
a. C.
Anzitutto dobbiamo chiederci dove i Romani abbiano tratto ispirazione per
la villa catoniana, cioè il modello strutturalmente tipico
dell’economia agraria in cui il buon colono si esprime da protagonista.
E’ opinione condivisa che questa si sia formata in conseguenza di una
sequenza storica che prese avvio negli anni dal 262 al
In seguito sarebbe cominciata l’importazione dei vitigni nel centro
della penisola e poi l’esportazione del vino italico in Spagna e in
Gallia come dimostra la diffusione dal 225 al
Con l’età catoniana il mito del pius agricola potrebbe
invece aver aperto una nuova fase per la storia del processo dialettico tra
agricoltura e pastorizia.
L’Elogio di Polla esprime molto bene il senso di questo contrasto
quando, forse nel
In questa prospettiva, il contrasto tra agricoltori e pastori in età
post annibalica, diventa così un problema che riguarda molto da vicino
anche l’ager publicus. E questo fatto, come vedremo, non
sarà privo di conseguenze per l’evoluzione del pensiero giuridico.
3. Una teoria recentemente formulata da A. Ziolkowski (un allievo di J.
Kolendo), sul ruolo svolto dalla pastorizia nella società arcaica (o
proto repubblicana) e sul ruolo svolto dai pecuarii nelle leges
Liciniae Sextiae, forse aiuta a comprendere meglio il quadro storico di
riferimento[6].
Secondo tali studiosi la clausola sulla limitazione dei capi di bestiame
(la seconda) della parte delle leggi licinie-sestie dedicate all’ager
publicus (che è riferita solo da Appiano) rivelerebbe la vera
ragione d’essere della legge del
In altre parole, già dalla metà del IV secolo a. C., la
pastorizia, basata per sua natura sulla mobilità delle greggi su spazi
molto ampi, sarebbe stato il solo modo praticabile e più conveniente di
sfruttamento delle terre pubbliche per chi disponesse di un sufficiente
capitale iniziale; cioè di un gregge piuttosto grande di bovini e
pecore. A partire quindi dalle leges Liciniae Sextiae e
così, ancora, per tutto il terzo secolo a. C. ed oltre, fino
all’età graccana, sarebbe stato quindi prevalente nel legislatore
romano la preoccupazione relativa al come i pecuarii gestissero il
godimento dell’ager publicus.
Evidentemente non è possibile discutere in dettaglio questa proposta
così suggestiva, tuttavia il costante riferimento delle fonti ai possessori
di terra con il termine ‘pecuarii’ ed inoltre la frequenza
sistematica dei processi fatti a questi dal 296, fino alla legge Sempronia di
Tiberio Gracco del
Si aggiunga a questo che Plinio in un passo molto noto dice che per lungo
tempo l’unica forma di imposta sull’ager publicus sarebbe
stata quella che avrebbe colpito i pascua publica: Plin. n. h.
18. 3. 11: Etiam nunc in tabulis censoriis pascua dicuntur omnia, ex quibus
populus reditus habet, quia diu hoc solum vectigal fuerat.
Sembra del resto accertato che il bestiame servisse come mezzo di scambio e
unità di misura per le multe anche in epoca storica, anche vigendo
un’economia di tipo monetario[7].
4. Vediamo allora più da vicino chi sono questi pecuarii.
Le fonti dell’età repubblicana qualificano costantemente come
tali i possessori di terra indivisa e riferiscono con puntualità degli
abusi di coloro che esercitavano la pastorizia in spregio alle leggi. Varrone,
ad esempio, ricorda ancora il comportamento di coloro che, violando le leggi,
trasformavano i campi da coltivare in ager compascuus (contra leges
ex segetibus fecit prata) alludendo forse agli assegnatari dei lotti agri
colendi causa dell’epoca graccana[8].
Livio, inoltre, riferisce delle multe inflitte ai pecuarii nel 296 e
nel
Delle multe inflitte ai pecuarii riferisce però anche Ovidio.
Ed anche in questo caso è rimasta la memoria storica di fatti clamorosi[10]. I ludi Florales del 28 aprile, sarebbero
stati infatti celebrati dagli edíli plebei per la prima volta nel
5. La testimonianza di Ovidio va però esaminata più
attentamente.
Anzitutto salta subito agli occhi un dato interessante. In appena 17 versi,
il poeta, pur usando numerose espressioni inequivocabilmente tecniche come pecus,
locuples, depascere, saltus, poena, vindice, in privato pascere, multam,
rende tuttavia la parola terra con il vocabolo humus, quindi in modo non
tecnico. Fra l’altro, questo termine è anche l’unico tra
tutti questi appena elencati che non rileva affatto nel testo della legge
epigrafica. Come se non bastasse, anche la formula ager publicus
è resa con una perifrasi molto contorta iam de vetito quisque parabat
opes. Anche in questo caso un accostamento di tipo tecnico, come si vede,
non sembra possibile.
Quanto al contenuto, il passo descrive la situazione di chi si arricchiva
illecitamente facendo pascolare il suo bestiame abusivamente su terre non sue
e, questo malcostume sembra che sia stato praticato legalmente per molto tempo
senza che nessuno fosse intervenuto (idque diu licuit, poenaque nulla fuit).
Ma c’è ancora un ultimo elemento a mio avviso degno di nota.
Ovidio, definisce i proprietari terrieri col termine locuples e qui non
può trattarsi certamente di una licenza poetica, dato che Plinio si
esprime nello stesso modo. E’ sempre il passo di Plinio già citato
sopra: n. h. 18. 3. 11: Hinc et locupletes dicebant loci, hoc est
agri, plenos.
6. Quali conseguenze possono derivare da tutto ciò? Almeno tre.
Primo. La clausola di inalienabilità dei fondi assegnati della legge
Sempronia del
Secondo. Ovidio sembrerebbe dire che fino al
Ma c’è di più. Appiano in 1. 8. 34 parla di una sanzione
per le violazioni ad una legge de modo agrorum[13]. Se Ovidio riferisce ancora per il
Un altro argomento quindi per la tesi di coloro che pensano che Appiano in
questo caso non stia parlando della legge del
7. Prima di concludere vorrei invece fermare l’attenzione sul terzo
punto.
Si potrebbe infatti leggere in una nuova
prospettiva il famosissimo (per noi storici del diritto) e altrettanto
travagliato sintagma decemvirale familia pecuniaque[15].
Forse adesso abbiamo qualche elemento in più per comprendere meglio
il valore etimologico di tale espressione.
Potremmo infatti a questo punto chiederci: perché le fonti tardo
repubblicane per definire i proprietari terrieri usano la parola locupletes?
(il termine è tecnico perché anche il legislatore del
Se pensiamo all’emersione della villa catoniana nel corso
della sequenza storica cui si faceva riferimento prima (cioè tra il 256
e la metà del II secolo a. C.), possiamo ipotizzare che il modello del
cittadino/coltivatore/soldato, quale padrone/capo degli schiavi che lavoravano
in casa e sulla terra come ‘appendici’ o ‘prolungamenti della
famiglia’, può essere stato il modello cui avrebbe potuto
ispirarsi un giurista contemporaneo per descrivere l’oggetto
dell’antica hereditas in una versione aggiornata.
In altre parole, accettando la derivazione etimologica mutuata dalla lingua
osca, ossia familia<famulus<famel=schiavo, potremmo attribuire, in
questo quadro storico, al sostantivo familia il significato di
‘insieme di coloro che rendevano produttivo un fondo’.
Sul significato di pecunia in età catoniana ci siamo
già soffermati.
Ritorniamo allora al familia pecuniaque del versetto decemvirale.
La dottrina contemporanea al riguardo si interroga giustamente sulla migliore
rispondenza al contenuto/sostanza del precetto/testo decemvirale del V secolo
della versione ciceroniana piuttosto che quella giuridica riportata da Gaio e
Pomponio basata sul concetto di res[16].
Condividendo l’idea di coloro che ritengono la versione retorica di
tale precetto normativo comunque la più antica e vicina delle conosciute
al contenuto/sostanza del precetto decemvirale del V secolo a. C. forse si
potrebbe anche tentare di individuare il momento in cui può essere
comparso nel linguaggio dei giuristi repubblicani il sintagma in questione,
che, ripeto, è forse un adeguamento, in chiave aggiornata, della sostanza
originaria del precetto antico[17].
L’epoca della cristallizzazione nel lessico giuridico di familia
pecuniaque potrebbe infatti coincidere con l’età catoniana che
è anche l’età di Sesto Elio e dei suoi Tripertita.
La pubblicazione di questo testo sembra potersi attestare tra il 184 e il
All’epoca di tale giurista la ricchezza di un pater familias
non poteva essere che la familia e la pecunia; ossia, da un lato,
coloro che ‘rendevano produttivo il fondo’ del pater familias
in possesso più o meno precario e, dall’altro, il bestiame/denaro,
cioè l’unità di misura del valore, e nello stesso tempo
bene fungibile, costituito dal gregge.
Evidentemente, all’epoca di Sesto Elio, la terra non era ancora
disponibile per i privati e quindi non poteva far parte ex lege del
patrimonio di un pater familias.
Solo in epoca successiva (almeno età graccana/post-graccana) il
significato di ricchezza potrebbe essersi allargato tanto da far dire ad Ovidio,
Plinio e Varrone che i ricchi erano i pecuarii, ossia i possessori di
denaro/bestiame (da pecunia) e i possessori di terra, ossia i locupletes,
da locus=terra, che è un’espressione che usa diffusamente
anche il legislatore del
Ed allora faccio questo ragionamento. Come si può pensare che P.
Mucio, uno degli ispiratori delle riforme graccane, ma anche il caposcuola di
uno dei più eminenti circoli giuridici della sua epoca, abbia potuto contemplare
un modello di ricchezza agraria definendolo con il termine familia
quando, nel linguaggio tecnico giuridico a lui contemporaneo, tale vocabolo non
appare; mentre, all’opposto, espressioni come ager, locus
ed aedes sono termini ampiamente diffusi nel linguaggio tecnico
ufficiale?
Cicerone (che studiava a memoria i versetti decemvirali) in de inv.
2. 50. 148 usa l’espressione familia pecuniaque, ma forse lo fa in
modo già anacronistico per la sua epoca. Probabilmente perché
questo era il linguaggio di Sesto Elio, autore dell’opera giuridica
più importante sulle XII tavole della sua epoca.
Ma c’è di più. Forse il germe della nozione di res
per indicare il ‘patrimonio familiare’ (ossia l’oggetto
dell’antica hereditas in senso esclusivamente patrimonialistico)
nella versione ‘aggiornata’ del relativo versetto decemvirale (uti
legassit suae rei) in sostituzione di familia pecuniaque, è
già presente nell’espressione in re familiari usata da Cic.
in de off. 2. 25. 89, opera che fu scritta, come è noto, nel
Per tutte queste ragioni, per la trasformazione nel lessico giuridico del
versetto di cui alla tab. 5. 3 di familia pecuniaque in res,
propongo di considerare come dies post quem l’età della
probabile pubblicazione dei Tripertita (184/167 a. C.) o della morte del
suo autore, cioè di Sesto Elio (il 155 circa a. C.). Mentre, come dies
ante quem l’età di Q. Mucio il pontefice, se è vero che
Pomponio, nella prima parte di D. 50. 16. 120 (come afferma M. Bretone), cita
letteralmente questo giurista[23].
Il presunto secolare contrasto (parlerei piuttosto di una dialettica) tra
agricoltori e pastori, tema molto presente nel dibattito delle fonti antiquarie
e storiche dell’epoca medio/tardo repubblicana, può essere quindi
considerato come esclusivo dell’età graccana quando, a partire dal
II secolo a. C., il sorgere dell’allevamento su larga scala (in chiave di
sfruttamento speculativo, quindi deteriore) può aver contribuito ad
idealizzare forse l’immagine del pius agricola rispetto al rozzo
pastore (come nell’Elogio di Polla). Forse qui siamo anche
all’inizio del fenomeno del pastoralismo.
Le notizie relative alla costituzione delle prime piantagioni in Campania e
all’esportazione del primo vino in Spagna e Gallia tra il 225 e il
Uno degli aspetti più significativi di quest’epoca può
essere stato infatti il carattere specializzato della nuova pastorizia che, a
differenza di quella antica, poteva essere esercitata solo in modo nettamente
differenziato dall’agricoltura. Perché, come si è visto,
per essere redditizia questa doveva presupporre una forte disponibilità
di capitali, ossia di pecunia.
A. Carandini si chiede (senza trovare risposta) come mai, tra il 146
(quando cadde Cartagine e fu dato ordine dal Senato di tradurre i trattati
agronomici di Magone) e il
Se è vero che una delle motivazioni delle leges Semproniae fu
quella di costituire un ceto medio di agricoltori/soldati (colonizzazione pianificata),
in alternativa al fenomeno dilagante dell’impresa speculativa degli
allevatori (capitalismo senza regole), allora, per la determinazione del
fenomeno della trasformazione della villa catoniana nella villa
perfecta di Varrone (preludio al vero dilagare del latifondo), può
aver avuto un ruolo non irrilevante proprio la riforma dei Gracchi.
Il successo di tale progetto legislativo, nonostante la fine tragica dei
due protagonisti, è infatti ampiamente dimostrato dalla presenza di numerose
testimonianze epigrafiche (cippi graccani) lungo tutta la penisola italiana.
(РЕЗЮМЕ)
Автор
при исследовании
данной темы
отталкивается
от следующего
обстоятельства.
Чтобы
наилучшим
образом
очертить
диалектику
между скотоводством
и
земледелием
вплоть до
конца архаической
эпохи (IV
в. до н. э.), а
вероятно и
далее (эпоха
ганнибаловых
войн),
следует
говорить о
«смешанной»
или
интегрированной
экономике, в
том виде, как
ее описывал
еще Варрон (R. R. III. 1. 7): quod a pastoribus qui erant orti
in eodem agro et serebant et pascebant. Однако
следует
исключить
всякое
внушение,
которое
может
привести к
приписыванию
римским
законодателям
каких-либо
маловероятных
реформ,
направленных
на регламентацию
широкомасштабного
скотоводства,
ранее III в.
до н. э.
Поэтому с
наступлением
эпохи Катона
миф о pius agricola мог,
вероятно,
начать новый
этап в
истории
диалектического
процесса
между
земледелием
и скотоводством.
Очень хорошо
отражает
суть этого
противопоставления
тот факт, что,
вероятно, в 132 г. до
н. э. консул
Попилий
Ленат с
гордостью приказал
высечь
знаменитую
фразу о
превосходстве
земледелия
над
скотоводством
(CIL. 1. 551=12. 638): primus
fecei de
agro poplico aratoribus cederent paastores.
Таким
образом, с
этой точки
зрения,
противопоставление
между
земледельцами
и пастухами в
эпоху после
Ганнибаловых
войн становится
проблемой,
которая
очень близко
соприкасается
также с ager publicus. И
этот факт
оказал
определенное
влияние на
дальнейшее
развитие
юридической
мысли.
Далее
речь в статье
идет о роли,
которую скотоводство
играло в
архаическом
(или дореспубликанском)
обществе, и о
роли pecuarii в leges Liciniae Sextiae. Клаузула
(вторая) об
ограничении
голов скота
части
законов
Лициния –
Секстия,
посвященных
ager publicus (которую
передает
только
Аппиан), вероятно,
позволяет
открыть
действительную
причину
создания
закона 367 г. до н.
э.: ager publicus мог
использоваться
почти
исключительно
для пастбищ.
Другими словами,
уже с
середины IV в. до н. э.
скотоводство,
основанное
по своей
природе на
способности
стад
перемещаться
на больших
пространствах,
могло быть единственным
практически
выполнимым и
наиболее
удобным
способом использования
общественных
земель для тех,
кто
располагал
достаточным
начальным капиталом.
То,
что в
источниках
землевладельцы
постоянно
обозначаются
термином pecuarii, а
кроме того,
то, с какой
частотой
происходили
процессы над
ними с 296 г.
вплоть до
закона
Семпрония 132 г.
до н. э., – это
обстоятельства,
которые
заставляют
задуматься. К
этому надо
прибавить
тот факт, что
Плиний в
известном
фрагменте
говорит, что
в течение
долгого
времени
единственной
формой
налога на ager publicus
был налог,
которым
облагались pascua
publica: Plin. n. h. 18. 3. 11: Etiam nunc in tabulis censoriis pascua dicuntur omnia,
ex quibus populus reditus habet, quia diu hoc solum vectigal fuerat.
Анализируя
источники
республиканской
эпохи, автор
показывает,
кем являлись
эти pecuarii.
Автор
останавливается
также на
особом аспекте
юридического
языка
катоновской
эпохи,
который, как
представляется,
связан с тем,
что было
сказано выше.
А именно,
предлагается
прочтение с
новой точки
зрения известнейшей
синтагмы
Законов XII таблиц familia
pecuniaque: Cic. De inv. II. 50.
148 = Rh. ad Her. 1. 13. 23: paterfamilias uti super familia pecuniaque sua
legassit, чтобы
лучше понять
этимологический
смысл этого
выражения.
Для
трансформации
в
юридической
лексике familia pecuniaque в
res
предлагается
рассматривать
как dies post quem время
вероятной
публикации
Tripertita (184/167 гг. до н. э.)
или время
смерти их
автора,
Секста Элия
(около 155 г. до н.
э.), а в
качестве dies ante quem –
время Кв.
Муция
понтифика,
если верно,
что Помпоний
в первой
части D. 50. 16. 120 (как
утверждает М.
Бретоне)
дословно
цитирует
этого юриста.
* Сакки Освальдо – доктор римского права юридического факультета Второго университета г. Неаполя (Италия).
[1] Cato in Plin. n. h. 18. 5. 26: Principio
autem a Catone sumemus: «Fortissimi viri et milites strenuissimi ex
agricolis gignuntur minimeque male cogitantes»; Plin. n. h.
18. 3. 11: Agrum male colere censorium probrum iudicabatur, atque, ut refert
Cato, cum virum laudantes bonum agricolam bonumque colonum dixissent, amplissime
laudasse existimabantur. Hinc et locupletes dicebant loci, hoc est agri, plenos. Pecunia ipsa a
pecore appellabatur. Etiam nunc in tabulis censoriis pascua dicuntur omnia, ex
quibus populus reditus habet, quia diu hoc solum vectigal fuerat. Multatio quoque non nisi ovium
boumque inpendio dicebatur […].
[2] Cato in Cic. de off. 2. 25. 89: Ex
quo genere comparationis illud est Catonis senis: a quo cum quaereretur, quid
maxime in re familiari expediret, respondit: ‘Bene pascere’; quid
secundum: ‘Satis bene pascere’; quid tertium: ‘Male
pascere’; quid quartum: ‘arare’.
[3] Varro r. r. 3. 1. 7: Agri
culturam primo propter paupertatem maxime indiscretam habebant, quod a
pastoribus qui erant orti in eodem agro et serebant et pascebant: quae postea
creverunt pecunia diviserunt, ac factum ut dicerentur alii agricolae, alii
pastores.
[4] Cato de agri c. 3. 1: Prima
adulescentia patrem familiae agrum conserere studere oportet. Aedificare diu
cogitare oportet, conserere cogitare non oportet, sed facere oportet. Ubi aetas
accessit ad annos XXXVI, tum aedificare oportet, si agrum consitum habeas. Ita
aedificies, ne villa fundum quaerat. Per la legge epigrafica del 111 v. S. Riccobono, Fontes Iuris Romani
Anteiustiniani (in 3 voll.) (Florentiae 1968) 102(=FIRA. 1. 102 ss.): lin. 7: ..i]n terra....Italia IIIvir dedit adsignavit reliquit inve
formas tabulasve retulit referive iusit: ager locus aedificium omnis quei supra
scriptu[s est....extra eum agrum
locum de quo supra except]um cavitu[mve
est, privatus esto..; 8: ..eiusque locei agri aedificii emptio venditi]o ita, utei ceterorum
locorum agrorum aedificiorum privatorum est, esto; censorque queicomque erit
fa[c]ito, utei is ager
locus aedificium, quei e[x hace
lege privatus factus est, ita, utei ceteri agri loca aedificia privati, in
censum referatur,.....deque eo agro loco aed]ificio eum, quoium is ager locus
aedificium erit, eadem profiterei iubeto, quae de cetereis agreis; 9: loceis
aedificieis quoium eorum quisque est profiterei iusserit....est; neive quis
facito, quo, quoius eum agrum locum aedificium possesionem ex lege plebeive
scit[o ess]e oportet oportebitve,
eum agrum l[ocum aedificium
possesionem minus oetatur fruatur habeat possideatque .....n]eive quis de ea re ad
sen[atum referto..; 10: ..nevie pro magistratu inpe]riove sententiam
deicito neive ferto, quo quis eorum, quoium eum agrum locum aedificium pose[sio]nem
ex lege plebeive scito esse oport[et oportebitve......eum agrum locum aedificium possesionem minus oetatur
fruatur habeat possid]eatque quove possesio invito, mor[tuove eo heredibus eius inviteis auferatur. Quei
ager publicus populi Romanei in terram Italiam P. Muucio L. Calpurnio cos. fuit; 12: ....extra]que eum agrum, quem ex
h. l. venire dari reddive oportebit. Quei ager locus aedificium ei, quem in [vi]asieis vicanisve ex s(enatus) c(onsulto) esse oportet
oportebitve, [ita datus adsignatus
relictusve est eritve....quo magis is ag]er locus aedificium privatus siet, quove
mag[is censor, queiquomque erit,
eum agrum locum in censum referat.
[5] Cfr. A. Carandini,
La villa romana e la piantagione schiavistica, in A. Schiavone (a cura di), Storia di
Roma 4 (Torino 1989) 113 s.
[6] A. Ziolkowski,
Storia di Roma (Milano trad. it. 2000) 97.
[7] Cfr. Plin. n. h. 18. 3. 11; Varro r. r.
2. 1. 9: Non idem, quod multa etiam nunc ex vetere instituto bubus et ovibus
dícitur?
[8] Varro r. r. 2 proemium: [4] Itaque
in qua terra culturam agri docuerunt pastores progeniem suam, qui condiderunt
urbem, ibi contra progenies eorum propter avaritiam contra leges ex segetibus
fecit prata, ignorantes non idem esse agri culturam et pastionem.
[9] Liv. 10. 23. 13: Et ab aedilibus plebeiis L.
Aelio Peto et C. Fulvio Curvo ex multaticia item pecunia, quam exegerunt
pecuariis damnatis, ludi facti pateraeque aureae ad Caereris positae; Liv.
10. 47. 4: Eodem anno, ab aedilibus curulibus qui eos ludos fecerunt,
damnatis aliquot pecuariis, via a Martis silice ad Bouillas perstrata est.
[10] Ovid. fast. 5. 277–294: Vix bene desieram, rettulit illa
mihi:/ «cetera luxuriae nondum instrumenta vigebant;/ aut pecus
aut latam dives habebat humum/ (hinc etiam locuples, hinc ipsa pecunia dicta
est);/ sed iam de vetito quisque parabat opes./ Venerat in morem populi
depascere saltus,/ idque diu licuit, poenaque nulla fuit;/ vindice servabat
nullo sua publica volgus,/ iamque in privato pascere inertis erat./ Plebis ad
aediles perducta licentia talis/ Publicios; animus defuit ante viris./ Rem
populus recipit, multam subiere nocentes:/ vindicibus laudi publica cura fuit./
Multa data est ex
parte mihi, magnoque favore/ victores ludos instituere novos; parte locant
clivum, qui tunc erat ardua rupes,/ utile nunc iter est, Publiciumque vocant».
[11] Appian. b. civ. 1. 10. 38.
[12] Appian. b. civ. 1. 7. 29.
[13] Appian. b. civ. 1. 8. 34: «Queste
disposizioni furono contenute in una legge e si stabilirono penalità,
con l’intenzione che la terra avanzata sarebbe stata neduta a piccoli
lotti ai poveri. Ma nessuno si diede pensiero né della legge né
dei giuramenti…» [E. Gabba
– D. Magnino (a cura di), La
storia romana. Libri XIII–XVII. Le guerre civili di Appiano (Torino
trad. it. 2001) 69].
[14] Appian. b. civ. 1. 8. 33: «…fu
stabilito che nessuno potesse occupare più di 500 iugeri di agro
pubblico, né pascolare più di 100 capi di bestiame grosso e 500
di minuto» [o. l. c.].
[15] Cic. de inv. 2. 50. 148 = Rh.
ad Her. 1. 13. 23: paterfamilias
uti super familia pecuniaque sua legassit.
[16] Gai. 2. 224: …his verbis uti
legassit suae rei, ita ius esto…; D. 50. 16. 120 (Pomp. 5 ad
Q. Mucium): Verbis legis duodecim tabularum his ‘uti legassit suae
rei, ita ius esto’ latissima potestas tributa videtur et heredis
instituendi et legata et libertates dandi, tutelas quoque constituendi.
[17] G. Franciosi,
Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età arcaica al principato3
(Torino 1995) 26; Id., La
versione retorica e la versione giuridica di tre disposizioni delle dodici
tavole, in Ius Antiquum 1(6) (Mosca 2001).
[18] Cfr. G. Franciosi,
Per la storia dell’usucapione immobiliare in Roma antica. Un capitolo
della storia delle dodici tavole, in SDHI. 69 (2003) 12. Cfr. F. D’Ippolito, Sulla
giurisprudenza medio repubblicana (Napoli 1988) 91 ss.; Id., Le dodici tavole: il testo e la
politica, in Storia di Roma 1. Roma in Italia (Torino 1988)
402; Id., Forme giuridiche di Roma
arcaica3 (Napoli 1998) 132, 228 ss. Per M. Bretone, I fondamenti 19–20 «I Tripertita
maturarono in un’atmosfera filo scipionica. Sesto Elio li scrisse poco
prima, o non molto dopo, il suo consolato, che cade nel
[19] Ovid. fasti 5. 281: hinc etiam
locuples, hinc ipsa pecunia dicta est; Plin. n. h. 18. 3. 11: locupletes
dicebant loci, hoc est agri, plenos; Varro r. r. 3. 1. 8. Haec
nota et nobilis, quod et pecuaria appellatur, et multum homines locupletes ob
eam rem aut conductos aut emptos habent saltus.
[20] Cfr. Varro l. L. 5. 33: Ut nostri
augures publici disserunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus, Gabinus,
peregrinus, hosticus, incertus.
[21] Cato in Cic. de off. 2. 25. 89: Ex quo
genere comparationis illud est Catonis senis: a quo cum quaereretur, quid
maxime in re familiari expediret, respondit: ‘Bene pascere’; quid
secundum: ‘Satis bene pascere’; quid tertium: ‘Male pascere’;
quid quartum: ‘arare’.
[22] Cic. Brut. 89. 306: ego autem in iuris
civilis studio multum operae dabam Q. Scevolae Q. F., qui quamquam nemini se ad
docendum dabat, tamen consulentibus respondendo studiosos audiendi docebat.
[23] M. Bretone, I fondamenti del
diritto romano. Le cose e la natura (Roma-Bari 1998) 27 ss. e 33.
[24] Cfr. A. Carandini,
La villa romana e la piantagione schiavistica 113.