Il testo
conservato all’inizio del Titolo ‘De obligationibus’ delle
Istituzioni di Giustiniano ‘Obligatio est iuris vinculum, quo
necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura’
(J. 3. 13 pr.) è uno degli enunciati più celebri tramandati dalle
fonti giuridiche romane. Esso ha costituito il modello e l’archetipo per
la fissazione, in ogni epoca,
Tuttavia,
al di là di un’ammirazione forse più formale, dettata da
una specie di rispetto per l’immediata impressione di eleganza e
compostezza
Ora, non vi
è dubbio che le parole in esame non sono idonee a fissare adeguatamente
e con puntualità la nozione dell’obligatio. Ma il punto
è proprio questo: è sicuro che l’autore della definizione ha
voluto fornire una compiuta descrizione di cosa sia l’istituto
dell’obligatio, che ne ha voluto connotare la nozione in modo
completo ed esaustivo? Questa è, da sempre, l’opinione comune. Il
testo in questione è considerato unanimemente come una definizione
dell’obligatio, nel senso di affermazione che descrive in cosa
consiste l’obligatio: in qualunque manuale di Istituzioni di
diritto romano e nelle ricerche specialistiche (di diritto romano e di diritto
privato vigente) questo è il testo richiamato come «la definizione
dell’obbligazione». Ma vi è un’altra possibilità:
che il giurista abbia voluto caratterizzare in un certo modo l’obligatio
per distinguerla da qualche altra figura e che, di conseguenza, egli abbia
costruito il complessivo dettato con gli elementi che gli sembrarono adatti al
raggiungimento di questa specifica finalità.
Dico subito
che io credo in questa seconda possibilità. Sono convinto, cioè,
che la definizione è stata formulata non allo scopo di descrivere in
modo completo in cosa consiste l’obligatio, ma allo scopo di
distinguere l’obligatio da un’altra figura concettuale: in
particolare, allo scopo di differenziare il rapporto obbligatorio rispetto ad
altri vincoli di differente natura, intesi come ‘obbliganti’ e
però non coercibili. In questa prospettiva, la definizione di obligatio
apre orizzonti di riflessione nuovi e insospettabili, come vedremo.
Naturalmente,
anche in questa ottica possiamo continuare a parlare di ‘definizione di obligatio’,
riferendoci ad un’operazione mentale di distinzione tra due realtà
che corrisponde alla formazione etimologica del verbo ‘de-finire’
come ‘determinare i confini’ di un istituto o di una figura,
isolando, ritagliando i contorni, separando, distinguendo da un altro istituto
o da un’altra figura per qualche aspetto simile e confondibile (un
significato di ‘definire’ e ‘definitio’
ben noto agli stessi giuristi romani)[3].
II.1. Ancora oggi una parte della
dottrina, partendo soprattutto dalla genericità delle parole ‘solvere
aliquam rem’, ritiene che la definizione non è classica; e in
particolare attribuisce il testo ad uno dei compilatori delle Istituzioni di
Giustiniano[4].
Questa
posizione non è però sostenibile. Essa è ostacolata da due
argomenti, collegati al carattere
Il primo
argomento proviene dall’impiego
Il secondo
argomento consiste in ciò: l’attribuzione della definizione ai
giustinianei determinerebbe un caso unico all’interno
Dunque, la definizione non può essere di
origine giustinianea. D’altra parte, non esistono argomenti che possano
far pensare a un’origine postclassica. Pertanto rimane come unica
possibilità l’attribuzione della definizione ad un giurista
classico.
A mio
avviso, il giurista che ha congegnato la definizione è stato Gaio,
nell’opera a noi conosciuta con il titolo Res cottidianae o Aurea.
In
particolare, è mia convinzione che Gaio in questa opera abbia iniziato
la trattazione sulle obligationes proprio con la sequenza di contenuti
che appare nel titolo J. 3. 13. E cioè: la definizione di obligatio
(pr.); poi la summa divisio tra obbligazioni civili e obbligazioni
onorarie (§ 1); infine la distinzione delle obbligazioni sulla base delle
concrete causae che determinano il sorgere del vincolo (§ 2: le
cosiddette causae o fonti delle obbligazioni: e cioè,
nell’originale gaiano la tripartizione ‘contratti – delitti
– variae causarum figurae’, che il compilatore delle Institutiones
giustinianee ha sostituito con la quadripartizione ‘contratti –
quasi contratti – delitti – quasi delitti’)[6].
Prima di indicare gli elementi che inducono ad ipotizzare
questa palingenesi della definizione, non è inutile ribadire brevemente
la convinzione che le Res cottidianae siano state direttamente composte
da Gaio. A questo riguardo, osservo che disponiamo di due dati assai
importanti: 1) la salda attribuzione delle Res cottidianae a Gaio nelle inscriptiones
del Digesto, nell’Index florentinus e nella costituzione
introduttiva delle Institutiones (cost. Imp. § 6); 2)
l’evidente fortissima impronta gaiana dello scritto. Ebbene, di fronte a
questi due elementi, l’onere della prova incombe su coloro che negano la
provenienza da Gaio, non su coloro che rispettano la notizia trasmessa dalle
fonti, la quale, fino a dimostrazione contraria, deve tenersi ferma. Ma nessuno
degli indizi che sono stati fino ad oggi utilizzati per negare questa
attribuzione è attendibile[7].
II.2. Possiamo adesso considerare gli
argomenti che dimostrano che la definizione deriva dalle Res cottidianae.
In questa direzione depongono almeno due elementi
A) Le
parole iniziali ‘obligatio est iuris vinculum’.
L’espressione
‘vinculum iuris’ compare in un brano delle Institutiones
giustinianee (J. 2. 23. 1) in cui è delineata la storia
J. 2. 23 pr. Nunc transeamus ad fideicommissa. Et prius de hereditatibus fideicommissariis videamus. [1] Sciendum itaque est omnia fideicommissa primis temporibus infirma esse, quia nemo invitus cogebatur praestare id de quo rogatus erat: quibus enim non poterant hereditates vel legata relinquere, si relinquebant, fidei committebant eorum, qui capere ex testamento poterant: et ideo fideicommissa appellata sunt, quia nullo vinculo iuris, sed tantum pudore eorum qui rogabantur continebantur. Postea primus divus Augustus semel iterumque gratia personarum motus, vel quia per ipsius salutem rogatus quis diceretur, aut ob insignem quorundam perfidiam iussit consulibus auctoritatem suam interponere. Quod quia iustum videbatur et populare erat, paulatim conversum est in adsiduam iurisdictionem: tantusque favor eorum factus est, ut [paulatim] etiam praetor proprius crearetur, qui <de> fideicommissis ius diceret, quem fideicommissarium [appellabant] <appellamus>.
Il
contenuto ed il senso
Ebbene, a
mio avviso questo brano proviene proprio dalle Res cottidianae. Lo
dimostrano le seguenti indicazioni testuali.
1) Le
parole ‘et ideo fideicommissa appellata sunt, quia nullo vinculo iuris…’,
e più specificamente la correlazione ‘et ideo … quia’
con ‘ideo’ in posizione prolettica. Si tratta, infatti, di
una costruzione estremamente comune presso il solo Gaio, mentre appare assai
rara presso tutti gli altri giuristi.
2)
Un’altra particolarità dello stile gaiano è costituita La
sequenza di due proposizioni relative con riguardo alla denominazione di un
istituto – ‘praetor … qui fideicommissis ius diceret, quem
fideicommissarium [appellabant] <appellamus>’:
anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una particolarità dello
stile gaiano, attestata frequentemente proprio con riguardo alla denominazione
di un istituto, e, peraltro, presente anche in due luoghi delle stesse Res
cottidianae.
3) Il
tenore formale (oltre che la trama in sé) delle prime due scansioni
storiche
4)
L’espressione ‘iussit consulibus auctoritatem …
interponere’. Infatti, nelle fonti giurisprudenziali a noi pervenute
un impiego dell’espressione ‘auctoritatem interponere’
in relazione ad un intervento magistratuale che tende a risolvere controversie
si trova, oltre che in J. 2. 23. 1, soltanto in un brano delle Istituzioni di
Gaio, precisamente nell’esordio della trattazione sugli interdicta (Gai
4. 139): ‘praetor aut proconsul auctoritatem suam finiendis
controversiis interponit’).
Orbene, la
compresenza e la combinazione di queste particolarità impone la
conclusione che il brano sulla storia dei fedecommessi conservato in J. 2. 23.
1, in cui compare l’espressione ‘vinculum iuris’, era
originariamente contenuto nelle Res cottidianae.
Questa
conclusione è, naturalmente, di grande rilievo ai fini della questione
della paternità della definizione di obligatio. Ci troviamo,
infatti, di fronte ad un’assoluta coincidenza terminologica, che investe
un elemento così importante quale il tratto iniziale ‘obligatio
est iuris vinculum’. Non solo; ma questa coincidenza lessicale
è rafforzata da una corrispondenza che riguarda, questa volta, il
contenuto
Dunque, sia
dal punto di vista lessicale sia dal punto di vista concettuale le parole
iniziali della definizione ‘obligatio est iuris vinculum’
costituiscono un primo indizio che porta a considerare il Gaio delle Res
cottidianae come il giurista autore della definizione.
B) Le parole finali ‘secundum
nostrae civitatis iura’.
Esistono alcune attestazioni di Gaio che, da un
punto di vista linguistico-concettuale, sono particolarmente vicine a queste
parole finali della definizione.
Così, nelle stesse Res cottidianae leggiamo
(D. 41. 1. 1 pr.): ‘Quarundam rerum dominium
nanciscimur iure gentium, quod ratione naturali inter omnes homines peraeque
servatur, quarundam iure civili, id est iure proprio civitatis nostrae…’.
In effetti, le parole ‘iure
proprio civitatis nostrae’
appaiono assai vicine all’espressione conclusiva della definizione di obligatio.
E questo riscontro è tanto più significativo in quanto, in
generale, l’espressione ‘civitas nostra’ è rara nelle
fonti giurisprudenziali.
E in Gai 1. 189 ‘inpuberes … in
tutela esse omnium civitatium iure contingit’ e 3. 96 ‘…apud
peregrinos quid iuris sit, singularum civitatium iura requirentes aliud
intellegere poterimus…’ troviamo un duplice parallelismo,
determinato sia dall’impiego in sé dei termini ‘civitas’
e ‘iura’ sia dalla posizione delle parole, con la completa
simmetria tra la chiusura ‘nostrae civitatis iura’ della
definizione e ‘singularum civitatium iura’ e ‘omnium
civitatium iure’ dei due brani delle Istituzioni gaiane.
Torneremo più avanti sia sul brano di J. 2. 23.
1 sui fedecommessi sia sulle parole finali della definizione ‘secundum
nostrae civitatis iura’.
III.1. Affrontiamo adesso il terzo punto,
e cioè i contenuti e il senso della definizione.
Per capire
il significato, la ratio e il valore della definizione occorre partire
dall’esistenza di un fenomeno concettuale assai diffuso a Roma sia nella
rappresentazione comune sia nella produzione letteraria già a partire da
Plauto: la contrapposizione tra beneficium e creditum in senso
tecnico-giuridico[8]. Si tratta di un dualismo elaborato
anche in ambienti filosofici, soprattutto nella tradizione
Nel modello
canonizzato da Seneca il beneficium è considerato come una specie
particolare di creditum, che si distingue dal creditum in senso
tecnico-giuridico per le seguenti peculiarità:
1) il beneficium
non è concesso in vista della restituzione[9]. Dunque, l’autore
2) manca la
possibilità di richiesta giudiziale di restituzione; anzi,
l’esistenza stessa di uno strumento processuale esclude la configurazione
e la natura di beneficium[10]. Dunque, la restituzione
3) la
restituzione
Dopo aver constatato questi caratteri del beneficium
e della sua contrapposizione con il creditum in senso tecnico, dobbiamo
allargare lo sguardo verso un campo ben più ampio e articolato. Mi riferisco
al fatto che la figura e la pratica del beneficium sono strettamente
coordinate all’amicitia[12], e al fatto che tutti e due i fenomeni – il beneficium
e l’amicitia (nonché la necessitudo, concetto
che esprime più particolarmente l’aspetto ‘vincolante’
dell’amicitia) – sono collegati all’officium[13].
In particolare, esiste una sovrapposizione concettuale tra l’officium
e il beneficium in sé e tra l’officium e i tre
elementi del dare, ricevere e restituire il beneficium.
Dunque, esiste una serie di rapporti, di relazioni,
di pratiche interpersonali (i romani parlavano di ‘coniunctiones’),
particolarmente forte e sentita nella società romana della repubblica e
del principato, che è costituita dall’intreccio tra officium,
beneficium, amicitia, necessitudo. Ora, ciò che per noi
è decisivo è la circostanza che tutte queste coniunctiones sono
caratterizzate dal fatto di dar luogo a impegni e doveri e che non solo questi
impegni e doveri vengono descritti con la terminologia propria dei rapporti
obbligatori (‘obligare’, ‘debere’ ‘obstringere’,
‘solvere’, ‘debitum’, ‘creditum’),
ma le stesse figure dell’officium, del beneficium,
dell’amicitia sono rappresentate in termini di ‘vinculum’[14]; e inoltre, questi impegni e doveri sono avvertiti
come particolarmente pressanti (‘beneficium accipere est libertatem
vendere’, scrive Publio Syro), ma sono privi di strumenti
tecnico-processuali che costringano all’adempimento: poc’anzi
abbiamo visto a proposito del beneficium che questa mancanza di actio
corrisponde alla presenza della fides e del pudor quali stimoli
interiori che spingono verso l’adempimento (reddere gratiam);
ebbene, oltre alla restituzione del beneficium, anche i doveri derivanti
dall’amicitia e dalla necessitudo e, più in
generale, l’insieme di impegni e doveri racchiuso nel concetto di officium
sono sollecitati da valori interiori quali la fides, il pudor,
ma anche la pietas, la iustitia, la probitas, l’humanitas,
l’aequitas, l’honos[15].
III.2. Ebbene, è proprio per
distinguere da questi rapporti e da questi legàmi l’obligatio
in senso tecnico che Gaio, nelle Res cottidianae, scolpisce
l’istituto come ‘iuris vinculum’. Gaio vuole
evidenziare quel che di specifico ha il vinculum-obligatio
rispetto ai predetti, differenti vincula imperniati sull’officium:
e cioè la ‘giuridicità’, intesa come esistenza di uno
strumento processuale che rende cogenti le prestazioni che gravano sul
debitore.
Questa interpretazione è immediatamente
rafforzata dalla circostanza che, come abbiamo già visto in tema di
fedecommessi (supra, II. 2), nelle stesse Res cottidianae (J. 2.
23. 1) proprio il sintagma ‘vinculum iuris’ è
utilizzato con specifico riferimento alla presenza di meccanismi processuali
che rendono coercibile l’adempimento di un dovere. L’immagine del vinculum
iuris è impiegata per alludere all’esistenza di uno strumento
di iurisdictio che costringe ad adempiere (l’interpositio
dell’auctoritas dei consoli; l’affermarsi di una ‘adsidua
iurisdictio’; la creazione di un ‘praetor proprius qui fideicommissis
ius diceret’); e, per di più, questo vinculum iuris è
contrapposto alla fides e al pudor, due valori che, invece,
determinano l’osservanza dell’officium (proprio di officium
sequi parla Cicerone, fin. 2. 58 in relazione alla rogatio
fedecommissaria). Cioè, in un altro settore delle stesse Res
cottidianae Gaio contrappone ‘vinculum iuris’ e ‘officium’.
Del resto, che proprio questa sia la ratio delle
parole ‘obligatio est iuris vinculum’ è
confermato dalle parole successive ‘quo necessitate adstringimur
alicuius solvendae rei’, che costituiscono lo svolgimento e
l’esplicazione delle parole iniziali. Comunemente l’ablativo
‘necessitate’ viene coordinato direttamente ed
esclusivamente al verbo ‘adstringimur’, come se fosse un
rafforzamento del verbo ‘adstringi’, quasi in funzione
avverbiale («siamo costretti necessariamente»), e qualcuno
considera la presenza di questo ablativo una specie di pleonasmo,
un’aggiunta superflua. Invece, il termine ‘necessitate’
è particolarmente importante e pieno di significato. Esso è
grammaticalmente e concettualmente collegato non ad ‘adstrinmur’,
ma a ‘alicuius solvendae rei’; e il sintagma ‘necessitas
solvendae rei’ è un’espressione tecnico-giuridica, che
indica la cogenza dell’adempimento di una prestazione in forza di
un’actio in personam.
Nelle fonti giurisprudenziali a noi pervenute
l’espressione ‘necessitas solvendi’ in relazione ad un
rapporto obbligatorio compare soltanto una volta, in un testo del giurista
Celso (D. 17. 1. 50. 1): ma non è chiaro quale sia il significato. Per
fortuna, vi sono alcune fonti letterarie le quali attestano non solo che la
locuzione ‘necessitas solvendi’ è terminologia
tecnica che scolpisce l’essenza di un rapporto obbligatorio, ma anche che
questa terminologia allude all’esistenza di uno strumento processuale che
rende coercibile un dovere. Particolarmente limpide sono due testimonianze di
Seneca. Leggiamo, anzitutto:
Sen., ben. 5. 19. 8
‘Sed ut dialogorum
altercatione seposita tamquam iuris consultus respondeam, mens
spectandam est dantis; beneficium ei dedit, cui datum voluit. Si in patris
honorem fecit, pater accipit beneficium; si filii in usum, pater beneficio
in filium collato non obligatur, etiam si fruitur. Si tamen occasionem
habuerit, volet et ipse praestare aliquid, non tamquam solvendi necessitatem
habeat, sed tamquam incipiendi causa. Repeti a patre beneficium non
debet…’.
In questo brano Seneca dice di parlare in termini
giuridici (‘tamquam iuris consultus respondeam’), e questo
è un dato prezioso. Ebbene., nella parte finale del brano
(‘…pater beneficio in filium collato non obligatur, etiam
si fruitur. Si tamen occasionem habuerit, volet et ipse praestare aliquid, non
tamquam solvendi necessitatem habeat, sed tamquam incipiendi causa…’)
egli pone un’equivalenza tra ‘non obligari’ e ‘non
habere necessitatem solvendi’; e cioè, in termini positivi, tra
‘obligari’ e ‘habere necessitatem solvendi’. In
sostanza, la necessitas solvendi è intesa come elemento
essenziale e caratterizzante di un rapporto obbligatorio. Leggiamo adesso:
Sen., ben. 3. 7. 1 ‘… pars optima beneficii periit, si actio sicut certae pecuniae aut ex conducto et locato datur. Hoc enim in illo speciosissimum est, quod dedimus vel perdituri, quod totum permisimus accipientium arbitrio; si appello, si ad iudicem voco, incipit non beneficium esse, sed creditum. [2] Deinde cum res honestissima sit referre gratiam, desinit esse honesta, si necessaria est; non magis enim laudabit quisquam gratum hominem quam eum, qui depositum reddidit aut, quod debebat, citra iudicem solvit. [3] Ita duas res, quibus in vita humana nihil pulchrius est, corrumpimus, gratum hominem et beneficium; quid enim aut in hoc magnificum est, si beneficium non dat, sed commodat, aut in illo, qui reddit, non quia vult, sed quia necesse est? …’.
Questo brano ci mostra che la necessitas consiste
nella presenza di uno strumento giudiziale che costringe all’adempimento.
La stessa conclusione si trae dal seguente brano
del De officiis di Cicerone:
Cic., off. 2. 84
‘Tabulae vero novae quid habent argumenti, nisi ut emas mea pecunia fundum,
eum tu habeas, ego non habeam pecuniam? Quam ob rem ne sit aes alienum, quod
rei publicae noceat, providendum est, quod multis rationibus caveri potest, non
si fuerit, ut locupletes suum perdant, debitores lucrentur alienum; nec enim
ulla res vehementius rem publicam continet quam fides, quae esse nulla potest,
nisi erit necessaria solutio rerum creditarum. Numquam vehementius actum
est quam me consule ne solveretur; armis et castris temptata res est ab omni
genere hominum et ordine, quibus ita restiti, ut hoc totum malum de re publica
tolleretur. Numquam nec maius aes alienum fuit nec melius nec facilius
dissolutum est; fraudandi enim spe sublata solvendi necessitas consecuta est. [85]
Ab hoc igitur genere largitionis, ut aliis detur, aliis auferatur, aberunt ii,
qui rem publicam tuebuntur, in primisque operam dabunt, ut iuris et
iudiciorum aequitate suum quisque teneat et neque tenuiores propter
humilitatem circumveniantur neque locupletiores ad sua vel tenenda vel
recuperanda obsit invidia…’.
Cicerone deplora alcuni provvedimenti adottati dai
governanti, e tra questi le tabulae novae, cioè la cancellazione
dei debiti (‘pecuniam creditam condonare’)[16].
Egli stesso ha combattuto questa cancellazione dei debiti, assicurando la
‘solvendi necessitas’: cioè, l’esistenza di una
solvendi necessitas è l’opposto della cancellazione dei
debiti: dunque, anche in Cicerone, come in Seneca, la solvendi necessitas
indica l’esistenza di un rapporto obbligatorio. E anche in Cicerone, come
in Seneca, la necessitas allude ad uno strumento processuale che
costringe all’adempimento. Ciò si desume dal seguito del discorso
(§ 85), in cui Cicerone dice che l’obiettivo di far conservare a
ciascuno il suum va conseguito attraverso l’aequitas del ius
e dei iudicia. In conclusione, attraverso i brani di Seneca e di
Cicerone sappiamo che la locuzione ‘necessitas solvendi’
costituisce un concetto tecnico e ben radicato; che essa ha una sicura
centralità nel fenomeno del rapporto obbligatorio, al punto da
legittimare l’equivalenza tra ‘non obligari’ e ‘non
habere solvendi necessitatem’; e che, infine, essa consiste
nell’esistenza di uno strumento giudiziale, che rende coercibile il
dovere di ‘solvere’.
Di conseguenza, possiamo apprezzare il valore delle
parole ‘quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei’.
Con queste parole Gaio ha descritto il debitore come un soggetto che si trova
in una situazione di costrizione derivante dall’esistenza di una necessitas
di compiere una determinata prestazione. La terminologia che egli impiega
è precisa e giuridicamente rigorosa, da lungo tempo consolidata quale
indicazione tecnica che esprime la cogenza dell’adempimento propria di un
rapporto obbligatorio. Questa cogenza deriva dalla presenza di un meccanismo di
coercizione, consistente nell’esposizione del debitore alla condanna in
sede di actio di accertamento. Come si vede, si tratta di una
esplicitazione di quel concetto di iuris vinculum, che apre la
definizione e che è presente anche in J. 2. 23. 1 in tema di
fedecommessi, concetto che allude all’esistenza di una tutela
giurisdizionale che costringe anche l’‘invitus’ a
compiere la prestazione.
In
sostanza, sia attraverso le parole ‘obligatio est iuris vinculum’,
sia attraverso le parole ‘quo necessitate adstringimur alicuius
solvendae rei’ si comprende che il centro e l’elemento cardine
della definizione è la presenza di un’actio che rende
coercibile la prestazione. Tramite questa indicazione-chiave Gaio ha voluto
distinguere l’obligatio da altri vincula, ed in particolare
dall’officium e dalle coniunctiones nelle quali questo si
esprime, quali lo scambio di beneficia, l’amicitia, la necessitudo.
A questo fine, attraverso la raffigurazione ‘obligatio est iuris
vinculum’ egli ha messo immediatamente in risalto l’elemento
della giuridicità che, per l’appunto, contraddistingue l’obligatio
e che consiste nell’essere il debitore in senso proprio un soggetto
‘adstrictus’ non da valori interiori quali la fides,
il pudor, l’aequitas, la pietas, l’honos,
la probitas, l’humanitas, la iustitia – come,
invece, accade per colui che ‘deve’ prestare un officium
–, bensì da una necessitas solvendi, concetto tecnico che
allude all’esposizione del debitore all’actio di accertamento
e alla condanna del iudex, un fenomeno che rende giuridicamente cogente
una determinata prestazione.
Ancora, in questo quadro perfettamente si spiegano
anche le parole finali ‘secundum nostrae civitatis iura’.
In dottrina è apparso strano, sorprendente
che la definizione si conclude con un riferimento alla conformità ai iura
della civitas (‘secundum nostrae civitatis iura’)[17].
Come mai? E perché è l’unico enunciato giuridico, tra
quelli a noi pervenuti, che richiama specificamente questa conformità ai
iura civitatis? Molti studiosi ritengono che anche questa chiusura (come
l’ablativo ‘necessitate’) sia superflua e banale. In
realtà, anche queste parole finali sono estremamente importanti e dense
di significato, se le intendiamo nell’ottica fin qui considerata.
In particolare, dobbiamo tener presente due dati
fondamentali (e però generalmente trascurati dagli studiosi) nella
riflessione di Cicerone e Seneca in materia di officium. Anzitutto,
nell’elaborazione ciceroniana l’adempimento dell’officium,
che già nella tradizione stoica è ricondotta alla sfera
dell’honestum, e i valori che stimolano questo adempimento (fides,
pudor, iustitia, aequum, pietas etc.) sono considerati discendenti dalla natura[18].
In secondo luogo, i predetti valori, proprio perché ricondotti alla natura,
sono intesi come riconosciuti presso ogni popolo, e vengono per ciò
riferiti al ius gentium, che, in questa prospettiva, è visto come
contiguo o, addirittura, coincidente con la natura e, per quel che
più importa, come coordinato a valori che si collocano sul piano etico
prima ancora che giuridico[19].
Ecco che, allora, le parole ‘secundum
nostrae civitatis iura’ sottolineano un ultimo ed essenziale elemento
che distingue l’obligatio rispetto alla situazione vincolante
connessa all’officium. Mentre l’osservanza dell’officium
è imposta da spinte etiche interiori e ‘pre-positive’ che
appartengono alla sfera dell’honestum, quali la fides, il pudor,
la iustitia, l’aequitas etc., che scaturiscono e sono
sancite dalla natura, e pertanto chi non adempie viene riprovato in
quanto agisce ‘contra naturam’; la cogenza che incombe sul
debitore di un rapporto obbligatorio in senso giuridico è determinata
dall’esistenza di un meccanismo sanzionatorio introdotto e riconosciuto
dalle statuizioni positive dell’ordinamento giuridico. Le parole ‘secundum
nostrae civitatis iura’ significano, dunque, «conformemente
agli istituti positivi del nostro ordinamento giuridico», e cioè
conformemente ai modelli processuali dell’agere dichiarativo
(‘necessitas solvendae rei’), con una implicita
contrapposizione rispetto ai valori interiori e ai princìpi pre-positivi
riconducibili alla coppia natura/ius gentium.
E questa contrapposizione finale doveva apparire
particolarmente opportuna, in quanto nella tradizione di pensiero ciceroniano-senechiano
l’àmbito dell’honestum e dell’officium,
la natura e l’equipollente ius gentium sono richiamati
anche in relazione al rapporto obbligatorio in senso tecnico-giuridico. In
particolare, la fides, l’officium, l’honestum,
la natura e il ius gentium sono richiamati da Cicerone e Seneca
anche con specifico riferimento all’adempimento degli obblighi in
relazione ai pacta, al deposito, al mutuo, al comodato, alla
compravendita[20].
Come si constata in questi testi, l’adempimento degli obblighi è
ricondotto all’ honestum, è considerato come dettato dalla fides
e dall’aequum, risponde al ius gentium e alla natura.
Dunque, Gaio, sottolineando che la necessitas
solvendae rei si realizzava in conformità ai iura nostrae
civitatis, soddisfaceva l’esigenza di rendere completa e netta la
separazione dell’obligatio in senso tecnico-giuridico rispetto
all’officium. «E’ vero» – ragionava Gaio
– «che, a un livello etico sottostante e parallelo,
l’adempimento di un patto o di un contratto di mutuo, deposito, comodato,
compravendita è dettato dall’honestum, dalla fides,
dal ius gentium ed è un officium; ma ciò che
contraddistingue l’obligatio in senso proprio è che
l’adempimento appartiene alla sfera del ‘necessarium’,
in conseguenza dell’esistenza di uno strumento processuale che rende
cogente l’adempimento stesso».
Questa portata della definizione in termini di
contrapposizione tra la figura dell’obligatio e la fenomenologia
dell’officium è resa ulteriormente ammissibile da altre due
significative testimonianze di Seneca e di Cicerone. Leggiamo il testo di
Seneca:
Sen., de ira 2. 28. 2 ‘Quanto latius officiorum patet quam iuris regula! Quam multa pietas, humanitas, liberalitas, iustitia, fides exigunt quae omnia extra publicas tabulas sunt!’.
Questo brano mostra che già all’epoca
di Seneca esisteva una consolidata rappresentazione di una contrapposizione tra
il ius e l’officium (ed i valori ad esso collegati: pietas,
fides, humanitas etc.). E ciò, naturalmente, costituisce uno sfondo
concettuale al quale ottimamente si può riportare il fatto che Gaio
nella definizione di obligatio abbia voluto rimarcare il iuris
vinculum rispetto al vinculum officiorum.
Leggiamo adesso il secondo brano:
Cic., off. 2. 64
‘Conveniet autem cum in dando munificum esse, tum in exigendo non
acerbum in omnique re contrahenda, vendundo emendo, conducendo locando,
vicinitatibus et confiniis aequum, facilem, multa multis de suo iure
cedentem, a litibus vero, quantum liceat et nescio an paulo plus
etiam quam licet, abhorrentem’.
Cicerone sta parlando della liberalitas, e
cioè proprio di uno dei valori che, per Seneca, caratterizzano l’officiorum
regula in contrapposizione alla iuris regula, e che è
concettualmente sovrapposto alla beneficentia e al beneficium (v.
almeno Cic., off. 1. 14. 42 e 2. 15. 52). In particolare, Cicerone
indica quale è il modello di comportamento conforme alla liberalitas:
tra le altre cose, bisogna rinunciare a far valere le pretese, intese anche in
senso giudiziale, che scaturiscono da un rapporto obbligatorio. Come si vede,
si tratta dell’esatto opposto del riferimento al ius nella
definizione di obligatio, nella quale il vinculum è
‘iuris’ proprio in quanto caratterizzato specificamente
dall’esposizione del debitore alla richiesta processuale
dell’adempimento (‘quo necessitate adstringimur alicuius
solvendae rei’). Dunque, un altro spunto che conforta l’idea
che la definizione di obligatio si inquadra in una tradizione di
pensiero che contrapponeva il vinculum giuridico rispetto al vinculum
dell’officium.
In
quest’ottica, infine, ben si comprende la presenza delle parole ‘alicuius
solvendae rei’, che, come abbiamo detto all’inizio, è
criticata da molti studiosi, i quali la considerano generica e vaga o,
all’opposto, troppo ristretta, e per questo motivo, addirittura, non
classica. A questo proposito, occorre notare anzitutto che, come
l’espressione ‘necessitas solvendi’, anche
l’espressione ‘solvere rem’ è tecnica e
giuridicamente precisa. Essa non è generica e incolore, né vale
soltanto per le obbligazioni aventi ad oggetto un ‘dare rem’.
Infatti, già a partire almeno dal III secolo a. C. era presente nella
terminologia giuridica la locuzione ‘solvere rem’ con il
significato tecnico di ‘compiere una prestazione’ (lo attestano un
formulario della dichiarazione di guerra, in cui si parla di ‘res
solvere’ accanto a ‘res dare’ e a ‘res
facere’; e alcuni brani di commedie di Plauto, in cui ‘rem
solvere’ compare con valore tecnico-giuridico nel senso di
‘adempiere ad una prestazione’; del resto, lo stesso Gaio nelle sue
Institutiones utilizza il termine res anche nel senso di
‘prestazione’, ‘oggetto dell’adempimento’)[21]. Ebbene, il fatto che Gaio,
anziché menzionare tutti i possibili contenuti
III.3. Naturalmente tutta questa
interpretazione della definizione si fonda sul presupposto che Gaio avesse
specificamente presente quelle forme di coniunctiones e di relazioni
interpersonali (officium, amicitia, beneficium etc.) e, soprattutto,
avesse presente le caratteristiche peculiari attribuite alle stesse, che
abbiamo riconosciuto con l’aiuto di testimonianze letterarie,
specialmente di Cicerone e Seneca (e cioè, impiego dell’immagine
del vinculum, terminologia dei rapporti obbligatori, mancanza di actio
e presenza dei valori quali fides, aequitas, pudor, collegamento con
l’officium etc.). Questo è un punto assolutamente
fondamentale.
Ebbene, è risaputo che quei rapporti
comparivano nell’orizzonte scientifico ed argomentativo non solo del
singolo Gaio, ma della generalità dei giuristi classici. Ciò
deriva, naturalmente, anzitutto dal fatto che numerosi istituti giuridici erano
collegati all’amicitia, alla fides e all’officium,
come vedremo tra poco; ma anche dal fatto che relazioni e valori quali l’officium,
l’amicitia, la fides, la necessitudo, oltre a determinare
l’origine o il regime di istituti del diritto privato, appaiono
giuridicamente rilevanti in se stessi[22].
E’ sufficiente pensare, ad esempio, che nel vocabolario di concetti
giuridici di Elio Gallo (ultima età repubblicana) compare la voce
‘Necessaria officia’ (Fest., v. ‘Necessarii’
[158 L.]); che Cicerone (De or., 3. 33. 133) afferma che i giuristi
vengono consultati ‘non solum … de iure civili,
… verum etiam … de omni … aut officio aut
negotio’; all’interesse di Sabino, nel terzo libro iuris civilis,
per la gerarchia fissata dai maiores nell’osservanza degli officia
(Gell., N. A. 5. 13. 5); alla circostanza che Marciano definisce i
‘dona’ come ‘quae nulla necessitate iuris officii,
sed sponte praestantur…’ (D. 1. 1. 12).
Di conseguenza, quelle coniunctiones
dovevano far parte del bagaglio scientifico di ogni giurista; e più
specificamente, nella formazione culturale dei giuristi dovevano esser presenti
anche gli scritti di Cicerone e di Seneca sugli officia e sui beneficia,
e anche questo costituisce un dato da tempo acquisito in dottrina.
In aggiunta a queste considerazioni generali, con
specifico riferimento a Gaio possono compiersi due rilievi.
Da un lato, a sostegno dell’interpretazione
delle parole ‘secundum nostare civitatis iura’ come
contrapposte alla coppia natura/ius gentium, è decisivo il
fatto che è ormai acclarato in dottrina che Gaio ha seguìto ed
assorbito la riflessione ciceroniana in materia di rapporti tra natura e
ius gentium[23].
Dall’altro lato, c’è un brano delle Institutiones (2.
14) che consente di ipotizzare un contatto diretto di Gaio con il De
beneficiis di Seneca:
Gai 2. 14
‘Incorporales sunt quae tangi non possunt, qualia sunt ea
quae in iure consistunt, sicut hereditas ususfructus obligationes quoquo modo
contractae. Nec ad rem pertinet quod in hereditate res corporales sunt, et
quod ex aliqua obligatione nobis debetur, id plerumque corporale est, velut
fundus, homo, pecunia; nam ipsum ius successionis et ipsum ius utendi
fruendi et ipsum ius obligationis incorporale est…’. |
Sen., ben. 1. 5. 2 ‘… Non
potest beneficium manu tangi: res animo geritur. Multum interest inter
materiam beneficii et beneficium; itaque nec aurum nec argentum nec
quicquam eorum, quae pro maximis accipiuntur, beneficium est, sed ipsa tribuentis
voluntas. Imperiti autem id, quod oculis incurrit et quod traditur
possideturque, solum notant …’; 1. 6. 3 ‘Non
est beneficium ipsum, quod numeratur aut traditur…’; 6.
2. 1 ‘An beneficium eripi posset, quaesitum est. Quidam negant
posse; non enim res est, sed actio …’; 6. 2. 2 ‘Illud
incorporale est, irritum non fit; materia vero eius huc et illuc iactatur et
dominum mutat …’; 6. 2. 3 ‘… Potest
eripi domus et pecunia et mancipium et quidquid est, in quo haesit beneficii
nomen; ipsum vero stabile et immotum est. |
Vi è infatti una
notevole corrispondenza tra la precisazione di Gaio sulla distinzione tra res
incorporales e natura corporale del loro oggetto e la precisazione di
Seneca sulla distinzione tra la natura incorporale del beneficium e la natura
corporale del suo oggetto. Non credo che questa corrispondenza possa ritenersi
casuale, tanto più che tra le res incorporales che Gaio prende in
considerazione c’è il rapporto obbligatorio, e questo, come
abbiamo visto, insistentemente compare nel trattato di Seneca come paradigma
concettuale al quale il beneficium ora si riconduce ora si contrappone.
In conclusione, che Gaio possa essersi
richiamato, nel formulare la definizione di obligatio, alla tradizione
ciceroniano-senechiana sull’officium e sul beneficium appare
pienamente legittimo e plausibile.
Per quale ragione Gaio nelle Res
cottidianae ha sentito il bisogno di congegnare in questo modo la
definizione?
Vi sono almeno due elementi
nella complessiva trattazione delle Res cottidianae sulle obbligazioni
che fanno capire che Gaio doveva essere facilmente indotto a fissare una
definizione in chiave di implicita, ma apposita contrapposizione tra la
giuridicità-coercibilità dell’obligatio e
l’incoercibilità dell’officium.
In proposito, bisogna anzitutto
tener conto del fatto che, con riguardo alle singole causae obligationum,
nelle Res cottidianae Gaio si mostra attento all’individuazione di
ciò che, al livello del concreto comportamento delle parti e di funzione
economico-sociale dell’operazione, costituisce il fondamento del rapporto
obbligatorio. Ad esempio, è noto che egli ha cura di precisare il
fondamento dell’obligari con riguardo a ciascuna delle fattispecie
rientranti tra le variae causarum figurae (D. 44. 7. 5; in
quest’ottica egli insiste soprattutto sulla negotiorum gestio). Ma
si consideri anche che Gaio si sofferma sulla ratio e
sull’interesse sottostante al contratto di pegno (‘…pignus
utriusque gratia datur, et debitoris, quo magis ei pecunia crederetur, et
creditoris, quo magis ei in tuto sit creditum…’: J. 3. 14. 4);
e che egli amplia l’osservazione del fondamento e
dell’ammissibilità del mandato, prevedendo anche le ipotesi di mandato
‘mea et aliena gratia’, ‘mea et tua gratia’,
‘tua et aliena gratia’, e insiste sulla qualificazione del
mandato ‘tua tantum gratia’ come consilium e sulla
impossibilità di obbligarsi ex consilio (D. 17. 1. 2 pr. 6).
In secondo luogo, Gaio, nella trattazione
delle Res cottidianae si occupa, oltre che del mutuo e del mandato,
già presenti nelle Institutiones, anche del deposito, del
comodato, del pegno (D. 44. 7. 1. 4–5; J. 3. 14. 2–3), e, tra le variae
causarum figurae, della negotiorum gestio (D. 44. 7. 5 pr.; J. 3.
27. 1). Ebbene, si tratta di operazioni giuridiche le quali, a livello
sottostante, sono imperniate sull’officium e sulla fides e,
a parte il pegno, sottendono nella normalità dei casi un rapporto di amicitia[24].
Del resto, lo stesso Gaio proprio
in relazione al deposito e comodato offre un paio di attestazioni assai
significative. Quanto al deposito, è indicativo il fatto che nella
trattazione compiuta nelle Res cottidianae Gaio identifica il
depositario tout court con un amicus (D. 44. 7. 1. 5); quanto al
comodato, si legga il seguente brano:
D. 47. 2. 55. 1
(Gai 13 ad ed. prov.) Eum, qui quod utendum accepit ipse alii commodaverit,
furti obligari responsum est. ex quo satis apparet furtum fieri et si quis usum
alienae rei in suum lucrum convertat. nec movere quem debet, quasi nihil lucri
sui gratia faciat: species enim lucri est ex alieno largiri et beneficii
debitorem sibi adquirere. unde et is furti tenetur, qui ideo rem amovet, ut
eam alii donet.
Il testo è per noi
particolarmente importante per due ragioni. Da un lato, in quanto vi compare
come pacifica e normale una raffigurazione del commodare in termini di beneficium:
cioè, Gaio assume l’esistenza di un collegamento funzionale tra la
figura del comodato ed il beneficium; dall’altro lato, e ancor
più, in quanto Gaio descrive colui che riceve una cosa in comodato come
un ‘beneficii debitor’: cioè, il nostro giurista
è pienamente consapevole, e si serve egli stesso, di quella
concettualizzazione del ‘debere’ con riguardo al beneficium
che costituisce, come abbiamo visto, un elemento costante nelle riflessioni
sugli officia di Cicerone e di Seneca.
Dunque, nelle Res cottidianae Gaio
è specificamente attento ad individuare, all’interno di un
rapporto obbligatorio, il fondamento e l’elemento di volta in volta
obbligante; egli considera appositamente figure negoziali nelle quali, a
livello di funzione economico-sociale, si innestano le prospettive dell’officium,
della fides e dell’amicitia; e per di più, le figure
dei contratti reali, tutti imperniati sulla fides e sull’officium,
costituiscono il primo tema affrontato subito dopo le battute introduttive
sulla materia delle obbligazioni. Tutto ciò doveva far sì che
Gaio già in sede di presentazione dell’istituto-obligatio avesse
immediatamente e chiaramente davanti agli occhi la prospettiva dell’officium
e della sua peculiare vincolatività legata ai valori della fides,
del pudor, dell’aequitas etc. e alla natura e al ius
gentium; e che per questa ragione fosse portato a precisare subito, con un
enunciato generale, che, in realtà, altra cosa è
vincolatività giuridica dell’obligatio in senso tecnico,
derivante dalla presenza di una necessitas in senso processuale.
Possiamo riassumere tutto quel che abbiamo fin
qui osservato.
Gaio nelle Res cottidianae pone in
apertura di trattazione sulle obligationes un’affermazione
generale riguardante il rapporto obbligatorio, che possiamo tradurre nel
seguente modo: «l’obligatio è un vincolo di natura
giuridica, in forza
La definizione sottolinea la giuridicità
dell’obligatio rispetto alla dimensione etica (o etico-sociale)
dell’officium, o, in termini di riflessione giuridico-filosofica
di impostazione stoica, la vincolatività
Gli elementi metagiuridici e pre-positivi, di
natura squisitamente etica (fides, pudor, aequitas, iustitia, humanitas
etc.) o etico-sociale (officium, amicitia etc.) hanno rapporti di
vario tipo con gli elementi propriamente giuridici: di coesistenza, di
interferenza, o di tensione e contrapposizione. Lo studio di questi rapporti si
è sviluppato soprattutto negli ultimi anni, anche con specifico riguardo
all’ambito dei rapporti obbligatori, in particolar modo con riferimento a
singole figure contrattuali[25]. E’ un settore di ricerca
ancora in buona parte da esplorare e da affrontare con speciale attenzione per
il profilo della formazione culturale dei singoli giuristi. Una problematica
che, a mio avviso, può far trovare nuovi riscontri nelle fonti sia sul
piano casistico-problematico sia sul piano teorico-sistematico.
Ora, da questo punto di vista la definizione di
Gaio fa parte di una linea di pensiero che prende in considerazione la
compresenza, anche nel rapporto obbligatorio, di due dimensioni diverse: una
dimensione propriamente giuridica e ‘positiva’, che riguarda la
sfera del ‘necessarium’, e una dimensione
‘prepositiva’, che ruota intorno a valori e istituti scaturenti
dalla natura e dal ius gentium, e che riguarda la sfera
dell’honestum e dell’officium. Questa linea di
pensiero, alimentata dalla riflessione stoica, parte da Cicerone, prosegue con
Seneca e, dopo Gaio, è rintracciabile almeno in Papiniano e Paolo; e
assume l’elemento giuridico e l’elemento metagiuridico ora in
termini di contrapposizione ora in termini di coesistenza. A questo proposito,
è opportuno tener presente almeno il seguente brano di Paolo:
D. 13. 6. 17. 3 (Paul. 29 ad ed.) Sicut autem voluntatis et officii magis quam necessitatis est commodare, ita modum comodati finemque praescribere eius est qui beneficium tribuit. Cum autem id fecit, id est postquam commodavit, tunc finem praescribere et retro agere atque intempestive usum commodatae rei auferre non officium tantum impedit, sed et suscepta obligatio inter dandum accipiendumque. Geritur enim negotium invicem et ideo invicem propositae sunt actiones, ut appareat, quod principio beneficii ac nudae voluntatis fuerat, converti in mutuas praestationes actionesque civiles. Ut accidit in eo, qui absentis negotia gerere incohavit: neque enim inpune peritura deseret: suscepisset enim fortassis alius, si is non coepisset: voluntatis est enim suscipere mandatum, necessitatis consumare. Igitur si pugillares mihi commodasti, ut debitor mihi caveret, non recte facies importune repetendo: nam si negasses, vel emissem, vel testes adhibuissem. Idemque est, si ad fulciendam insulam tigna commodasti, deinde protraxisti, aut etiam sciens vitiosa commodaveris: adiuvari quippe nos, non decipi beneficio oportet. Ex quibus causis etiam contrarium iudicium utile dicendum est.
Il testo riguarda un profilo particolare
In conclusione, la definizione di obligatio
è preziosa perché alza un velo su un aspetto della storia dei
rapporti tra etica e diritto nella riflessione dei giuristi romani. E lo fa con
un dettato puntuale, efficace, in cui nessuna parola è lasciata al caso,
ma ha una precisa ragion d’essere e un significato forte e pregnante. Si
tratta di una de-finizione che, intesa come determinazione di confini[27] tra obligationes vere e
proprie e obblighi e doveri di natura etico-sociale, non esito a considerare
perfetta.
(РЕЗЮМЕ)
Одно из
наиболее
часто
цитируемых
определений
понятия
обязательства
содержится в
начале
раздела De
obligationibus: «Obligatio est iuris
vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae
civitatis iura’». Однако
наличие
плеоназмов, с
одной
стороны, и
определенного
рода неполнота
(так, solvenda res
описывает
только одну
часть
известной триады
dare, facere, praestare) с
другой
заставляет
многих
исследователей
видеть в этой
фразе либо
неклассическое
определение,
либо
классическое,
но неполное.
Эти
исследователи
исходят из априорного
убеждения,
что автор
фразы хотел
дать полное и
исчерпывающее
определение
обязательства.
Однако это
не
обязательно
так.
Возможно, автор
намеревался
не дать
полное
определение
обязательства,
а описать его
отличия от
другого вида
правоотношений.
Исходя из
этой
гипотезы,
можно
провести филологический
анализ
высказывания.
Так, употребление
первого лица necessitate adstringimur не
позволяет
считать, что
первоисточник
определения
–
императорская
конституция. С
другой
стороны
некоторые
словесные
конструкции
сближают
стиль
высказывания
с фрагментами
Гая. Так,
единственное
место в Институциях
Юстиниана,
где еще
встречается
выражение vinculum iuris (II. 23. pr) по
своему стилю
(употребление
конструкции et ideo … quia
свойственно
почти
исключительно
Гаю). Слова nostrae civitatis iura тоже
встречаются,
в основном,
во фрагментах
Res cottidiana Гая,
собранных в
Дигестах. Что
касается содержания
формулировки,
то интересно,
что и в упомянутом
отрывке
Институций (II.
23) речь
заходит о vinculum iuris для
описания
юридически
неформального
характера
раннего
фидеикомисса,
в отличие от
его
обязательности
в
классическом
праве.
Исходя из
изложенного,
можно
предположить,
что и
приведенное
определение
– цитата из
тех же Res cottidiana,
что оно не
претендует
на
терминологическую
полноту,
поскольку в
первоисточнике
было всего
лишь
попыткой
отграничить
понятие obligatio от
смежного ему
понятия officium.
* Джузеппе Фальконе – проф. римского права юридического факультета государственного университета г. Палермо, Италия.
[1] Su questa definizione cfr. le
seguenti indagini specifiche: A. Marchi,
Le definizioni romane dell’obbligazione, in BIDR 29, 1916,
5 ss.;
[2] Specie se confrontate con la
più puntuale indicazione offerta da Paolo nel famoso testo di D. 44. 7.
3 (Paul. 2 inst.): ‘Obligationum substantia non in eo
consistit, ut aliquod corpus nostrum aut servitutem nostram faciat, sed ut
alium nobis obstringat ad dandum aliquid vel faciendum vel praestandum’.
[3] Per questo particolare significato
originario
[4] Cfr., ad es., P. De Francisci, Sintesi storica del
diritto romano4, 1968, 627 s.; R.
Villers, Rome et le droit privé, 1977, 312; P. Fuenteseca, Vision procesal de la
historia del contrato en derecho romano clasico, in St. D’Ors,
I, 1987, 477; De los Mozos, La
clasificacion de las fuentes de las obligaciones en las Instituciones de Gayo y
de Justiniano y su valor sistematico en el moderno derecho civil, in Seminarios
Complutenses de Derecho romano VI, 1994 (pubbl. 1995), 117 s.; A. Dell’Oro, Partizione gaiana
del diritto e sua validità odierna, in St. Gallo III, 1997,
410; U. Vincenti, in A. Schiavone
(a cura di), Diritto privato romano. Un profilo storico, 2003,
[5] Su queste tematiche cfr. G. Falcone, La formazione
[6] J. 3. 13 pr. Nunc transeamus ad
obligationes. Obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur
alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura. [1] Omnium
autem obligationum summa divisio in duo genera diducitur: namque aut civiles
sunt aut praetoriae. civiles sunt, quae aut legibus constitutae aut certe iure
civili comprobatae sunt. praetoriae sunt, quas praetor ex sua iurisdictione
constituit, quae etiam honorariae vocantur. [2] Sequens divisio
in quattuor species diducitur: aut enim ex contractu sunt aut quasi ex
contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio. Prius est, ut de his quae ex
contractu sunt dispiciamus. Harum aeque quattuor species sunt: aut enim re
contrahuntur aut verbis aut litteris aut consensu. De quibus singulis
dispiciamus.
[7] Per una più approfondita
trattazione su questo punto cfr. G.
Falcone, «Obligatio est iuris vinculum» cit., 30 ss.
[8] Su questa contrapposizione cfr. J. Michel, Gratuité en droit
romain, 1962, 524 ss.; G. Giliberti,
«Beneficium» e «iniuria» nei rapporti col servo.
Etica e prassi giuridica in Seneca, in Sodalitas. Studi in onore
di A. Guarino, 4, 1984, 1847 e 1850 s.; e soprattutto A. Mantello, ‘Beneficium’
servile – debitum naturale, 1979, 72 ss.; G. Falcone, «Obligatio est iuris vinculum»,
75 ss.
[9] Cfr. Sen., ben. 5. 11. 3 ‘Beneficium est, quod potest,
cum datum est, et non reddi’; ben. 1. 1. 2 ‘id
enim huius crediti est, ex quo tantum recipiendum sit, quantum ultro refertur’;
ben. 1. 2. 3 ‘Beneficiorum
simplex ratio est: tantum erogatur; si reddet aliquid, lucrum est, si non red
det, damnum non est; ben. 2. 31. 2 ‘…non
… in vicem aliquid sibi reddi voluit; aut non fuit beneficium, sed
negotiatio’.
[10] Cfr. Sen., ben. 3. 7. 1 …
pars optima beneficii periit, si actio sicut certae pecuniae aut ex
conducto et locato datur. Hoc enim in illo speciosissimum est, quod
dedimus vel perdituri, quod totum permisimus accipientium arbitrio; si
appello, si ad iudicem voco, incipit non beneficium esse, sed creditum. [2]
Deinde cum res honestissima sit referre gratiam, desinit esse honesta, si
necessaria est; non magis enim laudabit quisquam gratum hominem quam eum, qui
depositum reddidit aut, quod debebat, citra iudicem solvit. [3] Ita duas
res, quibus in vita humana nihil pulchrius est, corrumpimus, gratum hominem et
beneficium; quid enim aut in hoc magnificum est, si beneficium non dat, sed
commodat, aut in illo, qui reddit, non quia vult, sed quia necesse est?
….’; ben. 3. 14. 2 ‘Etiam atque
etiam, cui des, considera: nulla actio erit, nulla repetitio. Erras, si
existimas succursurum tibi iudicem; nulla lex te in integrum
restituet, solam accipientis fidem specta. Hoc modo beneficia auctoritatem
suam tenent et magnifica sunt; pollues illa, si materiam litium
feceris’; ben. 4. 39. 2: ‘…alia
condicio est in credito, alia in beneficio. Pecuniae etiam male creditae
exactio est; et appellare debitorem ad diem possum …; beneficium
et totum perit et statim’; ben. 7. 23. 3 ‘Cum dicimus
beneficium repeti non oportere, non ex toto repetitionem tollimus […]
Interveniat aliquando admonitio, sed verecunda, quae non poscat nec in
ius vocet’.
[11] Cfr. Sen., ben. 3. 14.
2 ‘…nulla actio erit, nulla repetitio. Erras, si
existimas succursurum tibi iudicem; nulla lex te in integrum restituet, solam
accipientis fidem specta’; ben. 1. 2. 4: ‘…ingratos
… quos …pudor … gratos poterit efficere’;
ben. 3. 1. 4 ‘aliquando ad
referendam gratiam converti ex aliqua causa possunt (scil.: ingrati),
si illos pudor admonuerit’; Sen.,
epist. 81. 12 ‘An tibi videtur fidem habere, qui referre gratiam nescit?’;
Plin., epist. 8. 18. 7 ‘…testamentum…
quod pietas, fides pudor scripsit, in quo …omnibus adfinitatibus pro
cuiusque officio gratia relata est…’.
[12] Cfr. Sen., ben. 1. 5. 5; 2. 5. 4: beneficium = ‘voluntas
amica’; ben. 2. 18. 5: ‘beneficiorum
sacratissimum ius, ex quo amicitia oritur’; ben. 7. 25. 1: ‘admonitio … ius amicitiae’;
Cic., inv. 2. 168 ‘…amicitiae
… partim ab illorum partim ab nostro beneficio profectae…’; Cic., Planc. 80–81
‘… Quae potest esse vitae iucunditas sublatiis amicitiis? quae
porro amicitia potest esse inter ingratos?’.
[13] Cfr., ad esempio, Sen., ben. 4. 18. 1 ‘…quo
alio tuti sumus, quam quod mutuis iuvamur officiis? Hoc uno instructior vita contraque
incursiones subitas munitior est, beneficiorum commercio’; ben. 1. 3. 8: ‘officium dandi, accipiendi, reddendi beneficii’;
ben. 2. 32. 1: ‘Qui accepit
… beneficium, licet animo benignissimo acceperit, nondum consummavit
officium suum; restat enim pars reddendi’; Cic., off. 1. 47: ‘nullum officium referenda
gratia magis necessarium est’; Cic., Cluent. 117: ‘officiorum et amicitiarum
ratio’; Cic., Lael. 71:
‘officiose et amice’; Cic., fam. 14. 4. 2: ‘hospitii et amicitiae ius
officiumque’; Cic., Rosc.
Amer. 111: ‘operae nostrae vicaria fides amicorum
…’; ‘non possumus omnia per nos agere…; idcirco
amicitiae comparantur, ut commune commodum mutuis officiis gubernetur’;
Cic., fam. 13. 7. 5:
‘… a te peto … ut, … quod sit mihi
necessitudine, officiis, benevolentia coiniunctissimum, id mihi des…’;
Rhet. ad Her., 3. 14: ‘considerabimus…
qua fide, benivolentia, officio gesserit amicitias’; Q. T. Cic., Comm. pet. 16:
‘…Amicorum studia beneficiis et officiis … parta esse
oportet…’.
Sull’officium cfr., per tutti, E. Bernet, De vi atque usu vocabuli
officii, diss. Vratislaviae, 1930; F. Cancelli,
Saggio sul concetto di officium in diritto romano, in RISG 92,
1957–58, 351 ss.; Id., Nota
preliminare sull’«officium civile», in St. F. Vassalli,
I, 1960, 21 ss.; Id., v. ‘Ufficio
(dir. rom.)’, in ED 45, 1992, spec. 607 ss.; J. Hellegouarc’h, Le vocabulaire
latin des relations et des partis politiques sous la république,
1972, 152 ss.; G. Negri, La
clausola codicillare nel testamento inofficioso. Saggi storico-giuridici, 1974,
199 ss.; 239 ss.; I. Cremades Ugarte,
El officium en el derecho privado romano. Notas para su estudio, 1988;
ultimamente, J. LMurga, El
‘officium’, in Iuris vincula. Scritti in onore di
M. Talamanca, VI, 2001, 1 ss.
[14] Cfr. Sen., ben. 6. 41. 2: ‘…beneficium commune
vinculum est et inter se duos alligat’; Val. Max. 4. 7: ‘…amicitiae vinculum potens et
praevalidum’; Gell., N. A.
13. 3. 1: ‘…necessitudo …vinculum religiosae
coniunctionis’.
[15] Cfr. Plin., epist. 8. 18. 7: ‘… testamentum …
quod pietas fides pudor scripsit, in quo denique omnibus
adfinitatibus pro cuiusque officio gratia
relata est…’;
Cic., fin. 2. 57 ‘…Quam multa vero iniuste fieri
possunt, quae nemo possit reprendere!’ [58] ‘Si te amicus tuus
moriens rogaverit, ut hereditatem reddas suae filiae, nec usquam id
scripserit … nec cuiquam dixerit, quid facies? Tu quidem reddes;
ipse Epicurus fortasse redderet, ut Sex. Peducaeus, Sex. F., is qui hunc
nostrum reliquit efficiem et humanitatis et probitatis suae filium, cum
doctus, tum omnium vir optimus et iustissimus, cum sciret nemo eum rogatum a C.
Plotio, equite Romano splendido, Nursino, ultro ad mulierem venit eique nihil
opinanti viri mandatum exposuit hereditatemque reddidit. Sed ego ex te quaero,
quoniam idem tu certe fecisses, nonne intellegas eo maiorem vim esse naturae,
quod ipsi vos, qui omnia ad vestrum commodum et, ut ipsi dicitis, ad voluptatem
referatis, tamen ea faciatis e quibus appareat non voluptatem vos, sed officium
sequi, plusque rectam naturam quam rationem pravam valere. [59] … Perspicuum est …,
nisi aequitas, fides, iustitia proficiscantur a natura, et si omnia haec
ad utilitatem referantur, vir bonum non posse reperiri; deque his rebus
satis multa in nostris de re publica libris sunt dicta a Laelio’.
[16] Sul provvedimento della tabulae
novae cfr., per tutti, M. Piazza,
«Tabulae novae». Osservazioni sul problema dei debiti negli
ultimi decenni della Repubblica, in Atti del II Seminario romanistico
gardesano (1978), 1980, 39 ss.
[17] Cfr., ad es., E. Albertario, Le definizioni
cit., 15; B. Biondi, Istituzioni
di diritto romano3, 1956, 335; C.
Gioffredi, Aspetti della sistematica gaiana, in Nuovi studi di
diritto greco e romano, 1980, 257 nt. 19. Ma v. anche A. Guarino, ‘Obligatio est iuris
vinculum’ cit., 266 e P. Voci,
Istituzioni di diritto romano4, 1994, 353 nt. 1. Ma si tratta di una
valutazione di antica provenienza: cfr., ad es., Zoesius, Commentarius ad Institutionum juris civilis
libros IV, ed. Venetiis 1757, p. 329; Huberus,
Praelectionum jurisi civilis tomi III secundum Institutiones et Digesta
Justiniani, ed. Lipsiae 1735, p. 280; Richerius,
Universa civilis et criminalis Jurisprudentia, ed. Venetiis 1841, II,
927.
[18] Cfr., ad esempio, Cic., fin. 2. 59 ‘Perspicuum est …, nisi
aequitas, fides, iustitia proficiscantur a natura, … vir bonum non
posse reperiri’; Cic.,
Lael. 19 ‘Qui ita se gerunt, ita vivunt, ut eorum
probetur fides, integritas, aequalitas, liberalitas … hos viros
bonos … appellandos putemus, quia sequantur, quantum homines possunt,
naturam optimam bene vivendi ducem’; Cic., rep. 3. 33: ‘Est quidem vera lex recta ratio
naturae congruens …, quae vocet ad officium iubendo,
vetando a fraude deterreat’; Cic.,
leg. 1. 15. 43: ‘Atque, si natura confirmatura ius
non erit, <virtutes omnes> tollentur; ubi enim liberalitas,
ubi patriae caritas, ubi pietas, ubi aut bene merendi de altero aut referendae
gratiae voluntas poterit existere? nam haec nascuntur ex eo, quia natura
propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum iuris est’;
Cic., inv. 2. 53. 161:
‘naturae ius est, quod non opinio genuit, sed quaedam in natura
vis insevit, ut religionem, pietatem, gratiam, vindicationem,
observantiam, veritatem […] pietas, per quam sanguine coiniunctis
patriaeque benivolum officium et diligens tribuitur cultus; gratia, in qua
amicitiarum et officiorum alterius memoria et remunerandi voluntas continetur’; Cic., Lael. 49–50
‘Nihil est … remuneratione benevolentiae, nihil vicissitudine
studiorum officiorumque iucundius. [50] …opinor, bonis inter bonos
quasi necessariam benevolentiam, qui est amicitiae fons a natura constitutus’.
[19] Cfr., ad esempio, Cic., off. 3. 21 ‘detrahere
… alteri aliquid et hominem hominis incommodo suum commodum augere
… contra naturam…’ [22] ‘…natura non patitur, ut aliorum spoliis
nostras facultates, copias, opes augeamus.’ [23] ‘Neque vero hoc solum natura, id est iure gentium,
sed etiam legibus populorum, quibus in singulis civitatibus res publica
continetur, eodem modo constitutum est, ut non liceat sui commodi causa nocere
alteri… Atque hoc multo magis efficit ipsa naturae ratio, quae est lex
divina et humana; cui parere qui velit – omnes autem parebunt, qui
secundum naturam volent vivere – numquam committet ut alienum appetat et
id, quod alteri detraxerit, sibi adsumat’; Cic., off. 3. 68 ‘…Ratio ergo hoc postulat,
ne quid insidiose, ne quid simulate, ne quid fallaciter…’ [69] ‘Hoc quamquam video
propter depravationem consuetudinis neque more turpe haberi neque aut lege
sanciri aut iure civili, tamen naturae lege sanctum est… Societas
est enim … latissime quidem quae pateat, omnium inter omnes,
interior eorum, quid eiusdem gentis sint, proprior eorum, qui eiusdem
civitatis. Itaque maiores aliud ius gentium, aliud ius civile esse
voluerunt: quod civile, non idem continuo gentium, quod autem gentium, idem
civile esse debet’; Cic., de
orat. 1. 13. 56 ‘Etenim cum illi in dicendo inciderint
loci, quod persaepe evenit, ut de dis immortalibus, de pietate, de
concordia, de amicitia, de communi civium (: ius civile = ‘aequitas constituta eis qui eiusdem
civitatis sunt ad res suas obtinendas’ [Cic., Top. 2. 9]), de
hominum, de gentium iure, de aequitate, de temperantia, de
magnitudine animi, de omni virtutis genere sit dicendum, clamabunt (scil.
philosophi), credo, omnia gymnasia atque omnes philosophorum scholae sua
esse haec omnia propria, nihil omnino ad oratorem pertinere’; Sen., ben. 3. 14.
2: ‘aequissima
vox est et ius gentium prae se ferens…’.
[20] Cfr. Cic. off. 1. 31: ‘Sed
incidunt saepe tempora, cum ea, quae maxime videntur digna esse iusto
homine, eoque quem virum bonum dicimus, commutantur fiuntque contraria, ut reddere
depositum, facere promissum quaeque pertinent ad veritatem et ad fidem, ea
migrare interdum et non servare fit iustum. Referri enim decet ad ea, quae
posui principio fundamenta iustitiae, primum ut ne cui noceatur, deinde ut
communi utilitati serviatur. [32]
Potest enim accidere promissum aliquod et conventum, ut id effici sit
inutile vel ei, cui promissum sit, vel ei, qui promiserit … Nec promissa
igitur servanda sunt ea, quae sint iis, quibus promiseris, inutilia, nec si
plus tibi noceant, quam illi prosint cui promiseris, contra officium est maius
anteponi minori, ut, si constitueris cuipiam te advocatum in rem praesentem
esse venturum atque interim graviter aegrotare filius coeperit, non sit
contra officium non facere quod dixeris, magisque ille, cui promissum sit,
ab officio discedat, si se destitutum queratur. Iam illis promissis
standum non esse quis non videt, quae coactus quis metu, quae deceptus dolo
promiserit? Quae quidem pleraque iure praetorio liberantur, nonnulla legibus’;
Cic., off. 3. 95:
‘… Ergo et promissa non facienda non numquam neque semper
deposita reddenda. Si gladium quis apud te sana mente deposuerit,
repetat insaniens, reddere peccatum sit, officium non reddere. Quid? Si
is, qui apud te pecuniam deposuerit, bellum inferat patriae, reddasne
depositum? Non credo: facies enim contra rem publicam, quae debet esse
carissima. Sic multa, quae honesta natura videntur esse, temporibus fint non
honesta: facere promissa, stare conventis, reddere deposita commutata
utilitate fiunt non honesta’; Sen., ben. 3. 7. 2 ‘… cum res honestissima
sit referre gratiam, desinit esse honesta, si necessaria est; non magis
enim laudabit quisquam gratum hominem quam eum, qui depositum reddidit aut,
quod debebat, citra iudicem solvit’; Sen., ben. 3. 14. 2:
‘aequissima vox est et ius gentium prae se ferens: «Redde quod
debes»; haec turpissima est in beneficio: «Redde!»’;
Sen., ben. 3. 15. 1
‘Utinam quidem persuadere possemus, ut pecunias creditas tantum a
volentibus acciperent! Utinam nulla stipulatio emptorem venditori obligaret nec
pacta conventaque impressis signis custodirentur, fides potius illa servaret et
aequum colens animus!’; Sen.,
de rem. fort. 2. 1: ‘Gentium lex est, quod acceperis
reddere’.
[21] Fonti: Liv. 1. 32. 11 (per il
formulario di guerra); Plaut., Aul., 525; Curc., 379; 553; 618;
772. Per un esame dettagliato di questi brani cfr. G. Falcone, «Obligatio est iuris vinculum»
cit., 135 ss.;
[22] Su questo aspetto cfr., per tutti, F. Cancelli, Saggio sul concetto di
officium cit., 365 ss.; 373 ss.; e, con impostazione in parte diversa, G. Negri, La clausola codicillare
cit., passim e spec. 199
ss.
[23] Cfr., per tutti, R. Voggensperger, Der Begriff des «Ius naturale»
im Römischen Recht, 1952, 100 ss., spec. 104 ss.; H. Wagner, Studien zur allgemeinen
Rechtslehre des Gaius. Ius gentium und ius naturale in ihrem Verhältnis
zum ius civile, 1978, passim e spec. 58 ss.; 99 ss.; 113 ss.; 173
ss.; 214 ss.; P. Didier, Les
diverses conceptions du droit naturel à l’oeuvre dans la
jurisprudence romaine des IIe et IIIe siècles, in SDHI 47,
1981, 204; G. Anselmo Aricò,
Ius publicum-ius privatum in Ulpiano, Gaio e Cicerone, in AUPA 37, 1983,
729 ss.; M. Kaser, Ius gentium,
1993, 40 s.; da ultimo, A. Arnese,
Nancisci in Gaio: la natura e il caso, in SDHI 67, 2001, 62 ss.
[24] Per il mutuum, il depositum, il commodatum
e il pignus cfr. Plaut., Cist. 760: ‘aequomst
tenere per fidem quod creditumst’; Gell. N. A. 20. 1. 41 (Africanus):
‘Hanc autem fidem maiores nostri non modo in officiorum vicibus sed in
negotiorum quoque contractibus sanxerunt maximeque in pecuniae mutuaticae
usu atque commercio…’; D.
12. 1. 1. 1 (Ulp. 26 ad ed.) ‘…praetor…
rerum creditarum titulum praemisit: omnes enim contractus, quos alienam fidem
secuti instituimus, conplectitur: … iedo sub hoc titulo praetor et de
commodato et de pignore edixit…’; Cic., fin. 3. 59 ‘in officiis ponatur depositum
reddere’; D. 16. 3. 1 pr.
(Ulp. 30 ad ed.) ‘Depositum est, quod custodiendum alicui datum
est, dictum ex eo quod ponitur: praepositio enim «de» auget
positum, ut ostendat totum fidei eius commissum, quod ad custodiam rei
pertinet’; D. 13. 6. 17. 3 (v.
infra, § V). Per il mandatum
cfr. Cic., Rosc. Amer.
111: ‘…mandati constitutum est iudicium non minus turpe
quam furti, credo, propterea quod quibus in rebus ipsi interesse non possumus,
in iis operae nostrae vicaria fides amicorum supponitur; quam qui
laedit, oppugnat omnium commune praesidium et, quantum in ipso est, disturbat
vitae societatem. Non enim possumus omnia per nos agere; alius in alia est re
magis utilis. Idcirco amicitiae comparantur, ut commune commodum mutuis
officiis gubernetur’; D.
17. 1. 27. 2 (Gai. 9 ad ed. prov.): ‘Qui mandatum
suscepit, si potest id explere, deserere promissum officium non debet,
alioquin quanti mandatoris intersit damnabitur…’; D. 17. 1. 1. 4 (Paul. 32 ad ed.):
‘Mandatum nisi gratuitum nullum est: nam originem trahit ex officio et
amicitia …’). Per la negotiorum
gestio cfr. Cic., Top.
10. 42 ‘Si tutor fidem praestare debet, si socius, si
cui mandaris, si qui fiduciam acceperit, debet etiam procurator’;
D. 42. 5. 23 (Paul. 60 ad ed.)
‘Si negotium impuberis aliquis officio amicitiae gesserit…’;
D. 20. 6. 1 pr. (Pap. 11 resp.)
‘Debitoris absentis amicus negotia gessit…’.
[25] Mi limito a richiamare, a titolo di
esempio, i seguenti contributi: C.
Wollschläger, Das stoische Bereicherungsverbot in der
römischen Rechtswissenschaft, in Römisches Recht in der
europäischen Tradition. Symposion aus Anlaß des 75. Geburtstages von
Franz Wieacker, 1985, 41 ss.; D.
Nörr, Mandatum, fides, amicitia, in D. Nörr-S.
Nishimura [Hrsg.], Mandatum und Verwandtes. Beiträge zum römischen
und modernen Recht, 1993, 13 ss.; Id.,
Ethik und Recht im Widerstreit? Bemerkungen zu Paul. (29 ad ed.) D. 13, 6,
17,
[26] Su questo brano cfr., con specifico
riguardo alla contrapposizione tra voluntas e necessitas in
relazione al venire ad esistenza del rapporto obbligatorio, D. Nörr, Ethik und Recht im
Wiederstreit? cit., 268 ss.
[27] Cfr. supra, n. I, a
proposito dell’accezione originaria del termine ‘definire’.