Decreta praetoris
e funzione
giudicante
1. Secondo quella che puт
ormai essere considerata communis opinio
dottrinale[1],
l’attività integrativa e
riformatrice del ius civile, posta in
essere dai pretori romani a partire dall’età repubblicana avanzata si esercitava, fondamentalmente,
mediante l’impiego di due strumenti tecnici: l’edictum e il decretum[2].
Tale opinione comune, tuttavia, non va oltre questa anodina affermazione, in
quanto l’approfondimento del tema presenta una molteplicitа di problemi,
sui quali si registra una vasta gamma di posizioni dottrinali. A titolo
esemplificativo, ci si può
riferire alla distinzione fra due tipi di editti giurisdizionali (comunemente
definiti edictum perpetuum ed edicta repentina[3]),
all’esistenza stessa dell’uno o dell’altro tipo, alla loro natura ed alle
differenze esistenti rispetto ai decreta,
all’incidenza sugli edicta e sui decreta della famosa lex Cornelia del 67 a.C., e così via. Su questi problemi ho
giа avuto modo di esprimere, in un lavoro dell’ormai lontano 1969[4],
alcune idee che, accolte da molti autori, contrastate da altri, hanno avuto se
non altro il merito di costituire la base delle successive ricerche in materia,
ponendo all’attenzione della dottrina alcune prospettive nuove. Delle opinioni
avanzate in quella sede sono tuttora fermamente convinto, ma non intendo qui
riproporle; mi limiterа soltanto, quindi, a sottolineare un punto,
importante ai fini dell’argomento di cui invece intendo occuparmi. Alludo alla
contrapposizione fra edictum e decretum, che emerge con sufficiente
chiarezza da numerose fonti, e soprattutto viene espressa con grande
plasticitа da un brano ciceroniano, che, nel descrivere vivacemente i
torbidi sociali caratterizzanti l’epoca sillana, nella quale ogni cosa era
divenuta venale, l’opinione altrui era divenuta la propria, la parola si era
trasformata in silenzio, afferma, fra l’altro, che l’editto si era trasformato
in decreto, con un inequivoco riferimento alla stabilitа del primo,
confrontata con la precarietа del secondo:
Cic., Par. 6.2.46
...qui illam Sullani temporis messem
recordetur, qui tot testamenta subiecta, tot sublatos homines, qui denique
omnia venalia, edictum decretum, alienam suam sententiam, forum domum, vocem
silentium... [5]
Possiamo quindi affermare che l’edictum consisteva in una previsione
astratta che, pur prendendo normalmente le mosse da un caso concreto sottoposto
all’attenzione del magistrato, tendeva ad impostare una soluzione idonea a
costituire valido orientamento per ogni caso dello stesso tipo che potesse
prospettarsi durante l’anno di carica. Il decretum,
invece, era un provvedimento preso caso per caso, sulla base di una valutazione
equitativa, o in attuazione di quanto astrattamente previsto nell’editto, o ad
integrazione di esso, o addirittura in contrasto con esso[6].
Per esprimere chiaramente questo triplice rapporto, mi sia consentito
richiamare una terminologia (estranea alle fonti, ma certamente illuminante)
della quale mi sono servito in passato[7],
distinguendo decreta secundum edictum, praeter edictum e contra
edictum.
2. Assumevano dunque la forma del decretum i vari provvedimenti attraverso
i quali il pretore da un lato assicurava la costituzione e lo svolgimento del
processo ordinario, dall’altro applicava i cosiddetti mezzi “complementari” o
“ausiliari” del processo formulare[8] (che
spesso consentivano la risoluzione di conflitti di interessi al di fuori delle
normali vie giudiziarie) o attuava quella che i moderni chiamano “volontaria
giurisdizione”.
Le testimonianze, nelle nostre fonti,
dell’uno e dell’altro tipo di decreti sono molto numerose. Quali esempi di decreta intervenuti nel corso di un
processo ordinario, si possono citare:
D. 4.3.1.4 (Ulp. 11 ad
ed.) Ait praetor: ‘si de his rebus
alia actio non erit’. Merito praetor ita demum hanc actionem pollicetur, si
alia non sit, quoniam famosa actio non temere debuit a praetore decerni, si sit
civilis vel honoraria, qua possit experiri...
D. 10.2.49 (Ulp. 2 disp.)
... Quapropter re quidem integra
stipulationem duplae interponere non debuit, sed decernere praetor debet esse
emptori adversus heredem existentem actionem ex empto, si res distracta fuerit
evicta. ...
D. 33.5.6 (Pomp. 6 ad
Sab.) Mancipiorum electio legata est.
Ne venditio, quandoque eligente legatario, interpelletur, decernere debet
praetor, nisi intra tempus ab ipso praefinitum elegisset, actionem legatorum ei
non competere. Quid ergo si die praeterito, sed antequam venderet heres,
vindicare legatarius velit? Quia non est damnum subiturus heres, propter quod
decernere praetor id solet. Et quid si die praeterito, quem finierit praetor,
heres aliquos ex servis vel omnes manumiserit? Nonne praetor eorum tuebitur
libertatem? Ergo totiens actio deneganda non est, si omnia in integro sint. ...
Nei testi che precedono, и possibile
notare come il verbo decernere si
trovi impiegato per designare la valutazione fatta dal pretore circa la
spettanza o meno dell’azione; è
facile dedurne che il provvedimento mediante il quale essa viene data o denegata sia denominabile decretum. A conferma di ciт,
particolare rilievo assume, in D. 4.3.1.4, l’inequivoca contrapposizione fra
l’astratto actionem polliceri ed il
concreto actionem decernere.
Ancor piщ numerosi sono i casi in
cui si parla di decernere e di decretum con riferimento a provvedimenti
pretori intervenuti al di fuori del processo ordinario. Possiamo limitarci ad
una rapida scorsa dell’ampia casistica offerta dalle fonti, citando solo alcuni
brani esemplificativi.
Fra gli interdicta, sono più
propriamente definiti decreti quelli esibitori o restitutori:
Gai
4.140 Vocantur autem decreta, cum fieri aliquid iubet, veluti cum praecepit
ut aliquid exhibeatur aut restituatur: interdicta vero, cum prohibet fieri…
Inst. 4.15.1 …restitutoria autem et exhibitoria proprie decreta vocari…
Cic., pro Caec.
29.82 Restituisse te dixti. Nego me ex decreto praetoris restitutum esse.
La dottrina, tuttavia, è concorde[9]
nel riconoscere comunque la natura di decretum
al provvedimento pretorio che concede o nega (editio o denegatio interdicti)
la tutela interdittale.
In tema di restitutio
in integrum, la necessitа di un decretum
и attestata da alcuni passi delle fonti, anche se non si può escludere che la finalitа
di reintegrazione potesse essere raggiunta ugualmente mediante l’impiego di
altri strumenti pretori[10].
Basti ricordare:
D. 4.4.29.2 (Mod. 2 resp.) … Modestinus
respondit, cum non evocatis creditoribus in integrum restitutionis decretum
interpositum proponatur, minime id creditoribus praeiudicasse.
D. 4.4.47.1 (Scaev. 1 resp.) Curator
adulescentium praedia communia sibi et his, quorum curam administrabat,
vendidit: quaero, si decreto praetoris adulescentes in integrum restituti
fuerint, an eatenus venditio rescindenda sit, quatenus adulescentium pro parte
fundus communis fuit? …
P. Sent. 1.7.3 Integri restitutio plus quam semel non est
decernenda: ideoque causa cognita decernitur.
A proposito di missio in possessionem, si parla di decretum, ad esempio, in:
D. 39.2.15.16 (Ulp. 53 ad
ed.) Iulianus scribit eum, qui in
possessionem damni infecti nomine mittitur, non prius incipere per longum
tempus dominium capere, quam secundo decreto a praetore dominus constituatur.
D. 36.4.12 (Maec., 12 fideicomm.)
Municipiis fideicommissum relinqui posse
dubium non est. Sed si non caveatur, adversus municipes quidem non dubitavimus
ex hoc edicto iri in possessionem posse: ipsos vero municipes, si his non
caveatur, non idem adsecuturos: sed extraordinario remedio opus erit, videlicet
ut decreto praetoris actor eorum in possessionem mittatur.
Fra le numerose testimonianze che
menzionano un decreto di concessione della bonorum
possessio, si possono ricordare, exempli causa, le seguenti:
D. 38.9.1.7 (Ulp., 49 ad
ed.) Decretalis bonorum possessio an
repudiari possit, videamus. Et quidem diebus finiri potest: sed repudiari eam
non posse verius est, quia nondum delata est, nisi cum fuerit decreta: rursum
posteaquam decreta est, sera repudiatio est, quia quod adquisitum est repudiari
non potest.
D. 39.2.15.32 (Ulp., 43 ad
ed.) Illud quaeritur, ex quo tempore
damni ratio habeatur, utrum ex quo in possessionem ventum est, an vero ex quo
praetor decrevit, ut eatur in possessionem. …
Il quadro dei cosiddetti “mezzi complementari” della
procedura formulare può
essere utilmente completato con la seguente testimonianza, dalla quale
apprendiamo che anche in tema di stipulationes
praetoriae interviene un decreto del magistrato, essendo appunto così definito l’ordine dato dal
pretore di prestare una cautio:
D. 42.5.31.3 (Ulp., 2 de
omn. trib.) Quod si suspectus
satisdare iussus decreto praetoris non obtemperaverit, tunc bona hereditatis
possideri venumque dari ex edicto suo permittere iubebit.
Ma le occasioni di applicazione dei
decreti pretori vanno ancora al di lа dei casi prospettati,
ricomprendendo provvedimenti che potremmo definire “di volontaria
giurisdizione”[11].
Leggiamo, ad esempio:
D. 26.5.26 (Scaev., 2 resp.)
Seiae egressae annos duodecim decreto
praetoris ex inquisitione datus est tutor quasi minori …
D. 48.10.18.1 (Paul., 3 sent.)
…non ex testamento, sed ex decreto tutor
dandus est.
FV. 166 (Ulp., lib de
excus.) Libelli ita formandi. ‘Cum
proxime decreto tutorem me dandum existimaveris illi, quod mihi in notitiam
pertulit …
D. 36.1.69(67) pr.
(Val., 3 fideicomm.) Si postulante me suspectam hereditatem ex
decreto praetoris adieris …
D. 36.1.69(67).2 (ibid.)
Sed et filius suus heres patri rogatus
sit a patre hereditatem mihi restituere, cum suorum creditorum fraudandorum
consilium inisset, tamquam suspectam ex decreto praetoris restituerit mihi, vix
fraudatorio interdicto locus erit…
3. Pur nella estrema variabilitа dei
casi di applicazione del decretum, la
dottrina era stata sempre concorde nel negare a tale tipo di provvedimento
natura ed effetti decisori, coerentemente con l’asserita esclusione
dell’attribuzione al pretore di una funzione giudicante. Di recente, tuttavia,
questa comune affermazione è
stata contraddetta dal Mancuso, il quale, in un’indagine dedicata ex professo al tema[12],
ha inteso dimostrare che “attraverso i decreta
il pretore giungeva…a esercitare una vera e propria funzione giudicante,
sostituendosi, in taluni casi, al iudex
o all’arbiter, ogni qual volta le
circostanze lo richiedessero”[13],
sicché “il decretum - sia pretorio che degli altri magistrati - si pone,
talvolta, come effettivo provvedimento decisorio, troncante una controversia,
ossia come iudicatum. In questo modo
il decretum pretorio si colloca in
una prospettiva assai diversa da quella in cui lo si и inteso, sinora, ad
opera della communis opinio”[14].
A mio sommesso avviso, tuttavia, la
proposta revisione dell’opinione tradizionale non può essere accolta favorevolmente,
sia perché gli argomenti
addotti dal Mancuso a sostegno di essa non appaiono dotati di grande forza
probante, sia perché
l’autore ha tralasciato molte altre testimonianze che invece contraddicono in
modo netto le sue affermazioni. Mi è
parso pertanto non inutile un riesame il problema, attraverso una più ampia e puntuale rassegna delle
fonti in argomento.
Prendiamo le mosse dalla pretesa sinonimia
che, secondo il Mancuso, esisterebbe in molte fonti fra sententia e decretum.
L’autore, al riguardo, giа si pone le due piщ facili obiezioni[15],
riconoscendo, da un lato, che “nelle fonti il termine ‘sententia’ viene spesso impiegato come sinonimo di ‘decretum’, ma il suo significato e
valore non и quello di ‘sentenza’ - nell’accezione moderna rivestita da
quest’ultimo termine, che manifesta un provvedimento decisorio - sibbene di
‘opinione, parere’”, dall’altro che “certamente, in ordine a talune testimonianze,
non si può prescindere
dal dubbio circa la loro genuinitа, potendosi bene dare il caso che siano
state sottoposte a rimaneggiamenti, allo scopo di adeguarne la portata al nuovo
processo extra ordinem, e al
conseguente mutato carattere della sentenza”[16].
Ciò nonostante, egli afferma che,
quasi sempre, il termine ‘sententia’
allude ad una “manifestazione autoritativa di un’opinione cui si attribuisce
efficacia normativa, quanto meno nei confronti dei destinatari”, citando, quali
esempi, tre testi (nei quali ricorrono entrambi i termini ‘decretum’ e ‘sententia’).
Tuttavia, sulla forza probante di essi, nel senso voluto dal Mancuso, mi sembra
lecito esprimere fondati dubbi. Prendiamoli singolarmente in esame:
a) D. 26.10.4.1 (Ulp., 1 de
omn. trib.) Decreto igitur debebit
causa removendi significari, ut appareat de existimatione. 2. Quid
ergo si non significaverit causam remotionis decreto suo? Papinianus ait
debuisse dici hunc integrae esse famae, et est verum. 3. Si praetor sententia sua non removerit
tutela, sed gerere prohibuit, dicendum est magis esse, ut et hic desinat tutor
esse.
Il testo non è assolutamente significativo ai
nostri fini. Il decreto pretorio cui in esso si allude concerne la rimozione di
un tutore e nulla ha dunque a che fare con la funzione giudicante, rientrando
di pieno diritto fra quei provvedimenti che abbiamo definito “di volontaria
giurisdizione”. Perché,
dunque, si parla di sentenza? L’impiego del termine, a mio avviso, non deve
destare alcuna meraviglia[17], in
quanto esso и qui evidentemente usato nel senso generico (piщ che
di “parere, opinione”) di “disposizione” del pretore. Non si tratta, del resto,
di un uso isolato: se ne potrebbero addurre altri esempi[18],
fra i quali particolare rilievo assume D. 37.14.17 pr. (Ulp. 11 ad leg. Iuliam et Papiam), che riporta
il testo di un rescritto dei divi fratres
in cui si parla testualmente di “sententia
legis aut edicti praetoris”.
b) D. 34.2.35.1 (Paul., 14 resp.) Item quaero, si lite
contestata praetor ita pronuntiavit, ut materia praestetur, an tutores audiendi
sint ab hac sententia pupillum, adversus quem pronuntiatum est, apud
successorem eius in integrum restituere volentes. Paulus respondit praetorem,
qui auro legato certi ponderis materiam praestare iussit, recte pronuntiasse
videri.
Il testo sembra alludere ad un legato
avente ad oggetto una certa quantitа di oro, a proposito del quale il
pretore ha deciso che sia dovuto l’oro e non il suo valore venale[19]:
ci si chiede pertanto se sia proponibile una richiesta di restitutio in integrum al pretore successivo. Anche se, dunque, nel
passo non si parla di decretum, è senz’altro sorprendente che la
controversia sia stata decisa dal pretore e che tale decisione venga
qualificata sententia. Il mistero si
svela, tuttavia, se si legge il paragrafo in esame in sequenza col pr. del
frammento, che il Mancuso viceversa non prende in considerazione:
‘Titiae amicae
miae, cum qua sine mendacio vixi, auri pondo quinque dari volo’: quaero, an
heredes ad praestationem integrae materiae auri an ad pretium et quantum
praestandum compellendi sint. Paulus respondit aut aurum ei, de qua quaeritur,
praestari oportere, aut pretium auri, quanti comparari potest.
Si tratta, senza alcun dubbio, della
stessa questione di cui parla il § 1, che viene posta astrattamente al
giurista, per fare poi riferimento ad una controversia (“lite contestata”). E’ facile allora, dal tenore della disposizione,
riportata dal frammento (“auri pondo
quinque dari volo”) accorgersi che non si tratta di un legato, come (con
un’evidente alterazione) si dice nel § 1, bensì di un fedecommesso. Lo conferma, se ce ne fosse bisogno, la
circostanza che il 14° libro dei responsa
di Paolo, dal quale il frammento è
tratto, si occupava appunto dei fedecommessi[20].
Il pretore di cui si parla nel testo è
dunque un praetor fideicommissarius,
che giudica extra ordinem: essendo
pertanto notorio (e, come abbiamo visto, lo riconosce lo stesso Mancuso) che in
questo tipo di processo si oblitera la differenza terminologica fra decretum e sententia[21],
nessuna meraviglia deve destare il fatto che a lui sia riferita una sententia.
c) D. 5.1.75 (Iul., 36 dig.)
Si praetor iusserit eum a quo debitum
petebatur adesse et ordine edictorum peracto pronuntiaverit absentem debere,
non utique iudex, qui de iudicato cognoscit, debet de praetoris sententia
cognoscere: alioquin lusoria erunt huiusmodi edicta et decreta praetorum.
La dottrina и unanime nel
riconoscere che il testo si riferisce alla cognitio
extra ordinem, sicché
il pretore di cui in esso si parla viene comunemente identificato con il praetor fideicommissarius[22].
Valgono dunque le considerazioni fatte a proposito del testo precedente.
4. Ancor meno probanti sono alcuni testi
di epoca tardo-repubblicana, addotti dal Mancuso per inferirne che “in epoca
repubblicana, il decretum pretorio
rivestisse, almeno in certe situazioni e in ordine a talune materie, il valore
e l’efficacia di un iudicatum”[23].
In linea generale, va osservato che l’a. sopravvaluta l’impiego in questi testi
del verbo iudicare, al quale dа
comunque un significato tecnico. Ma vediamo in particolare i testi richiamati,
che talora è opportuno
esaminare nella loro completezza, e non limitatamente alle poche righe
estrapolate dal Mancuso. E’ il caso di
Cic., in Verr.
2.1.50.130 Cum L. Octavius C. Aurelius consules aedis sacras locavissent neque
potuissent omnia sarta tecta exigere, neque ii praetores quibus erat negotium
datum, C. Sacerdos et M. Caesius, factum est senatus consultum, quibus de
sartis tectis cognitum et iudicatum non esset, uti C. Verres P. Caelius
praetores cognoscerent et iudicarent.
Dall’ultima parte di questo brano, Mancuso
deduce[24]
“che in tema di sarta tecta[25]
vi fosse una cognitio e un
conseguente iudicatum, emesso dai
pretori” precisando ulteriormente[26]: “Non
vale obiettare che la materia non ricadeva nella iurisdictio pretoria ovvero che si trattava, in ogni caso, di una iurisdictio di natura amministrativa.
Infatti, argomentando in questo modo, si attribuisce ai Romani una nozione -
quella di giurisdizione amministrativa - che è, a nostro giudizio, estranea alle loro concezioni, specie
in epoca repubblicana, cui appartiene la testimonianza ciceroniana”.
Ma tutto il discorso è fondato su un equivoco. I
consoli L. Ottavio e G. Aurelio - narra l’Arpinate - avevano dato in appalto la
manutenzione dei templi, ma non avevano potuto controllare la perfetta
esecuzione dei lavori, né
avevano potuto farlo i pretori G. Sacerdote e M. Cesio, che erano stati
incaricati di farlo. Fu allora emanato un senatoconsulto, con il quale questo
compito venne affidato ai pretori G. Verre e P. Celio. Come è facile vedere, qui non si tratta
assolutamente di un’attivitа giurisdizionale, quindi il iudicare ciceroniano allude al risultato
di un’attivitа ispettiva, che nulla ha a che fare con la giurisdizione
pretoria. Prova ne sia che tale compito non spetta istituzionalmente ai
pretori, bensì ai consoli[27]
e viene svolto dai pretori o perché
appositamente delegato (a Sacerdote e Cesio) o perché addirittura conferito da una
deliberazione del senato (a Verre e Celio). Si tratta dunque di
amministrazione, non di giurisdizione amministrativa[28].
Lo stesso Cicerone mostra, poco oltre, di tenere accuratamente distinta la
funzione giurisdizionale dalla materia degli appalti, affermando (In Verr. 2.1.51.136) “quae (scil.: Chelidone, l’amante di
Verre) isto praetore non modo in iure
civili privatorumque omnium controversiis populo Romano praefuit, verum etiam
in his sartis tectis dominata est”.
Anche altri due testi ciceroniani, addotti
dal Mancuso, si rivelano generici e non probanti:
Cic., In Verr.
2.2.10.26 Verres calumniatorem adponebat, Verres adesse iubebat, Verres
cognoscebat, Verres iudicabat...
Cic., de leg.
3.3.8 Iuris disceptator, qui privata iudicet iudicarive iubeat, praetor esto.
A mio avviso, non basta ritrovare in
questi testi il verbo iudicare, per
dedurne “come il pretore potesse, mediante il suo iussum iudicandi, rimettere la decisione della controversia a un
soggetto appositamente nominato, ma potesse anche riservare a se stesso
siffatta decisione”[29]. Non
si deve dimenticare che, come abbiamo visto, il pretore mediante i suoi decreta, prendeva in realtа una
serie di decisioni, destinate ad intaccare situazioni giuridiche private, ma al
di fuori del campo strettamente giurisdizionale (nomina o rimozione di un
tutore, concessione di vari rimedi, immissione nel possesso, etc.). Ora,
attribuire a queste decisioni il valore di sentenza mi sembra effettivamente
eccessivo.
E che le cose stiano in questi termini, lo
dimostrano altre testimonianze ciceroniane, nelle quali invece gli atti
decisori del pretore sono tenuti distinti dalla sua funzione di iudicium dare, con la quale egli
esercita il potere giurisdizionale. Leggiamo, ad esempio, sempre nella seconda
orazione contro Verre, il famoso passo in cui Cicerone rimprovera a costui di
aver quasi delegato le sue funzioni alla prostituta Chelidone, presso la quale
era necessario recarsi per implorare un provvedimento del pretore[30]:
Cic., In Verr.
2.1.52.137 Domus erat plena; nova iura, nova decreta, nova iudicia petebantur.
“Mihi det possessionem, mihi ne adimat, in me iudicium ne det, mihi bona
addicat”.
Va sottolineata la netta distinzione fra nova decreta e nova iudicia, che acquista concretezza attraverso gli esempi
forniti dal testo: mentre per mezzo di un nuovo decreto il pretore potrа dare possessionem o addicere bona, la richiesta relativa a nova iudicia non riguarda il iudicare,
bensì solo il concedere o meno un iudicium (in me iudicium ne det).
E che l’Arpinate abbia sempre presente la
diversitа di ruoli fra pretore e iudex
privatus, risulta in modo ancor più
evidente da
Cic., In Verr.
2.2.12.30 Dubium nemini est, quin omnes omnium pecuniae positae sint in eorum
potestate, qui iudicia dant, et eorum qui iudicant, quin nemo vestrum possit
aedes suas, nemo fundum, nemo bona patria obtinere, si, cum haec a quopiam
vestrum petita sint, praetor improbus, cui nemo intercedere possit, det, quem
velit, iudicem, iudex nequam et levis, quod praetor iusserit, iudicet. Si vero illud quoque accidit, ut praetor in
ea verba iudicium det ut vel L. Octavius Balbus iudex, homo et iuris et offici
peritissimus, non possit aliter iudicare ...
Sulla base della inequivocabile
differenziazione fra qui iudicia dant e
qui iudicant, dal testo emergono con
assoluta chiarezza i limiti fino ai quali si spingono i poteri del pretore:
scegliere un giudice invece di un altro e redigere la formula in modo così stringente da imporgli
praticamente una certa decisione: qualunque ulteriore illazione sarebbe
arbitraria.
Nemmeno l’ultimo testo, che il Mancuso[31]
riporta definendolo “di eccezionale interesse” prova nel senso voluto
dall’autore, anzi può
essere addotto, a mio avviso, in senso esattamente contrario. Si tratta di un
brano famoso, sul quale esiste una sconfinata letteratura[32]:
Rhet. ad Her. 2.13.19 Constat
igitur (scil.: ius) ex his partibus:
natura, lege, consuetudine, iudicato, aequo et bono, pacto. ... Iudicatum est
id de quo sententia lata est aut decretum interpositum. Ea saepe diversa sunt,
ut aliud alio iudici aut praetori aut consuli aut tribuno plebis placitum sit;
et fit ut de eadem re saepe alius aliud decreverit aut iudicarit, quod genus:
M. Drusus, praetor urbanus, quod cum herede mandati ageretur iudicium reddidit,
Sex. Iulius non reddidit. Item: C. Caelius iudex absolvit iniuriarum eum qui
Lucilium poetam in scaena nominatim laeserat, P. Mucius eum, qui L. Accium
poetam nominaverat condemnavit. Ergo, quia possunt res simili de cause
dissimiliter iudicatae proferri, cum id usu venerit, iudicem cum iudice, tempus
cum tempore, numerum cum numero iudiciorum conferemus.
Ora, che in questo testo sia posto “un
rapporto di identificazione tra decretum,
sententia, iudicatum”[33] non
mi sembra proprio si possa affermare. Il termine iudicatum, riferito sia alle sentenze che ai decreti, non appare
infatti usato in senso tecnico, ma allude genericamente ad un provvedimento
decisorio, sempre nei limiti della nota ripartizione di competenza esistente
fra il pretore e il giudice. Prova ne sia, che quando l’auctor ad Herennium vuole fornire degli esempi di provvedimenti
contrastanti riferiti a fattispecie analoghe, torna a distinguere con chiarezza
il decernere dal iudicare (decreverit aut iudicarit), ricordando, come esempio
di aliud decernere, la concessione
dell’actio mandati nei confronti dell’erede del mandatario, ammessa da un
pretore e negata da un altro, e come esempio di aliud iudicare le contrastanti decisioni di due giudici privati in
analoghi processi per diffamazione[34].
E che i decreta possano rientrare nel iudicatum
solo in senso atecnico e generico, lo conferma un’altra testimonianza
ciceroniana, tratta dal de oratore.
Elencando le prove che l’oratore ha a disposizione per avvalorare la propria
tesi, l’Arpinate infatti contempla separatamente le res iudicatae e i decreta:
Cic., de or.
2.27.116 Ad probandum autem duplex est
oratori subiecta materies: una rerum earum, quae non excogitantur ab oratore,
sed in re positae ratione tractantur, ut tabulae, testimonia, pacta conventa,
quaestiones, leges, senatus consulta, res
iudicatae, decreta, responsa ..
5. Ma è tutto il panorama delle fonti giuridiche di cui disponiamo
che si pone in contrasto con le conclusioni del Mancuso. Nonostante la
giа sottolineata tendenza, affermatasi nella cognitio extra ordinem, ad obliterare la differenza fra decretum e sententia, permangono nei testi alcune chiare tracce di una precisa
demarcazione fra il ruolo del pretore e quello del giudice, che escludono
poteri decisori del primo[35], al
di lа della scelta fra dare e denegare actionem e della redazione della formula.
Molto interessante, ad esempio, si rivela
la lettura di
D. 29.4.27.2 (Pap., 6 resp.)
In eum, qui testamento scriptus heres non
fuit, si fraudis consilio cum heredibus scriptis participato legitimam
hereditatem solus possideat, actio legatorum ex sententia praetoris
dabitur.
Va sottolineato non tanto il fatto che
questo testo (come infiniti altri) si riferisce al ruolo del pretore in termini
di datio actionis, ma che questa
decisione viene qualificata “sententia”,
confermando quanto si è
sostenuto sopra, cioè
che questo termine allude spesso, in modo generico, ad una decisione del
magistrato, che non è
tuttavia qualificabile sententia in
senso tecnico, perché
non ha la funzione di porre fine ad una controversia.
D’altra parte, se ai decreti pretori,
almeno in alcune circostanze, fosse stato riconosciuto il valore di una
sentenza in senso tecnico, il caso più
eclatante in cui ciт sarebbe dovuto avvenire era quello del decreto con
il quale il pretore denegava l’azione, troncando il procedimento. Viceversa,
non solo tale estensione terminologica non risulta da alcuna fonte, ma anche
nella sostanza essa si rivela illegittima, in quanto sono noti gli effetti non
preclusivi del provvedimento di denegatio,
che non esclude la riproposizione dell’azione dinanzi ai pretori successivi[36].
Al decreto pretorio di concessione o di diniego dell’azione non può attribuirsi dunque valore
decisorio della controversia, se non in senso generico e non certamente
tecnico.
Sul rapporto pretore-giudice si rivela
degna di considerazione anche la testimonianza di
D. 26.7.7.7 (Ulp., 35 ad
ed.) Si deponi oporteat pecunias ad
praediorum comparationem, si quidem factum est, usurae non current: sin vero
factum non est, si quidem nec praeceptum est, ut deponantur, pupillares
praestabuntur, si praeceptum est et neglectum, de modo usurarum videndum est.
Et solent praetores comminari, ut, si non fiat depositio vel quando tardius
fiat, legitimae usurae praestentur: si igitur comminatio intercessit, iudex qui
quandoque cognoscet decretum praetori sequetur.
Ulpiano tratta dell’obbligo del tutore di
effettuare il deposito del denaro del pupillo, destinato all’acquisto di fondi
e distingue, in caso di mancato deposito, due casi: se il deposito non gli era
stato imposto, il tutore era tenuto a corrispondere le c.d. usurae pupillares; se, invece, vi era stato un ordine in tal
senso, disatteso dal tutore, vi era presso i pretori la prassi (et solent praetores) di imporre,
mediante decreto, la corresponsione di usurae
più gravose, dette legitimae[37].
La medesima prassi si applicava[38] nei
confronti dei tutori che avessero negato di essere in grado di fornire gli
alimenti al pupillo, qualora tale affermazione fosse risultata in seguito falsa.
Siamo dunque, ancora una volta, di fronte
ad un decreto pretorio costitutivo di obblighi. Ma ciò è
sufficiente ad attribuirgli la natura di atto decisorio di una controversia? La
risposta negativa, a scanso di equivoci, viene dallo stesso testo: detto
decreto, in caso di controversia, dovrа essere recepito dal giudice
investito del compito di emanare la sentenza. Ciò significa, in altri termini, che sono possibili due casi: o
il decreto produce direttamente i suoi effetti, ma ciò avviene sul piano extragiudiziale
(come sono direttamente produttivi di effetti, ad esempio, i decreti che
nominano o rimuovono un tutore, gli interdetti esibitori e restitutori, etc.);
oppure, se si instaura una controversia, la decisione dovrа venire,
secondo le regole, dalla sentenza emanata dal giudice privato, anche se questa
non potrа non rispettare il decreto del pretore. Ciò che a noi preme rilevare,
comunque, è che da
entrambi i casi emerge con chiarezza, ancora una volta, la diversitа di
natura e di funzioni esistente fra il decreto e la sentenza.
6. Gli esempi si potrebbero moltiplicare,
ma quanto fin qui detto, circa lo scarso valore probante delle testimonianze
addotte dal Mancuso e, viceversa, il peso di svariate altre testimonianze
contrarie, consente di chiudere il discorso. In definitiva, pur riconoscendo
l’acume col quale il Collega palermitano ha cercato di leggere fonti note in
modo nuovo e quindi di modificare cognizioni ormai tradizionali, non ritengo
che gli elementi forniti siano tali da convincere della bontа della nuova
tesi proposta e concludo pertanto modificando opportunamente la frase che
esprimeva per i Romani il rigetto di una rogatio:
“antiqua doctrina utor”.
МЕТРО
А.
DECRETA
PRETORIS
И
ФУНКЦИИ
СУДЬИ
(РЕЗЮМЕ)
Согласно
общепринятому
мнению,
основные инструменты
юридической
деятельности
римского
претора — edictum и decretum.
Однако
точное
содержание
этих
терминов, их
соотношение
между собой и
многие
другие аспекты
остаются
предметом
многочисленных
дискуссий. Их
противопоставление
в текстах
(например,
Цицерон)
позволяет
сделать
вывод, что
эдикт
представлял
собой абстрактный
акт,
предусматривающий
те или иные
меры, которые
претор
намеревается
предпринять
на
протяжении
своей годичной
деятельности.
Декрет же,
напротив, — выражение
этой
деятельности
в применении к
конкретным
юридическим
ситуациям. В
связи с этим
было бы удобным
принять
следующую
классификацию
декретов: decreta secundum edictum, praeter edictum и contra edictum.
Анализ
текста
Дигест и
других
источников показывает,
что к первому
типу можно
отнести
решение
претора о
предоставлении
определенного
иска конкретному
истцу
(оппозиция actionem polliceri в
тексте
эдикта и actionem decernere
в конкретном
случае); ко
второму — editio
или denegatio interdicti.
По
мнению
Манкузо, decretum —
синоним sententia.
Однако,
несмотря на
то, что в
текстах
встречаются
места,
поддающиеся
подобному
толкованию,
вряд ли можно
вслед за
исследователем
сделать
вывод, что
декрет
представлял собой
юридическое
средство, с
помощью которого
претор брал
на себя
обязанности
судьи или
арбитра.
Углубленный
анализ
текстов
показывает,
что подобная
синонимия
встречается
лишь по
отношению к
процедуре extra ordinem.
Равенство
между decretum и iudicatum
также
опровергается
оппозицией nova decreta / nova iudicia у
Цицерона (In Verr.) и
противопоставлением
между теми, qui iudicia dant (sc.
praetores) и
qui iudicant (ibidem).
Действие
преторского
декрета
может быть либо
прямым, либо
опосредованным.
В первом случае
он оказывает
юридический
эффект сразу
после
вынесения
(например,
назначение
опекуна,
различные
интердикты и
т.п.). Во
втором — он
служит
основой для
вынесения
судьей
определенной
sententia.
* Антонино Метро - известный итальянский ученый, специалист по римскому праву, ординарный профессор, Декан Юридического факультета университета г. Мессины (Италия), Сопрезидент Международного центра романистики.
[1] E’ infatti definitivamente superata la prospettiva di qualche autore più antico (cfr. ad es. M. Lauria, Iurisdictio, in Studi Bonfante 2, Milano 1930, spec. 512 s. ) tendente ad affermare la fungibilitа nell’uso dei due termini da parte delle fonti.
[2] Cfr., per tutti, A. Guarino, La formazione dell’editto perpetuo, in H. Temporini - W. Haase, Aufstieg und Niedergang der römischen Welt 13,2, Berlin-New York 1980, 68 ss. e F. Gallo, Un nuovo approccio per lo studio del ius honorarium, in SDHI. 62 (1996) 1 ss. [= L’officium del pretore nella produzione e applicazione del diritto, Torino 1997, 54 ss.].
[4] A. Metro, La lex Cornelia de iurisdictione alla luce di Dio Cass.36.40.1-2, in IURA 20 (1969) 500 ss. (cfr. anche A. Metro, La denegatio actionis, Milano 1972, 145 ss.).
[5] Sulla struttura di questo testo dei Paradoxa stoicorum (le cui traduzioni peccano spesso di banalitа, perché si riducono ad un elenco dei sostantivi enunciati, senza cogliere le contrapposizioni che danno senso al discorso), cfr. per tutti il commento contenuto nell’edizione di M. Stella, Milano 1937, che ben chiarisce (67 in nt.) la presenza in esso di “...una enumerazione costituita complessivamente da otto sostantivi, che sono riuniti in quattro coppie: i membri di ciascuna di esse formano un contrapposto, ottenuto col semplice accostamento dei due membri stessi, senz’alcuna congiunzione intermedia” (cfr., comunque, e solo a titolo esemplificativo, anche la traduzione di O. Tescari, contenuta in Tutte le opere di Marco Tullio Cicerone, 28, Milano 1968, 48).
[6] Il decernere contra edictum è una delle malefatte che Cicerone rimprovera a Verre (In Verr. 2.1.46.119). Questa possibilitа, comunque, risulta implicitamente anche da altre testimonianze ciceroniane: cfr., ad es., In Verr. 2.1.43.112 e Ep. ad fam. 13.59.
[8] Qualcuno di essi, tuttavia, risale sicuramente giа all’epoca delle legis actiones: cfr. per tutti M. Talamanca, Ist. dir. rom., Milano 1990, 345 ss.
[9] Cfr. A. Biscardi, La protezione interdittale nel processo romano, Padova 1938, 55 s.; G. Gandolfi, Contributo allo studio del processo interdittale romano, Milano 1955, 76 ss.
[10] Ad esempio, di un’actio rescissoria, di un’exceptio o di una replicatio: cfr. la trattazione dedicata ex professo al problema (con ampi richiami alla letteratura in argomento) da G. Cervenca, Studi vari sulla “restitutio in integrum”, Milano 1964, 25 ss.
[11]
Un elenco di provvedimenti di competenza pretorile, riferito a materie di
particolare importanza, tanto da poter essere trattate anche in periodo feriale
(quindi senz’altro incompleto) ci viene fornito da
D. 2.12.2 (Ulp., 5 ad ed.) Eadem oratione divus
Marcus in senatu recitata effecit de aliis speciebus praetorem adiri etiam
diebus feriaticis: ut puta ut tutores aut curatores dentur, ut officii
admoneantur cessantes, excusationes allegentur, alimenta constituantur, aetates
probentur, ventris nomine in possessionem mittatur, vel rei servandae causa,
vel legatorum fideive commissorum, vel damni infecti, item de testamentis
exhibendis, ut curator detur bonorum eius, cui an heres exstaturus sit incertum
est, aut de alendis liberis parentibus patronis, aut de adeunda suspecta
hereditate, aut ut aspectu atrox iniuria aestimetur, vel fideicommissaria
libertas praestanda.
Vero è che il testo non parla esplicitamente di decretum, ma la coincidenza di molte materie con quelle nelle quali è attestato un tale provvedimento è molto significativa.
[17] Anche se alcuni studiosi, in passato, ne hanno proposto la sostituzione con “decreto": cfr. gli autori citati da S. Solazzi, Studi sull’“actio rationibus distrahendis”, in Rend. Ist. Lomb. 50 (1917) 186 ss. [= Scritti di diritto romano 2, Napoli 1957, 207 ss.], il quale, dal canto suo, sospetta della genuinitа del testo.
[18]
D.42.2.29 pr. (Pap., 11 resp.) ... sed praetoris oportet in ea re sententiam
servari...
D.37.11.8.4 (Iul., 24 dig.) ...Respondi sententiam praetoris in danda bonorum possessione eam esse, ut rell.
[19] Il problema è posto anche ad altri testi e viene variamente risolto: Modestino, ad esempio, ritiene (in D. 34.2.9) che, in mancanza di esplicita indicazione, sia dovuto senz’altro il prezzo e non l’oro.
[21] Cfr. sul punto ex professo O. Carrelli, Decretum e sententia nella restitutio in integrum, in Annali Bari n.s. 1 (1938) spec. 215 s.
[22] Cfr. per tutti B. Biondi, Appunti intorno alla sentenza nel processo civile romano, in Studi Bonfante 4, Milano 1930, 88 s. [= Scritti giuridici 2, Milano 1965, 502 s.]; L. Aru, Il processo civile contumaciale, Roma 1934, 167 s.; M. Kaser, Das römische Zivilprozessrecht, München 1966, 513 e nt.14; M. Brutti, La problematica del dolo processuale nell’esperienza romana 2, Milano 1973, 456 ss. (in part. ntt. 158 e 159, con altra letteratura).
[25] Sul significato (controverso) di tale espressione, cfr. F. Milazzo, La realizzazione delle opere pubbliche in Roma arcaica e repubblicana, Napoli 1993, 147 ss. nt. 230 ed ora, ex professo, A. Trisciuoglio, “Sarta tecta, ultrotributa, opus publicum faciendum locare”. Sugli appalti relativi alle opere pubbliche nell’etа repubblicana e augustea, Napoli 1998.
[27] Almeno nel nostro caso. Sui magistrati competenti a svolgere tali attivitа, cfr. Trisciuoglio, op. cit., 109 s.
[32] Dalla quale il brano viene di solito studiato in parallelo ad altri testi letterari, che si occupano delle fonti del diritto: per quanto riguarda il iudicatum, cfr. e.c. M. Kaser, Das Urteil als Rechtsquelle im römischen Recht, in Festschrift Schwind, Wien 1978, 115 ss.
[34] In un ordine di idee analogo, cfr. giа B. Albanese, Brevi studi di diritto romano. 1. Pactum e iudicatum in due testi retorici, in Annali Palermo 42 (1992) 17 s. dell’estratto, secondo cui il retore, parlando di decretum, si riferiva certamente al provvedimento di datio iudicii e, probabilmente, anche agli interdetti esibitori e restitutori.
[35] Il discorso (è bene ribadirlo) riguarda il processo e non tutte le altre decisioni che il pretore assume in materia extraprocessuale, come risulta chiaramente dalla casistica riportata supra, nel § 1.
[36] Cfr. A. Metro, La denegatio actionis, cit., 160 ss. La tesi contraria, avanzata da W. J. Zwalve, Proeve ener theorie der denegatio actionis, een lnderzoek naar de positie van de magistraat in het Romeinse burgerlijk procesrecht, Kluwer-Deventer 1981, è stata ampiamente contestata, credo in modo definitivo, da H. Ankum, Denegatio actionis, in ZSS. 102 (1985) 453 ss.