1. Sette o otto anni fa, quasi
per caso, ho riattivato a Siena l’insegnamento di «diritto greco» (oggi
denominato «diritti greci»), che il mio maestro, prof. Arnaldo Biscardi, vi
aveva iniziato negli anni cinquanta del secolo appena concluso.
L’iniziativa ha avuto un grande successo poiché i migliori studenti hanno preso a iscriversi a questo corso ed a sostenerne gli esami in numero sempre crescente. Dalle poche decine siamo arrivati alle diverse centinaia all’anno. E’ vero che io sono andato riducendo il programma e facilitando lo studio anche a quelli che non conoscono il greco, con l’adozione di una mia dispensa – ispirata ad un aggiornamento del manuale del Biscardi – dove ho trascritto i termini greci in caratteri latini. Ma alle lezioni di tipo seminariale ho costantemente distribuito i testi fotocopiati in originale, ed ho potuto constatare agli esami che molti studenti li tengono presenti nella loro preparazione, anche talvolta, qualcuno di quelli che non avevano studiato il greco alle scuole medie! E poi non sono mancate le attestazioni sia verbali che scritte (nei famosi questionari di valutazione dei docenti che vengono annualmente fatti compilare agli studenti) del marcato interesse che la materia suscita, specie – io credo – in considerazione degli aspetti pubblicistici, che portano ad una presa di contatto con la prima e più famosa esperienza di regime democratico nel V–IV sec. a. C.
Quello che mi preme subito mettere in luce è che l’insegnamento di questa materia, il quale si sviluppa ampiamente anche per la parte privatistica, dа oltretutto la possibilità di fare degli spontanei confronti con gli istituti del diritto romano già noti agli studenti, il che consente di far risaltare anche meglio la grande importanza per la storia del diritto delle creazioni dei giuristi romani, come ho del resto messo in luce in un lavoretto intitolato Diritto romano e diritti stranieri, apparso in Index del 1998.
Ma il discorso non finisce qui.
Per poter insegnare convenientemente una materia all’Università bisogna infatti fare anche ricerca diretta in quel campo. E così mi sono ben presto trovato ad affrontare di persona tutta una serie di temi, fra i molti che in questa disciplina sono ancora controversi (non capitando certo come negli studi romanistici, dove molti giovani si sforzano di riaprire con nuove ipotesi spesso lambiccate problemi su cui si и accumulata una letteratura secolare). Ed ho innanzitutto potuto constatare che, oggi come oggi, lo studio del diritto greco и appannaggio quasi esclusivo di studiosi anglo-americani, professori per di più di materie classiche (come dicono loro), cioè in definitiva di studiosi della letteratura e della storia greca[1].
Ciò non è, entro certi limiti, un male, il che dico in ordine al fatto che si tratta soprattutto di anglo-americani. Costoro, infatti, partono per lo più dai confronti con il common law e non sono pericolosamente traviati, come poteva succedere in passato e può succedere anche oggi a chi si appoggi su delle basi romanistiche. Per fare degli esempi significativi si potrebbero vedere da una parte i vari volumi del Beauchet della fine dell’ottocento (Histoire de droit privé de la république Atheniénne), in cui sembra di essere davanti ad una esposizione pandettistica del diritto di Atene e dall’altra un recente, agile volumetto di Cristopher Carey, pubblicato a Londra e simultaneamente in Usa e in Canada nel 1997 (Trials from Crassical Athens), nato dalle traduzioni giornaliere «for a course on athenian Law», e dove appunto sono raccolte, tradotte e commentate, dopo una puntuale introduzione sul sistema processuale ateniese, una serie di orazioni da usare come Cases secondo il metodo di quei paesi.
La cosa che francamente dispiace di più è che nei vari paesi europei, compresa la Grecia, siano veramente molto pochi gli storici di formazione giuridica che si occupano delle pur ricche fonti che ci documentano, anche se per lo più in maniera indiretta, sul diritto di Atene, ma anche della messe notevole di iscrizioni riguardanti in particolare altri diritti come quello cretese.
Eppure per un romanista – come del resto sanno bene alcuni colleghi – sarebbe utile lo studio del diritto greco, come ho potuto sperimentare di persona con le poche indagini che mi è riuscito di svolgere in questi anni e di cui vorrei parlare ora, mettendo da parte alcune brevi voci scritte per il NNDI negli anni sessanta, nonché un intervento su Alcuni prestiti ai naviganti nella prassi ellenistica presentato nel 1988 al Symposion tenuto a Siena dalla Società internazionale per lo studio del diritto greco ed ellenistico (di cui erano stati fondatori A. Biscardi, H. J. Wolff e J. M. Modrzejewski nel 1971).
2. Fra le cose già pubblicate e quelle in corso di stampa io ho potuto svolgere in questi ultimi anni una quindicina di ricerche di varia ampiezza dedicate a temi di diritto greco e soprattutto di diritto greco in rapporto al diritto romano o viceversa.
Avevo cominciato con tematiche squisitamente giusgrecistiche come Lavori pubblici e appalti nella Grecia antica, in occasione del convegno della Società italiana di storia del diritto, svoltosi a Torino nel 1994, o come Il contratto d’opera ricostruibile in base alle Leggi di Platone, in occasione del Symposion organizzato dalla già ricordata Societа a Corfù nel 1995, presentando sempre nel 1995 anche Alcune considerazioni a proposito degli apeleutheroi al XXII colloquio Girea e proseguendo con la comunicazione su Una norma transitoria del Codice di Gortina al successivo Symposion di Reggio Calabria del 1997. Sempre in ordine al Codice di Gortina ho anche avuto modo di dedicare una breve ricerca al regime della terra in quella cittа cretese, che è apparsa nel 1998 nel primo numero della rivista giusgrecistica italiana DIKE, di cui si sono nel frattempo fatti promotori Eva Cantarella e Alberto Maffi a Milano, nella quale rivista и stato accolto ora anche un mio studio sulla Nomothesia, e cioи sulla particolare e discussa forma di produzione normativa nell’Atene del IV secolo a. C.
Ma, sebbene non fossero mancati gli spunti per qualche considerazione comparatistica col diritto romano già in alcune delle citate ricerche come in quella sugli appalti pubblici, è stato soprattutto con altre indagini che sono venuto a stabilire dei confronti fra istituti romani e greci, e che mi si è profilata la grande utilitа e l’importanza per un romanista di studiare il c. d. diritto greco.
Dopo un primo confronto istituito a proposito del concetto di contratto (in cui mi ero riferito anche alla storia del common law) in una conferenza ripetuta in varie sedi e finalmente apparsa nell’annata XLII di IURA, 1991 [ma 1994], e dopo qualche incidentale e veloce richiamo a principi e concetti di diritto greco in una comunicazione al XIX Colloquio internazionale romanistico-canonistico della Universitа Lateranense del 1994, sulla Recezione del diritto romano nel pensiero degli autori delle provincie orientali (il cui testo presentato occasionalmente anche all’Universitа di Ankara и stato pubblicato pure sulla rivista di quella Facoltа: Ankara üniversitesi, Hukuk Fakültesi, 44, 1995) oltreché in un articoletto su Alcuni aspetti della giurisdizione nelle provincie orientali, apparso in Labeo, 1996, sono approdato espressamente ad un confronto più diretto ed approfondito fra XII Tavole e diritto greco, in un articolo pubblicato sempre in Labeo nel 1999.
Anche al riguardo è molto difficile parlare di influenze, dato l’orientamento contrario della maggior parte dei romanisti, che si direbbero quasi gelosi, come del resto si verifica per tutti i casi in cui queste influenze sono state prospettate da qualcuno in riferimento agli istituti privatistici, in seguito al contatto del diritto romano col c. d. diritto greco-egizio, specie per il periodo successivo al 212 d. C. (su cui un semplice panorama puт ritrovarsi nel mio giа ricordato articoletto Diritto romano e diritti stranieri). Sono tuttavia certamente più d’uno per lo meno i parallelismi e le analogie che io, non certo per primo, ma sicuramente dopo molto tempo in cui si era sempre più guardato al problema con occhi diversi, ho creduto di poter di nuovo mettere in luce in ordine al diritto dell’epoca delle XII Tavole. Fra questi parallelismi alcuni mi parrebbero molto significativi, come, ad es., quello fra la romana provocatio ad populum e l’appello al tribunale popolare contro le decisioni degli arconti introdotto ad Atene da Solone nel 594–93 (con l’istituto dell’ephesis), o quello del noto divieto di norme in privos latae («privilegia ne inroganto»), che corrisponde ad un divieto di nomoi ep’ andrм documentato da un decreto della fine del V secolo testimoniatoci in un’orazione di Andocide, per non parlare delle esplicite analogie fra norme decemvirali e leggi soloniche attestate da Gaio in ben due testi del Digesto (10, 1, 13 in materia di actio finium regundorum e 47, 22, 4 in tema di collegia). Qui comunque vorrei richiamare l’attenzione anche su una cosa che ha quasi il sapore della scoperta, su cui ho avuto modo di soffermarmi sempre in quello studio, e cioé «le paralléle frappant» giа evidenziato da Magdelain, fra la sponsio dei Romani e la promessa cui ci si riferiva nel codice di Gortina usando il verbo eispйndein (mentre il verbo spendein ad Atene significava «libare»), parallelo tanto più significativo, come ho avuto occasione di scrivere, se si considera che, stando a Gaio stesso (3, 93), l’espressione spondeo sarebbe stata «a graeca voce figurata».
Parimenti importante mi parrebbe di poter considerare una mia indagine apparsa sempre nel 1999 nei Mйlanges Fritz Sturm, in cui ho creduto di potermi appoggiare su altre norme del Codice di Gortina per confermare l’ipotesi che anch’ io avevo formulato tanto tempo fa, supponendo che il sacramentum della antica legis actio, giа ritenuto in dottrina per l’epoca più antica un giuramento, anzichй una scommessa di denaro come ce lo presenta Gaio, fosse prestato inizialmente non da entrambe le parti in causa, ma da una sola di esse. Per Gortina infatti – e siamo alla metа del V sec. a C.– ci и attestato epigraficamente un sistema processuale in cui, per svariate controversie individuate dalla legge, e non solo di carattere penale, era prevista espressamente la possibilitа di concludere le stesse con una sorta di giuramento purgatorio (il che viene di solito espresso attraverso l’uso di un singolare comparativo in riferimento al soggetto che «vince giurando», detto appunto orkioteros). Ma soprattutto abbiamo una norma, ancorchй lacunosa, relativa alla procedura per un inadempimento diciamo cosм in materia contrattuale, la quale, come ho scritto, «per l’ipotesi di una controversia analoga a quella cui si sarebbe applicata in Roma la legis actio sacramenti in personam, aveva chiaramente configurato la possibilitа di uscirne col giuramento prestato da parte del convenuto, sia che ciт dipendesse dalla scelta dell’attore che, come parrebbe preferibile, da quella del convenuto stesso».
Su
un celebre parallelismo di cui si parla anche in certi manuali istituzionali,
quello fra l’adrogatio romana e il
testamento-adozione tipico di Atene, ma impiegato verosimilmente anche a
Gortina, dove per di più l’adozione
si faceva sulla piazza (come giа sottolineato più volte da altri), ho
invece avuto modo di ritornare nella parte finale di una ricerca che deve
ancora apparire nell’ultimo volume della ricordata Societа di diritto
greco ed ellenistico, relativamente al Symposion
tenutosi in Spagna nel settembre del 1999.
Poche settimane fa ho anche avuto modo di presentare una breve comunicazione al prestigioso convegno indetto in onore del prof. Alberto Burdese e dedicato alla «buona fede oggettiva», dove mi и parso di poter mettere a frutto alcune testimonianze aristoteliche per documentare l’esistenza di un periodo in cui, presso alcune comunitа greche, i contratti in cui ci si fosse rimessi alla fiducia (pistis) non sarebbero stati muniti di tutela legale, in quanto appunto fondati su un concetto etico, nello stesso modo in cui, come si usa dire senza poterlo dimostrare, sarebbe avvenuto anche nelle fase primigenia dei contratti consensuali romani, basati appunto sulla fides intesa in senso metagiuridico e protetti, solo in un secondo tempo, dal pretore con azioni di buona fede.
3. Una cosa ancor più interessante e significativa per quanto riguarda lo studio del diritto greco и data peraltro dall’utilitа che esso potrebbe fornire per poter qualche volta comprendere meglio le stesse fonti romane, in cui, a proposito di un termine latino, si fa esplicito rinvio al corrispondente greco. Non si tratta infatti di questioni da risolvere solo, come si potrebbe ritenere, su un piano terminologico, bastando la conoscenza di come stessero le cose ad Atene, per comprendere come i Romani, facendo quei riferimenti terminologici, alludessero talora a veri e propri concetti giuridici, magari testimoniati da autori classici, com’erano anche per loro un Aristotele o un Demostene (per non parlare delle Citazioni omeriche nel Digesto, su cui mi sono soffermato in alcune pagine comparse ora nelle «Timai Triantaphillopoulos», Atene 2000).
Io mi ero occupato di questa Terminologia greca nei testi dei giuristi romani in una
comunicazione ad un convegno sassarese del 1996, i cui Atti sono finalmente
appersi sotto it titolo «Scientia iuris e
linguaggio nel sistema giuridico romano» (Milano 2001).
Qui comunque basterа ricordare anzitutto il noto riferimento da parte di Labeone (e in seguito anche da parte di Aristone) al sunallagma greco, che non è sinonimo di accordo, come qualcuno in passato aveva ritenuto (R. Santoro), ma nel pensiero aristotelico allude ad una concezione del contratto come ancorato effettivamente alla reciprocitа delle prestazioni. Giа altri come lo Schiavone si era soffermato invero sui passi aristotelici in proposito (Sulle logiche dei giuristi romani, Napoli 1971, 73 ss. riprodotto pari pari in Linee di Storia del pensiero giuridico romano, Torino 1994, 145 ss.), arrivando ad evidenziare un significato del termine sunallagma come relativo al «rapporto sociale nella sua oggettiva bilateralitа». Esiste tuttavia un passo dell’Etica a Nicomaco ancora più importante, giа messo a contributo per lo studio del concetto di contratto ad Atene (A. Maffi), ma non preso in considerazione dallo Schiavone[2], in cui, parlandosi di sunallaxontes, s’incontra addirittura un’efficace rappresentazione di quello che potremmo chiamare contratto come accordo (omologhia) in ordine a due prestazioni corrispettive, ossia sul ti anti tinos (il che corrisponde oltretutto al quid pro quo della raffigurazione che si ritrova nella storia del contratto nel common law), e ciò oltretutto in ordine ad uno scambio differito nel tempo, il che darebbe luogo al sorgere del debitum (opheilema)[3]!
Vorrei accennare anche ad un celebre passaggio contenuto nell’epistolario ciceroniano, richiamato da me sempre nella comunicazione sassarese, dove in un contesto scherzoso si usano dei concetti greci, facendo intendere che chi ha la ktesis di una cosa, ne ha conseguentemente anche il mancipium, mentre chi ne ha la cresis dispone del fructus di quella, un testo su cui si sono soffermati gli studiosi che hanno ripercorso la storia della proprietа (fra cui il Capogrossi Colognesi, che cerca di liberarsene intendendo mancipium nel senso di schiavo). Costoro, infatti, sarebbero arrivati ad intendere meglio e più facilmente il passo ciceroniano, se avessero tenuto presente un testo della Retorica aristotelica (1, 5, 7 - 1361a), dove si parla della ktesis, trattando della ricchezza, e si arriva da ultimo a caratterizzare la ktesis stessa – pur parlandone con riferimento sinonimico ad oikeia – con la disponibilitа giuridica delle cose proprie, in contrapposizione al loro semplice godimento, il che induce a credere che nell’epistolario ciceroniano si parlasse di mancipium per riferirsi semplicemente alla mancipatio, come del resto mi parrebbe confermato dal riferimento immediatamente successivo ad una possibile vendita[4].
Quello che solitamente s’ignora o comunque non si considera abbastanza è addirittura l’utilizzazione di un concetto greco da parte di Papiniano, quando non siamo più nell’epoca della fine repubblica-inizi dell’impero, allorché i riferimenti alla cultura greca da parte dei romani colti erano all’ordine del giorno. Nella sua famosa definizione di lex come, fra l’altro, communis rei publicae sponsio (D. 1, 3, 1), della cui genuinitа ormai nessuno sembrerebbe dubitare più, il giurista severiano utilizzava infatti con qualche necessario adattamento una celebre definizione fornita incidentalmente in una sua orazione da Demostene (c. Aristogitone), come и confermato da un passo di Marciano (D. eod. 2) dove quella definizione и riprodotta in originale, sul che, pur arrivando a conclusioni alquanto problematiche ed aperte, io mi sono per conto mio soffermato in un articolo dedicato agli Studi Gallo[5].
4. Il pur provvisorio bilancio della mia più recente esperienza di studio, di cui ho parlato finora con la speranza che essa possa indurre qualcun altro a mettersi sulla mia stessa strada, non è comunque ancora concluso. Ho infatti dedicato agli Studi in onore di Talamanca, che oltretutto – sia detto per inciso – è stato uno dei pochi che si è occupato con competenza di diritti greci, una ricerca su un tema importante da un punto di vista di metodo, affrontando il riesame di un passo di una commedia di Plauto[6], in cui da tempo i filologi hanno visto e continuano a vedere le tracce di istituti attici come fra l’altro la magistratura degli «undici» e il rimedio straordinario della c. d. apagoghи, e che invece i romanisti con sempre maggiore sufficienza vorrebbero utilizzare per lo studio del diritto romano, anche a costo di sfociare in una ricostruzione assurda, come quella per cui si sarebbe potuto agire con una manus iniectio, di cui tutti sanno come fosse una legis actio a carattere esecutivo, davanti ad una magistratura minore con funzioni nel campo della repressione criminale come i tresviri capitales. Tutto ciò per non aver voluto ammettere che Plauto, il quale non aveva preoccupazioni di carattere giuridico e che, copiando da un testo greco, doveva adattare le cose alla comprensione almeno superficiale del suo pubblico, avrebbe potuto benissimo trasformare quell’atto di trascinamento da parte di un qualsiasi polites dei kakourgoi sorpresi sul fatto davanti agli ‘undici’, rappresentato dall’apagoghи, in una manus iniectio ed identificare al tempo stesso gli undici che avevano la sorveglianza sulle carceri e si occupavano di usa serie di reati minori con i tresviri che avevano a Roma una competenza analoga.
E con ciò direi che almeno la prima puntata – sperando che ce ne siano altre in futuro – si possa considerare conclusa.
(резюме)
Семь-восемь
лет назад в
Сиене автор
статьи начал
преподавание
курса «Греческое
право»,
который
быстро
завоевал
популярность
среди
студентов. В
настоящее
время изучением
греческого
права
занимаются в основном
англо-американские
специалисты
в области
греческой
литературы и
истории.
Среди
европейских
историков,
включая
греческих, к
сожалению,
лишь немногие
обращаются к
богатому
материалу по
афинскому
праву, и в
особенности
по региональному
греческому
праву,
например
критскому.
Исследовательская
деятельность
автора, нашедшая
отражение в
ряде
докладов и
научных статей,
развивалась
по нескольким
направлениям.
Это
сравнение
римского и
греческого
права в
различных
конкретных
аспектах
(римская provocatio и
афинская
апелляция на
решение
архонтов,
нормы XII Таблиц и
декрет V в. до н. э.
по речи
Андокида),
исследование
особенностей
развития
римского
права в восточных
провинциях,
греческих
корней процедуры
sponsio,
влияния
регионального
греческо
го права на
право
римское
(описанная в
Гортинском
кодексе
процессуальная
система
позволяет
предположить,
что в аналогичном
римском
процессе (legis actio) sacramentum был
необходим
только для
одной
стороны процесса)
и многое
другое.
Не менее
интересной
темой
представляется
и
исследование
греческой
терминологии,
используемой
в римском
праве. Так,
термин sunallagma,
воспринимавшийся
в прошлом
зачастую как синоним
договора, при
исследовании
употребления
причастия
synallaxontes в тексте
афинских
контрактов
принимает значение,
близкое
скорее к
консенсуальным
контрактам.
Интересно
также
сопоставление
терминов ktesi" и mancipium, chresi" и fructus и др.
Исследование
влияния
греческого
права на
право
римское, их
взаимоотношения
и взаимопроникновения
остается
одной из
перспективных
тем
романистики,
и хочется надеяться,
что главные
открытия в
этой области
еще впереди.
* Мартини Ремо – ординарный профессор римского права юридического факультета Университета г. Сиена, Италия.
** Si
pubblica anche qui – con qualche ritocco – il testo di una comunicazione
destinata innanzitutto agli Atti del Seminario dell’Istituto di Diritto romano
dell’Universitа Complutense di Madrid, dove ero stato invitato a parlare
(il 1° giugno 2001) dalla cortesia del collega ed amico Javier Paricio.
[1] Potrebbe bastare per rendersene conto il
programma con i partecipanti al convegno scozzese, organizzato alla fine di
giugno 2001 dal «Department of classics» dell’Universitа di Glasgow per onorare un grande ricercatore cui si
debbono molte indagini e in particolare un agile e apprezzabile manuale di
diritto attico, il Mac Dowell (The Law in
Classical Athens, L. 1978).
[2] Il quale, facendo una ricerca di tipo lessicale,
si era basato solo sui testi in cui ricorre l’espressione sunallagma (così come avevano fatto gli studiosi per quanto
riguarda la definitio nelle fonti
giuridiche romane ed io stesso avevo potuto mettere in luce nella mia
monografia del 1966).
[3] Cfr. Arist. EN.
8, 13, 5–6, dove, parlando di due tipi di amicizia fondata sull’utile,
quella etica e quella giuridica, dopo aver detto che le controversie si
originano soprattutto quando le parti non stringono e sciolgono il rapporto fra
loro con lo stesso tipo (di amicizia), si definisce l’amicizia giuridica come
quella basata sulle cose certe (epi
retois) e la si suddivide a sua volta in due specie, una relativa agli
scambi immediati dalla mano nella mano che avvengono sul mercato e un’altra,
più liberale, che prevede appunto un rinvio, sulla base di un accordo, nelle scambio
delle prestazioni, sottolineandosi come in un caso come questo sia manifesto il
debito: «delon d’en taute to opheilema».
[4] Nella lettera indirizzata a Cicerone (ad fam. 7, 29, 1) si legge infatti «S.
v. b. e. sum enim cresei men tuus, ktesei de Attici nostri. Ergo fructus est tuus, mancipium illius; quod
quidem si inter senes coemptionales venale proscripserit, egerit non multum»,
mentre nel testo della Retorica di Aristotele si comincia parlando della
ricchezza consistente della ktesis di
terre di animali etc.; si accenna quindi ad alcuni beni
dai quali non si ricava altro che una kresis, per concludere che la ricchezza è più nel cresthai che nel kectesthai, avendo nel frattempo
specificato, con l’uso di un termine, oikeia,
che, come appare dal contesto (e conferma il traduttore della Loeb, parlando in
tutti e due i casi di ownership), equivale a ktesis, che appunto tou de oikeia einai otan eph’auto e
apollotriosai e me.
[5] Non sarа male riprodurre qui per lo meno il primo dei due
testi del Digesto ossia D. 1. 3. 1 (Pap. 1 defin.):
«Lex est commune praeceptum, virorum prudentium consultum, delictorum quae
sponte vel ignorantia contrahuntur coercitio, communis rei publicae sponsio».
[6] Cfr. Persa,
62–74: «neque quadrupulari me volo, neque enim decet / sine meo periclo ire
aliena ereptum bona, / neque illi qui faciunt mihi placent. Planen loquor? /
nam publicae rei causa quicumque id facit / magis quam sui quaesti, animus
induci potest, / eum esse civem et fidelem et bonum / sed si legirupam qui
damnet, det in publicum / dimidium; atque etiam in ea lege adscribier: / ubi
quadrupulator quempiam iniexit manum, / tantidem ille illi rursus iniciat
manum, / ut aequa parte prodeant ad trisviros. / si id fiat ne isti faxim
nusquam appareant / qui hic albo rete aliena oppugnant bona».