Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-2
Francesco
Sini
Sassari, Libreria
Dessì Editrice, 1983
pp. 234
Cap. I
IL PROBLEMA
STORIOGRAFICO DEI DOCUMENTI SACERDOTALI
Sommario: 1. Consistenza
e contenuto degli archivi sacerdotali. – 2. Compilazioni
sacerdotali e valore storico-giuridico dei dati provenienti da tali documenti.
– 3. Difficoltà
ed incertezze nella distinzione tra libri
e commentarii.
[p. 15]
Numerose
fonti, sia epigrafiche[1]
sia letterarie[2],
attestano che nell’antica Roma era prassi usuale dei grandi collegia e
sodalitates[3]
redigere e conservare nei propri archivi[4]
tutta una serie di documenti, in cui erano riposte le memorie di fatti legati
alle molteplici attività di ciascun collegio[5],
nonché precise istruzioni per l’espletamento delle funzioni
sacerdotali[6].
Il contenuto di questi archivi[7]
doveva presentarsi quindi vastissimo, in quanto era assai vario il materiale
che in essi si raccoglieva: si trattava, infatti, di istruzioni generali di
culto[8];
di formule solenni (carmina)[9],
che potevano riguardare sia preghiere e regolamenti rituali, sia atti
solenni di diritto pubblico e privato; di raccolte di decreta[10]
e di responsa[11],
cioè interventi autoritativi o pareri interpretativi in materia di
competenza dei collegio[12].
Negli archivi sacerdotali si conservano, inoltre, i fasti[13],
liste dei membri del collegio[14]
(nei quali con molta probabilità era possibile trovare anche un embrione
di storia e di cronologia, se non altro per esigenze di datazione
nell’aggiornamento della lista)[15],
e gli acta[16],
processi verbali degli atti professionali del collegio.
Sebbene
in linea di massima vi fosse una certa tipicizzazione nel contenuto degli archivi
sacerdotali, non va tuttavia dimenticato che alcuni di essi superavano di gran
lunga gli altri per importanza e per ricchezza di materiale. È il caso
del l’archivio dei pontefici[17].
Spettava infatti a questi sacerdoti
[p.
16]
determinare il
calendario annuale[18],
compilare ed aggiornare i fasti consolari[19]
e registrare – fin dal periodo più antico[20]
– le cronache cittadine, annales[21],
che furono da ultimo raccolte in forma definitiva intorno al
Questa
vasta opera di raccolta e di compilazione dovette svilupparsi dapprima
occasionalmente, legata soprattutto al costante lavoro di interpretazione e di
rielaborazione delle diverse branche del ius[26]
da parte dei collegi sacerdotali: si venne così a formare, in modo
piuttosto casuale, quella massa eterogenea di materiale documentario che
costituiva la grande parte del contenuto degli archivi. Poi, in epoca
più recente[27],
è probabile che gli stessi componenti dei collegi, ed il pontefice
massimo[28],
abbiano provveduto ad elaborare una sistemazione interna di carattere funzionale
per tutto il materiale contenuto negli archivi, anche se manca qualsiasi
conferma di fonte sacerdotale o annalistica per un fatto di questo genere, con
l’unica eccezione della redazione definitiva degli Annales Maximi.
Di certo questi archivi dovevano presentarsi
riordinati in maniera organica già alla fine del III secolo[29],
quando il materiale in essi raccolto cominciò ad essere oggetto di
studio e di sistematizzazione da parte di giuristi[30]
e antiquari[31],
i quali ricavarono dagli archivi gli elementi basilari per le loro opere sul
diritto divino[32]
e sulla teologia[33].
La
perdita di tutta questa letteratura, che forse avrebbe consentito di capire la
sistemazione interna degli archivi, la divisione della materia e in contenuto
dei singoli documenti, costituisce un limite senza dubbio assai difficile da
superare nel lavoro di ricostruzione dei documenti sacerdotali. A ciò si
aggiunga la quasi totale scomparsa dei documenti provenienti direttamente dagli
archivi: le poche eccezioni[34]
ed i frammenti pervenuti attraverso citazioni annalistiche e antiquarie
[p. 17]
offrono,
infatti, un quadro parziale, lacunoso e per molti versi oscuro. Nascono quindi,
in primo luogo, dallo stato delle fonti le disparità di opinioni in seno
alla dottrina romanistica su alcuni importanti problemi, che avremo modo di
esaminare più avanti. Basterà qui accennarli appena: a) probabile
datazione dell’inizio delle compilazioni sacerdotali e valore
storico-giuridico dei frammenti; b) determinazione del contenuto dei libri e
dei commentarii; c) criterio di sistemazione elaborato dai
sacerdoti per il materiale raccolto negli archivi.
L’esigenza
di datare, seppure con una certa approssimazione, l’inizio delle
compilazioni sacerdotali si presenta strettamente legata allo stato lacunoso
delle fonti a nostra disposizione. È noto, infatti, che della grande
massa di documenti sacerdotali soltanto alcuni, e per di più assai
recenti, si sono conservati in maniera tale da poter essere ricostruiti nella
loro struttura originaria. In questo modo è possibile conoscere il
calendario religioso e civile romano[35],
i commentarii dei ludi saeculares celebrati durante i principati
di Augusto, di Claudio e di Settimio Severo[36],
ed infine gli acta fratrum Arvalium[37];
il resto del materiale di provenienza sacerdotale è costituito da
qualche frammento epigrafico[38]
e da molte citazioni contenute in opere scritte tra l’ultimo secolo della
repubblica e il quinto secolo dell’impero[39].
Il
dato delle fonti si mostra quindi a prima vista inadeguato a confermare le
testimonianze degli scrittori antichi, dai quali apprendiamo che la redazione
dei documenti sacerdotali avrebbe avuto inizio fin dai primissimi anni della
storia cittadina[40]:
da quegli anni, cioè, in cui secondo la tradizione annalistica si
sarebbero enucleate le istituzioni fondamentali
[p.
18]
del sistema
giuridico-religioso romano; istituzioni che peraltro, sempre nel racconto
annalistico, appaiono intimamente connesse alle funzioni dei principali collegi
sacerdotali[41].
Una
datazione così alta viene negata dalla maggior parte degli studiosi[42]:
l’opinione dominante nella dottrina romanistica è più
propensa a ritenere che la data iniziale di queste compilazioni non possa
essere anteriore al IV secolo a.C.[43],
in quanto solo successivamente a tale epoca si sarebbe provveduto da parte dei
pontefici, a redigere con regolarità i fasti consulares e gli annales[44].
Da
qualche tempo questa opinione, affermatasi nei primi anni del Novecento –
grazie anche al contributo di Gaetano De Sanctis[45]
– come reazione alla corrente ipercritica[46],
è stata oggetto però di ripensamento da parte di autorevoli
studiosi[47].
Negli ultimi anni, storici come il Pareti[48],
comparatisti come il Dumézil[49],
linguisti come il Peruzzi[50],
ciascuno nell’ambito della propria ricerca, hanno apportato nuovi
elementi che sembrano in grado di convalidare le testimonianze degli scrittori
antichi sul carattere assai risalente delle elaborazioni storiche, giuridiche e
“teologiche” dei grandi collegi sacerdotali[51].
Le
testimonianze degli scrittori romani trovano poi indiretta conferma anche nei
risultati delle recenti ricerche sulle “civiltà”
dell’antichissimo Lazio[52],
che, fra le altre cose, rivelano un elevato grado di utilizzazione della scrittura
in tutta l’area laziale, fin dall’epoca che si suole far
corrispondere al periodo monarchico della storia di Roma, specialmente per
fissare la memoria di solenni atti giuridico-religiosi di carattere comunitario[53].
Si comprende così il motivo
che induce a ritenere i documenti sacerdotali e le formule solenni materiali di
fondamentale importanza per qualsiasi tentativo di ricostruzione delle
più antiche vicende storiche e delle primitive istituzioni;
poiché questi documenti contengono gli elementi basilari per individuare
le caratteristiche originarle e la dialettica dello sviluppo delle istituzioni
giuridico-religiose romane e costituiscono al tempo stesso il nucleo più
antico e sicuro della tradizione.
[p.
19]
Per
quanto attiene poi alle formule solenni elaborate dai sacerdoti e raccolte nei
loro documenti, la cui funzione consisteva principalmente nell’operare di
volta in volta la traduzione nella sfera divina di tutto il complesso di
attività riferibili al popolo romano, va sottolineato che esse rappresentano,
seppure in forma elementare, la primitiva concettualizzazione
politico-religiosa e la più antica sovrastruttura ideologica di questo
popolo[54].
Resta
ancora da risolvere il problema dell’attendibilità delle formule,
nel testo in cui sono riportate dalle fonti a nostra disposizione, e più
in generale di tutte le informazioni che sembrano provenire da documenti
sacerdotali, ma per le quali non è fatto esplicito richiamo alle fonti
di provenienza. Per quanto riguarda le formule religiose, ne sostiene la piena
attendibilità Georges Dumézil[55],
il quale dimostra la sostanziale autenticità di esse sulla base della
discussione di alcuni testi liviani; anche Jean Bayet, per il resto così
attento nella valutazione della massa di informazioni storiche contenute
nell’opera di Livio, sottolinea come perfettamente credibili quelle parti
dell’opera che trattano di istituzioni politiche, giuridiche e religiose[56].
A
sostegno dell’attendibilità della massa di materiale pro- veniente
da documenti sacerdotali può essere addotto un ulteriore argomento.
Nella società romana arcaica e repubblicana, a fronte dello sviluppo dei
rapporti economici e politici, si contrapponevano da una parte una più
lenta evoluzione delle istituzioni giuridiche[57],
dall’altra il carattere fortemente conservativo della tradizione
religiosa[58].
Ciò ha permesso che il ricupero operato da antiquari e letterati antichi
di gran parte dell’elaborazione dei collegi sacerdotali sia avvenuto nel
sostanziale rispetto, se non della forma, almeno del contenuto più
genuino di quell’elaborazione.
L’aver
individuato il valore generale di questo tipo di fonti non ci esime, tuttavia,
dal valutare caso per caso il singolo passo; poiché bisogna sempre tener
conto della profonda differenza (e quindi della diversa attendibilità)
tra i dati che
[p. 20]
lo
scrittore antico ci tramanda su determinate istituzioni giuridico-religiose
più risalenti e l’interpretazione che egli ne dà,
riflettendo la propria ideologia o il proprio grado di approfondimento
scientifico[59].
Un’impostazione
di questo genere, che pure offrirebbe validi elementi di revisione del
cosiddetto “diritto pubblico romano”, incontra però forti
resistenze proprio nel campo degli studi giuridici, in cui si sente ancora
fortemente il peso della sistematica ereditata dalla storiografia giuridica
tedesca dell’Ottocento[60]:
la quale da una parte tendeva a ricostruire la complessa vicenda giuridica del
popolo romano attraverso la contemporanea concezione statualistica del diritto[61]
e dall’altra attuava di conseguenza una netta separazione tra religione e
diritto, anche a livello di ricerca scientifica[62].
In particolare, per quanto riguarda il valore storico-giuridico delle formule
solenni e dell’altro materiale provenienti dagli archivi sacerdotali,
nella forma in cui ci sono pervenuti nelle fonti, domina ancora la valutazione
negativa consolidatasi con lo Staatsrecht del Mommsen[63].
Si sa, infatti, che il grande studioso tedesco, pur privilegiando nella sua
ricostruzione sistematica i dati giuridico-istituzionali[64]
nei confronti del racconto annalistico, guardava tuttavia con forte sospetto
alle formule religiose e giuridiche riportate dalla letteratura annalistica e
antiquaria, giudicandole sovente anticipazioni di istituti sviluppatisi in
epoche più tarde[65].
Su
questo punto la prospettiva del Mommsen ha influenzato in modo considerevole
anche gli studi tedeschi sulla religione romana: basterà qui citare
l’esempio del Wissowa[66],
che sostanzialmente non si discosta dall’opinione del suo maestro e
quello più recente di Kurt Latte[67].
Perciò fra i giuristi appare
ancora oggi poco seguita quella opinione che tende ad individuare nelle
prescrizioni di diritto divino e più in generale in tutte le
testimonianze ad esso riferibili, e che in certo modo possono farsi risalire ai
documenti conservati negli archivi sacerdotali, «ciò che di
più serio gli storici di Roma abbiano potuto conoscere per i primi
[p.
21]
secoli»[68];
come dimostra il recente articolo del Gioffredi[69]
sulla tradizione antiquaria dei testi giuridico-sacrali, in cui, a mio parere,
vi è una sostanziale adesione alla linea del Latte.
Riguardo
agli archivi sacerdotali esiste nella dottrina romanistica un altro motivo di
dibattito. La discussione verte sulla possibilità pratica di
determinare, per ciascuno dei diversi generi di documenti conservati negli
archivi e variamente denominati (quali ad esempio acta, fasti,
commentarii, libri, ecc.), l’insieme delle materie che
ne costituivano il contenuto specifico. In proposito, conviene, fin
d’ora, sottolineare quanto il termine “genere” appaia di per
se stesso inadeguato ad esprimere. il significato peculiare dei termini latini
citati, poiché non è affatto certo che essi corrispondessero ad
un “genere” di documento, potendosi anche trattare di intere
“sezioni” di documenti sacerdotali aventi caratteristiche
assimilabili ai fini di una più funzionale conservazione all'interno
dell’archivio.
Attualmente,
anche se si sono venute progressivamente appianando le diversità di opinione
circa il contenuto degli acta e degli annales[70],
permane nella dottrina l’eco di un ampio dibattito, assai vivace in
passato e tuttora senza soluzione definitiva, in merito alla precisazione della
natura dei libri[71]
e dei commentarii[72]
sacerdotali e del loro possibile contenuto.
Nelle
fonti[73]
si menzionano libri e commentarii a proposito del collegio dei
pontefici e di quello degli auguri, solo libri a proposito dei Salii e
solo commentarii per quanto riguarda fratres Arvales,
septemviri Epulones e quindecimviri sacris faciundis (a proposito di
quest’ultimo collegio, non va dimenticato che essi custodivano nel loro
archivio i famosi libri Sibyllini)[74];
vi è poi la notizia dell’esistenza di libri e di
[p. 22]
commentarii
di
re[75]
e di magistrati[76].
Fra i documenti sacerdotali, libri e commentarii sono certamente
quelli più menzionati nelle fonti, dalla cui analisi emerge che essi
costituivano la parte di gran lunga più rilevante degli archivi,
poiché sembra che il loro contenuto non solo riguardasse la regolamentazione
del rituale, delle funzioni sacerdotali e gran parte del diritto divino[77],
ma anche le più risalenti norme del ius publicum[78]
e le più arcaiche procedure del ius civile[79].
Così in essi si potevano trovare - secondo le fonti - accanto agli indigitamenta[80],
alle formule solenni, ai regolamenti rituali, ai decreta e
responsa sacerdotali, notizie sulla provocatio in età regia[81]
o sulla definizione e sulla gerarchia dei poteri magistratuali[82].
Nonostante
le frequenti citazioni libri e commentarii sacerdotali non
appaiono però facilmente definibili sulla base di precise differenze di
contenuto. Ciò è dovuto principalmente a due ragioni: in primo
luogo allo stato di frammentarietà delle fonti a nostra disposizione; in
secondo luogo all’apparente confusione e alla casualità con cui
gli autori antichi, a proposito della stessa materia, citano ora libri,
ora commentarii[83].
Su questo argomento, perciò, la dottrina romanistica contemporanea
si presenta con opinioni e criteri di valutazione nettamente divergenti. Esamineremo
in seguito, in maniera più approfondita, quali siano state, e siano
ancora oggi, queste opinioni, mentre basterà accennare ora soltanto alle
linee generali del dibattito.
Nel
secolo scorso, almeno fino agli anni Settanta, era opinione dominante, sulla
scia del Niebuhr[84],
che fosse possibile definire con precisione il contenuto dei libri e
quello dei commentarii, e che essi fossero due
“generi” di documenti ben distinti negli archivi. Naturalmente
spesso variava la ripartizione delle materie proposta dai diversi studiosi: nel
senso che ciò che alcuni collocavano nei libri poteva da altri
essere attribuito ai commentarii; tuttavia si riteneva sempre
possibile una netta distinzione di contenuto.
Nella
seconda metà dell’Ottocento, il rinnovato interesse
[p.
23]
per lo studio dei
materiale proveniente dagli archivi sacerdotali[85]
contribuì a mettere in crisi questo modo tradizionale di trattare del
contenuto di libri e di commentarii: si constatò da
più parti l’impossibilità di incasellare tutto il materiale
all’interno di uno schema che distinguesse rigidamente tra libri e
commentarii, poiché tale schema si presentava per molti versi
non rispondente ai testi antichi. Ci si orientò, piuttosto, per
classificazioni che ordinassero direttamente per materia tutte le fonti di
provenienza sacerdotale, rinunciando quindi in pratica a qualsiasi distinzione
tra libri e commentarii, in quanto – si sosteneva da
parte di questi studiosi – le fonti sono talmente incerte e confuse da
non consentire altra soluzione scientificamente valida.
Questa
nuova tesi, sostenuta fra i primi dal Bouché-Leclercq[86]
e dal Regell[87],
si impose in breve tempo all’attenzione della dottrina, tanto da essere
generalmente seguita nei manuali e nelle opere di vasta consultazione[88].
Tuttavia la tesi della distinzione tra libri e commentarii continua
ad avere ancora oggi autorevoli adesioni. Né furono in grado di dare una
soluzione definitiva all’intera problematica quegli interessanti
tentativi di raccolta sistematica di frammenti di provenienza sacerdotale[89],
che pure indicarono nuove prospettive di analisi e di ricostruzione dei
documenti citati. In questo senso si può affermare con sicurezza che il
dibattito deve ritenersi tutt’altro che concluso.
NOTE
[1] Fra le fonti epigrafiche più notevoli, sono da ricordare le iscrizioni riguardanti i ludi saeculares: Corpus Inscriptionum Latinarum VI, 32323 ss.; gli acta fratrum Arvalium: Corp. Inscr. Lat. VI, 2023-2119; 32338-32398; 37164-37165 (per la bibliografia vedi infra nn. 36-37) ed alcune liste di componenti dei collegi sacerdotali: Corp. Inscr. Lat. VI, 1976 ss.; 32318 ss.; certamente agli archivi sacerdotali risalgono anche le disposizioni del collegio dei pontefici e di quello dei quindecimviri riportate in Corp. Inscr. Lat. X, 8259 ed ibid. 3698. Più in generale per le iscrizioni latine di carattere religioso del periodo arcaico e repubblicano, cfr. A. DEGRASSI, Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, 2 voll., Firenze 1957-1963.
[2] Per quanto riguarda le
fonti letterarie, vedi per tutti G. WISSOWA, Religion und Kultus der
Römer (Handbuch der klassiken Altertumswissenschaft IV, 5), 2a ediz.,
München 1912 (rist. 1971),
pp. 4 ss., 65 ss.; N. TURCHI, La religione di Roma antica (Istituto di
Studi romani. Storia di Roma, 18), Bologna 1939, pp. 337 ss.; K. LATTE,
Römische Religionsgeschichte (Handbuch der Altertumswissenschaft. V, 4), München
1960, pp. 4 ss.; G. B. PIGHI, La religione romana (Lezioni
“Augusto Rostagni”, III), Torino 1967, pp. 27 ss.; 41 ss.
[3] In generale, sui
collegi sacerdotali romani vedi, oltre G. WISSOWA, Religion und Kultus der
Römer, cit., pp. 479 ss.; J. BAYET, Histoire politique et
psychologique de la religion romaine, Paris 1957 (2a ediz. 1969)
(trad. ital. di G. Pasquinelli: La religione romana. Storia politica
e psicologica, Torino 1959, pp. 107 ss.); G. DUMÉZIL, La
religion romaine archaïque, 2a ediz., Paris 1974, pp. 567 ss.
(cfr. trad. ital di F. Jesi, La religione romana arcaica, Milano
1977, pp. 492 ss.). Troppo numerosi sono invero gli studi monografici su tali
collegi (sia di carattere storico-giuridico, sia di carattere prosopografico)
per poter essere citati in questa nota (per la bibliografia più
risalente cfr. J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, III,
2a ediz., Leipzig 1885, pp. 235 ss.; G. WISSOWA, op. loc. cit.); basterà
pertanto ricordare qui soltanto alcuni degli studi più recenti: P.
CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, Torino
1960; F. GUIZZI, Aspetti giuridici del sacerdozio romano. Il sacerdozio di Vesta, Napoli 1968; M. W. HOFFMAN LEWIS, The Official Priests of
[p. 26]
and Magistracies, Bruxelles 1972; J. SCHEID, Les
frères arvales. Recrutement et origine
sociale sous les empereurs julo-claudiens, Paris 1975.
[4] Riguardo alla
denominazione di tali archivi la terminologia delle fonti appare piuttosto
confusa, tanto da far supporre che mancasse proprio una denominazione
ufficiale: vedi, comunque, infra nn. seguenti. Peraltro, anche i luoghi
in cui venivano conservati gli archivi dei più importanti collegi
risultano di non facile precisazione: su questo punto vedi, comunque, G.
WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 502, 527.
[5] Assai
significativamente la tradizione romana ricollega i principali collegi
sacerdotali ai primordi della storia delle istituzioni cittadine (cfr. Livio 1,
20). A tale proposito, non mi pare sostenibile l’ipotesi che questa
tradizione sia frutto di più tarde ricostruzioni, di ispirazione
sacerdotale, volte a nobilitare l’altrimenti oscura storia religiosa
della città. Difficilmente si può negare l’esistenza di un
rapporto funzionale tra i collegi sacerdotali e la più antica
organizzazione politica cittadina: vedi da ultimo, in questo senso, il
convincente studio di L. R. MÉNAGER, Les collèges sacerdotaux,
les tribus et la formation primordiale de Rome, in Mélanges de
l’École française de Rome 88, 1976, pp. 455 ss.
[6] Di antichissima
redazione doveva essere l’ordo sacerdotum, conservatosi nella sua
arcaica gerarchia ancora ai tempi di Festo, o almeno della sua fonte Verrio
Flacco, quando certamente non corrispondeva più ai reali rapporti di
potere all’interno dell’ordinamento sacerdotale: Festo, p.
Più complesso
è invece il problema della definizione del rapporto tra questi materiali
e i libri de sacerdotibus delle antiquitates rerum divinarum di
Varrone: per una prima valutazione circa probabili utilizzazioni di libri sacerdotali
negli scritti dell’antiquario reatino, vedi infra cap. III, §
3.
[7] Più in
generale, sugli archivi di Roma arcaica, vedi R. BESNIER, Les archives
privées, publiques et religieuses à Rome au temps des rois,
in Studi Albertario, II, Milano 1953, pp. 1 ss.
[8] Cfr. G. WISSOWA, Religion
und Kultus der Römer, cit., pp. 409 ss.; K. LATTE, Römische
Religionsgeschichte, cit., pp. 41 ss.; G. DUMÉZIL, La
religion romaine archaïque, cit., pp. 545 ss. (cfr. trad.
ital., cit., pp. 473 ss.).
[p. 27]
[9] Sul significato e
sull’antichità dei termine vedi A. ROSTAGNI, Storia della
letteratura latina, 3a ediz., I, Torino 1964, p. 41: «Ora noi
dobbiamo per l’appunto riportarci a quell’epoca, chiaramente
riconoscibile non solo presso i Latini ma presso gli Italici in generale,
quando ancora non era ben affermata la distinzione fra
[10] Esempi di decreta
sacerdotali in Cicerone: De div. 2, 35; in Vat. 20; Livio
27, 37, 4; 27, 37, 7; 31, 9, 8; 32, 1, 9; 34, 45, 8; 39, 22, 4-5; 40, 45, 2; 4,
7, 3; 45, 12, 10; 21, 1, 15-19; 41, 21, 10-
[12] Non del tutto
chiara appare in dottrina la distinzione tra i decreta e i responsa sacerdotali:
vedi, ad esempio, E. DE RUGGIERO, Decretum, in Dizionario epigrafico
di antichità romane 2, 2, 1910, pp. 1497 ss. Per quanto riguarda i responsa,
non è neppure certo se, e in che misura, essi vincolassero il
magistrato, il senato o il privato richiedenti: tuttavia tale era il prestigio
del sacerdozio che raramente non venivano seguiti; valga in proposito quanto
afferma Cicerone, De harusp. resp. 6, 12: Quae tanta religio est qua
non in nostris dubitationibus atque in maximis superstitionibus unius P.
Servili ac M. Luculli responso ac verbo liberemur? De sacris publicis, de ludis
maximis, de deorum penatium Vestaeque matris caerimoniis, de illo ipso
sacrificio quod fit pro salute populi Romani, quod post Romam conditam huius
unius casti tutoris religionum
[p. 28]
scelere violantum est quod tres
pontifices statuissent, id semper populo Romano semper senatui, semper ipsis
dis immortalibus satis sanctum, satis augustum, satis religiosum esse visum est. Più
in generale, G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit.,
pp. 514 s., 527 ss., 551; F. SCHULZ, History of Roman Legal Science, 2a
ediz., Oxford 1953, pp. 15 ss. (cfr. trad. ital. Firenze 1968, pp. 37 ss.).
[13] Riguardano i fasti
sacerdotali, oltre le iscrizioni già citate in n. 1, anche Corp.
Inscr. Lat. VI, 37160, 37161. Fra i numerosi studiosi che si sono impegnati
nella ricostruzione delle diverse liste di sacerdoti, mette conto ricordare: L.
MERCKLIN, Die römischen Sacerdotalfasten, appendice a Die
Cooptation der Römer, Mitau und Leipzig 1848, pp. 213 ss.; C.
BARDT, Die Priester der vier grossen Collegien aus
römisch-republicanischer Zeit, Berlin 1871; P. HABEL, De
Pontificum Romanorum inde ab Augusto usque ad Aurelianum condicione publica,
Vratislaviae 1888; G. HOWE, Fasti sacerdotum populi Romani publicorum
aetatis imperatoriae, Lipsiae 1904; A. KLOSE, Römischen
Priesterfasten I, Diss. Breslau 1910;
T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, 2 voll.,
1 suppl., New York 1951-1952, 1960; M. W. HOFFMAN LEWIS, Le Official Priests
of Rome under the Julo-Claudians, cit. in n. 2; H. G. PFLAUM, “Sodales
antoniniani” de l’époque de Marc Aurèle, Paris
1966; G. J. SZEMLER, The Priests of the Roman Republic, cit. in
n. 3; J. SCHEID, Les frères arvales, cit. in n. 3.
[14] Per indicare queste
liste dei membri dei collegi sacerdotali, oltre il termine fasti, nella
dottrina troviamo usato anche il sostantivo album, sebbene non esista
una fonte in cui con album si designi tale lista: comunque, in tal
senso, si vedano J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, cit., p.
299 n. 5; Joh. SCHMIDT, Album, in Real-Encyclopädie der
classischen Altertumswissenschaft 1, Stuttgart 1893, coll. 1332 ss.
[15] Oltre le
testimonianze epigrafiche, ci sono pervenute due liste di componenti del
collegio dei pontefici: la prima si ricava da un passo di Cicerone, De
harusp. resp. 6, 12: At vero meam domum P. Lentulus, consul et pontifex,
P. Servilius, M. Lucullus, Q. Metellus, M.’ Glabrio, M. Messalla, L.
Lentulus, flamen Martialis, P. Galba, Q. Metellus Scipio, C. Fannius, M.
Lepidus, L. Claudius, rex sacrorum, M Scaurus, M. Crassus, C. Curio, Sex.
Caesar, flamen Quirinalis, Q. Cornelius, P. Albinovanus, Q. Terentius,
pontifices minores, causa cognita, duobus locis dicta, maxima frequentia
amplissimorum ac sapientissimorum civium adstante, omni religione una mente
omnes liberaverunt; l’altra è riportata da Macrobio, Sat.
3, 13, 11: Refero enim pontificis vetustissimam cenam quae scripta est
in indice quarto Metelli illius pontificis maximi in haec verba: Ante diem
nonum kalendas Septembres, quo die Lentulus flamen Martialis inauguratus est,
domus ornata fuit, triclinia lectis eburneis strata fuerunt, duobus tricliniis
pontifices cuberunt, Q. Catulus, M. Aemilius Lepidus, D. Silanus, C. Caesar,
***** rex sacrorum, P. Scaevola, Sextus ***** Q. Cornelius, P. Volumnius, P.
Albinovanus et L. Iulius Caesar augur qui eum inauguravit, in tertio triclinio
Popilia Perpennia Licinia Arruntia virgines Vestales et ipsius uxor Publicia
flaminica et Sempronia socrus eius.
[p. 29]
[16] Notevoli esempi di acta
sono le epigrafi sul marmo collocate dai fratres Arvales nel bosco
della dea Dia a pochi chilometri da Roma, dove si crede finisse l’ager
romanus antiquus. Per la ricostruzione di tali acta, vedi infra n.
37; quanto poi al rapporto tra Arvaks e dea Dia ed al significato
dei suo arcaico rituale vedi I. CHIRASSI, Dea Dia e fratres Arvales, in
Studi e materiali di storia delle religioni 39, 1968, pp. 191 ss.; sui problemi
legati all’ager romanus antiquus si confronta con il dibattito
più recente A. ALFÖLDI, Römische Frühgeschichte:
Kritik und Forschung seit 1964, Heidelberg 1976, pp. 202 ss.; per le
questioni più strettamente archeologiche e topografiche vedi, inoltre,
S. QUILICI GIGLI, Considerazioni sui confini del territorio di Roma
primitiva, in Mélanges de l’École française
de Rome 90, 1978, pp. 567 ss.
[17] Per una visione
d’insieme dei contenuto dell’archivio dei pontefici, cfr. C. W.
WESTRUP, On the Antiquarian-Historiographical Activities of the Roman
Pontifical College, København 1929; G. ROHDE, Die
Kultsatzungen der römischen Pontifices (Religionsgeschichtliche
Versuche und Vorarbeiten 25), Berlin 1936.
[18] Cfr. Servio Dan. 1,
270: Sane quae feriae a quo genere hominum vel quibus diebus observentur,
vel quae festis diebus permissa sint, siquis scire desiderat, libros
pontificales legat.
[19] Per i fasti
consulares vedi Corpus Inscriptionum Latinarum, I, 2a ediz.,
1 ss.; A. DEGRASSI, Inscriptiones Italiae, XIII, Fasti et elogia,
Roma 1947; ID., Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, I, cit.,
pp. 15 ss.
Per i problemi di ricostruzione e di datazione, vedi R. STIEHL, Die
Datierung der kapitolinischen Fasten, Tübingen 1957; R. WERNER,
Der Beginn der römischen Republik. Historisch-chronologische
Untersuchungen über die Anfangszeit der libera res publica, München-Wien
1963, pp. 219 ss. (dove
sono ampiamente esaminate le opinioni della dottrina contemporanea), 264 ss.
(in cui si affrontano le questioni relative alla ricostruzione dei Fasti fino
all’invasione gallica). I dati prosopografici sono stati raccolti da T.
R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, cit. supra in
n. 13.
[20] Così
Cicerone, De oratore 2, 12, 52-53: erat enim historia nihil aliud
nisi annalium confectio, cuius rei memoriaeque publicae retinendae causa ab
initio rerum Romanarum usque ad P. Mucium pontificem maximum res omnis
singulorum annorum mandabat litteris pontifex maximum efferebatque in album et
proponebat tabulam domi, potestas ut esset populo cognoscendi, ei qui etiam
nunc annales maximi nominantur.
[21] Sulla redazione di
questi annales è piuttosto importante quanto riferito da
Servio Dan., Aen. 1, 373: Ita autem annales conficiebantur: tabulam
dealbatam quotannis pontifex maximus habuit, in qua praescriptis consulum
nominibus et aliorum magistratuum digna memoratu notare consueverat domi
militiaeque terra marique gesta per singulos dies. Cuius diligentiae annuos
commentarios in octoginta libros veteres retulerunt, eosque a pontificibus
maximis a quibus fiebant annales maximos appellarunt; con il quale
concordano, per quanto riguarda l’origine dell’appellativo maximi,
Macrobio, Sat. 3, 2, 17: Pontificibus
[p.
30]
enim permissa est
potestas memoriam rerum gestarum in tabulas conferendi, et hos annales
appellant et quidem maximos quasi a pontificibus maximis factos; e Paolo, Fest.
ep., p.
Mette conto,
peraltro, sottolineare il fatto che l’antichità di queste
compilazioni non appare messa in dubbio neanche da parte di quegli autori
antichi, che pure le ritenevano prive di valore storiografico: vedi Catone in
Gellio, Noct. Att. 2, 28, 6: Verba Catonis ex originum quarto haec
sunt: non lubet scribere, quod in tabula apud pontificem maximum est, quotiens
annona cara, quotiens lunae aut solis lumine caligo aut quid obstiterit;
cfr. anche Cicerone, De re pub. 1, 25.
[22] I frammenti degli annales
maximi sono stati raccolti da H. PETER, Historicorum Romanorum reliquiae,
I, Stutgardiae 1914, pp. 3 s. Troppo estensivo mi sembra il criterio di
raccolta degli annalium maximorum fragmenta proposto da J. V. LE CLERC, Des
journaux chez les Romains, recherches précédées d’un
memoire sur les annales des pontifices, et suivies de fragments des journaux de
l’ancienne Rome, Paris 1837.
Per la biografia vedi F. MÜNZER, Mucius, in
Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 16, 1,
Stuttgart 1933, coll. 425
ss.; frammenti in Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt, ed.
F. P. BREMER, I, Lipsiae 1896, pp. 32. ss.
Sulla sua
attività di giurista e di politico vedi, E. S. GRUEN, The political
allegiance of the P. Mucius Scaevola, in Athenaeum 43, 1965, pp. 321
ss.; G. GROSSO, P. Mucio Scevola tra il diritto e la politica, in Archivio
Giuridico “Filippo Serafini” 175, 1968, pp. 204 ss.; R. SEGUIN,
Sacerdoces et magistratures chez les Mucii Scaevolae, in Revue des
études anciennes 72, 1970, pp. 90 ss.; M. BRETONE, Publius Mucius
et Brutus et Manilius, qui fundaverunt ius civile (D. 1. 2. 2. 39), in
La critica del testo. Atti del II Congresso internazionale della Società
Italiana di Storia del diritto, I, Firenze, 1971, pp. 103 ss.; R. A.
BAUMAN, Five Pronouncements by P. Mucius Scaevola, in Revue
internationale des droits de l’antiquité 25, 1978, pp. 223
ss.; e da ultimo, A. GUARINO, La coerenza di Publio Mucio, Napoli
1981.
[23] Per quanto riguarda
i testi di tali leges, vedi P. F. GIRARD, Textes de droit
romain, 2a ediz., Paris 1895, pp. 3 ss.; S. RICCOBONO, Fontes
iuris romani antejustiniani, pars prima, 2a ediz., Florentiae 1968,
pp. 4 ss. In genere la storiografia giuridica del secolo scorso (a parte poche
eccezioni: M. VOIGT, cit. infra cap. II, § 3; C. FERRINI, Storia
delle fonti del diritto romano e della giurisprudenza romana, Milano
1885, pp. 1 ss.; E. CUQ, Les institutions juridiques des Romains, I,
Paris 1891, pp. 6 ss., 56 ss.) si orientava nel senso di ritenere le leges
regiae disposizioni sacerdotali raccolte in età recente: J. RUBINO,
Untersuchungen über römische Verfassung und Geschichte, Cassel
1839, pp. 399 ss.; Th. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, II, 3a
ediz., Leipzig 1887, pp. 36 ss.; P. JÖRS, Römische
Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik, I, Berlin 1888, pp. 59
ss.; E. COSTA, Storia delle fonti del diritto romano, Torino
1909, pp. 1 ss.; P. KRÜGER, Geschichte der Quellen und Literatur des
römischen Rechts, 2a ediz., Leipzig 1912, pp. 4 ss. La critica
[p.
31]
più recente pare aver superato
questa prospettiva (a cui, peraltro, non manca ancora qualche autorevole
adesione: J. CARCOPINO, Les prétendues “lois royales”,
in Mélanges de l’École française de Rome 54,
1937, pp. 344 ss.): vedi in questo senso la posizione di sintesi di P. VOCI, Diritto
sacro romano in età arcaica, in Studia et documenta historiae et
iuris 19, 1953, pp. 91-92: «La critica moderna alla tradizione sulle leges
regiae è riuscita a scuotere la credibilità delle notizie
relative a un corpus, quale viene descritto dalle fonti. Ma non
pare si possano avere dubbi su questi tre punti: a) al rex spettò
un potere di ordinanza (su questo non pare dubiti nessuno); b) il rex
usò di questo potere, emanando le disposizioni, di cui si
è già parlato; c) queste disposizioni dovettero, necessariamente,
essere raccolte e custodite negli archivi dei pontefici». Da ultimo,
riesamina l’intera problematica S. TONDO, Leges regiae e paricidas,
Firenze 1973, sul quale vedi infra, cap. II, pp. 58 ss.
[24] Cicerone, Pro
Rabir. perd. 15; Livio 1, 31, 8; 1, 32, 2; 1, 60, 4; Plinio, Nat. hist. 28,
2, 4. Per una recente messa a punto della questione, vedi S. TONDO, Leges
regiae e paricidas, cit., pp. 19 ss.
[25] Su questo
particolare le testimonianze degli scrittori antichi sono unanimi: cfr.
Cicerone, Brut. 156; Pro Mur. 26; Livio 4, 3, 9; 9, 46, 5;
Pomponio, D. 1, 2, 2, 6.
Cfr., inoltre, F.
SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. ital. Firenze
1968, pp. 40 ss.; G. NOCERA, “Iurisprudentia”. Per una storia
del pensiero giuridico romano, Roma 1973, pp. 15 ss.; C. A. CANNATA,
Lineamenti di storia della giurisprudenza europea (2a ediz.), I. La
giurisprudenza romana e il passaggio dall’antichità al medioevo,
Torino 1976, pp. 24 ss.
[26]
Quest’attività riguardava non solo i pontefici, ma anche gli
auguri, i feziali e i decemviri sacris faciundis. V’era,
d’altronde, nel sistema giuridico-religioso romano una profonda
connessione fra ius di esclusiva competenza sacerdotale (pontificium,
augurium, fetiale) e il concreto esplicarsi dei rapporti
“interni” ed “esterni” del Populus Romanus: così
attraverso la facoltà di intervenire in materia di ius augurium si
attribuiva in pratica agli auguri quasi un potere di controllo di
“legittimità” sull’attività dei magistrati
(cfr. ad esempio Livio 8, 23, 4). Né meno importante è da
ritenere il ruolo dei sacerdotes Fetiales, i quali, in quanto
competenti dell’elaborazione del ius fetiale, si ponevano
come unici interpreti ufficiali delle norme che regolavano i cosiddetti
“rapporti internazionali” (cfr. Livio 31, 8, 3). Più in
generale, vedi W. KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung der römischen
Juristen, Weimar 1952, pp. 45 ss.; F. SCHULZ, Storia della
giurisprudenza romana, cit., pp. 19 ss.; G. NOCERA, “Iurisprudentia”,
cit., pp. 33 ss.
[27] L’epoca della
sistemazione degli archivi non deve in nessun caso essere confusa con quella
d’inizio dell’utilizzazione della scrittura per scopi rituali da
parte dei collegi sacerdotali romani. Di certo, l’ausilio della scrittura
per fissare le minuziose regole del rituale dovette essere necessità
assai risalente, giusta l’osservazione di A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les
pontifes de l’ancienne Rome. Étude historique des institutions
religieuses de Rome, Paris 1871, p. 59, il quale notava, a proposito
dell’antichissima organizzazione di culto, che
[p.
32]
«une liturgie si compliquée ne pouvait se transmettre sans le
secours de l’écriture». V’è, d’altronde, in
questo senso una precisa tradizione antica, probabilmente di origine
pontificale, di cui si ha notizia in Livio 1, 20, 5-7: pontificem deinde
Numan Marcium Marci filium ex patribus legit (sc. Numa) eique sacra
omnia exscripta exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus diebus, ad quae
templa sacra fierent, atque unde in eos sumptus pecunia erogaretur. Cetera
quoque omnia publica privataque sacra pontificis scitis subiecit, ut esset quo
consultum plebes veniret, ne quid divini iuris neglegendo patrios ritus
peregrinosque adsciscendo turbaretur; nec caelestes modo caerimonias, sed iusta
quoque funebria placandosque manes ut idem pontifex edoceret, quaeque prodigia
fulminibus aliove quo visu missa susciperentur atque curarentur. Per una
più approfondita analisi dei testo liviano, vedi da ultimo E. PERUZZI, Origini
di Roma. II. Le lettere, Bologna 1973, pp. 155 ss.
[28] Una iniziativa di
tal genere da parte dei pontefice massimo non deve intendersi lesiva
dell’autonomia interna dei collegi sacerdotali, poiché, la nota
competenza di esso nella sorveglianza di tutte le forme di culto, permetteva
l’accertamento e la definizione nella forma più esatta non solo
dei riti propri del collegio pontificale, ma anche di quelli che, sebbene
praticati da altri collegi, sottostavano tuttavia a quel generale potere di
controllo di cui era titolare il pontefice massimo. Non è questo il
luogo per discutere della singolarità e complessità dei poteri del
pontefice massimo; non è, però, inutile ricordare come parte di
essi sia risultata di non facile inquadramento nella prospettiva sistematica
del MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, cit., II, pp. 20 ss., il
quale, pur favorevole in linea di principio alla netta separazione tra magistratura
e sacerdozio, fu costretto a qualificare “magistratische Befugniss”
certe funzioni del pontefice massimo. Peraltro la tesi del Mommsen, ancora
seguita da gran parte della dottrina contemporanea, trovò qualche
opposizione quasi subito dopo la sua formulazione: vedi, ad es., C. SCHWEDE, De
pontificum collegii pontificisque maximi in re publica potestate, Lipsiae
1875.
Fra
gli studiosi che da ultimo si sono occupati del problema, vedi J. BLEICKEN, Oberpontifex
und Pontifikalkollegium. Eine Studie zur
römischen Sakralverfassung, in Hermes 85,
1957, pp. 345 ss.; A. CALONGE, El “pontifex maximus” y el
problema de la distinción entre magistraturas y sacerdocios, in Anuario
historico del derecho español 38, 1968, pp. 5 ss.
Per quanto riguarda
il rapporto magistratura-sacerdozio, cfr. la diversa impostazione di P.
CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., pp.
237 n. 91, 273 ss.; 362 ss.; ID., Populus Romanus Quirites, Torino
1974, p. 135; seguita da S. MAZZARINO, Storia e diritto nello studio delle
società classiche, in La storia del diritto nel quadro delle
scienze storiche. Atti del I Congresso internazionale della Società
Italiana di Storia del diritto, Firenze 1966, pp. 51 ss.; e da C.
NICOLET, Rome et la conquête du monde méditerranéen, 1.
Les structures de l’Italie romaine, Paris 1977, pp. 394 ss.
[29] Certo il problema
di una sistemazione degli archivi dovette porsi già all’inizio del
III secolo, quando con la lex Ogulnia i plebei ottennero l’accesso
ai principali collegi sacerdotali. È peraltro significativo che proprio
in questo periodo si assista al sorgere di una giurisprudenza
“laica”, di cui
[p. 33]
Appio Claudio Cieco ed il suo scriba Cn.
Flavio sarebbero stati, secondo la tradizione, fra i principali esponenti: per
i rilievi critici a questa tradizione, vedi F. SCHULZ, Storia della
giurisprudenza romana, cit., pp. 24 ss.
[30] Per i frammenti dei
giuristi in questione, vedi F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae,
cit., pp. 9 ss.; cfr. W. KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung der
römischen Juristen, cit., pp. 6 ss.; L. WENGER, Die Quellen
des römischen Rechts, Wien 1953, pp. 473 ss.; F. SCHULZ, Storia
della giurisprudenza romana, cit., pp. 78 ss.
[31] Cfr. M. SCHANZ - C. HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur,
I, 4a ediz., München 1927, pp. 234 ss.; L. WENGER, Die Quellen des
römischen Rechts, cit.,
pp. 206 ss.
[32] Degli scritti di
“diritto sacro” dei giuristi dell’età repubblicana non
ci sono pervenuti che sparsi frammenti ed alcuni titoli. Cfr., per tutti,
SCHANZ-HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, I, cit.,
pp. 598 ss.; SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, cit.,
pp. 163 s.
[33] Alla teologia
sacerdotale doveva, in qualche modo, rifarsi Varrone nel trattare degli Dei
negli ultimi tre libri delle sue antiquitates rerum divinarum: la
stessa suddivisione dell’argomento in: de dis certis, de dis
incertis, de dis praecipuis atque selectis, sembra riflettere
la cautela tutta sacerdotale, e la propensione per definizioni esaustive, nei
confronti delle divinità che erano oggetto di culto. Su Varrone e i
documenti sacerdotali, vedi più ampiamente infra, cap.
III, pp. 97 ss.
[35] Frammenti
epigrafici in Corpus Inscr. Lat., I (2a ed.), 1, pp. 205 ss.; VI,
32481 ss.; i Fasti Antiates, cioè ritrovati ad Anzio nel 1915,
sono stati pubblicati da A. DEGRASSI, Inscriptiones Latinae liberae rei
publicae, cit., pp. 23 ss. Fra gli studi più recenti vedi,
oltre l’importante contributo di A. KIRSOPP MICHELS, The Calendar of
the Roman Republic, Princeton 1967; Ch. GUITTARD, Le calendrier romain des origines au milieu du Vo s. av. J. C.,
in Bulletin de l’Association G. Budé, 1973, pp. 203
ss.; E. LÉNARD, Calendrier de Romulus. Les débuts du
calendrier romain, in L’Antiquité classique 50, 1981,
pp. 469 ss.; ma, per quanto riguarda il calendario religioso, anche P. DE
FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma 1959, pp. 322 ss., e da
ultimo G. DUMÉZIL, Fêtes romaines d’été et
d’automne, suivi de dix questions romaines, Paris 1975.
[36] Per lo studio delle
fonti relative ai ludi saeculares è ancora fondamentale
l’opera di G. B. PIGHI, De ludis saecularibus populi Romani Quiritium.
Libri sex, Milano
1941 (rist. Amsterdam 1965). Cfr. inoltre, J. A. HILD, Saeculares ludi.
Saeculum, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 4,
2, Paris 1908, pp. 987 ss.; M. P. NILSSON, Saeculares Ludi, in
Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft
[p. 34]
Essai sur le culte de Apollon et le développement du “ritus
Graecus” à Rome des origines à Auguste, Paris 1955; P. WEISS, Die “Säkularspiele” der
Republik, eine annalistische Fiktion? Ein Beifrag zum Verstendnis der kaiserzeitlichen Ludi Saeculares, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts (Röm.
Abt) 80, 1973, pp. 205 ss.; P. BRIND’AMOUR, L’origine
des Jeux séculaires, in Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt, II, 16. 2, Berlin - New York 1978, pp. 1334 ss.
[37] Gu. HENZEN, Acta fratrum arvalium quae supersunt,
Berolini 1874; Ae. PASOLI,
Acta fratrum arvalium quae post annum MDCCCLXXIV reperta sunt, Bologna
1950; ne ha annunciato una nuova edizione J. Scheid, autore di un’opera
prosopografica sui fratres arvales, cit., supra in n. 3.
[41] Vedi fra gli altri,
J. GUILLÉN, Los sacerdotes romanos, in Helmantica 24,
1973, pp. 5 ss.; L. R. MÉNAGER, Les collèges sacerdotaux, les
tribus et la formation primordiale de Rome, cit. supra in n. 5.
[42] Solitamente nella
dottrina si tende a dare maggior rilievo agli annales dei pontefici ed a
operare una sorta di identificazione tra questo genere di documenti ed il
restante materiale degli archivi: ciò anche in ragione della non precisa
distinzione che gli stessi autori antichi operavano tra annali e commentarii.
Riguardo agli annales pontificum le posizioni della dottrina
precedente sono ben sintetizzate da C. DE
[43] Così, fra
gli altri, L. HOMO, L’Italie primitive et les débuts de
l’imperialisme romain, Paris 1925, pp. 11 ss.; S. ACCAME, I
re di Roma nella leggenda e nella storia, Napoli s. d., pp. 40 s.;
S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, II, 1, Bari 1966, pp. 255
ss.; 271 ss.
[44] La bibliografia
sugli annali dei pontefici è vastissima; ci limiteremo pertanto alle
indicazioni essenziali: A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de
l’ancienne Rome, cit., pp. 250 ss.; L. CANTARELLI, Origine
degli Annales Maximi, in Rivista di filologia e d’istruzione
classica 26, 1898, pp. 209 ss.; A. ENMANN, Die älteste Redaktion
der Pontifikalannalen, in Rheinisches Museum für Philologie,
57, 1902, pp. 517 ss.; W. SOLTAU, Die Anfänge der roemischen
Geschichtschreibung, Leipzig 1909, pp. 10 ss.; E. KORNEMANN, Die
älteste Form der Pontifikalannalen, in Klio 11, 1911,
pp. 245 ss.; C. W. WESTRUP, On the Antiquarian - historiographical
Activities of the Roman Pontifical College, cit. supra in n. 17; M.
GELZER, Der Anfang römischer Geschichtsschreibung, in Hermes 69,
1934, pp. 46 ss. (= Kleine Schriften, III, Wiesbaden
[p.
35]
1964, pp. 93 ss.); E. A. CRAKE, The
Annals of the Pontifex Maximus, in The Classical Philology 35, 1940,
pp. 375 ss.: gli scritti del Gelzer e del Crake sono stati ripubblicati di
recente in V. PÖSCHL (Hrsg. von), Römische Geschichtsschreibung,
Wege der Forschung 90, Darmstadt 1969; A. ALFÖLDI, Early Rome and
the Latins, Ann Arbor 1965, pp. 164 ss.; E. GABBA, Considerazioni
sulla tradizione letteraria sulle origini di Roma, in Les origines de la
république romaine (Entretiens sur l’antiquité
classique XIII, Fond. Hardt), Genève 1967, pp. 150 ss.; L. ALFONSI, La
prosa e lo stile degli Annales Maximi, in Studii Clasice 15, 1973,
pp. 51 ss.; E. PERUZZI, Origini di Roma, II, cit., pp. 175 ss.;
B. GENTILI - G. CERRI, Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e
la storiografia romana arcaica, Roma 1975, pp. 81 ss.; da ultimo, B.
W. FRIER, Libri Annales Pontificum Maximorum. The Origins of the Annalistic
Tradition, Rome 1979. Vedi, inoltre, infra nn. 45-48.
[45] G. DE SANCTIS, Storia
dei Romani, I-II, Torino 1907 (2a ediz., Firenze 1960); per la parte
sugli annales vedi I, pp. 16 ss. Sulla figura di questo
significativo storico dei nostro secolo vedi le considerazioni di A.
MOMIGLIANO, In memoria di Gaetano De Sanctis, in Rivista storica
italiana 69, 1957, pp. 177 ss. (= Secondo contributo alla storia degli
studi classici, Roma 1960, pp. 299 ss.); da ultimo, fra gli altri, G.
BANDELLI, Gaetano De Sanctis tra Méthode e ideologia, in
Quaderni di storia 14, 1981, pp. 231 ss.
[46] In Italia
principale rappresentante di tale tendenza fu E. PAIS, autore della Storia
d’Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche e
della Storia critica di Roma: sulla molteplice produzione
storiografica dello storico italiano, sul valore e l’attualità
della sua opera, vedi il recente contributo di R. T. RIDLEY, Ettore Pais,
in Helikon 15-16, 1975-76, pp. 500 ss. Per un rifiuto radicale delle
tesi del Pais vedi, soprattutto, C. BARBAGALLO, Le origini di Roma da Vico a
noi, Milano 1926, pp. 93 ss.; ma cfr. anche A. PIGANIOL, La
conquête romaine, 5e ediz., Paris 1967, p. 623; J. HEURGON,
Rome et la Méditerranée occidentale jusqu’aux guerres
puniques (Paris 1969), trad. ital.: Il Mediterraneo occidentale
dalla preistoria a Roma arcaica, Bari 1972, p. 372.
[47] Cfr., fra gli altri, A. ROSENBERG, Einleitung und Quellenkunde zur
römischen Geschichte, Berlin 1921, pp. 113 ss.; F. ALTHEIM, Epochen
der römischen Geschichte, Frankfurt a. M. 1934, pp. 121 ss.; E.
CIACERI, Le origini di Roma. La monarchia e la prima fase
dell’età repubblicana, Milano 1937, pp. 70 ss.
[48] L. PARETI, Storia
di Roma e del mondo romano, I, Torino 1952, pp. 13 ss., anticipa di
circa un secolo la data d’inizio delle cronache dei pontefici (sostenendo
che «nulla vieta di pensare che le notazioni del Pontefice Massimo
risalgano ai primi tempi della repubblica») basandosi su una diversa
interpretazione del passo di Cicerone, De re publ. 1, 25 (p. 14 n. 4).
[49] È troppo
nota, ed ormai unanimemente riconosciuta, l’influenza profonda che ha
avuto sugli studi intorno alla religione, e più in generale alle
strutture socio-politiche della comunità romana arcaica, la ricerca di
[p. 36]
G. DUMÉZIL: sulla quale vedi, fra gli altri, H. FUGIER, Quarante
ans de recherches sur l’idéologie indo-européenne: la
méthode de M. Georges Dumézil, in Revue d’histoire
et de philosophie religieuses 45, 1965, pp. 358 ss.; C. SCOTT LITTLETON, The
New Comparative Mythology. An Antropological Assessment of the Theories of
Georges Dumézil, Berkeley-Los Angeles 1966; M. MESLIN, De
la mythologie comparée à l’histoire des structures de la
pensée: l’oeuvre de Georges Dumézil, in Revue
historique 96, 1972, pp. 5 ss.; J. RIES, Héritage
indo-européen et religion romaine. A propos de La religion romaine
archaïque de Georges Dumézil, in Revue théologique de
Louvain 7, 1976, pp. 476 ss.; E. B. LYLE, Dumézil’s three
Fonctions and Indo-European Cosmic Structure, in Numen 22, 1982, pp.
25 ss. Per la bibliografia dei lavori del Dumézil (completa fino al
1960), vedi Hommages à G. Dumézil, Bruxelles 1960;
fra le opere più recenti (a parte La religion romaine archaïque,
cit. in n. 3, e Fêtes romaines d’été et
d’automne cit. in n. 35) sono da ricordare: Mythe et
épopée, I. L'idéologie des trois fonctions dans les
épopées des peuples indo-européens, Paris 1968;
Idées romaines, Paris 1969; Mythe et
épopée, II. Types épiques indo- européens: un
héros, un socier, un roi, Paris 1971; Mythe et
épopée, III. Histoires romaines, Paris 1973; Mariages
indo-européens, Paris 1979; vedi anche Discours de
réception de M. Georges Dumézil à l’Académie
Française et réponse de M. Claude Lévi-Strauss, Paris
1979.
[50] Fra i lavori di E.
PERUZZI, oltre le fondamentali Origini di Roma (I. La famiglia,
Firenze 1970; II. Le lettere, Bologna 1973), mette conto ricordare:
L’iscrizione di Duenos, in La parola del passato 13, 1958, pp.
328 ss.; Un’antichissima sors con iscrizione latina, in La
parola del passato 14, 1959, pp. 212 ss.; I Marsi con Roma, in
Maia 13, 1961, pp. 165 ss.; Testi latini arcaici dei Marsi, in
Maia 14, 1962, pp. 117 ss.; Sabinismi dell’età regia,
in La parola del passato 22, 1967, pp. 29 ss.; Onomastica e
società nella Roma delle origini, in Maia 21, 1969, pp. 126
ss., 244 ss.; Romolo e le lettere greche, in La parola del
passato 24, 1969, pp. 161 ss.; Livio 1, 20, 5, in Rivista di
filologia e d’istruzione classica 99, 1971, pp. 264 ss.; I Micenei
sul Palatino, in La parola del passato 29, 1974, pp. 309 ss.; Aspetti
culturali del Lazio primitivo, Firenze 1978; Myceneans in Early
Rome, Roma 1980.
[51] Cfr. PARETI, Storia
di Roma e del mondo romano, I, cit., pp. 675 ss.; DUMÉZIL, La
religion romaine archaïque, cit. in n. 3; Idées
romaines, cit., pp. 10, 11 ss., 25; Fêtes romaines
d’été et d’automne, cit., pp. 141 ss.;
PERUZZI, Origini di Roma, Il, cit., pp. 155 ss., 175 ss.; ID., Livio
1, 20, 5, cit., pp. 264 ss.
[52] Per quanto riguarda
i nuovi scavi, vi è un panorama completo in Civiltà del Lazio
primitivo, Roma 1976; vedi anche, in una prospettiva più
specifica, Lazio arcaico e mondo greco - La parola del passato 32, 1977
(I. L’area sacra di sant’Omobono; II. L’Esquilino e
il Comizio; III. Castel di Decima; IV. Ficana e Lavinium;
V. Il territorio laziale e Gravisca); cfr. inoltre P. G. GIEROW, The
Iron Age Culture of Latium, I. Classification and Analysis (Lund 1966), II.
Excavations and Finds, 1. The Alban Hills (Lund 1964). Importanti
contributi alla conoscenza delle strutture sociale e politiche del Lazio
arcaico sono stati dati dai lavori di P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis,
[p.
37]
cit. supra in n. 35; ID., Variazioni
su temi di preistoria romana, Roma 1974, pp. 35 ss.; A. BERNARDI, Dai
populi Albenses ai Prisci Latini nel Lazio arcaico, in Athenaeum 42,
1964, pp. 233 ss.; C. AMPOLO, Su alcuni mutamenti sociali nel Lazio tra VIII
e il V secolo a.C., in Dialoghi d’archeologia 4-5, 1970-71,
pp. 37 ss.; G. COLONNA, Un aspetto oscuro del Lazio antico: le tombe del VI-
V secolo a.C., in Lazio arcaico e mondo greco, cit., II, pp.
131 ss.
[53] Questa tesi
già sostenuta, a suo tempo, da B. MODESTOW, Der Gebrauch der Schrift
unter den römischen Königen, Berlin 1871, pp. 42 s., e da
C. BARBAGALLO, Il problema delle origini di Roma da Vico a noi, cit.,
pp. 47 ss., ha trovato di recente nuove adesioni: cfr. E. PERUZZI, Origini
di Roma, Il, cit., pp. 9 ss., 81 ss.; S. TONDO, Leges regiae e paricidas,
cit., pp. 15, 19 ss.; ID., Profilo di storia costituzionale romana,
I, Milano 1981, pp. 9 ss.
Un esempio
particolarmente significativo (per quanto riguarda Roma) di questo tipo di
iscrizioni è costituito dal cippo arcaico rinvenuto nel Foro: la
cosiddetta iscrizione del lapis Niger, del cui carattere
risalente, pur tra le differenti datazioni ed interpretazioni proposte, nessuno
pare al momento dubitare. Non è questo il luogo per discutere delle
varie letture ricostruttive proposte, fra le quali mi pare assai stimolante
quella di G. DUMÉZIL, Sur l’inscription du Lapis Niger, in
Revue des études latines 36, 1958, pp. 109 ss.; Remarques sur la
stèle archaïque du Forum, in Hommages à Jean Bayet,
Bruxelles 1964, pp. 172 ss.; La religion romaine archaïque, cit.,
pp. 99 ss.; A propos de l’inscription du Lapis Niger, in Latomus
39, 1970, pp. 1038 ss. Ma contra vedi R.
E. A. PALMER, The King and the Comitium. A Study of
Rome’s Oldest Public Document, Wiesbaden 1969; da ultimo, F.
COARELLI, Il Comizio dalle origini alla fine della Repubblica: cronologia e
topografia, in Lazio arcaico e mondo greco, cit., II, pp. 229
ss.
[54] Un esempio di
utilizzazione delle formule giuridico-religiose per interpretare, al di fuori
degli schemi polibiano e mommseniano, la “divisione dei poteri”
nella res publica romana è quello proposto da P. CATALANO, La
divisione del potere in Roma (a. proposito di Polibio e di Catone), in
Studi Grosso, VI, Torino 1974, pp. 680 ss.; Populus Romanus
Quirites, cit., pp. 97 ss. Significativi apprezzamenti del metodo
del Catalano in C. NICOLET, Lexicographie politique et histoire romaine:
problèmes de méthode et directions de recherches, in Atti
del Convegno sulla lessicografia politica e giuridica nel campo delle scienze
dell’antichità, Torino 1980, p. 29; cfr. ID., Notes
complémentaires a Polybe, Histoires, livre VI, Paris 1977,
pp. 149 s.
[55] G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit,
pp. 104 ss. (cfr. trad. ital., cit., pp. 93 ss.).
[57] Questo potrebbe
spiegare la conservazione dei formalismo dell’antico diritto romano: sul
quale vedi G. GROSSO, Problemi generali del diritto
[p.
38]
attraverso il diritto romano, 2a ediz.,
Torino 1967, pp. 130 ss.; invece, per la continuità delle istituzioni di
“diritto pubblico”, e la coscienza che gli antichi avevano di essa:
cfr. S. MAZZARINO, Vico, l’annalistica e il diritto, Napoli
1971, pp. 26 ss.
[58] Per quanto riguarda
la tendenza conservatrice della tradizione religiosa romana, cfr., fra gli
altri, J. BAYET, La religione romana. Storia politica e psicologica, cit.,
pp. 44 ss.; G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit.,
pp. 98 ss. (cfr. trad. ital., cit., pp. 87 ss.).
[59] Un caso esemplare
di notizie del tutto disuguali dal punto di vista
dell’attendibilità, pur essendo riportate nello stesso luogo, ci
è dato da Cicerone, De re publ. 1, 63: Nam dictator ab eo
appellatur quia dicitur. Sed in nostris libris vides eum, Laeli, magistrum
populi appellari. Dal passo si ricavano due informazioni: la prima è
attinente al significato del termine dictator (quia dicitur); l’altra
riporta la denominazione solenne di questo magistrato (magister populi);
la ragione del diverso valore di esse è da ricercare nel fatto che
Cicerone attinge la prima dalla ricerca antiquaria del suo secolo, o poco
precedente, mentre ricava la seconda da documenti ufficiali del collegio degli
auguri. Cfr. F. SINI, A proposito del carattere religioso del
“dictator” (note metodologiche sui documenti sacerdotali), in
Studia et documenta historiae et iuris 42, 1976, p. 419.
[60] Vedi, in questo
senso, le osservazioni di P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, cit.,
pp. 56 ss.
[61] Tipico è il
caso dell’assimilazione dei concetto di populus al concetto di Staat,
e dell'interpretazione “statualista” del sistema
giuridico-religioso romano, operate dal Mommsen: sul quale vedi P. CATALANO, Populus
Romanus Quirites, cit., pp. 41 ss.
[62] Significativo
notare al riguardo che già nel Handbuch der römischen
Alterthümer di W. A. BECKER e J. MARQUARDT (Leipzig 1843 ss.)
[63] Th. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, 3a ediz., 3 voll.,
Lcipzig 1887 (ripr. Basel-Stuttgart
1963).
[64] Sulla Staatsrechtslhre
del Mommsen, vedi la recente critica di J. BLEICKEN, Lex publica. Gesetz und Recht in der römischen Republik, Berlin-New York 1975, pp. 16 ss.
[65] Così, ad
esempio, per il MOMMSEN, Römischen Staatsrecht, II, 1, pp. 9
s., l’inauguratio di Numa sarebbe un’invenzione
dell’annalistica, che avrebbe utilizzato come modello l’inauguratio
del Flamen Dialis in età repubblicana.
[66] G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 5 s.;
cfr. pp. 384 s., 490, 510, 524, 552 s.
[67] K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., p. 5:
«Besondere Vorsicht ist bei Verwendung der in die annalistische
Überlieferung eingelegten Dokumente geboten. Sie sind im wesentlichen von
dem Schriftsteller selbst mit Benutzung sakraler und iuristischer Formeln, die
ein archaisches Kolorit geben sollten, entworfen oder seiner unmittelbaren
Vorlage entnommen»; nella stessa pagina n. 1, il Latte cita i casi a cui
intende riferirsi: «Die Schilderung des Fetialenritus bei Liv. I 32, 6
bietet ein für die ältere Sprache unmögliches personifiziertes
Fas als Subjektsbegriff und den gräzisierenden Vokativ populus Albanus,
das Foedus Liv. I 24, 7 übernimmt die Formel tabulis cerave aus dem
Testament (z. B. Gaius 2, 104), wo sie auf den Unterschied von Testament und
Kodizill geht. Die Devotionsformel Liv. 8, 9, 6 hat ein einhellig
überliefertes veniam fero, das der Bedeutung “Gnade”,
“Gunstbezeugung”, die das Wort in der sakralen Sprache allein hat,
zuwiderläuft. Die gleiche Formel ist die einzige Stelle, die Divi
Novensiles, Di Indigetes (in dieser Reihenfolge!) nebeneinanderstellt; Livius
verstand offenbar die neuen und die alteingesessenen Götter».
Un’impostazione
così restrittiva nei confronti delle fonti letterarie è stata
oggetto di fondate obiezioni e di numerose critiche: vedi A. BRELICH, Un
libro dannoso: la Römische Religionsgeschichte di Kurt Latte, in
Studi e materiali di storia delle religioni 32, 1961, pp. 329 ss.; G.
DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., pp. 104
s.; R. SCHILLING, La situation des études relatives à la
religion romaine de la République (1950-1970), in Aufstieg und
Niedergang der römischen Welt, I, 2, Berlin-New York 1972, p.
327.
[69] C. GIOFFREDI, Il
frammento di Fabio Pittore in Gell. N. A., 10, 15, 1, e la tradizione antiquaria
dei testi giuridico-sacrali, in Bullettino dell’Istituto di
diritto romano 79, 1976, pp. 28 ss.
[70] Sulla distinzione
tra acta e commentarii si veda H. PETER, Die geschichtliche
Literatur über die römische Kaiserzeit bis Theodosius I und ihre Quellen,
I, Leipzig 1897 (rist. anast. 1967), p. 205. Per quanto riguarda gli annales
riassumono l’intera problematica C. DE LA BERGE, Annales Maximi,
in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 1, 1,
cit, pp. 272 ss.; C. CICHORIUS, Annales, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft 1, 2, cit., coll. 2248 ss.
[71] Sullo stato della
questione vedi l’articolo del BOUCHÉ-LECLERQ, Libri, in Dictionnaire des antiquités grecques et
romaines 3, 2, Paris 1904, pp. 1235 ss., e quello più recente di R.
F. ROSSI, Libri, in Dizionario
epigrafico di antichità romane 4, Roma 1958, pp. 966 ss.
[72] Di recente alcuni
studiosi, richiamandosi a quanto già sostenuto dal CANTARELLI, Origine
degli Annales Maximi, cit., pp. 214 s., appaiono propensi a ritenere i commentarii
piuttosto un testo di carattere storico: E.
Gabba,
[p.
40]
Considerazioni sulla tradizione
letteraria sulle origini della repubblica, cit., p. 150 e n. 3;
E. PERUZZI, Origini di Roma, II, cit., p. 196.
[74] Livio 10, 8, 2: Decemviros sacris faciundis,
carminum Sibyllae ac fatorum populi huius interpretes. Per una discussione
più approfondita sui libri Sibyllini vedi WISSOWA, Religion
und Kultus der Römer, cit., pp. 536 ss. (ivi bibliogr.
precedente); W. HOFFMANN, Wandel und Herkunft der sibyllinischen Bücher
in Rom, Leipzig 1933; R. BLOCH, Les origines étrusques des
Livres Sibyllins, in Mélanges A. Ernout, Paris 1940,
pp. 21 ss.; J. GAGÉ, Apollon romain. Essai sur le culte d’Apollon et le devéloppement du
“ritus Graecus” à Rome des origines à Auguste, cit., pp. 21 ss.; K. LATTE, Römische Religionsgeschichte,
cit., pp. 160 s.; R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5, Oxford 1965, pp. 654 s.; G. RADKE, Die Götter
altitaliens, Münster 1965, pp. 39 ss.
[75] Fra i libri e
i commentari dei re (per le fonti vedi infra cap. III n. 2),
meritano particolare attenzione quelli attribuiti a Numa Pompilio, che peraltro
già nell’antichità furono al centro di vaste polemiche.
È noto che nel
L’intera
vicenda dei libri Numae è stata di recente ridiscussa da E. PERUZZI,
Origini di Roma, II, cit., pp. 107 ss., il quale, attraverso un
acuto confronto delle diverse versioni, arriva a dimostrare la sostanziale
autenticità dei libri ritrovati nel
[76] A libri e
commentarii di magistrati si riferiscono Varrone, De ling. Lat. 6,
9, 88; Livio 4, 7, 10; 4, 20, 8; 39, 52, 4; Servio Sulpicio Rufo in Gellio, Noct.
Att. 2, 10, 1.
[p. 41]
[77] In generale sul diritto divino, vedi A. BERGER, Ius divinum, in
Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 10, 1,
Stuttgart 1917, coll. 1212
ss.; P. CATALANO, Per lo studio dello ius divinum, in Studi e
materiali di storia delle religioni 33, 1962, pp. 130 ss.; per quanto riguarda
il diritto sacro vedi l’importante contributo di P. VOCI, Diritto
sacro romano in età arcaica, cit. supra in n. 23;
limitatamente ad alcuni aspetti di esso R. DÜLL, Rechtsprobleme im
Bereich des römischen Sakralrechts, in Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt, I, 2, Berlin-New York 1972, pp. 283 ss.; cfr.,
anche, P. NOAILLES, Du droit sacré au droit civil. Cours de droit
romain approfondi 1941-42, Paris 1949.
[78] Tali erano, ad
esempio, le norme del ius augurium che interferivano
nell’attività dei comizi: Cicerone, De domo 39; De div. 2,
42; Livio 48, 18, 16; Macrobio, Sat. 1, 16, 19.
[79] Livio 9, 46, 5.
Sull’influenza dei pontefici nell’elaborazione del ius vedi,
fra gli altri, M. KASER, Das altrömische Ius. Studien zur
Rechtsvorstellung und Rechtsgeschichte der Römer, Göttingen
1949, pp. 345 ss.; I. VERNACCHIA, I pontefici nella storia del processo
romano arcaico, in Ciceroniana 1, 1959, pp. 123 ss.; sugli aspetti
“religiosi” del ius civile più antico sono
particolarmente significativi i lavori di H. LÉVY-BRUHL, raccolti in Nouvelles
études sur le trés ancien droit romain, Paris 1947.
[80] Per quanto riguarda
gli indigitamenta è ancora utile il vecchio lavoro di I.
A. AMBROSCH, Über die Religionsbücher der Römer, Bonn
1843; importante anche l’articolo di J. BAYET, Les “Feriae
sementivae” et les indigitations dans le culte de Cérès et
de Tellus, in Revue de l’histoire des religions 137, 1950, pp.
172 ss.; cfr. inoltre G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque,
cit., pp. 50 ss. (trad. ital.,
cit., pp. 46 ss.).
[82] Cfr., in tal senso,
i due decreta del collegio degli auguri riportati da Livio 4, 31, 4, e
da Festo, v. maximus praetor, p.
[85] Le basi per la
ricostruzione critica del materiale contenuto negli archivi sacerdotali erano
state poste dalle numerose opere di I. A. AMBROSCH, Studien und Andeutungen
im Gebiet des altrömischen Bodens und Cultus, Breslau
[p. 42]
[86] A.
BOUCHÉ-LECLERQ, Les pontifes de l’ancienne Rome, cit. supra
in n. 44. Per quanto riguarda l’esposizione del punto di vista dello
studioso francese rimando al § 3 del capitolo seguente.
[87] REGELL, De augurum publicorum libris, diss. Vratislaviae 1878, in part. pp. 31 ss. Per una più ampia discussione, vedi infra cap. Il § 3.
[88] L’opinione
che rifiutava la distinzione tra libri e commentarii sacerdotali,
oltre ad essere raccolta dal WISSOWA nel suo manuale sulla religione romana e
dallo SCHANZ nel primo volume della Geschichte der römischen Literatur,
fu anche in genere fatta propria dagli estensori degli articoli riguardanti
collegi ed archivi sacerdotali, pubblicati, tra la fine dell’Ottocento ed
i primi anni dei nostro secolo, nel Dictionnaire des antiquités
grecques et romaines, nella Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft, e nel Dizionario epigrafico di
antichità romane. Sulla questione vedi infra, cap. II,
p. 55.
[89] Cfr., in questo
senso, alcuni fra i più significativi lavori del genere: P. PREIBISCH, Fragmenta
librorum pontificiorum, Tilsit 1878; R. PETER, Quaestionum
pontificalium specimen, Argentorati 1886; Gu. ROWOLDT, Librorum pontificiorum Romanorum de
caerimoniis sacrificiorum reliquiae, Halis Saxon. 1906.