Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-2
Francesco
Sini
Sassari, Libreria
Dessì Editrice, 1983
pp. 234
Dai documenti degli archivi al sistema
giuridico-religioso
Sommario:
1. Documenti sacerdotali e
sistema giuridico-religioso. – 2. Teologia varroniana
e prospettive e sistematiche dei sacerdoti. – 3. Libri e commentarii sacerdotali,
lessico politico-religioso e terminologia giuridica.
[p.
209]
Basterebbe, forse, solo ripercorrere
l'elenco delle materie di cui si è dimostrata, su
basi testuali, l'appartenenza a libri e commentarii sacerdotali per
constatare quale siano stati i risultati ottenuti in questa prima parte della ricerca. Resta
ovviamente ancora molto da fare, sia come approfondimento dei diversi aspetti classificatori e sistematici sottesi ai
testi attribuibili a libri
e commentarii[1]; sia, soprattutto, come reperimento attraverso lo spoglio delle fonti
latine di un “corpus” completo di testi giuridico-religiosi provenienti dagli
archivi dei sacerdoti romani[2].
Tuttavia, sarebbe di certo riduttivo
ritenere che l'aver dimostrato la
possibilità, e la liceità, di definire i libri
e i commentarii sacerdotali,
individuandone forme e contenuti, abbia una valenza
essenzialmente riconducibile al problema dei generi documentari degli archivi (libri, commentarii,
annales, fasti, etc.), dove peraltro gli effetti della distinzione sono risolutivi. I risultati più significativi della ricerca fin
qui compiuta sono, infatti, piuttosto di ordine
metodologico: è stato cioè possibile superare criticamente quella diffusa visione negativa circa l'attendibilità
delle fonti che attestano la tradizione documentaria sacerdotale, il cui predominio nella dottrina contemporanea ha determinato la quasi totale
obliterazione, in sede di storia delle istituzioni arcaiche, dell'apporto
ordinatorio e conoscitivo di tale tradizione[3].
[p. 210]
Eppure questi materiali giuridico-religiosi, proprio
perché di provenienza sacerdotale, debbono essere considerati
come le più preziose evidenze delle prime ed autentiche
riflessioni che i romani, attraverso i sacerdotes, svilupparono sul loro sistema
giuridico-religioso.
Quanto poi agli aspetti generali che concorrono alla individuazione del “sistema”, e alle ragioni addotte per l'utilizzazione di tale terminologia, mi pare da condividere l'impostazione del Catalano[4]. Questo studioso, di cui s'è già detto il rifiuto del termine "Stato" a proposito della realtà romana, prospetta la seguente ricostruzione: «il populus Romanus Quirites, le sue parti (collettività e singoli) e i suoi Dei, così come gli altri populi (o reges) e homines e Dei, agiscono dentro un “sistema” di cui con particolare attenzione vengono scorti e precisati gli aspetti temporali e spaziali»; da sottolineare il fatto che secondo l’autore gli elementi di precisazione del sistema, religioso e giuridico al contempo, si ricavano dallo studio degli «insiemi normativi elaborati dalla giurisprudenza sacerdotale», cioè dal ius augurium, dal ius pontificium e dal ius fetiale[5].
Ad una prima verifica, le fonti che
possono attribuirsi a testi sacerdotali non lasciano
trasparire una così netta rilevanza della
dualità pitagorico-varroniana di spazio/tempo. E’ però noto, che questi aspetti erano rilevanti per i criteri
sistematici della teologia varroniana: il binomio
spazio/tempo, giustapponendosi al
precedente uomini/dei, stava infatti alla base delle Antiquitates[6], le cui materie, a quanto risulta
dalla testimonianza di
Agostino De civ. Dei 6, 3, erano sistemate come segue: secondo una quadripartizione le Antiquitates rerum
[p. 211]
humanarum (qui agant, ubi agant,
quando agant, quid agant); mentre la materia delle Antiquitates rerum divinarum era divisa in cinque parti: de
hominibus, de locis,
de temporibus, de sacris, de
diis[7].
Sorge così un problema più generale: si
tratta di valutare
sulla base dei
documenti sacerdotali la prospettiva teologica di
Varrone, al fine di individuare la sua conformità o meno alle
sistematiche indicate dalle fonti come proprie di tali documenti. A questo scopo vengono qui considerati i
contenuti di
alcuni testi riferibili a sacerdotes, in quanto in essi appaiono piuttosto espliciti gli intenti
classificatori.
Riguardo agli auguri, si è già evidenziata
nel capitolo precedente
la potenzialità ordinatoria rispetto ai materiali raccolti in libri e
commentarii del testo ciceroniano De legibus 2, 21[8]; non
resta che constatarne la difformità rispetto alla sistematica varroniana delle res
divinae, sebbene i
singoli elementi
possono in qualche modo ritrovarsi.
Si è già ugualmente accennata la distinzione religio, res divinae, caerimoniae e
sacra formulata da Cicerone, De
domo 33[9], per le materie contenute nei libri
pontificum: sull'importanza del passo conviene mettere ancora una volta
l'accento, non solo per gli autorevoli interlocutori a cui l'orazione
era rivolta; ma anche, e soprattutto, perché in altra
parte di quel testo si
citano, come documenti diversi ed autonomi dai libri, i
commentarii pontificum[10].
Sempre a proposito dei pontefici, viene poi da considerare un famoso passo liviano, nel quale, dopo aver
riferito sulla istituzione di alcuni sacerdozi, lo storico patavino
espone le funzioni dei pontefici quali
risultavano dai sacra omnia exscripta
exsignataque di Numa Pompilio[11]:
Livio 1, 20,
5-7: Pontificem deinde Numan Marcium Marci filium ex
patribus legit (sost. Numa) eique sacra omnia exscripta
exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus diebus, ad quae tempia sacra fierent, atque unde in eos
sumptus pecunia erogaretur. Cetera quoque omnia
[p. 212]
publica privataque sacra pontificia
scitis subiecit, ut esset quo consultum plebes veniret, ne
quid divini iuris neglegendo patrios
ritus peregrinosque adsciscendo turbaretur; nec caelestes modo caerimonias, sed iusta quoque funebria placandosque manes ut idem
pontifex edoceret, quaeque prodigia
fulminibus aliove, quo visu missa susciperentur
atque curarentur.
Anche questo testo, che pure si rivela prezioso per la definizione
dell'archivio dei pontefici, poiché conserva caratteri assai risalenti come la formula onomastica del pontifex[12] che lo qualificano di autentica derivazione pontificale,
non appare conforme né assimilabile alla prospettiva
varroniana, quale che sia la partizione che si preferisce adottare[13]. Tuttavia da esso può trarsi un concreto indizio, quasi
dimostrazione indiretta, del fatto che anche Varrone utilizzava materiali
di provenienza pontificale: v'è, infatti, una sorprendente rispondenza
del testo liviano 1, 20, 1-5 sull'istituzione dei sacerdozi, con la trattazione
de sacerdotibus in De
ling. Lat.
5, 83-86[14]; entrambi, pur nella non perfetta corrispondenza dei sacerdozi
menzionati, tacciono degli auguri.
Orbene, anche alla luce di
quest'ultima considerazione, mi parrebbe poco credibile, seppure manchi la testimonianza diretta, che Varrone nell'ordinare logicamente i libri
delle Antiquitates[15] abbia potuto ignorare elementi di
sistematica sacerdotale[16], che del resto la stessa materia
imponeva di trattare.
Al riguardo, non può
costituire argomento contrario il fatto che lo stesso Varrone dia conto in
altra sede della medesima partizione sottesa alle Antiquitates (umane e divine) argomentandola con motivazioni
filosofiche[17] (però assai significativamente pitagoriche, cioè di quella
filosofia che il pensiero pontificale
avvicinava di più alla religiosità romana antica espressa dalla
figura di Numa[18]).
Ciò non è affatto concludente,
poiché altre potevano essere le preoccupazioni del De lingua Latina, sebbene anche in
quest'opera non mancherebbero aderenze a schemi assai
più risalenti (di derivazione
[p. 213]
sacerdotale?), qualora risultassero esatte le tesi del
Gerschel a proposito della divisione operata
trattando de hominibus in De ling. Lat. 5, 80-94, nella quale sarebbe da vedere la sopravvivenza di un antichissimo
“ordine”: «l’ordre même de fonctions sociales héritées des
Indo-Européens»[19].
Dunque, si direbbe che la partizione delle Antiquitates
di Varrone non attenesse
ad un particolare collegio sacerdotale[20], ma piuttosto alle intere res
divinae; si trattava insomma, per il teologo reatino, di cambiare il punto d'osservazione rivolgendosi cioè all'intero
“sistema” della religione, e quindi
alla costruzione complessiva religiosa e giuridica elaborata dai sacerdoti romani. Se questa è la
prospettiva, conviene
muovere anzitutto da «les deux grandes division, exhaustives, de la religion»[21], precisate dalla stessa teologia ufficiale: la
religio si articolava infatti, come testimonia Cicerone, in sacra e auspicia[22].
Ciò induce ad alcune riflessioni. In primo luogo
mette conto notare che raffrontando il dualismo sacra/auspicia
in rapporto agli homines, avendone massimamente presente la competenza, scaturisce il
fondamentale binomio di ius publicum
sacerdote/magistrato, di cui
Varrone si occupa – com’è noto in ordine inverso –
nel quinto libro del De lingua Latina[23] e
che possiamo a ragione supporre dovesse essere trattato nelle parti relative agli homines
delle Antiquitates[24]. Ma
con tale ulteriore
precisazione del rapporto sacerdote/magistrato,
la divisione della religio in sacra e auspicia si presenta simile
per un rilevante aspetto ideologico alla sistematica giurisprudenziale del ius publicum (sacra, sacerdotia, magistratus)[25], sottesa
nel De legibus ciceroniano[26]26 ed esplicitata nel celebre passo delle institutiones di Ulpiano: Publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit[27]; poiché in entrambe le opere sembra predominare una uguale gerarchia, anteponendo
i sacerdoti ai magistrati.
Questa simiglianza rappresenta un fatto di notevole portata, in quanto consente di definire con precisione la matrice ideologica della concezione ciceroniana e ulpianea del ius publicum.
[p. 214]
Essa
trae le sue radici da una gerarchizzazione assai antica delle parti del ius publicum, sostanzialmente antiplebea, risalente di certo alla elaborazione sacerdotale di
età precedente
al pareggiamento dei due ordini, o ad età immediatamente successiva: prova di ciò può trovarsi
nel fatto che con
l'avvento dei plebei alle magistrature,
questi introdussero la consuetudine non solo
di cumulare magistratura e sacerdozio, ma di anteporre gli honores ai sacerdotia[28] (schema ancora conservato in Varrone, De ling. Lat., 5, 80-86), che divenne tipica dell'età medio-repubblicana. Tuttavia, la
conservazione tenace degli ambienti
sacerdotali consentì all'antica partizione del ius publicum non solo di sopravvivere, ma di affermarsi nella sistematica giurisprudenziale del III e II secolo
a.C., fino ad essere riproposta in funzione politica nel I
secolo; e non a caso da un moderato come Cicerone. Nell'età
imperiale le vicende politiche
portarono alla riaffermazione definitiva dei sacerdotia sulle magistrature, quando, svuotatesi queste di significato, gli esponenti della nuova società
sostituirono agli honores l'immutata dignitas dei sacerdozi.
I brevi cenni fin qui esposti
lasciano dunque intravvedere quale rapporto
di sostanziale unità intercorresse nel sistema giuridico-religioso romano tra
la “totalità” di esso e la pluralità di prospettive sistematiche,
sacerdotali e non sacerdotali[29], al suo interno
operanti. Mostrano, al tempo stesso, quanto il rapporto in questione possa essere utilmente chiarito
dallo studio degli «insiemi normativi»[30] elaborati dai sacerdotes (ius pontificium, ius augurium, ius
fetiale), e meglio precisato utilizzando per
l'analisi i testi sacerdotali contenuti in libri e commentarii.
[p. 215]
Questi, non si dimentichi, costituivano la parte
più
rilevante
degli archivi, poiché il contenuto loro attribuito dalle fonti non riguarda solo rituale e
funzioni sacerdotali, bensì anche le più risalenti procedure del ius civile, la gerarchia e le competenze dei magistrati, la provocatio etc.
Dalla ristabilita
distinzione tra libri e commentarii si ricavano molte valide indicazioni e criteri
non opinabili per la raccolta e la classificazione di quei frammenti sparsi
nelle più disparate fonti, ma di sicura derivazione sacerdotale.
Frammenti
che, se raccolti e ordinati, potrebbero costituire un “corpus” di testi
giuridico-religiosi, indispensabile base primaria per la definizione del lessico
“politico-religioso” romano
arcaico[31].
Viene così in primo piano
l'aspetto della ricerca che riguarda
termini e concetti. Pur essendo ormai riconosciuta in maniera
sempre più ampia l'importanza della lessicografia giuridica
e politica (Archi, Nicolet)[32]; resta tuttavia ancora per
molti versi stimolante, a proposito di terminologia e dommatica giuridica, l'acuta tesi del Biondi: il quale
più di trent'anni
fa, deplorando che l'antica terminologia giuridica, benché «mezzo sicuro e prezioso», fosse
poco utilizzata dalla
dottrina allora
dominante «per la ricostruzione dei relativi concetti»,
aveva sostenuto che «in definitiva, la prima ed elementare
dommatica giuridica è racchiusa nel termine»[33].
È proprio dalla reciproca
dipendenza tra termini e concetti,
che emergono le molte potenzialità del lessico politico-religioso romano
arcaico, sia come elemento ricostruttivo della
società più antica e
delle sue istituzioni[34], sia come individuazione
dei concetti giuridici[35]
sulla cui base ridefinire – in prospettiva non statualista – il cosiddetto
«diritto pubblico romano».
[p. 217]
[1] Agli aspetti classificatori e
sistematici sarà dedicato quanto prima un secondo volume, in cui saranno pubblicati
formule solenni ed altro materiale di
provenienza sacerdotale tratti dai libri ab urbe condita di Tito Livio.
[2] Cfr. F.
SINI, Documenti
sacerdotali e lessico politico-religioso di Roma arcaica, in Atti del convegno sulla
lessicografia politica e giuridica nel campo delle scienze dell’antichità, Torino 1980, pp. 127 ss.
[3] Simili impostazioni risultano stranamente generalizzate
nella dottrina romanistica
attuale; vi aderiscono cioè anche studiosi peraltro assai attenti alle
vicende giuridiche e religiose della più antica comunità romana: così, ad esempio, R. ORESTANO, Fatti di
normazione nell'esperienza romana arcaica, Torino
1967, pp. 74-75: «tutte le notizie che ne abbiamo ci sono fornite in modo indiretto da testi e narrazioni di gran
lunga posteriori allo svolgersi
degli avvenimenti. In queste narrazioni leggenda e storia si intrecciano in maniera non facilmente districabile. Inoltre i
fatti e le loro qualificazioni
sono “ripensati” ed espressi, il più delle volte, in schemi
e parole dell'età
cui appartengono gli autori di queste narrazioni. Perfino i passi in cui essi vorrebbero tramandarci la testimonianza di
antichi atti o di formule di atti, religiosi o giuridici, contengono spesso
deformazioni, incomprensioni
e sempre un ammodernamento dell’antica lingua. È quindi assai pericoloso voler attribuire una rilevanza sostanziale
– positiva o negativa – ai
modi e alle parole con cui certi fatti delle età più antiche sono
presentati dalla letteratura degli ultimi secoli della Repubblica o addirittura
dei secoli successivi».
[5] P.
CATALANO, Aspetti
spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus,
templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 16, 1,
Berlin - New York 1978, pp. 445-446.
[6] Sulla sistematica delle Antiquitates di Varrone, vedi in
generale H. DAHLMANN, M. Terentius Varro, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft,
Suppl. VI, Stuttgart 1935, coll. 1229 ss.; J.
COLLART, Varron grammairien latin, Paris 1954, pp. 275
ss., cfr. 36 ss.; A. C. CONDEMI, Prooemium a M. Terenti Varronis Antiquitates rerum divinarum, librorum I-II fragmenta,
[p. 218]
Bologna 1965, pp. VII ss.; B. CARDAUNS, M. Terentius Varro Antiquitates Rerum Divinarum, Teil II. Kommentar, Wiesbaden 1976 (ivi altra bibliografia); P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 446 ss.
[7] Agostino, De civ. Dei 6, 3: In
divinis identidem rebus eadem ab illo divisionis forma servata est, quantum
attinet ad ea, quae diis exhibenda sunt. Exhibentur enim ab hominibus in locis
et temporibus sacra. Haec quattuor, quae dixi, libris complexus est ternis: nam
tres priores de hominibus scripsit, sequentes de locis, tertios de temporibus,
quartos de sacris, etiam hic, qui exhibeant, ubi exhibeant, quando exhibeant,
quid exhibeant, subtilissima distinctione commendans. Sed quia oportebat dicere
et maxime id exspectabatur, quibus exhibeant, de ipsis quoque diis tres
conscripsit extremos, ut quinquies terni quindecim fierent. Sunt autem omnes,
ut diximus, sedecim, quia et istorum exordio unum singularem, qui prius de
omnibus loqueretur, apposuit.
[8] Cfr. supra pp. 175 ss.
[11] Sul probabile rapporto tra i sacra
omnia exscripta exsignataque di Numa Pompilio e i “primi” libri dei pontefici, rimando alle
argomentazioni sviluppate nel capitolo precedente;
vedi in particolare pp. 160 ss.
[12] Per la dimostrazione vedi E. Peruzzi, Origini di Roma, I. La famiglia, Firenze
1970, pp. 142 ss.
[13] Sulla tripartizione: quibus hostiis,
quibus diebus, ad quae tempia si soffermava
già A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l’ancienne Rome, Paris 1871, pp. 61
ss.; mentre N. TURCHI, La religione di Roma antica, Bologna 1939, p. 41 tende ad individuare cinque parti
(controllo rituale; responsi sull'attività
circa le cose sacre private e pubbliche; controllo sul culto degli dei patri e sull'accettazione dei culti stranieri;
controllo sul diritto funerario;
espiazione e neutralizzazione di fulmini e altri prodigi funesti); alla tripartizione
torna invece E. PERUZZI, Origini di Roma, II. Le lettere, Bologna 1973, pp. 165 s., ma con diverse articolazioni per
alcune delle parti (cfr. supra p.
86, n. 142).
[14] Varrone,
de ling. Lat. 5, 83-86: Sacerdotes universi a sacris dicti. Pontufices, ut
Scaevola Quintus pontufex maximus dicebat, a posse et facere, ut potentifices.
Ego a ponte arbitror: nam ab his Sublicius est factus primum ut restitutus
saepe, cum ideo sacra et uls et cis Tiberim non mediocri ritu fiant. Curiones
dicti a curiis, qui fiunt ut in his sacra faciant. Flamines, quod in Latio
capite velato erant semper ac caput cinctum habebant filo, filamines dicti. Horum singuli cognomina habent ab eo deo cui sacra
faciunt;
[p. 219]
sed
partim sunt aperta, partim obscura: aperta ut Martialis, Volcanalis; obscura
Dialis et Furinalis, cum Dialis ab Iove sit (Diovis enim), Furinalis a Furrina,
cuius etiam in fastis feriae Furinales sunt. Sic flamen Falacer a divo patre
Falacre. Salii ab salitando, quod facere in comitiis in sacris quotannis et
solent et debent. Luperci, quod Lupercalibus in Lupercali sacra faciunt. Fratres Arvales
dicti qui sacra publica faciunt propterea ut fruges ferant arva: a ferendo et
arvis Fratres Arvales dicti. Sunt qui a fratria dixerunt: fratria est Graecum
vocabulum partis hominum, ut Neapoli etiam nunc. Sodales Titii ab avibus
titiantibus dicti, quas in auguriis certis observare solent. Fetiales, quod
fidei publicae inter populos praeerant: nam per hos fiebat ut iustum conciperetur
bellum, et inde desitum, ut foedere fides pacis constitueretur. Ex his
mittebantur, ante quam conciperetur, qui res repeterent, et per hos etiam nunc
fit foedus, quod fidus Ennius scribit dictum. Livio, 1, 20, 1-5: Tum sacerdotibus
creandis animum adiecit, quamquam ipse plurima sacra obibat, ea maxime quae
nunc ad Dialem flaminem pertinent. Sed quia in civitate bellicosa plures Romuli
quam Numae similes reges putabat fore iturosque ipsos ad bella, ne sacra regiae
vicis desererentur flaminem Iovi adsiduum sacerdotem creavit insignique eum
ueste et curuli regia sella adornavit. Huic duos flamines adiecit, Marti unum,
alterum Quirino, virginesque Vestae legit, Alba oriundum sacerdotium et genti
conditoris haud alienum. His ut adsiduae templi antistites essent stipendium de
publico statuit; virginitate aliisque caerimoniis venerabiles ac sanctas fecit.
Salios item duodecim Marti Gradiuo legit, tunicaeque pictae insigne dedit et
super tunicam aeneum pectori tegumen; caelestiaque arma, quae ancilia appellantur,
ferre ac per urbem ire canentes carmina cum tripudiis sollemnique saltatu
iussit. Pontificem deinde Numam Marcium Marci filium ex patribus legit eique
sacra omnia exscripta exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus diebus, ad
quae templa sacra fierent, atque unde in eos sumptus pecunia erogaretur.
[15] La stessa divisione delle Antiquitates in humanae e divinae appare improntata in
maniera evidente a «quella che è stata la piú antica concezione romana del mondo, rimasta
costante in tutta la tradizione, secondo la quale la totalità degli esseri ragionevoli si
divideva in due gruppi, gli Dei e gli uomini. Da essa scaturiva la suprema distinzione di tutti i
rapporti e delle
pertinenze in “divina” e “umana”»: R. ORESTANO, Dal ius al fas. Rapporto tra diritto divino e
umano in Roma dall'età primitiva all'età classica, in Bullettino dell'Istituto di diritto romano 46,
1939, p. 201.
Su tale concezione del mondo, di cui
risulta evidente la derivazione sacerdotale e la tendenza universalistica propria della scienza
pontificale (cfr. la definizione del pontefice massimo nell’antichissima
formulazione dell’ordo sacerdotum: Festo, p.
[p. 220]
[16] La dottrina romanistica dominante, pur senza condividere la
tesi di C. CICHORIUS, Römische
Studien. Historisches Epigraphiches Literargeschichtliches aus vier
Jahrhunderten Roms, Leipzig-Berlin
1922, pp. 198 ss., il quale riteneva
probabile l'appartenenza di Varrone al collegio dei Quindecimviri sacris faciundis, dà quasi per scontata la conoscenza, e
l'utilizzazione di prima mano, dei documenti
ufficiali dei collegi sacerdotali da parte del grande Reatino: cfr. per
tutti, G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen
Pontifices, Berlin 1936, pp. 19 ss.; B. CARDAUNS, M. Terentius Varro Antiquitates Rerum Divinarum, II. Kommentar, cit., pp. 239 ss.
[17] Varrone, De ling. Lat. 5, 11-12: Pythagoras Samius ait omnium rerum initio esse bina ut
finitum et infinitum bonum et malum, vitam et mortem, diem et noctem. Quare item duo
status et motus *** quod stat aut agitatur, corpus, ubi agitatur,
locus, duro agitatur, tempus, quod est in agitato, actio. Quadripertitio magis sic
apparebit: corpus est ut cursor, locus stadium qua currit, tempus hora qua
currit, actio cursio. Quare fit, ut ideo fere omnia sint quadripertita et ea aeterna, quod
neque unquam tempus, quin fueri[n]t motus: eius enim intervallum tempus;
neque motus, ubi non locus et corpus, quod alterum est quod movetur, alterum ubi; neque ubi is
agitatus, non actio ibi.
[18] Sui rapporti tra Roma arcaica e protorepubblicana ed il
pitagorismo, in
particolare sulla leggenda di Numa e Pitagora, oltre l’ormai classica opera di L. FERRERO, Storia del pitagorismo nel mondo romano (dalle
origini alla fine della repubblica), Torino
1955, pp. 141 ss., fra gli studi più recenti vedi: S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, II. 1, Bari 1966, pp. 106 ss., 515 s., 521 s.; ID., Intorno ai rapporti fra annalistica e diritto:
problemi di esegesi e critica testuale, in
La critica del testo. Atti del II
Congresso internazionale della Società Italiana di Storia del
diritto, II, Firenze 1971,
pp. 441 ss.; G. GARBARINO, Roma e la filosofia greca dalle origini alla fine
del II secolo a.C., II. Commento e indici, Torino 1973, pp. 220 ss.; G.
VITUCCI, Pitagorismo e legislazione “numaica”, in La
filosofia greca e il diritto romano, I (Accademia Nazionale dei Lincei, Quaderni 221), Roma 1976, pp. 153 ss.; L. PICCIRILLI,
Introduzione a Plutarco, Le vite di Licurgo e Numa, a cura di M.
Manfredini e L. Piccirilli, Fond. Valla, 1980, pp. XXX ss.
[20] Criticabile perciò, sul piano metodologico, la
pretesa di utilizzare la quadripartizione varroniana per sistemare i
frammenti dei libri pontificum: così P.
PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, Tilsit 1878.
[21] L'espressione è di C. DUMÉZIL, Idées romaines, Paris 1969, p. 96 n. 1. Nello stesso senso, cfr. J. BAYET, Histoire politique et psychologique de la religion romaine, 2a ed., Paris 1969, p. 128; R. SCHILLING, L'originalité du vocabulaire religieux latin, in Cultes,
rites, dieux de Rome, Paris 1979, p. 37:
«En définitive, on comprend que
les pontifices et les augures constituent pour les Anciens les piliers
fondamentaux de la religion romaine. Les premiers administrant les sacra, les
seconds interviennent dans la prise des auspicia - division qui
correspond aux deux provinces de la religion romaine».
[p. 221]
[22] Cicerone, De nat. deor. 3, 5: Cumque omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit,
tertium adiunctum sit, si quid praedictionis causa ex portentis et monstris
Sibyllae interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam
contemnendam putavi mihique ita persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris
constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine
summa placatione deorum inmortalium tanta esse potuisset. Auspicia e sacra costituiscono dunque per Cicerone, non solo i due principali campi della religio (intesa nel senso di “culto degli dei”: De nat. deor. 2, 8: Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris rebus
aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est culto deorum,
multo superiores), ma gli stessi fundamenta della civitas romana: su questa “fondamentale” funzione della religione nella comunità romana, cfr. anche
Livio 5, 51, 5; 5, 52, 2; 44, 1, 11; Valerio Massimo 1, 1, 9;
Tertulliano, Apol. 25, 2.
Per quanto riguarda poi significato e valore della
religio, vedi,
fra la bibliografia più
recente, H. FUGIER, Recherches sur
l'expression du sacré dans la langue latine, Paris 1963, pp.
172 ss.; É. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, II.
Pouvoir, droit, religion, Paris 1969, pp. 265 ss.; da ultimo, R. MUTH,
Von Wesen römischer "religio', in Aufstieg und
Niedergang der römischen
Welt, II. 16, 1, Berlin-New York 1978, pp. 290 ss. (ivi per altra
bibliografia).
[24] Delle
Antiquitates
Rerum Divinarum è conosciuto l'ordine di esposizione per quanto riguarda i sacerdotes: Agostino, De civ. Dei 6, 3: Quo absoluto consequenter ex illo quinquepertita distributione
tres praecedentes, qui ad homines pertinent,
ita subdivisit, ut primus sit de pontificibus, secundus de auguribus, tertius de quindecimviris sacrorum; per la ricostruzione dei tre libri de sacerdotibus, vedi B. CARDAUNS, M. Terentius Varro Antiquitates Rerum Divinarum, I. Die Fragmente, cit., pp. 39 ss.
[25] «Si tratta di una suddivisione propria della
giurisprudenza repubblicana, tracciata
in spontanea adesione ai documenti sacerdotali e magistratuali»: P. CATALANO, La divisione del potere in Roma (a proposito di Polibio
e di Catone), in Studi Grosso, VI, Torino 1974, p. 676.
[27] D. 1, 1, 1,
[p. 222]
fra gli altri: C. NOCERA, lus publicum
(D. 2, 14, 38). Contributo alla ricostruzione storico-esegetica
delle regulae iuris, Roma 1946, pp.
152 ss.: «Ulpiano è
sulla scia della
più pura tradizione romana» (p. 161); F. WIEAKER, Doppelexemplare
der Institutionen Florentins, Marcians und Ulpians, in Mélanges De Visscher, II, Bruxelles 1949, p. 585, il quale
sostiene che sacra, sacerdotia
e magistratus
è
suddivisione di inconfondibile stampo repubblicano; C. GROSSO, Problemi
generali del diritto attraverso il diritto romano, 2a ed., Torino
1967, pp. 87 ss.
[28] Sul problema vedi i penetranti
accenni di S. MAZZARINO, Storia e diritto
nello studio delle società classiche, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche. Atti del I Congresso
internazionale della Società Italiana di
Storia del diritto, Firenze
1966, pp. 51 ss.
[29] Sul ruolo delle tecniche divisorie nella
“attività sistematica” della giurisprudenza
romana, vedi in generale: M. TALAMANCA, Lo
schema “genus
– species” nelle sistematiche dei giuristi romani, in
La filosofia greca e
il diritto romano, II (Accademia Nazionale dei Lincei, Quaderno 221), Roma 1977.
[30] Prendo l’espressione
«insiemi normativi» da P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus,
templum, urbs, ager, Latium, Italia, cit., p. 446.
[31] Come ho avuto modo di mostrare nella comunicazione Documenti
sacerdotali e lessico
politico-religioso di Roma arcaica, presentata al convegno di
studi lessicografici, tenutosi a Torino, presso l'Accademia delle Scienze, nei
giorni 28 e 29 aprile 1978: ora in
Atti del Convegno
sulla lessicografia politica e giuridica
nel campo delle scienze dell'antichità, cit., pp. 127 ss.
[32] Cfr., in tal senso, C. C. ARCHI, Lessicologia
e lessicografia negli studi di diritto
romano del nostro secolo, in Atti
del Convegno sulla lessicografia politica e giuridica nel campo
delle scienze dell'antichità, cit., pp. 55 ss.; C. NICOLET, Lexicographie politique et histoire romaine: problèmes de
méthode et directions de recherches,
ibidem, pp. 19 ss.
[33] B.
BIONDI, La terminologia romana come
prima dommatica giuridica. Contributo alla
storia del linguaggio giuridico, in Studi
Arangio-Ruiz, II, Napoli 1953, p. 77 (= Scritti giuridici, I, Milano 1965, p. 184). Ancora
assai penetranti ed attuali appaiono,
invero, le osservazioni dell'illustre studioso: «Io penso
che l’antica terminologia sia un mezzo sicuro e prezioso, finora poco sfruttato,
per la ricostruzione dei relativi concetti, appunto perché quella terminologia,
con cui si esprime il ius civile, è desunta dall'uso comune e i termini giuridici hanno
precisamente quel significato che hanno nella vita quotidiana.
Nessuna preziosità di linguaggio. Nessun termine tecnico, cioè tale che
non possa essere esattamente inteso da tutti, anche dai non giuristi. Come
l'antico diritto, secondo la concezione ciceroniana, è a
natura ductum, cioè ricavato dalla stessa realtà della
vita, così la terminologia è desunta
[p.
223]
dall'uso comune. I rapporti giuridici, prima di essere tali, sono rapporti sociali, aventi una propria denominazione, la quale viene assunta dal diritto nel momento stesso in cui tali rapporti sono attratti nell’orbita del diritto. Pertanto i termini giuridici sono intelleggibili a tutti. Ogni parola è trasparente, in quanto racchiude in sé il concetto. In definitiva la prima ed elementare dommatica giuridica è racchiusa nel termine».
[34] C.
NICOLET, nella stimolante relazione Lexicographie politique et histoire romaine: problèmes de méthode et
directions de recherches, in Atti del Convegno sulla lessicografia politica e giuridica nel
campo delle scienze dell'antichità, cit.,
p. 29, ha espresso un significativo accordo circa la strada da seguire per la
ricostruzione di teorie politiche originarie romane (anteriori all’influenza ellenica); cioè, circa
l’utilizzazione di quella che egli definisce «“l'archéologie” d'un droit
sacro-politique», che consiste, appunto, nell'individuare la partizione del sistema romano sulla base
delle formule e parole solenni e dei documenti giuridico-religiosi:
«Mais d'une part il n'est pas prouvé qua les Romains n'aient pas eu,
indépendamment des grecs, une autre typologie pour décrire, analyser et
commenter des structures ou des actions
politiques, qu'il nous faut rechercher dans ce qu'on pourrait appeler "l'archéologie" d'un droit
sacro-politique (ce qu'a fait avec tant de perspicacité P. Catalano); et ce sont des études
lexicographiques, au départ, qui peuvent
nous renseigner» Cfr. inoltre, sempre a proposito del metodo del Catalano, Polybe,
Histoires, livre VI, Notes compleméntaires (par C. Nicolet), Paris 1977, p. 149 s.
[35] Sui concetti giuridici, quale parte «la plus stable du
système», vedi da ultimo P.
CATALANO, Résistance des
traditions, pluralité des ordres et rencontre des systèmes
juridiques dans l'aire méditerranéenne. Quelques précisions de concepts, in Beryte 6, 1981, p. 12; ma più in generale cfr. I. ZAJTAY, Begriff, System und Präjudiz in
den kontinentalen Rechten und im Common Law, in
Archiv für die civilistische Praxis 165, 1965, pp. 97 ss.