Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-8
Francesco Sini
A quibus iura civibus praescribebantur
Ricerche sui giuristi del III secolo a.C.
Torino, G. Giappichelli Editore, 1995
pp. 172 – ISBN 88-348-4144-3
Parte
Prima
IUS PUBLICUM E IUS
SACRUM NEI FRAMMENTI
«EXTRA DIGESTA TRADITA». LA
LETTERATURA
GIUSROMANISTICA FINO A OTTO LENEL
I
La
letteratura giuridica anteriore
all’Ottocento
Sommario: 1. Dal Cinquecento al Settecento. – 2. Un'opera esemplare: il
commento settecentesco «Ad triginta
Jurisconsultorum omnia Fragmenta» di Gregorio Mayáns y Siscar. – 3. Canoni della raccolta: «omnia
fragmenta quae exstant in iuris civilis corpore». – 4. Entità delle omissioni. – 5. Omissioni senza pregiudizio.
[p.
19]
Nella ricostruzione
dell'antico pensiero giurisprudenziale romano, l'omissione dei «fragmenta
extra digesta tradita» appare invero ben radicata anche nella dottrina
romanistica preottocentesca.
Non voglio certo
risalire, quanto ai possibili punti di riferimento, fino ai giuristi
medioevali; alla cui logica giuridica simili interessi dovevano risultare, peraltro,
del tutto estranei, poiché essi – com'è stato
magistralmente osservato da P. Bonfante – «attratti dal compito
grave di imporre e adattare il diritto romano alla nuova società, non
spingevano lo sguardo al di là della codificazione giustinianea, anzi
propriamente non si affissavano se non sulla glossa»[1].
Fu con l'affermarsi
dell'«Umanesimo giuridico»[2]
[p.
20]
che filologi e giuristi, sulla base delle revisioni critiche dei testi giuridici fondamentali e della scoperta di nuove fonti, dedicarono sempre più di frequente le loro ricerche alla storia delle istituzioni e della scienza giuridica romana pregiustinianea[3]. Il movimento, caratterizzato anche da «tentativi di edizioni critiche del corpus giustinianeo, ricerche intorno al significato di parole e di espressioni contenute negli antichi testi giuridici, illustrazioni di passi del Digesto»[4], non determinò tuttavia il venir meno dell'esclusività
[p.
21]
del Corpus Iuris; anzi, a seguito di tale lavorio di critica testuale si stabilirono nuovi e più duraturi rapporti tra «il “Corpus iuris” e gli svolgimenti della scienza giuridica europea»[5].
Tra il XVI e il
XVIII secolo, furono dati alle stampe un buon numero di lavori
“specialistici'”, vuoi di interesse giuridico, vuoi di interesse
storico-antiquario.
Grazie ad un metodo
d'indagine che combinava critica storica e filologia, si scrissero allora opere
fondamentali sulle istituzioni giuridiche e religiose romane; la cui lettura lascia
scoprire, oltre ad una rigorosa fedeltà alle fonti, sorprendenti
assonanze con la sistematica delle antiche opere di “diritto
pubblico”': penso al De antiquo
iure populi Romani del Sigonio[6],
al De potestatibus di
[p.
22]
A. D. Fiocchi[7], al De magistratibus et sacerdotibus di R. Maffei detto il Volterrano[8], al De veteri iure pontificio di J. Gouthière[9].
Contestualmente i
giuristi, seguendo lo stesso metodo, si impegnarono sia in revisioni critiche
complessive del materiale raccolto nei Digesta:
tali si presentavano, infatti, opere come l'Index
del Labitte[10],
la Iurisprudentia restituta del
Wieling[11],
o la Palingenesia del Hommel[12];
sia nello studio della personalità e nella ricostruzione
[p.
23]
delle opere dei singoli giureconsulti romani, i cui frammenti - pur sempre tratti quasi esclusivamente dai Digesta - erano commentati con vasto impiego di erudizione filosofico-letteraria e con il ricorso all'ausilio di testi “non giuridici”[13]: basterà qui ricordare, giusto a titolo esemplificativo, la Jurisprudentia muciana del Bauduin[14], il De nominibus dell'Agustin[15] e il De vita Servii Sulpicii dell'Otto[16].
[p.
24]
Esamineremo a
questo punto l'opera di un giurista settecentesco, dedicata ex professo alla raccolta dei frammenti
superstiti di singoli giureconsulti romani. Per constatare, attraverso
un'attenta analisi della logica delle omissioni che la presiede, quanto sia
distante per finalità e motivazioni dalla Palingenesia leneliana; sebbene anche in questa raccolta risultino
omessi i frammenti di provenienza non giustinianea.
I Commentarii ad triginta Jurisconsultorum
omnia Fragmenta di Gregorio Mayáns y Siscar (1699-1781)[17],
cattedratico nell'Università di Valencia, furono pubblicati a Ginevra
nel 1764, presso la bottega dei Fratelli De Tournes, i quali ebbero peraltro
non poche difficoltà a reperire per la stampa una copia manoscritta di
buona qualità[18].
[p.
25]
Nella lunga Praefatio il giurista spagnolo espone, in maniera assai dettagliata, i criteri seguiti nella scelta dei giureconsulti e i canoni di raccolta dei materiali utilizzati.
In primo luogo, con
rigore davvero unusuale, riconosce il debito contratto nella composizione
dell'opera con la dottrina precedente: quale modello del proprio
«methodus scribendi» il Mayáns indica i libri Emendationum et Opinionum del vescovo di Tarragona Antonio Agustin[19],
scrittore evidentemente a lui assai congeniale (al punto da curare l'edizione
postuma di una sua opera in lingua castigliana: Dialogos de las armas y linages de la nobleza de España[20],
corredandola con la biografia
[p.
26]
dell'autore), del quale utilizzò ampiamente anche l' «immortale opus de Nominibus Propriis Pandectarum»[21]; dichiara poi di aver seguito, «ad leges colligendas», l'ordine della famosa Juris civilis totius absolutissima Methodus di Nicolaus Weigel[22]; infine, di essersi attenuto nella collazione dei testi ai Digestorum Juris Civilis libri, sempre dello stesso Weigel[23]: «ubi leges Corporis Juris, quae in singulis argumentis allegantur, integre descriptae sunt»[24].
[p.
27]
Quanto ai giuristi oggetto dell'indagine: «Studui eligere – si legge nella citata Praefatio del Mayáns – eos Jurisconsultos, quos nemo data opera suscepisset explicandos»[25], con l'eccezione di Q. Mucio Scevola, a proposito del quale ignorava, al momento della stesura del relativo saggio, che Francois Bauduin ne avesse già dissertato sul celebre giureconsulto romano nel suo Commentarius de jurisprudentia muciana[26]. Conseguentemente a questa scelta, dall'opera del Mayáns risultano assenti grandi giureconsulti quali Labeone, Papiniano, Paolo, Ulpiano, Modestino e altri, dei quali il giurista spagnolo mostra di conoscere bene la dottrina che ne aveva trattato in precedenza[27].
Ai giureconsulti
prescelti sono dedicate autonome dissertazioni, disposte secondo un ordine
determinato dalla cronologia delle
vicende biografiche di ciascun personaggio, che il Mayáns espone
prima dell'esame dei relativi frammenti; evidenziando, fra l'altro, che di esse
«alias scripsi plene, alias jejune, pro eorum claritate, aut
obscuritate»[28].
[p.
28]
Alla luce
dell'affermazione che «In descriptione Fragmentorum secutus sum lectionem
Codicis Florentini, praesertim ubi
dubium esse potest in sensu»[29],
si potrà ben notare come risalti, ancora una volta di più, la
centralità dei Digesta
nell'opera del giurista spagnolo. I testi giurisprudenziali oggetto
dell'indagine sono, dunque, i frammenti inseriti nella compilazione
giustinianea: di essi si propone anzitutto, sempre che sia possibile, un
preciso riferimento alle opere di provenienza[30];
segue una puntuale esegesi, massimamente attenta alla esplicazione del
significato letterale del testo, «quia per eam sensus legum optime
ostenditur»[31];
infine si presenta il commento del
frammento, volto soprattutto alla enucleazione della fattispecie,
all'indicazione della sua «ratio», all'esame comparato di
eventuali altri frammenti del Corpus Iuris di uguale tenore[32].
Nel commento si evidenzia, inoltre, la preoccupazione del Mayáns di
comprovare «singulas cuiusque textus sententias».
[p.
29]
Può essere di qualche interesse segnalare il fatto che per ottenere questo risultato, il giurista si affidi anche ad un ampio impiego di fonti letterarie; ricava cioè tali «comprobationes» combinando sia argomentazioni svolte altrove dallo stesso autore del frammento, sia opinioni di altri giureconsulti, sia pertinenti testimonianze di scrittori non giuristi[33].
Questo ampio
ricorso alle fonti “non giuridiche” in sede di commento non incide,
invero, sulla rigida metodologia seguita dal Mayáns nella determinazione
del diritto giurisprudenziale. Appare evidente che per il giurista spagnolo
è la qualità della fonte a stabilire la giuridicità dei
testi, sicché, come acclara lo stesso titolo dell'opera, gli omnia fragmenta dei trenta giureconsulti
romani possono – e devono – essere soltanto quelli accolti
dall'imperatore Giustiniano nei suoi Digesta:
le leges, «quae extant in Juris
Civilis Corpore».
Quanto questi
canoni risultino omissivi lo si può verificare da un rapido controllo
dei frammenti ascritti dal Mayáns a Q. Mucio Scevola[34]
e a C. Ateio Capitone[35].
[p.
30]
Nel caso del
pontefice-giureconsulto assistiamo a
rilevanti omissioni. A parte la prevedibile esclusione dei frammenti
relativi allo ius sacrum[36],
fra gli omnia Fragmenta di Quinto Mucio
Scevola non figurano neppure menzionate citazioni testuali di sicura valenza
"civilistica'', quali ad esempio: Varrone, De ling. Lat. 7, 105 (nexum)[37]; Cicerone, Top.
6, 29 (gentiles)[38]; Top. 8, 37
(postliminium)[39]; Gellio, Noct.
Att. 3, 2, 12-13 (usurpatio trinoctii)[40].
Del resto, anche i
soli testi muciani di provenienza letteraria citati nella parte biografica
della dissertazione[41],
tre passi delle “Notti attiche” di Aulo Gellio
[p.
31]
Noct. Att. 4.1.17; 5.19.5-7; 6.15.2), non risultano poi inclusi tra i frammenti a cui attribuire il commento; solo il primo, che riferisce la definizione di penus[42], si ritrova nel commentarius che il Mayáns ascrive a «Ulpian. Libro vicesimo secundo ad Sabinum in l. qui penum 3. de penu legata» = D. 33, 9, 3, pr.[43], ma come materiale di supporto per un efficace commento alla citata lex del Corpus Iuris[44].
[p.
32]
I canoni seguiti dal Mayáns hanno determinato ben più drastiche omissioni nella scelta dei frammenti di Capitone. Il giurista spagnolo ne commenta, infatti, solo sei (comunque, uno in più del Lenel) [45], ovviamente tratti dai Digesta di Giustiniano[46]. Finisce, così, per non
[p.
33]
far figurare negli omnia Fragmenta quasi tutte le opere superstiti di Capitone: non un testo dei Coniectaneorum libri; non uno ex epistulis; non un frammento dai libri de iure pontificio, de iure sacrificiorum e de iure augurali; né alcuno dei numerosi altri frammenti di sede incerta, ma di sicura attribuzione a Capitone[47]. Eppure di tutte queste opere il Mayáns dava precise notizie, con i riferimenti testuali, nella vita del giureconsulto premessa ai commentarii dei testi giuridici[48]. Ancora una volta prevale, dunque, il dato normativo insito nei canoni di raccolta dei frammenti: la vigenza del Corpus iuris.
E' innegabile, che
un simile criterio risultasse particolarmente omissivo nei confronti dei
«fragmenta
[p. 34]
extra Digesta tradita», in quanto la distinzione
tra fonti giuridiche e fonti letterarie costituiva una discriminante
invalicabile per il lavoro dei giuristi.
Tuttavia, erano
assai diverse, rispetto alle omissioni leneliane, le motivazioni profonde di
tali regole di condotta. La scienza giuridica preottocentesca, pur adottando
nello studio del diritto la partizione tra historia
iuris e antiquitates iuris[49],
si presentava ancora immune dalle astratte schematizzazioni degli istituti
privatistici e non subiva gli effetti di quella rigidissima separazione tra il
“pubblico” e il “privato”, a cui si sarebbe poi
uniformata, principalmente per l'autorità scientifica del Mommsen, la
dottrina romanistica contemporanea. Perciò ai giuristi del Settecento,
una volta pervenuti alla determinazione della giuridicità dei testi
(assicurata, come s'è appena detto, dall'essere compresi in Juris Civilis Corpore), doveva
apparire davvero poco rilevante, o addirittura dannosa, una loro separazione
per materia tra sacro/pubblico/privato.
Poteva perfino accadere
che giuristi quali Heineccius trattassero questioni di ius publicum in opere di diritto privato, come nel caso della sua Antiquitatum Romanarum jurisprudentia,
[p. 35]
il cui primo libro, che espone le stesse
materie dell'omonimo libro delle Instututiones
di Giustiniano, è completato da una corposa Adpendix pubblicistica in sei capitoli[50].
[1] P. Bonfante, Storia del diritto romano, rist. della IV ed. a cura di G. Bonfante
e G. Crifò, Milano 1958, I, p. 5.
[2] Alla storia delle
origini e degli sviluppi di tale 'movimento' è dedicato il lavoro, ormai
classico, di D. Maffei, Gli inizi dell'umanesimo giuridico,
terza rist. inalterata dell'ed. originale 1956, Milano 1972; per una
valutazione complessiva del fenomeno e della sua influenza sulla cultura
giuridica, rinvio invece ad alcune intense pagine di R. Orestano, Introduzione
allo studio del diritto romano, Bologna 1987, pp. 68 ss. (relativamente al
«problema della “interpretatio”»); 193 ss.
(«problema della storicità»).
[3] Sulla nuova
impostazione degli studi giuridici, vedi P.
De Francisci, Storia del diritto
romano, I, 2a ed., Milano 1943, p. 24: «Agli occhi degli umanisti
invece la compilazione imperiale appariva come un monumento solenne della
sapienza romana, che doveva essere studiato in sè e del quale si doveva
ricostruire il testo e il pensiero originale, non meno che se si trattasse di
un'opera di Cicerone o del poema di Virgilio»; non tutti i giuristi,
peraltro, aderirono alla nuova corrente: R.
Orestano, Introduzione allo studio
del diritto romano, cit., pp. 535-536: «Solo nel XVI secolo – e
non senza scandalo – si cominciò nell'indirizzo umanistico a non
rispettare la veneranda intangibilità dei testi, ricercando attraverso i
“materiali” della compilazione il pensiero originario degli antichi
giureconsulti e imprecando contro l'operato dei commissari giustinianei, contro
l'imperatore che li aveva ispirati e soprattutto contro il suo principale
collaboratore, Triboniano, l'uno e l'altro accusati di ogni nefandezza». Cfr. infine, da ultimo, F. Wieacker,
Römische Rechtsgeschichte, I,
München 1988, pp. 39 ss.
[4] D. Maffei, Gli inizi dell'umanesimo giuridico, cit., p. 81: «Il
Quattrocento e gli inizi del Cinquecento conservano testimonianze di un
complesso di attività e di iniziative umanistiche nel campo giuridico,
che non può essere passata sotto silenzio. Tentativi di edizioni
critiche del corpus giustinianeo,
ricerche intorno al significato di parole e di espressioni contenute negli
antichi testi giuridici, illustrazioni di passi del Digesto coincidono con il
ritrovamento di codici che portano nuova luce sulla storia del diritto romano,
coincidono soprattutto con quello che oserei chiamare il ritrovamento vero
della littera pisana che ora, per la
prima volta, si apre intera sotto gli occhi degli studiosi. Ora cominciano a
disegnarsi storie delle istituzioni e della scienza giuridica romana».
[5] La citazione
è di R. Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano,
cit., pp. 37 ss., il quale titola cosi un denso capitolo, in cui delinea con
mirabile sintesi, la fondamentale incidenza dell'eredità giuridica di
Roma negli «svolgimenti» della scienza del diritto europea
medioevale e moderna; a partire dalla Scuola di Bologna, fino al rinnovamento degli
studi giuridici in Germania e in Italia per influenza della Scuola storica
tedesca.
[6] C. Sigonius, De antiquo iure populi Romani libri undecim, Bononiae 1574. A
proposito di quest'opera, basterà sottolineare qui un solo particolare:
nel trattare de iure Honorum (pp. 83
ss.), il Sigonio segue un'ordine espositivo perfettamente aderente alla
partizione romana dello ius publicum,
che anteponeva sacra e sacerdotes ai magistrati: «Honores
autem voco curationes omnes publicas civium suffragio, aut studio alteri civi
delectas. Quorum duo genera sunt, unum, quod in rebus divinis
cernitur, alterum, quod in humanis. Eo sacerdotia continentur, hoc magistratus
et imperia».
[7] A. D. Flocci, De potestatibus Romanorum, in P.
Scriverius, Respublica Romana,
Lugduni Batavorum 1629, pp. 3 ss. Dell'opera è interessante non solo il
titolo, che pure sembra richiamarsi al filone de potestatibus del pensiero giuspubblicistico antico, ma
soprattutto la divisione della materia: anche il Floccus tratta, infatti, dei
sacerdoti prima dei magistrati, dedicando il libro I ai Sacerdotes e il libro II ai Magistratus.
[8] R. Volaterranus, De magistratibus et sacerdotiis Romanorum commentarius, cum notis Petri
Scriveri, in Novus Thesaurus
antiquitatum Romanarum, congestum ab A.
H. De Sallengre, III, Hagae-Comitum 1719, coll. 949 ss. Nello stesso
volume del Novus Thesaurus, anzi
nelle pagine immediatamente successive, vedi anche J. Gulielmi, De
magistratibus Reipublicae Romanae, dum in libertate urbs fuit, libellus,
coll. 969 ss.
[9] J. Gutherius, De veteri iure pontificio urbis Romae. Libri IV, 1612, in J. G. Graevii, Thesaurus antiquitatum Romanorum, V, Lugduni Batavorum-Trajecti ad
Rhenum 1696, coll. 1 ss.; ivi anche J.
A. Bosius, De pontificatu maximo
Romae veteris, coll. 225 ss.
[10] J. Labitti, Index legum omnium quae in Pandectis continentur, Parisiis 1557.
[11] A. Wielingii, Iurisprudentia restituta sive index chronologicus in totum juris
justinianaei corpus, ad modum Jac. Labiti et aliorum, 2 voll., Amstelodami
1727.
[12] C. F. Hommelii, Palingenesia librorum iuris veterum, sive Pandectarum loca integra ad
modum indicis Labitti et Wielingii oculis exposita et ab exemplari Florentini
Taurelli accuratissime descripta, 3 voll., Lipsiae 1767-1768).
Queste opere
esercitarono una profonda influenza nella scienza giuridica posteriore, almeno
fino alla seconda metà dell'Ottocento: fino a quando, cioè, non
fu pubblicata la nuova edizione critica dei Digesta
curata dal Mommsen e dal Krüger (Digesta Iustiniani Augusti. Recognovit adsumto in operis societatem
Paulo Kruegero Th. Mommsen, 2 voll., Berolini 1868-1870); per ammissione
dello stesso Lenel, le opere qui citate costituirono riferimenti obbligati per
il suo lavoro palingenetico: cfr. O.
Lenel, Palingenesia iuris civilis,
I, Lipsiae 1889, Praefatio, § I.
[13] Sul nuovo rapporto
tra diritto, filosofia e storia nel pensiero umanistico, un vero e proprio
«ampliamento dell'orizzonte giuridico», e sulle problematiche
relative, vedi R. Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano,
cit., pp. 580 ss., in part. 621 ss.
[14] F. Balduini, Commentarius de jurisprudentia muciana, Basileae 1558; l' opera fu
ripubblicata nel secolo XVIII col titolo: Scaevolae,
sive commentarius de jurisprudentia muciana; cfr. J. G. Heineccius, De
vita, fatis, ac scriptis, Francisci Balduini, in Id., Operum ad
universam iuris prudentiam, Tomus VII, Neapoli 1773, p. 223.
[15] A. Augustini, De Nominibus propriis “tou pandéktou” Florentini,
Tarracone 1579 (ripubblicata, dopo quasi un secolo e mezzo, da E. Otto nel suo Thesaurus Juris Romani, continens Rariora meliorum interpretum
Opuscula, cum Praefatione Everardi Ottonis. Tomus I, Lugduni Batavorum
1725); a proposito di quest'opera già il Lenel, Palingenesia
iuris civilis, I, cit., Praefatio,
§ I, rilevava come l'Agustin, in sede di ricostruzione, facesse ampio
ricorso ai frammenti di opere giurisprudenziali provenienti da fonti non
giustinianee («similes plane proposuit indices, auctos tamen ceteris
iuris prudentiae antiquae fragmentis, quae extra corpus iuris tradita tunc nota
erant»).
[16] E. Ottonis, De vita, studiis, scriptis et honoribus Servii Sulpicii, Lemonia, Rufi,
jurisconsultorum principis, liber singularis, in Thesaurus Juris Romani, Tomus V (curato dallo stesso Otto ),
Trajecti ad Rhenum 1735, coll. 1555 ss.
[17] Gregorii Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia
Fragmenta, quae extant in Juris Civilis Corpore, Commentarii, Genevae 1764.
Per biografia e opere di questo importante protagonista della cultura spagnola
del Settecento, che tenne la cattedra di diritto civile presso
l'Università di Valencia e fu bibliotecario reale a Madrid, vedi A. Morel-Fatio, Un érudit espagnol au XVIIIe siècle, Mayáns y
Siscar, Bordeaux 1915; ma anche la voce Mayáns
y Siscar (Gregorio), in Enciclopedia
Universal Ilustrada Europeo-Americana, XXXIII, Madrid-Bilbao-Barcelona s.
d., pp. 1294 ss., dove si da un breve resoconto delle restanti opere giuridiche
dello studioso.
Più in
particolare, sulle caratteristiche dell' opera esaminata qui di seguito, vedi
le rapide notazioni di G. Lepointe,
Quintus Mucius Scaevola. Sa vie et son oeuvre
juridique. Ses doctrines sur le droit pontifical, Paris 1926, pp. 5 s.
[18] Di tali difficoltà danno notizia gli stessi editori nella dedicatio al Barone di Bernstorf,
premessa all'edizione ginevrina del 1764: «Cum igitur sciremus, Gregorium
Majansium, Generosum Valentinum, cujus nomini Tu plurimum faves, scripsisse Commentarios ad triginta Iurisconsultorum
omnia Fragmenta quae exstant in Juris Civilis Corpore, ipsius auctoris
animum exploravimus, ut opus illud eruditorum precibus jam diu debitum in
publicam lucem nos edere sineret. Significavit autem Vir humanissimus, se
donasse exemplum accurate descriptum Nobilissimo Viro Gerardo Meermano,
primario Syndico Rotterodamensi, in eius celeberrima Bibliotheca collocandum,
ut quandocumque sibi quid humanitus contingeret, in ea superesset, ac
conservaretur: penes se vero solum exstare autographum a se ita scriptum, ut
difficiliter ab aliis legi possit propter litterarum formam, ut ei mos est,
celeriter effictam, ideoque, ut ipse ait, Ciceronianae similem, quae aliquando
indigebat Tirone interprete. Cujus rei nos certiores facti, litteras dedimus ad
Danielem Fellenbergium, Helvetiorum decus eximium, ut ea qua valet auctoritate
apud summum virum Gerardum Meermanum, exemplus illud obtineret nobis, ut tanti
Auctoris doctrina prosit omnibus».
[19] Antonii Augustini, Emendationum et Opinionum libri IIII, Venetiis 1543 (Basileae 1544;
Lugduni 1574; 1591); l'opera fu poi ripubblicata nel Settecento da E. Otto, Thesaurus Juris Romani, Tomus IV, Lugduni Batavorum 1729, coll. 1425 ss.
[20] Dialogos de las armas
y linages de la nobleza de España. Los escrivia D. Antonio Agustin [...]
cuya obra posthuma ha contejado con varios libros [...] y con diligentia ha
procurado emendarla D. Gregorio Mayáns y Siscar autor de la vida adjunta
de Don Antonio Agustin, Madrid 1734.
[21] G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum
omnia Fragmenta, cit., Praefatio,
pp. IV s.: «Est enim veluti clavis totius Juris, per quam hujus mysteria
panduntur ope facillimae illius conjunctionis legum ejusdem libri, quas omnes
utinam vir aliquis laboriosus integras describeret, praeposito argumento
uniuscujusque libri, et in fine operis omnibus librorum omnium argumentis
litterarum ordine dispostis, ut in singulis parata essent, et lectorum oculis
exposita omnia Pandectarum testimonia, quae quis tractare, ordinare, et
explicare vellet. Deinde singulis legibus subjungi deberet, quinam interpretes
eas data opera, aut obiter, similque feliciter interpretati sint. Quaenam Codicis
leges comprobantes, aut discordantes sint, quod Glossographi Juris jam
indicarunt. Praeterea externa omnia testimonia in Antonii Augustini Notis citata integre etiam describi deberent, et
suis quaeque locis aptari. Quae omnia si fierent, nihil amplius desiderari
posset ad facile, et utiliter scribendum, redigendumque Jus in compendium, quod
frustra Alciatus cogitavit, ut ipse
refert; Connanusque, Donellus, et Antonius Faber conati sunt».
[22] Nicolai Vigelii, Iuris civilis totius absolutissima Methodus, Basileae 1561; ma il
Mayáns leggeva l'edizione veneziana del 1571.
Su questo giurista
vedi, da ultimo, R. Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano,
cit., pp. 86 s.; l'illustre studioso evidenzia, con rapida sintesi, le
peculiarità dell' opera nella quale il Weigel «seguendo i dettami
della ratio e della dialectica fa una ridistrubuzione di
tutti i passi delle Istituzioni, del Digesto e del Codice di Giustiniano in un
nuovo ordine da lui ritenuto più idoneo a rappresentare l'insieme del
diritto pubblico e privato».
[23] Nicolai Vigelii, Digestorum Juris Civilis libri quinquaginta in semptem partes
distinctos, et quinque voluminibus comprehensos, Basileae 1584.
[24] Cfr. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia Fragmenta, cit., I, Praefatio, p. II.
[25] G. Maiansii, Ad triginta Juriconsultorum omnia Fragmenta, cit., Praefatio, p. V.
[26] F. Balduini, Commentarius de jurisprudentia muciana, cit. supra in n. 14. Ma anche quando potè conoscere l'opera, il
Mayáns non ritenne superfluo aver incluso Q. Mucio fra i triginta Jurisconsulti, per le ragioni
riferite di seguito (Op. loc. cit. in
n. precedente): «quae cum postea in manus meas pervenisset, animadverti
eum solum explicasse Q. Mucii Scaevolae
librum singularem ""oròn'', ex quo supersunt quatuor
fragmenta; et praeterea Commentarios scripsit in eas leges, in quibus Mucii nominantur: non tamen in omnes:
nam earum dimidiam partem vix explicavit: et triginta quatuor (sic!) libris Pomponii ad Q. Mucium, solum enarravit sex leges. Itaque titulus Jurisprudentiae Mucianae ambitiosus
est».
[27] Per l'elenco
completo, vedi G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia Fragmenta,
cit., Praefatio, pp. VII s.
[30] G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia Fragmenta, cit., Praefatio, p. IX: «Methodus, quam
in horum Jurisconsultorum illustratione servavi, haec est. Eorum textus ad suos
libros retuli, cum referri potuerunt».
[31] G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia Fragmenta, cit., Praefatio, p. X: «In verborum
significatione explicanda diligens esse volui, quia per eam sensus legum optime
ostenditur».
[32] G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia Fragmenta, cit., Praefatio, p. X: «Ad
interpretationem quod attinet, plerumque haec methodus mihi placuit. Si Jurisconsultus, quem interpretandum suscepi,
proposuit aliquam regulam, eam exemplis per Juris Corpus dispersis illustravi:
si casum singularem, fere semper regulam, unde ratio petitur, indicavi».
[33] G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum
omnia Fragmenta, cit., Praefatio,
p. X: «Singulas cuiusque textus sententias comprobare studui.
Comprobationes sumsi, vel ab ipsis Auctoribus, si fieri potuit, vel ab aliis
Jurisconsultis, et etiam a scriptoribus exteris, quorum testimonia plerumque
larga manu, aliquando parca allegavi, ea videns in ipsis fontibus, quoties eos
potui videre, potui autem fere semper».
[34] «Quintus Mucius: sive ad Quinti Mucii Scaevolae
fragmenta commentarii»: G.
Maiansii, Ad triginta
Jurisconsultorum omnia Fragmenta, cit., I, pp. 159 ss.
[35] «C. Ateius Capito: sive ad Caii Atei Capitonis
fragmenta commentarii»: G.
Maiansii, Ad triginta
Jurisconsultorum omnia Fragmenta, cit., II, pp. 167 ss.
[36] Esclusione,
peraltro ovvia, nella prospettiva seguita dal giurista spagnolo, il quale non
sente affatto la necessità di darne giustificazione; identico nei fatti,
seppure diversamente motivato, il comportamento di O. Lenel, Palingenesia
iuris civilis, I, cit., col. 763 n. 2: «Praetermis ea, quae ad solum
ius pontificium pertinent».
[37] <Nexum> Manilius scribit omne quod per
libram et aes geritur, in quo sint mancipia; Mucius quae per aes et libram fiant
ut oblige[n]tur, praeter quom mancipio dentur.
[38] Itemque ut illud:
gentiles sunt inter se, qui eorum nomine sunt. Non est satis. Qui ab ingenuis
oriundi sunt. Ne id quidem satis est. Quorum maiorum nemo servitutem servivit. Abest
etiam nunc. Qui capite non sunt deminuti. Hoc fortasse satis est. Nihil enim
video Scaevolam pontificem ad hanc definitionem addidisse.
[39] Scaevola autem P. f.
iunctum esse putat verbum, ut sit eo et "post'' et "limen'': ut, quae
a nobis alienata, cum ad hostem pervenerint, ex suo tanquam limine exierint, ea
cum redierint post ad idem limen, postliminio redisse videantur.
[40] Q. quoque Mucium
iureconsultum dicere solitum legi non esse usurpatam mulierem, quae, cum
Kalendis Ianuariis apud virum matrimonii causa esse coepisset, ante diem IIII
Kalendas Ianuarius sequentes usurpatam isset: non enim posse impleri
trinoctium, quod abesse a viro usurpandi causa ex duodecim tabulis deberet,
quoniam tertiae noctis posteriores sex horae alterius anni essent, qui inciperet
ex Kalendis.
[41] G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia Fragmenta, cit., I, p. 180
(«De penu legata probari potest
ex Ulpiano l. qui penum 3. de penu legata,
et ex Gellio, Lib. IV. Noct. Atticar.
cap. I»); p. 181 («Gellius, Noct.
Atticar. Lib. VII. cap. 15. allegavit Q. Scaevolae librorum, quos de jure composuit sextum decimum, et ex testimonio,
quos ex eo libro conservavit, apparet, Scaevolam in eo egisse de furtis»); p. 183
(«Praeterea Jusjurandum, quod in arrogando juraretur, a Q. Mucio
Pontifice Maximo conceptum dicitur, ut refert Gellius, Noct. Atticar. Lib. V. cap. 19»).
[42] Gellio, Noct. Att. 4, 1, 17: Nam Quintus Scaevolam ad demostrandam penum
his verbis usum audio: Penus est, inquit, quod esculentum aut posculentum est,
quod ipsius patrisfamilias <aut matrisfamilias> aut liberum
patrisfamilias <aut familiae> eius, quae circum eum aut liberos eius est
et opus non facit, causa paratum est. * * * , ut Mucius ait, penus videri
debet. Nam quae ad edendum bibendumque in dies singulos prandii aut cenae causa
parantur, penus non sunt; sed ea potius, quae huiusce generis longae usionis
gratia contrahuntur et reconduntur, ex eo, quod non in promptu est, sed intus
et penitus habeatur, penus dicta.
[44] Che il testo
gelliano sia fondamentale per la definizione di penus, lo si può ricavare chiaramente anche da ciò
che si legge in G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum omnia Fragmenta,
cit., I, p. 212: «Penum quis legavit. Videamus quid penoris legato
intelligere, et comprehendere voluit. Ulpiano docente Q. Mucius Scaevola
scripsit Lib. II Juris Civilis, penu
legata contineri quae usui (sic!) potuique sunt. Phavorinus philosophus apud Gellium Noct.
Atticar. Lib. IV cap. I Mucii verba conservavit, in quibus pleniorem
videmus definitionem penoris».
[45] O. Lenel, Palingenesia iuris civilis, I, cit., coll. 105 s., attribuisce a
Capitone cinque frammenti, nel seguente ordine: D. 8, 2, 13, 1 (= Proculo, Libro secundo epistularum); D. 23, 2, 29
(= Ulpiano, Libro tertio ad legem Iuliam
et Papiam); D. 24, 3, 44 pr. (= Paolo, Libro
quinto quaestionum), dove legge Capito
in luogo del Cato dei mss.; Festo, v.
Reus, p. 336 L.; Gellio, Noct. Att. 10, 20, 2.
La ragione del criterio
restrittivo è spiegata dallo studioso in una breve nota (col. 105 n. 1):
«Atei Capitonis fragmenta, quae extra Iustiniani digesta ad nos
pervenerunt, collegit Huschke [...] Quorum maior
pars, cum ad ius publicum et sacrum spectet, hoc loco erat praetermittenda.
Atei nomen, quod in dig. quatuor locis non adiecto cognomine occurrit, non ad
Capitonem spectat, sed ad C. Ateium Servii discipulum».
[46] G. Maiansii, Ad triginta Jurisconsultorum
omnia Fragmenta, cit., II, pp. 177 ss.: «Proculus Libro secundo Epistularum. in l. quidam 13.
§ parietem I. de servit. praedior. urbanor.» = D. 8, 2, 13, 1 (Parietem communem incrustare licet secundum
Capitonis sententiam, sicut licet mihi pretiosissimas picturas habere in
pariete communi: ceterum si demolitus sit vicinus et ex stipulatu actione damni
infecti agatur, non pluris quam vulgaria tectoria aestimari debent: quod
observari in incrustatione oportet); pp. 179 s.: «Ulpianus Libro tertio ad Legem Juliam et Papiam. in
l. quod et Ateius 29. de ritu nuptiarum» = D. 23, 2, 29 ([ Invitam libertam uxorem ducere patronus
non potest:] quod et Ateius Capito consulatu suo fertur decrevisse. Hoc
tamen ita observandum est, nisi patronus ideo eam manumisit, ut uxorem eam
ducat); pp. 180 ss.: «Labeo Libro
sexto Posteriorum a Javoleno epitomatorum. in l. avus 79. §. si pater I.
de iure dotium» = D. 23, 3, 79, 1 (Pater centum filiae nomine doti ita promisit ""cum
commodissimum esset''. Ateius scripsit Servius respondisse, cum primum
sine turpitudine et infamia dari possit, deberi); pp. 183 ss: «Labeo Libro secundo Posteriorum a Javoleno
epitomatorum. in l. qui quattuor 30. §. si aedes alienas ult. de legat. 3»
= D. 32, 30, 6 (Si aedes alienas ut dares
damnatus sis neque eas ulla condicione emere possis, aestimare iudicem oportere
Ateius scribit, quanti aedes sint, ut pretio soluto heres liberetur. Idemque
iuris est et si potuisses emere, non emeres); pp. 185 s.: «Javolenus Libro secundo ex posterioribus Labeonis. in
l. si uxori 39. §. Atteius (sic !) ult.
de auro, arg. mundo, ornam. unguent. veste, vel vestiment. et statuis legatis»
= D. 34, 2, 39, 2 (Ateius Servium
respondisse scribit, cui argentum, quod in Tusculano fundo cum moreretur
habuisset, legatum esset, et quod antequam moreretur ex urbe in Tusculanum
iussu testatoris translatum esset, deberi: contra fore, si iniussu translatum
esset); p. 186: « Paulus Libro
quadragensimo nono ad Edictum. in l. in summa 2. §. apud Ateium 4. de aqua
et aquae pluv. arcendae» = D. 39, 3, 2, 4 (Apud Ateium vero relatum est eam fossam, ex qua ad inferiorem fundum
aqua descendit, cogendum esse vicinum purgare, sive extet fossae memoria sive
non extet: quod et ipse puto probandum).
Mette conto
ricordare, ancora una volta, che la dottrina contemporanea non ritiene
attribuibili ad Ateio Capitone gli ultimi quattro frammenti: vedi O. Lenel, Palingenesia iuris civilis, cit., I, col. 105 n. 1. \
[47] Per la
ricostruzione completa dei frammenti del grande giureconsulto augusteo, vedi
ora il fondamentale lavoro di W.
Strzelecki, C. Atei Capitonis
fragmenta, Lipsiae 1967.
[49] I limiti di
siffatta impostazione metodologica, «che vien fatta risalire per il
diritto a Leibniz e ha avuto fortuna specie alla fine del secolo scorso»,
sono ben individuati ad esempio da V.
Giuffrè, Il «diritto
pubblico» nell'esperienza romana. Appunti di parte generale del corso,
Napoli 1977, p. 17:«Essa portava a ritenere che la vicenda
storico-politica e quindi anche costituzionale (quale storia 'esterna') sia
solamente la cornice entro la quale il diritto, essenzialmente diritto
“dei privati”, si sviluppa secondo una propria natura: una cornice
che poco o nulla condizionerebbe il contenuto del quadro». Per una
trattazione più generale dell'intera problematica, vedi lo stimolante
saggio di L. Raggi, Storia esterna e storia interna del diritto
nella letteratura romanistica, in Bullettino
dell'Istituto di diritto romano 62, 1959, pp. 199 ss. = Id., Scritti, Milano 1975, pp. 72 ss.
[50] J. G. Heineccii, Antiquitatum Romanarum jurisprudentiam illustrantium syntagma
(1719), Venetiis 1771, I, pp. 262 ss. (Adpendix
intitolata: De Jure Antiquo Civium
Rom(anorum), Latinorum, Italiae, Provinciarum, nec non Conditione Peregrinorum;
di cui appare particolarmente significativo il Cap. I: De iure Quiritium et Civitatis).