Ius-Antiquum-Древнее-право-20-2007
LA BASE ROMANISTICA DELLA TEORIA DI RUDOLPH VON
JHERING SULLA CULPA IN CONTRAHENDO
Rileggendo
oggi l’articolo di Rudolph von Jhering (1818-1892) sulla culpa in
contrahendo possiamo dire che egli è stato un precursore del nostro
tempo e che oggi tale teoria è ben più accettata di quanto lo sia
stata al momento della sua pubblicazione nel 1861.
In contrasto con l'impostazione fortemente nazionalistica
della Scuola Storica, Jhering pensava che "la capacita` di prendere
saggiamente a prestito" fosse uno dei motivi di vanto di un sistema
giuridico. I metodi comparativi di studio di altri sistemi e del proprio permettono
l'assorbimento tra queste dottrine ed istituzioni straniere che fossero
ritenute le piu' utili[1].
Jhering agi` come un giurista in un periodo intermedio. Tale periodo inizio` al
tempo della crisi della “Scuola Storica" (in cui la personalita`
eminente era quella di Friedrich von Savigny[2]) e
continuo` fino ai giorni dello sviluppo della scienza giuridica in direzioni
diverse in Germania.
Il primo volume del Der Geist des roemischen Rechts[3] fu
dedicato al suo maestro, il pandettista Puchta (1798-1846). Comunque da tempo
Jhering aveva deciso di prendere una direzione diversa. Nel 1857
egli inizio` la pubblicazione del Jahrbuch fuer Dogmatik des Heutigen
Roemischen und Deutschen Privat Recht. Fu questa la rivista in cui
apparve il suo articolo "Culpa in contrahendo"[4]. La
rivista venne diretta da Jhering fino all’ultimo dei suoi giorni e dopo
la sua morte ricevette il nuovo nome di: Jhering Jahrbuch.
L’esperienza di vita di Jhering lo spinse alla
conclusione secondo cui una decisione giurisprudenziale e` una creazione
incessante causata da una lotta: Der Kampf ums Recht[5]; ogni
legge compare dopo una battaglia contro una legge precedente; anche la pace
giudiziaria e` il risultato di una battaglia precedente. Il fatto che una legge
sia rispettata in un modo tradizionale non e` dovuto alla forza della coerenza,
ma e` piuttosto il segno che esistono dei forti poteri che si oppongono ai
mutamenti. Ogni persona ha il dovere di lottare per i propri diritti.
Nonostante i suoi ultimi saggi, Jhering rimase un
giurista dedicato alle fonti ed e`
tuttora considerato un romanista
affezionato alle tecniche
giuridiche. Sembra che la nostra generazione, sebbene non affezionata alle
formalita` romane (forse semplicemente perche` il Diritto Romano e` difficile
da capire...), sia piu` incline a capire la grandezza di Jhering. Forse la
nostra generazione si trova di fronte a nuovi problemi di interpretazione: la
necessita` di trovare un equilibrio tra liberta` di contratto, buona fede
correttiva e tutela del consumatore e` soltanto un esempio di questo tipo di
problema. Ma la nostra generazione e` ora in una grado di capire i pericoli e
le possibilita` della posizione di Jhering, come e` stato descritto da Franz
Wieacker nel suo Privatrechtgeschichte[6]:
“Jhering mette in evidenza l’importanza dello scopo nel
diritto. Dal momento che il diritto positivo e` anche una manifestazione di
potere e vantaggio, se dimentichiamo un principio ideale di giustizia come
importante punto di riferimento, il fissarne il contenuto rimarrebbe
all’interno della lotta di interessi personali. La posizione di Jhering
e` fluttuante tra i vantaggi dell’individuo e quelli della societa`. Solo
piu` tardi egli comprendera` che vi e` un conflitto tra le due posizioni. Piu`
tardi, la bilancia della giustizia verra` volta a favore della societa`,
venendosi a formare un nuovo termine: quello di giurisdizione come vantaggio
per la societa` o per gruppi vincenti, o, in un modo meno chiaro ma piu`
demagogico, di giurisdizione come “ vantaggio comune” o
“vantaggio per le persone”, che trasformo` il detto solenne
“la giustizia e` per il vantaggio delle persone” nel detto
“la giustizia e` tutto cio` che e` per il vantaggio delle persone”.
Il risultato sara`, contemporaneamente, l’annientamento sia della
giustizia che delle persone.
Jhering in quanto rappresentante della propria categoria deve assumersi la
responsabilita` per l’inizio di questo cambiamento rivoluzionario, anche se
non e` in grado di prevedere quale possa essere il risultato. Egli deve
assumersi la responsabilita`
esattamente come riceve il merito di essere il primo giurista ad aprire
una dimensione sociale all'interno
dei giuristi di diritto privato, senza la quale tutta la politica
giurisdizionale non sarebbe stata possibile.”
Le parole di Wieacker sono molto dure, e provengono da uno storico del
diritto che fu testimone delle atrocita` del pervertimento del diritto da parte
del popolo tedesco durante il periodo nazista...
Il fondamento della “Culpa in contrahendo”,
della buona fede precontratuale, nei diritti moderni si trova nello scritto di
Jhering dal 1861. Lo stesso Jhering baso` la sua teoria su fonti romane, fonti
in cui però non compare il
termine culpa in contrahendo[7].
E’ qui nostro desiderio esaminare le fonti romane e, alla fine,
trattare certe caratteristiche di metodologia giuridica contemporanea.
Al fine di capire le fonti romane che trattano i problemi della
responsabilita` nella conclusione di un contratto, dobbiamo innanzitutto
eseguire una breve rassegna del concetto di contractus impossibilis - un
contratto la cui esecuzione sia impossibile.
Il giurista moderno di oggi non e` abituato a
servirsi delle fonti romane;
malgrado cio` avvertiamo la
necessita` di offrire ai giuristi un certo accesso a queste fonti. Potremo
apprezzare non solo la profondita` del pensiero dei romani, ma anche dello
stesso Jhering, che seppe usare queste fonti al fine di risolvere problemi
moderni ed offrirci uno strumento giuridico dei più moderni[8].
I.
Il contratto impossibile
Affinche` l'obbligazione sia
valida, il diritto romano richiede l'esistenza di un certo numero di caratteristiche
contrattuali fondamentali, inclusa quella per cui l'oggetto dell'obbligazione
deve essere possibile, [9]
lecito, determinato, o che vi
sia almeno la possibilita` di determinarlo, e deve avere un valore monetario.[10]
La norma fondamentale relativa all'impossibilita` di un
contratto appare nel Digesto di Giustiniano: D.50.17.185, Celsus, libro octavo
digestorum, Impossibilium nulla obligatio est.[11]
Nell’ottavo libro del suo Digesto, Celso (giurista
del II secolo) tratta del contratto di compravendita (emptio-venditio):
e` possibile che il giurista romano abbia portato la norma formulata come
opinione in una determinata situazione concreta.[12] Si
poteva ritenere che la norma fosse basata sulla mancanza di volontà
delle parti di realizzare qualcosa che non avrebbe potuto realizzarsi, come il
trasferimento di un oggetto mai esistito o non piu’ esistente. Anche se
le parti non sono a conoscenza di tale inesistenza, non si e` venuta a creare
nessuna obbligazione. E` meglio quindi, pensare che la legge non volesse
proteggere cio` che sembrava illogico. Di fatti, non e` logico che sorga
un’obbligazione quando non vi e` la possibilita` di eseguirla. Allo
stesso tempo, vi sono alcuni limiti restrittivi dell’efficacia di tale norma.
Bisogna
distinguere tra impedimenti iniziali e impedimenti che si verificano
dopo il perfezionamento del contratto. Il principio di impossibilium nulla
obligatio e` di carattere generale solo per quanto concerne le preclusioni
iniziali; vedremo in seguito che, nel secondo caso, chi fosse obbligato
contrattualmente, sara` esentato solo se gli impedimenti non fossero il
risultato della propria negligenza, o di qualsiasi altra ragione a lui
imputabile. Diversamente, avranno effetto tutti gli obblighi derivanti dall’impegno
e tutte le conseguenze dell’inadempimento dell’obbligazione.
3.
Impossibilita` soggettiva e oggettiva
L’impossibilita`
soggettiva, o relativa, e` quella derivante da circostanze che dipendono
dalla parte obbligata. L’impossibilita` oggettiva, o assoluta, e`
invece connessa con l’esecuzione dell’obbligazione, ed e`
perciò di carattere generale.
In un brano di
Venuleio (D. 45.1.137, 4-5) viene posta la seguente questione: quando la parte
obbligata non puo’, dal momento che egli non la possiede e dal momento
che non vi e` chi gliela impresti, versare (dare) la somma che si e`
impegnato a consegnare, l’obbligazione si estingue, o e` almeno sospesa?
La risposta del giurista e` che tutto ciò riguarda la responsabilita`
della stessa parte obbligata. E` per lui difficile pagare il proprio
debito, esattamente come nel caso di qualcuno che si sia impegnato a consegnare
un determinato schiavo, quando il padrone dello schiavo non voglia venderlo, ma
tale complicazione non costituisce un’impossibilita` oggettiva.[13] Lo
stesso giudizio si applica in relazione ad un impegno di fare (facere)
qualcosa che la parte obbligata non e` capace di fare, ma che altri possono:
"iure factam obligationem Sabinus scribit" ( D.45.1.137.5).
Per esempio: un portabagagli s'impegna a trasportare ad un treno una valigia
che egli non riesce a sollevare. Egli non avrebbe dovuto impegnarsi, ma se egli
si sia comunque impegnato, egli deve subire le conseguenze di tale
obbligazione. Esattamente come un artista che promette di creare un'opera
d'arte non puo' sostenere che gli sia venuta a mancare l'ispirazione.[14]
In
effetti il diritto romano fa distinzione tra impossibilita` e
difficolta`, come possiamo apprendere anche dalla norma per cui
l'obbligazione di consegnare un oggetto che appartiene a qualcun altro (res
aliena) e` valida, nonostante il fatto che il vero proprietario si rifiuti
di venderlo. I giuristi romani ritengono che la difficolta` di esecuzione non
sia una causa di invalidita` della stipulatio: "sed non facit inutilem stipulationem difficultas
praestationis" (Paulus,D. 45.1.2.2).
In certi
casi, anche il tempo e` un fattore decisivo per la distinzione tra
possibilita` ed impossibilita` dell'oggetto di obbligazione. Se per esempio,
viene richiesto a Tizio che si trovava a Parigi di dare (dare) qualcosa
a Paolo a Roma, la stipulatio (secondo Giuliano) contiene la richiesta
di tempo sufficiente per raggiungere Roma. Percio`, date le
condizioni dei trasporti di quel tempo, l'impegno di consegnare qualcosa a
Paolo a Roma lo stesso giorno e` invalido, data l'impossibilita` di
giungere a Roma - da Parigi - lo stesso giorno. Alle condizioni attuali dei
trasporti, saremmo pervenuti ad una conclusione diversa.
Vi sono anche casi limite. Secondo l'opinione di Contardo
Ferrini, per esempio, l'impegno di vendere un oggetto inesistente non e`
valido, ma e` valido un impegno di garanzia di un credito inesistente (D.
5.18.4.4). Ma anche secondo Ferrini, nessuno puo' ordinare ai suoi eredi di
assegnare il legatum[15] di un
credito inesistente nei confronti di un terzo[16].
Non
mancavano disaccordi tra i giuristi romani tra loro ( Cfr. D. 31.49.2), ma,
alla fine, e` stato accettato il principio che solo l'impossibilita`
obiettiva - la quale non dipenda cioe` dalla parte obbligata - possa invalidare
un contratto. Contemporaneamente, la categoria di impossibilita` obiettiva
include anche quei casi che derivano da motivi connessi con il creditore (se la
parte obbligata non e` responsabile per detta impossibilita`). Per esempio: se
la parte, al momento dell’accettazione dell’offerta, non abbia la
capacita` di trattare (commercium) riguardo al bene che costituisce
oggetto del contratto, la stipulatio non e` valida. L'impossibilita`
viene qui considerata oggettiva; non cosi` nel caso in cui sia la parte che si
impegna a non avere commercium con un cittadino romano. Qui, dal momento
che e` esclusivamente limitata alla parte obbligata, l'impossibilita` e`
considerata soggettiva (D. 45.1.34 di Ulpiano).
4.
Impossibilita` fisica e impossibilita` giuridica
L'impossibilita` puo' essere fisica o giuridica. Se Tizio
promette di consegnare un cavallo volante o di toccare il cielo col dito[17], l'
obbligazione non puo' venir eseguita da un punto di vista fisico. Se egli invece
si impegna a trasferire la proprieta` di una res sacra o religiosa,
dal momento che tali oggetti non possano costituire oggetto di commercio (res
extra commercium[18]), si tratta, in effetti,
d'impossibilita` giuridica. Da cio` deriva, inoltre, che la stipulatio
poenae, annessa ad un contratto, non e` valida. Per esempio, Tizio
promette di dare il proprio servo a Sempronio mentre, al momento
dell’accordo, lo schiavo non e` piu` in vita. Tizio promette inoltre di
pagare 100 libbre nell’evento che il contratto non venga eseguito.
Nessuna parte dell’accordo ha validita` giuridica - neppure
l’impegno a pagare una penale - dal momento che l’efficacia della stipulatio
poenae e` subordinata a quella del contratto.
5. Acquisizione di un oggetto
non ancora esistente
Nonostante la norma nulla venditio sine re quae veneat, i
giuristi romani consideravano possibile vendere un oggetto non ancora esistente
(res futura), e che le parti lo avessero inteso come tale[19].
All'interno delle fonti gli studiosi distinguevano tra due casi di acquisto di res non ancora esistente: l'acquisto di una cosa futura, se e nei
limiti in cui verra` ad esistere (emptio rei speratae), e
l’acquisto aleatorio, o della speranza stessa, come si esprime Pomponio
(D. 18.1.18.1) (emptio spei).
Se si
acquista qualcosa che si prevede
possa realizzarsi, il contratto viene considerato valido solo se l'oggetto, in
effetti, venga ad esistenza. Per esempio: se un padrone venda la prole di una
schiava (partus ancillae), il contratto e` valido solo se la schiava
partorisca.
Se un
agricoltore vende prodotti non ancora esistenti, il prezzo viene normalmente
fissato in base ad una determinata scala di misure, e la vendita verra`
effettuata, in seguito, in relazione al prodotto utilizzabile. Per esempio: per
ogni tonnellata di grano prodotta dal campo dell'agricoltore, l'acquirente
dovra` pagare all'agricoltore una certa somma di denari. La dottrina tende a
considerare questo caso come una vendita condizionale. Anche se sono stati
avanzati alcuni dubbi circa la natura dogmatica di tale dottrina, dobbiamo
ammettere che la soluzione proposta da Pomponio nel testo base del Digesto e`
identica a quella delle transazioni condizionali.
D.18.1.8 pr. Pomponius, libro nono ad Sabinum, Nec
emptio nec venditio sine re quae veneat potest intellegi. Et tamen fructus et
partus futuri recte emuntur, ut cum esset partus, iam tunc, cum contractum
esset negotium, venditio facta intellegatur: sed si id egerit venditor, ne
nascatur aut fiat, ex empto agi posse[20].
E’ possibile che l'intenzione di Pomponio fosse
quella di indicare una soluzione simile a quella trovata in altri testi[21],
secondo la quale il contratto condizionale e` considerato valido solo con la
realizzazione della condizione. Qualora l'inesistenza della res fosse
attribuibile alla colpa del venditore, egli sarebbe responsabile nei confronti
dell'acquirente. L'azione sarebbe un'azione contrattuale (actio ex
empto), e cio` nonostante il fatto che il contratto sia nullo. E` possibile
che, in tal modo, i giuristi volessero garantire un risarcimento all'acquirente
per il danno subito a causa del mancato verificarsi della condizione[22].
L'acquisto
aleatorio, della speranza (emptio spei) si verifica quando l'oggetto del
contratto non sia una res, ma una speranza - in altre parole,
l'aspettativa che la res venga ad esistere in una determinata quantita`.
Gli esempi portati nel Digesto di Giustiniano sono divenuti prototipi della
teoria di acquisto di un oggetto non ancora esistente.
D.18.1.8.1 Pomponius, libro nono ad Sabinum, Aliquando
tamen et sine re venditio intellegitur, veluti cum quasi alea emitur. Quod fit
cum captum piscium vel missilium emitur: emptio enim contrahitur etiam si nihil
inciderit, quia spei emptio esset: et quod missilium nomine eo caso captum est
si evictum fuerit, nulla eo nomine ex empto obligatio contrahitur, quia id
actum intellegitur[23].
Dal
pescatore o dal cacciatore uno acquista quanto hanno preso. Essendo l'oggetto
dell'affare la speranza che essi prendano qualcosa, l'acquirente dovra` pagare il
prezzo concordato anche se il pescatore non abbia preso nulla.
Il terzo esempio e` piu' caratteristico della vita
romana. Quello che e` implicato e` il iactus missilium, e` cioe` il
lancio di monete al pubblico da parte dell’imperatore. Il
"venditore" promette di dare all'acquirente le monete che egli
riuscira` a raccogliere e l'acquirente, da parte sua, s'impegna a pagare in
ogni caso un determinato prezzo. Vi erano anche casi limite nei quali era
difficile stabilire se fosse in questione una res sperata o una spes,
come risulta dal passo di Giuliano, D. 18.1.39.1;[24] sulla
base di cio`, studiosi del diciannovesimo secolo tentarono di giungere ad un
criterio generale. Essi stabilirono che la vendita di un oggetto non ancora
esistente determini la figura giuridica dell'acquisto di una res sperata
o di una spes, a seconda della volonta` delle parti (quaestio
voluntatis)[25].
6. Le
conseguenze dell'impossibilita` di conseguire l'oggetto del contratto
Se l'oggetto
del contratto - al momento della sua conclusione - è assolutamente
impossibile, l'obbligazione non ha effetto. Si parla percio` di nullità
della vendita o della stipulatio.
Nel caso di un contratto bilaterale che implichi
cioè un obbligo per ambedue le parti, l'impossibilita` di una sola
prestazione causa l'annullamento dell'intero contratto e cade percio` anche la
seconda prestazione.
Il contratto non ha effetto anche se e` probabile che
l'impossibilita` venga meno - il che potrebbe far presumere che venga tenuta in
sospeso la validita` del contratto (in pendenti, Giust., Ist. 3.19.2; D.
45.1.83.5)[26]. Se Tizio promette di dare la
propria casa a Gaio e la casa e` una res sacra, o se egli promette di
dare come schiavo un uomo libero, il contratto e` invalido ab initio; in
altre parole, il contratto non diverra` valido se la res perdera` il suo
carattere sacro o se l'uomo libero diventera` uno schiavo. Se dovesse divenire
valido potremmo parlare di dilazione del normale risultato dell'accordo, di un
contratto condizionale - ma certamente non di nullita` del contratto.
Le fonti
stesse (D. 45.1.83.5; 46.3.98.8) dimostrano che, nonostante sporadici
disaccordi tra i giuristi romani, la regola per cui (1) l'impossibilita`
preclude l'attuale validita` del contratto e che (2) il fatto che
l'impossibilita` possa venir meno in futuro non viene considerato, venne
infine accettata.
Problemi speciali nascono in connessione con
l'impossibilita` parziale. Per esempio: Tizio promette di dare a Gaio una
proprieta`, parte della quale e` res sacra o religiosa (D.
42.22.1.81). In conformita` alle norme, finche` l'oggetto del contratto non
puo` realizzarsi, non vi e` alcun impegno. Il giudice deve, in ogni caso,
decidere se l'obbligazione in genere esista o meno[27].
7. Impossibilita` post
factum
Qual’è
la norma relativa ad una stipulatio di consegnare ad un acquirente uno
schiavo che appartenga ad un terzo, ed il terzo libera il suo schiavo dopo
conclusa la stipulatio fra i primi due? Se la liberazione sia stata
eseguita senza alcuna interferenza della parte contrattualmente vincolata, il
contratto e` invalido, e non diventera` valido neppure se, in seguito, l'uomo
liberato divenga nuovamente schiavo. Questa norma e` stata fissata da Paolo (D.
45.1.83.5), ma lo stesso Paolo afferma - in un altro passo del Digesto (D.
46.3.98.8) - che Celso chiarisce che è vero l'opposto, sostenendo che
l'uomo divenuto nuovamente schiavo, puo` venir nuovamente richiesto in base al
suddetto contratto. Celso basa la propria opinione con l'aiuto di un altro
esempio: se Tizio s'impegna a dare a Sempronio una nave appartenente a Gaio e,
in seguito, Gaio la smonta e la ricostruisce - con le stesse tavole di legno -
e` Tizio responsabile nei confronti di Sempronio? Celso risponde
affermativamente e, per mezzo di un'analogia, egli applica la norma al primo
caso. Inoltre, da un altro passo di Celso (D. 2.97.32), si puo' giungere alla
conclusione che questo giurista non fa distinzione tra termine finale e termine
temporaneo. Secondo l'opinione di Celso, la perdita dell'oggetto porta - in
qualunque caso - al termine del contratto che non possa venir eseguito (dari
non potest). Contemporaneamente a cio`, la rinnovata costruzione della nave
o la rinnovata riduzione in schiavitu` comporta - in tutti i casi - la possibilita`
di esecuzione (dari potest) del contratto e causa il rinascere
dell'obbligo. Non esiste l'oggetto, non esiste l’obbligazione;
l'oggetto torna al regno del possibile (fisicamente, nel caso della nave;
giuridicamente nel caso dello schiavo), l'obbligazione diviene nuovamente
valida.
La
prospettiva di Paolo e` differente. Nel caso della nave, egli ritiene che Tizio
sia obbligato nei confronti di Sempronio solo se Gaio "avesse avuto in
mente" di ricostruire la nave. In tal caso - a sua detta - si tratta della stessa nave che Tizio aveva
promesso di consegnare (hic enim eadem navis est), e, percio`,
l'obbligazione venne interrotta ma non invalidata.
Io non ritengo, come il Professor Grosso, che "in
realta`, la nave non e` distrutta, quindi non si puo' parlare di inesistenza
della cosa promessa che e` appunto l'ipotesi in cui si individuerebbe
l'impossibilità”[28]. In
realtà, io non vedo alcuna differenza nella pratica tra la situazione
nella quale il proprietario della nave "avesse avuto in mente" all'origine
di ricostruire la nave e quello nel quale il proprietario abbia pensato
differentemente, cambiando poi idea e ricostruendo la nave (un caso che causa
l’invalidita` del contratto); la differenza e` solo nell’intenzione
della parte. Il giurista poteva pervenire ad una soluzione del problema solo
per mezzo di una determinata finzione: "Apparentemente, la nave non
è mai stata smontata" (nondum
intercidisse navis videtur), e ciò è basato unicamente sulle
intenzioni del proprietario nella nave. Percio` Paolo fonda la propria
opinione su due principi:
l'identita` del soggetto, e la diversita` tra impossibilita`
permanente - la quale causa la nullita` del contratto (extingui) -
e impossibilita` solamente temporanea - la quale causa una paralisi
temporanea (cessat). Il
creditore non puo` richiedere l'esecuzione del contratto se essa non è
immediatamente possibile; l'opinione di Paolo venne accolta dai giuristi di
Giustiniano[29].
Vi e` un ulteriore problema che sorge in connessione con
la permanenza o la temporaneita` dell'impossibilita`. Basandosi sulle fonti, si
puo' concludere che un'impossibilita` determinata da fattori giuridici viene
sempre considerata permanente e stabile. La ragione di cio` ci viene fornita
dallo stesso Paolo, quando dice che non e` ne` civile ne` naturale
l'attendersi che un uomo libero divenga schiavo (liberi neque
civile neque naturale est et casum adversamque fortunam spectari hominis)
(D. 45.1.83.5)[30]. Vi e` un interesse pubblico
a precludere la speranza (spes)
che la res torni al suo stato precedente, in contrasto con l'esistente
situazione giuridica.
In relazione all'impossibilita` derivante dalla perdita
dell'oggetto, possiamo distinguere tra perdita totale (come nel caso della
morte dello schiavo)[31] - che determina l'estinzione del
contratto - e perdita che permette l'esistenza rinnovata dell'oggetto. In
questo contesto, ogni caso va esaminato separatamente. A volte,
l'impossibilita` e` solo temporanea, ma vi sono anche casi in cui essa e`
permanente, come nel caso della distruzione di un edificio, o in quello dello
smembramento di una nave, qualora il proprietario abbia voluto smontarla
definitivamente (D. 45.1.83.5).
Un caso speciale di impossibilita` post factum si
verifica quando l'oggetto che
costituisce l'oggetto del contratto pervenga al creditore per un'altra
via. Per esempio: Tizio promette di trasferire a Sempronio la proprieta` del
campo di Gaio. Gaio muore, e nel suo testamento lascia il campo a Sempronio[32].
L'impossibilita` di per se`, non libera la parte
vincolata dalla propria obbligazione. La parte e` liberata solo se
l'impossibilita` non sia il risultato di un "atto" da lui effettuato.
Tale espressione era intesa dai giuristi romani in senso molto ristretto. Per
esempio: qualora la parte vincolata non avesse guarito lo schiavo promesso,
essa non sarebbe stata responsabile. Paolo giustifica cio`(D. 45.1.91 pr.)
scrivendo che l'oggetto dell'obbligazione era quello di dare, e non di
facere[33] - e cioe` l'esecuzione di
attivita` non ricomprese tra le attivita` di ordinaria amministrazione, quali
le cure mediche, molto costose. E` inteso che la parte vincolata sarebbe stata
in ogni caso responsabile qualora fosse stata in ritardo (mora)
nell'esecuzione del contratto. Percio`, qualora Tizio avesse gia` dovuto
consegnare lo schiavo, egli sarebbe stato responsabile anche se lo schiavo
fosse stato ucciso o fosse morto accidentalmente. Nel caso di mora, la parte e` sempre
responsabile.
8.
Introduzione
Per quanto concerne la validita` del
contratto, non ha generalmente alcuna importanza il fatto che le parti
sapessero che l'oggetto dell'obbligazione fosse, fisicamente o giuridicamente,
di realizzazione impossibile. Non vi e` alcuna norma in diritto romano che
appoggi la validita` di un contratto se l’impossibilita` originaria
deriva da motivo riconducibile alle parti. Per esempio: se Gaio promette di
trasferire la proprieta` della sua casa di campagna e al momento dell'accordo
la casa e` andata in fiamme, ad insaputa delle parti, il contratto non e`
valido. Ma il contratto e altresi` invalido qualora Gaio prometta di vendere la
prole di una schiava che egli sa essere sterile o di trasferire la proprieta`
di una res che egli sa essere extra commercium. Non sarebbe
logico applicare le norme relative all'impossibilita` post factum all'impossibilita`
originale. Nel primo caso, infatti,
quando l'oggetto diviene impossibile, esiste gia` un rapporto
contrattuale (vedi D. 45.1.35).
Nel diritto romano classico, si distingue tra accordi
stricti iuris ed accordi bonae fidei[34]. Nel
primo caso (per esempio nella stipulatio) le fonti non forniscono una
chiara prova della responsabilita` delle parti - contrariamente al secondo
caso. Il fatto che questi contratti si basino sulla buona fede permette al
giudice di tener conto non solo del rapporto derivante dal contratto stesso
(adempimento - o inadempimento), ma anche della condotta delle parti al momento
in cui il contratto diviene efficace. Al fine di chiarire l'argomento,
esamineremo un certo numero di fonti che trattano in particolar modo della
vendita di un uomo libero e della vendita di res sacrae, religiosae,
publicae.
9. La vendita di un uomo libero
La vendita di un uomo libero veniva considerata valida
qualora l'acquirente non fosse al corrente dello stato dell'uomo a lui venduto.
La ragione di cio` viene data da Paolo i9n
D.18.1.5:Paulus, libro quinto ad Sabinum, Quia difficile dinosci
potest liber homo a servo[35].
Malgrado il fatto che il passo del giurista determini solo il fondamento logico
della norma fissata, e` ragionevole supporre che ogni qualvolta l'acquirente
non sia al corrente di tali fatti il contratto non venga considerato valido.
Alla fin fine, deve esservi stata qualche difficolta` connessa con il sapere se
l'uomo acquistato fosse in effetti uno schiavo; non e` possibile - in ogni caso
- riconoscere facilmente se un determinato uomo sia libero o meno. Per esempio:
se un uomo abbandona il proprio figlio, l'uomo che lo allevi puo', a tutti gli
effetti, trattarlo [il figlio] come uno schiavo e, di conseguenza, renderlo
oggetto di obbligazioni. Ciononostante, l'uomo rimane libero dal punto di vista
giuridico. Inoltre, il commercio di schiavi era molto sviluppato. Questa
situazione era talmente comune che i giuristi avvertirono la necessita` di dare
a questo fenomeno una speciale denominazione, liber homo bona fide serviens,
e parecchi testi trattano di questo argomento[36]. Lo
studioso Haymann ritenne che i testi siano stati interpolati e che questo
principio non esistesse durante il periodo classico. Grosso, da parte sua,
scrive che e` "possibile" che il principio ci sia pervenuto dopo
disaccordi e l'interpolazione dei testi. In ogni caso, egli vede in esso un
principio di diritto classico.[37] Anche a
mio avviso la norma e` il prodotto di giuristi classici e puo` essere che si
siano verificate diverse interpolazioni. Io vedo una prova di cio` nel passo
seguente:
D.18.1.70, Rufinus, libro octavo regularum, Liberi
hominis emptionem contrahi posse plerique extimaverunt, si modo inter
ignorantes id fiat. Quod idem placet etiam, si
venditor sciat, emptor autem ignoret. Quod si emptor sciens
esse emerit, nulla emptio contrahitur[38].
Questo passo prova che i giuristi
classici hanno trattato il problema, e che vi erano differenti opinioni; se
"la maggior parte ha ritenuto che ...", e` chiaro che vi era anche
una minoranza che riteneva il contrario. E` difficile dare per scontato che i
giuristi giustinianei si siano spinti fino al punto di falsificare un
argomento, ed e` ancora piu' difficile pensare che essi - i quali sostenevano
il favor libertatis)- siano
stati i primi a concepire questa norma, come ritiene Haymann.I giuristi romani
giustificavano la norma relativa alla vendita di un uomo libero con la
difficolta` di distinguere tra un uomo libero ed uno schiavo. Ma cio` non e`
sufficiente. Abbiamo ricordato il carattere del contratto di compravendita nel
periodo classico. Di fronte all'obbligo dell'acquirente - che e` quello
di assicurare la "proprieta`" di una somma di danaro al venditore -
vi e` l'obbligo del venditore:
D.19.4.1. pr., Paulus, libro trigesimo secundo ad edictum: Sicut
aliud est vendere, aliud emere, alius emptor, alius venditor, ita pretium
aliud, aliud merx... Emptor enim, nisi nummos accipientis fecerit, tenetur ex
vendito, venditori sufficit ob evictionem se obligare possessionem tradere et
purari dolo malo itaque, si evicta res non sit, nihil debet...[39]
Ciò vale a dire che il venditore non deve
trasferire la proprietà, ma solo il possesso (possessio)
dell'oggetto. Il risultato e` che - anche quando si fosse chiarito che
l'acquirente non aveva ricevuto la proprieta` dell'oggetto - egli non avrebbe
ottenuto il permesso di agire contro il venditore, tranne in caso di evizione (evictio)[40]. In
diritto romano era possibile detenere un uomo libero considerato in buona fede
schiavo (Gaio, 2.86), ed era percio` possibile venderlo per mezzo di un
contratto di compravendita (emptio); l'acquirente e` protetto, nei
confronti del venditore, da un'azione contrattuale, ex empto.[41] Secondo
l'Arangio Ruiz si tratta qui di una vendita putativa[42]. Vale
la pena ricordare che anche il pretore non accordava ad un uomo che avesse
consapevolmente acconsentito ad essere venduto come schiavo, la possibilita` di
diventare successivamente libero (vindicatio in libertatem)[43].
Contrariamente a cio`, se
l'acquirente sapeva che l'uomo che stava per acquistare era un uomo libero il
contratto era nullo.
Consistentemente, la nullita`
della stipulatio del dare un uomo libero e` specificamente
stabilita. Era impossibile trasferire la proprieta` dello stesso uomo
(D. 45.1.103). Nelle Istituzioni di Gaio 3.97, leggiamo:
Si id, quod dari stipulamur, tale sit ut dari non possit,
inutilis est stipulatio, velut si quis hominem liberum quem servum esse
credebat, aut mortuum quem vivum esse credebat, aut locum sacrum vel religiosum
quem putabat humani iuris esse, dari stipuletur[44].
10. La
vendita di una res extra commercium
Il
secondo caso che desideriamo trattare e` connesso con il problema della
validita` della vendita di una res extra commercium, per esempio: la
vendita di una terra ove si trovi una tomba (res religiosa) o un tempio
consacrato (res sacra). Nonostante che tali casi fossero meno comuni di
quelli della vendita di un uomo libero, essi hanno accentratto
l’interesse dei giuristi in misura non trascurabile.
I testi del Digesto contengono contraddizioni interne che rendono il quadro non chiaro, onde
gli studiosi, che erano relativamente concordi per quanto riguardava la vendita di un
uomo libero, sono giunti a diverse conclusioni. Il comune denominatore tra loro
e` l'uso, in gran misura, del metodo interpolazionistico allo scopo di adattare
i testi in contraddizione con le teorie da loro scelte.
Generalmente quando ci troviamo in una situazione del genere, si tenta di
trovare la chiave in quanto rimane dei testi classici, ed in particolare nelle
Istituzioni di Gaio.
La maggior parte degli studiosi partono dal presupposto che,
al contrario del caso di un uomo libero, non sia possibile detenere una res
extra commercium in buona fede. Tuttavia dal passo delle Istituzioni di
Gaio appare il contrario[45].
Gaius 2.45-48: 45. Sed aliquando etiamsi maxime quis bona
fide alienam rem possideat non tamen illi usucapio procedit, velut si quis rem
furtivam aut vi possessam possideat; nam furtivam lex XII tabularum usucapi
prohibet, vi possessam lex Iulia et Plautia. 46. Item provincialia praedia
usucapionem non recipiunt. 47. (Item olim) mulieris quae in agnatorum tutela
erat res mancipi usucapi non poterant,praeterquam si ab ipsa tutore (auctore)
traditae essent; id ita lege XII tabularum cautum erat. 48. Item liberos homines
et res sacras et religiosas usucapi non posse manifestum est[46].
Gaio stabilisce che, anche se qualcuno detiene in estrema
buona fede la proprieta` di un altro, non vi e` di fatto usucapio[47] a suo favore (2.45); come esempio, egli spiega che ognuno
sa che non vi e` usucapio nei
confronti di un uomo libero, di una res sacra o di una res religiosa
ed e` inteso che non vi possa essere un proprietario di un uomo libero. Se
cosi` fosse, cioe` se uomini liberi potessero costituire oggetto di proprieta`,
quest'uomo diverrebbe uno schiavo, in contraddizione con la norma che
stabilisce espressamente i modi per
ridurre in schiavitu`. Questa stessa norma si applica a beni extra
commercium, alle res sacrae o religiosae, e nessuno puo'
esserne proprietario. Questo e` il primo significato del passo. Tuttavia anche
rispetto alla res sacrae o religiosae
esiste la possibilita` di possessio nella stessa misura che abbiamo
visto in relazione ad un uomo libero. Altrimenti, non potremmo capire la logica
del sostenere che non vi sia possibilita` di ottenere usucapio riguardo
a questi beni. Dopo tutto, usucapio senza possessio sarebbe inconcepibile! La
norma appare anche in un altro passo del Digesto
D.41.3.9, Gaius, libro quarto ad edictum
provinciale, Usucapionem recipiunt maxime res corporales, exceptis rebus
sacris, sanctis publicis populi Romani et civitatium, item liberis hominibus[48].
Vediamo di nuovo che cio`
di cui si parla e` l'impossibilita` di usucapio di una res extra
commercium e di uomini liberi.
Al fine di comprendere
adeguatamente quanto sta dietro il testo dobbiamo ricordare che, nel diritto
romano classico, il titolo bona fide possessor definisce due diverse
forme di comportamento: una piu' generale e l'altra piu' limitata.
Un bona fide possessor e`, generalmente un uomo
che non sa che, detenendo un bene, lede il vero proprietario dello stesso. Nel
caso di perdita accidentale del bene, il possessore non avra` alcuna difesa. In
un’interpretazione piu' ristretta, un bona fide possessor e` un
uomo che risponde a tutti i requisiti per pervenire all'usucapio del
bene; e cioe` per divenire a tempo debito il vero proprietario. Oltre alla buona fede, sono qui richieste iusta causa e l'assenza di
vizi. Per la difesa del possesso era concessa a questo possessore la actio
publiciana, sia nel caso di perdita dell'oggetto, che contro i proprietari.
Dai due passi di Gaio - nelle Istituzioni e nel Digesto - possiamo concludere
che, sia nel caso dell'uomo libero[49] che in
quello della res extra commercium, ci troviamo nel primo e piu' generale
ambito del bona fide possessor. Egli non puo' acquisire la proprieta`
sull'uomo o sul bene.
Dobbiamo occuparci di un
altro passo:
D.41.2.30.1, Paulus, libro quinto decimo ad Sabinum, Possessionem amittimus
multis modis, veluti si mortuum in eum locum intulimus, quem possidebamus:
namque locum religiosum aut sacrum non possidere, etsi contemnamus religionem
et pro privato eum teneamus, sicut hominem liberum[50].
Nel suddetto passo si tratta dell'impossibilita` di
possedere un luogo religioso se il possessore lo detenga non in buona
fede. Un uomo non religioso non puo' sostenere di non essere credente e di
volere, percio`, possedere il luogo in cui egli stesso ha seppellito un morto.
Seppellendolo, egli ha
automaticamente perso il possesso del luogo (il quale e`divenuto
"religioso"). Non si puo' qui sostenere che vi sia buona fede, e che
l'intenzione del possessore non sia rilevante: chi possegga in buona fede una res
extra commercium o un uomo libero, perde il possesso su di essi non appena
venga a conoscenza della natura del bene o al momento in cui lo
"schiavo" venga riconosciuto come uomo libero - in contraddizione
alla norma mala fides
superveniens non nocet che si applica normalmente in casi di possessio
sulla via dell' usucapio[51].
Alla luce di questi fatti, procediamo ad un ulteriore
esame delle fonti del Digesto che trattano della vendita di res extra
commercium[52]. Non molto puo' venir appreso
da D.11.7.8.1[53] dato che esso sembra essere
interamente interpolato. Da un lato, vi sono parecchi vizi puramente formali;
dall'altro, anche da un punto di vista sostanziale, in nessuno altro testo
viene fatta menzione della actio in
factum relativa alla vendita di res religiosae, e vi sono
stati studiosi che hanno collegato il passo al caso della sconsacrazione di una
tomba da parte di un acquirente in buona fede[54].
Personalmente sono d'accordo con Peter Stein: "La nostra conclusione,
circa il D.11.7.8.1, e` percio` che in diritto classico non era
specificatamente contemplata un'azione dell'acquirente contro il venditore. I
compilatori hanno erroneamente interpretato la actio in factum come
azione a vantaggio dell'acquirente, hanno facilitato il riferimento alla frode,
ed hanno aggiunto la parte da quae actio alla fine"[55].
Un
importante passo per il nostro argomento è
D.18.1.62.1, Modestinus, libro quinto regularum, Qui
nesciens loca sacra vel religiosa vel publica pro privatis comparavit, licet
emptio non teneat, ex empto tamen adversus venditorem experietur,ut
consequatur,quod interfuit eius,ne deciperetur[56].
Da un lato, il testo stabilisce che la compravendita e`
invalida. Dall'altro, concede un'azione contrattuale contro il venditore, e
parecchi hanno avvertito una contraddizione interna: se non vi e` contratto,
non puo' esservi azione contrattuale. Il testo ci dimostra che i giuristi
difendevano costantemente l'acquirente in buona fede che non conosceva lo stato
giuridico della res [57]; in tal
caso i giuristi classici gli concedevano un'azione contrattuale. La
frase licet emptio non teneat e` stata probabilmente interpolata dai
giuristi giustinianei[58]; la loro intenzione era il
fatto che la compravendita non poteva in nessun modo avere il normale
risultato, il trasferimento di proprieta`.
Anche in relazione alla vendita di res extra
commercium, cosi` come nella vendita di un uomo libero, possiamo quindi
arrivare alla conclusione che la vendita sia valida solo se l'acquirente non
fosse stato a conoscenza dello stato giuridico della res. Abbiamo di
fronte un caso eccezionale: si potrebbe forse pensare, in via di principio (e`
cio` e` valido anche per la vendita di un uomo libero), che il contratto non
sia valido anche nel caso in cui l'acquirente non fosse a conoscenza.
Diversamente, non sarebbe possibile capire in che modo la vendita di un uomo
libero, quando le parti sono a conoscenza della sua condizione, causi la
nullita` del contratto. La validita` del contratto, in questo caso, si discosta
dalla norma che determina la nullita` del contratto in ogni altro caso[59].
Non e` necessario dire che la stipulatio di dare
res extra commercium non e`valida; il passo di Gaio (3.97)
precedentemente riportato e` molto chiaro[60].
Abbiamo di fronte un caso di impossibilita` giuridica dell'oggetto
dell'obbligazione.
11. La
teoria della culpa in contrahendo di Jhering.
I dati
fin qui esaminati ci hanno permesso di trattare dell'estensione della
responsabilita` che il diritto romano impone alla parte la quale – con consapevolezza
o senza - abbia fatto si che il contrato fosse nullo.
Nel 1861 Rudolph Von Jhering creo` la teoria della
culpa in contrahendo (o colpa nella formazione di un contratto)[61]. Nella
sua ricerca, Jhering tratta esplicitamente del diritto romano, allora in vigore
in Germania, e le fonti romane sono per lui il punto di partenza; ciononostante
molti studi moderni ignorano completamente la prospettiva romana[62].
La questione si pone quando un uomo abbia supposto - e,
in base alle circostanze, egli era in diritto di supporre - che esistesse un
contratto. Facendo affidamento su questa supposizione, egli verso` denaro
proprio, o non si interesso` alla possibilita` di concludere altri contratti, o
respinse tali possibilita`, e in conseguenza di cio` ha subito un danno o perse
un guadagno sicuro. Qual`e` il suo diritto in questo caso? E` il diritto pronto
ad intervenire in suo aiuto, o tutte le vie gli sono bloccate? Il diritto
tedesco non concedeva alcun rimedio, e, invero, tale situazione era gia`
sembrata ingiusta a Richelmann[63].
Jhering giunse alla conclusione che se sia stato formato un contratto invalido,
e se una delle parti avrebbe dovuto esserne a conoscenza, o se essa avrebbe
potuto prevenire l'invalidita` del contratto[64], la
controparte ha il diritto di chiedere un risarcimento per il danno a lui
causato dalla mancata formazione del contratto, fino all'ammontare
dell'interesse negativo[65].
Secondo
la teoria di Jhering, un certo numero di cose sono tipiche della
responsabilita` nella formazione di un contratto:
1. Si tratta della responsabilita` contrattuale e
le azioni che ne derivano sono contrattuali. Un uomo che tratti con un
altro con lo scopo di formare un contratto, entra con cio` nell'ambito
contrattuale, e i suoi obblighi saranno positivi, e non solo negativi. A
differenza dell'ambito non - contrattuale, nel quale gli obblighi sono negativi
per natura (non violare la proprietà di…, non disturbare il privilegio di...)[66].
2. Si tratta qui della responsabilita` per negligenza.
La parte che viene a formare un rapporto contrattuale deve accertarsi che
esistano di fatto le condizioni necessarie per la formazione di un contratto, o
deve crearle qualora dipenda da lui. In questo contesto, Jhering preferiva
parlare di colpa nella trattativa contrattuale (culpa in contrahendo).
Talvolta, Jhering ipotizza una presunzione di negligenza[67]. Al
fine di determinare tale responsabilita` per negligenza nella trattativa (culpa
in contrahendo) e` necessario che la nullita` del contratto derivi, tra
l'altro da:
a.
l'impossibilita` giuridica dell'oggetto dell'obbligazione. Gli esempi forniti
da Jhering sono la vendita di un uomo libero o di una res extra commercium.
b. l’impossibilita` fisica dell’oggetto
dell’obbligazione. Per esempio la vendita di un’eredità o di
un credito inesistente[68].
La teoria di Jhering ha influenzato - in misura notevole
- il diritto tedesco
[69] in particolare, e quello
continentale in generale; oggi, un certo numero di codici, compreso il B.G.B. dopo
la riforma del dirito delle obbligazioni del 1 gennaio 2002[70], stabiliscono espressamente la
responsabilita` al momento della formazione del contratto.
Sia quella che sia la nostra idea sull’esame di
Jhering delle fonti romane, dobbiamo iconoscere che egli ha ben compreso lo
spirito del diritto romano[71], e che
ancor oggi, nessuno studio serio sulla responsabilita` in contrahendo
puo' prescindere dalla sua opinione[72].
Dall’esame delle fonti romane che abbiamo svolto in
precedenza si puo' concludere che: 1. in diritto romano vi e` responsabilita`
nella formazione del contratto e che tale responsabilita` viene considerata per
se` stessa contrattuale. Per dedurre cio` e` sufficiente il fatto che i
giuristi romani concedano in questi casi un'azione contrattuale. Secondo
Jhering, il completamento di un contratto determina l'obbligo di esecuzione o,
qualora non fosse possibile, il
risarcimento. Il termine "nullita`del contratto" si riferisce
all'impedimento delle normali conseguenze di un contratto, ma non di qualsiasi
conseguenza[73].
2.
Abbiamo visto che la vendita di un uomo libero o di una res extra
commercium e` valida quando l'acquirente abbia dato in buona fede il suo
consenso all'accordo. Di conseguenza, in questi casi, non e` possibile parlare
di responsabilita` nella formazione di un contratto, la quale viene considerata
precontrattuale, ma di responsabilita` contrattuale. Si sarebbe potuto parlare
di responsabilita` nella formazione di un contratto rispetto alla stipulatio
di dare tali beni, ma nelle fonti romane non vi e` alcun accenno a
questo.
Anche parlando di impossibilita` fisica possiamo
distinguere tra un contratto di vendita ed una stipulatio; la base di
questa distinzione e` differente da quella del caso precedente: la`, nel caso
di impossibilita` giuridica, abbiamo fatto distinzione tra impossibilita` di
trasferimento della possessio (quando si tratti di emptio-venditio), ed impossibilita` di trasferimento della
proprieta` (nella stipulatio
di dare). Qui, nel caso di impossibilita` fisica, la distinzione deriva
dalla differenza di procedura. Nel caso di emptio-venditio, sia l'azione
che il diritto sono fondati sulla actio bonae fidei. Nel caso di
stipulatio - d'altro lato - l'azione ed il diritto sono basati
esclusivamente sullo strictum ius. Le conseguenze che ne derivano sono
estremamente importanti: la parte che tacque, pur essendo a conoscenza
dell'inesistenza fisica dell'oggetto del contratto, sara` esente da
responsabilita` nel caso di una stipulatio, basata appuntosullo strictum
ius; d'altro lato, in una emptio-venditio,
dal momento che il giudice e` autorizzato a tener conto della buona fede delle
parti, essa sara` responsabile per un tale silenzio. Tale responsabilita` e`
limitata al danno causato dall'invalidita` del contratto (interesse negativo):
gli esempi portati nelle fonti sono la vendita di un bene concreto, il credito
e l'eredità[74].
Da
quanto detto, si puo' concludere che la norma secondo la quale l'impossibilita`
dell'oggetto causa la nullita` del contratto (e, di conseguenza anche del
contratto di vendita) rimane valida. Ciononostante, la frode del venditore che
tenti di ingannare l'acquirente inconsapevole, ha come conseguenza non solo la
restituzione del denaro ricevuto, ma anche un'azione di risarcimento dei danni.
A tal fine, e` possibile avvalersi dell'azione contrattuale (actio
empti).
Nel diritto romano classico e`, percio`, possibile
parlare di dolus in contrahendo, di frode al momento della formazione
del contratto, e non propriamente di culpa in contrahendo:[75] Era questa una soluzione piu' soggettiva del problema (dal momento che il dolus
ha, ovviamente, una connotazione soggettiva). La soluzione proposta da
Jhering, quella oggettiva, e` senz’altro piu' moderna, ed e`, a nostro
parere, la soluzione giusta per i nostri tempi.
Non vi e` un principio generale in tema di
responsabilita` nella formazione di contratto. Questa responsabilita` deriva
dal principio di bona fides su cui si basa un contratto di
compravendita. Le fonti romane non fanno cenno se sia possibile applicare le
stesse norme anche ad altri contratti basati sulla buona fede[76].
12. La
teoria di Heldrich e la sua confutazione.
Come e` possibile immaginare, parecchi studi si sono
occupati, dopo la ricerca di Jhering, della teoria della responsabilita` nella
fase della formazione del contratto[77]. E`
chiaro che non e` questo il luogo per trattare ognuno di questi tentativi[78], ma mi
sembra opportuno ricordare in particolare il tentativo di Heldrich[79], dal
momento che un certo numero di sue asserzioni, nella discussione relativa alla
responsabilita` al momento della formazione del contratto nel diritto romano
classico, vengono sostenute anche oggi da alcuni studiosi di diritto moderno.
Heldrich
sostenne che, nel diritto classico, nei confronti della parte che voleva
ingannare l'altra, veniva concessa solamente la actio doli. Sarebbero
stati i giuristi giustinianei che avrebber interpolato tutti i testi che
facevano menzione della actio
doli e introdussero, in sua vece, l' azione contrattuale per punire
sia per la frode, sia per la negligenza nella conclusione del contratto. Se, da
un lato, i giuristi bizantini concessero maggior protezione alla parte lesa,
dall'altro, secondo Heldrich, la nuova soluzione non ebbe successo da un punto
di vista dogmatico. Essi concedono un'azione contrattuale dove, essendo il
contratto nullo, non vi e` contratto:
licet emptio non teneat, ex empto tamen adversus venditorem experietur
ex empto.
Heldrich
vuole trovare una prova ulteriore a favore della sua teoria in un passo di
Cicerone nel De officiis: esso tratta di un patrizio romano, Gaio, che
voleva acquistare una villa a Siracusa, in Sicilia, per invitare amici e vivere
in pace - lontano da persone fastidiose. Un banchiere di Siracusa di nome Pizio
disse a Gaio di non aver ville in vendita, ma di volerlo invitare nella sua
villa e gli chiese di sentirsi come a casa sua. Egli lo invito` anche
l'indomani a cena e Gaio accetto` l'invito. Il banchiere, che era molto noto in
citta`, invito` tutti i pescatori della zona a venire l'indomani a pescare
proprio davanti alla propria villa, e diede loro istruzioni. All'ora fissata
Gaio giunse a casa di Pizio. La cena fu regale. Davanti agli occhi dei
commensali vi era un gran numero di barche da pesca, ed ogni pescatore gettava
i propri pesci ai piedi di Pizio. Gaio chiese da dove venissero
tutti quei pesci e quelle barche e Pizio rispose: “Perche` meravigliarsi?
Tutti i pesci di Siracusa si trovano in questo posto; ognuno viene qui per
prendere acqua. I pescatori non potrebbero vivere senza questa villa."
Gaio rimase tentato e chiese di tutto cuore di acquistare la villa. Pizio dapprima si rifiuto`, ed
infine accetto`. Gaio compro` la villa provvista di tutto il mobilio, ed
acconsenti` a pagare il prezzo richiesto. Il contratto venne concluso in
maniera solenne: nomina facit, negotium conficit. Il giorno dopo, Gaio
invito` i suoi amici, ma ahime’ non si vide nessuna barca. Egli chiese
alla gente del posto se - per caso
- fosse quello un giorno di vacanza per i pescatori, ma essi dissero che di solito non si
vedeva alcun pescatore nella zona, ed erano percio` meravigliati di quanto era
accaduto il giorno prima. Gaio era pieno d'ira, "ma cosa fare? Il mio
collega ed amico Gaio Aquilio non aveva ancora emanato le regole contro la frode"
(formulas de dolo malo): fin qui le parole di Cicerone. Heldrich
ritiene, come abbiamo accennato, che ci troviamo di fronte alla prova lampante
che l'unica azione in questi casi fosse quella della actio doli.
Altrimenti, come mai Gaio non poteva trovare altra via per agire contro il
banchiere fraudolento?
Ma, probabilmente, le cose non stanno cosi`: abbiamo di
fronte un caso di transcriptio a re in personam, per mezzo della quale
Gaio diviene parte vincolata di un’obbligazione formale, solenne, non
piu` dipendente dalle ragioni del contratto.[80]
Da qui, e` chiaro che l`unica soluzione avrebbe potuto
essere la concessione di una actio doli, [81] la
quale veniva concessa solo in via secondaria, quando non vi fosse alcun altro
rimedio possibile.[82]
Come abbiamo gia` detto anche noi non accettiamo la teoria di Heldrich[83]. Non vi
e` alcun testo che appoggi la concessione della actio doli.
Ciononostante, abbiamo fatto riferimento a questa teoria non solo per
l’importanza dei suoi sostenitori[84],
ma anche perchè ancor oggi si sentono argomenti simili a quelli
sostenuti da Heldrich:- “Se non vi e` contratto non vi e` neppure una
responsabilita` contrattuale[85]”.
Si
puo`dire che la teoria di Jhering, che riconosce determinate conseguenze
derivanti da un contratto nullo, corrisponde alle fonti romane, ed e` stata
alla base di sviluppi nel diritto moderno - sviluppi che a noi sembrano
desiderabili.
Non fu la mancanza di possibilita` o l’assenza di
strumenti adatti nel diritto romano classico che causo` l’uso
dell’azione contrattuale, ma piuttosto una chiara decisione dei giuristi
- i quali videro non solo i vantaggi pratici, ma anche la giustificazione
dogmatica della soluzione. Cio` spiega la portata dell’influenza del
diritto romano su quello moderno anche in questo campo[86]; come
è noto il Codice Civile tedesco, B.G.B. ha adottato prima il principio
generale di esecuzione contratuale in buona fede (Art. 242) ed ora, con
l’entrata in vigore della Riforma del diritto delle obbligazioni, il
primo gennaio 2002, ha accolto espressamente il principio della culpa in
contrahendo, che è alla base dell’articolo 1337 del Codice
Civile italiano e dell’art. 12 della legge israeliana sui Contratti
(Parte generale), 1973[87].
А. М.
РАБЕЛЛО
РОМАНИСТИЧЕСКАЯ
ОСНОВА
ТЕОРИИ CULPA IN CONTRAHENDO Р.
ФОН ИЕРИНГА
РЕЗЮМЕ
Доктрина
culpa in
contrahendo
появилась в 1861
г. после
появления
статьи
Р. фон
Иеринга на
эту тему. В
свою очередь
доктрина
Иеринга
базировалась
на источниках
римского
права, хотя у
римских юристов
нельзя найти
выражение culpa in
contrahendo. По
мнению
Иеринга, если
был заключен
недействительный
договор, и
если одна из
сторон должна
была знать о
его
недействительности
или могла
предотвратить
ее,
контрагент имеет
право
требовать
возмещения
своего ущерба,
вызванного
недействительностью
договора, в
размере
заключающем
негативный
интерес, то
есть те
реальный
ущерб и
упущенную выгоду,
которые
связаны с
самим
вступлением
в процесс
заключения
договора, и
обоснованными
надеждами на
его
действительность,
но не ту
выгоду,
которая
вытекала из
самого этого
договора и
которая была
упущена из-за
его
недействительности.
Это
требование
контрагента
является
договорным,
так что ничтожный
договор хотя
и не
порождает
тех последствий,
на которые
направлено
волеизъявление
сторон,
однако он
порождает
иные последствия
(договорная
ответственность),
поэтому понятие
“ничтожности
договора”
относится
лишь к
несуществованию
его
нормальных типичных
последствий,
а не любых
юридических
последствий.
Автор
статьи
отмечает, что
эти идеи
Иеринга
повлияли и на
современную
догматику.
По
мнению
автора, можно
сказать, что
теория Р.
Иеринга,
которая
признает
определенные
юридические
последствия
ничтожного
договора,
соответствует
римским
источникам, и
именно она
стала базой
для развития
в том же
направлении
современной
доктрины, и
это развитие
можно только
приветствовать.
Если ранее BGB
признавало
только общий
принцип
добросовестности
в исполнении
договорных
обязательств,
то после
реформы с 01.01.2002 г.
оно открыто восприняло
доктрину culpa in
contrahendo,
которая
лежит в
основе и ст. 1337 ГК
Италии, и ст. 12
Израильского
закона о
Контрактах
(Общая часть)
1973.
С другой
стороны, эта
теория
представляет
собой
некоторую
модернизацию
римских источников,
поскольку
они
объективно
дают основания
говорить о dolus in
contrahendo, но не о culpa in
contrahendo.
[1] Su Jhering si veda in generale: W.
Wertenbruch, Versuch einer krischen
Analyse der Rechtslehre Rudolph von Jherings, Berlin, 1955; M. Smith, A General view of European Legal History
and other papers, New York,1967;
S.P. Turner, Max Weber: the layer and
social thinker, Hans, s.d.; F. Wieacker, Rudolph von Jhering, Stuttgart,
1968; Goettinger Symposion zur 150. Wiederker des Geburtstages von Rudolph von
Jhering, Vandenhoeck & Ruprecht, Goettingen, 1968-1970; M. Fromont & A.
Rieg, Introduction au Droit Allemand, Paris 1977; F. Von Schwind,
"Osservazioni storiche e comparative nella formazione del sistema
giuridico moderno" in La formazione storica del diritto moderno in Europa,
Firenze, 1977, vol. I pp. 13 ss.; M. Losano-E. Bonazzi, Bibliografie di Jhering
e Gerber, Milano 1978; E. Paresce, "Jhering" VIII NNDI, pp. 151 ss. ;
Carteggio Jhering-Gerber, Milano, (1849-1872), Milano, 1977; W. Pleister,
Persoenlichkeit, Wille und Freiheit im Werke Jherings, Ebelsach, 1982; O. G. Robinson, T.D. Fergus e W.M.
Gordon, An Introduction to European Legal History, Abingdon, 1985; A.
Gomitsaris, Theorie der
Rechtsnormen bei Rudolph von
Jhering: eine Untersuchungh der
Grundlaghen des deutschen Rechtsrealismus, Berlin, 1989.
[2] E.
Paresce, “Savigny”, NNDI, XVI, pp. 663 ss.; V. Frosini,
"Scienza giuridica", NNDI, XVI, pp. 695 ss.
[3] Leipzig, 1852.
[4] Rudolph von Jhering, Culpa in
Contrahendo, Bad Homburg, 1969.
[5] Wien, 1891.
[6]
F.Wieacker, Privatrechtgeschichte, Goettingen, 1967 (Traduzione italiana:
Storia del Diritto Privato moderno, vol. II, Milano, 1980, index).
[7] Cfr. G. Pugliese, "I Pandettisti
tra tradizione romanistica e moderne scienze del diritto", in La
formazione storica del Diritto moderno in Europa, Firenze, 1977, 1, p.29 ss.
[8] Si vedano di recente i quattro volumi Il
Ruolo della Buona Fede oggettiva nell’esperuienza giuridica storica e
contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto
Burdese a cura di L. Garofalo, Padova, 2003.
[9] Si veda G. GROSSO: Obbligazioni.
Contewnuto e requisiti della prestazione. Obbligazioni alternative e generiche.
Terza ed. Torino, 1966.
[10] La dottrina era divisa rispetto a queste
categorie: specialmente Jhering sostenne che non vi fosse necessita` di questo
elemento; altri studiosi, quali
Grosso, Voci e Guarino, vedono invece la necessita` di questa caratteristica;
confronta le precisazioni di M. TALAMANCA,
Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990,pp. 512 ss.
[11] Sullo sviluppo di questa norma vedi: E.
RABEL, Origine de la re`gle 'impossibilium nulla obligatio', in Mélanges
Gerardin, 1907, pp.473 ss. (= Gesammelte Aufsaetze, IV, Tuebingen, 1971, pp.
105 ss.); IDEM, Die Unmoeglichkeit der Leistung. Eine kritische Studie zum
Buergerlichen Gesetzbuch. Aus roemischem und buergerlichem Recht. Fest. Bekker,
1907, pp. 193 ss.; F. MOMMSEN, Die Unmoeglichkeit der Leistung im ihrem
Einfluss auf obligatorische Verhaltnisse. Beitrage zum Obligationenrecht, vol
I, Braunschweig, 1854; G. GROSSO, Obbligazioni. Contenuto e requisiti op. cit.
pp. 37 ss.; P. VOCI, Le Obbligazioni Romane, Milano, 1969, pp. 166 ss.; M.
KASER, Das Roemische Privatrecht, Muenchen, 1971, pp. 485 s., 489 s.; A.
GUARINO, Diritto Privato Romano, 4, Napoli, 1970, p. 844; R. ZIMMERMANN, The
Law of Obligations, Cape Town, 1990, p.194: “Impossibilium nulla
obligatio est. Nessuno puo’ promettere cio` che non e` possibile, vale a
dire fornire un certo grado di custodia che escluda un danno, per esempio,
causato da un terremoto” (nostra traduzione). Vedi soprattutto pp. 686
ss. Su questa norma durante
il Medioevo vedi: R. FEENSTRA, Impossibilitas e Clausula rebus sic stantibus.
Alcuni aspetti dei contratti nella storia giuridica continentale fino a
Grotius, in Daube Noster. Essays in Legal History for D. Daube, Edinburgh,
1974, pp. 77 ss. Per alcuni
commenti comparatistici vedi: E. BETTI, Droit Civil Comparé des
Obligations, Université du Caire, 1957-58, pp. 41 ss.
[12] F. STELLA MARANCA, Intorno ai frammenti
di Celso, Roma, 1915, p. 38, n. 73; M. BRETONE, Note minime su Celsus filius,
in Labeo,9, 1963, pp.331 ss.
[13] Vedi D. 18.1.28 : Rem alienam distrahere
quem posse nulla dubitatio est: nam emptio est et venditio: sed res emptori
auferri potest. Sul passo, ritenuto interpolato da Beseler; vedi D. DAUBE,
Generalisation in D. 18.1 de contrahenda emptione, in Studi in onore di V.
ARANGIO RUIZ, pp. 186 ss.: anche secondo questi studiosi, un contratto di
vendita di beni che appartengano ad un altro e` pero` valido: su questo punto
vedi V. ARANGIO RUIZ, La compravendita in diritto romano, Napoli, 1956, p. 134.
Va notato che la terminologia impossibilita` assoluta e relativa non e`
corretta. Vedi anche R. ZIMMERMANN, Obligations cit., p.241.
[14] Vedi la sentenza della corte di Parigi
(4.7.1865) in DALLOZ, Recueil periodique et critique, 1865, 2, p. 201;
sull'impossibilita` soggettiva e oggettiva in diritto romano vedi F. PASTORI, Profilo
storico e dogmatico dell'obbligazione romana, Milano 1951, pp. 171 ss.;
179s.; R. ZIMMERMANN, Obligations, cit.
[15] Sul Legatum, v. A.BERGER, Encyclopedic
Dictionary of Roman Law, Philadelphia, 1953, p. 539.
[16] C. FERRINI, Manuale di Pandette, 4,
Milano, 1953, p.448, nota 2: “non e` pero` nulla la compravendita di
credito inesistente (fr. 4 e 5 D. 18, 4). La ragione e` che il conferire un
diritto di credito inesistente non e` impossibile, come l'attribuire il
possesso o la proprieta` di cose inesistenti; infatti il credito che non esiste
potrebbe venir costituito e trasmesso al compratore. E` nullo invece il legato
di credito inesistente, poiche un credito del testatore verso il terzo non puo
essere costituito dall'erede (fr. 75 #1, 2 D.30)”.
[17] Vedi i passi nelle Istituzioni di Gaio, III,97a
e 98: 97 a. Analogamente se uno
stipuli una cosa che non può essere in natura, ad esempio un
ippocentauro, ugualmente la stipulazione è inutile. 98. E cosi` se uno
stipuli sotto una condizione che non puo` esistere, ad esempio se avro` toccato
il cielo col dito, la stipulazione e` inutile. Ma un legato lasciato sotto
condizione impossibile I nostri maestri reputano che sia dovuto come se fosse
lasciato senza condizione; gli autori dell’opposta scuola considerano
invece il legato non meno inutile della stipulazione. E certo e` difficile dare
una ragione idonea della diversita`.
(trad. E. Nardi).
[18] Istituzioni di Gaio 3,97.Va notato che,
secondo un certo numero di fonti, sembrerebbe esistere la possibilita` di
trasferire la proprieta` di una res religiosa (come le pietre tombali): la
contraddizione e` spiegata da F. DE VISSHER nel suo Le droit de tombeaux
romains, Milano, 1963, p. 72: L'inalienabilité des tombeaux se reduit
donc à un simple corollaire de la fonction indelebilement sepulcrale du
tombeau”: di conseguenza vendite o donazioni che rispettino il carattere
particolare dei luoghi sarebbero valide.
[19] F. VASSALLI, Miscellanea di Diritto
Romano, I, La vendita dell'eredita` e la dottrina dell'emptio spei, in Annali
Perugia, 1913, pp. 267 ss. (=Studi Giuridici, 3, 1, 1960, pp. 366 ss.); F. DE
VISSCHER, La vente des choses futures et la theorie du risque contractuel,
Bruxelles, 1914 (non vidi); V. ARANGIO-RUIZ, Compravendita, cit. pp. 117 ss.;
U. BRASIELLO, Emptio rei speratae ed emptio spei, in NNDI, VI, 1960, p. 519.
[20] Su questo vedi R.ZIMMERMANN, Obligations, cit., p. 240, 246, 730.
[21] F. VASSALLI, Dies vel condicio. Lineamenti
della dottrina romana della condizione, in BIDR 27, 1915, pp.92 ss. (=Studi
Giuridici, 1, 1960, pp. 223 ss.). Anche secondo R. ZIMMERMANN (ivi, p.246), e
M. TALAMANCA, op. cit., p. 585 questa vendita veniva configurata come condizionale.
[22] Vedi V. ARANGIO RUIZ, La compravendita
in Diritto Romano, Napoli, 1956, p.118, s.5;.
[23] Nonostante l'aspra critica da parte di
vari studiosi, noi siamo propensi a ritenere l'ultimo esempio come classico,
vedendo come interpolato solo la fine del passo. Questo in conformita` al
Vassalli: vedi la rassegna delle
fonti e della letteratura in V. ARANGIO RUIZ, op. cit., p. 120. F. SCHULZ, The
Classical Roman Law, Oxford, 1951, scrive:
“L'ardita idea di una emptio spei...”: Noi non vediamo
l'idea come 'ardita', e non siamo percio` d'accordo con C. Longo, il quale
ritiene che ci troviamo di fronte ad
una anomalia che va ignorata nel descrivere il regime della vendita, e
che cio` e` conseguenza del fatto che il contratto sara` valido e
vincolerà l'acquirente anche quando risulti non esservi l'oggetto. Come
abbiamo gia` ricordato, l'oggetto del contratto non e` un oggetto fisico, ma e`
piuttosto l’aspettativa
stessa; e,come mette in evidenza Arangio Ruiz, op.cit. p.127.
[24] Sul tema nel suo complesso vedi ARANGIO
RUIZ, op. cit., p. 121.
[25] Il problema della vendita di beni futuri
viene discusso anche in diritto ebraico. Nella Tosefta Nedarim 6, 7, e nel
Talmud babilonese (Baba Metzia`, 15a) e` stato sostenuto che se uno dice:
“Quello che la mia rete portera` su, ti e` venduto, [e` come se] egli
[non abbia] detto nulla . Vedi S. LIEBERMAN, Tosefta Kifshutah, parte VII, New
York 5727-1967, p.488 ss.). I Saggi sono stati divisi sul significato del
detto Quello che la mia rete
portera` su oggi ti e` venduto, ed infine venne deciso per la validita` di
tale vendita, per permettere loro di vivere (cioe` per ragioni commerciali), in
conformita` dell'opinione di Rabbi Yohanan. In Baba Metzia, 32b e Kidushin 62b,
appare anche l'opinione di Rabbi Meir: una persona puo' dare qualcosa che non
sia ancora venuta al mondo, se la cosa e` soggetta a nascere, come i frutti
dell'albero. Per una trattazione ampliata relativa a qualcosa che non sia
ancora venuta al mondo vedi The Encyclopedia Talmudica, VI, p. 30 s. [in
ebraico]. Vedi anche A. GULACK, The Fundaments of Jewish Law, vol. I, p. 90 e
II, p. 60 [in ebr.]; B. COHEN, Jewish and Roman Law. A Comparative study, 2
vols., New York, 1966, p. 573 s.; H. GANOZAN Talmudic controls on the purchase
of futures, in Jewish Quarterly Review, 64 (1973-74), pp.48 ss.
[26] Il passo preso dalle Istituzioni di
Giustiniano (3.19.2) recita come segue: “Lo stesso criterio si applica se
uno stipuli una cosa sacra o religiosa, che credeva di diritto umano; o una
cosa pubblica, stabilmente destinata a servizio del popolo, come una piazza o
un teatro; o un uomo libero che credeva servo; o una cosa di cui egli non
poteva disporre; o una cosa di sua proprieta`. Nè la stipulazione
restera` in sospeso perche` la cosa pubblica potrebbe divenire privata, il
libero diventar servo, lo stipulante acquisire la disponibilita` della cosa, e
la cosa cessare di essere dello stipulante: essa e` invece senz’altro
invalida. Se, per contro, la cosa che all’inizio era stata validamente
dedotta in stipulazione, si sia poi, non per fatto del promittente venuta a
trovare in una di quelle situazioni che sopra abbiamo detto, la stipulazione si
estingue. Nemmeno subito all’inizio varra` una stipulazione come questa,
e simili prometti di dare Lucio Tizio quando sara` servo?: in quanto le cose
per loro natura sottratte al nostro dominio non possono in alcun modo essere
dedotte in obbligazione.” (trad. NARDI). Sul passo si veda G. GROSSO, Obbligazioni,
cit., p.48 ss. R. ZIMMERMANN, Obligations, cit., p. 687.
[27] Circa la responsabilita`, vorremmo
sottolineare che specialmente per quanto concerne i bonae fidei iudicia,
l'accusa puo' richiedere sanzioni legali (D. 18.1.57 (interpolato), D.
18.1.2.24).
[28] G. GROSSO, Obbligazioni cit., p. 50.
[29] Vedi: B.BIONDI, Reminiscenze ed
esperienze romanistiche in tema di contratto moderno (Sistemazione,
Definizione, Requisiti), in Scritti
Messineo,I,1959, pp. 12 ss., pp. 37 ss.
[30] Il modo di ragionare sembra a BESELER
bizantino, in ZSS, 45, 1925, p. 451; personalmente d'accordo con Cannata il
quale ritiene che vada attribuito a Paolo almeno il contenuto. In teoria, anche
qui si potrebbe parlare di acquisto di qualcosa non ancora esistente, ma come
precisato precedentemente, il principio di Impossibilium nulla obligatio est e`
divenuto predominante in quanto questione di interesse pubblico, religioso o
morale. Vedi V. ARANGIO RUIZ, La compravendita in diritto romano, Napoli, 1956,
p.122 nota 1.
[31] F. PASTORI, Profilo storico cit., pp.173
ss.;Th.MAYER-MALY, Perpetuatio obligationis, in Iura 7, 1956, pp. 7 ss.; E.
VOLTERRA, Istituzioni di Diritto Romano, Roma, 1961, p. 627.
[32] Vedi HARTMANN, Die Obligation:
Untersuch. ueb. ihren Zweck u. Bau, 1875, p. 191; E BETTI, Teoria generale del
negozio giuridico, Torino, 1952, p. 378.
[33] La differenza giuridica tra obbligazione
di dare e quella di facere viene spiegata da G. GROSSO, Obbligazioni,
cit. pp. 11 ss.; v. anche A.M. RABELLO, The Law of Obligations - Selected
Topics from Roman Law to the New law of Contracts, Jerusalem 1977, pp.17 ss. [in
ebraico]
[34] Sulla distinzione v. H. ANKUM, Principles
of Roman Law absorbed in the New Dutch Civil Code, in A.M. RABELLO (a cura di
), Essays on European Law and Israel, Jerusalem, 1996, pp. 33 ss., 49. Come
è noto i contratti basati sulla buona fede nel diritto romano sono: emptio-venditio;
locatio- conductio; mandatum;pignus; commodatum; societas e fiducia.
[35] BESELER, Zeitschrift der
Savigny-Stiftung fur Rechtsgeschichte, Romanistische Abteilung, 56, 1956, p. 64
sospetta che anche questo passo sia interpolato: egli ritiene che il motivo
venne dato da giuristi bizantini. Io non ritengo che tali dubbi siano giustificati;
a tal proposito vedi V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di Diritto Romano, 14,
Napoli, 1960, p. 130.
[36] Sui problemi relativi al tema della
persone libere che servono in buona fede come schiavi, vedi R. REGGI, Liber
homo bona fide serviens. Milano, 1958, con la critica di G. FRANCIOSI, in Labeo
6 (1960) p. 410 s..; di G. FRANCIOSI v. pure Il processo di libertà in
diritto romano, Napoli, 1961.
[37] G. GROSSO, Obbligazioni, cit., p. 55
scrive testualmente: “Puo essere che il principio si sia affermato, nel
modo in cui e` giunto a noi, attaverso divergenze di opinioni e dispute della
giurisprudenza, e che i passi relativi risentano della cancellazione dell'eco
di questa ...”.
[38] Sul D. 18.1.70 vedi R. ZIMMERMANNN, Obligations,
cit., p.242, 691, 694 (con l'esame
della dottrina dei pandettisti).
[39] Sul D. 19.4.1 vedi R. ZIMMERMANNN, Obligations, cit.,
p.533.
[40] V. ARANGIO RUIZ, La compravendita cit., pp. 149 ss.;A.
BERGER, Encyclopedic Dictionary cit., pp. 452-453, 457.
[41] Si veda D. 18.1.4-6; 18.1.34.2; 18.1.70;
21.2.39.3; 40.1.3.4.
[42] La
compravendita cit., p. 130: “Verrebbe fatto di parlare di
compravendita putativa.”
[43] A.BERGER, Encyclopedic Dictionary cit.,
p.760, 647 s.v. praetor de liberalibus causis.
[44] “Se cio` che stipuliamo (= ci facciamo
promettere) che venga dato sia tale da non potere essere dato, la stipulazione
e` inutile, come se uno stipuli che venga dato un uomo libero che credeva
servo, un morto che credeva vivo, o un luogo sacro o religioso che riteneva
fosse di diritto umano”. (trad. E.Nardi). Su Gaio 3.97 vedi il
commentario di DE ZULUETA, The Institutes of Gaius, Part II, p.158; R.
ZIMMERMANN, Obligations, cit., p.688.
[45] P. VOCI, L’errore nel Diritto
romano, Milano, 1937; i passi citati infra sono stati esaminati anche da
REGGI,op. cit. ma nel contesto
della discussione relativa ad un uomo libero che serve in buona fede
[46] 45. Ma talvolta, anche se uno possiede
la cosa altrui con la maggiore buona fede, tuttavia la usucapione non gli
decorre; come se uno possiede una cosa rubata od una cosa ottenuta con la
violenza; quella rubata, infatti, proibisce di usucapirla la legge delle XII
tavole; quella ottenuta con la violenza la legge Giulia (dell’epoca di
Cesare?) e la Plauzia (78-63 a.C.). 46. Analogamente non sono passibili di
usucapione i fondi provinciali. 47.
E cosi` un tempo non si poteva usucapire le cose mancipi della donna che
fosse sotto tutela degli agnati, salvo che fossero state consegnate con
l'autorizzazione del tutore; e cio` era stato stabilito dalla legge delle
XII tavole. 48. E` pure evidente che non si possono
usucapire gli uomini liberi, e le cose sacre e religiose. (trad. E.Nardi).
Su
Gai 2.45 e 2.47 v. G. FRANCIOSI, Usucapio pro herede. Contributo allo studio
dell’antica hereditas, Napoli, 1965, p. 27 nt.64.
[47] Giustiniano, descivendone lo sviluppo
storico, definisce l'usucapio nel modo seguente (Inst. 2, 6, pr.):
Il
diritto civile aveva stabilito che chi, in buona fede, da uno che non era
proprietario, mentre lui l’aveva creduto tale, avesse comprato, oppure in
donazione o per qualche altra giusta causa ricevuto una cosa, in un anno
dovunque, se quella era mobile, e in due ma soltanto in suolo italico, se era
immobile, la usucapisse onde le proprieta` delle cose non rimanessero incerte.
Questa
essendo la norma, perche` gli antichi pensavano che bastassero ai proprietari i
detti termini per ricercar le cose loro, noi ci siamo fissati su un miglior
partito, in modo che i proprietari non siano troppo presto defraudati delle
cose loro ed il beneficio non sia ristretto ad un determinato luogo. Per cio`
abbiamo in proposito promulgato una costituzione [C. 7.31.1 del 531], in cui e`
disposto che le cose mobili si usucapiscano in un triennio, e le immobili,
invece, attraverso il possesso per lungo tempo, cioe` di dieci anni fra vicini
e di venti fra lontani, e che, precedendo una giusta causa di possesso, la
proprieta` delle cose si acquisti cosi`, non solo in Italia, ma in ogni terra
retta dal nostro imperio (trad. E. Nardi).
[48] Da un punto di vista metodologico e`
interessante comparare questo passo di Gaio nel Digesto con il passo
corrispondente nelle Istituzioni di Gaio.
[49] R. REGGI, Liber homo bona fide serviens,
op.cit., pp. 147 ss.
[50] Su Possessio and Usucapio vedi R. YARON,
Reflections on Usucapio, in Tj. 35, 1967, p.1 ss.
[51] D.41.1.48.1; 41.3.10 (principium);
41.3.15.3
[52] Non daremo importanza a D. 18.1.4-6;
l'interpolazione e` evidente, ed io sono d'accordo con Lenel, Pernice e
Scialoia, i quali ritengono che i testi che abbiamo di fronte trattino
esclusivamente della vendita di un uomo libero, e in essi viene ricordata una
disputa tra i primi giuristi (vedi D. 18.1.70); vedi la bibliografia in
STELLA-MARANCA p. 56; V.ARANGIO-RUIZ, La compravendita cit., pp. 131 ss; P.
STEIN Fault in the Formation of Contract in Roman and Scots Law, Edinburgh,
1958, pp.63 ss., pp. 76 ss.
[53] Ciononostante, parecchi studiosi, e tra
essi ARANGIO RUIZ, fanno uso di questo testo come base per la teoria della
concessione di una actio in factum.
[54] Come K. HELDRICH K, Das Verschulden beim
Vertragsabschluss im klassischen
romischen Recht und in der spateren Rechtsentwicklung, Leipziger
Rechtswissenschaftliche Studien, 1924, p. 19, e in una certa misura concorda
con lui G. GROSSO, Obbligazioni, cit., p. 59. Cfr. P. STEIN, Fault in the
Formation of Contract cit., pp. 68 ss.
[55] STEIN, Fault in the Formation of
Contract cit., p. 75.
[56] Su D.18.1.62.1 vedi R. ZIMMERMANNN, Obligations
cit., p.283 s., 679, 690 ss. A p. 244 vi e` una discussione sulla culpa in
contrahendo.
[57] A mio avviso non vi e` una differenza
sostanziale tra il D. 18.1.62.1 (principium) e Inst. Giust. 3,23.5 come
sostiene G. GROSSO, Obbligazioni op. cit., p. 58. Si paragoni D. 18.1.62.1 con
Inst. Giust. 3.23.5
Luoghi
sacri o religiosi, e cosi` luoghi pubblici come una piazza o una basilica, chi
lo sa li compra a vuoto; ma chi li abbia comprati come privati o profani, in
quanto ingannato dal venditore, avra` l’azione da compera (actio ex empto),
benchè non possa aver la cosa, al fine di conseguire il valore
dell’interesse che aveva a non essere ingannato. Si applica lo stesso
criterio se abbia comprato per servo un uomo libero (trad. E. Nardi).
Su
licet obligatio non teneat in diritto moderno vedi: G. TEDESCHI, Negozi
giuridici incompatibili, in Archivio Giuridico, 101, 1929, p. 25 (est.)
[58] A. PERNICE, Labeo. Roemisches
Privatrecht im ersten Jahrhundert der Kaiserzeit, Band 2, 1895, p.379 nota 2;
P. VOCI, L'errore cit. ,pp. 154, 163.
[59] Anche la compravendita di una proprieta`
che appartenga comunque all'acquirente (sua res) e` un caso interessante. Mentre
secondo D. 18.1.16 un tale acquisto
non e` valido (suae rei emptio non valet, sive sciens, sive ignorans emi), in
un altro passo viene sostenuto che la vendita potrebbe essere valida se le
parti avessero voluto trasferire la possessio della proprieta` all'acquirente
(D. 18.1.34.4). In opposizione a S.
PEROZZI, il quale sostiene che questo sia un esempio di una norma bizantina (Istituzioni,
2, p. 275 s.1) vedi V.ARANGIO RUIZ, il quale dichiara, a mio avviso a ragione,
l'origine classica della norma. Vedi anche D. 18.1.61. JHERING da` una
spiegazione originale in Esprit du Droit Romain, IV, pp. 64 ss.; sul problema nel diritto moderno
vedi: E. BETTI, Teoria generale del
Negozio Giuridico, Torino, 1952, p. 378.
[60] Vedi DE ZULUETA, The Institutes of Gaius,
Oxford 1951-53, part II, pp. 158 ss.
[61] VON JHERING, Culpa in Contrahendo oder
Schadenersatz bei nichtigen oder nicht zu Perfektion gelangten Vertragen, in Jahrbuch
fuer die Dogmatik des Privat-Rechts, 4, (1861), pp. I-112, (=Gesammelte
Aufsatze, 1, Jena, 1881, 327 ss.). Vedi anche l’esame della problematica
effettuato da P. VOCI, L'estensione dell'obbligo di risarcire il danno nel
diritto Romano classico, in Scr. Beatificazione Ferrini, Milano, II, 1948, pp.
361-383, e P. STEIN, Fault in the Formation of Contract cit.,.
[62] Per esempio: M. SMITH, A General View of
European Legal History, New York, 1927, pp. 110 ss., 195 ss.; a p.196, s.171
Smith scrive: “Altri casi trattati da Jhering vengono qui omessi, sia
perche` sono peculiari del diritto romano ...”. Per un simile orientamento vedi D.EBAN,
Culpa in contrahendo, in Yiunei Mishpat I, 1972 pp. 328 ss. D’altro lato
nel mio articolo ‘Contractus Impossibilis’ and ‘Culpa in
Contrahendo’ in Roman Law, in Mishpatim, 2, 1970, pp. 488 ss. [in
ebraico], ho trattato per la prima
volta la teoria di Jhering in Israele, in particolar modo dal punto di vista
del diritto romano, facendo notare l'influenza sulla dotrina e sulla giurisprudenza moderna. Su questo
aspetto V. anche P. PIOTET, Culpa
in contrahendo et responsabilité en droit privé Suisse, Berne,
1963; R. WELSER, Vertretung
ohne Vollmacht: zugleich ein Beitrag zur Lehre der culpa in contrahendo, Wien,
1970; E. SCHMITZ, Dritthaftung aus culpa in copntrahendo, Berlin, 1980; A.K. POULIADIS, Culpa in
contrahendo und Schutz dritter. Berlin,
1982; D. CARUSO, La culpa in contrahendo. L’esperienza statunitense e
quella italiana, Milano, 1993
[63] RICHELMANN, Der Einfluss der Irrthums
auf Vertrage, Hannover, 1837.
[64] Tra gli esempi di cui fa uso Jhering: un
contratto puo' essere invalido perche` una delle parti non aveva la capacita`
giuridica di obbligarsi, o perche` e` impossibile eseguire quanto promesso, o
perche` la controparte ha commesso un errore giustificabile, errore talmente
critico da causare la nullita` del contratto. Un caso raro di errore si
verificava quando la dichiarazione d’intenzioni delle parti veniva
trasmessa tramite telegrammi: essendo il servizio telegrafico un ente
governativo, e il governo non si assumeva la responsabilita`.
[65] Il termine 'interesse negativo' (negatives
Vertragsinteresse) si riferisce all'interesse che aveva una delle parti a non
entrare nelle trattative, le quali comportano ad una perdita di tempo e spese;
l'interesse contrattuale negativo viene determinato in base alla perdita di
proprieta` che si sarebbe potuto evitare qualora egli non avesse fatto
affidamento suo contratto o sulla trattativa (damnum emergens), e in base al
profitto conseguentemente negatogli (lucrum cessans), per esempio, perche`
avrebbe potuto venderlo ad altri, o avrebbe potuto acquistare lo stesso oggetto
da altri in un momento adatto. D.18.62.1 id quod interest contractum initum non
fuisse; quod interfuit emptoris ne deciperetur. Parlando di interessi negativi,
ci si riferisce quindi al danno che viene causato perche` vi e` stata una
trattativa o perche` e` stato concluso un contratto invalido (vedi STEIN, Fault in the Formation of
Contract cit., p. 22). In contrapposizione all'interesse negativo vi e`
l'interesse contrattuale positivo (Erfuellungsinteresse), il quale consiste
nell'interesse all'esecuzione del contratto: e` cioe` il vantaggio che una
parte potrebbe ottenere qualora il contratto venisse eseguito (per esempio
l'acquirente avrebbe potuto vendere con profitto; le conseguenze del danno
avrebbero potuto venir trasferite su una societa` assicuratrice, ecc....). In
tal caso, il danno deriva dal fatto che il contratto e` privo delle proprie conseguenze
giuridiche, nonostante sia un contratto valido. La distinzione tra questi due
casi e` chiara. Un esempio puo` servire a spiegare la norma: Giovanni concorda
la vendita di cento tavole a Giacomo per 50,000 EURO. In base alle condizioni
del mercato, Giacomo puo' aspettarsi di vendere le tavole per 75,000 EURO.
Facendo affidamento sulla promessa di Giovanni, Giacomo affitta un magazzino
per immagazzinare le tavole per il periodo di un mese, pagando per esso 2,000
EURO. Qualora Giovanni fosse obbligato a pagare l'interesse positivo, egli
dovrebbe pagare a Giacomo 23,000 EURO (75,000-50,000-2,000); se fosse obbligato
a pagare l'interesse negativo, egli dovrebbe pagare 2,000 EURO e cioe` il
prezzo per il magazzino e per ogni altro costo di questo tipo. Su questa
distinzione vedi: G. TEDESCHI, Negozi giuridici incompatibili, cit. pp. 27 ss.
(estratto). Va notato che e` uso includere
nell'interesse negativo solo il damnum emergens: vedi, per esempio:
E.J.COHEN, Manual of German Law, vol. I, London, 1968, pp.82. 106. (Cohen non
ricorda il lucrum cessans); al contrario, altri studiosi includono nell'
interesse negativo il lucrum cessans, per esempio: A.TRABUCCHI, Istituzioni di
Diritto Civile, 12, Padova, 1960, pp. 540, 637s. Di fatto, la distinzione tra damnum
emergens e lucrum cessans, nonostante venga considerata abituale (per la
distinzione in diritto romano vedi W. BUCKLAND, A Textbook of Roman Law, 3
(ed.by P. Stein), 1963, p. 558; A. BERGER, Enc. Dictionary cit., p. 424; K.H.
BELOW, Die Haftung fuer lucrum cessans in Roemischen Recht, Muenchen, 1964, e`
stata oggetto di forte critica. Vedi in particolar modo le analisi di G.
TEDESCHI, Il danno e il momento della sua determinazione, in Rivista di diritto
Privato, 3, 1933, pp. 254 ss.; IDEM, Il momento della determinazione del danno,
in Rivista del Diritto Commerciale e del Diritto Generale delle Obbligazioni,
32, 1934, pp. 239 ss.; IDEM, Recensione di A, De Cupis, Il danno, in Rivista
Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 2, 1948, pp. 158 ss. Normalmente, si
pensa che una persona che distrugga un campo di grano durante la germinazione
debba pagare non solo il valore del grano che e` gia` germogliato (damnum
emergens), ma anche il ben piu' alto valore del grano che avrebbe potuto crescere
- e cioe` il vantaggio che sarebbe stato conseguito nel futuro (lucrum cessans).
Tedeschi sostiene che l'argomentazione che, da un lato, vi sia una parziale
svalutazione dei beni che la parte danneggiata possiede, e dall'altro un
impedimento ad acquisire ulteriori vantaggi, e` vana. Il vero problema e`
quello di determinare come valutare il valore del grano mandato in rovina: la
valutazione va fatta in base alle possibilita` di ricavare vantaggio dai beni.
Questo apprezzamento fa totalmente parte della proprieta` ed e` indivisibile.
L'unica differenza che potrebbe sorgere tra casi di danno causato e di profitto
impedito, riguarda la maggiore o minore certezza del danno. Comunque, non
bisogna dimenticare che, anche nel caso del damnum emergens, il danno e` sempre
ipotetico, dipendendo dalla domanda se, ed in che misura (an, quantum), la
parte danneggiata avrebbe direttamente o indirettamente fatto uso dei beni,
qualora il danno non si fosse verificato. Su questo punto vedi G. TEDESCHI, On
the distinction between damnum emergens and lucrum cessans, in Studies in
Israeli Law, Jerusalem, 1952 pp. 205 ss [in ebraico].
[66] Cosi` scrive M. SMITH, A General View of
European cit. pp. 198-199, basato su Jhering pp.41 ss.: E` vero che
normalmente, nel diritto romano e inglese, non vi e` responsabilita` per
negligenza tranne che nei rapporti contrattuali. L'obbligo contrattuale di
usare l'adatta cautela non inizia, comunque, con la conclusione del contratto,
ma con la sua formazione. Nel contrattare l'obbligo primo e piu' generale si
presuppone sia questo: far uso nell'atto stesso della contrattazione del
requisito della diligentia. Non solo il puro rapporto contrattuale esistente
deve venir posto sotto la protezione delle norme relative alla negligenza, ma
anche il rapporto che sta per nascere.
Nei
rapporti extracontrattuali nessuno puo' chiedere ad un altro la garanzia di
fidatezza e veridicita` delle sue espressioni e comunicazioni... nei rapporti
contrattuali, al contrario, nei quali tali espressioni sono per l’appunto
dirette ad acquisire valore vincolante, egli puo' esaminare l'altra parte per
stabilire se esse siano ben fondate; egli stesso, di norma, non e` nella
posizione che gli permetta di condurre un’indagine del genere. Nel
formare il contratto con lui, l'altra parte gli garantisce il soddisfacente risultato di tale
indagine... non fa differenza se egli lo assicura di essere in grado di
concludere questo particolare contratto con le parole o con i propri atti: tale
assicurazione si trova nell'atto
stesso del contrattare.
[67] VON JHERING, op. cit., p. 36. Fu solo in
conseguenza della negligenza del venditore che non si rivelo` l'intero quadro
della situazione, e non venne a formarsi un contratto valido. Per quanto
riguarda la negligenza, e` importante notare che Jhering stesso non era
soddisfatto del carattere soggettivo del concetto, precedendo anche qui I suoi
tempi.
[68] Questi casi sono stati esaminati sopra.
[69] Tra i vari studiosi i quali, seguendo
Jhering, hanno lavorato su questo tema in Germania ricordiamo: W. DREXLER, Culpa
in Contrahendo, 1873: F. ZIMMERMANN, Zwei Rechtsfalle, als Beitrag Zur Lehre
von der Nictigkeit der Vertrage wegen Unmoeglichkeit der uebernommenen Leistung
und Van der Culpa in Contrahendo, in Jahrb. f. Dogmatik 13, 1874 pp. 381 ss.;
MARCUSEN, Das negative Vertragsinteresse im Obligationenrecht, Zeit. d. bern. Juristenver.
1890; MELLIGER, Schadenersatz bei nichtigen Vertragen; R. LEONHARD, Verschulden
beim Vertragsschluss, 1910; nel diritto civile tedesco e` rimasto fondamentale
Enneccerus, il quale partecipo` ai comitati per la preparazione del codice
civile tedesco; vedi: ENNECCERUS-LEHMANN, Lehrbuch des buergerlichen Rechts,
Recht der Schuldverhaeltnisse, Tuebingen, I, 1958, p. 190 nt. 2; K. LARENZ, Lehrbuch
des Schuldrechts, Muenchen, I, 1965, pp. 64 s.; J. ESSER, Grundsatz und Norm in
der richterlichen Fortbildung des Privatrechts, Tuebingen, 1964, pp. 161 ss.;
IDEM, Schuldrecht I, Tuebingen, 1970, pp. 370 ss.
[70] Si veda il nuovo
art. 311 B.G.B. assieme all’art. 241 c.2 e 280.
[71] Uno dei piu' noti libri di Jhering e` Lo
spirito del diritto romano: VON JHERING, Der Geist des roemischen Rechts auf
den verschiedenen Stufen seiner Entwickelung, 4 vols, 1852-1865; 8 ed.,
Leipzig, 1926-1928; trad. in francese, L'Esprit du Droit Romain dans les
diverses phases de son developpement, Paris, 1886-1888 (ristampa anastatica,
Bologna, 1969); VON JHERING, Etudes complementaires de l'Esprit du Droit Romain,
I, De la faute en droit privé. Fragment historique, Paris, 1880, p. 43 nt.
90, p. 52 nt. 107; in questo articolo Jhering esprime la propria speranza che
in futuro venga trovata una formulazione piu' ampia ed oggettiva di quella di culpa
in contrahendo. Jhering scrive:
“...ma formule sera certainement remplacée par une autre plus
large et plus objective. Il en est de meme d'une foule de cas ou les juristes
romains admettaient une culpa. Ce sont des dispositions de nature objective,
violemment comprimees dans la forme subjective, et la jurisprudence progessive
seule les debarassera de cette forme etroite. (p. 43 nt. 90). Ci sembra che
oggi tali parole di Jhering dovrebbero tornare alla mente di coloro che
vorrebbero dare alla buona fede precontrattuale una base soggettiva, togliendo
parecchio del significato.
Va
notato che Jhering non vedeva se stesso vincolato dall'interpretazione
tradizionale delle fonti romane - al contrario, egli aspiro` a creare nuove
soluzioni facendo uso delle fonti romane come base: lo stesso Jhering scrive in
questo periodo: “Io non sono interessato alla giurisprudenza romana, io
vedo come un obbligo ed un diritto della giurisprudenza moderna quello di
uscire dai propri confini”. (Mir liegt an der romischen Jurisprudenz an
sich nichts, ich erkenne es vielmehr als Recht und Pflicht der heutigen
Jurisprudenz an, uber sie hinauszukommen) (in EHRENBERG, Rudolph v. Jhering in
Briefen an seine Freunde, 1913, p. 65).
[72] Sul contributo di Jhering al pensiero
giuridico, alla storia del diritto e alla dogmatica moderna vedi: E. PARESCE,
R. v. Jhering, in NNDI 8, 1962, pp. 151 s.; F. WIEACKER-C. WOLLSCHLAGER, Jherings
Erbe, in Goettinger Symposion zur 150. Wiederkehr des Geburtstags von Rudolph
von Jhering, Goettingen, 1970; F. WILHELM, Metodologia giuridica nel secolo XIX,
Milano, 1974, pp. 97 ss., 128 ss.
[73] Cfr. P. VOCI, L'estensione dell'obbligo
di risarcire il danno, cit.; M. SARGENTI, “Appunti sull'esperibilita`
dell'azione contrattuale nella compravendita”, in St. Arangio-Ruiz, II,
1953; tale punto e` rilevante anche per la dogmatica dei nostri giorni.
[74] Sul problema della valutazione
dell'interesse del titolare dell'azione in diritto romano vedi specialmente A.
BERGER, Enc. Dictionary cit., p. 491; H. HONSELL, Quod interest in Bonae fidei
iudicium. Studien zum roemischen Schadenersatzrecht, Muenchen, 1958; MEDICUS, Id
quod interest. Studien zum roemischen Recht des Schadensersatzes,
Koeln-Graz,1962; H.P.BENOHER, Das sogenannte Synallagma in den
Konsensualkontrakten des klassischen roemischen Rechts, Hamburg, 1965; W. SELB,
Formeln mit unbestimmter intentio iuris. Studien zum Formelaufbau, I, Wien,
1974; V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di Diritto Romano, cit., p. 390; Idem, La
compravendita in Diritto Romano, cit., pp. 232 ss.
[75] Vedi P.VOCI, L'estensione dell'obbligo di
risarcire il danno, cit., pp. 368 ss. Vedi anche M. KASER, Roman Private Law,
2, (trad. Dannenbring), London, 1968, p. 143: Nella formazione del contratto (dolus
- non solo culpa in contrahendo) rendeva responsabile di risarcimento che era
ricompreso nello stesso bonae fidei iudicium .
[76] Anche in questo campo non manca
l'intervento del praetor (actiones
ficticiae, in factum, doli); per un esame del problema si veda P.VOCI,
L'estensione dell'obbligo di risarcire il danno, cit.; A. BERGER, Enc. Dict. cit.,
p. 343, 346; A. WATSON, Actio de dolo and actiones in factum, in ZSS. 78, 1961
pp. 392 ss.
[77] Per una rassegna storica della norma impossibilium
nulla obligatio est vedi P. VOCI, L’estensione dell’obbligo di
risarcire cit. pp. 166 ss.
[78] Il rapporto tra nullità e
responsabilità venne trattato in WINDSCHEID, Lehrbuch des
Pandektenrechts, 1866; se chi riceve la promessa non era a conoscenza
dell'impossibilita` e tale mancanza di conoscenza era senza sua colpa, il
promittente dovra` risarcirlo del danno causato dal fatto che egli abbia ritenuto
valido il contratto, e non fa alcuna differenza se il promittente fosse in
colpa o meno. Windscheid segui` parzialmente Jhering nel riconoscere la
responsabilita`, limitandola all'interesse negativo (concetto gia` esistente, a
detta di Windscheid in Savigny), e non limitandola ai casi di frode.
Ciononostante Windscheid si distanzio` da Jhering nel non definire la
responsabilita` come basata sulla culpa; secondo Windscheid, non si tratta qui
di culpa. Windscheid ritenne inizialmente che vi fosse un'implicita promessa di
garanzia, ma in seguito egli baso` la sua teoria sul principio che chi riceve
una dichiarazione di volonta` puo` farvi affidamento. Su questo punto vedi
P.VOCI, Le Obbligazioni romane, Milano, 1969, p. 167; vedi anche M. SMITH, A General
View of European Legal History, New York, 1927, pp. 205 ss.
[79] K. HELDRICH, Das Verschuldene beim
Vertragsabschluss im klassichen roemischen Recht und in der spaeteren
Rechtsenwicklung, in Leipziger Rechtswissennschaftliche Studien, 1924. Heldrich
segui` F. HAYMANN, Die Haftung des Verkaufers fur die Beschaffenheit der
Kaufsache. vol. 1, Berlin, 1912.
[80] Sui nomina transcripticia vedi A.
BERGER, Enc. Dict. cit., p. 597; D. DAUBE, Novation of Obligations giving a
Bonae Fidei Iudicium, in ZSS. 66, 1948, pp. 91 ss. (spec. p. 93); A.
CARCATERRA, Intorno ai bonae fidei iudicia. Napoli, 1964; C.C. TURPIN, Bonae
fidei iudicia, The Cambridge Law Journal, 1965, pp. 260 ss.; G. GROSSO, Spunti e riflessioni su Cic.
Pro Q., Roscio Com. 5.15, sui iudicia legitima, da Cicerone a Gaio e
sull'origine dei bonae fidei iudicia, in St. A. Segni, II, Milano, 1967, 483
ss.;
[81] W. BUCKLAND - MCNAIR, Borderline between
contract and tort, in Roman Law and Common Law, Cambridge, 1936, p. 273; G.
LONGO, Contributi alla dottrina del dolo, 1937, pp. 59 ss.; V. COLACINO, Actio
de dolo, NNDI, Torino, I,1, 1957, p. 259 s.; F. CASAVOLA, Dolo, NNDI, VI,
Torino, 1960, pp. 147 ss.; B.ALBANESE, La sussidiarieta` dell'actio de dolo, in
Annali del Seminario Giuridico dell'Universita` di Palermo, 28, 1961, pp. 173
ss.; A. MASI, Insolvenza dell’obbligato e sussidiarietà
dell’actio de dolo, Studi Senesi, 74, 1962, pp. 40 ss.; B. ALBANESE, Ancora
in tema di sussidiarietà dell’actio de dolo. Abeo, 9, 1963, pp. 42
ss.; G.I. LUZZATTO, Dolo civile (Diritto romano), Enciclopedia del Diritto, XII,
Milano, 1964, pp. 716 ss.; A. GUARINO, La sussidiarietà dell’actio
de dolo, Pagine di Diritto romano, 6, Napoli, 1995, pp. 281 ss.; F.
D’IPPOLITO, Sulla data dell’actio de dolo, Fraterna Munera. Studi
in onore di Luigi Amirante, Salerno, 1998, pp. 161 ss.
[82] Per questi casi il diritto ebraico ha
sviluppato la teoria del Ghilui hada'at (Il rivelare la propria opinione) e
quella del devarim shebalev (Pensieri che uno riserba a se` stesso). Sul Ghilui
hada'at vedi The Encyclopedia of the Talmud, vol. VI, pp. 86 ss. [in ebraico];
A. GULACK, Principles of Jewish Law, I & II, Berlin,1922, 1, pp. 76 ss. [in
ebraico], il quale ricorda anche il diritto romano (nota 2). Sul devarim
shebalev vedi: The Encylopedia of the Talmud, vol. 7, pp. 170 ss.[in ebraico];
A.GULACK Principles of Jewish Law cit., pp. 114-117. Vedi anche la sentenza
della Corte Suprema d’Israele, F.H. 12/63 Leon v. Ringer, 18 P.D. (iv),
77 (1975).
[83] Ed e` interessante notare come uno dei
suoi sostenitori, il professor Grosso si sia convinto di cio`. Vedi la seconda
edizione dell’opera di Grosso (obbligazioni) citata da Stein, cosi` come
la terza edizione (p. 61): “non resterebbe che pensare all' actio doli...
e si puo rilevare che il caso poteva rientrare nell'applicazione dell' actio
doli... ma tutto questo ragionamento postula un presupposto: che il giurista
romano escludesse ogni spettanza dell' actio ex empto”.
[84] Tra i sostenitori di Heldrich vedi E.
ALBERTARIO e, per un certo periodo, G. GROSSO. E.ALBERTARIO, In tema di
responsabilita` in contrahendo, (1926) = Studi di diritto romano, Milano, 1936,
III, pp. 368-372.
[85] Si veda G.I. LUZZATTO, Spunti critici in
tema di responsabilitàcontrattuale, BIDR, 63, 1960, pp. 47 ss.
[86] Vedi anche gli interessanti commenti di
Segre sugli accordi precontrattuali bilaterali, e sulla connessione tra questi
e la liberta` d’impegnarsi. I
commenti si riferiscono al diritto italiano, come in uso secondo il codice
civile del 1865, al diritto tedesco e a quello romano (per esempio, la
Stipulatio de mutuo contrahendo), vedi SEGRE, Le obbligazioni divisibili e
indivisibili (Contributo alla dottrina dell'oggetto dell'obbligazione), I, II,
Torino 1932-33, pp. 91 ss.
[87] Sulla problematica si veda A.M.RABELLO,
Buona fede e responsabilità precontrattuale nel diritto israeliano alla
luce del diritto comparato, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura
Civile, 54, 2000, (pp. 471-509; 847-889) ed anche in Il ruolo della buona fede
oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea,( a cura di
L. Garofalo) Padova, 2003, pp. 125-227).