Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-8
Francesco Sini
A quibus iura civibus praescribebantur
Ricerche sui giuristi del III secolo a.C.
Torino, G. Giappichelli Editore, 1995
pp. 172 – ISBN 88-348-4144-3
Parte
Seconda
Giuristi E
FRAMMENTI
IV
P. Licinio crasso dives
Sommario: 1. Pontefice massimo e interprete
del diritto. – 2. I
frammenti. – 3. Lo
studium pontificii et civilis iuris
di P. Licinio Crasso: il votum incertae
pecuniae. – 4. Segue:
altri interventi in materia di vota publica.
[p.
113]
Censore nel 210 a.C., pretore
peregrino nel 208, console nel
205, pontefice massimo dal 212 a.C.[1], P. Licinio Crasso Dives, «the only
pontifex-jurist able to be inspected at close
range thanks to the availability of Livy»[2], morì
[p.
114]
nel 183. Da una serie di notizie è possibile intravvedere la sua simpatia per il gruppo degli Scipioni[3], al cui interno doveva essere fra le personalità di maggior rilievo, così come lo era nella Roma del suo tempo[4]
Pontefice massimo per oltre un trentennio[5], tenne la carica più a lungo di chiunque altro da Coruncanio a Cesare[6], ben meritando dunque la qualifica di iuris
pontificii peritissimus attribuitagli da Livio[7]; fu però anche
finissimo giureconsulto, del quale ancora Cicerone
[p.
115]
elogiava la sapientia[8]
e lo studium
pontificii et civilis iuris[9].
Il nome di P. Licinio Crasso Dives, già
omesso nell'elenco pomponiano, non compare ovviamente nella Palingenesia del Lenel; ma neanche nella Iurisprudentia
Anteiustiniana
del Huschke, né fra gli «Einzelnen
Juristen» dell'età repubblicana, studiati da W. Kunkel nella sua Herkunft und
soziale Stellung der römischen Juristen[10].
Il giurista appare inserito al nr. 2 dei
«sexti saeculi iuris consulti», nella
Iurisprudentia Antehadriana di F. P. Bremer; a lui tuttavia lo studioso tedesco non attribuisce alcun frammento, annotando per quanto riguarda i suoi responsa: «Nulla exstant»[11].
Nella sua lunga attività quale pontefice massimo e interprete del diritto, P. Licinio Crasso ebbe modo
di occuparsi di questioni importanti
e assai controverse, fra cui – oltre i frammenti discussi
più avanti – mette conto ricordare: appena un'anno dopo l'elezione
obbligò a
[p.
116]
dimettersi il flamen Dialis G. Claudio, quod exta perperam dederat[12], vale a dire per negligenza nell'esercizio delle funzioni sacerdotali; nel 206 comminò gravi sanzioni contro una incauta vestale[13], per colpa della quale si era
[p.
117]
spento il fuoco sacro del tempio di Vesta[14]; per non parlare, poi, di quel caso del flamine designato costretto dal pontefice a sottoporsi all'inauguratio, benché riluttante[15]; o, ancora, del divieto opposto, nell'anno 189, alla
[p.
118]
partenza per la provincia del flamen Quirinalis Q. Fabio Pittore, il quale come pretore era stato destinato al governo della Sardegna[16].
[p.
119]
Anche
nel caso di P. Licinio Crasso, i tre frammenti discussi qui di seguito
riguardano la sua attività di pontefice massimo: un responso del
giurista sull'ammissibilità di un voto ex incerta pecunia, il verba
praeire nel solenne votum pronunciato dal console M'. Acilio nel 191 a.C. e
il responso, reso davanti al senato, sulla validità del ver sacrum
celebrato da Catone e L. Valerio Flacco nel 195 a.C.
[p.
120]
1
Moram voto publico Licinius pontifex maximus attulit, qui negavit ex incerta pecunia voveri debere, quia ea pecunia non posset in bellum usui
esse seponique statico deberet nec cum alia pecunia
misceri: quod si factum esset, votum rite solvi non posse.
Livio 31, 9, 5-8: Cum
dilectum consules haberent pararentque quae
ad bellum opus essent, civitas religiosa
in principiis maxime novorum bellorum, supplicationibus habitis iam et obsecratione circa omnia pulvinaria facta, ne quid praetermitteretur quod aliquando
factum esset, ludos Iovi donumque vovere consulem cui provincia Macedonia
evenisset iussit. ussit. Moram
—posse.
P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificio-rum, Tilsit 1878, p. 9 fragm. 44.
[p. 121]
2
Id votum in haec verba praeeunte P. Licinio pontifica maximo consul nuncupavit: Si duellum, quod cum rege
Antiocho sumi populus Romanus iussit, id ex
sententia senatus populique Romani confectum erit, tum tibi, Iuppiter,
populus Romanus ludos magnos dies decem continuos facies, donaque ad omnia pulvinaria
dabuntur de pecunia, quantam senatus decreverit.
Quisque magistratus eos ludos, quando ubique faxit, hi ludi recte facti donaque
data recte sunto.
Livio 36, 2, 2-5: Certa deinde sorte senatus consultum factum est, quod populus Romanus eo tempore
duellum iussisset esse cum rege Antiocho quique sub imperio eius essent, ut
eius rei causa supplicationem imperarent
consules utique M. Acilius consul
ludos magnos Iovi voveret et dona ad omnia pulvinaria. Id votum — sunto. Supplicatio inde ab
duobus consulibus edicta per biduum fuit.
PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, p. 10 fragm. 46.
3
Id [ver sacrum] cum P. Licinius pontifex non esse recte factum collegio primum, deinde ex auctoritate collegii patribus renuntiasset, de integro faciendum arbitrato pontificum censuerunt.
Livio
34, 44, 1-3: Ver
sacrum factum erat priore anno, M. Porcio et L.
Valerio consulibus. Id — censuerunt
[p. 122]
ludosque magnos qui
una voti essent tanta pecunia quanta adsoleret
faciendos: ver sacrum videri pecus quod
natura esser inter kal. Martias et pridie k. Maias P. Cornelio et Ti. Sempronio consulibus.
PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, p. 10 fragm. 48.
La questione
controversa del primo frammento è la seguente: «si posset recte votum incertae pecuniae
suscipi».
Nel 200 a.C., per
propiziare l'esito positivo dell'imminente guerra contro la Macedonia, la civitas religiosa richiedeva a gran voce
che il console P. Sulpicio Galba, al quale era toccato in sorte il comando
delle operazioni, offrisse a Giove dei giochi votivi e un dono, in
aggiunta alle preghiere presso tutti i templi e alle supplicazioni di rito[17].
Ma
al momento della nuncupatio del voto
sorsero difficoltà impreviste, in quanto proprio il
pontefice massimo P. Licinio Crasso negava la validità di un votum
incertae
pecuniae,
ritenendo che dovesse indicarsi con
[p. 123]
esattezza nella voti nuncupatio l'entità
della somma destinata
alla celebrazione dei giochi[18].
L'interpretatio del giurista, che operava
naturalmente nella sua qualità di pontefice massimo, si fondava in
quella circostanza sul più rigoroso rispetto della tradizione documentaria e della pratica cultuale del collegio.
Deponevano, infatti, a favore della
tesi sostenuta da P. Licinio Crasso le modalità istitutive dei
precedenti Ludi Magni, come è
rilevato con estrema chiarezza da Tito Livio: Vovit in eadem verba consul praeeunte maximo pontifice
quibus antea quinquennalia vota
suscipi solita erant, praeterquam quod
tanta pecunia quantam tum cum solveretur senatus censuisset ludos donaque facturum vovit. Octiens ante ludi magni
de certa pecunia voti erant, hi primi de incerta[19].
[p. 124]
Ma
deponeva a favore, soprattutto, il carattere obbligatorio
della voti nuncupatio[20], che richiedeva un'esatta
[p. 125]
determinazione
di certa pecunia[21]
e l'esigenza di tenere incontaminata tale
pecunia, rispetto a possibili utilizzazioni profane, che ne
avrebbero annullato la valenza rituale.
Tuttavia,
l'interpretatio liciniana in questa occasione non prevalse. Per una volta lo scrupolo religioso del pontifex
maximus non trovò adesioni presso gli altri pontefici; i quali anzi, consultati come collegio dal
console Sulpicio Galba, decretarono non solo che era possibile suscipere
un votum incertae pecuniae, ma che addirittura rectiusque usque etiam esse: Quamquam et res et
auctor movebat, tamen ad collegium pontificum referre consul iussus si
posset recte votum incertae ncertae
pecuniae suscipi. Posse rectiusque etiam esse pontifices decreverunt[22].
[p. 126]
Nel
secondo frammento è trascritta la solenne nuncupatio del
votum di Ludi Magni Iovi et dona ad omnia pulvinaria, pronunciato dal console M. Acilio
Glabrione al momento della partenza per la guerra contro il re Antioco III di Siria, nel 191 a.C., praeeunte P.
Licinio pontifice maximo[23]. Il pontefice, nel praeire verba, mostrava di aver fatto propria la precedente decisione
del collegio sull'ammissibilità del votum ex incerta pecunia; evidentemente nel collegio i decreta costituivano la
sintesi e il superamento delle interpretazioni individuali, divenendo essi stessi – in quanto inderogabili –
fonte principale dello
[p. 127]
sviluppo dello ius pontificium e materia privilegiata dei commentarii
pontificum[24].
Il
testo della formula costituisce esempio davvero pregevole di perizia e cautela pontificale, sempre rivolte ad
eliminare ogni margine d'incertezza nel rapporto tra uomini e divinità.
Tale risultato è sapientemente perseguito da una clausola liberatoria,
così concepita: «Quisque
magistratus eos ludos, quando ubique faxit,
hi ludi recte facti donaque data recte sunto»[25]; che nella sequenza quisque,
quando, ubi, presenta significative assonanze (anche se non lo
stesso ordine) con i primi tre elementi della sistematica delle Antiquitates
divinae di Varrone: il quale, com'è noto, divideva la materia in homines, loca, tempora, sacra, dei[26]. Inoltre,
la struttura linguistica e la presenza di
[p. 128]
qualche termine arcaico (quali ad esempio, duellum
per bellum) ricorrente
nella lingua sacerdotale, rendono manifesta una volta di più, l'ottima qualità delle fonti liviane[27].
La terza testimonianza è datata nel 194 a.C. e si riferisce alla controversa instauratio,
ad opera dei consoli del 195, M. Catone e L. Valerio Flacco,
del ver sacrum votato nel 217 a.C.[28].
P. Licinio Crasso, questa volta
in accordo con i colleghi del
collegio pontificale, di cui pure faceva parte lo stesso L. Valerio Flacco[29],
ne ritenne viziata la celebrazione, con grave pregiudizio
per il mantenimento
[p. 129]
della pax deorum[30]; inducendo il senato – arbitratu pontificum – a far ripetere la cerimonia nel corso del medesimo
anno[31].
[1] Le fonti, da cui si
desume attività e carriera di P. Licinio Crasso, in F. MÜNZER, Römische
Adelsparteien und Adelsfamilien, Stuttgart
1920, pp. 190 s.; ID., Licinius (nr. 69), in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 13, 1, Stuttgart 1926, coll. 331 ss.; T.R.S. BROUGHTON, Magistrates of the Roman Republic, I, New York 1951, pp. 268, 270,
278, 291, 301.
[2] R. A. BAUMAN, Lawyers
in Roman republican politics: a study of the Roman jurists in their
political setting, 316-82 BC, München 1983, p. 16
s.: «Crassus, the only pontifex-jurist able to be inspected at close range thanks to the availability of Livy, is
seen exerting his quasi-patria potestas and making new law:
attention is given to his action against a
Vestal, a negligent flamen Dialis, a reluctant candidate for the
flaminate and a flamen Quirinalis who was also praetor and wished to
take up an overseas provincia. The history of the law concerning the ban
on flamines leaving Italy is examined. Crassus’ disagreement with
his college in the ex incerta pecunia case is discussed, and attention
is given to his use of the ver sacrum to embarrass Cato.
[3] In tal senso, fra
la letteratura più recente, F. D'IPPOLITO, I giuristi e la città.
Ricerche sulla giurisprudenza romana della repubblica, Napoli 1978 (ma 1979), p. 40; R. A. BAUMAN, Lawyers
in Roman republican politics, cit.,
pp. 93 ss.
[4] Cfr. F. CASSOLA, I gruppi
politici romani nel III secolo a.C., Trieste
1962, p. 410: «L'altro censore del 210 era P. Licinio Crasso, la cui simpatia per il gruppo degli Scipioni è confermata da varie notizie:
essendo console nel 205, designò Metello alla dittatura; e seppe resistere ai tentativi di Q. Fabio Massimo, che
sperava di convincerlo a ostacolare
i progetti del collega P. Cornelio Scipione. Nel 212 gareggiò ingenti
certamine, per la carica di
pontefice massimo, contro Q. Fulvio Flacco,
amico di Fabio Massimo, e contro T. Manlio Torquato; e riuscì
vincitore, sebbene i suoi avversari fossero molto più anziani e
più autorevoli di lui».
[5] C. BARDT, Die Priester der
vier grossen Collegien aus römisch-republikanischer
Zeit, Berlin 1871, p. 12 nr. 47.
[6] G. J. SZEMLER, Pontifex, in
Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft,
Suppl. 15, Stuttgart 1978, coll. 345 s.
[7] Livio 30, 1, 3 -6: P.
Sempronius – ei quoque enim proconsuli imperium
in annum prorogabatur – P. Licinio succederet; is Romam reverteretur, bello quoque bonus habitus et
cetera, quibus nemo ea tempestate instructior civis habebatur, congestis
omnibus humanis ab natura fortunaque bonis. Nobilis idem ac dives erat,
forma viribusque corporis excellebat;
facundissimus habebatur seu causa oranda seu in senatu et apud populum suadendi
ac dissuadendi locus esset; iuris pontificii peritissimus; super haec
bellicae quoque laudis consulatus compotem fecerat.
[8] Cicerone, De orat. 3, 133-134: Equidem saepe hoc audivi de patre et de socero meo, nostros quoque homines,
qui excellere sapientiae gloria
vellent, omnia, quae quidem tum haec civitas nosset, solitos esse complecti. […] Haec fuit P. Crassi illius
veteris, haec Ti. Coruncani, haec proavi
generi mei Scipionis prudentissimi hominis sapientia, qui omnes pontifices maximi fuerunt, ut ad eos de omnibus divinis atque humanis rebus
referretur; eidemque in senatu et apud populum et in causis amicorum et domi et
militiae consilium suum fidemque praestabant.
[10] Per la verità, lo studioso tedesco
menziona marginalmente il giurista in questione (Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Weimar
1952, p. 13), quale padre di quel P. Licinio Crasso, che aveva adottato P.
Licinio Crasso Muciano, fratello di P. Mucio Scevola e console nel 131 a.C.
[12] Livio 26, 23, 8: C. Claudius flamen Dialis,
quod exta perperam dederat,
flamonio abiit; Valerio Massimo 1, 1, 4: Consimili
ratione P. Cloelius Siculus,
M. Cornelius Cethegus, C. Claudius propter exta parum curiose admota
flaminio abire iussi sunt coactique etiam.
Per le implicazioni
religiose e giuridiche vedi, per tutti, J. BLEICKEN, Oberpontifex und Pontifikalkollegium. Eine Studie zur römischen Sakralverfassung, in Hermes 85, 1957, pp. 360 s.; K. LATTE, Römische
Religionsgeschichte, München 1960, pp.
402 s.
Riguardo
alle implicazioni politiche dell'episodio, vedi invece F. MÜNZER, Römische
Adelsparteien und Adelsfamilien, cit.,
p. 188; H. H. SCULLARD, Roman Politica 220-150 B.C., 2a ed., Oxford 1973, pp. 165 ss.; da ultimo R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman
republican politics, cit., p.
98.
[13] Questo
potere punitivo del pontefice massimo è considerato da una parte della dottrina esplicazione della
quasi-patria potestas che quel
sacerdote esercitava nei confronti delle vestali: così J. BLEICKEN, Oberpontifex
und Pontifikalkollegium, cit.,
pp. 350 n. 5, 360 s.; K. LATTE, Römische
Religionsgeschichte, cit.,
pp. 110 n. 2, 402; ma prima, nello
stesso senso, TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, II, 3a ed., Leipzig 1887, rist. Graz 1952, pp. 54 ss. (= Droit
public romain, III, rist. an. Paris 1984, pp. 60 ss.); ID., Römisches
Strafrecht, Leipzig 1899, rist. Graz 1955, pp. 18 ss. (= Droit
pénal romain, I, Paris
1907, pp. 19 ss.); C. KOCH, Vesta
(D. Vestales), in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft 8 A, Stuttgart 1958, col. 1732 s.; G.
J. SZEMLER, Pontifex, cit., col. 344; R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman
republican politics,
cit., pp. 97 s.
Al contrario, che «la potestas del Pontefice Massimo non può ridursi meccanicamente allo schema privatistico della patria potestas», è tesi sostenuta da F. Guizzi, Aspetti giuridici del sacerdozio romano. Il sacerdozio di Vesta, Napoli 1968, pp. 150 ss.; anzi, questo studioso esclude categoricamente ogni contiguità o simiglianza: «Il ius vitae ac necis del pater e la potestà pontificale in questo suo aspetto di giurisdizione criminale, appaiono d'altra parte entità non omogenee e operanti su due piani diversi. Perché il primo si esplica esclusivamente in campo privatistico (tant'è che il filius o il servo, colpevoli verso terzi, erano giudicati dagli organi della civitas), mentre l'altro potere, con le sue profonde radici cultuali, si esplica essenzialmente nella sfera del ius sacrum e in quella del ius publicum. Dunque, facoltà di disposizione da parte del pater il ius vitae ac necis; potestà di imperium e di giurisdizione (ancor prima o ancor più che potestà in senso privatistico) il potere del Pontifex Maximus nei confronti della virgo Vestalis, come del Flamen Dialis – anche se d'una giurisdizione “speciale”, per adoperare questa terminologia corrente» (op. cit., pp. 152-153).
[14] Livio 28, 11, 6-7: Plus omnibus aut nuntiatis peregre
aut visis domi
prodigiis terruit animos hominum ignis in aede Vestae extinctus, caesaque flagro est Vestalis, cuius custodia eius noctis
fuerat, iussu P. Licini pontificis. Id quamquam nihil portendentibus deis
ceterum neglegentia
humana acciderat, tamen et hostiis maioribus procurare et supplicationem ad Vestae haberi placuit; Valerio Massimo 1, 1, 6: Adiciendum his quod P. Licinio pontifici maximo virgo Vestalis, quia
quadam notte parum
diligens ignis aeterni custos fuisset, degna viso quae flagro admoneretur; cfr. più in
generale Paolo, Fest. ep., p.
94 L.: Ignis Vestae si quando
interstinctus esset, virgines verberibus adficiebantur a pontifice, quibus
mos erat tabulam felicis materiae tamdiu terebrare, quousque exceptum ignem
cribro aeneo virgo in aedem ferret.
[15] Livio 27, 8, 4: Et flaminem Dialem invitum
inaugurare coegit P. Licinius pontifex maximus C. Valerium
Flaccum.
In
generale, per quanto riguarda la «juridiction du P(ontifex) M(aximus) sur
les Flamines», sono da leggere, ancora oggi, alcune pagine esemplari
dedicate al tema nella fondamentale opera di A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l'ancienne Rome. Étude historique sur les institutions religieuses de Rome, Paris 1871 (rist. an. New
York 1975), pp. 298 ss.; cfr. anche C. SCHWEDE, De pontificum collegii pontificisque maximi in re publica potestate, diss. Lipsiae 1875, pp. 17 ss.; indispensabile la dottrina di G. WISSOWA, Religion
und Kultus der Römer, 2a ed., München 1912, pp. 511
ss.
Sul tema del
complesso rapporto tra i Flamines e il pontefice massimo vedi, ora, il recentissimo lavoro di J. H. VANGGAARD, The
Flamen. A Study in the History and Sociology of Roman Religion,
Copenhagen 1988, pp. 56 s.
[16] Livio 37, 51, 1-6: Priusquam in provincias praetores
irent, certamen inter P. Licinium,
pontificem maximum, fuit et Q. Fabium Pictorem, flaminem Quirinalem, quale patrum memoria
inter L. Metellum et A. Postumium Albinum fuerat. Consulem illum cum C.
Lutatio collega in Siciliam ad classem proficiscentem ad sacra retinuerat
Metellus, pontifex maximus; praetorem hunc, ne in Sardiniam
proficisceretur, P. Licinius
tenuit. Et in senato et ad populum magnis contentionibus certatum, et Imperia
inhibita ultro citroque, et pignora capta, et multae dictae, et tribuni appellati, et
provocatum ad populum est. Religio ad postremum vicit; dicto audiens esse flamen
pontifici iussus, et multa iussu populi ei remissa. Ira provinciae ereptae
praetorem magistrato abdicare se conantem patres auctoritate sua deterruerunt et ut
ius inter peregrinos diceret
decreverunt.
Per la valutazione politica del contenzioso tra il pontefice massimo e il flamine-pretore, vedi H. H. SCULLARD,
Roman Politics 220-150
B.C., cit., pp. 67, 136 s., il quale
ritiene che
nell'opposizione di Crasso non prevalesse tanto
la preoccupazione di salvaguardare lo
ius sacrum, quanto il riflesso delle lotte tra opposte fazioni della nobilitas.
Più sfumata si
presentava la posizione di F.
MÜNZER,
Römische Adelsparteien und
Adelsfamilien, cit., pp. 261 ss.; sottoposta
però a serrate critiche da parte di A. LIPPOLD, Consules. Untersuchungen zur Geschichte
des römischen
Konsulates von 264 bis 201 v. Chr., Bonn 1963, pp. 301 ss.; cfr. anche J.-C. RICHARD, Sur quelques grands pontifes
plébéiens, in Latomus
27, 1968, pp. 789 s. Ampia discussione, da ultimo, in
R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman republican politics, cit., pp. 100 ss.
Le implicazioni giuridiche sottese al passo di Livio appaiono più rilevanti, in quanto si tratta dell'unico
testo che menziona espressamente l’imperium in
riferimento al pontifex maximus. Per questo motivo l'interesse
prevalente, nell'analisi del passo, si è concentrato piuttosto sulla questione, assai controversa nella dottrina, se debba o no attribuirsi l’imperium al
pontefice massimo. Non basta certo lo spazio di una
nota per dare conto del dibattito, che da più di un secolo divide la dottrina
romanistica: da quando TH. MOMMSEN, Römisches
Staatsrecht, II, 1, 3- ed., Berlin 1887, rist. Graz 1952, p. 22,
che pure in linea di principio
separava la magistratura e il sacerdozio, ritenne di individuare nelle competenze pontificali l’imperium e l’auspicium, due poteri tipicamente magistratuali. La tesi mommseniana fu fatta
propria, con notevoli accentuazioni,
anche dal massimo sostenitore della commistione tra i poteri sacerdotali e quelli magistratuali:
E. PAIS, Le relazioni fra i sacerdozi e le magistrature civili nella repubblica
romana,
in ID., Ricerche sulla storia e sul diritto
pubblico di Roma, I, Roma 1915, pp. 284 s.; il quale non esitava a riconoscere al pontifex
maximus un vero e proprio
imperium, del tutto analogo a
quello dei magistrati. Aderiscono fra gli altri a
questo filone, pur con soluzioni non sempre uniformi: G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., p. 511; C. H. BRECHT, Zur römischen
Komitialverfabren, in Zeitschrift
der SavignyStiftung für Rechtsgeschichte 59, 1939, p. 292; F. LEIFER, Studien zum antiken Amterwesen. Zur Vorgeschichte des römischen Führeramts, Leipzig 1931 (rist. an.
Aalen 1963), p. 127; P. DE FRANCISCI, Arcana imperii, 111, 1, Milano 1948, p. 41; ID., Primordia civitatis, Roma 1959, pp. 397 s., 447 e n. 102 (dove lo
studioso abbandona la tesi dell’imperium mandatum, sostenuta nel precedente lavoro, per tornare alla
teoria mommseniana).
Prevalgono, ormai, le tesi di quegli studiosi che negano il carattere di imperium al potere del pontefice massimo: così F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, I, Napoli 1952, p. 111 (=2a ed., Napoli 1972, pp. 136 s.); J. BLEICKEN, Kollision zwischen Sacrum und Publicum, in Hermes 85, 1957, pp. 451 s.; ID., Oberpontifex und Pontifikalkollegium, cit., pp. 349 ss.; W. KUNKEL, Untersuchungen zur Entwicklung des römischen Kriminalverfahrens in vorsullanischer Zeit, München 1962, p. 22; J. VERNACCHIA, Il pontificato nell'ambito della repubblica romana, in Studi in onore di E. Betti, IV, Milano 1962, pp. 450 s.; A. CALONGE, El pontifex maximus y el problema de la distinción entra magistraturas y sacerdocios, in Anuario de historia del derecho español 38, 1968, pp. 12 ss.
Per quanto riguarda il rapporto magistratura-sacerdozio,
cfr. la diversa impostazione di P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, Torino 1960, pp. 237 n. 91,
273 ss., 362 ss.; ID., Populus Romanus
Quirites, Torino 1974, p. 135; seguita, fra gli altri, da S. MAZZARINO, Storia e diritto nello
studio delle società classiche, in La
storia del diritto nel quadro delle scienze storiche. Atti del
I Congresso internazionale della Società Italiana di Storia del
diritto, Firenze 1966,
pp. 51 ss.;
C. NICOLET, Rome et la
conquête du monde méditerranéen, I. Les structures de l'Italie romaine, Paris 1977, pp. 394 ss. (= Le strutture dell'Italia romana, sec. III-I a.C., trad. it. di C.
Ampolo e M.
C. Giammarco
Razzano, Roma 1984, pp. 326 ss.); e in parte da J. SCHEID, Le
prêtre et le magistrat. Réflexions sur les sacerdoces et le droit public à la fin de la République, in AA.VV., Des ordres à Rome, sous la direct.
de C. Nicolet, Paris 1984, pp. 243
ss.
[17]
Per il commento del passo rimando a J. BRISCOE, A Commentary on Livy, books XXXI-XXXIII (Oxford 1973), 2a ed. with Addenda and Corrigenda, Oxford 1989, pp. 79 ss., del quale
però non posso condividere la
valutazione squisitamente politica degli scrupoli giuridici e religiosi di P. Licinio Crasso: «In
that case Crassus' obstruction of the
anti-Scipionic Sulpicius is quite intelligible. The actual issue involved is very legalistic, and
this makes it extremely probable that Crassus' motive was purely political».
Nello stesso senso, in
precedenza, W. SCHUR, Scipio Africanus und die Begründung der römischen Weltherrschaft, Leipzig 1927, p. 15; H. H. SCULLARD, Roman Politics, cit., pp. 75 ss., 87 s.; U. SCHLAG,
Regnum in Senatu, Stuttgart 1968, pp. 149 ss.
[18] Le ragioni del giurista
in R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman republican politics, cit., p. 105: «Legally his
objection was one of substance.
Given the contractual nature of a vow, the do ut des, the god's response would be geared to what
was offered, and if the vow was
indefinite the response might be the same. The formula, quantam senatus censuisset, was also dubious. In the analogous case of emptio
venditio the price had to be certum and an agreement to sell at a price to
be determined by a third party was contentious until Justinian».
Piena
comprensione della valenza giuridico-religiosa del problema agitato dal
pontefice-giurista, mostrava già A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l'ancienne Rome, cit., pp. 165 s.; vedi anche G. ROHDE, Die
Kultsatzungen der römischen Pontifices, Berlin 1936, p. 130; e da ultimo F. BONA, La certezza del diritto nella giurisprudenza
tardo-repubblicana, in La certezza del diritto nell'esperienza
giuridica romana. Atti del Convegno Pavia 26-27 aprile 1985, Padova 1987, pp. 122 s.
[19] Livio 31, 9, 9-10. Sulla celebrazione di Ludi Magni, vedi J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, III, 2a ed., a cura di G. Wissowa, Leipzig 1885 (rist. an. New York 1975), pp. 497 ss.; G. WiSSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit.,
pp. 452 ss.; A. PIGANIOL, Recherches sur les jeux romains, Strasbourg 1923, pp. 75 ss.; K.
LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., p. 248; R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy, books 1-5, Oxford 1965, pp. 149, 237; W. K.
QUINN-SCHOFIELD, Ludi, Romani
magnique varie e appellati, in Latomus
26, 1967, pp. 96 ss.; U. SCHLAG, Regnum in Senatu, cit., p. 149; J.
BRISCOE, A Commentary
on Livy, books XXXI-XXXIII, cit.,
p. 79.
[20] Definisce assai bene
l'obbligatorietà del voto A. PERNICE, Zum
römischen Sacralrechte. I, in Sitzungsberichte
der Akademie der Wissenschaften zu Berlin 51, 1885, p. 1148: «Die Wirkung des Votums ist eine obligatio, eine sacralrechtliche
Verbindlichkeit, eine religiöse und Gewissenspflicht».
Del resto, nelle fonti il verbo obligare appare di frequente utilizzato in riferimento al votum: cfr., giusto a titolo d'esempio, Cicerone, De leg. 2,
41: Diligentiam votorum satis in lega dictum est ***ac votis sponsio, qua
obligamur deo; D. 50, 12, 2 = Ulpiano, Libro primo disputationum: Si quis rem aliquam voverit, voto obligatur.
Quae res personam voventis, non rem quae vovetur obligat. Res enim, quae vovetur,
soluto quidem liberat vota, ipsa vero sacra
non efficitur. Voto autem patres familiarum obligantur puberes sui iuris: filius enim familias
vel servus sine patris dominive auctoritate voto non obligantur. Si
decimam quis bonorum vovit, decima non prius esse in bonis desinit,
quam fuerit separata. Et si forte qui decimam vovit decesserit ante sepositionem,
heres ipsius hereditario nomine decimae obstrinctus est: voti enim
obligationem ad heredem transire constat; Macrobio,
Sat. 3, 2, 6: Constituam
ante aras voti reus: haec vox propria sacrorum est, ut reus vocetur qui
suscepto voto se numinibus obligat, damnatus autem qui
promissa vota iam solvit; Servio, Ad Ecl. 5, 80: Damnabis tu quoque votis id est cum deus
praestare aliqua hominibus coeperis, obnoxios
tibi eos facies ad vota solvenda, quae ante quam solvantur, obligatos et quasi damnatos homines retinent; Servio Dan., Ad Aen. 11, 558; cfr. 11, 591.
Più in
generale, su votum e vota
publica vedi A. BOUCHÉ-LECLERCQ,
Les pontifes de l'ancienne Rome, cit.,
pp. 165 ss.; J. MARQUARDT, Römische
Staatsverwaltung, III,
cit., pp. 264 ss.; G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer,
cit., pp. 381 ss.; J. TOUTAIN,
Votum, in
Dictionnaire des
antiquités grecques et romaines 5,
Paris 1919, pp. 969 ss.;
A. MAGDELAIN, Essai sur les origines de
la sponsio, Paris 1943, pp. 114
ss.; P. NOAILLES, Du droit sacré
au droit
civil,
Paris 1949, pp. 302 ss.;
K. LATTE, Römische
Religionsgeschichte, cit., p. 46; W. EISENHUT,
Votum, in
Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft, Suppl.
14, Stuttgart 1966, coll. 964 ss.; K. VISKY, Il "votum" in diritto romano privato, in Index
2, 1971, pp. 313 ss.; G.
DUMÉZIL, La religione romana
arcaica, cit., pp.
475 s.; M. MESLIN, L'uomo romano. Uno
studio di antropologia, trad. it.,
Milano 1981, p. 231; da ultimo 0. DILIBERTO, La struttura del "votum"
alla luce di alcune fonti letterarie, in Studi in onore di A. Biscardi, IV, Milano 1983, pp. 297 ss.; ID., Voveo, in Enciclopedia
Virgiliana, IV, Roma 1990, pp. 629
ss.
[21] Per quanto attiene alla esatta
determinazione della cosa votata,
cfr. N. TURCHI, La religione di Roma antica, Bologna 1939, p. 130: «I voti pubblici erano formulati dai magistrati con
l'assistenza dei pontefici
che garantivano la legalità delle formule (vota concipere, nuncupare, suscipere) e dovevano essere ben precisi
quanto alla cosa votata. La quale consisteva in genere in vittime, in bottino
di guerra, in templi da costruire o in giochi
da celebrare».
[22] Livio 31, 9, 8. Sulle motivazioni di un simile decreto,
mi pare riduttiva l'opinione espressa da A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les
pontifes de l'ancienne Rome, cit., p. 166: «Le consul P. Sulpicius Galba en
référa au Sénat qui
lui ordonna de consultar le collège. Les Pontifes, heureux d'affirmer leur compétence, qua leur
supérieur semblait vouloir absorber
dans son autorité, réduisirent à néant l'objection
de Licinius»; ma vedi, in altro senso, F. BONA, La certezza del
diritto nella giurisprudenza tardo-repubblicana, cit., pp. 122 s., in part. n. 44: «Nel 200 a.Cr., nell'ambito del ius sacrum, il collegio
dei pontefici, come si è visto, rovesciò, per così dire,
una giurisprudenza costante, ammettendo la legittimità
di un votum incertae pecuniae: pur
rimanendo nell'ambito della categoria usuale del recte, la
soluzione fu escogitata in nome di una valutazione di grado superiore, del rectius, considerando
la maggior congruenza, alla stregua del rectum, di un votum
incertae pecuniae all'indole
dell'atto da compiere».
[23] La funzione del praeire verba, che serviva a
salvaguardare l'esatta pronunzia dei concepta verba necessari per la validità del rito, risulta attestata, per il suo tempo, da Plinio, Nat.
hist. 28, 11: videmusque
certis precationibus obsecrasse summos magistratus et, ne quod verborum praetereatur aut praeposterum dicatur, de
scripto praeire aliquem rursusque alium custodem dari qui adtendat. Sul rapporto
tra l'oralità rituale e la
tradizione documentaria dei collegi sacerdotali, vedi F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica, I. Libri
e commentarii, Sassari 1983, pp. 151 ss. Riguardo alla declamazione dei concepta verba, conviene
meditare sulle osservazioni del linguista E.
PERUZZI, Aspetti culturali del Lazio primitivo, Firenze 1978, p. 172: «Pregare solennemente,
in latino, è concipere verba. L'espressione significa
“recitare parole tratte da una fonte scritta”, secondo la
pratica di verba (o verbis,
carmen, carminibus, precationem ecc.)
praeire (o praefari) alicui (de
scripto) per opera di un sacerdote o di uno scriba addetto
a leggere il testo che dovrà
essere ripetuto ad alta voce senza la minima difformità».
[24] La tesi che i commentarii sacerdotali fossero in larga misura composti da decreta e responsa, già
sostenuta da una parte consistente della dottrina
dell'Ottocento, trova consenzienti autorevoli studiosi del nostro
secolo: per l'analisi di questa dottrina rimando a F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit.,
pp. 46 ss.; 62 ss.
[25] Il carattere estensivo di tale clausola
non era peraltro sfuggito a
TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, I, cit.,
p. 244 n. 4 (= Le droit public romain, I, cit.,
p. 278 n. 3); ma il grande studioso
non riteneva che potesse riguardare anche i magistrati privi di imperium.
[26] La partizione delle materie si ricava da Agostino, De
civ. Dei 6, 3: In divinis identidem rebus eadem ab illo divisionis forma
servata est, quantum adtinet ad ea, quae diis exhibenda sunt. Exhibentur ab hominibus in locis et temporibus sacra. Haec
quattuor, quae dixi, libris complexus est ternis; nam tres priores de hominibus scripsit,
sequentes de locis, tertios de
temporibus, quartos de sacris, etiam hic, qui exhibeant, ubi exhibeant, quando
exhibeant, quid exhibeant, subtilissima distinctione commendans. Sed quia oportebat dicere et maxime id
expectabatur, quibus exhibeant, de ipsis quoque diis tres conscripsit estremos, ut
quinquies terni quindecim fierent. Sunt autem omnes, ut diximus, sedecim,
quia et istorum exordio unum
singularem, qui prius de omnibus loqueretur, apposuit.
Sulla sistematica delle Antiquitates di Varrone, in generale, vedi fra gli
altri H. DAHLMANN, M. Terentius Varro, in Real-Encyclopädie
classischen Altertumswissenschaft, Suppl. 6, Stuttgart 1935, coll. 1229 ss.; ID., Zu Varros antiquarisch-historischen
Werken, besonders den Antiquitates rerum
humanarum et divinarum, in Atti del Congresso
internazionale di studi varroniani, II, Rieti 1976, pp. 163 ss.; J. COLLARI, Varron grammairien latin, Paris 1954, pp. 275
ss.; A. C. CONDEMI, Proemium a M. Taranti Varronis
Antiquitates rerum divinarum, librorum I-II fragmenta, Bologna 1965, pp. VII ss.; B. CARDAUNS, M. Terentius Varro
Antiquitates Rerum Divinarum, II. Kommentar, Wiesbaden
1976, pp. 125 ss.; P.
CATALANO, Aspetti
spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, 11. 16, 1, Berlin-New York 1978, pp. 446 ss. Per quanto riguarda, infine,
la «teologia varroniana e prospettive sistematiche
dei sacerdoti», vedi F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., pp. 210 ss.
[27] Vedi, in tal senso, J. BRISCOE, A Commentary on
Livy, books XXXIV-XXXVII, Oxford 1981,
p. 219 s.; il quale nota a proposito dell'uso del termine duellum: «The archaic form is used by
both Cicero and L(ivy) only in formal
archaizing contexts». Per la verifica
testuale, cfr.
D. W. PARCKARD, A Concordance to Livy, Cambridge, Mass. 1968, I, pp. 1334 s.
[29] Sul pontificato di Valerio Flacco, cfr. G. J.
SZEMLER, Pontifex, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft, Suppl. 15, cit., col. 382.
[30] Questa è l'opinione anche di J.-CL. RICHARD, Sur quelques grands pontifes plébéiens, cit., p. 798: «Tout ce que nous
savons de lui prouve qu'il veilla scrupuleusement au maintien de la pax deorum. [...] Son attitude lors des débats provoqués par l'instauratio du ver sacrum voué en 217 s'inspira de principes identiques».
[31] Per un'analisi approfondita dell'episodio, e delle implicazioni
religiose, vedi J. HEURGON, Trois études sur le «ver sacrum», Bruxelles 1957, pp. 43 ss., il quale peraltro ritiene di aver anche individuato il motivo dell’opposizione del pontefice
massimo (pp. 45-46: «En 194 [...] Crassus imposa son interpretation stricte du droit
pontifical, et la nécessíté
d'une instauratio. Mais Tite-Live ajoute que
le sénat, en la décrétant, décida, sans aucune doute
sur le conseil des pontifes, que par ver sacrum, il fallait entendre le bétail qui serait
né, cette année-là, entra le 1er mars et le 29 avril. Et ceci est très
important. On avait pensée à tout, en 217, mais on avait oublié
de definir, dans des bornes chronologiques précises, ce que
c'était que le printemps ainsi consacré. On s'était
seulement engagé à immolar "tout ce que le printemps
produirait". Le début des sacrifices devait être fixé
par sénatus-consulte et vote des comices,
sans toutefois qu'un sacrifice exécuté avant cette date dût
être tenue pour nul»); cfr. anche J. BRISCOE, A Commentary on Livy, books XXXIV-XXXVII, cit., pp. 22 s.