O.DILIBERTO

 

CONOSCENZA E DIFFUSIONE

DELLE XII TAVOLE

NELL’ETà DEL BASSO IMPERO.

PRIMO CONTRIBUTO*

 

 

 

1. Sono ben noti agli studiosi i problemi connessi alla conoscenza ed alla circolazione del testo decemvirale nell'età del basso-impero. Numerose sono, infatti, le testimonianze di tale epoca che, direttamente o indirettamente, citano versetti delle XII Tavole o menzionano, a diverso titolo, il codice decemvirale.

Da tali fonti si desumono, anche ad una prima approssimazione, alcuni dati certo non ignoti alla dottrina: in primo luogo, il ricordo delle XII Tavole sembra ancor ben vivo sia in ambienti giurisprudenziali sia, più in generale, presso le élites intellettuali; in secondo luogo, il testo di alcuni versetti del codice decemvirale medesimo si presenta nel tardo impero con variazioni anche di rilievo rispetto a tradizioni testuali attribuibili ad epoche precedenti[1].

Si tratta, peraltro, di tematiche tutt'altro che nuove per la scienza giusromanistica. Ciò che, invece, mi sembra non sia stato sufficientemente indagato è proprio il quadro d'insieme che emerge dal lavoro di scavo e riordino del complesso della documentazione in nostro possesso concernente la conoscenza e la diffusione delle XII Tavole nel basso-impero. Un tale lavoro non mi sembra inutile: come si vedrà, infatti, nel corso della ricerca, il quadro d’insieme risultante dal complesso del materiale a nostra disposizione contribuirà a rivelare livelli non omogenei di conoscenza del testo decemvirale e una non uniforme utilizzazione del testo medesimo,  a seconda delle differenti epoche e dei diversi ambiti culturali e geografici; e ciò, come ovvio, se da un lato consentirà un più approfondito, successivo approccio ai testi decemvirali conservati nella Compilazione giustinianea, dall'altro offrirà anche spunti significativi per l’interpretazione di un tema, per così dire, classico nell'ambito degli studi sulle XII Tavole: mi riferisco alla vexata quaestio concernente l’attendibilità della notizia, contenuta in testi di ambiente ecclesiastico[2], di una presunta affissione, nel foro di Cartagine, in pieno III secolo d.C., del codice decemvirale[3], che farebbe ipotizzare, se accertata, la conservazione di una qualche, imprecisata versione delle XII Tavole, ben oltre i limiti temporali generalmente fissati dalla dottrina.

Le tematiche sin qui sommariamente ricordate presuppongono, dunque, un lavoro di scavo e di analisi sistematica delle fonti tardo-classiche, su cui ho in corso una più complessiva ricerca, che fa peraltro seguito al primo volume di studi sulle XII Tavole da me pubblicato qualche anno addietro: l’obiettivo è, dunque, quello di ultimare l’indagine sui materiali utilizzabili per la palingenesi decemvirale, in ordine alla quale ho già avuto modo di avanzare qualche ipotesi ricostruttiva parziale e provvisoria nel corso del volume precedentemente ricordato[4].

In tal senso, queste pagine rappresentano un primo contributo della più complessiva indagine ora ricordata, che sottopongo all'attenzione degli studiosi.

2. Allo scopo di meglio chiarire gli obiettivi del mio lavoro e, al contempo, di offrirne un'esemplificazione attraverso il riscontro di alcuni primi risultati, giova prendere le mosse dall'analisi di una fonte basso-imperiale generalmente (anche se, come si vedrà, non del tutto) trascurata da quanti si sono interessati di palingenesi decemvirale.

Soffermiamoci, dunque, in primo luogo, su Auson. Griph. 2, 61 ss. (= XI Edyll., 335 ss. ediz. Souchay Bipontine; XXVI ediz. Schenkl; XVI ediz. Peiper):

 

Ius triplex, tabulae quod ter sanxere quaternae:

sacrum, priuatum, populi commune quod usquam est.

Interdictorum trinum genus: unde repulsus

ui fuero aut utrubi fuerit quorumque bonorum.

Triplex libertas capitisque minutio triplex.

 

Il testo è tratto da un’operetta in versi, il Griphus, scritta con ogni probabilità da Ausonio nel 368 d.C., durante la campagna militare promossa dall'imperatore Valentiniano contro gli alemanni. Ausonio è al seguito della spedizione nella sua qualità di precettore del figlio dell'imperatore, Graziano[5]. I1 componimento, secondo le parole dell'autore, è un'operetta d'occasione, composta senza molte pretese nell'accampamento militare durante l’intervallo di tempo compreso tra la colazione ed il pranzo, in un momento di ozio e svago, allietato - secondo quanto afferma Ausonio stesso - da abbondanti libagioni (cfr. Griph. 1, 26 ss.). Nonostante l’occasionalità del testo poetico e la precarietà delle circostanze, l’autore tiene a sottolineare, nel dedicare il componimento al suo grande amico Simmaco, che egli si è comunque impegnato ad inserire in esso - come era, d'altronde, solito fare - passaggi di una qualche oscurità, senza i quali riteneva che l’opera avrebbe perso interesse (Griph. 1, 50, 51: eiusmodi epyllia, nisi uel obscura sint nihil futura). Si può, comunque, senz'altro presumere che l’opera sia stata successivamente rielaborata, almeno in una certa misura, dallo stesso autore, in sede di stesura definitiva e di pubblicazione.

L’opera è interamente costruita sul significato e i molteplici usi simbolici del numero tre. In tal senso, Ausonio si sofferma ad elencare, un po' alla rinfusa ma con largo sfoggio di erudizione[6], quali e quanti fossero - nella storia istituzionale, religiosa ed economica di Roma - i casi di triadi (o di multipli del medesimo numero) degni, a suo dire, di essere ricordati.

Nell'ambito, dunque, di tale elencazione, Ausonio conserva anche esempi tratti dal diritto romano. Nei versi che ho riportato, egli menziona, tra l’altro, le XII Tavole, ricorrendo ad un giro di parole funzionale all'elencazione triadica di cui si è detto (tabulae quod ter sanxere quaternae): il codice decemvirale sarebbe strutturato sulla base di tre quaternae, in quanto esso conterrebbe uno ius triplex (sacrum, priuatum et populi commune).

I1 testo prosegue poi con la menzione degli interdetti pretori (interdictorum trinum genus: unde repulsus / ui fuero aut utrubi fuerit quorumque bonorum) e dei tre tipi di manomissioni come di capitis deminutiones (triplex libertas capitisque minutio triplex). In sostanza, come è facile notare, si tratta di esempi tratti non tanto da istituti del diritto romano vigente al tempo di Ausonio, quanto escerpiti, in generale, dall'intero corso della storia giuridica di Roma.

Nel tentativo, dunque, di comprendere meglio il nostro testo, giova prendere le mosse da una rapida ricognizione della formazione culturale e degli scritti del nostro autore. 

 

3. Rètore, grammatico, poeta, uomo politico, Ausonio è senz’altro tra i più prolifici scrittori dei IV secolo d.C. Nato forse nel 310 a Bordeaux, da una famiglia cui si è voluta attribuire un'antica nobiltà sacerdotale druidica[7], compie studi retorici e grammaticali, per poi dedicarsi all'insegnamento, non potendosi escludere una qualche esperienza di patrocinio nel foro[8]. Di certo, comunque, compie, nell’ambito della formazione retorica, anche alcuni studi giuridici. Ricopre cariche municipali sino al duumvirato, per approdare nel 364 a Treviri, presso la corte imperiale di Valentiniano, in qualità di precettore, come detto, del figlio Graziano. La carriera di Ausonio pare, a questo punto, inarrestabile. Verso il 375 è quaestor sacri palatii e successivamente ricopre, con l’avvento al trono di Graziano, ulteriori rilevantissimi incarichi imperiali[9], sino al consolato (379 d.C.).

L’attività di Ausonio appare improntata alla più grande deferenza verso il passato di Roma e le sue tradizioni, quasi egli cercasse di dimostrarsi tutore di esse in un momento di trapasso, culturale, istituzionale e religioso, cui Ausonio aderisce, forse, senza grande convinzione[10].

I1 nostro autore si dimostra un profondo conoscitore della letteratura latina dei secoli precedenti (sino dai più antichi poeti e commediografi), possedendo, tra l’altro, copie di testi originali ritenute, in quel momento, di grande rarità[11] e di tale vasta conoscenza fruirà nel comporre le numerosissime opere letterarie a noi pervenute. A questo proposito, la dottrina si è a lungo interessata proprio delle fonti cui Ausonio attingeva, constatando unanimemente che il debito del nostro autore verso la letteratura romana arcaica e classica è larghissimo ed ampiamente documentato[12]

Una siffatta reverenza verso il passato, tra l’altro, induce la moderna critica a ritenere superficiale - anche se ostentata e supportata da ottime letture e adeguate: conoscenze - l’adesione di Ausonio al Cristianesimo[13] e ciò in un torno di tempo in cui la religione cristiana si avviava a divenire religione di stato.

Ma, per ciò che qui rileva, appare di particolare importanza il fatto che Ausonio partecipa direttamente, in qualità di quaestor sacri palatii, alla redazione delle costituzioni imperiali, come dimostra eloquentemente anche l’epistolario con Simmaco (Symm. epist. I, 20 Seeck). A questo proposito, va sottolineato che gli studi giuridici svolti e le stesse cariche istituzionali ricoperte offrono evidentemente ad Ausonio l’opportunità di entrare in contatto non casualmente con il diritto romano antico. Ciò è testimoniato non solo dai riferimenti agli istituti giuridici già richiamati in precedenza (XII Tavole, interdetti pretori, manomissioni e capitis deminutiones[14]), ma da riferimenti ancor più precisi e puntuali che si evincono da altri luoghi dell'opera del medesimo autore. Basti qui ricordare che Ausonio dimostra di conoscere lo ius pontificum[15] e si cimenta in dotte citazioni di leggi antiche: 

 

Auson. epigr. 91(92):

Iuris consulto, cui uiuit adultera coniunx,

Papia lex placuit, Iulia displacuit.

Quaeritis, unde haec sit distantia? Semiuir ipse

Scantiniam metuens non metuit Titiam.

 

I1 brano è tratto dallo scritto De iuris consulto qui uxorem habebat adulteram[16] ed ha un sin troppo evidente intento ironico, giocato sulle deficienze di ordine sessuale dell'ignoto giurista[17]. Ciò che qui rileva, invece, è la circostanza che Ausonio sembra voler fare sfoggio di erudizione[18] attraverso precisi riferimenti normativi, del cui contenuto si dimostra essere buon conoscitore.

In definitiva, Ausonio appare essere un autore di vaste letture, attento a mostrare la propria erudizione, in grado di dominare e di consultare (anche per via dell'elevata collocazione all'interno della corte imperiale) i materiali letterari antichi, con una qualche dimestichezza con i temi giuridici.

Torniamo, dunque, al testo da cui siamo partiti.

Sostanzialmente trascurato dagli esegeti più recenti, il passo aveva invece richiamato l’attenzione degli studiosi dei secoli scorsi impegnati nei tentativi palingenetici delle XII Tavole, i cui risultati, nella sostanza, ancor oggi vengono generalmente accolti[19]. Ma, al di là di qualche rapida osservazione, le conclusioni cui è giunta la dottrina sono nel senso di sollevare più di una perplessità in merito alla «tripartizione» decemvirale (ius sacrum, priuatum et populi commune) menzionata da Ausonio.

In particolare, il Nikol'skij, che più degli altri studiosi si è interessato dei testo in esame, ha osservato che la menzione delle tabulae come divise in tre quaternae sarebbe frutto solo di esigenze metriche e non già di una precisa indicazione strutturale[20].

Alla luce di quanto precede, proviamo, dunque, ad analizzare il testo.

Dopo altri, numerosi esempi triadici, Ausonio afferma che anche il diritto, in alcuni ambiti, sarebbe diviso in tre parti: in particolare, le XII Tavole conterrebbero uno ius triplex, strutturato attraverso tre quaternae che comprenderebbero lo ius sacrum, quello privato e lo ius populi commune (evidentemente, l’autore sembra così indicare lo ius publicum). Le altre esemplificazioni giuridiche triadiche che seguono non rilevano ai fini della nostra indagine, se non per la circostanza, già sottolineata, che si tratta di riferimenti colti ed eruditi al diritto romano.

Non mi pare dubitabile, innanzi tutto, che Ausonio stia giocando con le parole (e i numeri): vi è in lui l’evidente intento di stupire l’ascoltatore (e, successivamente, il lettore[21]) e, al contempo, di suscitare curiosità per l’intrinseca, voluta oscurità delle espressioni impiegate. I1 codice decemvirale sembra, dunque, indicato da Ausonio con un giro di parole, per via di un intreccio tra esigenze metriche e gusto - per così dire - enigmistico: non a caso, autorevolmente, il La Penna, nel rilevare il ruolo di spicco esercitato da Ausonio nell'ambiente intellettuale del IV secolo, sottolinea come prevalgano nel nostro autore la «ricerca di curiosità metriche» nell'ambito di una «funzione ludica della poesia»[22].

Tuttavia, se la ricerca di arrestasse nella semplice rilevazione del curioso esercizio metrico di Ausonio, non si spiegherebbe il motivo per cui un autore non digiuno di studi e di conoscenze sulla storia giuridica di Roma scelga proprio le XII Tavole per un'esemplificazione degli svariati impieghi del numero tre: non è, infatti, sufficiente, a mio avviso, la semplice circostanza che dodici sia multiplo di tre. Evidentemente, invece, Ausonio ritiene effettivamente che si possa scorgere una sorta di «tripartizione» dello ius contenuto nel codice decemvirale, su cui occorre ancora riflettere. 

5. Per provare ad affrontare il tema in esame occorre allargare il campo d'indagine e, in primo luogo, credo necessario indagare in merito alle possibili fonti di Ausonio per quanto concerne il nostro brano.

I non molti autori interessatisi del testo hanno già efficacemente osservato come nella letteratura romana non manchino esempi nei quali le XII Tavole vengono indicate, per esigenze metriche, con giochi di parole o allusioni numeriche. In particolare, si può ricordare come Ovidio parli, a proposito dei decemviri, di bis quinque uiri[23] e, come diffusamente vedremo in seguito, in altre fonti il codice venga indicato con l’espressione di bis sex tabulae[24]. Tuttavia, negli esempi ora ricordati, i giochi di parole sono diversi da quello di Ausonio e non si prestano a spiegare, evidentemente, la menzione dello ius triplex.

Viceversa, pur senza precisi riferimenti alle XII Tavole, vi sono due testi che possono, a buon diritto, essere presi in considerazione ai fini dello studio delle fonti di Ausonio.

Analizziamo, infatti, 

 

Quint. inst. 2, 4, 34: nam et genera sunt tria sacri publici privati iuris quae diuisio ad laudem magis spectat, si quis eam per gradus augeat, quod lex, quod publica, quod ad religionem comparata sit. 

 

Già Godefroy aveva ipotizzato una dipendenza del testo di Ausonio da questo brano quintilianeo[25]. La tripartizione del diritto prospettata dal retore non coincide, invero, precisamente con quella di Ausonio: e tuttavia si può ricordare che il nostro autore compie seri studi di retorica[26], tra i quali non poteva certo mancare quello sugli scritti quintilianei.

E tuttavia, il testo retorico suggerito da Godefroy va letto in parallelo con un passo di Virgilio su cui ha richiamato l’attenzione degli studiosi il Nikol’skij:

 

Verg. Aen. 10, 202 s.:

Gens illi triplex, populi sub gente quaterni,

ipsa caput populis, tusco de sanguine uires[27].

 

Nel brano, Virgilio sta descrivendo la propria città natale, Mantova, paragonandone le origini a quelle di Roma[28]. Ed appare chiaro come il gioco di parole (e, in parte, le stesse espressioni impiegate: triplex... quaterni) richiami immediatamente il testo di Ausonio. A ciò possiamo aggiungere che una consolidata dottrina ritiene Virgilio proprio l’autore classico meglio conosciuto e più largamente utilizzato da Ausonio medesimo[29]. 

Le suggestioni letterarie cui, dunque, potrebbe aver attinto il nostro autore per la composizione del testo in esame sembrerebbero essere rappresentate dai due passi, l’uno retorico (per la tripartizione del diritto) e l’altro poetico (per il gioco di parole con i numeri), tratti da due autori entrambi noti ed utilizzati da Ausonio.

Non va dimenticato, peraltro, che nel testo del nostro autore ci si riferisce ad una tripartizione delle XII Tavole che, con ogni  evidenza, presuppone 1'idea che nel codice decemvirale fosse contenuto tutto il diritto. Ora, è ben nota agli studiosi la discussione  concernente la presenza di norme di diritto pubblico e sacro nell'antico codice[30]: una discussione che, come ovvio, esula dai limitati intendimenti di questa indagine. 

Ciò che, invece, rileva ai fini della nostra ricerca è la circostanza - peraltro ben nota - dell'esistenza di una tradizione consolidata, dal I sec. a. C. in avanti, secondo la quale le XII Tavole avrebbero contenuto norme riguardanti ogni branca del diritto. Livio parla dell'antico codice - in un testo celebre (3, 34, 6-7) - come della fons omnis publici priuatique iuris[31]· mentre Cicerone, come è altrettanto noto, non solo sembra attribuire alle XII Tavole norme che ai nostri occhi appaiono senz'altro di diritto pubblico e sacrale, ma rileva anche esplicitamente che l’antico codice avrebbe regolato ogni parte del diritto (de orat. 1, 43, 193). Si può, inoltre, ricordare che lo stesso Cicerone - con l’evidente intento di sottolineare l’importanza delle XII Tavole rispetto ad ogni aspetto della vita della civitas - afferma anche, con fin troppa enfasi, che di fronte all'antico codice paiono poca cosa le intere biblioteche dei filosofi antichi (de orat. 1, 43, 195): affermazione, quest'ultima, che non può escludersi abbia condizionato anche il noto giudizio del filosofo Favorino che, secondo il racconto gelliano, afferma aver letto le XII Tavole con non minore interesse rispetto al libro platonico delle Leggi (Gell. Noct. Att. 20, 1, 4[32]).

Non può, dunque, stupire, a mio modo di vedere, se una siffatta, consolidata tradizione sia pervenuta sino ad un autore quale Ausonio, il cui debito rispetto agli autori classici si è già sottolineato. La ricerca della curiosità metrica conservata nei testo di Virgilio, la tripartizione del diritto presente nelle institutiones di Quintiliano e la tradizione classica delle XII Tavole come codice «onnicomprensivo», unite alle intrinseche caratteristiche delle composizioni poetiche di Ausonio, sono, dunque, a mio parere, gli elementi che consentono di spiegare il passo del Griphus sin qui analizzato, inserendolo in un sistema di relazioni tra testi di diverse epoche che, come vedremo, va ulteriormente indagato per quanto concerne le età successive.

 

6. Giova, a questo proposito, innanzi tutto rilevare come il gioco di parole e di numeri che si è osservato nel passo di Ausonio appaia diffuso nell'epoca considerata anche a proposito di argomenti assai diversi da quello delle XII Tavole, ma con singolari coincidenze testuali rispetto ai brani che si sono sin qui analizzati.

 Si può, infatti, notare che le fonti tarde di ambiente cristiano si interessano spesso del numero dodici, in relazione al problema degli apostoli: ebbene, non и infrequente che il medesimo numero venga indicato proprio quale risultato della moltiplicazione del quattro e del tre, poiché - come afferma Agostino -, sarebbe compito degli apostoli diffondere nel mondo la fede nella Trinità[33].

A questo proposito, per le implicazioni che si analizzeranno appresso in relazione alle XII Tavole, giova analizzare un testo di Prudenzio:

 

 Prud, Cathem. 12, 173 ss.:

 Hic nempe Iesus uerior,

 qui longa post dispendia

 uictor suis tribulibus

 promissa soluit iugera,

 qui ter quaternas denique

 refluentis amnis alueo

 fundauit et fixit petras,

 apostolorum stemmata.

 

L'esegesi del testo, non semplice dal punto di vista dell’interpretazione cristologica, non interessa, come ovvio, in questa sede[34]. Dal nostro punto di vista il senso è, infatti, comunque sufficientemente chiaro: il riferimento alle tre quaternae serve a Prudenzio per indicare i dodici apostoli e l’espressione, pur rispecchiando il gioco di numeri precedentemente ricordato a proposito delle fonti ecclesiastiche, appare anche singolarmente coincidente con quella conservata nel testo di Ausonio dal quale siamo partiti. I1 gusto per il vezzo linguistico, i giochi di parole, la combinazione dei numeri appaiono, dunque, assai diffusi nel torno di tempo che si sta analizzando, quasi da risultare dei veri e propri topoi linguistici.

 

7. Torniamo, dunque, alle fonti che più direttamente si interessano delle XII Tavole, perché Prudenzio ci ha lasciato un ulteriore e ben più pregnante testo sul quale riflettere.

Nella polemica con Simmaco, infatti, il nostro autore mostra non solo di conoscere anch'egli il codice decemvirale, ma di citare il codice medesimo con un gioco di parole analogo, anche se non lo stesso, rispetto a quello impiegato da Ausonio.

Osserviamo, dunque Prud. contra Symm. 2, 463 ss.:

 

 Quae quia constituunt, dicant, cur condita sit lex

 bis sex in tabulis, aut cur rubrica minetur;

 quae prohibet peccare reos, quos ferrea fata

 cogunt ad facinus et ineuitabile mergunt.

 

Il riferimento alle XII Tavole (lex bis sex in tabulis) è chiarissimo e consente alcune riflessioni.

Ora, Prudenzio, spagnolo, vive nella seconda metà del IV secolo ed esercita in un primo momento l’avvocatura, per poi dedicarsi alla carriera pubblica; ricopre cariche provinciali ed approda infine alla corte di Teodosio I proprio quando Ausonio, invece, se ne allontana, probabilmente per via della svolta nella politica religiosa rispetto al Cristianesimo impressa da quell'imperatore. I suoi scritti dimostrano notevole maestria tecnica e linguistica, nonché una vasta cultura classica e biblica, come d'altro canto appare consueto nel milieu intellettuale del tempo. In particolare, sembrano ben note all'autore, da un lato, proprio le opere di Ausonio e, dall'altro, quelle di alcuni dei principali amici e sodali di Ausonio medesimo, quali Paolino di Nola per l’ambiente cristiano e Simmaco per quello tradizionalista. Prevale, in definitiva, in Prudenzio, il complessivo disegno di descrivere la storia di Roma - che ben conosce - quale esplicitazione di un piano divino[35].

Veniamo, dunque, alla luce di quanto precede, all'analisi del testo sopra riportato. In primo luogo, Prudenzio, attento lettore di Ausonio, ricorre anch'egli ad un gioco di parole e di numeri (bis sex in tabulis) per indicare il codice decemvirale: un atteggiamento linguistico che non è insolito per il nostro autore, come osservato anche in precedenza[36] ma che sembra confermato, alla luce del testo in esame, anche in relazione alle XII Tavole. Inoltre, nel testo in esame, l'autore menziona l’antico codice nell'ambito della polemica contro Simmaco, svolta nel secondo libro dell'opera, dedicato al libero arbitrio: secondo Prudenzio, il Cristianesimo sarebbe religione di libertà (v.v. 472-487), poiché egli sostiene che le azioni degli uomini non verrebbero compiute come sotto la spinta di una sorta di fatalitа necessitata: se così fosse, infatti, sostiene Prudenzio, non sarebbero necessari i divieti contenuti nelle leggi, in quanto anche le attività delittuose sarebbero compiute in una sorta di stato di necessità e, pertanto, in ultima analisi, non sarebbero di conseguenza neanche punibili.

I1 punto, tuttavia, è che la menzione delle XII Tavole nel contesto ora ricordato - quali leggi per eccellenza - doveva presumibilmente sembrare a Prudenzio assai efficace. Simmaco, infatti, cui è polemicamente rivolta l’opera, ben conosce le XII Tavole: ne menziona la tradizione antica[37] e le cita quali esempi paradigmatici nell'ambito della discussione sull’utilità della conoscenza della lingua arcaica per i contemporanei[38]

La polemica tra i due autori non rientra, al momento, nell'oggetto di questa indagine. Ma è perlomeno singolare che nella seconda metà del IV secolo d.C. due autori del rilievo di Prudenzio e Simmaco[39] urilizzino ancora l’esempio dell'antichissimo codice nella discussione sul presente, un po' come - due secoli prima era accaduto nel celebre dialogo tra Favorino e Sesto Cecilio (Gell. Noct. Att. 20, 1)[40].

I1 testo di Prudenzio che abbiamo analizzato sembra, dunque,. da un lato, confermare come certi topoi linguistici (il gioco di numeri e parole) fossero diffusi presso una certa intellettualità latina del basso-impero anche per indicare il codice decemvirale; e, dall’altro, consolida l’idea che il ricordo delle XII Tavole era ancora ben presente nella riflessione sulla legislazione romana: anzi, le XII Tavole, menzionate da Prudenzio come lex per eccellenza, sembrano proprio rappresentare agli occhi della classe dirigente del tardo impero un monumento legislativo cui fare riferimento e su cui, pertanto, occorre ancora, in una certa misura, ragionare e confrontarsi.

 

8. Vi è, tuttavia, a questo proposito, un ulteriore testo che è opportuno considerare ai fini di questa indagine.

Osserviamo, infatti, Sidon. Apoll. carm. 23,446-449:

 

 (...) siue ad doctiloqui Leonis aedes

 (quo bis sex tabulas docente iuris

 ultro Claudius Appius lateret

 claro obscurior in decemuiratu, (...).

 

I1 passo di Sidonio è di grande interesse ed è opportuno analizzarlo con particolare attenzione. Esso è tratto dal ventitreesimo carmen, dedicato a Consentius, sodale di Sidonio, proprietario terriero presso Narbonne e personaggio di spicco dell'entourage imperiale intorno alla metà del V secolo d.C. Nel brano in esame, dunque, Sidonio sta elogiando l’ospitalità e la generosità degli amici narbonensi: tra questi, egli si rivolge anche a un certo Leone, presumibilmente un giurista, come si vedrà, che - da quanto apprendiamo - si sarebbe occupato delle XII Tavole nell'ambito dell'insegnamento (docente) con particolare riferimento al ruolo svolto da Appio Claudio all'interno del decemvirato.

Come è facile notare, peraltro, i versi di Sidonio si riferiscono al codice decemvirale attraverso un’espressione pressochй identica  a quella impiegata da Prudenzio (bis sex tabulas) tanto da indurre un'autorevole dottrina a sostenere che vi fosse una dipendenza diretta tra i due autori per quanto riguarda il brano in esame[41].

Ora, Sidonio, di nobile famiglia romana lionese[42], vive nella  seconda metà del quinto secolo e percorre anch'egli, come i precedenti autori considerati, una brillante carriera pubblica: è praefectus urbis negli anni 468/69, ricevendo tra l’altro il titolo di patrizio romano, per divenire vescovo di Arvernum nel 470. Nell’esercizio dell'episcopato scrive i carmina, facendo largo uso di metafore con ricca esemplificazione tratta dalla mitologia classica, nonché un vasto epistolario modellato su quello di Simmaco. Di particolare rilievo appare la circostanza che Sidonio mostra di poter accedere alle più ricche biblioteche del tempo[43]: da ciò è presumibile derivi anche la sua riconosciuta dipendenza dagli autori classici[44] e, tra le fonti basso-imperiali, da Ausonio[45], del quale tra l’altro condivide il gusto letterario per il gioco di parole e la ricerca delle curiosità espressive[46]. Infine, il medesimo Sidonio svolge diffusamente l’opera giurisdizionale tipica dell'episcopato del basso-impero, che lo obbliga, in una certa misura, ad entrare nel merito di questioni anche strettamente giuridiche: il che egli fa, il più delle volte, come risulta dal ricco epistolario, suo malgrado[47]. Sidonio, dunque, personaggio influente del suo tempo, scrittore, uomo pubblico, vescovo, frequentatore di biblioteche ed ambienti colti e politicamente di rilievo, cita nei testo in esame le XII Tavole. Lo fa del tutto incidentalmente, menzionando la casa di Leone (da una parte della dottrina individuato nel giurista collaboratore di Eurico per la redazione dell'omonimo codex[48]), ma anche esplicitando - forse per un vezzo intellettuale - il contenuto dell'insegnamento del medesimo giurista nel quale si tratta del codice decemvirale. Possiamo, quindi, ragionevolmente supporre che Sidonio avesse appreso egli stesso da Leone l’oggetto del suo insegnamento o ne avesse letto un'opera: in ogni caso, egli evidenzia una curiosità intellettuale non comune a proposito di un codice legislativo antichissimo.

 Di cosa si occupasse Leone ed in che modo trattasse delle XII Tavole non è dato sapere. Ma è di grande rilievo che nella seconda metà del V secolo d.C., nelle Gallie, un giurista ancora si interessasse del codice decemvirale ed altri - per giunta non giuristi - ne traessero un ricordo così vivo da scegliere proprio un particolare concernente il codice decemvirale, quale esempio di caratterizzazione dell’amico da tramandare in una poesia.

D'altro canto, Sidonio sembrerebbe conoscere, almeno in una qualche misura, le XII Tavole. Nell'epistolario, infatti, egli menziona il linguaggio decemvirale, in relazione ad un'innovazione legislativa a lui coeva: 

Sidon. Apoll. epist. 8,6, 7: Per ipsum fere tempus, ut decemuiraliter loquar, lex de praescriptione tricennii fuerat ‘proquiritata’. 

Si tratta, in questo caso, di un testo ben noto[49], collocato - pur con qualche perplessità - dalle comuni edizioni del testo decemvirale tra i fragmenta incertae sedis (FIRA, I, 75 n. 11). Sidonio, nel descrivere un provvedimento normativo imperale concernente i termini della prescrizione, parla della proclamazione della legge (proquiritata) esplicitando dottamente che il termine è tratto dal linguaggio decemvirale. Da tale testo, dunque, si trae conferma che Sidonio conosceva, almeno in una certa misura, testi tratti dalle XII Tavole[50].

Non è dato sapere se tali conoscenze fossero frutto, per Sidonio, dell'insegnamento del Leone sopra ricordato, né quanto le conoscenze medesime fossero più o meno approfondite. Di certo, il quadro che emerge, pur con la necessaria cautela, evidenzia un'attenzione all'antico codice che non può essere sottovalutata, nonché la ricorrenza di quei topoi tralatici nella citazione delle XII Tavole che abbiamo riscontrato nei testi precedentemente analizzati.

9. Ai fini dell'indagine intrapresa è opportuno, infine, analizzare un'ultima fonte, in questo caso epigrafica, che - per quanto mi consta - ha richiamato solo di sfuggita l’attenzione della dottrina interessatasi di XII Tavole.

Si tratta di Dessau, ILS, III2, 8987:

 

Ius ad iustitiam reuocare aequumque tueri

Dalmatio lex est, quam dedit alma fides.

Bis sex scripta tenet praetorisque omne uolumen,

doctus et a sanctis condita principibus.

5.  Hic idem interpres legum legumque minister

quam prudens callet, tam bonus exequitur.

Multis pro meritis, Valeri iustissime rector,

multis pro meritis haec stat imago tibi,

quam positi longe testantes publica uota 

10. usque procul patriae mittimus in gremium.

(...)

15. Dalmatio posuit prouincia Lugdunensis

 tertia patrono grata clienta suo.

 

Ritrovata nel 1901 nei pressi di Sopianae (attuale Fünfkirken), l’iscrizione conserva in una tavola bronzea l’elogio offerto dalla  prouincia tertia Lugdunensis al suo rector, un certo Dalmatius. Sulle cause del rinvenimento in una localitа diversa rispetto alla provincia dalla quale essa proviene, già il Mommsen aveva, a suo tempo, dubbi interpretativi[51]: l’unico dato certo, dunque, in quanto esplicitato nel testo, è rappresentato dalla dedica da parte della provincia ricordata. L'iscrizione è, peraltro, concordemente datata a cavallo tra IV e V secolo d.C.[52]: d’altro canto, la provincia tertia Lugdunensis sembra comunque essere stata costituita posteriormente al 387 d.C.[53]

I1 testo epigrafico in esame appare, dunque, di particolare rilievo per la ricerca qui intrapresa, in quanto proviene dal medesimo ambito geografico e da un'epoca assai prossima a quella nella quale sono stati composti i passi di Sidonio precedentemente analizzati. 

Nel brano si fa riferimento ad un rector prouinciae al quale viene riconosciuta, oltre ad altre qualità, anche la conoscenza delle XII Tavole (bis sex scripta) dell'editto del pretore (praetorisque omne uolumen) e, infine, delle costituzioni imperiali (sanctis... principibus).

 Si notano, anche ad una lettura superficiale, evidenti analogie con il testo di Sidonio (carm. 23, 446 ss.): le XII Tavole vengono indicate con il gioco di parole (bis sex) ormai ben noto (e che si era peraltro riscontrato, precedentemente, anche in Prudenzio); inoltre, nella fonte epigrafica in esame si fa riferimento ad un funzionario provinciale definito, come si è già osservato a proposito di Leone nel medesimo passo di Sidonio (doctiloqui Leonis), doctus nelle materie ricordate.

Ora, la scansione dei tre livelli di conoscenza attribuiti al rector Dalmazio (XII Tavole, editto pretorio, costituzioni imperiali)  ha indotto un'autorevole dottrina ad ipotizzare che l’iscrizione facesse riferimento ai livelli dell'apprendimento scolastico del diritto nell'epoca considerata[54]. Ma, al di là di tale, pur suggestiva e non  infondata ipotesi, il testo epigrafico in esame, da un lato, conferma il topos linguistico sin qui evidenziato alla luce di alcune fonti letterarie[55] e, dall'altro, conferma anche il fatto che le XII Tavole erano, almeno in una certa misura, oggetto del bagaglio di conoscenze di una parte della classe dirigente del basso-impero, perlomeno in talune aree politico-culturali.

Il punto è, dunque, cercare di comprendere che cosa intendessero indicare le fonti in nostro possesso quando menzionano le XII Tavole come oggetto dello studio e del bagaglio culturale di certi personaggi. Credo, a questo proposito, che la fonte epigrafica ora in esame offra un possibile spunto per approfondire tale tematica. Infatti, la scansione dei tre livelli della conoscenza, attribuita dai provinciali al loro rector, suggerisce che le XII Tavole venissero menzionate per indicare, tout court, lo ius ciuile. Mi sembra plausibile, infatti, che attraverso i riferimenti, rispettivamente, alle XII Tavole, all'editto pretorio e alle costituzioni imperiali si intendessero indicare, simbolicamente, i tre principali momenti (sotto il profilo giuridico e quello temporale) della storia del diritto di Roma. I1 codice decemvirale, dunque, sembra citato nel testo in esame come esempio paradigmatico del più antico diritto e, al contempo, come assorbente in sé, sulla base di un fenomeno di concentrazione ben noto, pressoché l’intera esperienza giuridica civilistica antica.

10. Le fonti sin qui analizzate evidenziano, quindi, come le XII Tavole vengano menzionate nell’età del basso-impero con intendimenti articolati e in parte differenziati tra loro. 

Nel testo di Ausonio (Griph. 2, 62 ss.) esse sembrano indicare, sulla scorta di una tradizione precedente e largamente diffusa, l’intero antico ius, strutturato, come si ricorderà, secondo il medesimo autore, sulla base di una tripartizione. In Prudenzio (contra Symm. 2, 401), il codice decemvirale sembra, viceversa, indicare la legge per  eccellenza promulgata dai romani nel corso della loro storia. Sulla base, invece, dei testi di Sidonio (con particolare riferimento a carm. 23, 446 ss.), sembra potersi ricavare una qualche forma di insegnamento delle XII Tavole, nella misura e nelle forme che si dovranno verificare, perlomeno sul piano della storia della codificazione (si pensi al riferimento esplicito alla vicenda di Appio Claudio). Infine, nel testo epigrafico analizzato da ultimo, le XII Tavole stesse sono impiegate, presumibilmente, con una forte valenza simbolica, nel senso di indicare l’esperienza giuridica civilistica nel suo complesso, distinta da quella edittale e dalle costituzioni imperiali.

In definitiva, i testi sin qui considerati consentono, a mio avviso, di proporre alcune considerazioni di carattere generale ed alcune prime indicazioni conclusive e di sintesi.

In primo luogo, le fonti del basso-impero sembrano uniformemente confermare che l’impiego di giochi di parole fondati sulla numerazione per indicare le XII Tavole era largamente diffuso: il che implica che il ricordo dell'antico codice era vivo al punto da consentire di menzionarlo non direttamente, ma attraverso artifici lessicali, senza che ciт facesse insorgere nel lettore ragionevoli dubbi interpretativi.

Ancora, non si può sfuggire alla suggestione che sia Ausonio che Sidonio Appolinare (così come Salviano, marsigliese, anch'egli autore del V secolo e riconosciuto conoscitore delle XII Tavole, sul quale avrà occasione di tornare diffusamente[56]) provengono dalle Gallie, così come appare redatta in una provincia gallica l’iscrizione precedentemente analizzata. Ciò sembra confermare la circostanza che proprio nelle Gallie si possa riscontrare - come noto alla comune dottrina - un ambiente colto e relativamente avanzato dal punto di vista degli studi giurisprudenziali nel basso-impero[57] il che può aver agevolato, all'interno delle élites intellettuali, la circolazione di materiali e, in definitiva, una qualche forma di conoscenza anche del più antico diritto di Roma, tanto da indurre il giurista Leone ad occuparsene ex professo nell'ambito del proprio insegnamento.

 Infine, il complesso delle testimonianze analizzate sembra evidenziare come nei secoli tra il IV e il V d.C. una parte dell'intellettualità romana, ed in particolare quella facente parte della burocrazia imperiale, se, da un lato, conservava vivo il ricordo dell'antico codice come “monumento” legislativo per eccellenza, dall'altro, sembri anche non essere priva di informazioni concernenti le XII Tavole, intendendo in esse presumibilmente assorbita gran parte dell'intera esperienza civilistica.

D'altro canto, come è ben noto, le XII Tavole appaiono ancora largamente citate nelle opere giurisprudenziali tarde a noi pervenute: il che rende ancor più verosimile che qualche nozione essenziale, concernente il codice decemvirale e lo ius ciuile antico, venisse ancora ritenuta relativamente importante per la formazione della classe dirigente.

Queste prime conclusioni contribuiscono ad incominciare a delineare il quadro complessivo che si evincerà al termine della disamina dei testi basso-imperiali concernenti le XII Tavole. Si può, in definitiva, ipotizzare che, perlomeno nelle principali biblioteche e negli archivi delle cancellerie imperiali, si conservassero testi riguardanti, direttamente o indirettamente, le XII Tavole: si pensi alle opere classiche contenenti riferimenti o citazioni di singoli versetti decemvirali; ma è opportuno non sottovalutare la circostanza che uno dei giuristi più conosciuti ed utilizzati nel basso impero, Gaio, è autore tra l’altro anche di un commento all'antico codice (che sarà, non casualmente, utilizzato dai compilatori giustinianei).

Come è naturale, si tratterò di cercare di comprendere, nella misura del possibile, quali opere contenenti riferimenti alle XII Tavole circolassero negli ambienti del basso-impero; così come sarà necessario esaminare - alla luce dei dati disponibili - il testo dei singoli versetti decemvirali quale si presenta nelle fonti del basso impero, al fine di confrontare tale testo con quello a noi noto aliunde per i medesimi versetti.

Ma è una ricerca, quest'ultima, che esula dai limitati intendimenti di questo primo contributo.

 

 

 

 

 

О. ДИЛИБЕРТО

 

ЗНАНИЕ И

РАСПРОСТРАНЕННОСТЬ

XII ТАБЛИЦ В ЭПОХУ

ПОЗДНЕЙ ИМПЕРИИ

 

(РЕЗЮМЕ)

 

Известно, сколь часто позднеантичные авторы ссылаются на законы XII таблиц, что позволяет предположить их непосредственное знакомство с этими нормами. Есть и указания на находившийся на карфагенском форуме еще в III в.н.э. децемвиральный кодекс (Cypr. ad Don. 10; Salv. gub. Dei, 8. 5. 24). Поэтому тщательный анализ позднеантичной традиции может способствовать более глубокому пониманию уровня знаний элитой того времени законов XII таблиц и способствовать успешному палингенезу самих законов.

Так, текст Авсония (Griph. 2. 61 ss.), глубокого знатока древней латинской литературы, сообщает о разделении XII таблиц на 3 части (ius triplex): на сакральное, частное и публичное право. Несомненно, что Авсоний использует игру слов и чисел, однако трехчастность именно XII таблиц у него не случайна. Квинтилиан, например, также говорит о делении права на сакральное, публичное частное (Quint. Inst. 2. 4. 34). Здесь следует сказать о существовавшей еще в I в. до н.э. идее, что XII таблиц содержали в себе все части права (Liv. 3. 34. 6-7; Cic. de orat. I. 43. 193). Эта традиция и сохранялась и в последующие века, в частности, и у Авсония.

Христианские авторы, как известно, свя зывают число 12 с 12 апостолами и верой в святую Троицу, что отражено, в частности, у Пруденция (Cathem 12. 173 ss.). Однако, у него XII таблиц фигурируют как “дважды по шесть” (bis sex in tabulis - Contra Symm. 2. 463). Дважды по шесть таблиц упоминает и Сидоний Аполинарий, автор середины V в. н.э., в связи с неким знатоком этих законов - юристом Леоном. Видимо, Сидоний либо слушал лекции этого юриста  о древнейшем своде законов, либо использовал его сочинение на эту тему. Для Галлии 2 пол. V в. н.э. этот факт весьма знаменателен. Другой фрагмент из Сидония (Epist. 8. 6. 7), подтверждает, что он был в какой-то мере знаком и с самими текстами XII таблиц. Наконец, еще один источник - эпиграфический - датируемый рубежом IV-V вв. н.э. также указывает на знакомство некоего Далмация с децемвиральным сводом (Dessau, ILS, III2, 8987).

Приведенные данные позволяют предположить, что в IV-V вв. н.э., по крайней мере, в некоторых библиотеках и архивах хранились тексты, прямые или непрямые, законов XII таблиц.

 



* Questo contributo è destinato agli Studi in onore di Filippo Gallo.

[1] Sul punto, mi limito a rinviare in questa sede introduttiva, al mio Materiali per la palingenesi delle XII Tavole, I, Cagliari, 1992, spec. 97 ss. e. ultimamente a Bretone, Sesto Elio e le Dodici Tavole. in Labeo, 1995. 70 ss.  

[2]  Cypr. ad Don. 10 (Migne, PL, VI, 217) e Salu. gub. Dei 8, 5, 24 (Migne. PL. LIII. 158).

[3]  Da ultimi, sostengono l’attendibilità della tradizione ecclesiastica ora ricordata D’Ippolito, Le XII Tavole: il testo e la politica, in Storia di Roma, a cura di Momigliano e Schiavone, I, Torino, 1988, 398 e ivi nt. 2 e Nicosia, Lineamenti di storia della Costituzione e del diritto di Roma, I, rist. Catania, 1989, 104.

[4]  Diliberto. Materiali, cit., 333 ss.

[5] Cfr., per tutti, Pastorino, Introduzione, in Opere di Decimo Magno Ausonio, Torino, 1978 (rist. ediz. 1971), 71 e 92. Si tratta di un’ampia introduzione, largamente condivisibile, ma - come ha osservato autorevolmente Guarino (Ausonio ab urbe condita [1973], ora in Pagine di diritto romano, II, Napoli, 1993, 298 nt. I) - non sempre affidabile per quanto riguarda le notazioni sugli argomenti giuridici e la stessa traduzione italiana dei passi che contengono riferimenti ad istituti del diritto romano. Ultimamente, v. anche von Albrecht, Storia della letteratura latina. Da Livio Andronico a Boezio, III, Torino. 1996 (Bern-München, 19942). 1339 ss.

[6] Pastorino. Introduzione. cit., 106.

[7] Jullian. Ausone et Bordeaux, 1873, 10; più di recente, v. Momigliano. Storia e storiografia antica. Bologna, 1987. 375.

[8] Pastorino. Introduzione. cit., 18.

[9] Per le diverse cariche ricoperte da Ausonio, cfr., diffusamente, Pastorino. Introduzione. cit., 21 ss.

[10] Sul punto v. le acute considerazioni di A. Alfoldi. A conflict of Ideas in the Late Roman Empire. Oxford, 1952. spec. 84 ss. Ausonio appare, d’altronde, alla più avveduta dottrina, come il tipico esponente degli ideali della maggioranza senatoriale pagana: cfr. Bloch. La rinascita pagana in Occidente alla fine del secolo IV, in Il confitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, saggi a cura di Momigliano (1963), trad. ital. Davies Morpurgo, Torino, 19752. 203.

[11] Ausonio, generosamente, invia alcuni di questi testi alla vasta cerchia delle sue amicizie (cfr. Pastorino. Introduzione. cit., 480).

[12] Pastorino. Introduzione, cit., 114 s. e ivi ulteriori indicazioni bibliografiche.

[13] Pastorino. Introduzione. cit., 35 ss.

[14] Cfr. Voigt. Die XII Tafeln. Geschichte und System des Zivil - und Kriminalrechts wie Prozesses der Zwölf Tafeln nebst deren Fragmenten, II, Leipzig, 1883. 22 nt. I e 63 nt. 4.

[15] Cfr. Auson. Comm. Prof. Burdig. 23, 5 e 9 (= Opusc. 16, 23. 5 e 9, ed. Schenkl, 69).

[16] Liebs. Die Jurisprudenz im Spätantiken Italien. Berlin, 1987, 95 s. e ivi letteratura essenziale sugli scritti di Ausonio contenenti riferimenti al diritto romano.

[17] Sul punto, per l’esegesi del testo, v. Dalla. “Ubi venus mutatur”. Omosessualità e diritto nel mondo romano. Milano, 1987, 85 e ivi nt. 39 per indicazioni bibliografiche fondamentali.

[18] L’amore di Ausonio per le elencazioni, dalle quali possa risultare la propria larga erudizione, è stato sottolineato dal Guarino. Ausonio “ab urbe condita”, cit., 308.

[19] Il nostro testo, invero, ha richiamato l’attenzione di non pochi ed importanti autori della scuola culta, cui si devono interessanti tentativi palingenetici delle XII Tavole: su di essi, che meritano, a mio avviso, uno specifico e non breve approfondimento, che appesantirebbe non poco questo contributo, rinvio sin d’ora alla più complessiva indagine che ho menzionato in apertura (cfr. § 1). Mi limito, pertanto, al momento, a richiamare i classici lavori di Gothofredus. Fragmenta XII tabularum (1616), poi in Fontes Quattuor Iuris Civilis (1653), in Otto, Thesaurus juris Romani, III, Basileae, 1744, 18 e 65; Dirksen. Uebersicht der bischerigen Versuche zur Kritik und Herstellung des Textes der Zwölf-Tafel-Fragmente. Leipzig, 1824, 9, 103 s; Nikol’skij. Sistema e testo delle XII Tavole Ricerca di storia del diritto romano (in russo). S. Pietroburgo, 1897, 98 (rec. Pergament, in ZSS, 1898, 374 ss.): sono grato al collega ed amico Leonid L. Kofanov per avermi procurato copia del libro del Nikol’skij, pressoché introvabile nel nostro Paese, per la cui traduzione ringrazio sentitamente l’on. dr. Luigi Marino; Lambert, L’histoire traditionelle des XII tables et les critéres d’inauthenticité des traditions en usage dans l’école de Mommsen, in Mél. Appleton, Lyon-Paris, 1903, 541 s. nt. 2. Ultimamente, anche se invero di sfuggita, il testo è stato ricordato, in relazione alla presenza o meno nelle XII Tavole di norme di diritto pubblico, nell’importante Roman Statutes, edit. by Crawford (la parte che qui interessa, relativa alla ricostruzione delle XII Tavole, è opera di Lewis e dello stesso Crawford, con la collaborazione di Humbert), II, London, 1996, 561.

[20] Nikol’skij. Sistema, cit., 98.

[21] Non va dimenticato (cfr. § 2) che si tratta di un’operetta d’occasione scritta e recitata durante una campagna militare e solo successivamente inviata a Simmaco e pubblicata, certo dopo esser stata, almeno in una qualche misura, rielaborata. Sul punto, v. Cracco-Ruggini, Ausonio e l’enigma del numero tre, in Polyanthema, Studi di letteratura cristiana offerti a S. Costanza. Messina, 1989, 167 ss.

[22] La Penna. Il lusus poetico nella tarda antichitа. Il caso di Ausonio, in Storia di Roma, a cura di Momigliano e Schiavone. III. 2, Torino, 1993, 731 s.

[23] Ovid. fast. 2, 47-54 (su cui v., ultimamente, D’Ippolito. Questioni decemvirali. Napoli, 1993, 64 e Albanese. Le XII Tavole e il calendario, in Brevi studi di diritto romano (II), in Ann. sem. Palermo, 43, 1995, 148 ss.

[24] Cfr. infra. 7-9.

[25] Gothofredus. Fragmenta, cit., in Otto. Thesaurus, cit., 65. Recentemente, la Aricò Anselmo. Ius publicum - ius privatum in Ulpiano, Gaio e Cicerone, in Ann. sem. Palermo 37, 1983. 741 nt. 309 ha notato la somiglianza tra i due testi, senza sostenere tuttavia la dipendenza dell’uno dall’altro.

[26] Pastorino. Introduzione, cit., 17.

[27] Sul testo quale possibile fonte di Ausonio v. Nikol’skij. Sistema, cit., 98.

[28] Sul punto, per tutti, v. la voce redazionale “Mantova”, in “Enciclopedia Virgiliana”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, III, Roma, 1987, 351 s., anche per le interpretazioni degli antichi commentatori e la letteratura al riguardo.

[29] Per tutti, v. Pastorino. Introduzione, cit., 115 e ivi letteratura fondamentale.

[30] Cfr. la letteratura menzionata in Diliberto. Materiali, cit., 407 ss. Ultimamente, v. Roman Statutes, edit. by Crawford, cit., 561.

[31] Cfr. per tutti, Crifò. La legge delle XII Tavole. Osservazioni e problemi, in ANRW, I. 2. Berlin - New York, 1972, 116 e ivi spec. nt. 119 per la letteratura essenziale; ultimamente, v. Guarino. Il dubbio contenuto pubblicistico delle XII Tavole (1988), ora in Pagine di diritto romano, IV, Napoli, 1994, 87.

[32] Su tutto ciт, rinvio a quanto già rilevato nel mio Materiali, cit., 173.

[33] Sul rapporto tra l’esegesi biblica e la numerologia nei Padri della Chiesa, rinvio alle fondamentali indicazioni contenute nel recentissimo Quacquarelli. Retorica patristica e sue istituzioni interdisciplinari. Roma, 1995. spec. 96 ss. Per Agostino, cfr. Endres-Schimmel. Dizionario dei numeri, storia, simbologia, allegoria (1984), trad. ital. Besana, Como, 1991, 186. In relazione al numero dodici come numero “perfetto”, v. anche Hieron. Comm. in Ezech. 10. 31-32 (Migne, PL, 25, 301 ss.).

[34] Cfr. le equilibrate considerazioni del Lavarenne, nell’edizione prudenziana delle Belles Lettres (Prudence, a cura di Lavarenne, I, Paris, 19552, 73 s. e ivi nt. 1).

[35] Su tutto ciò, cfr. il classico lavoro del Fontaine. La letteratura latina cristiana, Profilo storico (1970), trad. ital. D’Elia, Bologna, 1973, 139 ss. Su Prudenzio lettore di Ausonio, v. per tutti, ultimamente, von Albrecht. Storia della letteratura latina. III, cit., 1348.

[36] Peraltro, oltre al gioco del tre e del quattro (che si è osservato a proposito dei dodici apostoli), va considerato che lo stesso impiego dell’espressione usata per indicare le XII Tavole (bis sex) non appaia isolato in Prudenzio: cfr., infatti, in un contesto diverso, Prud. Apoth. 739.

[37] Cfr., infatti, Symm. epist. 3, 11, 3. in riferimento alla derivazione greca delle leggi delle XII Tavole.

[38] Symm. epist. 3, 44, 1: Si tibi vetustatis est amor. pari studio in verba prisca redeamus, quibus Salii canunt et augures auem consulunt et Xuiri tabulas condiderunt (cfr. Voigt. Die XII Tafeln. cit., I, 85 nt. 9).

[39] Sui rapporti tra i due autori, v. Q. Aurelii Symmachi Quae Supersunt. ed. Seeck, Berolini, 1883, V e ivi nt. 4, LXXIII nt. 337.

[40] Rinvio ai miei Materiali, cit., spec. 325 ss.

[41] Cfr. Gai Sollii Apollinaris Sidonii epistulae et carmina. ed. Luetjohann, Berolini, 1887, 415. Su Sidonio lettore attento e partecipe delle opere di Prudenzio, v. ora anche von Albrecht. Storia della letteratura latina, III, cit., 1385.

[42] Su Sidonio e la sua carriera pubblica, v. ultimamente Vismara. La giurisdizione civile dei vescovi (secoli I-IX). Milano, 1995, 164 ss. e Harries. Sidonius Apollinaris and the Fall of Rome. AD 407-485. Oxford, 1995.

[43] Février. Le Gallie meridionali, in Storia di Roma, a cura di Momigliano e Schiavone, III. 2. Torino, 1993, 424.

[44] Cfr. La Penna. Aspetti del pensiero storico latino. Torino, 1978, 189 nt. 2.

[45] V. ancora Février. Le Gallie, cit., 424 e von Albrecht. Storia della letteratura latina, III, cit., 1385.

[46] La Penna. Il lusus poetico, cit., 751.

[47] Cfr. per tutti, ultimamente, Vismara. La giurisdizione, lc. cit.

[48] I non pochi luoghi ove Sidonio menziona Leone sono raccolti nell’Index personarum dell’edizione del Luetjohann citata (cfr. supra, nt. 41). La dottrina si è interessata del testo di Sidonio proprio nel tentativo di precisare chi fosse il personaggio in esso menzionato, da alcuni identificato, come detto, con il Leone consigliere di Eurico: ma il punto è quanto mai controverso (cfr. Schoell. Legis duodecim tabularum reliquiae. Lipsiae, 1866, 18; Girard. Textes de droit romain3. Paris, 1903. 10 (che collega il nostro testo al brano epigrafico che si esaminerа infra al 9, al fine di trarne ulteriori elementi di conferma per la tesi dell’affissione delle XII Tavole a Cartagine nel III secolo d. C., secondo quanto si leggerebbe in Cypr. Don. 10: ma il punto esula, al momento, dai limitati intenti di questa indagine: cfr. supra I: contra, sul tema, a proposito dell’utilizzo del passo di Sidonio per la tesi del Girard, v. Lambert. L’histoire, cit., 541 s. nt. 2 e, ultimamente, Roman Statutes, edit. by Crawford. II, cit., 570); Stevens. Sidonius Apollinaris and his age. Oxford, 1933, spec. 7; Loyen. Sidoine Apollinaire et l’esprit prйcieux en Gaule aux derniers jours de l’Empire. Paris, 1943, 82 s.; Riché, Education et culture dans l’occident barbare. VIe-VIIIe siècles. Paris, 1962, 92 s. e ivi nt. 4; Liebs. Die Jurisprudenz, cit., 68; ID., Römischen Jurisprudenz in Africa. Mit Studien zu den pseudopaulinischen Sentenz. Berlin, 1993, 28 s. e ivi nt. 8 con ulteriore letteratura, 465 ss.; Fйrvier. Le Gallie, cit., 424). Sul codice euriciano e il ruolo svolto da Leone nella sua redazione, rinvio al classico lavoro del A. D’Ors. Estudios Visigoticos, II, El codigo de Eurico, Roma-Madrid, 1960, spec. 3 ss. e 6 s. e ivi nt. 25 e 26 (con letteratura ulteriore); più di recente, v. Lambertini. La codificazione di Alarico II. Torino, 1990, 17 s. e ivi nt. 20; Siems. Handel und Wucher im Spiegel frühmittelalterlicher Rechtsquellen. Hannover, 1992, 12 nt. 3 (lett.), 113 e ivi nt. 405, 119; Lupoi. Alle radici del mondo giuridico europeo. Saggio storico-comparativo. Roma, 1994, 106 ss. e ivi nt. 220 e 221 (lett.); Cortese. Il diritto nella storia medievale, I, L’alto medioevo. Roma, 1995. 57 s. e ivi nt. 10.

[49] V. per tutti Flach. Die Gesetze der frühen römischen Republik. Text und Kommentar in Zusammenarbeit mit S. von der Lahr. Darmstadt, 1994, 206, anche con l’esplicitazione delle perplessità in merito all’attribuzione delle parole di Sidonio al testo decemvirale in quanto tale (cfr., a questo proposito, anche la nota successiva). Da ultimo, si sollevano perplessità sull’inserimento del nostro testo nella palingenesi decemvirale in Roman Statutes, edit. by Crawford, II, cit., 575. Il brano di Sidonio in esame è annoverato tra i frammenti incerti, ma con propensione ad escluderlo dalla ricostruzione delle XII Tavole: da esso si ricaverebbe, infatti, secondo tale opinione, soltanto il fatto che l’espressione proquiritare sarebbe arcaica e solenne.

[50] In Sidonio vengono citati, peraltro, in piщ luoghi, i decemviri (epist. I, 7, 9; 2, 7, 2, su cui v. ultimamente Vismara. La giurisdizione, cit., 165); carm. 22, 5, p. 250 ed. Luetjohann): ma è verosimile che in tali contesti l’autore si riferisca a magistrature minori giudicanti e non agli autori delle XII Tavole (cfr. Humbert. s. v. “Decemviri, IV”, in D.S., Dict., II. I, 1892, 33 e ivi nt. 69).

[51] Mommsen. Weihe-Inschrift fьr Valerius Dalmatius (1902), ora in Gesammelte Schriften, II. Berlin, 1965, 151. Sul testo, da ultimo. v. D’Ippolito. Le XII Tavole, cit., 397 e ivi letteratura.

[52] V. ancora Mommsen. Weihe-Inschrift, cit., 150.

[53] Cfr. De Martino. Storia della costituzione romana2. Napoli, 1975, 320. Sulla provincia v., in generale, l’ampio e documentatissimo studio di Chevallier. Gallia Lugdunensis. Bilan de 25 ans de recherches historiques et archéologiques, in ANRW. II. 3. Berlin-New York, 1975, 860 ss.

[54] Cfr. Mitteis. Wiehe-Inschrift für einen Rector provinciae aus den 5. Jahrh., in ZSS, 1902, 443 s.; sul punto v. anche Mommsen. Weihe-Inschrift, cit., 154 e Lambert. L’histoire, cit., 541 s. nt. 2. che - pur nell’ambito dell’inaccettabile. ben nota ipotesi relativa alla non storicità delle XII Tavole - giustamente osserva (in contrasto con Girard. Textes3, cit., 10) come il testo in esame faccia riferimento soltanto alla cultura giuridica del funzionario imperiale citato. Piщ recentemente, sul punto, v. von Bolla. Ein überschenes Zitat aus den Zwölf Tafeln, in ZSS, 1950. 498 e Archi. Giustiniano e l’insegnamento del diritto (1976), ora in Scritti di diritto romano, III. Milano, 1981, 1929.

[55] Cfr. anche A. D’Ors. Estudios Visigoticos, II, cit., 7 nt. 26.

[56] Cfr. supra, § 1, le considerazioni introduttive sulle caratteristiche e i dichiarati limiti di questa prima indagine sulle fonti basso-imperiali.

[57] Cfr. Wieacker. Lateinische Kommentare zum Codex Theodosianus, in Symb. in hon. Lenel, Leipzig, 1935, 259 ss.; Richй. Education, cit., 92 s. e ivi letteratura; Lupoi, Alle radici, cit., 106.