ds_gen Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni

 

Francesco Sini

Documenti sacerdotali di Roma antica

 

 

PREMESSA[1]

 

 

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Quali motivazioni e quale spazio può avere, nel campo degli studi romanistici attuali, una ricerca volta all’individuazione e ricostruzione dei “frammenti” provenienti dagli archivi dei sacerdoti romani?

A tale ricerca si è spinti dal convincimento che attraverso lo studio dei documenti giuridico - religiosi di provenienza sacerdotale e della sistematica ad essi sottesa, del lessico e dei concetti ivi utilizzati, si offrano al giurista gli strumenti concettuali per la comprensione di quel peculiare rapporto tra religione e diritto, che sta alla base dell’organizzazione “politica” della comunità romana arcaica e repubblicana; e che, al tempo stesso, si predispongano le premesse indispensabili per un riesame complessivo del sistema giuridico-religioso romano, a cominciare dalla ridefinizione del ius publicum in prospettiva non statualista.

Vi è stato in questi ultimi anni un rinnovato interesse per i molteplici problemi relativi alla storia arcaica di Roma. I risultati della ricerca archeologica hanno condotto a rafforzare in maniera consistente l’attendibilità di molte “notizie” sulla primitiva storia di Roma trasmesse dalla tradizione. Parallelamente si è venuta evidenziando la buona qualità della tradizione documentaria sacerdotale, su cui concordano molti storici della religione,

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filologi e linguisti, sulla scorta degli studi del Dumézil, che paiono non lasciare dubbi sul carattere assai risalente dell’attività speculativa (giuridica - teologica - storica) dei grandi collegi sacerdotali romani.

Fra i giuristi v’è ormai chi ritiene (superando la generica impostazione del Rubino) che i documenti sacerdotali siano la fonte più seria che gli antichi abbiano potuto conoscere sui primi secoli di Roma.

          Questa ampia riaffermazione dell’attendibilità della tradizione documentaria sacerdotale costituisce il quadro in cui si colloca il riesame critico, giuridico e filologico al contempo, del problema relativo alla distinzione tra libri e commentarii.

La verifica della distinzione è stata ovviamente condotta analizzando le fonti che riportano citazioni testuali di questi documenti, ma ha avuto come punto di partenza la confutazione delle posizioni negative a cui pervenne la dottrina della seconda metà dell’Ottocento. Questa non aveva ritenuto possibile separare fra il materiale degli archivi quale dovesse attribuirsi a libri e quale a commentarii; ciò sia per la confusione, operata da quegli studiosi, tra fonti di differente valore, sia, e soprattutto, per il clima generalmente diffuso di sfiducia verso la tradizione.

Tali posizioni furono recepite anche dai giuristi e contribuirono a svalutare ulteriormente gli apporti della tradizione documentaria sacerdotale nel campo dei nostri studi. Più in particolare, influirono negativamente su tutti i lavori di raccolta dei materiali giuridico - religiosi, effettuati tra la fine del secolo scorso e il primo decennio del nostro secolo; nei quali non si pervenne all’individuazione di criteri sistematici sicuri in ordine ai frammenti. Rifiutando la distinzione tra libri e commentarii si rinunciava a quella che pare essere stata una partizione fondamentale dei materiali conservati negli archivi dei sacerdoti. A ben vedere, se non si tiene conto della diversità tra libri e commentarii, non si possono utilizzare in maniera congrua i materiali giuridico - religiosi di provenienza sacerdotale (vorrei dire: come non si potrebbe studiare il diritto giustinianeo senza tener conto della distinzione tra Codex e Digesta). Ciò vale

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sia per le questioni riguardanti la sistematica sia per quelle riguardanti la terminologia, come “prima dommatica giuridica”.

In effetti, per quanto attiene alla sistematica ed ai concetti, il disegno mommseniano del “Römisches Staatsrecht”, nonostante che sempre più se ne rilevi l’insufficienza per singoli aspetti, continua ad avere largo seguito nelle interpretazioni storiche complessive, perfino in una prospettiva marxista (basti ricordare il De Martino). Eppure non mancano studiosi che di tale disegno hanno contestato in maniera radicale i presupposti teorici e le categorie concettuali: in particolare il Grosso e l’Orestano, sulla base della teoria istituzionale di Santi Romano, hanno variamente evidenziato la “pluralità” di principi e organizzazioni del “diritto romano” e la sua irriducibilità ad una prospettiva statualista.

La constatata inadeguatezza delle categorie pubblicistiche contemporanee per intendere l’esperienza giuridica millenaria del “populus Romanus Quirites” impone dunque allo studioso di andare ancora oltre, verso un ritorno alle fonti più autentiche del pensiero giuridico romano. Si tratta di cercare, con rinnovata riflessione, nella sistematica e nel lessico dei documenti sacerdotali.

 

 

 

 



[1] I primi tre capitoli erano già stati pubblicati, in stesura non definitiva, nell’anno accademico 1977-1978 come materiali integrativi al corso di Diritto romano dell’Università di Sassari, tenuto dal prof. Pierangelo Catalano. Il completamento della ricerca è stato condotto sulle schede originali del Thesaurus Linguae Latinae, a Monaco di Baviera.

Sono grato al prof. Italo Lana, direttore del “Gruppo torinese di ricerca sul pensiero politico antico”, per aver voluto includere parte delle mie ricerche nei programmi del gruppo.