Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-2
Francesco Sini
Documenti
sacerdotali di Roma antica
Sassari,
Libreria Dessì Editrice, 1983
pp. 234
Cap. II
LIBRI
E COMMENTARII SACERDOTALI NELLA
STORIOGRAFIA CONTEMPORANEA
Sommario:
I. L’Ottocento.
– 1. Precisazione dei motivi che
inducono ad escludere dalla trattazione la storiografia anteriore all’Ottocento.
– 2. Le principali tesi
relative alla distinzione tra libri e commentarii. – 3.
Rifiuto della distinzione tra libri
e commentarii come generi di documenti (per il contenuto). –
4. Progessiva affernazione
delle tesi contrarie alla distinzione ed affievolirsi del dibattito sul
contenuto dei libri e dei commentarii sacerdotali. –
II.
[p. 45]
La
scelta di far iniziare la trattazione della dottrina escludendo gli studi di
età anteriore ai primi anni dell’Ottocento, per quanto possa
apparire chiaramente limitativa, corrisponde però ad una impostazione
ormai ben consolidata[1].
Comprendere le ragioni di tale impostazione non è poi così
difficile, se si ha presente la storia dei nostri studi. Sino alla fine del
Settecento, l’esigenza di una severa critica delle fonti fu scarsamente
sentita[2],
anche se non mancarono istanze per un riesame del dato tradizionale della
primitiva storia di Roma[3].
È noto che a cambiare quella situazione
contribuirono in modo decisivo il vigoroso rinnovamento degli studi filologici,
attuato in Germania tra la fine del Settecento ed i primi anni
dell’Ottocento[4],
e la pubblicazione, sempre in Germania, dei primi due volumi della Römische Geschichte di B. G.
Niebhur[5]:
opera che rappresenta, pur con le sue contraddizioni, il vero punto di partenza
della metodologia e delle tematiche proprie della dottrina romanistica
contemporanea[6].
Solo dunque per motivi essenzialmente
“pratici” di economia della ricerca, il presente lavoro rinuncia ad
utilizzare nella ricostruzione storico-giuridica del materiale proveniente
[p. 46]
da
documenti contenuti negli archivi sacerdotali le numerose monografie
riguardanti il culto, il diritto sacro e i sacerdoti romani, scritte in
età anteriore[7].
Naturalmente questo discorso richiede notevole cautela, poiché non
bisogna dimenticare che taluni di quei lavori risultano assai importanti, ed
utili ancora oggi, come dimostra la lettura della pregevole raccolta del
Brissonius, De formulis et solennibus
populi Romani verbis[8].
Nell’esame delle principali tesi relative alla
distinzione di contenuto tra libri e commentarii sacerdotali avanzate dalla
storiografia dell’Ottocento, inizieremo con l’esposizione della
tesi sostenuta dal Niebuhr nei suoi Vorträge
über römische Geschichte[9]. Secondo lo studioso tedesco, la differenza tra libri e commentarii sarebbe
stata la seguente: «Aus ihnen (libri pontifici e augurali) führen
die Historiker die Kriegserklärungen in der bestimmten Formel an, die, wie
man sagt, Ancus zuerst einführte;
die Dedicationen, die Formel foederis
feriendi, die Provocationen an’s Volk»; i commentarii invece: «Sie waren eine Sammlung von
Rechtsfällen aus dem alten Staats- und Cäremonialrecht zugleich mit
den Entscheidungen der pontifices in
den Fällen ihrer Jurisdiktion, ähnlich den Entscheidungen der
Juristen in den Pandekten»[10].
La tesi niebuhriana trovò il consenso di A.
Schwegler[11],
il quale affronta l’analisi dei documenti sacerdotali nel primo libro
della sua Römische Geschichte, dedicato alle «fonti primitive e
origine della storia dell’antichissima Roma»[12].
Per lo Schwegler, dunque, nei libri, chiamati
indifferentemente pontificii, pontificales, pontificum, sarebbero
stati contenuti i regolamenti generali del culto e il diritto sacro, più
gli indigitamenta[13]; mentre i casi di rilevanza pratica
attinenti al
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diritto
sacro e al diritto cittadino più antico, insieme alle decisioni che i
pontefici prendevano, di volta in volta, nell’ambito della loro
competenza giurisdizionale, sarebbero stati raccolti nei commentarii[14]. Questi documenti potevano anche
contenere, dato il loro carattere pratico, annotazioni storiche, come ad
esempio il processo dell’Orazio o il trattato romano-albano, perfezionato
con l’intervento dei feziali: tali annotazioni corrispondevano non tanto
ad esigenze di carattere storiografico, quanto alla diffusa regola di basare su
modelli precedentemente consolidati i comportamenti più rilevanti della
vita comunitaria.
Lo Schwegler applica lo stesso criterio ai libri e ai commentarii degli altri collegi sacerdotali, attribuendo inoltre a
ciascuno di essi l’album (o
“Fasten”), che avrebbe contenuto la lista dei membri del collegio,
segnati in ordine cronologico, e gli acta
(“Protocolle”), in cui sarebbero stati riportati, a simiglianza
degli acta fratrum Arvalium, gli atti riguardanti il loro ufficio[15].
Alcuni anni prima che fossero editi i Vorträge
del Niebuhr, W. A. Becker pubblicò il primo volume del suo Handbuch der römischen Alterthümer[16], nel quale, trattando dei documenti
sacerdotali, si sostiene con molta decisione la diversità di contenuto
tra libri e commentarii. Tuttavia la
sua posizione in merito al contenuto da attribuire ai documenti in questione si
differenziava da quella del Niebuhr, poiché il Becker era
dell’opinione che il materiale raccolto nei libri avesse attinenza soprattutto con i regolamenti della
disciplina sacerdotale e con le prescrizioni rituali, mentre i commentarii sarebbero stati, al
contrario, una sorta di verbali degli atti dei collegi[17].
Assai simili fra loro, ed in qualche misura influenzate
dalla posizione del Becker, sono le tesi sostenute dall’olandese J. G.
Hulleman[18]
e dal tedesco E. Hübner[19].
Secondo questi studiosi, ciascun collegio sacerdotale (ma entrambi trattano in
particolare dell’archivio del collegio dei pontefici) tiene nei propri
archivi diversi tipi di documenti, i quali, ad
[p. 48]
eccezione
dell’album, cioè della lista dei componenti, e degli acta,
processi verbali delle funzioni del collegio, possono essere ripartiti fondamentalmente
in due grosse sezioni: una, riguardante il culto ed il diritto sacro,
comprendeva i libri ed i commentarii; l’altra, corrispondente a quelle competenze che venivano ai
pontefici dall’essere gli esperti della numerazione del tempo e gli incaricati
di conservare le memorie della collettività[20],
era formata dal calendario, dalle liste degli eponimi e dagli annali. Una
ulteriore distinzione va poi fatta, sempre a parere di questi studiosi, tra la
materia contenuta nei libri e quella contenuta nei commentarii. Nei primi si raccoglievano, infatti, sia il complesso sistema di
regolamenti del rituale, sia le più antiche norme processuali[21];
mentre nei commentarii, che avevano piuttosto attinenza con la
pratica, erano contenute raccolte di casi giuridici di competenza del collegio
e le decisioni più rilevanti prese di volta in volta in questa materia[22].
Al criterio di distinzione proposto dal Becker sembra
riferirsi anche F. A. Brause, autore di una raccolta di frammenti dei documenti
relativi all’archivio degli auguri[23].
Questo studioso individua in tale archivio precipuamente cinque species di documenti: i libri augurum o augurales[24], i
commentarii[25], un altro genere di documento che decretorum nomine fertur[26], infine gli acta e i fasti, simili a quelli degli altri collegi
sacerdotali[27].
Quanto poi alla distinzione tra il contenuto dei libri e quello dei commentarii, il Brause ritiene che nei primi
sarebbero state raccolte «praecationes formulas praeceptaque quaedam
antiquissima», mentre nei commentarii
si sarebbero trovati «facta quaedam memorabiliora»[28].
In questi ultimi andrebbero inoltre collocati i decreta, che col tempo
avrebbero finito per formarne la grande massa: questo fatto troverebbe la sua
giustificazione nelle stesse funzioni cui assolvevano i commentarii, i quali, fra
l’altro, erano utilizzati come guida interpretativa dei libri augurales; quindi i decreta, che certo contribuivano a chiarire ed
interpretare la disciplina augurale,
[p. 49]
venivano
raccolti – ed almeno nei casi di più rilevante interesse
comunitario tramandati – nei
commentarii[29].
Ancora diversa dalle tesi fin qui esposte è la
posizione di L. Lange[30].
Secondo il parere di questo studioso, infatti, «die libri pontifici (mit den Gebetformeln der indigitamenta), die libri augurales, libri Saliorum und Aehnliches» dovrebbero essere
identificati con le prescrizioni rituali (“Ritualbücher”)
proprie di ciascun collegio, mentre i commentarii
(Pontificum, augurum, quindecimvirorum) avrebbero contenuto una raccolta di
istruzioni e gli atti del collegio (“Instructions- und
Protokollbücher”)[31].
Piuttosto elaborata si presenta la divisione degli
archivi sacerdotali proposta da J. Marquardt nel terzo volume della Staatsverwaltung, dedicato all’esposizione della religione romana[32].
Lo studioso, pur non sottovalutando il fatto che le informazioni tramandateci
dalle fonti sono troppo lacunose per consentire classificazioni certe dei
documenti contenuti negli archivi, ritenne tuttavia di poter individuare nove
sezioni nell’archivio dei pontefici (“Archiv der geistlichen
Urkunden”) e cinque in quello degli auguri (“Archiv der
Augurn”)[33].
Così, secondo il Marquardt, per i pontefici abbiamo: l’album e gli acta, il primo una lista cronologica dei membri
del collegio, processi verbali ed atti professionali i secondi: questi due
generi di documenti sarebbero stati una costante degli archivi di tutti i
collegi sacerdotali[34];
le formule di preghiera (“Gebetformulare”), alle quali bisogna
ricollegare gli indigitamenta e tutte
le altre formule prescritte per i solenni atti religiosi riguardanti la
collettività e i singoli, come ad esempio sacrifici, voti, dedicationes ecc.; i commentarii, che consistevano in una raccolta di decreta e responsa del
collegio[35];
vi erano, quindi, il calendario, i fasti
consulares e gli annales maximi[36]: questi ultimi sarebbero stati una
“Jahreschronik” compilata dal pontefice massimo e poi affissa nella
regia per la pubblica verifica, fino ai tempi del pontefice P. Mucio
Scevola. Infine l’archivio dei pontefici conteneva anche gli
[p. 50]
antichissimi
documenti giuridici (“älteste Rechtsurkunden”), ed in special
modo le leges regiae[37].
L’archivio del collegio degli
auguri – sempre secondo il Marquardt – oltre i fasti e gli acta conteneva
i libri augurum o augurales, i commentarii e i libri reconditi. Tralasciando questi ultimi, dei quali lo stesso
Marquardt dà una definizione assai imbarazzata, esaminiamo brevemente la
differenziazione di contenuto tra libri e commentarii proposta dall’autore:
nei libri si trovano le antichissime
prescrizioni relative alle regole fondamentali della disciplina augurale; nei commentarii venivano invece raccolti decreta e responsa riguardanti i diversi campi d’intervento del
collegio[38].
Alle tesi di quegli autori che avevano creduto di poter
individuare precise differenze di contenuto tra i diversi generi di documenti
sacerdotali si contrappose, fra i primi[39],
il grande studioso francese A. Bouché-Leclerq. La critica alla distinzione
tra libri e commentarii ha costituito un motivo ricorrente nell’opera di
questo studioso[40],
a partire dal suo primo lavoro: Les
pontifes de l’ancienne Rome[41]. Egli non nutriva eccessiva fiducia nella terminologia con cui le fonti
indicano i documenti sacerdotali, poiché, a suo avviso, «la
molteplicité et le peu de précision des ces termes recueillis
çà et là dans des auteurs qui se contentent
d’indiquer le genre de sources où ils puisent, sans
prétention à l’exactitude, nous avertissent assez
qu’il est impossible d’établir sur des renseignements aussi
vagues une classification rigoureuse»[42].
Era quindi proprio sulla base del dato testuale che non
gli sembravano sostenibili molte delle distinzioni operate seguendo i criteri
di sistemazione fino ad allora dominanti. In tal modo questo
[p. 51]
studioso
riteneva errato considerare i libri
pontificales di esclusivo contenuto rituale, poiché ad essi si
riferivano anche dei frammenti, che proprio per il loro contenuto non possono
di certo essere considerati di carattere rituale: come, ad esempio, il racconto
della morte di Romolo, o la notizia dell’esistenza della provocatio ad populum in età
regia[43].
Lo stesso discorso
valeva, a suo parere, per i commentarii,
i quali: «à cause de
leur double caractère historique et religieux, tiennent d’un
côté aux rituels, de l’autre aux annales, et se substituent
perpétuellement, sous la plume des auteurs, aux uns et aux autres»[44].
Il
Bouché-Leclerq, contrapponendosi in tal modo alla precedente dottrina
romanistica tedesca, a proposito della quale faceva osservare come «les
classifications proposées jusqu’ici sont-elles loin
d’être satisfaisantes»[45],
preferì orientarsi nella sistemazione del materiale proveniente dagli
archivi verso nuovi criteri: «Convaincu qu’il est impossible de
classer les fragments épars dans les auteurs d’après des
suscriptions aussi peu précises, nous avons préféré
adopter une division fondée sur la nature même des matières
entassées dans les archives pontificales, et répartir les textes,
d’après leur sens, entre les diverses catégories
établies par l’analyse. Cette méthode laisse beaucoup
à l’appréciation personnelle, mais on se convaincra, nous
l’espérons, que nous n’avons pas abrégé ce
pénible labeur en substituant la fantaisie à la critique»[46].
Su questa base lo studioso francese individuò
come criterio espositivo del materiale contenuto nei documenti del collegio dei
pontefici la divisione di esso in tre grandi filoni: la teologia, il diritto,
la storia[47].
Anche in Germania si faceva strada questa nuova
impostazione; alcuni anni dopo la pubblicazione di Les pontifes de l’ancienne Rome (1871), due giovani studiosi
tedeschi, P. Preibisch[48]
e P. Regell[49],
entrambi allievi del Reifferscheid[50],
affrontarono nelle loro dissertazioni dottorali la questione relativa ai
documenti contenuti in alcuni archivi sacerdotali, assumendo una posizione di
netto rifiuto della distinzione, per
[p. 52]
così
dire tradizionale, che si era soliti fare tra libri e commentarii.
«Omnes isti tituli – scrive il Preibisch
– ut libri pontificii vel pontificales vel pontificum, ius pontificium,
commentarii pontificum, commentarii sacrorum, similes promiscue usurpari
videntur, nempe ita ut quae sub eis nominibus traduntur, excerpta sint ex
pontificum decretis, quae et ipsa passim nominantur. Imprimis moneo, discrimen
inter libros et commentarios non eo modo statuendum esse, ut adhuc mos
erat»[51].
Ben più accuratamente argomentata è la
posizione del Regell, il quale dedica la seconda parte della sua dissertazione
sui libri augurum,
intitolata per l’appunto Quae
ratio inter libros augurales et commentarios statuenda sit[52], alla discussione del criterio da
utilizzare nella sistemazione del materiale proveniente dagli archivi
sacerdotali.
Questo studioso, muovendo dalle tesi del Preibisch, di
cui avverte, però, lo scarso vigore nell’argomentazione[53],
si misura assai più compiutamente con le diverse opinioni della dottrina
contemporanea, confutandone attraverso un approfondito esame delle fonti la
convinzione – sino ad allora quasi unanime – che esistesse, e fosse
in qualche misura determinabile, una differenza di contenuto tra libri e commentarii[54].
La tesi del Regell in proposito è assai precisa: «Persuadere autem
nobis non possumus tam accurate “librorum” nomen a
“commentariis” distinxisse veteres, ut diversa eis monumentorum
genera significarent»[55];
ugualmente precisa appare la conclusione: «His disputatis satis opinor
confirmatum erit, inter commentariorum et librorum (auguralium) nomina
discrimen non esse statuendum»[56].
Coerentemente con le loro conclusioni[57]
il Regell ed il Preibisch, nelle raccolte di frammenti di documenti sacerdotali
da loro curate, preferiscono quindi attenersi ad un criterio di sistemazione
basato sull’accorpamento per materia dei singoli passi raccolti[58].
[p. 53]
Anche M. Voigt in un suo lavoro sulle leges regiae[59] accoglie la tesi contraria alla
distinzione tra libri e commentarii. Questo studioso, che
prende in considerazione oltre i documenti sacerdotali anche quelli dei re e
dei magistrati, sostiene che non è possibile distinguere libri e commentarii per quanto riguarda la specificità del
contenuto, basandosi principalmente su due argomentazioni: da una parte
evidenzia la grandissima confusione e la contraddittorietà esistente tra
le posizioni degli studiosi favorevoli alla distinzione di contenuto[60];
dall’altra sottolinea l’incertezza delle stesse fonti e la
pericolosità di fondare su di esse una precisa determinazione del
contenuto dei libri e dei commentarii[61].
In Italia aderisce a questa nuova impostazione
storiografica R. Bonghi, che proprio in quegli anni scrive la sua Storia di Roma[62]; «Io ho già detto –
si legge a p. 230 del secondo volume – che libri e commentarii di Re era
tutt’uno. Si deve dire lo stesso dei libri e commentarii di sacerdoti e
magistrati; né li crederà diversi chi vorrà riscontrare i
testi degli autori, e riconoscere come l’una o l’altra parola vi
sia usata indifferentemente; anzi talora un autore li cita sotto il nome di libri, per riferirne quel medesimo, che un altro ne trae, chiamandoli commentarii». La conclusione dello studioso nega quindi la possibilità
pratica di operare una valida distinzione tra libri e commentarii, sia sacerdotali sia d’altro
genere, in quanto «lo studio compiuto dei testi prova che nei libri si contenevano protocolli,
cioè registrazioni di atti pubblici, come istruzioni d’ufficio, e
massime di diritto, e riti, e denominazione di Dii; e che nei commentarii succedeva del pari»[63].
[p. 54]
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento la
ricerca sui libri e sui commentarii sacerdotali registra un
certo calo d’interesse. In primo luogo, perché vanno affermandosi
sempre più nella romanistica del tempo le tesi degli autori contrari ad
operare una netta distinzione tra i due generi di documenti; in secondo luogo,
perché l’interesse degli studiosi si polarizza piuttosto su altri
documenti sacerdotali, collegati più immediatamente con l’origine
della storiografia romana, come ad esempio gli annali dei pontefici.
In questo contesto si colloca la posizione di H. Peter[64],
che proprio in quel periodo pubblicava una raccolta di frammenti degli
storiografi romani. Fra i documenti di provenienza pontificale lo studioso
individuava tra grandi masse di materiale: anzitutto i libri pontificum «sive pontificales sive pontificii, in
quibus inerant et praescripta de sacris publice privatimve faciendis et ius
divinum pontificiumque (…) Horum librorum pars quaedam, qua et nomina
deorum et rationes ipsorum nominum continebantur, indigitamenta fuerant»[65];
vi erano poi i commentarii pontificum, i quali «responsa et decreta
pontificum de sacris faciendis descripta comprehendebant»[66];
infine i pontefici «habuerint acta sua et album, etsi nusquam, quod
sciam, memoriae proditum est»: ad essi andrebbero poi aggiunti il
calendario e i fasti consolari, nonché gli annales[67]. Orbene, la posizione di questo studioso
è in qualche misura emblematica della situazione in cui si trovava il
dibattito sui documenti in questione: infatti, da una parte egli ci appare
ancora sostenere la distinzione per generi di documenti, richiamandosi in
ciò espressamente alla tesi dello Schwegler[68],
d’altra parte tratta dei libri e
dei commentarii in maniera assai
marginale nel primo capitolo del
[p. 55]
Prolegomenon alle
Reliquiae, dedicato
più specificamente allo studio degli Annales
Maximi[69].
Ugualmente
marginale è l’interesse dimostrato verso questi documenti
nell’opera del Soltau[70]
sulle origini della storiografia romana, pur non contestando, anche questo
studioso, la distinzione tra libri e commentarii sacerdotali[71].
Al
prevalere nella dottrina romanistica delle tesi che sostenevano
l’impossibilità di distinguere il materiale di provenienza,
sacerdotale per generi di documenti contribuì non poco il fatto che esse
furono recepite da quasi tutti gli autori degli articoli riguardanti sacerdoti
e documenti sacerdotali, pubblicati nelle grandi opere enciclopediche, che
iniziarono ad apparire in diversi paesi d’Europa verso la fine
dell’Ottocento. Basterà qui riflettere sulla profonda influenza
rinnovatrice che ha avuto, per tutte le branche della dottrina romanistica, la
pubblicazione del Dictionnaire des
antiquités grecques et romaines[72], della Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft[73] e del Dizionario epigrafico di antichità romane[74], per comprendere come, anche in questo
campo, gli articoli di sintesi del Bouché-Leclercq[75],
del Thédenat[76],
dello Spinazzola[77],
del Wissowa[78],
del Von Premerstein[79],
per citarne solo alcuni[80],
abbiano finito per costituire dei punti fermi, quasi indiscutibili.
Il Wissowa, d’altronde, confermò la piena
adesione a quelle tesi anche nella sua opera di maggiore impegno, Religion und Kultus der Römer, che costituisce l’ammirevole
sintesi della vasta attività di ricerca dello studioso tedesco[81].
È ugualmente significativo che la tesi
dell’impossibilità di distinguere il contenuto di libri e commentarii sia stata fatta propria anche da Martin Schanz, nella
sua Geschichte der römischen
Literatur[82] (pubblicata, come la succitata opera
del Wissowa, nella prestigiosa collana Handbuch
der Altertumswissenschaft), soppiantando
così fra gli storici della letteratura[83]
la precedente impostazione del Teuffel[84]
favorevole alla distinzione dei generi.
[p. 56]
Negli studi giuridici del Novecento il tema della
distinzione tra libri e commentarii sacerdotali si colloca in
funzione assai marginale nel più ampio contesto della valutazione
d’insieme del materiale proveniente dagli archivi. Ciò è
dovuto, almeno in parte, al fatto che il dibattito si è andato
polarizzando intorno all’opinione accentuatamente critica di studiosi
come il Thédenat, il von Premerstein e il Bouché-Leclercq, per i
quali tutte le fonti di provenienza sacerdotale non risalirebbero affatto ai
primi secoli di Roma, ma sarebbe il risultato di un’elaborazione
teologica e giuridica operata dai sacerdoti del II e I secolo a.C.: «Le résultat
le plus net obtenue par la critique – scriveva ad esempio il
Bouché-Leclercq – a été de dissiper l’illusion
qui faisait remonter jusqu’aux origines de Rome une tradition
écrite ininterrompue, et d’attribuer aux pontifes des derniers
siècles de la République la rédaction de la majeure partie
de ces archives, d’où les érudits de
l’antiquité, théologiens, juristes, étymologistes,
antiquaires de toute espèce, ont extrait ce qui nous savons du droit
pontifical»[85].
In tal modo si negava, da parte di questi autori, perfino quanto accettato dal
Mommsen[86],
il quale riteneva verosimile che scritti, in seguito identificati con i libri e i commentarii sacerdotali, contenenti istruzioni per sacerdoti e
magistrati, potessero realmente essere esistiti in età più
antica.
Il Mommsen non si mostrava di certo interessato alla
distinzione tra i due generi di documenti; nello Staatsrecht, tuttavia,
pur non affrontando in maniera esplicita la questione, di fatto propende per la
tesi contraria alla distinzione quando scrive: «Diese libri de sacerdotibus publicis compositi,
wie Gellius 10, 15, 1 (vgl. 13, 23, 1) sie nennt, insbesondere
[p. 57]
die comentarii
pontificum und augurum, bilden bekantlich die Grundlage der
sacralen Litteratur, um nicht zu sagen diese Litteratur selbst»[87].
D’altra parte una maggiore precisione nella
sistemazione dei documenti sacerdotali non sembra interessare neppure quegli
studiosi che in qualche modo rifiutavano la sistematica mommseniana[88],
né il filone francese della dottrina romanistica, che pure allo Staatsrecht oppone lo studio delle Institutions
politiques[89].
Per confermare questo discorso basterà esaminare
brevemente le posizioni di alcuni giuristi, fra i più significativi, che
si sono interessati, in qualche misura, ai libri
e ai commentarii sacerdotali. Non
si discosta dalla prospettiva indicata C. W. Westrup[90],
il quale tratta sommariamente dei documenti in questione a proposito
dell’attività storico-antiquaria del collegio dei pontefici,
sostenendo l’impossibilità di una qualsiasi distinzione tra essi[91].
Anche Fritz Schulz[92],
in quella parte della sua History of
Roman Legal Science, in cui
espone la letteratura giuridica del periodo arcaico, si mostra assai scettico
sulla possibilità di definire, con una certa precisione, libri e commentarii sacerdotali:
«In this period literary activity in the sphere of sacral law consisted
solely in the drawing up of records for the priestly archives, in the form of
abstract rules, ceremonial instructions for the priesthood, formularies of
sacral acts, and responsa. The archives must also have contained minutes of
meetings, official diaries, and temple statutes. As to exact nature of these
books and records, our evidence, though it frequently mentions libri and commentarii sacerdotum, permits of no safe inference; all attempts to
reconstruct them have proved fruitless»[93].
Esaminando il ruolo
dei pontefici «dans le droit civil», P. Noailles[94]
sottolinea l’enorme importanza dei libri
pontificum: «Ils sont les
documents essentiels de l’histoire de Rome à ses débuts,
ceux sur qui repose l’historicité des premiers
événements certains relatés par l’histoire»[95];
ed inoltre: «Les
[p. 58]
legis actiones figuraient dans
les libri pontificales. C’est là qu’il fallait aller les
chercher»[96].
Ma, se si guarda alla definizione che il Noailles
dà di questi libri pontificum, si scopre sorprendentemente che li
identifica con «les archives religieuses»[97],
e che li ritiene comprendere gli acta, l’album, i comentarii e gli stessi Annales Maximi.
Un discorso simile può essere fatto anche a
proposito della monumentale opera di Leopold Wenger[98]
sulle fonti del diritto romano. Questo studioso, nella parte del suo lavoro
dedicato alla trattazione dei Protokolle
von Priesterkollegien[99], si riferisca in tutto alle tesi del von
Premerstein[100],
sostenendo che tra libri e
commentarii «kein inhaltlicher Unterschied bestehen
dürfte»[101].
Le posizioni degli studiosi citati non costituiscono
affatto eccezioni nel campo dei nostri studi, anzi va constatato che in
generale i giuristi appaiono tuttora poco interessati a più esatte precisazioni
del contenuto dei documenti[102].
Quest’appunto può essere mosso anche ad uno studioso italiano, che
si è occupato di recente di questi problemi: S. Tondo[103].
Conviene comunque chiarire preliminarmente che l’autore in questione non
si pone nella prospettiva di esaminare i documenti sacerdotali con lo scopo
precipuo di determinarne forma e contenuto, ma piuttosto li considera in quanto
gli appaiono una valida fonte di verifica per il suo tentativo di ricostruzione
testuale delle leges regiae. Per questo motivo, il Tondo si
interessa in maniera approfondita solo dei libri
pontificii, poiché, a suo
avviso, «quanto al contenuto, è certo ch’essi assorbirono
quello ch’era proprio dei libri
Numae, com’è reso
palese nell’episodio descritto da Liv. 1, 20, 5 “Pontificem deinde
Numan Marcium Marci filium ex patribus legit (Numa) eique sacra omnia exscripta
exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus diebus, ad quae templa sacra
fierent, atque unde in eos sumptus pecunia erogaretur”. Tale materia
rimase loro caratteristica anche nel seguito, per quanto appare da sparse
epperò numerose indicazioni. D’altra parte, è non meno
certo che l’azione della classe sacerdotale che n’era depositaria,
la
[p. 59]
quale
andava assumendo una posizione sempre più egemonica nella regolamentazione
dei sacra, dovette portare a un
notevole arricchimento del contenuto originario, per alcuni versi, che non
sempre è dato stabilire con precisione, adeguandolo alle concezioni
nuove ch’essa stessa contribuiva a elaborare»[104].
Per quanto riguarda poi la distinzione di contenuto tra
libri e commentarii, il Tondo non sembra neppure voler tentare una
più esatta precisazione di questo problema. Contribuisce a chiarire la
posizione dello studioso quanto si legge a proposito dei libri e dei commentarii attribuiti
ai re: «Riguardo alla celebre legge sugli spolia opima, che la
tradizione concorde attribuisce a Numa, Plut. Marc. 8, 5 fornisce una notizia preziosa additandone la fonte
primaria negli Øpomn»mata o commentarii regii. A loro volta, questi sono certamente da identificare con i libri regii, dato che la scelta dell’uno e dell’altro nome,
motivata com’è dal particolare aspetto volta a volta considerato,
non escluderebbe mai l’identità della cosa designata: il fatto
è che l’uno allude alla destinazione dello scritto in rapporto al
contenuto, come inteso cioè a fissare quanto appare meritevole
d’essere ricordato e tramandato (ne segue, ovviamente, che le eventuali leges saranno state solo parte
d’un contenuto assai più vasto e vario), l’altro al suo modo
d’essere esteriore, modo d’essere che dovrà essere
opportunamente chiarito e precisato. Del resto, tale corrispondenza di senso si
riflette in maniera evidente nella tradizione che descrive la morte (qualcuno
vorrebbe reinterpretarla in chiave d’apoteosi finale) di Tullo Ostilio;
questi fu colpito dal fulmine mentre, malamente mettendo a profitto
l’arte occulta tràdita da Numa, celebrava a Juppiter Elicius
solenni sacrifici: il documento che aveva sott’occhi per attingerne le
prescrizioni rituali, è indicato, indifferentemente, sotto la
denominazione di commentarii Numae (Liv. 1, 31, 8) o libri Numae (L. Piso ap. Plin.
28, 4, 14)»[105].
Questo rapporto forma-contenuto, che secondo il Tondo
determinerebbe di volta in volta l’uso del termine libri o del
termine commentarii per indicare
sostanzialmente la
[p.
60]
stessa
materia, se da una parte merita seria considerazione come motivo differenziante
l’alterna terminologia delle fonti e quindi come intrinseca
giustificazione dell’uso apparentemente indifferenziato dei termini libri e commentarii negli scritti degli autori latini, d’altra parte
avrebbe richiesto un maggiore approfondimento[106].
Dunque, la posizione di questo studioso (del quale,
peraltro, mette conto evidenziare il contributo alla valorizzazione della più
arcaica elaborazione giuridica romana)[107].
Si ritrova all’interno di quel filone della dottrina romanistica che nega
nei fatti la possibilità e la liceità di delineare con una certa
esattezza la diversità di contenuto tra libri e commentarii sacerdotali.
Tale filone non riguarda, peraltro, soltanto il campo
degli studi giuridici. Esso ha pure largo seguito tra filologi, storici e
storici della religione romana.
Sostenitori della tesi contraria alla distinzione tra libri e commentarii sono, ad esempio, Georg Rohde[108]
ed Eduard Norden[109],
autori di alcuni degli ultimi importanti lavori di raccolta e di ricostruzione
dei documenti sacerdotali. Alla nostra problematica dedica più spazio il
Rohde, in quanto nella sua opera sui regolamenti rituali dei pontefici si
propone l’ambizioso progetto di definire forma e contenuto dei commentarii di questo collegio[110];
egli dunque sottopone ad un’approfondita analisi le fonti che trattano
dei libri e dei commentari pontificali, arrivando a conclusioni del tutto negative
per quanto riguarda possibili diversificazioni di contenuto fra i documenti in
questione[111].
Per contro, appare più sfumata
[p.
61]
l’adesione
a questa tesi da parte del Norden[112],
forse perché il suo lavoro riguarda nello specifico soltanto alcune
formule solenni e non l’intero complesso degli altrömischen Priesterbüchern[113].
Pur rivalutando la tradizione antica in merito alle
primitive vicende della storia di Roma, E. Ciaceri[114]
e L. Pareti[115]
assumono una posizione assai sfumata sulla questione dei documenti sacerdotali.
I due studiosi, sebbene non entrino nel merito del contenuto di singoli
documenti, sembrano tuttavia aderire, esplicitamente il Ciaceri[116],
implicitamente il Pareti[117],
a quelle tesi della dottrina romanistica che rifiutano una precisa definizione
dei libri e dei commentarii sulla base del contenuto. Alle posizioni degli storici
citati fà riscontro quella espressa in proposito da Santo Mazzarino[118]
in un suo articolo dedicato all’analisi dei rapporti fra
l’annalistica e il diritto in Roma antica. Anch’egli di fatto
sembra rifiutare la distinzione fra i diversi generi di documenti:
«com’è noto – scrive lo studioso – commentarii pontificum può indicare così gli
annali (Liv. VI 1, 2) come libri rituali con menzione, per esempio, dell’augurium canarium; così pure è incerta la spiegazione di pontificii libri nel passo di Cicerone
sulla provocatio (può
trattarsi di libri rituali, come Varro L. L. V 98, così come degli
annali pontificii)»[119].
La sostanziale concordanza di questi tre storici[120]
sulla problematica in questione non rappresenta certamente un fatto casuale:
essa, al contrario, testimonia come il disinteresse per la precisazione dei
contenuto dei documenti sacerdotali sia abbastanza diffuso nella storiografia
più recente, al punto da coinvolgere storici, quali quelli testè
citati, così diversi fra loro per metodologia e per impostazione
culturale.
Questa tendenza si manifesta anche negli studi
più significativi sulla religione romana[121].
Assai sommariamente, ad esempio, tratta dei libri
e dei commentarii sacerdotali J. Bayet[122]
nella sua Histoire politique et
psychologique, di cui però
va detto che è un’opera basilare per comprendere la religione
romana[123].
Addirittura li trascura del tutto K. Latte, autore della
[p.
62]
tanto
discussa Römische
Religionsgeschichte[124] il quale non fa menzione di essi,
né a proposito delle fonti epigrafiche e letterarie, né in altre
parti dell’esposizione[125].
Lo stesso G. Dumézil non sembra interessato alla definizione della
natura e del contenuto di libri e commentarii sacerdotali, dei quali non
tratta in maniera sistematica nella sua Religion
romaine archaïque[126]. Sebbene questo disinteresse non
corrisponda, almeno per quanto riguarda i due studiosi francesi, ad un
orientamento negativo nei confronti del materiale proveniente dagli archivi
sacerdotali[127],
esso può tuttavia determinare – come si è visto –
delle consonanze per lo meno strane: così accade che su questa
problematica due opere tanto dissimili, come quelle del Latte e del
Dumézil, siano invece, tutto sommato, alquanto uniformi[128].
Nella dottrina romanistica attuale non mancano,
tuttavia, anche posizioni favorevoli alla diversificazione delle materie
attribuite ai libri da quelle
attribuite ai commentarii sacerdotali.
Il permanere di questa tesi appare particolarmente consistente fra gli studiosi
italiani (forse più legati alla visione tradizionale della storiografia
tedesca dell’Ottocento) e fra quegli studiosi che operano un ripensamento
critico della tradizione storiografica antica, nel senso di rivalutarne gli
aspetti sostanziali nella ricostruzione delle vicende storiche e sociali della
comunità romana primitiva.
In particolare sembra dipendere dalle tesi del
Marquardt[129]
N. Turchi, per quella parte della Religione
di Roma antica[130]
in cui tratta, seppure brevemente, degli archivi sacerdotali. Lo studioso,
infatti, si orienta in senso sostanzialmente favorevole ad una precisa
distinzione di contenuto tra i vari
[p.
63]
documenti
ed in particolare tra libri e commentarii. Fra i documenti provenienti dall’archivio dei pontefici, il
Turchi ritiene di poter individuare quattro compilazioni di contenuto ben
diversificato: abbiamo così in primo luogo i libri sacerdotum populi Romani,
raccolte di formule di preghiere e di rubriche del cerimoniale; venivano
poi i commentarii pontificum, che
contenevano decreta e responsa relativi alla religione e al
diritto e che rappresentavano, in certo qual modo, «il codice della loro
funzione specifica, analogamente a quanto si verificava negli altri sodalizi
religiosi»[131];
vi erano inoltre i fasti, elenco dei magistrati annuali compilato
dal collegio dei pontefici fin dalle origini della repubblica: sotto il nome di fasti si comprendeva anche il
calendario, la cui redazione era di esclusiva competenza pontificale. Abbiamo
infine, sempre secondo il Turchi, gli annales
pontificum o maximi, nei quali si registravano i principali avvenimenti
dell’anno, per essere poi esposti al pubblico all’esterno della regia.
G. B. Pighi[132]
dedica un intero capitolo del suo lavoro sulla religione romana all’esame
degli archivi sacerdotali, sui quali esprime opinioni originali ed assai
stimolanti. Secondo questo studioso, «l’archivio pontificale
è diviso in due sezioni. Nella prima troviamo i fasti pontificum, o album pontificale,
cioè l’elenco dei pontefici passati e in carica; gli acta,
o processi verbali, o giornale degli atti professionali; e la raccolta dei decreta e responsa dati dal collegium di
propria iniziativa o su richiesta. Poiché il collegio comprendeva, oltre
i Pontefici, altri sacerdoti, senza dubbio anche questi erano elencati nei fasti, sia in fascicoli
a parte sia in elenchi generali»[133].
Sempre in questa prima sezione si trovano altri quattro gruppi di documenti: i fasti feriarum, i fasti consulum, i
fasti triumphales, gli
annales[134].
Nella seconda sezione dell’archivio dei pontefici
il Pighi ritiene di poter individuare una tripartizione; così abbiamo: i libri sacerdotales,
una raccolta di documenti antichi, ed infine i commentarii. Nei libri sacerdotales erano contenuti gli
statuti e i regolamenti dei grandi collegia
e delle cinque maggiori
[p.
64]
sodalitates, assieme ad altro materiale che
riguardava più in generale l’ordo
sacerdotum e i sacra[135]. La raccolta di antichi documenti
comprendeva, oltre le leges regiae, le consecrationes
ed una serie di antiquae orationes[136]. Ai
commentarii, che il Pighi
definisce «trattati o manuali liturgici», vanno invece riferite le
seguenti materie: «de sacris
publicis privatis, comprecationes deorum,
indigitamenta»[137].
Gli altri archivi sacerdotali sono trattati dal Pighi
con più semplicità; in quello degli auguri, ad esempio, lo
studioso opera questa ripartizione: fasti, acta, decreta e responsa,
mentre a parte stanno i commentarii augurales o augurum, ovvero «trattati o manuali della disciplina auguralis. Che
concerne anzitutto la definizione del templum, cioè del locus in caelo e in terra, che è dall’àugure conceptis verbis effatus; poi la classificazione e descrizione e
casistica degli auspicia;
quindi i sacra auguralia; le inaugurationes sacerdotum et locorum; e le praecationes, ossia
raccolta delle formule e preghiere da usarsi in ogni caso»[138].
Rilevanti appaiono anche le tesi sostenute da Emilio
Peruzzi nel secondo volume delle sue Origini
di Roma[139].
In questo lavoro lo studioso
analizza, e sottopone ad una rigorosa verifica, quella tradizione
(concordemente testimoniata dagli scrittori antichi) che lascia intravedere per
Roma arcaica una realtà sociale in cui era ben conosciuto, fin dai
primordi della storia cittadina, l’uso della scrittura, e in cui si
presentava come avvenimento non rarissimo l’elaborazione di documenti a
carattere giuridico-religioso[140].
Il Peruzzi si dimostra particolarmente interessato a
raccogliere quegli elementi che consentono di ricostruire, con qualche
certezza, le grandi linee di quell’antichissima tradizione documentaria
che, attraverso le compilazioni di Numa Pompilio, faceva capo
all’archivio dei pontefici. Per questo stesso motivo gli appare poco
importante la precisazione del contenuto dei documenti sacerdotali:
«poiché è problema che non concerne la storia della
scrittura nella Roma delle origini»[141].
[p. 65]
Tuttavia, esaminando quelle pagine in cui il Peruzzi
tratta dei libri e dei commentarii pontificum, diventa subito chiaro che vi è
una profonda diversità tra questi documenti. Da un lato stavano,
infatti, libri pontificum che avevano
come nucleo fondamentale «tutte le norme emanate da Numa»[142]
sul culto pubblico e privato, sulla regolamentazione del rituale e
sull’attività dei sacerdoti e dei collegi sacerdotali, e che
«col procedere del tempo si verranno elaborando ed incessantemente
ampliando e differenziando (libri caeremoniarum, libri de sacerdotibus, ecc.)»[143];
dall’altro lato stavano, ben distinti, i commentarii pontificum: essi
erano – sostiene il Peruzzi – un testo storico redatto dal collegio
parallelamente alle tabulae dealbatae, ma, al contrario di queste, conservato nel
segreto dei penetrali dei pontefici[144].
La distinzione tra libri
e commentarii non trova
sostenitori soltanto fra gli studiosi italiani: ad esempio, è favorevole
a tale distinzione il francese R. Besnier[145],
il quale si occupa dei documenti sacerdotali in un lavoro sugli archivi romani
del periodo monarchico[146].
«Nous savons
– scrive lo studioso – qu’à Rome, chaque sanctuaire
possède ses archives, elles consistent en deux catégories de
documents: les libri et les commentarii. Les libri, recueils immuables, donnent une fois
pour toutes l’ensemble du droit religieux, ils gardent les listes des
divinités avec leurs noms et épithètes, les formules
destinées à les évoquer (libri rituales), les
oracles en vers saturnins conservés sur les lames de plomb (sortes), des chants et des invocations (carmina). Les
commentarii,
au contraire, sont des recueils en voie de formation, où l’on
enregistre des applications des lois religieuses aux cas particuliers, ce sont
en quelque sorte des recueils de précédents»[147].
Per lo studioso tedesco E. Bickel[148]
la diversità tra libri e commentarii sarebbe da ricondurre alla
stessa distinzione tra «Theologumena antiker Autoren» e
«Schrifttum der Priester». In tal modo il Bickel supera il problema
della diversificazione dei contenuti, evidenziando invece la differenza
qualitativa dei documenti in questione. Per lo studioso tedesco, dunque,
[p.
66]
i “libri pontificales” e
i “libri augurales” non sarebbero documenti ufficiali dei
collegi, ma «private, abgezweckte konfessionelle Schriften»; i quali
proprio in questo si differenzierebbero dagli Annales pontificum e dai Commentarii
augurum: atti ufficiali
(«Archivakten», «Amtsbücher») dei rispettivi
collegi sacerdotali[149].
Anche G. J. Szemler, trattando dei sacerdoti di Roma repubblicana[150],
accetta, in linea di massima, la distinzione tra i diversi documenti degli
archivi dei pontefici e degli auguri, ed anche per quanto riguarda libri e commentarii sembra sostenere
la diversità di contenuto. Per l’archivio dei pontefici, da lui
identificato con i libri pontificii, lo Szemler scrive: «Most
importantly, the pontifices were the custodians of the libri pontificii (pontificales, pontificum), a treasure trove of acta,
indigitamenta, ritualia, commentarii, fasti, and annales, which were to be consulted by the college of pontifices only. Also, they guarded the commentarii,
i.e., the responsa and decreta, which pertained to the sacred rites»[151].
Nei commentarii stanno
dunque decreta e responsa, mentre non
sembra chiaro dove si collochino più specificamente ritualia e indigitamenta.
Sull’archivio del collegio degli auguri il
discorso dello studioso si fa invece più preciso. Anche in esso si
trovano sia i libri sia i commentarii, il cui contenuto è però in questo caso ben
distinguibile: nei primi stanno, infatti, i precetti della «science of
augury», mentre i commentarii, «divided into the decreta and responsa», sarebbero
invece stati semplici annotazioni di «records of augural decision»[152].
[1] Cfr.,
in questo senso, A. ROSENBERG, Einleitung
und Quellenkunde zur römischen Geschichte, Berlin 1921, p. 291; il Rosenberg riteneva che solo dopo
l’Ottocento si potesse parlare di «systematische Kritik»
della tradizione relativa alla preistoria di Roma, in quanto – pur non
disconoscendo i contributi della storiografia precedente – considerava il
Niebuhr primo storico che avesse praticato tale «critica
sistematica». Simile, per molti versi, è l’opinione di S.
MAZZARINO, Storia romana e storiografia
moderna, Napoli 1954, pp. 31 s., il quale afferma che solo
con l’inizio dell’Ottocento fu possibile dare «agli studi
sulla repubblica un’impostazione del tutto nuova: un’impostazione
storicistica. Ora, sì, fu finalmente possibile scrivere una storia di
Roma nell’epoca regia e repubblicana. Il problema delle fonti
passò dalla discussione erudita alla sistemazione metodica:
diventò il problema della cultura romana arcaica e classica, in quanto
essa fosse capace di narrazione poetica e di notazione storica»; sul
problema vedi ora, brevemente, sempre del MAZZARINO, Vico, l’annalistica e il diritto, Napoli 1971, pp. 9 s. Cfr., inoltre, E. MANNI, Introduzione allo studio della storia greca
e romana, 2a ediz., Palermo 1962,
p. 46; H. BENGTSON, Grundriss der
römische Geschichte mit Quellenkunde (Handbuch der Altertumswissenschaft,
III, 5, 1), 2a ediz., München 1970, pp. 4 s.; K. CHRIST, Römische Geschichte. Einführung,
Quellenkunde, Bibliographie, Darmstadt
1976, p. 3.
[2] S.
MAZZARINO, Storia romana e storiografia
moderna, cit., pp. 26 s.,
prospetta al riguardo una giustificazione assai convincente: «Al di qua
delle intuizioni vichiane – scrive l’illustre studioso – e
anche nel quadro di esse, la storia dell’epoca regia e repubblicana di
Roma richiedeva ancora una maturità di metodo filologico, che il
Settecento non avrebbe dato».
[3] Oltre
i primi tentativi di revisione operati da J. GRONOVIUS, Dissertatio de origine Romuli,
Lugduni Batavorum 1684, e da J. PERIZONIUS, Animadversiones historicae, Amstelodami
1685; e le fondamentali intuizioni di G. B. VICO, (sulle quali vedi, da ultimo,
S. MAZZARINO, Vico, l’annalistica e
il diritto, cit. in n. 1,
più in generale, sulla concezione storica del Vico: F. FELLMANN, Das Vico-Axiom: Der Mensch macht die
Geschichte, München 1976),
mette conto ricordare le posizioni estremamente critiche espresse dal DE
POUILLY nella Dissertation sur
l’incertitude de l’histoire des quatre premiers sieclés de
Rome (1722), in Mémoires de
l’Academie des inscriptions et belles-lettres, 1729, pp. 14 ss., e da L. DE BEAUFORT, Dissertation sur l’incertitude des cinq premiers siécles
de l’histoire romaine, Utrecht
1738 (nuova
[p. 68]
edizione
[4] Questo
movimento culturale, che segnò la nascita del metodo
“storico-critico”, ebbe fra i principali promotori il grande
filologo F. A. WOLF (del quale vedi soprattutto: Darstellung der Altertumswissenschaft, in Museum der
Altertumswissenschaft 1, 1807,
pp. 1 ss. (= Kleinen Schriften, II, Halle 1869, pp. 808 ss.).
Sul ruolo del Wolf cfr. brevemente, A. HENTSCHKE - U.
MUHLACK, Einführung in die
Geschichte der klassischen Philologie,
Darmstadt 1972, pp. 80 s.; G. JÄGER, Einführung in die klassische Philologie, Miinchen 1975, pp. 23 s.
[5] B.
G. NIEBUHR, Römische Geschichte, I-II, Berlin 1811-1812; di questi due
volumi si ebbero diverse edizioni: il primo fu pubblicato la seconda volta nel
1827, la terza nel 1828, la quarta nel 1833; il secondo fu riedito nel 1830 e
per la terza volta nel 1836. Della Römische
Geschichte fu pubblicato,
postumo, anche un terzo volume (Berlin 1832).
Fondamentale,
per quanto riguarda la biografia intellettuale e politica del Niebuhr, è
il lavoro di S. RYTKÖNEN, Barthold
Georg Niebuhr als Politiker und Historiker. Zeitgeschehen und Zeitgeist in den
geschichtlichen Beurteilungen von B. G. Niebuhr, Helsinki 1968; si veda anche la rapida ma efficace esposizione di
K. CHRIST, Von Gibbon zu Rostovzeff, Darmstadt 1972, pp. 26 ss.; e da ultimo
P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, Torino 1974, pp. 21 ss., che evidenzia
il rapporto tra le ideologie politiche del Niebuhr e la sua ricostruzione delle
istituzioni romane.
[6] Si
vedano in tal senso, C. BARBAGALLO, Il
problema delle origini di Roma da Vico a noi, Milano 1926 (rist.
anast. Roma 1970), pp. 12 ss.; E. KORNEMANN, Niebuhr und der Aufbau der altrömischen Geschichte, in Historische
Zeitschrift 145, 1932, pp. 277 ss.; S. MAZZARINO, Storia romana e storiografia moderna, cit., pp. 32 s.; A. MOMIGLIANO, Perizonius, Niebuhr and the Character of Early Roman Tradition, in The Journal of Roman Studies 47, 1957,
pp. 104 ss. (= Secondo contributo alla storia degli studi
classici, Roma 1960, pp. 68 ss.);
H. BENGTSON, Barthold Georg Niebuhr und
die Idee der Universalgeschichte des Altertums, Rektoratsrede, Würzburg 1960 (= Kleine Schriften zur alten Geschichte, München 1974, pp. 26 ss.); ID., Einführung in die alte Geschichte, 4a ediz., München 1960, pp. 10 s.; A. HEUSS, Römische Geschichte, Braunschweig 1960, pp. 505 ss.; K.
CHRIST, Römische Geschichte und
Universalgeschichte bei Barthold Georg Niebuhr, in Saeculum 19, 1969, pp. 172 ss.
[7] Penso,
ad esempio, alle monografie di studiosi del XVI e XVII
[p.
69]
secolo
riguardanti il culto, il diritto sacro e i sacerdoti romani, raccolte nel Thesaurus antiquitatum Romanarum da J. G. GRAEVIUS (Utrecht 1694-1699), fra
le quali mette conto ricordare: J. GUTHERIUS, De veteri jure pontificio Urbis Romae: Thesaurus, V, pp. 1 ss.; J. A. BOSIUS, De pontificatu maximo Romae veteris:
Thesaurus, V, pp. 225 ss.; J. C.
BOULENGERUS, De auguriis et auspiciis: Thesaurus, V, pp. 405 ss. La raccolta del Graevius
fu poi continuata da A. H. de SALLENGRE, Novus
thesaurus antiquitatum Romanarum,
[8] B.
BRISSONIUS, De formulis et solennibus
populi Romani verbis libri VIII (Parigi 1583); nel Settecento l’opera
venne ripubblicata in diverse edizioni: ricordo quella curata da F. C. CONRADI
(Halae et Lipsiae 1731). Non sfuggono invece ai limiti menzionati nel testo: J.
ROSINI, Antiquitatum Romanarum corpus
absolutissimum, s. l. 1701,
tratta «de sacerdotiis» da p.
[9] Historische und philologische Vorträge, I. Vorträge über römische Geschichte, hrsg. von M. Isler, 2 voll., Berlin 1846-47.
[10] Vortage über römische Geschichte, cit., 1.
Von der
Entstehung Rom’s bis zum Ausbruch des ersten punischen Krieges,
pp. 10 s. La parte del volume da cui è tratta questa citazione,
cioè quella dedicata alla trattazione delle “Quellen der
römischen Geschichte”, è stata di recente riedita in una
raccolta di scritti di diversi autori, curata da V. PÖSCHL, Römische Geschichtsschreibung,
Darmstadt 1969, pp. 1 ss.
[11] A. SCHWEGLER, Römische Geschichte, I. Römische Geschichte im Zeitalter der Könige, Tübingen 1853. Sull’opera
dello Schwegler, che complessivamente consta di tre volumi, editi tra il 1853
ed il 1856, si vedano le osservazioni critiche di C. BARBAGALLO, Il problema delle origini di Roma da Vico a
noi, cit., pp. 30 ss.
[12] SCHWEGLER, Römische Geschichte, I, cit., Erstes Buch (Ueber die
ursprünglichen Quellen und Entstehung der Geschichte des ältesten
Roms), pp. 1-73. Sono particolarmente interessanti per la
nostra indagine i capp. 4 (“Die Annales pontificum”) e 12
(“Die geistliche Literatur, namentlich die libri pontificii und commentarii pontificum”).
[13] SCHWEGLER, Römische Geschichte,
I, cit., pp. 31-32: «Sie
enthielten die allgemeinen Satzungen des Gottesdiensts und des geistlichen
Rechts, und handelten im Einzelnen von den heiligen Orten, den heiligen Zeiten,
dem Ritual und Ceremoniell des Gottesdiensts, endlich den gottesdienstlichen
Aemtern und Personen, deren Rechten und Pflichten. Die varronische
Argeer-Urkunde z. B. ist ohme Zweifel diesen Büchern entnommen, und
gehörte wahrscheinlich demjenigen Theile derselben an, der von den
[p. 70]
heiligen Orten handelte. Diese Priesterschriften heissen
auch Indigitamenta, ein Name, der zunächst und nach seiner eigentlichen
Bedeutungen die Gebetsformeln bezeichnet, nach denen eine Gottheit angerufen
werden musste, wenn sie nach einer bestimmten Seite ihrer Wirksamkeit, in
Beziehung auf einzelne bestimmte Lebesmomente, Zustände, Thatigkeiten,
Bedürfnisse des Menschen wirksam angerufen werden wollte: im welchem Fall
eben jene besondere Qualitätsbestimmung, jene besondere Seite des
göttlichen Wesens in der Anrufungsformel besonders und genau bennant sehn
musste».
[14] Così scrive
testualmente lo SCHWEGLER, Römische
Geschichte, I, cit., pp. 32-33:
«Verschieden von den eben besprochenen Pontificalbüchern waren die commentarii pontifícum, die, was hier beiläusig bemerkt
sehn möge, mit den Annalen der Priester keineswegs verwelchselt werden
dürfen. Sie waren, wie ihr Name besagt, Denkschriften, ähnlich den
Denkschriften der Magistrate; sie werden daher auch meist nur in Beziehung auf
Thatsachen angeführt. Was ihren näheren Inhalt betrifft, so waren
sie, wie man anzunehmen Ursache hat, eine Sammlung von Rechtsfällen aus
dem alten Staats- und Sacral-Recht, nebst den Entscheidungen der Pontifices in
Fällen ihrer Jurisdiction, eine Beispiel-Sammlung, aus welcher diejenigen,
die Recht zu Sprechen hatten, die allgemeine Regel sich abzogen». L’influenza
niebuhriana appare nel brano citato molto evidente ed è peraltro
confermata dallo stesso Schwegler, il quale riporta in nota una citazione
testuale del Niebuhr: op. cit., p. 33 n. 8.
[17] BECKER, Handbuch der römischen Alterthümer, cit., pp. 11-12: «Jedenfalls
mussten die Collegia pontificum, augurum, die Haruspices, überhaupt jede
geistliche Körperschaft ihre heiligen Bücher haben, welche ihre
Wissenschaft und das ganze Ritual enthielten, und nur in solcher Beziehung auf
Cultus und geistliches Recht werden die Libri pontificii oder pontificales,
auch Indigitamenta genannt. Dagegen ist es natürlich, dass die Pontifices
noch besondere Bücher führten, in denen sie alles aufzeichneten, was
in näherem oder entfernterem Bezuge auf sie und ihr Amt geschah. Das sind
jedenfalls die Commentarii pontificum, ganz dem Sinne des Worts gemäss,
wenn es auch vielleicht zu weilen in weiterer Bedeutung steht».
[18] J. G. HULLEMAN, Disputatio critica de annalibus maximis,
Amstelodami 1855.
[19] E. HÜBNER, Die annales maximi der Römer, in Jahrbücher classische für
Philologie 79, 1859, pp. 401 ss
[21] Così,
HULLEMAN, Disputatio critica, cit., pp. 5, 11; HÜBNER, Die
[p. 71]
annales maximi, cit., p. 408:
«Die libri pontificii (oder pontificum oder pontificales) enthielten
gleichsam das System des geistlichen Rechts: Vorschriften über die
heiligen Orte und Zeiten, über den Ritus und die Gebete, endlich die
ältesten Processvorschriften».
[22] HÜBNER, Die annales maximi, loc. cit.: «Die commentarii
pontificum dagegen enthielten gleichsam die Praxis: eine Sammlung von zur
Competenz des Collegiums gehörigen Rechtfällen und Entscheidungen.
Wann diese verschiedenen Aufzeichnungen beginnen, und ob sie zugleich oder nach
und nach neben einander entstanden sind, lässt sich nicht
ergründen».
[23] F.
A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali
ante Augusti mortem scriptorum reliquiae, Lipsiae 1875.
[29] Scrive
in proposito il BRAUSE, op. cit., pp. 15-16: «Denique pauculis
dicendum est de discrimine quod inter commentarios atque decreta auguralia
intercedit. Namque quantum ad commentarios eam sententiam secuti sumus ut eis
mandata esse facta quaedam memorabiliora quae in posterum pro norma atque
regula essent, consentiremus. Atque etiam illud concessimus in commentariis quodammodo explicationem
atque interpretationem librorum auguralium prolatam fuisse. Atqui cum prorsus
idem decretis augurum vindicaverim sequitur ut magna cum probabilitate
concludamus commentarios ex decretis si non omnibus attamen memorabilioribus
compositos semperque denuo auctos amplificatosque esse».
[31] LANGE, Römische Alterthümer, I (3a ed.), Berlin 1876, p. 27:
«Unter den verlorenen sind voranzustellen die als Geheimbücher des
patricischen Standes angesehenen Ritualbücher der verschiedenen
Priestercollegien, wie die libri
pontificii (mit den Gebetformeln der indigitamenta),
die libri augurales, libri Saliorum und Aehnliches; ferner
die Instructions-und Protokollbücher: commentarii
pontificum, augurum, quindecimvirorum»; cfr. inoltre, a proposito
dell’archivio del collegio degli auguri, pp. 337-338, mentre per quanto
riguarda i documenti del collegio dei pontefici pp. 347-350.
[32] J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, III, Leipzig 1878. Il
terzo volume della Staatsverwaltung, dedicato all’esposizione della
religione romana, riproduce, ampliandola, la precedente opera del Marquardt:
[p. 72]
(BECKER)-MARQUARDT, Handbuch der
römischen Alterthümer,
IV, Der Gottesdienst, Leipzig 1856.
Per
le citazioni si è utilizzata la seconda edizione curata da G. Wissowa,
Leipzig 1885; l’opera è stata poi tradotta in francese da M.
Brissaud: MARQUARDT, Le culte chez les
Romains, 2 voll., Paris
1889-1890.
[33] MARQUARDT,
Römische Staatsverwaltung, III2, Leipzig 1885, pp. 299 ss.; 400 s.
(cfr. Le culte chez les Romains, cit., I, pp. 358 ss.; II, pp. 111 s.).
Lo
studioso, come si è detto, appare pienamente consapevole del fatto che
le informazioni tramandateci dalle fonti sono troppo lacunose per consentire
sistemazioni più rigorose del materiale contenuto negli archivi
sacerdotali: «In der regia – scrive a tale proposito il Marquardt
– der Wohnung des pontifex maximus, befand sich das Archiv der geistlichen
Urkunden, welche häufig unter der Benennung der libri pontificii,
pontificales, pontificum erwähnt
werden. So unvollständig
die Nachrichten über diese Schriftstüche sind und so wenig es bisher
gelugen ist, die Fragmente derselben übersichtlich zusammenzustellen, so
lassen sich doch unter denselben folgende Arten unterscheiden»: Römische Staatsverwaltung, cit., p. 299 (cfr. Le culte chez les Romains, cit.,
I, p. 358).
[34] MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, cit., p. 299 n. 5 (cfr. Le culte chez les Romains, cit., I, p. 358 n. 7).
[35] Questa opinione
risulta certo più chiara leggendo direttamente la definizione dei commentarii pontificum data dal
MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, cit., p. 300: «... eine
Aufzeichnung der decreta und responsa der Pontifices, welche schon
darum nöthig war, weil bei den meisten geforderten Gutachten auf
Antecedenzfälle recurrirt werden musste» (cfr. Le culte chez les Romains, cit., I, p. 359).
[36] Vedi MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, cit., pp. 300 s. (cfr. Le culte chez les Romains, cit., I, pp. 360 ss.).
[37] Endlich sind die
Pontifices die Bewahrer der ältesten Rechtsurkunden, namentlich der leges regiae, und die sachkundigen Vertreter des geistlichen Rechtes, aus
welchem sich in der Folge das ganze Civil-und Criminalrecht der Römer
entwickelt hat»: MARQUARDT, Römische
Staatsverwaltung, cit., p. 302 (cfr. Le
culte chez les Romains, cit., I,
p. 363).
[38] Il MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, cit., p. 401, dà una motivazione
assai chiara della sua opinione sul contenuto dei commentarii del collegio degli auguri: «die commentarii waren eine Sammlung der
Gutachten (decreta oder responsa), welche das Collegium auf Anfrage des Senates in bestimmten
Fällen abgegeben hatte, namentiich wenn bei einer Wahi oder andern
amtlichen Handlungen ein Fehler gegen das Recht der Auspicien (vitium) vorgekommen war; sie bilden eine neue Quelle des Auguralrechtes im
Gegensatze zu den libri augurales, in welchen die ursprüngliche und
älteste Instruction für die technische Ausübung der
Auguralwissenschaft enthalten war» (cfr. Le culte chez les Romains, cit., II, p. 112).
[p. 73]
[39] Ma non si deve
dimenticare che già C. O. MÜLLER, Die Etrusker, II, Breslau
1828, pp. 122 s., trattando della «Hauptquelle für Kenntniss der
Augural-Disciplin», parlava indifferentemente di
«Auguralbücher oder Commentarii Augurum», i quali
«wahrscheinlich aus alten Regeln und Formeln mit Erklärungen
einzelner gelehrter Mitglieder bestanden». Anche E.
LÜBBERT, Commentationes pontificales, Berolini 1859, p. 80, pare orientarsi,
seppure non esplicitamente, nel senso di non distinguere tra libri e commentarii.
Con
ciò non si vuole affatto negare l’originalità degli studi
dei Bouché-Leclercq, tanto più che fino ad allora era dominante
nella romanistica francese la tendenza a considerare di differente contenuto i libri ed i commentarii sacerdotali: vedi, in tal senso, la distinzione
proposta da J. V. LE CLERC, Des journaux
chez les Romains, recherches précédées d’un
mémoire sur les annales des pontifes, et suivies de fragments des
journaux de l’ancienne Rome, Paris
1838, pp. 127 ss., il quale sosteneva che il contenuto dei commentarii avesse prevalentemente carattere storico, mentre i libri sarebbero stati «les livres
du culte, les rituels».
[40] Sull’opera
storico-giuridica di A. Bouché-Leclercq, autore fra l’altro della Histoire de la divination dans
l’antiquité, 4 voll., Paris 1879-1882 (rist. anast. Bruxelles
1963), e del famoso Manuel des
institutions romaines, Paris 1886,
oltre che di numerosi articoli del Dictionnaire
des antiquités grecques et romaines (infra n. 44), si veda, per tutti, A. FERNÁNDEZ-BARREIRO, Los estudios de derecho romano en Francia
después del código de Napoleón, Roma-Madrid 1970, pp. 76 ss., (ivi bibliografia precedente).
[41] A.
BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de
l’ancienne Rome. Ètude historique sur les institutions religieuses
de Rome, Paris 1871 (rist. anast. New York 1975).
[43] «Il serait
facile – scrive in proposito il Bouché-Leclercq – de montrer
que les Libri pontificii-cales ne
sauraient être considérés exclusivement comme des rituels.
On s’étonnerait de rencontrer dans un rituel les détails
sur la mort de Romulus et la provocation au temps des rois que Fenestella
trouvait dans les Libri pontificales, et même la légende de
Picus, transformé par l’hagiographe pontifical en augure. Si la
comparaison des textes donnés comme extraits des Libri pontificales prouve quelque chose, c’est
l’extension de ce titre, extension qui permet d’en faire le
synonyme d’Archives
pontificales et de l’appliquer à la collection entière
des documents émanant du collége ou confiés à sa
garde»: Les pontifes de
l’ancienne Rome, cit., pp.
21-22.
[44] Les pontifies de l’ancienne Rome, cit., p. 22. Lo
studioso francese conferma peraltro anche in opere successive questa sua
opinione: cfr. Histoire de la divination
dans l’antiquité, IV,
Paris 1882, pp. 181 s., dove tratta dell’archivio del collegio degli
auguri; Augures, in Dictionnaire des
antiquités grecques et romaines I, 1, Paris 1877, pp. 550 ss. (in particolare p. 554); Libri, ibidem 3, 2, Paris 1904, pp. 1235 ss. (in partic. 1236 s.); Pontifices, ibidem, 4, 1, Paris s. d., pp. 567 ss.
[47] Les pontifes de l’ancienne Rome, cit., p. 20:
«Ces chroniques, après avoir subi le contrôle de la
publicité, allaient s’ensevelir dans l’ombre discrète
où dormaient les éléments confus des trois plus belles
créations de l’esprit humain,
[50] Entrambi gli
studiosi, com’è noto, hanno dedicato la loro dissertazione ad
August Reifferscheid; inoltre, scrive il REGELL, De augurum publicorum libris,
cit., p. 41: «Ceterum officium postulat ut hanc meam sententiam
(cioè, il rifiuto di distinguere i libri dai commentari) nec a
Preibischio nec a me ipso primo esse profectam profitear, sed iam dudum ab
Augusto Reifferscheidio in scholis publice in alma hac litterarum universitate
habitis esse pronuntiatam».
[53] Vedi De augurum publicorum libris, cit., p. 30; cfr., inoltre, le
osservazioni critiche di A. REIFFERSCHEID, in Jahresbericht über die Fortschritte der classischen Alterthumswissenschaft
23, 1880, p. 274.
[55] REGELL, De augurum publicorum libris, cit., p. 32.
[57] Con
le conclusioni di questi due studiosi concorda anche R. PETER, il quale nella
sua dissertazione, intitolata Quaestionum
pontificalium specimen, Argentorati
1886, p. 6 n., si richiama espressamente alle tesi del Preibisch e del Regell
per quanto concerne la distinzione tra libri
e commentarii pontificali.
[58] P.
PREIBISCH, Fragmenta librorum
pontificiorum, Tilsit 1878; P.
REGELL, Fragmenta auguralia,
Hirschberg 1882; ID., Commentarii in
librorum auguralium fragmenta specimen,
Hirschberg 1893.
Il criterio seguito dal Preibisch nell’ordinare i
frammenti dei libri pontificii viene
così esposto dallo studioso: «... in disponendis fragmentis
librorum pontificiorum, quatenus non verba singularia sunt, secutum me esse eum
ordinem, qui antiquitatibus divinis a M. Terentio Varrone conscriptis suberat
secundum Augustinum de civ. dei VI, 3. Varro in illis libris secundum testem, quem modo dixi, primum egit de
hominibus, tum de locis, deinde de temporibus, denique de sacrorum
ratione»: op. cit., p.
1. Quindi sulla base di questa
quadripartizione, il Preibisch ordina i frammenti raccolti come segue: in primo
luogo compaiono quei frammenti che riguardano de sacerdotibus (fragm. 1-25), ripartiti a loro volta in: de flamine Diali deque flaminica (fragm.
1-14B); de pontificibus deque virginibus Vestae (fragm.
15-19); de fetialibus (fragm. 20A-24);
de augure (fragm. 25). Vengono poi
trattati i fragmenta ad loca sacra
spectantia (fragm. 26-30). La terza parte raccoglie i frammenti de temporibus (fragm. 31-37B) ed
è a sua volta suddivisa in:
fragmenta ad ferias universas spectantia (fragm. 31-31A);
fragmenta ad ferias privatas spectantia (fragm. 32A-35); fragmenta ad ferias publicas pertinentia (36-37B).
Vengono
infine trattati i frammenti riguardanti de
sacrorum ratione (fragm. 36-38). Lo stesso schema viene riproposto dal Preibisch
anche per la sistemazione dei singularia
verba pontificalia: op. cit., pp. 15 ss.
Quanto
al REGELL, Fragmenta auguralia, cit., pp. 12 ss., questo studioso
divide anzitutto i fragmenta in due
grandi sezioni: da una parte quelli che riguardano la augurii disciplina, dall’altra
quelli che attengono al ius augurum
publicum. Nella prima sezione il
Regell comprende quei frammenti che trattano dei signa auguralia (ex caelo; ex avibus; ex tripudiis; ex
quadrupedibus; ex diris; reliqua de signis); degli auspicia et auguria (auguria, auspicia militaria pleraque);
dello auspicandi (augurandi) ritus; della inauguratio;
dei templa auguralia (coeleste templum; templum in aere; terrestria
templa). Nella seconda sezione
sono raccolti i frammenti che attengono al ius
spectionis et nuntiationis; al ius auspiciorum et magistratum; ed infine al comitiorum ius.
[59] M. VOIGT, Über die Leges regiae, II. Quellen und
Authentie der Leges regiae, in
Abhandlungen der philologisch-historischen Classe der königlich
sächsischen Gesellschaft der Wissenschaften, VII, 1873-1879, pp. 647 ss.
[p. 76]
[61] VOIGT,
Über die Leges regiae, cit., pp. 651 ss.; in tal modo il
Voigt, riguardo alla distinzione tra libri
e commentarii, sembra correggere – o, forse
meglio, precisare – l’opinione precedentemente espressa in altro
luogo: cfr. ID., De fetialibus populi
Romani quaestionis specimen, Lipsiae 1852, p. 16.
[64] H. PETER, Historicorum Romanorum reliquiae, 2 voll, 2a ediz. 1914 (rist. anast. Stuttgart 1967).
[66] PETER, Historicorum Romanorum reliquiae, cit., I, p. V. Per quanto riguarda poi la
differenza tra gli acta ed i commentatii, cfr. Die geschichtliche Literatur über die römische Kaiserzeit
bis Theodosius I und ihre Quellen, I,
Leipzig 1897 (rist. anast. 1967), p. 205.
[70] W. SOLTAU, Die Anfänge der roemischen
Geschichtschreibung, Leipzig 1909
(rist. anast. Roma 1971), pp. 207 s.
[72] Il
Dictionnaire des antiquités
grecques et romaines, edito in 10 volumi tra il 1877 ed il 1919 per
iniziativa e sotto la direzione di Ch. DARENBERG e di E. SAGLIO, rappresenta
una sintesi significativa dei vasti interessi che la storiografia francese
dell’Ottocento è stata in grado di esprimere, riguardo
all’antichità classica. Sulla storiografia giuridica francese vedi
J. GAUDEMET, Tendences et méthodes
en droit romain, in Revue philosophique
de
[73] Paulys Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft (edita da G. WISSOWA), Stuttgart 1893 ss.
[74] Il
primo volume del Dizionario epigrafico di
antichità romane, opera curata
inizialmente da E. DE RUGGIERO, fu pubblicato a Roma nel 1895.
[p. 77]
[75] Il
BOUCHÉ-LECLERCQ scrisse diversi articoli per il Dictionnaire des antiquités grecques et romaines: oltre quelli già citati supra in n. 44, vedi anche Carmen, ibidem 1, 2, Paris 1887,
pp. 922 s.; Fasti, ibidem 2, 2, Paris 1896, pp. 987 ss.; Haruspices, ibidem, 3, 1, Paris
1900, pp. 17 ss.; Procuratio, ibidem 4, 1, Paris s. d., pp. 661 s.
[76] H. THÉDENAT, Commentarium-commentarius, in Dictionnaire des antiquités grecques
et romaines 1, 2, Paris 1887, pp.
1404 ss.; dello stesso autore cfr. inoltre Commentariensis, ibidem, pp. 1402 s.; Commentariis
(a), ibidem, pp. 1403 s.; Libellis (a),
in Dictionnaire des antiquités
grecques et romaines 3, 2, Paris 1904, pp. 1174 s.; Libellus, ibidem, pp. 1175 ss.
[77] V.
SPINAZZOLA, Augur, in Dizionario epigrafico di antichità
romane 1, Roma 1895, pp. 778 ss. Assai evidente in questo studioso è
l’influenza delle tesi del Regell, soprattutto per quanto riguarda la
distinzione tra libri e commentarii (p. 783).
[78] G. WISSOWA, Augures, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 2, 2,
Stuttgart 1896, coll. 2313 ss. (in particolare
sull’archivio del collegio, coll. 2323 ss.). Nella Real-Encyclopädie il Wissowa curò anche altri articoli
fondamentali, fra i quali si possono ricordare: Arvales fratres, 2, 2, cit., coll. 1463 ss.; Auspicium, 2, 2, cit., coll. 2580 ss.; Consecratio, 4, 1, Stuttgart 1900, coll.
896 ss.; Cooptatio, 4, 1, cit., coll.
1208 ss.; Dedicatio,
4, 2, Stuttgart 1901, coll. 2356 ss.; Devotio, 5, 1, Stuttgart 1903, coll. 277 ss.; Supplicationes, 4A, 1,
Stuttgart 1931, coll. 942 ss.
[79] A. VON PREMERSTEIN, Commentarii, in Real Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 4, 1,
Stuttgart 1900, coll. 726 ss.; cfr. inoltre gli articoli: Commentariis (a), ibidem, coll. 759 ss.; Libellis (a), ibidem 13,
1, Stuttgart 1926, coll. 15 ss.; Libellus, ibidem, coll. 26 ss. Il von
Premerstein collaborò anche al Dizionario
epigrafico per il quale scrisse l’articolo Augustales (Dizionario
epigrafico 1, Roma 1895, pp. 824
ss.).
[80] Fra
gli altri sono di un certo interesse i seguenti articoli: C. DE
[81] G.
WISSOWA, Religion und Kultus der
Römer, 2a ediz.,
München 1912, pp. 5 s.; 513 s. (sul contenuto dell’archivio dei
pontefici). Il Wissowa
[p.
78]
già
in precedenza, anche prima dell’articolo Augures, cit. supra in n.
78, aveva sostenuto la tesi dell’impossibilità di distinguere libri
e commentarii sacerdotali sulla base
delle materie contenute: nella seconda edizione del III volume della Römische Staatsverwaltung di J. MARQUARDT, da lui curata nel 1885,
lo studioso aveva sentito la necessità di correggere, con integrazioni
di nota, la diversa opinione espressa dal Marquardt (Römische Staatsverwaltung,
cit., p. 300 n. 4; p. 401 n. 5).
Per
una breve valutazione dell’opera del Wissowa, si vedano, per tutti, le
osservazioni di K. LATTE, Römische
Religionsgeschichte, München
1960, pp. 10 s., ed i rilievi più marcatamente critici di G.
DUMÉZIL, La religion romaine
archaïque, Paris 1974, pp.
32 s.
[82] M. SCHANZ, Geschichte der römischen Literatur bis
zum Gesetzgebungswerk des Kaisers Justinian, I. Die römische
Literatur in der Zeit der Republik, München
1907, pp. 29 ss. (in partic. p. 32).
[83] Restano
tuttavia autorevoli eccezioni: ricordo, ad esempio, le tesi sostenute in
proposito da E. BICKEL, Lehrbuch der
Geschichte der römischen Literatur,
2a ediz., Heidelberg 1961, pp. 303 ss. Per la posizione di questo studioso
vedi più diffusamente nel testo: supra
p. 65.
[88] A
tale proposito basterà qui citare, fra gli altri, P. WILLEMS, Le droit
public romain, 2a ediz., Louvain 1872 (dell’opera v’è
anche una 7a edizione, 1910, rist. Amsterdam 1972), p. 270, il quale appena
menziona libri pontificales e commentarii pontificum; J. MADVIG, Die Verfassung und Verwaltung des römisches Staates, 2 voll., Leipzig 1881-1882
(l’ordine della trattazione seguito dal Madvig è il seguente:
Popolo, «Das Volk und die Volksversammlungen»; Senato, «Der
Senat als Regierungsautorität»; Magistrati, «Die
republikanischen Obrigkeiten und Beamten»); questo studioso tratta dei
sacerdoti e del culto al cap. XI del II volume («Die öffentlichen Gottesverehrung»), pp.
580 ss.: in particolare sui documenti pp. 626 s.; E. HERZOG, Geschichte und System der römischer
Staatsverfassung (2 voll., Leipzig 1884-1891, rist. 1965),
I, 1, pp. 80 ss., che assai brevemente si occupa dei sacerdozi. È noto
che lo Herzog nell’esposizione della costituzione di Roma repubblicana
osserva una sorta di bipartizione: da una parte tratta «Die Regierung:
Magistratur und Senat», dall’altra «Volk und
Volksrechte»; questo studioso, non solo rifiuta l’ordine
sistematico dello «Staatsrecht» del Mommsen, ma opera anche una
rivalutazione, in qualche modo originale, del ruolo
[p.
79]
costituzionale
del tribunato della plebe (op. cit.,
I, 2, pp. 1135 ss.): su questo
aspetto, vedi G. LOBRANO, Fondamento e
natura del potere tribunizio nella storiografia giuridica contemporanea, in Index. Quaderni camerti di studi
romanistici 3, 1972, pp. 242 s.; ID., Potestates,
potestas, tribunicia potestas, in
P. CATALANO - G. LOBRANO, Il problema del
potere in Roma repubblicana, Sassari
1974, pp. 91 ss.; e da ultimo, Il potere
dei tribuni della plebe, Milano 1982, pp. 27 ss.
Per
quanto riguarda le diverse tendenze presenti nella storiografia giuridica
contemporanea nei confronti della sistematica mommseniana, vedi P. CATALANO, La divisione del potere in Roma (a proposito
di Polibio e di Catone), in Studi in
onore di G. Grosso, VI, Torino 1974, pp. 273 ss.
[89] La
propensione tipicamente francese allo studio delle «istituzioni
politiche» si può, in qualche misura, far risalire
all’influenza della fondamentale opera di N. D. FUSTEL DE COULANGES, Le cité antique. Études sur
les cultes, le droit, les institutions de
Sarebbe tuttavia errato ritenere che la cultura
romanistica francese non sia stata influenzata anche dalla sistematica
mommseniana: J. R. MISPOULET (Les
institutions politiques des Romains, 2
voll., Paris 1882-1883), ad esempio, il quale scrive la sua opera
immediatamente dopo l’apparizione dello “Staatsrecht”,
testimonia nell’introduzione il suo debito al Mominsen, op. cit., pp. IV-V: «Le
droit public de Mommsen est conçu sur un plan absolument nouveau.
C’est un véritable exposé des principes de la constitution
romaine. Le savant auteur a appliqué à cette matière la
méthode familière aux juristes: il a dégagé des
faits connus, là loi qui les régit. (...)
Le Droit public de Mommsen peut, à notre avis, servir de point de
départ à toute étude nouvelle sur cette matière; il
rend presque complétement inutile la lecture des aucteurs qui
l’ont précédé»; anche A.
BOUCHÉ-LECLERQ, Manuel des
institutions romaines, cit. supra in
n. 40, che nella sua opera ha il pregio di essere attento ai fatti sociali e di
non attuare una separazione troppo schematica tra diritto pubblico e diritto
privato e tra religione e diritto, non si sottrae nella sistemazione della
materia allo schema mommseniano (cfr. FERNÁNDEZ-BARREIRO, op. cit., p. 76); per non parlare, infine, del traduttore francese dello
“Staatsrecht” P. F. GIRARD, Manuel
élémentaire du droit romain, 2a ediz., Paris 1898, il quale quando tratta delle
“Institutions politiques” (pp. 27 ss.) ripropone lo stesso ordine
della tripartizione mommseniana.
Neppure i manuali francesi più recenti sembrano
correggere questa
[p.
80]
lacuna riguardo
ai documenti sacerdotali: vedi in tal senso, per tutti, J. ELLUL, Histoire des institutions de
l’antiquité, Paris
1961, pp. 220 ss.; 245 ss.; J. GAUDEMET,
Institution de l’antiquité,
Paris 1967, p. 394, brevemente sulle funzioni giuridiche dei pontefici.
[90] C. W. WESTRUP, On the Antiquarian-Historiographical
Activities of the Roman Pontifical College (Det Kgl. Danske Videnskabernes
Selskab. Historisk-filologiske Meddeleser XVI, 3) København 1929. Lo
stesso tema viene poi ripreso dal Westrup nella sua opera di maggior impegno: Introduction to early Roman Law. Comparative
sociological studies, 1934 ss.;
in partic. nel volume IV: Sources and
Methods, London-Copenhagen 1950.
[91] WESTRUP, On the Antiquarian-Historiographical
Activities of the Roman Pontifical College, cit., pp. 12 ss. (specialmente p. 14 n. 1: «Concerning the
identity of libri with commentarii, see Regell 30 sqq.»); cfr. anche Introduction to early Roman Law, IV, cit., pp. 23 ss.; 35 ss.
[92] F.
SCHULZ, History of Roman Legal Science, Oxford 1946: le citazioni nel testo si
riferiscono alla 2a edizione, Oxford 1953. L’opera è stata anche edita in tedesco: Geschichte der römischen
Rechtswissenschaft (mit Vorwort von W. Flume, deut. Ausg.
von H. Hoehne), Köln 1961; più recente la traduzione italiana: Storia della giurisprudenza romana (trad.
di G. Nocera, con presentazione di P. de Francisci), Firenze 1968.
[93] SCHULZ, History of Roman Legal Science, cit., p.
33 (cfr. trad. ital., cit., p. 65). Quanto poi alle
funzioni che i diversi collegi sacerdotali venivano a svolgere nella complessa
organizzazione del populus Romanus,
lo Schulz ritiene che esse fossero di
primaria importanza soltanto nella società romana arcaica e
protorepubblicana: cfr., Storia della
giurisprudenza romana, cit., pp.
19 ss.
[94] P. NOAILLES, Du droit sacré au droit civit. Cours
de droit romain approfondi 1941-42, Paris
1949, pp. 24 ss. Si può ben affermare che tutta la ricerca di P.
Noailles (del quale vedi, fra l’altro, Les tabous du mariage dans le droit primitif des Romains, Paris 1938; Fas et Ius. Études
de droit romain, Paris
1948: per una bibliografia più completa, vedi A.
FERNÁNDEZ-BARREIRO, Los estudios
de derecho romano, cit., p. 107
n. 19), permeata profondamente della consapevolezza dell’inscindibile
rapporto che nella comunità romana arcaica legava religione e diritto,
abbia sufficientemente mostrato come istituti e procedure del più antico
diritto romano si configurassero nella realtà come veri e propri atti di
carattere religioso: nei lavori di questo studioso è sempre sottolineata
con grande evidenza «l’importance des éléments
spirituels dans le droit romain ancien»: così J. GAUDEMET, Tendences et méthodès en droit
romain, cit., p. 172.
[102] Significativo è
che nei manuali si tratti ben poco dei documenti sacerdotali: cfr., per tutti,
P. JÖRS - W. KUNKEL, Römisches Privatrecht (Enzyclopädie
der Rechts- und Staatswissenschaft, II-III, Römisches Rechts),
Berlin-Göttingen-Heidelberg 1949, p. 20 e n. 4 (sui libri pontificales rimandano all’opinione del von
Premerstein); M. KASER, Römische
Rechtgeschichte, Göttingen
1950, pp. 51, 54, 141 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, Storia
del diritto romano, 6a ediz.,
Napoli 1950, pp. 6 s., 121 ss.; G. GROSSO, Lezioni
di Storia del diritto romano, 5a
ediz., Torino 1965, pp. 47 s., 121 s.; F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, I, 2a ediz., Napoli 1972, pp. 134 ss.; W. KUNKEL, Römische Rechtsgeschichte. Eine Einführung, 6a ediz., Köln-Wien 1972: cfr. Linee di storia giuridica romana, trad. di T. e B. Spagnuolo Vigorita,
Napoli 1973, p. 130; P. FREZZA, Corso di
storia del diritto romano, 3a
ediz., Roma 1974, pp. 361 ss.; A. GUARINO, Storia
del diritto romano, 5a ediz.,
Napoli 1975, pp. 607, 618.
[103] S.
TONDO, Leges regiae e paricidas, Firenze 1973; dello stesso autore cfr.,
inoltre, Introduzione alle “leges
regiae”, in Studia et documenta
historiae et iuris 37, 1971, pp. 1 ss.
[106] Manca,
infatti, nel lavoro del Tondo l’occasione per una riflessione più
ampia sulle fonti che citano i libri o
i commentarii sacerdotali, in quanto
la discussione di tali fonti non presenta carattere prioritario né
risolutivo per la tematica trattata da questo studioso: cfr., per una verifica,
Leges regiae e paricidas, cit., pp.
23 ss. e nn. 46 ss.
[107] Vedi
in tal senso la recensione di G. BONFANTE, in Labeo 22, 1973, pp. 98
ss., il quale invero muove anche alcuni rilievi critici, soprattutto sul
significato attribuito dal Tondo al termine paricidas.
[108] G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen
Pontifices (Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten, 15), Berlin
1936. Per quanto riguarda valutazioni e critiche, vedi le
recensioni di N. TURCHI, in Studi e
materiali di storia delle religioni 12, 1936, pp. 222 s.; C. KOCH, in Deutsche Literaturzeitung 58, 1937, pp.
1219 ss.; A. SZABÓ, in Gnomon 15,
1939, pp. 311 ss.; W. M. GREEN, in American
Journal of Philology 60, 1939, pp. 123 s.
[p. 82]
[109] E. NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, Lund-Leipzig 1939. Il valore
complessivo di quest’opera è stato criticamente discusso da J.
MAROUZEAU, in Revue des études
latines 17, 1939, pp. 400 s.; C. BAILEY, in The Classical Review 54, 1940, pp. 44 ss.; A. ERNOUT, in Revue de philologie, de littérature
et d’histoire anciennes 14, 1940, pp. 290 s.; S. WEINSTOCK, in The Journal of Roman Studies 30, 1940,
pp. 84 ss.; A. KLOTZ, in Philologische
Wochenschrifte, ann. 1941, pp.
355 ss. Dello stesso autore sono di recente
edizione i Kleine Schriften zum
klassischen Altertum, hrsg. von
B. Kytzler, Berlin
[110] Cfr.,
in tal senso, la breve ma penetrante valutazione critica di A. PIGANIOL, Histoire romaine (1936-1940), in Revue historique, 1941, pp. 285 ss. (= ID., Scripta varia, I, Bruxelles 1973, pp. 151 ss.).
[111] G. RODHE, Die Kultsatzungen der römischen
Pontifices, cit., pp. 15 ss.;
particolarmente significativo quanto si legge a p. 17: «Aus der Tatsache,
dass die Bezeichnungen libri und commentarii
sich decken, lässt sich nur der Schluss ziehen, dass es eninen
offiziellen amtlichen Namen für die Dokumente des Priesterarchivs nicht
gegeben hat».
[112] NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, cit., p. 5 n. 4; cfr., dello stesso
autore, Die römische Literatur, in A. GERCKE - E. NORDEN, Einleitung in die Altertumswissenschaft, I, Leipzig und Berlin 1910, p. 454.
[114] E.
CIACERI, Le origini di Roma. La monarchia
e la prima fase dell’età repubblicana, Milano 1937; sull’opera del Ciaceri, vedi i rilievi di A.
MOMIGLIANO, in The Journal of Roman
Studies 33, 1943, pp. 101 ss. (= Secondo
contributo alla storia degli studi classici, cit., pp. 401 ss.).
[115] L.
PARETI, Storia di Roma e del mondo romano, I. L’Italia e Roma avanti il conflitto con Taranto (1000 c.-
[116] Il
CIACERI, Le origini di Roma,
cit., p. 66 n. 8, pur ricollegandosi alle tesi di H. Peter circa la
relazione tra libri pontificum e pontificales e commentarii pontificum, ritiene
tuttavia di non poterlo seguire sulla distinzione, poiché:
«considerati nei singoli punti non sembra che libri e commentarii fossero
due cose proprio diverse».
[118] S.
MAZZARINO, Intorno ai rapporti fra
l’annalistica e il diritto:
[p.
83]
problemi di esegesi e critica testuale,
in La critica del testo. Atti del II
Congresso internazionale della Società Italiana di Storia del diritto, Firenze 1971, II, pp. 421 ss.
[119] MAZZARINO,
Intorno ai rapporti fra
l’annalistica e il diritto, cit.,
p. 454; cfr. anche p. 452; in proposito vedi anche: Vico, l’annalistica e il diritto, cit., p. 30.
[120] Più
in generale questa tendenza a minimizzare il contenuto complessivo degli
archivi pare essere una posizione comune a molti altri storici del nostro
tempo: sia italiani come G. DE SANCTIS, Storia
dei Romani, I, 2a ediz., Firenze 1964, pp. 16 ss., 289 ss.; IV, 2, 2,
Firenze 1953, p. 360; R. PARIBENI, Storia
di Roma. Le origini e il periodo regio. La repubblica fino alla conquista del
primato in Italia, Bologna 1954,
pp. 97 ss.; E. MANNI, Roma e
l’Italia nel Mediterraneo antico,
Torino 1973, pp. 113 ss.; sia stranieri come R. WERNER, Der Beginn der römischen Republik, München-Wien 1963, pp. 38 ss.; A.
PIGANIOL, La conquête romaine, 5a ediz., Paris 1967, pp. 88 ss.; A.
ALFÖLDI, Early Rome and the Latins, trad. tedesca curata da F. Kolb: Das Frühe Rom und die Latiner, Darmstadt 1977, pp. 159 ss. È
sintomatico dello stato della questione il fatto che questa problematica non
compaia in alcuni lavori dedicati alla storiografia romanistica più recente:
cfr. in tal senso G. POMA, Gli studi
recenti sull’origine della repubblica romana, tendenze e prospettive
della ricerca 1963 - 1973, Bologna 1974; A. ALFÖLDI, Römische Frühgeschichte: Kritik
und Forschung seit 1964, Heidelberg
1976.
[121] Per
una rapida panoramica degli studi più recenti sulla religione romana,
vedi, per tutti, H. J. ROSE, Roman
Religion 1910-
[122] Nella
fondamentale opera del BAYET, Histoire
politique et psychologique de la religion romaine, Paris 1957 (trad. ital. di G. Pasquinelli, Torino 1959;
dell’opera è stato ripubblicato di recente il testo della 2a ediz.
del 1969, col titolo: La religion
romaine, histoire politique et psychologique, Paris 1976) si dedicano sorprendentemente appena poche righe
all’esame dei documenti di provenienza sacerdotale: cfr. La religion romaine, cit., pp. 102, 104, dove si tratta rispettivamente
dell’archivio dei pontefici e di quello degli auguri.
[123] Cfr. le ampie
recensioni di P. BOYANCE, La religion
romaine selon M. Jean Bayet, in Revue
des études anciennes 60, 1958, pp. 144 ss. (= Études sur la religion romaine, Rome 1972, pp. 27 ss.), e di A. J. FESTUGIÈRE, La religion romaine d’après un
ouvrage récent, in Revue
biblique 65, 1958, pp. 78 ss.; ed inoltre A. BRELICH, in Studi e materiali di storia delle religioni
[p.
84]
27, 1957, pp. 171
ss.; L. FERRERO, in Rivista di filologia
e d’istruzione classica 36, n. s., 1958, pp. 306 ss.
[124] Vedi
le argomentate critiche mosse al lavoro del Latte da A. BRELICH, Un libro dannoso: la Römische
Religionsgeschichte di Kurt Latte, in
Studi e materiali di storia delle religioni 32, 1961, pp. 311 ss.
[125] Cfr., in tal senso, K.
LATTE, Römisches Religionsgeschichte, cit., pp. 3 s.
(“Inschriften”); pp. 4 ss. (“Literarische
Quellen”); assai significativamente peraltro libri e commentarii sacerdotali
(con la sola eccezione dei libri fatales)
non sono menzionati nel “Sachregister”: pp. 421 ss.
Mette conto tuttavia precisare che nell’opera del
Latte (p. 204) v’è pure una menzione dei
“Pontifikalbücher”, esattamente a proposito della solenne
espiazione legata al rituale della devotio; ma ciò è assolutamente
insignificante nel contesto complessivo della Römische Religionsgeschichte, laddove non è
mai affrontato il problema della letteratura sacerdotale neppure quando si
tratta della “Pontifikalreligion” (pp. 195 ss.) o delle
“römischen Priesterschaften” (pp. 394 ss.).
Quanto
poi alla posizione del Latte, per ciò che riguarda
l’autenticità delle solenni formule giuridico-religiose
pervenuteci attraverso la letteratura antiquaria, vedi supra cap. I n. 67.
[126] G.
DUMÉZIL, La religion romaine
archaïque, 2a ediz., Paris
1974, vedi pp. 104 ss., 111 ss., 545 ss., 567 ss. (cfr. trad. ital. cit., pp.
93 ss., 99 ss., 473 ss., 492 ss.), luoghi in cui si avverte la mancanza di un
discorso sugli archivi sacerdotali.
[127] Per
quanto riguarda l’atteggiamento del Bayet e del Dumézil nei
confronti del materiale proveniente dagli archivi sacerdotali, vedi supra p. 19.
[128] Proprio
per non appiattire la diversità metodologica e di prospettive tra le due
“storie” della religione romana, giova sottolineare ancora una
volta che l’atteggiamento di “indifferenza” verso la natura
ed i contenuti degli archivi sacerdotali appare nei due studiosi diversamente
motivato: mentre nell’omissione del Latte si intravvede, a mio avviso, un
aspetto di quello spirito ipercritico che caratterizza il suo atteggiamento nei
riguardi delle fonti (cfr. BRELICH, Un
libro dannoso: la Römische Religionsgeschichte di Kurt Latte, cit., in
n. 124, pp. 329 ss.), nel Dumézil v’è piuttosto un problema
d’ordine sistematico che mette fuori dalla trattazione non tanto i
contenuti degli archivi sacerdotali quanto la forma, la consistenza e i modi di
conservazione del materiale attinente a tali archivi. Ciò permette al
Dumézil di «ne pas traiter en suspects perpétuels les
antiquaires des derniers temps de la République et du début de
l’Empire» (op. cit., p.
111) e di riconoscere la fondamentale importanza della testimonianza
ciceroniana riguardo al complesso della disciplina augurale (Idées romaines, Paris 1969, p. 97).
[131] TURCHI,
La religione di Roma antica, cit., p. 46. Per maggiore chiarezza
della posizione del Turchi, può risultare utile riportare l’intero
brano in questione: «Sebbene le citazioni degli antichi autori
riferentesi a queste compilazioni pontificali siano spesso generiche
(pontificum libri, pontificii libri, apud pontifices legimus, libri sacri
ecc.), si possono distinguere quattro compilazioni principali. 1) Libri
sacerdotum populi Romani, contenenti le formule di preghiera e le rubriche del
cerimoniale per le funzioni che ritu Romano fiunt. La tradizione attribuiva a
Numa la redazione di questi sacra exscripta exsignataque. Questi libri liturgici
sono stati naturalmente i primi a sparire con la fine del paganesimo. 2)
Commentarii pontificum. Raccolta di decreti e responsi, relativi ad argomenti
sacro-giuridici e che rappresentavano in qualche modo il codice della loro
funzione specifica, analogamente a quanto si verificava anche negli altri
sodalizi religiosi. 3) Fasti, cioè l’elenco dei magistrati eletti
annualmente, cominciato a compilare dal collegio pontificale dal principio
della repubblica. Sotto il nome di fasti va anche il calendario, la cui
redazione era di spettanza esclusiva del collegio. 4) Annales pontificum o
maximi, specie di cronaca dov’erano registrati gli avvenimenti occorsi
nell’anno ed esposti al pubblico su tavole di legno imbiancato (tabulae
annales) dal pontefice massimo all’esterno della regia»: op.
cit., pp. 45-46.
Questa
lunga citazione ci aiuta a comprendere meglio quanto la posizione del Turchi si
ricolleghi nella sostanza, pur mancando i riferimenti in nota, alla tesi della
dottrina tedesca dell’Ottocento, rappresentata più compiutamente
dalla posizione di sintesi del Marquardt, da cui probabilmente dipende la
ripartizione delle materie proposta dallo studioso italiano a proposito
dell’archivio dei pontefici. Vi è un altro particolare che merita
un’ulteriore considerazione: nell’appendice bibliografica che segue
il lavoro del Turchi mancano proprio quegli studiosi tedeschi che impostarono
la critica alla distinzione solitamente fatta tra libri e commentarii sacerdotali:
così non sono citati né il Preibisch, né il Voigt,
né il Regell; è citato invece il Bouché-Leclercq, ma la
sua opera sui pontefici non appare utilizzata per quanto riguarda il problema
degli archivi.
[132] G.
B. PIGHI, La religione romana, Torino 1967, pp. 41 ss. Di questo
studioso va anche menzionata una raccolta di testi particolarmente
significativi: La poesia religiosa
romana, testi e frammenti per la prima volta raccolti e tradotti da G. B. P., Bologna 1958.
[138] PIGHI,
La religione romana, cit., p. 49. Cfr. anche pp. 50 ss.,
dove
[p. 86]
sono trattati,
seppure sinteticamente, gli archivi del collegio dei quindecimviri sacris faciundis e
delle maggiori sodalitates: feziali, arvali, salii.
[139] E.
PERUZZI, Origini di Roma. II. Le lettere, Bologna 1973. Critica la posizione
“tradizionalista” del Peruzzi J. POUCET, in L’Antiquité classique 43, 1974, pp. 560 ss.; ID., Le premier livre de Tite-Live et
l’histoire, in Les
études classiques 63, 1975, p. 359 n. 56.
[140] PERUZZI,
Origini di Roma, cit., in particolare pp. 9 ss., 81 ss.; cfr. anche Romolo e le lettere greche, in La parola del passato 24, 1969, pp. 161
ss.
[142] PERUZZI,
Origini di Roma, cit., p. 165. Lo studioso ritiene di poter individuare anche il
contenuto, o almeno l’ordine di disposizione della materia, della copia
dei libri Numae che avrebbero costituito
i primitivi libri pontificum («Se
ne ha conferma, inoltre – scrive il Peruzzi –, in Liu. l. 20. 5-6,
da cui traspare che la copia consegnata al pontefice era divisa in sette
capitoli»); la disposizione della materia supposta dal Peruzzi è
la seguente: A) caelestes caerimoniae, comprendente i sacra dei collegi maggiori e gli altri sacra pubblici e privati, divise in cinque capitoli: 1 quibus hostiis; 2 quibus diebus; 3 ad quae
templa; 4 unde in eos sumptus pecunia;
5 cetera publica privataque sacra; B) 6 iusta funebria et ad placandos manes; C) 7 prodigia fulminibus
aliove quo visu missa.
[144] PERUZZI,
Origini di Roma, cit., p. 196: «Dunque, nel passo di Livio (6, 1, 1-3), che
(si badi bene) non ha una sola parola per menzionare le tavole lignee dei
pontefici, i commentarti pontificum sono
fonti storiche come nella testimonianza di Servio, e ciò conferma che
con la parola commentarii si denomina
(o genericamente o forse anche, almeno sino ad una certa epoca, tecnicamente)
la redazione di un testo storico diverso da quello steso sulla tabula dealbata. A quella tabula esposta
in una parte della regia accessibile
al pubblico doveva corrispondere un documento più ampio “repositum
in penetralibus pontificum”».
[145] R. BESNIER, Les archives privées publiques et
religieuses à Rome au temps des rois, in Studi Albertario, II,
Milano 1953, pp. 1 ss.
[146] Nella sua
attività di ricerca il Besnier mostra sempre un notevole interesse per
il periodo monarchico di Roma antica, principalmente per quanto attiene alla
storia economica: cfr., in particolare, L’état
economique de Rome au temps des rois, in
Revue historique de droit français et étranger 13, 1934, pp. 405 ss.; L’état economique de Rome sous les rois, de 754 à
509 avant J. C., in Conférences faites à
l’Institut de droit romain en 1947 (Publication de l’Institut
de droit romain de l’Université de Paris, 6), Paris 1950, pp. 21
ss.
[148] E. BICKEL, Lehrbuch
der Geschichte der römischen Literatur, cit., pp. 303 ss.; cfr. ID., Lucius
Caesar cos.
[149] E. BICKEL, Lehrbuch
der Geschichte der römischen Literatur, cit., p. 308: «Auf den
Unterschied zwischen den Theologumena antiker Autoren und dem Schrifttum der
Priester ist besonders zu achten. Von den Annales Pontificum und Commentarii
Augurum sind die Libri pontificales und Libri augurales zu
scheiden. Diese waren keine Archivakten, keine Amtsbücher wie der
Festikalender und die für die Geschichtsschreibung wichtigen fasti
consulares und Annales maximi, sondern private, abgezweckte
konfessionelle Schriften der klassischen Hochkultur zum Schutze der
konservative Senatsherrschaft und des überlieferte Römerglaubens
gegen die Aufklärung, wie sie im 2 Buch Ciceros De divinatione und
im Missbrauch der Auspicien zur Inhibierung von Magistratsbeschlüssen sich
zeight. Diese private Literatur hatte in der Agonie der Republik ihre grosse
Stunde».
[150] G. J. SZEMLER, The Priests of the Roman Republic. A Study
of Interactions between Priesthoods and Magistracies, Bruxelles 1972. Critici nei confronti dell’opera dello
Szemler pur non sminuendone il valore prosopografico, si mostrano: T. P.
WISEMAN, in The Journal of Roman Studies 63, 1973, pp. 266 s.; J. G. HARRISON, in The American Historical Review 79, 1974,
pp. 765 s.; J. C. RICHARD, in Revue de
philologie 48, 1974, p. 162; e T. R. S. BROUGHTON, in Gnomon 47, 1975, pp. 383 ss.
[151] SZEMLER, The Priests of the Roman Republic, cit.,
p. 22 (= ID., Religio, Priesthoods and
Magistracies in the Roman Republic, in
Numen 18, 1971, p. 106).
[152] SZEMLER, The Priests of the Roman Republic, cit., p. 25: «In their archives
were collected the augural fasti, acta, libri, and/or commentarii,
which were divided into the decreta and responsa, that is, records of augural decisions
concerning the magisterial auspicia, as opposed to the libri which described the science of augury» (= Religio, Priesthoods and Magistracies in the
Roman Republic, cit., pp.
109-110).