O.DILIBERTO
CONOSCENZA E
DIFFUSIONE
DELLE XII TAVOLE
NELL’ETà
DEL BASSO IMPERO.
PRIMO CONTRIBUTO*
1.
Sono ben noti agli studiosi i problemi connessi alla conoscenza ed alla
circolazione del testo decemvirale nell'età
del basso-impero. Numerose sono, infatti, le testimonianze di tale epoca che,
direttamente o indirettamente, citano versetti delle XII Tavole o menzionano, a
diverso titolo, il codice decemvirale.
Da
tali fonti si desumono, anche ad una prima approssimazione, alcuni dati certo
non ignoti alla dottrina: in primo luogo, il ricordo delle XII Tavole sembra
ancor ben vivo sia in ambienti giurisprudenziali sia, più in generale, presso le élites intellettuali; in secondo luogo,
il testo di alcuni versetti del codice decemvirale medesimo si presenta nel
tardo impero con variazioni anche di rilievo rispetto a tradizioni testuali
attribuibili ad epoche precedenti[1].
Si
tratta, peraltro, di tematiche tutt'altro che nuove per la scienza
giusromanistica. Ciò
che, invece, mi sembra non sia stato sufficientemente indagato è proprio il quadro d'insieme che emerge
dal lavoro di scavo e riordino del complesso della documentazione in nostro
possesso concernente la conoscenza e la diffusione delle XII Tavole nel
basso-impero. Un tale lavoro non mi sembra inutile: come si vedrà, infatti, nel corso della ricerca, il
quadro d’insieme risultante dal complesso del materiale a nostra disposizione
contribuirà
a rivelare livelli non omogenei di conoscenza del testo decemvirale e una non
uniforme utilizzazione del testo medesimo,
a seconda delle differenti epoche e dei diversi ambiti culturali e
geografici; e ciò,
come ovvio, se da un lato consentirà
un più approfondito,
successivo approccio ai testi decemvirali conservati nella Compilazione
giustinianea, dall'altro offrirà
anche spunti significativi per l’interpretazione di un tema, per così dire, classico nell'ambito degli studi
sulle XII Tavole: mi riferisco alla vexata
quaestio concernente l’attendibilità
della notizia, contenuta in testi di ambiente ecclesiastico[2],
di una presunta affissione, nel foro di Cartagine, in pieno III secolo d.C.,
del codice decemvirale[3],
che farebbe ipotizzare, se accertata, la conservazione di una qualche,
imprecisata versione delle XII Tavole, ben oltre i limiti temporali
generalmente fissati dalla dottrina.
Le
tematiche sin qui sommariamente ricordate presuppongono, dunque, un lavoro di
scavo e di analisi sistematica delle fonti tardo-classiche, su cui ho in corso
una più
complessiva ricerca, che fa peraltro seguito al primo volume di studi sulle XII
Tavole da me pubblicato qualche anno addietro: l’obiettivo è, dunque, quello di ultimare l’indagine
sui materiali utilizzabili per la palingenesi decemvirale, in ordine alla quale
ho già avuto modo di
avanzare qualche ipotesi ricostruttiva parziale e provvisoria nel corso del
volume precedentemente ricordato[4].
In
tal senso, queste pagine rappresentano un primo contributo della più complessiva indagine ora ricordata, che
sottopongo all'attenzione degli studiosi.
2.
Allo scopo di meglio chiarire gli obiettivi del mio lavoro e, al contempo, di
offrirne un'esemplificazione attraverso il riscontro di alcuni primi risultati,
giova prendere le mosse dall'analisi di una fonte basso-imperiale generalmente
(anche se, come si vedrà, non del tutto) trascurata da quanti si sono
interessati di palingenesi decemvirale.
Soffermiamoci,
dunque, in primo luogo, su Auson.
Griph. 2, 61 ss. (= XI Edyll., 335
ss. ediz. Souchay Bipontine; XXVI ediz. Schenkl; XVI ediz. Peiper):
Ius triplex, tabulae
quod ter sanxere quaternae:
sacrum, priuatum,
populi commune quod usquam est.
Interdictorum trinum
genus: unde repulsus
ui fuero aut utrubi
fuerit quorumque bonorum.
Triplex libertas
capitisque minutio triplex.
Il
testo è
tratto da un’operetta in versi, il Griphus,
scritta con ogni probabilità
da Ausonio nel 368 d.C., durante la campagna militare promossa dall'imperatore
Valentiniano contro gli alemanni. Ausonio è
al seguito della spedizione nella sua qualità
di precettore del figlio dell'imperatore, Graziano[5].
I1 componimento, secondo le parole dell'autore, è un'operetta d'occasione, composta senza molte
pretese nell'accampamento militare durante l’intervallo di tempo compreso tra
la colazione ed il pranzo, in un momento di ozio e svago, allietato - secondo
quanto afferma Ausonio stesso - da abbondanti libagioni (cfr. Griph. 1, 26 ss.). Nonostante
l’occasionalità
del testo poetico e la precarietà
delle circostanze, l’autore tiene a sottolineare, nel dedicare il componimento
al suo grande amico Simmaco, che egli si è
comunque impegnato ad inserire in esso - come era, d'altronde, solito fare -
passaggi di una qualche oscurità,
senza i quali riteneva che l’opera avrebbe perso interesse (Griph. 1, 50, 51: eiusmodi epyllia, nisi uel obscura sint nihil futura). Si può, comunque, senz'altro presumere che
l’opera sia stata successivamente rielaborata, almeno in una certa misura,
dallo stesso autore, in sede di stesura definitiva e di pubblicazione.
L’opera
è interamente costruita sul significato e i molteplici usi simbolici del numero
tre. In tal senso, Ausonio si sofferma ad elencare, un po' alla rinfusa ma con
largo sfoggio di erudizione[6],
quali e quanti fossero - nella storia istituzionale, religiosa ed economica di
Roma - i casi di triadi (o di multipli del medesimo numero) degni, a suo dire,
di essere ricordati.
Nell'ambito,
dunque, di tale elencazione, Ausonio conserva anche esempi tratti dal diritto
romano. Nei versi che ho riportato, egli menziona, tra l’altro, le XII Tavole,
ricorrendo ad un giro di parole funzionale all'elencazione triadica di cui si è detto (tabulae quod ter sanxere quaternae): il codice decemvirale sarebbe
strutturato sulla base di tre quaternae,
in quanto esso conterrebbe uno ius
triplex (sacrum, priuatum et populi
commune).
I1
testo prosegue poi con la menzione degli interdetti pretori (interdictorum trinum genus: unde repulsus /
ui fuero aut utrubi fuerit quorumque bonorum) e dei tre tipi di
manomissioni come di capitis deminutiones
(triplex libertas capitisque minutio
triplex). In sostanza, come è
facile notare, si tratta di esempi tratti non tanto da istituti del diritto
romano vigente al tempo di Ausonio, quanto escerpiti, in generale, dall'intero
corso della storia giuridica di Roma.
Nel
tentativo, dunque, di comprendere meglio il nostro testo, giova prendere le
mosse da una rapida ricognizione della formazione culturale e degli scritti del
nostro autore.
3.
Rètore,
grammatico, poeta, uomo politico, Ausonio è
senz’altro tra i più
prolifici scrittori dei IV secolo d.C. Nato forse nel 310 a Bordeaux, da una
famiglia cui si è
voluta attribuire un'antica nobiltà
sacerdotale druidica[7],
compie studi retorici e grammaticali, per poi dedicarsi all'insegnamento, non
potendosi escludere una qualche esperienza di patrocinio nel foro[8].
Di certo, comunque, compie, nell’ambito della formazione retorica, anche alcuni
studi giuridici. Ricopre cariche municipali sino al duumvirato, per approdare
nel 364 a Treviri, presso la corte imperiale di Valentiniano, in qualità di precettore, come detto, del figlio
Graziano. La carriera di Ausonio pare, a questo punto, inarrestabile. Verso il
375 è quaestor sacri palatii e successivamente ricopre, con l’avvento
al trono di Graziano, ulteriori rilevantissimi incarichi imperiali[9],
sino al consolato (379 d.C.).
L’attività di Ausonio appare improntata alla più grande deferenza verso il passato di
Roma e le sue tradizioni, quasi egli cercasse di dimostrarsi tutore di esse in
un momento di trapasso, culturale, istituzionale e religioso, cui Ausonio
aderisce, forse, senza grande convinzione[10].
I1
nostro autore si dimostra un profondo conoscitore della letteratura latina dei
secoli precedenti (sino dai più
antichi poeti e commediografi), possedendo, tra l’altro, copie di testi
originali ritenute, in quel momento, di grande rarità[11]
e di tale vasta conoscenza fruirà
nel comporre le numerosissime opere letterarie a noi pervenute. A questo
proposito, la dottrina si è
a lungo interessata proprio delle fonti cui Ausonio attingeva, constatando
unanimemente che il debito del nostro autore verso la letteratura romana
arcaica e classica è
larghissimo ed ampiamente documentato[12]
Una
siffatta reverenza verso il passato, tra l’altro, induce la moderna critica a
ritenere superficiale - anche se ostentata e supportata da ottime letture e
adeguate: conoscenze - l’adesione di Ausonio al Cristianesimo[13]
e ciò in un torno di
tempo in cui la religione cristiana si avviava a divenire religione di stato.
Ma,
per ciò
che qui rileva, appare di particolare importanza il fatto che Ausonio partecipa
direttamente, in qualità
di quaestor sacri palatii, alla redazione delle costituzioni imperiali, come
dimostra eloquentemente anche l’epistolario con Simmaco (Symm. epist. I, 20 Seeck). A questo proposito,
va sottolineato che gli studi giuridici svolti e le stesse cariche
istituzionali ricoperte offrono evidentemente ad Ausonio l’opportunità di entrare in contatto non casualmente
con il diritto romano antico. Ciò
è testimoniato non solo dai riferimenti agli
istituti giuridici già
richiamati in precedenza (XII Tavole, interdetti pretori, manomissioni e capitis deminutiones[14]),
ma da riferimenti ancor più
precisi e puntuali che si evincono da altri luoghi dell'opera del medesimo
autore. Basti qui ricordare che Ausonio dimostra di conoscere lo ius pontificum[15]
e si cimenta in dotte citazioni di leggi antiche:
Auson.
epigr. 91(92):
Iuris consulto, cui
uiuit adultera coniunx,
Papia lex placuit,
Iulia displacuit.
Quaeritis, unde haec
sit distantia? Semiuir ipse
Scantiniam metuens non
metuit Titiam.
I1
brano è
tratto dallo scritto De iuris consulto
qui uxorem habebat adulteram[16]
ed ha un sin troppo evidente intento ironico, giocato sulle deficienze di
ordine sessuale dell'ignoto giurista[17].
Ciò che qui
rileva, invece, è
la circostanza che Ausonio sembra voler fare sfoggio di erudizione[18]
attraverso precisi riferimenti normativi, del cui contenuto si dimostra essere
buon conoscitore.
In
definitiva, Ausonio appare essere un autore di vaste letture, attento a
mostrare la propria erudizione, in grado di dominare e di consultare (anche per
via dell'elevata collocazione all'interno della corte imperiale) i materiali
letterari antichi, con una qualche dimestichezza con i temi giuridici.
Torniamo,
dunque, al testo da cui siamo partiti.
Sostanzialmente
trascurato dagli esegeti più
recenti, il passo aveva invece richiamato l’attenzione degli studiosi dei
secoli scorsi impegnati nei tentativi palingenetici delle XII Tavole, i cui
risultati, nella sostanza, ancor oggi vengono generalmente accolti[19].
Ma, al di là
di qualche rapida osservazione, le conclusioni cui è giunta la dottrina sono nel senso di
sollevare più
di una perplessità
in merito alla «tripartizione» decemvirale (ius
sacrum, priuatum et populi commune) menzionata da Ausonio.
In
particolare, il Nikol'skij, che più
degli altri studiosi si è
interessato dei testo in esame, ha osservato che la menzione delle tabulae
come divise in tre quaternae sarebbe
frutto solo di esigenze metriche e non già
di una precisa indicazione strutturale[20].
Alla
luce di quanto precede, proviamo, dunque, ad analizzare il testo.
Dopo
altri, numerosi esempi triadici, Ausonio afferma che anche il diritto, in
alcuni ambiti, sarebbe diviso in tre parti: in particolare, le XII Tavole
conterrebbero uno ius triplex,
strutturato attraverso tre quaternae
che comprenderebbero lo ius sacrum,
quello privato e lo ius populi commune
(evidentemente, l’autore sembra così
indicare lo ius publicum). Le altre
esemplificazioni giuridiche triadiche che seguono non rilevano ai fini della
nostra indagine, se non per la circostanza, già sottolineata, che si tratta di riferimenti
colti ed eruditi al diritto romano.
Non
mi pare dubitabile, innanzi tutto, che Ausonio stia giocando con le parole (e i
numeri): vi è
in lui l’evidente intento di stupire l’ascoltatore (e, successivamente, il
lettore[21])
e, al contempo, di suscitare curiosità
per l’intrinseca, voluta oscurità
delle espressioni impiegate. I1 codice decemvirale sembra, dunque, indicato da
Ausonio con un giro di parole, per via di un intreccio tra esigenze metriche e
gusto - per così
dire - enigmistico: non a caso, autorevolmente, il La Penna, nel rilevare il
ruolo di spicco esercitato da Ausonio nell'ambiente intellettuale del IV
secolo, sottolinea come prevalgano nel nostro autore la «ricerca di curiosità metriche» nell'ambito di una «funzione
ludica della poesia»[22].
Tuttavia,
se la ricerca di arrestasse nella semplice rilevazione del curioso esercizio
metrico di Ausonio, non si spiegherebbe il motivo per cui un autore non digiuno
di studi e di conoscenze sulla storia giuridica di Roma scelga proprio le XII
Tavole per un'esemplificazione degli svariati impieghi del numero tre: non è, infatti, sufficiente, a mio avviso, la
semplice circostanza che dodici sia multiplo di tre. Evidentemente, invece,
Ausonio ritiene effettivamente che si possa scorgere una sorta di
«tripartizione» dello ius contenuto
nel codice decemvirale, su cui occorre ancora riflettere.
5.
Per provare ad affrontare il tema in esame occorre allargare il campo
d'indagine e, in primo luogo, credo necessario indagare in merito alle
possibili fonti di Ausonio per quanto concerne il nostro brano.
I
non molti autori interessatisi del testo hanno già efficacemente osservato come nella letteratura
romana non manchino esempi nei quali le XII Tavole vengono indicate, per
esigenze metriche, con giochi di parole o allusioni numeriche. In particolare,
si può ricordare come
Ovidio parli, a proposito dei decemviri, di bis
quinque uiri[23] e, come
diffusamente vedremo in seguito, in altre fonti il codice venga indicato con
l’espressione di bis sex tabulae[24].
Tuttavia, negli esempi ora ricordati, i giochi di parole sono diversi da quello
di Ausonio e non si prestano a spiegare, evidentemente, la menzione dello ius triplex.
Viceversa,
pur senza precisi riferimenti alle XII Tavole, vi sono due testi che possono, a
buon diritto, essere presi in considerazione ai fini dello studio delle fonti
di Ausonio.
Analizziamo,
infatti,
Quint.
inst. 2, 4, 34: nam et genera sunt tria sacri publici privati iuris quae diuisio ad
laudem magis spectat, si quis eam per gradus augeat, quod lex, quod publica,
quod ad religionem comparata sit.
Già Godefroy aveva ipotizzato una dipendenza
del testo di Ausonio da questo brano quintilianeo[25].
La tripartizione del diritto prospettata dal retore non coincide, invero,
precisamente con quella di Ausonio: e tuttavia si può ricordare che il nostro autore compie
seri studi di retorica[26],
tra i quali non poteva certo mancare quello sugli scritti quintilianei.
E
tuttavia, il testo retorico suggerito da Godefroy va letto in parallelo con un
passo di Virgilio su cui ha richiamato l’attenzione degli studiosi il
Nikol’skij:
Verg.
Aen. 10, 202 s.:
Gens illi triplex,
populi sub gente quaterni,
ipsa caput populis,
tusco de sanguine uires[27].
Nel
brano, Virgilio sta descrivendo la propria città natale, Mantova, paragonandone le origini a
quelle di Roma[28]. Ed appare
chiaro come il gioco di parole (e, in parte, le stesse espressioni impiegate: triplex... quaterni) richiami
immediatamente il testo di Ausonio. A ciò
possiamo aggiungere che una consolidata dottrina ritiene Virgilio proprio
l’autore classico meglio conosciuto e più
largamente utilizzato da Ausonio medesimo[29].
Le
suggestioni letterarie cui, dunque, potrebbe aver attinto il nostro autore per
la composizione del testo in esame sembrerebbero essere rappresentate dai due
passi, l’uno retorico (per la tripartizione del diritto) e l’altro poetico (per
il gioco di parole con i numeri), tratti da due autori entrambi noti ed
utilizzati da Ausonio.
Non
va dimenticato, peraltro, che nel testo del nostro autore ci si riferisce ad
una tripartizione delle XII Tavole che, con ogni evidenza, presuppone 1'idea che nel codice decemvirale fosse contenuto tutto il diritto. Ora, è ben nota agli studiosi la
discussione concernente la presenza di
norme di diritto pubblico e sacro nell'antico codice[30]:
una discussione che, come ovvio, esula dai limitati intendimenti di questa
indagine.
Ciò che, invece, rileva ai fini della nostra
ricerca è
la circostanza - peraltro ben nota - dell'esistenza di una tradizione
consolidata, dal I sec. a. C. in avanti, secondo la quale le XII Tavole
avrebbero contenuto norme riguardanti ogni branca del diritto. Livio parla
dell'antico codice - in un testo celebre (3, 34, 6-7) - come della fons omnis publici priuatique iuris[31]·
mentre Cicerone, come è
altrettanto noto, non solo sembra attribuire alle XII Tavole norme che ai
nostri occhi appaiono senz'altro di diritto pubblico e sacrale, ma rileva anche
esplicitamente che l’antico codice avrebbe regolato ogni parte del diritto (de orat. 1, 43, 193). Si può, inoltre, ricordare che lo stesso
Cicerone - con l’evidente intento di sottolineare l’importanza delle XII Tavole
rispetto ad ogni aspetto della vita della civitas
- afferma anche, con fin troppa enfasi, che di fronte all'antico codice paiono
poca cosa le intere biblioteche dei filosofi antichi (de orat. 1, 43, 195): affermazione, quest'ultima, che non può escludersi abbia condizionato anche il
noto giudizio del filosofo Favorino che, secondo il racconto gelliano, afferma
aver letto le XII Tavole con non minore interesse rispetto al libro platonico
delle Leggi (Gell. Noct. Att. 20, 1,
4[32]).
Non
può, dunque, stupire, a mio modo di vedere, se una siffatta, consolidata
tradizione sia pervenuta sino ad un autore quale Ausonio, il cui debito
rispetto agli autori classici si è
già sottolineato.
La ricerca della curiosità
metrica conservata nei testo di Virgilio, la tripartizione del diritto presente
nelle institutiones di Quintiliano e
la tradizione classica delle XII Tavole come codice «onnicomprensivo», unite
alle intrinseche caratteristiche delle composizioni poetiche di Ausonio, sono,
dunque, a mio parere, gli elementi che consentono di spiegare il passo del Griphus sin qui analizzato, inserendolo
in un sistema di relazioni tra testi di diverse epoche che, come vedremo, va
ulteriormente indagato per quanto concerne le età successive.
6.
Giova, a questo proposito, innanzi tutto rilevare come il gioco di parole e di
numeri che si è
osservato nel passo di Ausonio appaia diffuso nell'epoca considerata anche a
proposito di argomenti assai diversi da quello delle XII Tavole, ma con
singolari coincidenze testuali rispetto ai brani che si sono sin qui
analizzati.
Si può,
infatti, notare che le fonti tarde di ambiente cristiano si interessano spesso
del numero dodici, in relazione al problema degli apostoli: ebbene, non и
infrequente che il medesimo numero venga indicato proprio quale risultato della
moltiplicazione del quattro e del tre, poiché
- come afferma Agostino -, sarebbe compito degli apostoli diffondere nel mondo
la fede nella Trinità[33].
A
questo proposito, per le implicazioni che si analizzeranno appresso in
relazione alle XII Tavole, giova analizzare un testo di Prudenzio:
Prud, Cathem.
12, 173 ss.:
Hic nempe Iesus uerior,
qui longa post dispendia
uictor suis tribulibus
promissa soluit iugera,
qui ter quaternas denique
refluentis amnis alueo
fundauit et fixit petras,
apostolorum stemmata.
L'esegesi
del testo, non semplice dal punto di vista dell’interpretazione cristologica,
non interessa, come ovvio, in questa sede[34].
Dal nostro punto di vista il senso è,
infatti, comunque sufficientemente chiaro: il riferimento alle tre quaternae serve a Prudenzio per indicare
i dodici apostoli e l’espressione, pur rispecchiando il gioco di numeri
precedentemente ricordato a proposito delle fonti ecclesiastiche, appare anche
singolarmente coincidente con quella conservata nel testo di Ausonio dal quale
siamo partiti. I1 gusto per il vezzo linguistico, i giochi di parole, la
combinazione dei numeri appaiono, dunque, assai diffusi nel torno di tempo che
si sta analizzando, quasi da risultare dei veri e propri topoi linguistici.
7.
Torniamo, dunque, alle fonti che più direttamente si interessano delle XII
Tavole, perché
Prudenzio ci ha lasciato un ulteriore e ben più pregnante testo sul quale riflettere.
Nella
polemica con Simmaco, infatti, il nostro autore mostra non solo di conoscere
anch'egli il codice decemvirale, ma di citare il codice medesimo con un gioco
di parole analogo, anche se non lo stesso, rispetto a quello impiegato da
Ausonio.
Osserviamo,
dunque Prud.
contra Symm. 2, 463 ss.:
Quae quia constituunt, dicant, cur condita
sit lex
bis sex in tabulis, aut cur rubrica minetur;
quae prohibet peccare reos, quos ferrea fata
cogunt ad facinus et ineuitabile mergunt.
Il
riferimento alle XII Tavole (lex bis sex
in tabulis) è
chiarissimo e consente alcune riflessioni.
Ora,
Prudenzio, spagnolo, vive nella seconda metà
del IV secolo ed esercita in un primo momento l’avvocatura, per poi dedicarsi
alla carriera pubblica; ricopre cariche provinciali ed approda infine alla
corte di Teodosio I proprio quando Ausonio, invece, se ne allontana,
probabilmente per via della svolta nella politica religiosa rispetto al
Cristianesimo impressa da quell'imperatore. I suoi scritti dimostrano notevole
maestria tecnica e linguistica, nonché
una vasta cultura classica e biblica, come d'altro canto appare consueto nel milieu intellettuale del tempo. In
particolare, sembrano ben note all'autore, da un lato, proprio le opere di
Ausonio e, dall'altro, quelle di alcuni dei principali amici e sodali di
Ausonio medesimo, quali Paolino di Nola per l’ambiente cristiano e Simmaco per
quello tradizionalista. Prevale, in definitiva, in Prudenzio, il complessivo
disegno di descrivere la storia di Roma - che ben conosce - quale
esplicitazione di un piano divino[35].
Veniamo,
dunque, alla luce di quanto precede, all'analisi del testo sopra riportato. In
primo luogo, Prudenzio, attento lettore di Ausonio, ricorre anch'egli ad un
gioco di parole e di numeri (bis sex in tabulis) per indicare il
codice decemvirale: un atteggiamento linguistico che non è insolito per il nostro autore, come
osservato anche in precedenza[36]
ma che sembra confermato, alla luce del testo in esame, anche in relazione alle
XII Tavole. Inoltre, nel testo in esame, l'autore menziona l’antico codice
nell'ambito della polemica contro Simmaco, svolta nel secondo libro dell'opera,
dedicato al libero arbitrio: secondo Prudenzio, il Cristianesimo sarebbe
religione di libertà
(v.v. 472-487), poiché
egli sostiene che le azioni degli uomini non verrebbero compiute come sotto la
spinta di una sorta di fatalitа necessitata: se così fosse, infatti, sostiene Prudenzio, non
sarebbero necessari i divieti contenuti nelle leggi, in quanto anche le attività delittuose sarebbero compiute in una
sorta di stato di necessità e, pertanto, in ultima analisi, non sarebbero di
conseguenza neanche punibili.
I1
punto, tuttavia, è
che la menzione delle XII Tavole nel contesto ora ricordato - quali leggi per
eccellenza - doveva presumibilmente sembrare a Prudenzio assai efficace.
Simmaco, infatti, cui è
polemicamente rivolta l’opera, ben conosce le XII Tavole: ne menziona la
tradizione antica[37]
e le cita quali esempi paradigmatici nell'ambito della discussione sull’utilità della conoscenza della lingua arcaica
per i contemporanei[38]
La
polemica tra i due autori non rientra, al momento, nell'oggetto di questa
indagine. Ma è
perlomeno singolare che nella seconda metà
del IV secolo d.C. due autori del rilievo di Prudenzio e Simmaco[39]
urilizzino ancora l’esempio dell'antichissimo codice nella discussione sul
presente, un po' come - due secoli prima era accaduto nel celebre dialogo tra
Favorino e Sesto Cecilio (Gell. Noct. Att.
20, 1)[40].
I1
testo di Prudenzio che abbiamo analizzato sembra, dunque,. da un lato,
confermare come certi topoi linguistici
(il gioco di numeri e parole) fossero diffusi presso una certa intellettualità latina del basso-impero anche per
indicare il codice decemvirale; e, dall’altro, consolida l’idea che il ricordo
delle XII Tavole era ancora ben presente nella riflessione sulla legislazione
romana: anzi, le XII Tavole, menzionate da Prudenzio come lex per
eccellenza, sembrano proprio rappresentare agli occhi della classe dirigente
del tardo impero un monumento legislativo cui fare riferimento e su cui,
pertanto, occorre ancora, in una certa misura, ragionare e confrontarsi.
8.
Vi è, tuttavia, a
questo proposito, un ulteriore testo che è
opportuno considerare ai fini di questa indagine.
Osserviamo,
infatti, Sidon. Apoll. carm.
23,446-449:
(...) siue ad doctiloqui Leonis aedes
(quo bis sex tabulas docente iuris
ultro Claudius Appius lateret
claro obscurior in decemuiratu, (...).
I1
passo di Sidonio è
di grande interesse ed è
opportuno analizzarlo con particolare attenzione. Esso è tratto dal ventitreesimo carmen, dedicato a Consentius, sodale di Sidonio, proprietario terriero presso
Narbonne e personaggio di spicco dell'entourage
imperiale intorno alla metà
del V secolo d.C. Nel brano in esame, dunque, Sidonio sta elogiando l’ospitalità e la generosità degli amici narbonensi: tra questi, egli
si rivolge anche a un certo Leone, presumibilmente un giurista, come si vedrà, che - da quanto apprendiamo - si
sarebbe occupato delle XII Tavole nell'ambito dell'insegnamento (docente) con
particolare riferimento al ruolo svolto da Appio Claudio all'interno del
decemvirato.
Come
è facile notare,
peraltro, i versi di Sidonio si riferiscono al codice decemvirale attraverso
un’espressione pressochй identica
a quella impiegata da Prudenzio (bis
sex tabulas) tanto da indurre un'autorevole dottrina a sostenere che vi
fosse una dipendenza diretta tra i due autori per quanto riguarda il brano in
esame[41].
Ora,
Sidonio, di nobile famiglia romana lionese[42],
vive nella seconda metà del quinto
secolo e percorre anch'egli, come i precedenti autori considerati, una
brillante carriera pubblica: è
praefectus urbis negli anni 468/69, ricevendo tra l’altro il titolo di patrizio romano,
per divenire vescovo di Arvernum nel
470. Nell’esercizio dell'episcopato scrive i carmina, facendo largo uso di metafore con ricca esemplificazione
tratta dalla mitologia classica, nonché un vasto epistolario modellato su
quello di Simmaco. Di particolare rilievo appare la circostanza che Sidonio
mostra di poter accedere alle più
ricche biblioteche del tempo[43]:
da ciò è
presumibile derivi anche la sua riconosciuta dipendenza dagli autori classici[44]
e, tra le fonti basso-imperiali, da Ausonio[45],
del quale tra l’altro condivide il gusto letterario per il gioco di parole e la
ricerca delle curiosità
espressive[46]. Infine, il
medesimo Sidonio svolge diffusamente l’opera giurisdizionale tipica
dell'episcopato del basso-impero, che lo obbliga, in una certa misura, ad
entrare nel merito di questioni anche strettamente giuridiche: il che egli fa,
il più delle volte,
come risulta dal ricco epistolario, suo malgrado[47].
Sidonio, dunque, personaggio influente del suo tempo, scrittore, uomo pubblico,
vescovo, frequentatore di biblioteche ed ambienti colti e politicamente di
rilievo, cita nei testo in esame le XII Tavole. Lo fa del tutto
incidentalmente, menzionando la casa di Leone (da una parte della dottrina
individuato nel giurista collaboratore di Eurico per la redazione dell'omonimo codex[48]),
ma anche esplicitando - forse per un vezzo intellettuale - il contenuto
dell'insegnamento del medesimo giurista nel quale si tratta del codice decemvirale.
Possiamo, quindi, ragionevolmente supporre che Sidonio avesse appreso egli
stesso da Leone l’oggetto del suo insegnamento o ne avesse letto un'opera: in
ogni caso, egli evidenzia una curiosità
intellettuale non comune a proposito di un codice legislativo antichissimo.
Di cosa si occupasse Leone ed in che modo
trattasse delle XII Tavole non è
dato sapere. Ma è
di grande rilievo che nella seconda metà
del V secolo d.C., nelle Gallie, un giurista ancora si interessasse del codice
decemvirale ed altri - per giunta non giuristi - ne traessero un ricordo così
vivo da scegliere proprio un particolare concernente il codice decemvirale,
quale esempio di caratterizzazione dell’amico da tramandare in una poesia.
D'altro
canto, Sidonio sembrerebbe conoscere, almeno in una qualche misura, le XII
Tavole. Nell'epistolario, infatti, egli menziona il linguaggio decemvirale, in
relazione ad un'innovazione legislativa a lui coeva:
Sidon.
Apoll. epist. 8,6, 7: Per ipsum fere tempus, ut decemuiraliter
loquar, lex de praescriptione tricennii fuerat ‘proquiritata’.
Si
tratta, in questo caso, di un testo ben noto[49],
collocato - pur con qualche perplessità
- dalle comuni edizioni del testo decemvirale tra i fragmenta incertae sedis (FIRA, I, 75 n. 11). Sidonio, nel descrivere
un provvedimento normativo imperale concernente i termini della prescrizione,
parla della proclamazione della legge (proquiritata)
esplicitando dottamente che il termine è
tratto dal linguaggio decemvirale. Da tale testo, dunque, si trae conferma che
Sidonio conosceva, almeno in una certa misura, testi tratti dalle XII Tavole[50].
Non
è dato sapere se
tali conoscenze fossero frutto, per Sidonio, dell'insegnamento del Leone sopra
ricordato, né quanto le conoscenze medesime fossero più o meno approfondite. Di certo, il quadro
che emerge, pur con la necessaria cautela, evidenzia un'attenzione all'antico
codice che non può
essere sottovalutata, nonché
la ricorrenza di quei topoi tralatici
nella citazione delle XII Tavole che abbiamo riscontrato nei testi precedentemente
analizzati.
9.
Ai fini dell'indagine intrapresa è
opportuno, infine, analizzare un'ultima fonte, in questo caso epigrafica, che -
per quanto mi consta - ha richiamato solo di sfuggita l’attenzione della
dottrina interessatasi di XII Tavole.
Si
tratta di Dessau, ILS, III2,
8987:
Ius ad iustitiam
reuocare aequumque tueri
Dalmatio lex est, quam
dedit alma fides.
Bis sex scripta tenet
praetorisque omne uolumen,
doctus et a sanctis
condita principibus.
5. Hic
idem interpres legum legumque minister
quam prudens callet,
tam bonus exequitur.
Multis pro meritis,
Valeri iustissime rector,
multis pro meritis
haec stat imago tibi,
quam positi longe
testantes publica uota
10. usque procul patriae mittimus in gremium.
(...)
15. Dalmatio posuit prouincia Lugdunensis
tertia patrono grata clienta suo.
Ritrovata
nel 1901 nei pressi di Sopianae
(attuale Fünfkirken),
l’iscrizione conserva in una tavola bronzea l’elogio offerto dalla prouincia
tertia Lugdunensis al suo rector,
un certo Dalmatius. Sulle cause del
rinvenimento in una localitа diversa rispetto alla provincia dalla quale
essa proviene, già
il Mommsen aveva, a suo tempo, dubbi interpretativi[51]:
l’unico dato certo, dunque, in quanto esplicitato nel testo, è rappresentato dalla dedica da parte della
provincia ricordata. L'iscrizione è,
peraltro, concordemente datata a cavallo tra IV e V secolo d.C.[52]:
d’altro canto, la provincia tertia Lugdunensis sembra comunque essere stata
costituita posteriormente al 387 d.C.[53]
I1
testo epigrafico in esame appare, dunque, di particolare rilievo per la ricerca
qui intrapresa, in quanto proviene dal medesimo ambito geografico e da un'epoca
assai prossima a quella nella quale sono stati composti i passi di Sidonio
precedentemente analizzati.
Nel
brano si fa riferimento ad un rector
prouinciae al quale viene riconosciuta, oltre ad altre qualità, anche la
conoscenza delle XII Tavole (bis sex
scripta) dell'editto del pretore (praetorisque
omne uolumen) e, infine, delle costituzioni imperiali (sanctis... principibus).
Si notano, anche ad una lettura superficiale,
evidenti analogie con il testo di Sidonio (carm.
23, 446 ss.): le XII Tavole vengono indicate con il gioco di parole (bis sex) ormai ben noto (e che si era
peraltro riscontrato, precedentemente, anche in Prudenzio); inoltre, nella
fonte epigrafica in esame si fa riferimento ad un funzionario provinciale
definito, come si è
già osservato a
proposito di Leone nel medesimo passo di Sidonio (doctiloqui Leonis), doctus
nelle materie ricordate.
Ora,
la scansione dei tre livelli di conoscenza attribuiti al rector Dalmazio (XII
Tavole, editto pretorio, costituzioni imperiali) ha indotto un'autorevole dottrina ad ipotizzare che l’iscrizione
facesse riferimento ai livelli dell'apprendimento scolastico del diritto nell'epoca
considerata[54]. Ma, al di
là di tale, pur
suggestiva e non infondata ipotesi, il
testo epigrafico in esame, da un lato, conferma il topos linguistico sin qui evidenziato alla luce di alcune fonti
letterarie[55] e,
dall'altro, conferma anche il fatto che le XII Tavole erano, almeno in una
certa misura, oggetto del bagaglio di conoscenze di una parte della classe
dirigente del basso-impero, perlomeno in talune aree politico-culturali.
Il
punto è,
dunque, cercare di comprendere che cosa intendessero indicare le fonti in
nostro possesso quando menzionano le XII Tavole come oggetto dello studio e del
bagaglio culturale di certi personaggi. Credo, a questo proposito, che la fonte
epigrafica ora in esame offra un possibile spunto per approfondire tale
tematica. Infatti, la scansione dei tre livelli della conoscenza, attribuita
dai provinciali al loro rector,
suggerisce che le XII Tavole venissero menzionate per indicare, tout court, lo ius ciuile. Mi sembra plausibile, infatti, che attraverso i
riferimenti, rispettivamente, alle XII Tavole, all'editto pretorio e alle
costituzioni imperiali si intendessero indicare, simbolicamente, i tre
principali momenti (sotto il profilo giuridico e quello temporale) della storia
del diritto di Roma. I1 codice decemvirale, dunque, sembra citato nel testo in
esame come esempio paradigmatico del più antico diritto e, al contempo, come
assorbente in sé,
sulla base di un fenomeno di concentrazione ben noto, pressoché l’intera esperienza giuridica
civilistica antica.
10.
Le fonti sin qui analizzate evidenziano, quindi, come le XII Tavole vengano
menzionate nell’età
del basso-impero con intendimenti articolati e in parte differenziati tra
loro.
Nel
testo di Ausonio (Griph. 2, 62 ss.)
esse sembrano indicare, sulla scorta di una tradizione precedente e largamente
diffusa, l’intero antico ius,
strutturato, come si ricorderà,
secondo il medesimo autore, sulla base di una tripartizione. In Prudenzio (contra Symm. 2, 401), il codice
decemvirale sembra, viceversa, indicare la legge per eccellenza promulgata dai romani nel corso della loro storia.
Sulla base, invece, dei testi di Sidonio (con particolare riferimento a carm. 23, 446 ss.), sembra potersi
ricavare una qualche forma di insegnamento delle XII Tavole, nella misura e
nelle forme che si dovranno verificare, perlomeno sul piano della storia della
codificazione (si pensi al riferimento esplicito alla vicenda di Appio
Claudio). Infine, nel testo epigrafico analizzato da ultimo, le XII Tavole
stesse sono impiegate, presumibilmente, con una forte valenza simbolica, nel
senso di indicare l’esperienza giuridica civilistica nel suo complesso,
distinta da quella edittale e dalle costituzioni imperiali.
In
definitiva, i testi sin qui considerati consentono, a mio avviso, di proporre
alcune considerazioni di carattere generale ed alcune prime indicazioni
conclusive e di sintesi.
In
primo luogo, le fonti del basso-impero sembrano uniformemente confermare che
l’impiego di giochi di parole fondati sulla numerazione per indicare le XII
Tavole era largamente diffuso: il che implica che il ricordo dell'antico codice
era vivo al punto da consentire di menzionarlo non direttamente, ma attraverso
artifici lessicali, senza che ciт facesse insorgere nel lettore
ragionevoli dubbi interpretativi.
Ancora,
non si può
sfuggire alla suggestione che sia Ausonio che Sidonio Appolinare (così come Salviano, marsigliese, anch'egli
autore del V secolo e riconosciuto conoscitore delle XII Tavole, sul quale avrà
occasione di tornare diffusamente[56])
provengono dalle Gallie, così
come appare redatta in una provincia gallica l’iscrizione precedentemente
analizzata. Ciò
sembra confermare la circostanza che proprio nelle Gallie si possa riscontrare
- come noto alla comune dottrina - un ambiente colto e relativamente avanzato
dal punto di vista degli studi giurisprudenziali nel basso-impero[57]
il che può
aver agevolato, all'interno delle élites
intellettuali, la circolazione di materiali e, in definitiva, una qualche forma
di conoscenza anche del più
antico diritto di Roma, tanto da indurre il giurista Leone ad occuparsene ex professo nell'ambito del proprio
insegnamento.
Infine, il complesso delle testimonianze
analizzate sembra evidenziare come nei secoli tra il IV e il V d.C. una parte
dell'intellettualità
romana, ed in particolare quella facente parte della burocrazia imperiale, se,
da un lato, conservava vivo il ricordo dell'antico codice come “monumento”
legislativo per eccellenza, dall'altro, sembri anche non essere priva di
informazioni concernenti le XII Tavole, intendendo in esse presumibilmente
assorbita gran parte dell'intera esperienza civilistica.
D'altro
canto, come è ben noto, le XII Tavole appaiono ancora largamente citate nelle
opere giurisprudenziali tarde a noi pervenute: il che rende ancor più verosimile che qualche nozione
essenziale, concernente il codice decemvirale e lo ius ciuile antico, venisse ancora ritenuta relativamente importante
per la formazione della classe dirigente.
Queste
prime conclusioni contribuiscono ad incominciare a delineare il quadro complessivo
che si evincerà al termine della disamina dei testi basso-imperiali concernenti
le XII Tavole. Si può,
in definitiva, ipotizzare che, perlomeno nelle principali biblioteche e negli
archivi delle cancellerie imperiali, si conservassero testi riguardanti,
direttamente o indirettamente, le XII Tavole: si pensi alle opere classiche
contenenti riferimenti o citazioni di singoli versetti decemvirali; ma è opportuno non sottovalutare la
circostanza che uno dei giuristi più
conosciuti ed utilizzati nel basso impero, Gaio, è autore tra l’altro anche di un commento
all'antico codice (che sarà,
non casualmente, utilizzato dai compilatori giustinianei).
Come
è naturale, si
tratterò
di cercare di comprendere, nella misura del possibile, quali opere contenenti
riferimenti alle XII Tavole circolassero negli ambienti del basso-impero; così come sarà necessario esaminare - alla luce dei dati
disponibili - il testo dei singoli versetti decemvirali quale si presenta nelle
fonti del basso impero, al fine di confrontare tale testo con quello a noi noto
aliunde per i medesimi versetti.
Ma
è una ricerca,
quest'ultima, che esula dai limitati intendimenti di questo primo contributo.
О.
ДИЛИБЕРТО
ЗНАНИЕ
И
РАСПРОСТРАНЕННОСТЬ
XII
ТАБЛИЦ В
ЭПОХУ
ПОЗДНЕЙ
ИМПЕРИИ
(РЕЗЮМЕ)
Известно,
сколь часто
позднеантичные
авторы
ссылаются
на законы XII
таблиц, что
позволяет
предположить
их
непосредственное
знакомство
с этими
нормами.
Есть и
указания на
находившийся
на
карфагенском
форуме еще в III
в.н.э.
децемвиральный
кодекс (Cypr. ad Don. 10; Salv.
gub. Dei, 8. 5. 24). Поэтому
тщательный
анализ
позднеантичной
традиции
может
способствовать
более
глубокому
пониманию
уровня
знаний элитой
того
времени законов
XII таблиц и
способствовать
успешному
палингенезу
самих
законов. Так,
текст
Авсония (Griph. 2. 61 ss.),
глубокого
знатока древней
латинской
литературы,
сообщает о разделении
XII таблиц на 3
части (ius triplex): на
сакральное,
частное и
публичное
право.
Несомненно,
что Авсоний
использует
игру слов и
чисел, однако
трехчастность
именно XII
таблиц у
него не
случайна.
Квинтилиан,
например,
также говорит
о делении
права на
сакральное,
публичное
частное (Quint. Inst. 2. 4. 34). Здесь
следует
сказать о
существовавшей
еще в I в. до н.э.
идее, что XII
таблиц содержали
в себе все
части права (Liv. 3. 34. 6-7; Cic. de orat. I. 43. 193). Эта
традиция и
сохранялась
и в последующие
века, в
частности, и
у Авсония. |
Христианские
авторы, как
известно,
свя зывают
число 12 с 12
апостолами
и верой в
святую
Троицу, что отражено,
в частности,
у Пруденция
(Cathem 12. 173 ss.). Однако, у
него XII таблиц
фигурируют
как “дважды
по шесть” (bis sex in tabulis -
Contra Symm. 2. 463). Дважды
по шесть
таблиц
упоминает и
Сидоний
Аполинарий,
автор
середины V в.
н.э., в связи с
неким знатоком
этих
законов -
юристом
Леоном.
Видимо,
Сидоний
либо слушал
лекции
этого
юриста
о
древнейшем
своде
законов,
либо использовал
его
сочинение
на эту тему.
Для Галлии 2
пол. V в. н.э.
этот факт
весьма знаменателен.
Другой
фрагмент из
Сидония (Epist. 8. 6. 7),
подтверждает,
что он был в
какой-то
мере знаком
и с самими
текстами XII таблиц.
Наконец, еще
один
источник -
эпиграфический
- датируемый
рубежом IV-V вв.
н.э. также
указывает
на
знакомство
некоего Далмация
с
децемвиральным
сводом (Dessau, ILS, III2,
8987). Приведенные
данные
позволяют
предположить,
что в IV-V вв. н.э.,
по крайней
мере, в некоторых
библиотеках
и архивах
хранились
тексты, прямые
или
непрямые,
законов XII
таблиц. |
* Questo
contributo è
destinato agli Studi in
onore di Filippo Gallo.
[1] Sul
punto, mi limito a rinviare in questa sede introduttiva, al mio Materiali per la palingenesi delle XII
Tavole, I, Cagliari, 1992, spec. 97 ss. e. ultimamente a Bretone, Sesto Elio e le Dodici Tavole. in Labeo, 1995. 70 ss.
[2] Cypr. ad Don. 10 (Migne, PL, VI, 217) e Salu. gub. Dei 8, 5, 24 (Migne. PL. LIII. 158).
[3] Da ultimi, sostengono l’attendibilità della tradizione ecclesiastica ora
ricordata D’Ippolito, Le XII Tavole: il
testo e la politica, in Storia di
Roma, a cura di Momigliano e Schiavone, I, Torino, 1988, 398 e ivi nt. 2 e
Nicosia, Lineamenti di storia della
Costituzione e del diritto di Roma, I, rist. Catania, 1989, 104.
[4] Diliberto. Materiali, cit., 333 ss.
[5] Cfr.,
per tutti, Pastorino, Introduzione,
in Opere di Decimo Magno Ausonio,
Torino, 1978 (rist. ediz. 1971), 71 e 92. Si tratta di un’ampia introduzione,
largamente condivisibile, ma - come ha osservato autorevolmente Guarino (Ausonio ab urbe condita [1973], ora in Pagine di diritto romano, II, Napoli,
1993, 298 nt. I) - non sempre affidabile per quanto riguarda le notazioni sugli
argomenti giuridici e la stessa traduzione italiana dei passi che contengono
riferimenti ad istituti del diritto romano. Ultimamente, v. anche von Albrecht,
Storia della letteratura latina. Da Livio
Andronico a Boezio, III, Torino. 1996 (Bern-München, 19942). 1339 ss.
[6] Pastorino.
Introduzione. cit., 106.
[7] Jullian.
Ausone et Bordeaux, 1873, 10; più di recente, v. Momigliano. Storia e storiografia antica. Bologna,
1987. 375.
[8] Pastorino.
Introduzione. cit., 18.
[9] Per
le diverse cariche ricoperte da Ausonio, cfr., diffusamente, Pastorino. Introduzione. cit., 21 ss.
[10] Sul
punto v. le acute considerazioni di A. Alfoldi. A conflict of Ideas in the Late Roman Empire. Oxford, 1952. spec.
84 ss. Ausonio appare, d’altronde, alla più avveduta dottrina, come il tipico
esponente degli ideali della maggioranza senatoriale pagana: cfr. Bloch. La rinascita pagana in Occidente alla fine
del secolo IV, in Il confitto tra
paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, saggi a cura di Momigliano
(1963), trad. ital. Davies Morpurgo, Torino, 19752. 203.
[11] Ausonio,
generosamente, invia alcuni di questi testi alla vasta cerchia delle sue
amicizie (cfr. Pastorino. Introduzione.
cit., 480).
[12] Pastorino.
Introduzione, cit., 114 s. e ivi
ulteriori indicazioni bibliografiche.
[13] Pastorino.
Introduzione. cit., 35 ss.
[14] Cfr.
Voigt. Die XII Tafeln. Geschichte und
System des Zivil - und Kriminalrechts wie Prozesses der Zwölf Tafeln nebst deren
Fragmenten, II, Leipzig, 1883. 22 nt. I e 63 nt. 4.
[15] Cfr.
Auson. Comm. Prof. Burdig. 23, 5 e 9
(= Opusc. 16, 23. 5 e 9, ed. Schenkl,
69).
[16] Liebs.
Die Jurisprudenz im Spätantiken Italien.
Berlin, 1987, 95 s. e ivi letteratura essenziale sugli scritti di Ausonio
contenenti riferimenti al diritto romano.
[17] Sul
punto, per l’esegesi del testo, v. Dalla. “Ubi
venus mutatur”. Omosessualità
e diritto nel mondo romano. Milano, 1987, 85 e
ivi nt. 39 per indicazioni bibliografiche fondamentali.
[18] L’amore
di Ausonio per le elencazioni, dalle quali possa risultare la propria larga
erudizione, è
stato sottolineato dal Guarino. Ausonio
“ab urbe condita”, cit., 308.
[19] Il
nostro testo, invero, ha richiamato l’attenzione di non pochi ed importanti
autori della scuola culta, cui si devono interessanti tentativi palingenetici
delle XII Tavole: su di essi, che meritano, a mio avviso, uno specifico e non
breve approfondimento, che appesantirebbe non poco questo contributo, rinvio
sin d’ora alla più
complessiva indagine che ho menzionato in apertura (cfr. § 1). Mi limito,
pertanto, al momento, a richiamare i classici lavori di Gothofredus. Fragmenta XII tabularum (1616), poi in Fontes Quattuor Iuris Civilis (1653), in
Otto, Thesaurus juris Romani, III,
Basileae, 1744, 18 e 65; Dirksen. Uebersicht
der bischerigen Versuche zur Kritik und Herstellung des Textes der Zwölf-Tafel-Fragmente.
Leipzig, 1824, 9, 103 s; Nikol’skij. Sistema
e testo delle XII Tavole Ricerca di storia del diritto romano (in russo).
S. Pietroburgo, 1897, 98 (rec. Pergament, in ZSS, 1898, 374 ss.): sono grato al
collega ed amico Leonid L. Kofanov per avermi procurato copia del libro del
Nikol’skij, pressoché
introvabile nel nostro Paese, per la cui traduzione ringrazio sentitamente
l’on. dr. Luigi Marino; Lambert, L’histoire
traditionelle des XII tables et les critéres d’inauthenticité des traditions en
usage dans l’école de Mommsen,
in Mél. Appleton,
Lyon-Paris, 1903, 541 s. nt. 2. Ultimamente, anche se invero di sfuggita, il
testo è stato
ricordato, in relazione alla presenza o meno nelle XII Tavole di norme di
diritto pubblico, nell’importante Roman
Statutes, edit. by Crawford (la parte che qui interessa, relativa alla
ricostruzione delle XII Tavole, è
opera di Lewis e dello stesso Crawford, con la collaborazione di Humbert), II,
London, 1996, 561.
[20] Nikol’skij. Sistema, cit., 98.
[21] Non
va dimenticato (cfr. § 2) che si tratta di un’operetta d’occasione scritta e
recitata durante una campagna militare e solo successivamente inviata a Simmaco
e pubblicata, certo dopo esser stata, almeno in una qualche misura,
rielaborata. Sul punto, v. Cracco-Ruggini,
Ausonio e l’enigma del numero tre, in Polyanthema,
Studi di letteratura cristiana offerti a S. Costanza. Messina, 1989, 167
ss.
[22] La
Penna. Il lusus poetico nella tarda
antichitа. Il caso di Ausonio, in
Storia di Roma, a cura di Momigliano e Schiavone. III. 2, Torino, 1993, 731
s.
[23] Ovid.
fast. 2, 47-54 (su cui v.,
ultimamente, D’Ippolito. Questioni
decemvirali. Napoli, 1993, 64 e Albanese. Le XII Tavole e il calendario, in Brevi studi di diritto romano (II), in Ann. sem. Palermo, 43, 1995, 148 ss.
[24] Cfr.
infra. 7-9.
[25] Gothofredus.
Fragmenta, cit., in Otto. Thesaurus, cit., 65. Recentemente, la
Aricò Anselmo. Ius publicum - ius privatum in Ulpiano, Gaio
e Cicerone, in Ann. sem. Palermo
37, 1983. 741 nt. 309 ha notato la somiglianza tra i due testi, senza sostenere
tuttavia la dipendenza dell’uno dall’altro.
[26] Pastorino.
Introduzione, cit., 17.
[27] Sul
testo quale possibile fonte di Ausonio v. Nikol’skij. Sistema, cit., 98.
[28] Sul
punto, per tutti, v. la voce redazionale “Mantova”,
in “Enciclopedia Virgiliana”,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, III, Roma, 1987, 351 s., anche per le
interpretazioni degli antichi commentatori e la letteratura al riguardo.
[29] Per
tutti, v. Pastorino. Introduzione,
cit., 115 e ivi letteratura fondamentale.
[30] Cfr.
la letteratura menzionata in Diliberto. Materiali,
cit., 407 ss. Ultimamente, v. Roman
Statutes, edit. by Crawford, cit., 561.
[31] Cfr.
per tutti, Crifò.
La legge delle XII Tavole. Osservazioni e
problemi, in ANRW, I. 2. Berlin -
New York, 1972, 116 e ivi spec. nt. 119 per la letteratura essenziale;
ultimamente, v. Guarino. Il dubbio
contenuto pubblicistico delle XII Tavole (1988), ora in Pagine di diritto romano,
IV, Napoli, 1994, 87.
[32] Su
tutto ciт, rinvio a quanto già
rilevato nel mio Materiali, cit.,
173.
[33] Sul
rapporto tra l’esegesi biblica e la numerologia nei Padri della Chiesa, rinvio
alle fondamentali indicazioni contenute nel recentissimo Quacquarelli. Retorica patristica e sue istituzioni
interdisciplinari. Roma, 1995. spec. 96 ss. Per Agostino, cfr.
Endres-Schimmel. Dizionario dei numeri,
storia, simbologia, allegoria (1984), trad. ital. Besana, Como, 1991, 186.
In relazione al numero dodici come numero “perfetto”, v. anche Hieron. Comm. in Ezech. 10. 31-32 (Migne, PL,
25, 301 ss.).
[34] Cfr.
le equilibrate considerazioni del Lavarenne, nell’edizione prudenziana delle Belles Lettres (Prudence, a cura di Lavarenne, I, Paris, 19552, 73 s. e
ivi nt. 1).
[35] Su
tutto ciò, cfr. il classico lavoro del Fontaine. La letteratura latina cristiana, Profilo storico (1970), trad.
ital. D’Elia, Bologna, 1973, 139 ss. Su Prudenzio lettore di Ausonio, v. per
tutti, ultimamente, von Albrecht. Storia
della letteratura latina. III, cit., 1348.
[36] Peraltro,
oltre al gioco del tre e del quattro (che si è osservato a proposito dei dodici apostoli), va
considerato che lo stesso impiego dell’espressione usata per indicare le XII
Tavole (bis sex) non appaia isolato
in Prudenzio: cfr., infatti, in un contesto diverso, Prud. Apoth. 739.
[37] Cfr.,
infatti, Symm. epist. 3, 11, 3. in
riferimento alla derivazione greca delle leggi delle XII Tavole.
[38] Symm.
epist. 3, 44, 1: Si tibi vetustatis est amor. pari studio in verba prisca redeamus, quibus
Salii canunt et augures auem consulunt et Xuiri tabulas condiderunt (cfr.
Voigt. Die XII Tafeln. cit., I, 85
nt. 9).
[39] Sui
rapporti tra i due autori, v. Q. Aurelii
Symmachi Quae Supersunt. ed. Seeck, Berolini, 1883, V e ivi nt. 4, LXXIII
nt. 337.
[40] Rinvio
ai miei Materiali, cit., spec. 325
ss.
[41] Cfr.
Gai Sollii Apollinaris Sidonii epistulae
et carmina. ed. Luetjohann, Berolini, 1887, 415. Su Sidonio lettore attento
e partecipe delle opere di Prudenzio, v. ora anche von Albrecht. Storia della letteratura latina, III,
cit., 1385.
[42] Su
Sidonio e la sua carriera pubblica, v. ultimamente Vismara. La giurisdizione civile dei vescovi (secoli
I-IX). Milano, 1995, 164 ss. e Harries. Sidonius
Apollinaris and the Fall of Rome. AD 407-485. Oxford, 1995.
[43] Février. Le Gallie meridionali, in Storia
di Roma, a cura di Momigliano e Schiavone, III. 2. Torino, 1993, 424.
[44] Cfr.
La Penna. Aspetti del pensiero storico
latino. Torino, 1978, 189 nt. 2.
[45] V.
ancora Février.
Le Gallie, cit., 424 e von Albrecht. Storia della letteratura latina, III,
cit., 1385.
[46] La
Penna. Il lusus poetico, cit., 751.
[47] Cfr.
per tutti, ultimamente, Vismara. La
giurisdizione, lc. cit.
[48] I
non pochi luoghi ove Sidonio menziona Leone sono raccolti nell’Index personarum dell’edizione del Luetjohann citata (cfr. supra, nt.
41). La dottrina si è
interessata del testo di Sidonio proprio nel tentativo di precisare chi fosse
il personaggio in esso menzionato, da alcuni identificato, come detto, con il
Leone consigliere di Eurico: ma il punto è
quanto mai controverso (cfr. Schoell. Legis
duodecim tabularum reliquiae. Lipsiae, 1866, 18; Girard. Textes de droit romain3.
Paris, 1903. 10 (che collega il nostro testo al brano epigrafico che si
esaminerа infra al 9, al fine di trarne ulteriori elementi di conferma
per la tesi dell’affissione delle XII Tavole a Cartagine nel III secolo d. C.,
secondo quanto si leggerebbe in Cypr. Don.
10: ma il punto esula, al momento, dai limitati intenti di questa indagine:
cfr. supra I: contra, sul tema, a proposito dell’utilizzo del passo di Sidonio
per la tesi del Girard, v. Lambert. L’histoire,
cit., 541 s. nt. 2 e, ultimamente, Roman
Statutes, edit. by Crawford. II, cit., 570); Stevens. Sidonius Apollinaris and his age. Oxford, 1933, spec. 7; Loyen. Sidoine Apollinaire et l’esprit
prйcieux en Gaule aux derniers jours de l’Empire. Paris, 1943, 82 s.;
Riché, Education et culture
dans l’occident barbare. VIe-VIIIe siècles.
Paris, 1962, 92 s. e ivi nt. 4; Liebs. Die
Jurisprudenz, cit., 68; ID., Römischen Jurisprudenz
in Africa. Mit Studien zu den pseudopaulinischen Sentenz.
Berlin, 1993, 28 s. e ivi nt. 8 con ulteriore letteratura, 465 ss.;
Fйrvier. Le Gallie, cit., 424).
Sul codice euriciano e il ruolo svolto da Leone nella sua redazione, rinvio al
classico lavoro del A. D’Ors. Estudios
Visigoticos, II, El codigo de Eurico,
Roma-Madrid, 1960, spec. 3 ss. e 6 s. e ivi nt. 25 e 26 (con letteratura
ulteriore); più di recente, v. Lambertini. La
codificazione di Alarico II. Torino, 1990, 17 s. e ivi nt. 20; Siems. Handel und Wucher im Spiegel frühmittelalterlicher
Rechtsquellen. Hannover, 1992, 12 nt. 3 (lett.), 113 e
ivi nt. 405, 119; Lupoi. Alle radici del
mondo giuridico europeo. Saggio storico-comparativo. Roma, 1994, 106 ss. e
ivi nt. 220 e 221 (lett.); Cortese. Il
diritto nella storia medievale, I, L’alto medioevo. Roma, 1995. 57 s. e ivi
nt. 10.
[49] V.
per tutti Flach. Die Gesetze der frühen römischen Republik. Text
und Kommentar in Zusammenarbeit mit S. von der Lahr.
Darmstadt, 1994, 206, anche con l’esplicitazione delle perplessità in merito all’attribuzione delle parole
di Sidonio al testo decemvirale in quanto tale (cfr., a questo proposito, anche
la nota successiva). Da ultimo, si sollevano perplessità sull’inserimento del nostro testo nella
palingenesi decemvirale in Roman
Statutes, edit. by Crawford, II, cit., 575. Il brano di Sidonio in esame è annoverato tra i frammenti incerti, ma
con propensione ad escluderlo dalla ricostruzione delle XII Tavole: da esso si
ricaverebbe, infatti, secondo tale opinione, soltanto il fatto che
l’espressione proquiritare sarebbe
arcaica e solenne.
[50] In
Sidonio vengono citati, peraltro, in piщ luoghi, i decemviri (epist. I, 7,
9; 2, 7, 2, su cui v. ultimamente Vismara. La
giurisdizione, cit., 165); carm.
22, 5, p. 250 ed. Luetjohann): ma è
verosimile che in tali contesti l’autore si riferisca a magistrature minori
giudicanti e non agli autori delle XII Tavole (cfr. Humbert. s. v. “Decemviri, IV”, in D.S., Dict., II. I, 1892, 33 e ivi nt. 69).
[51] Mommsen.
Weihe-Inschrift fьr Valerius
Dalmatius (1902), ora in Gesammelte Schriften, II. Berlin,
1965, 151. Sul testo, da ultimo. v. D’Ippolito. Le XII Tavole, cit., 397 e ivi letteratura.
[52] V.
ancora Mommsen. Weihe-Inschrift,
cit., 150.
[53] Cfr.
De Martino. Storia della costituzione
romana2. Napoli, 1975, 320. Sulla provincia v., in generale,
l’ampio e documentatissimo studio di Chevallier. Gallia Lugdunensis. Bilan de 25 ans de recherches historiques et archéologiques,
in ANRW. II. 3. Berlin-New York,
1975, 860 ss.
[54] Cfr.
Mitteis. Wiehe-Inschrift für einen Rector
provinciae aus den 5. Jahrh., in ZSS, 1902, 443 s.; sul punto v. anche
Mommsen. Weihe-Inschrift, cit., 154 e Lambert. L’histoire, cit., 541 s. nt. 2. che - pur nell’ambito
dell’inaccettabile. ben nota ipotesi relativa alla non storicità delle XII
Tavole - giustamente osserva (in contrasto con Girard. Textes3, cit., 10) come il testo in esame faccia
riferimento soltanto alla cultura giuridica del funzionario imperiale citato.
Piщ recentemente, sul punto, v. von Bolla. Ein überschenes
Zitat
aus den Zwölf
Tafeln, in ZSS,
1950. 498 e Archi. Giustiniano e
l’insegnamento del diritto (1976), ora in Scritti di diritto romano, III. Milano, 1981, 1929.
[55] Cfr.
anche A. D’Ors. Estudios Visigoticos,
II, cit., 7 nt. 26.
[56] Cfr.
supra, § 1, le considerazioni
introduttive sulle caratteristiche e i dichiarati limiti di questa prima
indagine sulle fonti basso-imperiali.
[57] Cfr.
Wieacker. Lateinische Kommentare zum
Codex Theodosianus, in Symb. in hon.
Lenel, Leipzig, 1935, 259 ss.; Richй. Education, cit., 92 s. e ivi letteratura; Lupoi, Alle radici, cit., 106.