O. DILIBERTO*

LE XII TAVOLE NEL DIGESTO**

Nel corso degli ultimi dieci anni, hanno visto la luce numerose edizioni della Legge delle XII Tavole e in realtà assai disparate del mondo: tre edizioni spagnole (Ruiz Castellanos, 1992; Rascon Garcia e Garcia Gonzalez, 1993; Domingo, 1998); una tedesca (Flach, 1994); una argentina (Mojer, 1994); la ripubblicazione in Cina dell’edizione del 1983 di Xu Nan (1994), di quella di Chen Yun – Fang Wei del 1957 (ad opera di Zhangsheng, 2000) e una nuova edizione ad opera del collega Xu Guodong; la nuova edizione della classica palingenesi tedesco-svizzera del Düll (prima ed. 1944, la settima, 1995); una russa (Kofanov, 1996); la raccolta inglese di Crawford (1996); una polacca (gli Zabloccy, 2000); una ucraina (Charitonov, 2000). Mi risulta infine un’edizione in Ungheria, che non sono tuttavia riuscito ancora a controllare.

L’antico codice sembra, dunque, per così dire, godere di ottima salute.

Ho dunque accolto con piacere l’invito – che mi onora – del Prof. Pierangelo Catalano a discorrere insieme a voi dell’antico codice nella prospettiva della Compilazione giustinianea e, segnatamente, nel Digesto di Giustiniano.

 

1. Il Digesto si apre solennemente con la rivendicazione orgogliosa della storia giuridica di Roma come premessa e momento fondante della Compilazione. Si apre infatti, come ben noto, dopo il primo titolo dedicato alla giustizia e alla nozione di ius, con un frammento tratto dal commento di Gaio alle XII Tavole (la praefatio ad esso: D. 1, 2, 1), nel quale si afferma con nettezza che il principium è la potissima pars del tutto, cioè la parte prevalente del diritto nel suo complesso. E’ la rivendicazione di più temi insieme. Innanzi tutto, si tratta della rivendicazione e della consapevolezza che si può conoscere il diritto vigente solo se si conosce la sua genesi e il suo sviluppo nel corso dei secoli. Inoltre, è anche la rivendicazione di una continuità, di un percorso ininterrotto, che inizia, appunto, con le XII Tavole (il più antico «codice» legislativo dell’occidente) e – nelle intenzioni di Giustiniano – doveva trovare il suo culmine e la sua conclusione proprio con il Corpus iuris. Infine, è un ossequio verso un grande, straordinario passato (la reverentia antiquitatis) che assurge, in sé, a valore.

Si tratta, quindi, di una dichiarazione programmatica, che non esito a definire ideologica. Tutt’altro che banale, per niente casuale o accidentale. Non a caso, il testo gaiano è posto a premessa dell’excursus, anch’esso notissimo, di Pomponio sulla intera storia giuridica di Roma.

Nel brano in esame, peraltro, Gaio è esplicito. Non intende fare un commentario di natura antiquaria (non verbosos commentarios), destinato agli eruditi o ai grammatici della lingua latina arcaica, ma rivolto strettamente ai giuristi suoi contemporanei. La storia del diritto più antico è individuata dunque come parte della scienza giuridica tout court. E Gaio è conseguente a tale dichiarazione programmatica. Nei brani a noi arrivati – proprio attraverso il Digesto – il giurista infatti parte dall’analisi (spesso lemmatica) al testo decemvirale, per approdare alla disamina del diritto a lui coevo.

Non a caso, nei non moltissimi frammenti a noi pervenuti dell’opera in esame (ma neppure pochi, 28 in tutto), Gaio – di solito non molto incline a citare altri giuristi – menziona ben sei giuristi a lui precedenti o coevi e in altri quattro luoghi ricorda opinioni giurisprudenziali anonime che hanno influenzato le modificazioni del diritto decemvirale nel corso dei secoli successivi. Così come inserisce nel corso di tali modificazioni anche l’opera del pretore. Insomma, nel commento di Gaio appare chiaro come dalle XII Tavole di dipani una storia di adeguamento progressivo dell’antico codice, svolto da giurisprudenza e pretore: le XII Tavole appaiono dunque inserite a pieno titolo nel corso della storia giuridica di Roma.

Tale concezione non è nuova. Già Labeone, circa un secolo prima, – nei soli tre frammenti a noi noti del suo commento alle XII Tavole, pervenuti attraverso Gellio – partiva dal testo decemvirale per arrivare a trattare del diritto a lui vigente (si pensi al notissimo racconto della vicenda di Lucio Verazio in relazione all’ iniuria). Insomma, le XII Tavole non erano percepite dalla giurisprudenza romana come un «monumento» avulso dalla successiva storia giuridica di Roma, ma proprio come il contrario: la partenza di una grande storia, nel corso della quale le medesime XII Tavole erano non un semplice ricordo, ma uno dei tasselli e dei fattori di sviluppo.

In Gaio, anzi, il testo decemvirale e i successivi commenti (o interpretazioni ad esso) tendono a sovrapporsi. Un solo esempio. In D. 50, 16, 234, 1 (2 l. ad XII Tab.), il giurista analizza il termine locuples. Ma noi sappiamo che tale ultimo lemma è più recente del termine originario (quello contenuto nelle XII Tavole, appunto) adsiduus. Locuples ne era già una successiva interpretazione, che tendeva a risolvere – nella misura del possibile – l’oscurità del testo originario, anche dal punto di vista strettamente linguistico: una polemica, questa sull’oscurità, che risale ad età ciceroniana ed è largamente diffusa – come ho cercato di dimostrare altrove – proprio nel II secolo d. C.: quando Gaio scrive.

 

2. Nel Digesto, dunque, si assume la prospettiva gaiana: quella programmatica e quella che ho definito, non casualmente, ideologica. Continuità, tradizione, valorizzazione dell’antico come fondamento del presente.

Giova, tuttavia, preliminarmente, porsi il problema di quale testo delle XII Tavole possedessero i Compilatori del Corpus iuris. La risposta – in una sede siffatta – non potrà che essere sommaria: rinvio pertanto, scusandomene, ai miei scritti precedenti per i necessari approfondimenti.

In primo luogo, è necessario premettere che nei secoli della storia di Roma ogni generazione in qualche modo riscrive (ed aggiorna) il testo decemvirale. Ciò appare chiarissimo se si pongono a confronto i testi a noi pervenutici di epoche diverse. Così come appare altrettanto chiaro che le differenze tra i testi sono anche rilevanti, pur nello stesso torno di tempo, se il testo proviene da tradizione giurisprudenziale o letteraria (retorica, grammaticale, storica). Non vi può quindi essere un testo delle XII Tavole, ma diversi testi di esse: a seconda delle epoche, degli autori, degli ambienti intellettuali dal quale essi provengono.

In secondo luogo, almeno dal IV secolo d. C. in avanti, occorre rilevare che una pur costante utilizzazione dell’antico codice (che ne denota una sorprendente conoscenza a distanza di secoli), non può essere considerata omogenea nelle diverse parti dell’impero: dipende, come ovvio, dalla presenza nei differenti territori di scuole di diritto, biblioteche, circolazione di testi. Ho incominciato a ragionare su tali temi qualche anno addietro. In questa sede mi limiterò quindi solo ad alcuni accenni.

In Occidente, il ricordo (e la citazione esplicita) delle XII Tavole è forte nelle opere giurisprudenziali: il nostro codice è menzionato nell’ Epitome Gai, nei Fragmenta Agustodunensia del medesimo giurista, nelle Pauli Sententiae, nei Tituli ex corpore Ulpiani e nei Fragmenta Vaticana: cioè in pressoché tutte le tarde opere di volgarizzazione e epitomatura della giurisprudenza classica. Anche nella Collatio, peraltro, le XII Tavole sono largamente citate ed utilizzate: ma la provenienza dall’Occidente è – come noto – più dubbia. In ogni caso, anche in quest’opera si conferma il dato di una costante utilizzazione (e, pertanto, della sua conoscenza) dell’antico codice.

Ma la cosa che sorprende è che le XII Tavole sembrano avere una diffusione non limitata agli ambienti strettamente giurisprudenziali.

 

L’intellettualità del tardo impero della parte occidentale sembra, infatti, conoscere e, comunque, conserva vivo il ricordo delle XII Tavole. Le testimonianze sono molteplici e provengono soprattutto da ambienti ecclesiastici, spesso intrecciati – per ruoli ricoperti e per formazione – a quelli delle cancellerie imperiali. Troviamo tracce di citazioni decemvirali in Ausonio, Prudenzio, Sidonio Apollinare e molti altri. Ma la cosa di maggior rilievo è un’altra. Proprio Sidonio (Narbonne, metà V secolo d. C.) afferma infatti che un certo giurista Leone (forse collaboratore di Eurico nella redazione dell’omonimo codex) avrebbe tenuto un corso d’insegnamento concernente il diritto decemvirale nelle Gallie del quinto secolo (Sidon. carm. 23, 446 – 449). Il che sembrerebbe confermato – con la cautela necessaria, cioè assai elevata – da un’epigrafe di grande interesse: mi riferisco alla tabula elogiativa di un certo Dalmatius (Dessau, ILS, III2, 8987), rector provinciae tertiae Lugdunensis, nella quale, tratteggiandosi encomiasticamente le qualità di quest’ultimo, si fa esplicito riferimento alle sue competenze in campo giuridico, tra le quali spicca la conoscenza delle XII Tavole. Esagerazioni, forse. Ma se si confrontano le due notizie (Sidonio e l’iscrizione appena ricordata, entrambe riferibili alle Gallie), sembra emergere la circostanza che ancora nel tardo impero fosse forte la consapevolezza che l’apprendimento del diritto contenuto nell’antico codice fosse utile alla formazione dei giuristi e dei funzionari.

In Oriente, l’antico codice appare ricordato sin dal Codice Teodosiano, nel quale riscontriamo due citazioni esplicite delle XII Tavole.

Per quanto riguarda invece la Compilazione giustinianea, le citazioni decemvirali sono molteplici e si inquadrano nella rinascita delle scuole di diritto nella parte orientale dell’impero, nonché nel recupero e nella valorizzazione dei testi giurisprudenziali classici, finalizzata alla Compilazione medesima. Non mi sembra ipotesi infondata, a questo proposito, che il testo decemvirale fosse noto ai Compilatori attraverso il commento di Gaio ad esso, che essi conoscevano nella sua interezza. Le XII Tavole sono dunque largamente citate nel Digesto (di cui si dirà tra breve) e poi (attraverso il modello del manuale gaiano) nelle Istituzioni giustinianee, nel Codice (15 citazioni) e in un passo delle Novelle. Il codice decemvirale è poi ben noto alla successiva giurisprudenza bizantina che commenta ed interpreta la Compilazione, per giungere sino a due luoghi dell’ Exabiblios di Costantino Armenopulo (1345) che, come si sa, rappresenterà il diritto vigente in Grecia sino alla promulgazione del codice civile greco, avvenuta nel 1946.

Il ricordo (e, almeno una parziale conoscenza) delle XII Tavole non si perde dunque nel corso di più di un millennio che separa la promulgazione del codice decemvirale dalla Compilazione di Giustiniano. Vi è una continuità, un filo che non sembra spezzarsi.

 

3. Nel Digesto, le citazioni sono molteplici. Oltre al commento di Gaio – che probabilmente offriva il testo nella sua interezza (mentre non sembra esser pervenuto il commento di Labeone) – abbiamo numerosissime citazioni, dirette ed indirette, molto spesso senza neppure che i Compilatori sentissero l’esigenza di indicare che un certo versetto riportato provenisse proprio dalle XII Tavole, come se ciò fosse ovvio, scontato.

Già il Berger, negli anni ’30, aveva dimostrato efficacemente che alcune ipotesi interpolazionistiche fossero infondate: alcuni autori, infatti, ritenevano, a torto, che i Compilatori avessero introdotto surrettiziamente in alcuni frammenti del Digesto citazioni delle XII Tavole, per via dell’ossequio verso l’antico, per rafforzare con riferimenti al diritto più arcaico quelli al diritto vigente. Così come appare oggi del tutto infondata l’idea che alcuni versetti fossero stati modificati (interpolati, appunto) dai Compilatori, per piegarne il testo alle esigenze del VI secolo d. C. Si tratta di ipotesi oggi superate.

Viceversa, appare abbastanza chiaro che nel Digesto si conservano testi delle XII Tavole, fra loro diversi, ma che risentono, appunto, di modificazioni ben precedenti alla Compilazione giustinianea, dipendenti dalle tradizioni diverse del testo cui ho già accennato. Anche in questo caso, un solo, ma credo eloquente esempio. Noi conosciamo bene la tradizione testuale del versetto uti legassit. Bene, nel Digesto sono conservate, di esso, due diverse versioni: in D. 50, 16, 120 (Pomp. 5 ad Quint. Muc. = Gai inst. 2, 224) si riporta uti legassit suae rei; mentre in D. 50, 16, 53 pr. (Paul. 53 ad ed., ma già – in parte – in Tit. Ulp. 1, 9) si riporta uti legassit super pecuniae tutelaeve suae. Si tratta, con tutta evidenza, di due differenti versioni del medesimo versetto, ma certamente dipendenti dalle precedenti tradizioni testuali e non già da interventi dei Compilatori.

Veniamo, dunque, all’atteggiamento dei Compilatori del Digesto nell’utilizzo del materiale decemvirale ad essi pervenuto. A mio modo di vedere, le citazioni delle XII Tavole conservate nei frammenti giurisprudenziali classici raccolti ed ordinati nel Digesto possono essere «classificate» in tre diverse tipologie.

In primo luogo, abbiamo già rilevato l’uso programmatico ed ideologico dell’antico codice in apertura del Digesto, sul quale non torno.

In secondo luogo, si riscontrano frammenti nei quali il riferimento alle XII Tavole ha semplicemente una funzione, per così dire, di memoria: nel senso che – trattando degli istituti di diritto vigente – si fa riferimento alla realtà del periodo decemvirale: olim erat, etc. In questi casi, si tratta di riferimenti arcaizzanti, già presenti in tale modo nei giuristi escerpiti: si tratta – per limitarsi ad esempi ovvi – al ricordo di antichi lemmi decemvirali non più in uso da secoli: si calvitur, perduelles, etc. In questi casi, prevale la reverentia antiquitatis, che ha indotto i Compilatori a lasciare, non espungendolo dai frammenti escerpiti, il riferimento ad antichissimi istituti.

In ultimo, invece, vi sono citazioni delle XII tavole che vengono – a mio avviso – impiegate in funzione «rafforzativa» dei principi di diritto vigente di volta in volta trattati. L’essere – questi ultimi principi – risalenti alla più antica epoca del diritto di Roma, li rende ancor più intangibili, eterni. Sono non pochi frammenti, soprattutto in materia di diritto ereditario, tutela e curatela, delicta (iniuriae e furta), in misura minore in materia di rapporti di vicinanza. In questi casi, la citazione delle XII Tavole serve a mostrare la permanenza di certi istituti nei secoli, rafforzandone la cogenza.

Per concludere. Nel Digesto non appare esservi un uso univoco delle citazioni delle XII Tavole. Prevale, a mio avviso, rispetto alla casualità delle citazioni sparse nel corpo dell’intera opera (pur sempre una raccolta di frammenti di epoche precedenti), la scelta strategica della collocazione della praefatio gaiana all’inizio dell’opera.

Ma prevale anche, in definitiva, l’idea generale secondo la quale (così come, in precedenza, si è riscontrato in Labeone e Gaio) l’uso del passato non è fine a se stesso, ma strumentale alla comprensione e, in qualche misura, all’affermazione del presente.

Prevale il senso della continuità e l’orgoglio di essa, della propria storia millenaria. Così come tale senso di continuità prevarrà anche nei secoli successivi al Digesto, grazie alla giurisprudenza bizantina e – in Occidente – grazie ai glossatori e agli interpreti sino ai giorni nostri: grazie, in fondo, alla circostanza che i giuristi coevi e successivi alla Compilazione non hanno rispettato il divieto di interpretazione con il quale Giustiniano aveva accompagnato la promulgazione del Corpus iuris, esattamente come pensò di poter fare molti secoli dopo – e sbagliando anch’egli – Napoleone I nell’atto di promulgazione del Codice che porta il suo nome.

Se oggi noi siamo qui, in occasione del nuovo codice civile russo, a parlare del Digesto e delle XII Tavole in esso, lo dobbiamo proprio ad un analogo senso di continuità, alla medesima consapevolezza. La storia giuridica è parte del presente, vive in esso, contribuisce ad interpretarlo e a trasformarlo. Ne è, per dirla con Gaio, potissima pars.

In definitiva, si tratta di avere, con lucidità, ancora una volta, la consapevolezza che noi contemporanei riusciamo a vedere lontano solo perché siamo nani issati sulle spalle di giganti.

О. ДИЛИБЕРТО

ЗАКОНЫ XII ТАБЛИЦ В ДИГЕСТАХ

(РЕЗЮМЕ)

 


1. В своей статье автор обращает внимание на тот факт, что уже в 1-й книге Дигест Юстиниана в преамбуле ко 2 титулу цитируется отрывок из комментариев Гая к Законам XII таблиц (D. 1. 2. 1), где последние характеризуются как начала и важнейшая часть всего римского права. В этом отрывке выражается идея Гая о том, что действующее право можно понять только тогда, когда известны его генезис и развитие в ходе веков.

Эта идея Гая была воспринята и составителями Дигест, которые сделали его слова как бы программным, идеологическим заявлением исторического экскурса Дигест. История же права рассматривается составителями как юридическая наука. Такой взгляд не был новым в римской юриспруденции, уже Лабеон в своем комментарии к Законам XII таблиц для трактовки действующего права обращался к децемвиральным законам.

2. Очевидно, что составители Corpus iuris имели в своем распоряжении текст Законов XII таблиц, однако необходимо учитывать, что каждое поколение римских юристов переписывало и актуализировало децемвиральный текст.

Начиная с IV в. н. э., в западной части Римской империи внимание к Законам XII таблиц отнюдь не ослабевало в юридических трудах, таких как Эпитомы Гая, сентенции Павла, Ватиканские фрагменты и т. д. Многочисленны упоминания Законов XII таблиц и в церковных трудах Авсония, Пруденция, Сидония Аполинария и других. Особенно любопытно упоминание у Сидония о преподавании децемвирального права в Галлии в V в. н. э. (Sidon. carm. 23, 446–449), а также эпиграфическая надпись о некоем Далмации, правителе области г. Лугдуна, знатоке Законов XII таблиц (Dessau, ILS, III2, 8987).

В восточной части Римской империи Законы XII таблиц дважды упоминаются в кодексе Феодосия, но наиболее важной в этом плане является компиляция Юстиниана. Многочисленные цитаты децемвирального свода свидетельствуют о возрождении на Востоке научной школы права. Эта традиция цитирования децемвирального свода сохранилась и в византийском праве, например в Exabiblios Константина Арменопула (1345 г.), являвшимся действующим правом Греции вплоть до 1946 г.

3. Многочисленные цитаты Законов XII таблиц в Дигестах типологически можно разделить на три разновидности. Во-первых, программное и идеологическое использование децемвирального права в самом начале Дигест. Во-вторых, упоминание древних норм, отличных от действующего права, ради исторической памяти. В-третьих, упоминание «вечных» норм Законов XII таблиц, усиливающих весомость принципов норм действующего права.

Это последнее использование было особенно важно и в праве средневековья и Нового времени, так как давало чувство преемственности в тысячелетней истории. Этот принцип использовали уже в отношении Corpus iuris и средневековые глоссаторы, и Наполеон. В завершении автор отмечает, что благодаря этому принципу нам сегодня удается видеть так далеко только потому, что мы, будучи гномами, стоим на плечах гигантов.

 



* Оливьеро Дилиберто – профессор римского права университета «Ла Сапиенца» г. Рима, Италия. Крупнейший специалист по законам XII таблиц, член парламента Италии.

** Seminario Nuovo diritto civile della Russia nella prospettiva romanistica. Dal Digesto di Giustiniano al Codice Civile Russo; Roma, Università «La Sapienza», 12–13 giugno 2003.