Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-8
Francesco Sini
A quibus iura civibus praescribebantur
Ricerche sui giuristi del III secolo a.C.
Torino, G. Giappichelli Editore, 1995
pp. 172 – ISBN 88-348-4144-3
Parte
Seconda
Giuristi E
FRAMMENTI
I
P. Sempronio Sofo
Sommario: 1. Politica e
diritto nell’età di P. Sempronio Sofo. – 2. «Ubi duae contrariae leges sunt».
[p.
71]
La profonda
competenza giuridica (maxima scientia)
di P. Sempronio Sofo risulta attestata in maniera esplicita, seppure concisa,
nel noto frammento dell'Enchiridion
di Pomponio D. 1, 2, 2, che lo include fra coloro «qui maximae dignationis apud populum Romanum fuerunt»[1]. Nello
stesso frammento si riferisce anche dell'appellativo sophós attribuitogli dal popolo romano[2],
precisando che nessuno,
[p.
72]
prima o dopo di lui, hoc nomine cognominatus est[3].
P. Sempronio Sofo
fu console nel 304, cooptato nel collegio dei pontefici nel
[p. 73]
Un eco di quelle
aspre lotte, si coglie ancora nella narrazione liviana degli avvenimenti del
[p. 74]
Aemilia[10], ma fallì
per l'opposizione di alcuni altri tribuni[11].
I contorni
costituzionali della vicenda non appaiono, invero, del tutto chiari; ma
è per noi molto importante il riferimento di Livio ad un discorso del
giurista, carico di forte senso del passato e di notevole valore giuridico[12].
Le argomentazioni svolte in tale discorso, lasciano intravvedere lo schema
originario; forse leggibile nei più antichi quidam annales, citati dallo storico patavino a proposito della
più fortunata azione del tribuno del
[p. 75]
Comunque, a
Sempronio Sofo si doveva riconoscere particolare auctoritas nell'interpretatio
iuris ancora prima della sua cooptazione nel collegio dei pontefici,
avvenuta lo stesso anno della rogatio de sacerdotibus
ex plebe creandis[14]
presentata dai tribuni della plebe Q. e Gn. Ogulnio[15];
ciò spiegherebbe agevolmente, sia il ruolo di primo
[p. 76]
piano avuto dal giurista nella controversia
claudiana, sia il fatto che gli antichi annales,
da cui Livio attingeva, avessero conservato memoria della scientia[16]
profusa nelle sue argomentazioni contro l'abuso del Censore.
Leggiamo il
frammento da esaminare:
Immo vero omnes sciverunt et ideo Aemiliae potius legi paruerunt
quam illi antiquae, qua primum censores creati erant, quia hanc postremam
iusserat populus et quia, ubi duae contrariae leges sunt, semper antiquae
obrogat nova.
Livio 9, 34, 6-7: Itane
tandem, Appi Claudi, cum centesimus iam annus sit ab Mam. Aemilio dictatore,
tot censores fuerunt, nobilissimi fortissimique viri, nemo eorum duodecim
tabulas legit? nemo id ius esse, quod postremo populus iussisset, sciit? Immo
vero – nova.
Come si
evince dal frammento, il giurista plebeo sottolineava con forza il principio
che, nel caso di leggi contrastanti[17], l'interpretatio iuris doveva attenersi al
[p. 77]
disposto delle XII Tavole: semper antiquae obrogat nova[18]; in
tal modo, inoltre, Sempronio Sofo attribuiva alla lettera della norma
decemvirale quodcumque postremum populus
iussisset, id ius ratumque esset[19], una
stretta
[p. 78]
correlazione con la norma
precedente e un valore del tutto opposto a quello invocato da Appio Claudio per
contrastare l'efficacia della lex Aemilia[20].
Il
Censore motivava, infatti, il rifiuto di uscire di carica sostenendo che i
limiti alla durata della censura, stabiliti nella lex Aemilia, dovevano considerarsi vincolanti solo per quei
magistrati, contro i quali la legge era stata votata: Negare Appius interrogationem tribuni magno opere ad causam pertinere
suam; nam etsi tenuerit lex Aemilia eos censores, quorum in magistratu lata
esset, quia post illa censores creatos eam legem populus iussisset quodque
postremum iussisset, id ius ratumque esset, non tamen aut se aut eorum
quemquam, qui post eam legem latam creati censores
[p. 79]
essent, teneri ea lege potuisse[21].
A suo
avviso, la norma della citata lex Aemilia,
proprio in virtù del precetto decemvirale – altrimenti
interpretato da Sempronio –, sarebbe stata obliterata nelle successive
elezioni dei censori; in quanto la rogazione del suffragium, che costituisce pur sempre postremum populi iussum, avveniva sulla base della lex istitutiva della censura[22]. Non
mi sento, peraltro, di condividere la valutazione negativa di L. Perelli[23], il
quale, muovendo dal passo di Livio qui discusso, rileva incertezze e
imprecisioni, che spesso si presenterebbero nell'opera dello storico patavino,
«quando si imbarca in questioni giuridiche». Sfugge, infatti, allo
studioso la ratio
dell'interpretazione appiana, che pure è ricavabile da un'attenta
esegesi del testo.
Dal
frammento di P. Sempronio Sofo, al di là della situazione contingente
che vide prevalere l'opinione di Appio Claudio, si percepisce non solo una
raffinata peritia del giurista, ma
soprattutto la grande attenzione con cui
[p. 80]
anche il ceto dirigente plebeo
seguiva l'evoluzione del diritto e l'interpretatio
del codice decemvirale[24].
[1] All'analisi della maxima dignatio e delle sue forme nell'Enchiridion di Pomponio, ha dedicato un
denso capitolo F. D'Ippolito, I giuristi e la città. Ricerche sulla
giurisprudenza della repubblica, Napoli 1978, pp. 3 ss.; più
specificamente, per quanto attiene alla maxima
dignatio di Sempronio Sofo, vedi a p. 9.
[2] D. 1, 2, 2, 37 =
Pomponio, Libro singulari enchiridii:
Fuit post eos maximae scientiae
Sempronius, quem populus Romanus "sophón'' appellavit, nec quisquam
ante hunc aut post hunc hoc nomine cognominatus est. Sul significato di un simile cognomen
appare stimolante l'interrogativo di F.
Wieacker, Die römischen
Juristen in der politischen Gesellschaft des zweiten vorchristlichen
Jahrhunderts, in Sein und Werden im
Recht. Festgabe für U. von Lübtow, Berlin 1970, p. 190:
«Deutet sich in seinem ungewöhnlichen Cognomen Sophus die
Aufgeschlossenheit des Fabius Pictor und der Ogulnier für die griechische
Kultur an?»; nello stesso senso anche F.
D'Ippolito, I giuristi e la
città. Ricerche sulla
giurisprudenza della repubblica, cit., p. 9:
«“Sophós” fu detto Sempronio Sofo. Nessuno, prima o
dopo di lui, ricevette questo appellativo. L'ulteriore specificazione è
diretta a mettere in evidenza l'unicità della “forma”.
Questo inusitato grado della maxima
dignatio può voler dire qualcosa. Esso sta ad indicare, forse in
contrapposizione all'appellativo sapiens
attribuito a Lucio Acilio, un'apertura verso la cultura greca».
[3] Mette conto notare,
in proposito, che l'affermazione di Pomponio non risulta del tutto esatta,
poiché abbiamo notizia dalle fonti di un altro P. Sempronio Sofo: il
figlio del giurista, console nel 268 e censore nel
[4] Livio 10, 9, 1-2; cfr. C. Bardt,
Die Priester der vier grossen Collegien
aus römisch-republikanischer Zeit, Berlin 1871, p. 9 nr. 12.; G. J. Szemler, Pontifex, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft, Suppl. 15, Stuttgart 1978, col. 375.
[5] Cfr. F. Münzer, Sempronius (nr. 85), in Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft
Più in
generale sulla figura del giurista, vedi per tutti: il vecchio lavoro di F. D. Sanio, Varroniana in den Schriften der römischen Juristen, Leipzig
1867, pp. 148 s.; l'ormai classica opera di W.
Kunkel, Herkunft und soziale
Stellung der römischen Juristen, Weimar 1952, pp. 5 s.; e il
più recente manuale di F.
Wieacker, Römische
Rechtsgeschichte (Handbuch der Altertumswissenschaft, X. 3. 1. 1),
München 1988, pp. 534 s.
Per quanto riguarda
il ruolo politico di P. Sempronio Sofo, basterà vedere in particolar
modo F. Cassola, I gruppi politici romani nel III secolo a.C.,
Trieste 1962 (rist. an. Roma 1968), pp. 149
ss.; e da ultimo, R. A. Bauman, Lawyers in Roman republican politics: a
study of the Roman jurists in their political setting, 316-82 BC,
München 1983, pp. 66 ss.
[6] Livio 9, 33, 4-9, 34, 26. Sull'episodio,
vedi da ultimo, brevemente, M. Bretone,
Storia del diritto romano, Roma-Bari
1987, p. 83.
[7] Sulla censura di
Appio, vedi E. Ferenczy, The Censorship of Appius Claudius Caecus,
in Acta Antiqua Hungarica 15, 1967,
pp. 27 ss. I rapporti politici del Censore sono stati ricostruiti, fra gli
altri, da A. Garzetti, Appio Claudio Cieco nella storia politica
del suo tempo, in Athenaeum , n.
s., 1947, pp. 175 ss.; E. S. Staveley,
The political aims of Appius Claudius
Caecus, in Historia 8, 1959, pp.
410 ss.; F. Cassola, I gruppi politici romani nel III secolo a.C.,
cit., pp. 128 ss.; R. Werner, Der Beginn der römischen Republik. Historisch-chronologische
Untersuchungen über die Anfangszeit der libera res publica, München-Wien 1963, pp. 6 ss.; R.
A. Bauman, Lawyers in Roman
republican politics, cit., pp. 22 ss. Per la sua opera giuridica, vedi invece T. Mayer-Maly, Roms älteste Juristenschrift, in Mnemosyon Bizoukides, Thessalonikê 1960, pp. 221 ss.; e da
ultimo F. D'Ippolito, Giuristi e sapienti in Roma arcaica,
cit., pp. 9 ss.
[8] Livio 9, 33, 4: Ap. Claudius censor circumactis decem et
octo mensibus, quod Aemilia lege finitum censurae spatium temporis erat, cum C.
Plautius, collega eius, magistratu se abdicasset, nulla vi conpelli, ut
abdicaret, potuit. Sulla lex Aemilia
de censura minuenda vedi Livio 4, 24, 5; Zonara 7, 19, 7; cfr. G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, rist. an. Hildesheim 1962, p. 211.
[9] Sul tribunato di
Sempronio Sofo, vedi G. Niccolini,
I fasti dei tribuni della plebe,
Milano 1934, pp. 73 s.
[10] Livio 9, 33, 5-7: P. Sempronius erat tribunus plebis, qui
finiendae censurae intra legitimum tempus actionem susceperat, non popularem
magis quam iustam nec in vulgus quam optimo cuique gratiorem. Is cum identidem
legem Aemiliam recitaret auctoremque eius Mam. Aemilium dictatorem laudibus
ferret, qui quinquennalem ante censuram et longiquitate potestatem dominantem
intra sex mensum et anni coegisset spatium, "Dic agendum'' inquit,
"Appi Claudi, quidnam facturus fueris, si eo tempore quo C. Furius et M.
Geganius censores fuerunt censor fuisses''. Il lungo discorso di Sempronio
occupa, nella restante parte, quasi per intero il cap. 34: Livio 9, 34, 1-25.
[11] Livio 9, 34, 26: Haec taliaque cum dixisset, prendi censorem et
in vincula duci iussit. Adprobantibus sex tribunis actionem collegae, tres
appellanti Appio auxilio fuerunt; summaque invidia omnium ordinum solus
censuram gessit.
[12] Piuttosto riduttiva la valutazione di F.
Wieacker, Die römischen
Juristen in der politischen Gesellschaft des zweiten vorchristlichen
Jahrhunderts, cit., p. 190 n. 43: «Die Rede bei Livius 9, 38, 8-34
ist leider eine Erdichtung, im Sinne einer Überlieferung, die Sophus zur
fabischen Partei rechnete». Non così F. D. Sanio, Varroniana,
cit., p. 148, il quale sottolineava «seine prudentia in iure
publico» proprio sulla base del racconto liviano.
[13] Livio 9, 42, 2-3: ita
senatus in insequentem annum, quo Ap. Claudius L. Volumnius consules fuerunt,
prorogavit maxime Appio adversante imperium. Appium Censorem petisse consulatum
comitiaque eius ab L. Furio tribuno plebis interpellata, donec se censura
abdicarit, in quibusdam annalibus invenio. Sul tribuno L. Furio, vedi G. Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe, cit., p. 74.
[14] Le tormentate vicende
che portarono alla promulgazione della lex
Ogulnia de sacerdotibus ex plebe creandis, sono oggetto di un dettagliato
resoconto liviano: cfr. Livio 10, 6, 1-6 (M.
Valerio et Q. Apuleio consulibus satis pacatae foris res fuere; Etruscum
adversae belli res et indutiae quietum tenebant; Samnitem multorum annorum
cladibus domitum hauddum foederis novi paenitebat; Romae quoque plebem quietam
et exoneratam deducta in colonias multitudo praestabat. Tamen, ne undique
tranquillae res essent, certamen iniectum inter primores civitatis, patricios
plebeiosque, ab tribunis plebis Q. et Cn. Ogulniis, qui undique criminandorum
patrum apud plebem occasionibus quaesitis, postquam alia frustra temptata
erant, eam actionem susciperunt qua non infimam plebem accederent, sed ipsa
capita plebis, consulares triumphalesque plebeios, quorum honoribus nihil
praeter sacerdotia, quae nondum promiscua erant, deesset. Rogationem ergo
promulgarunt ut, cum quattuor augures, quattuor pontifices ea tempestate essent
placeretque augeri sacerdotum numerum, quattuor pontifices, quinque augures, de
plebe omnes, adlegerentur); cfr. anche gli
interi capp. 7
e 8 dello stesso libro; infine 10, 9, 1-2 (Vocare
tribus extemplo populus iubebat, apparebatque accipi legem; ille tamen dies intercessione
est sublatus. Postero die deterritis tribunis ingenti consensu
accepta est. Pontifices creantur suasor legis P. Decius Mus, P. Sempronius
Sophus, C. Marcius Rutilus; M. Livius Denter; quinque augures item de plebe, C.
Genucius, P. Ailius Paetus, M. Minucius Faesus, C. Marcius, T. Publilius. Ita octo pontificum, novem augurum numerus factus).
Sulla lex vedi inoltre G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, cit., p.
236.
[15] «L'opera
degli Ogulnii» è stata oggetto, recentemente, di approfondita rimeditazione
da parte di F. D'Ippolito, Giuristi e
sapienti in Roma arcaica, cit., pp. 71 ss.
[16] Alla scientia di P. Sempronio Sofo,
individuata come modello di un «nuovo sapere pontificale», dedica
alcune pagine assai stimolanti F.
D'Ippolito, Giuristi e sapienti in
Roma arcaica, cit., pp. 88 ss. Sulla sua attività relativa a ius sacrum e ius privatum, mi pare da condividere la notazione di F. P. Bremer, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt, I, Lipsiae 1896, p.
7: «Fortasse non solum responsa dedit sed etiam novas actiones vel
formulas composuit».
[17] Per una visione
più in generale delle problematiche relative al contrasto e
all'abrogazione delle leggi in Roma repubblicana, vedi ora, per tutti, J. Bleicken, Lex pubblica. Gesetze und Recht in der römischen Republik, Berlin-New York 1975, pp. 231 s., 243; M. Ducos, Les Romains et la loi. Recherches sur les rapports de la philosophie grecque et
la tradition romaine à la fin de la République, Paris 1984, pp. 142 ss.
[18] Nega che possa risalire
alle XII Tavole la norma riferita da Livio riguardante l'abrogazione per
incompatibilità fra la legge precedente e quella successiva, A. Biscardi, Aperçu historique du problème de l’“abrogatio
legis”, in Revue internationale des droits de l'antiquité 18, 3a ser.,
1971, p. 461: «Mais l'attibution de ce précepte constitutionnel
aux décemvirs n'est pas digne de foi»; sostenendo peraltro che le
notizie liviane sono desunte dagli autori della seconda annalistica (p. 465).
Decisamente
critico verso le tesi del Biscardi si mostra F.
Serrao, Classi, partiti e legge
nella repubblica romana, Pisa 1974, pp. 32 ss. n. 85: «Il rilevato
principio della sovranità popolare, da cui l'abrogazione esplicita o
implicita della legge precedente da parte della successiva deriva, fu uno dei
cardini dell'ideologia plebea prima e dei succesivi movimenti democratici
poi» (p. 34 n.).
[19] La norma
decemvirale concernente lo iussum populi, citata da Livio 7, 17, 12 (In secundo interregno orta contentio est, quod duo patricii consules
creabantur, intercedentibusque tribunis interrex Fabius aiebat in duodecim
tabulis legem esse, ut, quodcumque postremum populus iussisset, id ius ratumque
esset; iussum populi et suffragia esse.) e attribuita in genere dagli
editori moderni alla Tabula XII (cfr.
ad esempio Fontes Iuris Romani Antiqui,
edidit C. G. Bruns, ed. sexta, cura Th. Mommseni et O.
Gradenwitz, Friburgi in Brisgavia et Lipsiae 1893, p. 39 fragm. 5; Fontes Iuris Romani Antejustiniani. Pars
prima, Leges, ed. altera, a cura di S.
Riccobono, Florentiae 1941, p. 73 fragm. 5) «segna la raggiunta
capacità normativa del popolo»: così M. Bretone, Tecniche e ideologie dei giuristi romani, 2a ed., Napoli 1982, p.
5; fra la dottrina precedente, P. De
Francisci, Per la storia dei
comitia centuriata, in Studi
Arangio-Ruiz, I, Napoli 1953, pp. 25 ss.; ora vedi anche F. D'Ippolito, Le XII Tavole: il testo e la politica, in AA.VV., Storia di Roma, 1. Roma in Italia, dir.
di A. Momigliano - A. Schiavone,
Torino 1988, p. 407; e L. Amirante,
Una storia giuridica di Roma, Napoli
1990, p. 137, il quale, considerando probabile l'elezione dei decemviri da
parte del comitiatus maximus, non
ritiene inverosimile «che questa stessa assemblea abbia formulato il
principio ""che dovesse tenersi per fermo, ciò che il popolo
avesse ordinato da ultimo''». In altro senso, A. Guarino, Giusromanistica
elementare, Napoli 1989, pp. 231 ss., il quale si mostra scettico sulla
possibilità che «le XII tabulae
abbiano statuito così drasticamente, senza alcun riferimento anche alla
indispensabile (ed influentissima) auctoritas
patrum» (p. 233).
[20] Del resto, per
tutta l'età repubblicana e oltre, il principio costituzionale «ut, quod postremum populus iussisset, id ius
ratumque esset», persiste strettamente
legato all'abrogazione della legge precedente: cfr. Cicerone, Ad Att. 3, 23, 2; Livio 9, 34; e i
più tardi Tituli ex corp. Ulp.
3 (Lex aut rogatur, id est fertur, aut
abrogatur, id est prior lex tollitur, aut derogatur, id est pars primae
<legis> tollitur, aut subrogatur, id est adicitur aliquid primae legi,
aut obrogatur, id est mutatur aliquid ex prima lege; e D. 50, 16, 102 =
Modestino, Libro septimo regularum:
Derogatur legi aut abrogatur. Derogatur legi, cum pars detrahitur: abrogatur
legi, cum prorsus tollitur.
[21] Livio 9, 33, 8-9.
Puntuale commento al testo in W.
Weissenborn - H. J. Müller, Titi
Livi, Ab urbe condita libri, III, 2 (Buch IX und X),
7a ed., Zürich-Berlin 1965, p. 76.
[22] Sul problema della
durata massima delle funzioni dei censori, vedi per tutti Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, II, 1, 3a
ed., Leipzig 1887 (rist. Graz 1952), pp. 348 ss. (= Droit public romain, IV, Paris 1894,
rist. 1984, p. 21 ss.).
[23] L. Perelli, Storie (Libri VI-X) di Tito Livio, Torino
1979, p. 508 n. 4: «L'argomentazione non viene espressa in termini
giuridicamente molto chiari, come spesso accade a Livio quando si imbarca in
questioni giuridiche; comunque Appio sostiene che la limitazione della durata
della censura valeva solo per quei censori in funzione dei quali era stata
votata la legge, mentre i censori successivi erano stati nominati in base alla
legge istitutiva della censura. L'argomento che ciò che il popolo ha
votato per ultimo ha valore di legge va a danno di Appio, e non si vede a quale
interpretazione egli l'abbia piegato».
[24] Che nel complesso
il testo delle XII Tavole costituisca un indubbio successo della plebe,
è opinione ormai comunemente accettata dalla dottrina più
recente: cfr. per tutti F. De Martino,
Storia della costituzione romana, I, 2a ed., Napoli 1972, pp. 307 ss. Più in
generale, sul crescente ruolo politico della plebe nell'età decemvirale,
vedi J.-C. Richard, Les origines de la plèbe romaine. Essai sur
la formation du dualisme patricio-plébéien, Roma 1978, pp. 593 ss.
Per F. Serrao, Classi partiti e legge nella repubblica romana, cit., p. 32, si
collegava indirettamente all'ideologia della plebe anche la legge decemvirale
di cui si discute nel testo: «Ove si tenga presente che la plebe aveva
già rivendicato il suo potere di autonormazione oltre quaranta anni
prima, con le leges sacratae del 494
a.C.; che tutta l'opera legislativa decemvirale si svolgeva sotto la pressione
della plebe; che forse lo stesso principio dell'onnipotenza popolare nella
creazione del diritto fu redatto e codificato dal secondo con partecipazione
plebea, si avranno linee sicure per disegnare dialetticamente il ricco quadro
storico in cui l'avvenimento si pone e per ravvisare le sue radici ideologiche
nella concezione politica plebea e la sua affermazione ad opera della
creatività rivoluzionaria della plebe».