ds_gen Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-8

 

Sini-A-quibus-1Francesco Sini

 

A quibus iura civibus praescribebantur

Ricerche sui giuristi del III secolo a.C.

 

Torino, G. Giappichelli Editore, 1995

 

pp. 172 – ISBN  88-348-4144-3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

 

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La presente ricerca è dedicata ai giuristi del III secolo a.C.[1]. Un secolo emblematico e significativo per la storia della scienza giuridica romana; che si apre con l'ammissione dei plebei ai collegi sacerdotali e si chiude con i tripertita di Sesto Elio Peto, peraltro egli stesso appartenente ad una famiglia di tradizione sacerdotale.

Fu un secolo di sviluppo della giurisprudenza romana interamente caratterizzato dall'azione di pontefici-giuristi, i quali, come si vedrà nella seconda parte di questo lavoro, mostrarono di possedere una molteplicità di interessi che investiva i diversi (ma non separati) campi dello ius: sacrum, publicum, privatum. A ciò si combinava una salda capacità di interpretazione innovativa (è il caso del decreto del pontefice massimo Tiberio Coruncanio su qui adstringatur sacris) e di difesa intransigente della tradizione (così è da intendere l'intervento di un altro pontefice massimo, Cornelio Lentulo, sulle prerogative popolari in materia di vota publica)[2].

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Non sempre, però, dell'operare dei giuristi del III secolo si è conservato il ricordo nella memoria storica della giurisprudenza posteriore; al punto che due di essi, L. Cornelio Lentulo e P. Licinio Crasso,  non figurano nella parte de successione prudentium del lungo frammento “storiografico” dei Digesta di Giustiniano, tratto com'è noto dall'Enchiridion di Sesto Pomponio[3].

Anche la dottrina moderna non sempre, e non di tutti, ha valutato il contributo alla iuris scientia, anzi il contributo di alcuni è stato decisamente sottovalutato[4]: forse, in ragione delle tematiche dibattute da quei giuristi, spesso difficili da classificare negli schemi giuridici contemporanei; oppure, a causa dell'atteggiamento preclusivo verso il problema dell'interazione tra ius pontificium e ius civile presente nella dottrina romanistica odierna[5].

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Emergono, dunque, alcune questioni di metodo essenziali per lo studio dei giuristi del III secolo. Ciò significa dover affrontare, in primo luogo, il problema dell'interazione tra ius sacrum, ius publicum, ius privatum; mentre la seconda questione da risolvere attiene al valore delle fonti che tramandano i loro frammenti.

Per risolvere entrambe le questioni, appare indispensabile misurarsi con la metodologia compilatoria (e con l'ideologia ad essa sottesa) della Palingenesia iuris civilis di Otto Lenel, il quale, non casualmente, fra i giuristi qui studiati include nella sua raccolta solo Sesto Elio, omettendone peraltro anche uno dei cinque frammenti[6].

Tale scelta si presenta come logica conseguenza delle linee scriminanti, elaborate dall'insigne studioso tedesco, per l'inclusione o l'esclusione dei testi giurisprudenziali nella  Palingenesia: «Omissa sunt praeterea quaecumque sive ius publicum sive sacrum spectant fagmenta extra digesta tradita»[7]. La logica delle omissioni opera così sui due piani della provenienza e del contenuto: il Lenel omette, tendenzialmente, tutto ciò che non proviene dai Digesta, ma riserva un ruolo attivo all'intervento dell'interprete, al quale è demandato il compito di enucleare nel concreto i frammenti che per contenuto «sive ius publicum sive sacrum spectant».

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Proprio l'esclusione di queste parti dello ius Romanum, ha provocato reazioni contrastanti nella dottrina, fra cui mette conto ricordare, per l'autorevolezza dello studioso, le recenti prese di posizione di R. Orestano: il quale, risistemando l'ultima edizione della Introduzione allo studio del diritto romano, ha sollecitato ancora una volta un ripensamento critico sulle omissioni leneliane, ed una sorta di riparazione: «A tal fine sarà sommamente utile - scrive lo studioso - una Palingenesia iuris romani publici in cui venissero raccolte tutte le testimonianze e tutti gli squarci di autori giuridici e non giuridici concernenti lo ius publicum. Si pensi, al riguardo, che essi sono stati deliberatamente esclusi dal Lenel, nella sua Palingenesia iuris civilis»[8].

Gli assunti metodologici del Lenel saranno discussi, perciò, preliminarmente a qualsiasi tentativo di ricostruire dottrina e frammenti dei giuristi; alla metodologia leneliana è dedicato un capitolo della prima parte di questa ricerca, mentre nell'altro si cerca di seguire il rapporto tra la storiografia giuridica anteriore all'Ottocento e i frammenti giurisprudenziali di ius publicum e di ius sacrum, extra digesta tradita.

«La pensée des plus anciens Romains regagne l'estime qu'elle merite»: iniziano con questa frase le «Remarques préliminaires sur la dignité et l'antiquité de la pensée romaine», che Georges Dumézil scrisse più di vent'anni fa per il suo Idées romaines; in quelle pagine l'illustre studioso dimostra, fra l'altro, che «des techniques aussi complexes que l'augurale ius et le ius civile étaient constituées

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dès la fin des temps royaux, avec la réglementation rigoureuse que nous leur connaissons au seuil de l'Empire»[9].

Anche negli studi sulla giurisprudenza romana si potrebbe trarre profitto dalla lezione di quelle «remarques préliminaires». Assumendo, infatti, come dato acquisito la contestuale risalente elaborazione dello ius augurium e dello ius civile, si supera l'ingiustificabile discrasia di considerare i primi «Fachjuristen der antikokzidentalen Welt»[10], per un verso arcaici e primitivi nella iuris civilis scientia e, contestualmente, capaci di raffinata concretezza nella teologia e di ammirevole perizia nell'interpretatio dello ius sacrum.

Si tratta, insomma, di rovesciare la valutazione, che risale allo Schulz e, a tutt'oggi, predominante nei nostri studi, secondo cui fino all'ultimo secolo della repubblica la giurisprudenza romana «era ancora alla sua infanzia»[11];

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per riscoprire la prudentia e la sapientia di quegli antichi giuristi: a quibus iura civibus praescribebantur[12].

 

 



 

[1] Attengono, in parti consistenti, al tema di questa ricerca i lavori sulla giurisprudenza di F. D'Ippolito: I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza romana della repubblica, Napoli 1978 (ma 1979); Giuristi e sapienti in Roma arcaica, Roma-Bari 1986; Sulla giurisprudenza medio-repubblicana, Napoli 1988.

La più brillante indagine storiografica su questo secolo resta ancora il lavoro di F. Cassola, I gruppi politici romani nel III secolo a.C., Trieste 1962, rist. an. Roma 1968.

 

[2] Per l'analisi dei casi, con esegesi dei relativi frammenti, vedi infra alla parte seconda: rispettivamente, pp. 95 ss., 104 ss.

 

[3] D. 1, 2, 2, 35 ss.

 

[4] Così è, ad esempio, per giuristi quali P. Sempronio Sofo ( su cui vedi dettagliatamente infra, pp. 71 ss.), L. Cornelio Lentulo (infra, pp. 101 ss.), P. Licinio Crasso Dives (infra, pp. 113 ss.).

 

[5] Cfr. F. Bona, “Ius pontificium” e “ius civile” nell'esperienza giuridica tardo-repubblicana: un problema aperto, in Contractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell'esperienza tardo-repubblicana. Atti del convegno di diritto romano e della presentazione della nuova riproduzione della “littera fiorentina”, Napoli 1990, pp. 210 s.: «Di fronte a ciò la romanistica, costretta a misurarsi col problema dell'interazione tra ius pontificium e ius civile, proprio nel momento in cui questo ha già dato i segni di costituirsi in un insieme di regole e di istituti che sembrano voler affermare la loro autonomia dal condizionamento religioso, la stessa romanistica, dicevo, sembra versare in una situazione di stallo, tendendo, anzi, ad eludere il problema. Se, poi, non avvenga che, in ragione del carattere delle fonti, in cui le singole testimonianze sono prevalentemente conservate, il campo di indagine non venga rivendicato da altre discipline o ad esse lasciato, ad es. alla storia politica, per quanto concerne lo studio della collisione tra ius sacrum e ius publicum, di cui si trovano tracce notevoli nelle fonti storiche, segnatamente in Livio e che vede come protagonisti autorevoli esponenti del pontificato massimo plebeo. Eppure le fonti non sono così avare di dati, da non giustificare un'indagine attenta in quel settore di ricerche».

 

[6] L'omissione riguarda un frammento relativo al legato di penus, attestatoci da Gellio, Noct. Att. 4, 1, 20 (Praeterea de penu adscribendum hoc etiam putavi: Servium Sulpicium in reprehensis Scaevolae capitibus scripsisse Cato Aelio placuisse, non quae esui et potui forent, sed tus quoque et cereos in penu esse, quod esset eius ferme rei causa comparatum); sul testo vedi infra, pp. 138 ss.

 

[7] O. Lenel, Palingenesia iuris civilis, I, Lipsiae 1889, Praefatio § I.

 

[8] R. Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, p. 533 n. 26.

 

[9] G. DumÉzil, Idées romaines, Paris 1969, pp. 9 e 25; vale la pena di riflettere anche su quanto segue: «A cet estimable niveau d'activité intellectuelle, devant cette pensée elle-même avide de précision, l'observateur est tenu d'interroger avec attention et avec respect, d'égal à égal, si l'on peut dire, le mots, les récits, les institutions, les figures divines dans lesquels elle s'est exprimée».

 

[10] L'espressione è di F. Wieacker, Altrömische Priesterjurisprudenz, in Iuris professio. Festgabe für Max Kaser zum 80. Geburtstag, Wien-Graz-Köln 1986, p. 353, di cui vedi l'osservazione più generale: «Die pontifices sind die ersten greifbaren Fachjuristen der antikokzidentalen Welt, und spezifische Züge ihrer Expertentechnik haben sich den späteren römischen Juristen und ihren europäischen Erben bis unsere Zeit aufgeprägt. Eben hierin ist ein auf den ersten Blick ein unerwartetes unmittelbares Interesse noch der heutigen Juristen an der Pontifikaljurisprudenz der Römer begründet». Cfr. Id., Römische Rechtsgeschichte. Quellenkunde, Rechtsbildung, Jurisprudenz und Rechtsliteratur, I, München 1988, pp. 310 ss.

 

[11] F. Schulz, Storia della giurisprudenza romana, trad. it. a cura di G. Nocera, Firenze 1968, pp. 18 s.: «Nel periodo che segue le XII Tavole, quella giurisprudenza romana, che noi conosciamo così bene e che raggiunse l'adolescenza nell'ultimo secolo della Repubblica e la maturità nell'età di Adriano, era ancora alla sua infanzia». Per una valutazione complessiva dell'opera, sono da vedere le fini osservazioni di M. Bretone, Postulati e aporie nella History di Schulz, in Festschrift für F. Wieacker zum 70. Geburtstag, Göttingen 1978, ora in Tecniche e ideologie dei giuristi romani, 2a ed., Napoli 1982, pp. 333 ss.; brevemente, anche A. Schiavone, Giuristi e nobili nella repubblica romana, Roma-Bari 1987, pp. XVII ss.

 

[12] Cicerone, Cato mai. 27: Nihil Sex. Aelius tale, nihil multis annis ante Ti. Coruncanius, nihil modo P. Crassus, a quibus iura civibus praescribebantur; quorum usque ad estremum spiritum est provecta prudentia.