Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-11
Problemi generali e linee della ricerca
Sommario: – 1. Passato e presente: la Carta de Logu d’Arborea nella
storia e nelle tradizioni del Popolo Sardo. – 2. Riemersioni nella cultura sarda contemporanea (alcune
teorie di Antonio Pigliaru su Carta de Logu
e «vendetta barbaricina»). – 3. Problemi storiografici
irrisolti (o irrisolvibili). A proposito della data di promulgazione della Carta de Logu. – 4. Suggestioni romanistiche: «su bene dessa re plubigha sardischa», «su utili cummoni» e altri motivi
ispiratori della legislazione dei Giudici d’Arborea. – 5. Linee della ricerca.
In
tempi di rinnovata tensione autonomistica può essere utile, non solo per i Sardi,
riflettere ancora una volta sulla Carta
de Logu de Arborea[1].
Infatti, questo splendido
[p.
2]
monumento
legislativo scritto in «sardo antico»[2]
offre allo storico del diritto lo strumento più prezioso e più stimolante
[p.
3]
per
riscoprire, anche nel vasto ambito della storia del diritto italiano[3],
caratteri originali e peculiarità propri delle strutture giuridiche della
Sardegna medievale, moderna, contemporanea; poiché non bisogna dimenticare che
la Carta de Logu d’Arborea ha
plasmato, con le sue leggi indelebili, molteplici aspetti della secolare vita
di relazione del Popolo Sardo, quasi fino ai nostri giorni. Formalmente la Carta de Logu, conservata pur con le
notevoli modifiche ed integrazioni apportate nel corso dei secoli, cessò di
avere forza di legge solo nel 1828, anno in cui entrarono in vigore le Leggi civili e criminali, promulgate dal
re di Sardegna Carlo Felice nel 1827[4].
[p.
4]
Le
ragioni di una così lunga durata[5]
sono da ricercare soprattutto nelle intrinseche qualità e nell’elevato spessore
giuridico della compilazione ordinata dalla giudicessa Eleonora d’Arborea[6],
i cui capitoli incarnavano infatti, per quanto tradotti con la scrittura «in
termini colti»[7],
le
[p.
5]
istanze
fondamentali di esperienze popolari e consuetudinarie maturate nelle comunità
sarde di pastori e contadini;
[p.
6]
dove
peraltro si è conservata di fatto operante, anche ben al di là della sua stessa
vigenza[8].
Sicché, ancora oggi, istituti ed usi tipici della Sardegna contadina e pastorale
hanno le loro radici, per lo più senza coscienza storica del fatto, in capitoli
dell'antica Carta voluta dalla grande
Eleonora[9].
[p.
7]
Tale
è sicuramente il caso delle compagnie di barracelli[10],
che in numerosi paesi della Sardegna vigilano, come gli antichi Jurados de padru[11],
a protezione delle coltivazioni
[p.
8]
e
del bestiame e a tutela del territorio[12].
Anche
alcune prescrizioni contenute nelle ordinanze della Regione Autonoma della
Sardegna in materia di prevenzione degli incendi estivi[13]
presentano notevoli elementi di simiglianza con la Carta de Logu; o meglio con
[p.
9]
i
suoi Ordinamentos de foghu, statuiti
nei capitoli 45-49. Tuttora, infatti, per combattere la micidiale piaga degli
incendi – fenomeno purtroppo ricorrente nella storia secolare della nostra
Isola[14]
– è fatto obbligo alle comunità (Comuni, Province, ecc.) di predisporre idonee
fasce tagliafuoco nei terreni di pertinenza pubblica, prima dell’inizio
dell'estate[15];
con modalità e procedure assai simili a quelle prescrizioni della Carta de Logu che ordinavano alle
comunità di villaggio (villas) de fagher sa doha[16].
Con le stesse
[p.
10]
finalità
si giustifica (ora come allora) l’obbligo, posto in capo ai privati cittadini,
siano essi proprietari dei fondi o altri aventi titolo, di osservare scrupolosamente
i tempi prescritti[17]
per l’abbruciamento delle stoppie di colture cerealicole o foraggiere[18].
Che
dire, poi, della tenace persistenza nella Sardegna
[p.
11]
contadina
della figura del juargiu[19]
e del relativo contratto di società parziaria, in rapporto alla coltivazione
della terra[20];
o degli usuali contratti di soccida tra pastori e proprietari (delle greggi o
del pascolo), stipulati nelle nostre campagne in forme e contenuti assai
simili, nei fatti, agli
[p.
12]
antichi
Ordinamentos de cumonis, che
regolavano tali fattispecie nella Carta
de Logu arborense[21].
Tra
le emersioni più significative della Carta
de Logu nella cultura sarda contemporanea, meritano di essere ancora
meditate con la massima attenzione le stimolanti riflessioni che possiamo
leggere nella nota monografia di Antonio
Pigliaru, dedicata alla più caratteristica delle «consuetudini
giuridiche sarde»: la vendetta barbaricina[22].
Non
è possibile naturalmente, in questa sede, soffermarsi
[p.
13]
ad
illustrare la complessità di pensiero, la molteplicità di interessi teoretici[23]
e il fermo impegno civile di Antonio Pigliaru[24]
(titolare della cattedra di Dottrina dello Stato nell’Università di Sassari
fino alla sua morte prematura, avvenuta nel 1969)[25];
ma non appare certo azzardato affermare che egli è stato, quasi sicuramente, il
più significativo uomo di cultura che la Sardegna abbia avuto nella seconda
metà del Novecento[26].
[p.
14]
Dunque,
come si è già detto, Antonio Pigliaru aveva trattato della Carta de Logu di Arborea in alcune pagine della sua opera più
originale: La vendetta barbaricina come
ordinamento giuridico. In quelle pagine, dopo aver evidenziato assai bene
sia l’influenza che ebbe l’«esperienza romanistica» sul “codice” arborense[27],
sia il fortissimo legame di esso con le «consuetudini giuridiche sarde»[28];
l’insigne filosofo del diritto formulava, con l’originalità e l’acutezza a lui
consuete, una tesi davvero suggestiva. A suo avviso, il fatto che la comunità
barbaricina in un momento imprecisato della sua storia «sia pervenuta al
concetto che la vendetta è un dovere», sarebbe da ascrivere al fortissimo
influsso che la legislazione penalistica della Carta de Logu ha esercitato sulla società sarda, nel
[p.
15]
corso
di vari secoli, seppure in una dialettica sovente conflittuale tra «consuetudine
e legge»[29].
A
conferma della sua tesi lo studioso citava il capitolo 6 della Carta de Logu[30]:
quello, cioè, che poneva in capo all’intera comunità di villaggio il dovere di
catturare e consegnare agli organi giudicali il colpevole di un omicidio
commesso nel territorio della villa.
Ma di tale testo offriva un’interpretazione del tutto inusuale: «il tentativo
di assicurare il delinquente alla giustizia posto in essere dalla Carta de Logu, attraverso quello che il
Besta chiamerà “il
[p.
16]
sistema
della responsabilità collettiva”, non ha, secondo me, solo le funzioni che
normalmente gli vengono attribuite (rimediare all’insufficienza delle forze di
pubblica sicurezza, rompere certi rapporti di omertà); ma più forse quella di
sottrarre il reo all’iniziativa privata»[31].
Orbene,
proprio il tenore del capitolo 6 della Carta
de Logu renderebbe verosimile per il Pigliaru l’ipotesi da lui prospettata,
circa l’archetipo originario da cui, nell’esperienza secolare delle comunità
pastorali sarde, sarebbe stata mutuata la concezione della vendetta come dovere
comunitario. «Possiamo per altro cominciare a domandarci, a proposito di questa
posizione – scriveva infatti l’indimenticabile studioso di Orune –, se la
comunità barbaricina non sia pervenuta al concetto che la vendetta è un dovere
“proprio” attraverso, o anche “anche” attraverso la esperienza di questa perentoria
disposizione che fa obbligo all’universalità dei soggetti (“tutti gli uomini”)
di collaborare attivamente (e non solo passivamente) al regime della propria
sicurezza, dentro e fuori della città, dentro e fuori casa, intervenendo
attivamente e responsabilmente, epperò entro i limiti della legge, nella
repressione delle colpe»[32].
[p.
17]
Mentre
Gerolamo Olives, giurista sardo del XVI secolo, prudentemente, non precisava
l’anno di promulgazione della Carta de
Logu arborense: «quod ista Capitula, et compilatio debuerunt publicari, et
promulgari in aliqua die solemni, et sancta festivitate, nisi intellexerit de
aliqua die sancta, hebdomadae sanctae. Nam in cap. 125 in eodem, ubi loquitur
de Ferijs, nullum diem appellat sanctum, nisi hebdomadam sanctam»[33];
la storiografia dell’Ottocento riteneva invece quella data fosse da collocare
nel giorno di Pasqua del 1395[34].
Com’è
noto, a proporre questa datazione fu il cavaliere Giovanni Maria Mameli De’
Mannelli[35],
autore della riedizione ottocentesca e della prima traduzione in lingua
italiana della Carta de Logu:
«Esser dovrebbe il giorno di
[p.
18]
Pasqua
del 1395 anno, in cui fu pubblicata la Carta
de Logu, e pare, che ciò si debba dedurre dai capitoli 19 e 20 ne’ quali si
nomina sempre in primo luogo la Corona di San Marco, e dal cap. 105 in cui si
prefigge il termine in quel primo anno, per prendere i Tavernaj le misure del
vino, sino alla Corona di San Marco prossima ventura; e per contro in detti
capitoli la Corona delle Palme, ch’è l’immediatamente precedente al giorno di
Pasqua, vien nominata in ultimo luogo»[36].
L’attendibilità
di una simile datazione fu sottoposta, nei primi anni del Novecento, a serrate
critiche da parte di Enrico Besta, il quale trattò dell’argomento nella lunga e
minuziosa prefazione illustrativa scritta per l’edizione critica del manoscritto
cagliaritano della Carta de Logu [37],
curata dal grande storico del diritto in collaborazione con il linguista Pier
Enea Guarnerio. In quella sede, il Besta, dopo aver evidenziato magistralmente
tutte le contraddizioni a cui una simile datazione dava luogo, esplicitava la
sua proposta, avanzata pur con qualche dubbio, di collocare la promulgazione
della Carta nell’anno
[p.
19]
1392[38]:
«Nemmeno la data della pubblicazione della legge di Eleonora – scriveva al
riguardo lo studioso – è del resto certa benchè molti abbiano scritto con tutta
sicurezza che fu promulgata l’11 aprile 1395. In realtà si tratta di una
semplice congettura del Mameli che, appoggiandosi ad una erronea lezione delle
stampe, arguì che fosse stata promulgata il di di Pasqua nel sedicesimo anno
della morte di Mariano da lui attribuita al 1379. Egli morì invece al più tardi
nel 1376: e, se veramente la legge fosse stata edita sedici anni dopo la sua
fine, non si potrebbe venire al di qua del 1392. Ma forse è anteriore»[39].
Propendeva,
invece, per l’anno 1386 Antonio Era. Lo studioso algherese aveva manifestato
tale convincimento, invero senza un’adeguata motivazione, in un saggio del 1939
destinato agli Studi in onore di Enrico
Besta, in cui si indagava sulla natura delle così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu[40].
Qualche decennio più
[p.
20]
tardi,
l’Era si attestò su posizioni meno decise, ma sempre contrarie alla data del
1392. Tali posizioni vennero ribadite anche nel suo ultimo studio: la lezione
inaugurale, letta nell’Aula Magna dell’Università di Sassari in occasione della
cerimonia di apertura dell’anno accademico 1959-60, che il Maestro volle
dedicare significativamente a «Le ‘Carte de logu’»[41].
In questo saggio lo studioso, ritenendo di dover premettere «qualche dato
cronologico orientativo» per la chiarezza della successiva trattazione,
scriveva quanto segue: «Mariano regnò dal 1346 al 1375, il figlio Ugone III o
IV, dal 1375 al 1383, [...]. Precisa Eleonora nel prologo che la carta emanata
dal padre Mariano era rimasta per 16 anni senza alcun ritocco. Detraendo dal
sedicennio gli otto anni del regno di Ugone si ricava che la carta di Mariano
ebbe una data compresa tra il 1367 che porta al 1383 la redazione di Eleonora e
il 1375 che porta la redazione di Eleonora al 1391»[42].
Sulla
scia dell’Era si colloca la nuova «ipotesi» di datazione della Carta de Logu proposta più di recente da
Ennio
[p.
21]
Cortese, in un discorso commemorativo dedicato
proprio all’opera di questo acuto storico delle istituzioni giuridiche sarde:
«Nel suo ultimo studio Era, prudentemente, si limita a ricondurre la
compilazione di Eleonora al lasso di tempo compreso tra il 1383, quando inizia
il suo governo, e il 1391, allorché scade il sedicennio dalla morte di Mariano.
Sarebbe poi molto interessante conoscere i ragionamenti in base ai quali egli
aveva lanciato nel ‘39, senza spiegazioni, la data del 1386: aveva forse in
mente la prima convenzione con re Pietro? Certo, quest’episodio apre un lungo
periodo, fino all’estate ‘91, in cui interventi normativi sembrano in linea di
massima possibili: ma resta, a mio parere, che i mesi di gran lunga più propizi
son quelli che si succedono dalla primavera alla fine del ‘90, o tutt’al più
all’inizio ‘91»[43].
Ipotesi che, peraltro, il Cortese conferma anche nel suo recentissimo manuale
di storia del diritto: «Si è discusso a lungo – scrive lo studioso – sulla data
della Carta arborense, ma non si
possono fare in proposito che vaghe congetture: forse i mesi più probabili sono
quelli che vanno dalla primavera del 1390 all’inverno 1390-1391»[44].
Nonostante
le numerose opinioni differenti, la data del 1392 ha finito per imporsi nella
storiografia attuale quasi come un canone indiscutibile. Costituisce un esempio
significativo di questo atteggiamento anche la più recente edizione e
traduzione italiana della Carta de Logu
arborense: quella pubblicata nel 1995 a cura di Francesco
[p 22]
Cesare Casula per i tipi della Delfino
Editore di Sassari. Nel commentare il testo della Carta, il curatore dedica al «problema della datazione» gran parte
della lunga ed articolata nota al proemio: «Poiché si è sempre affermato –
scrive in proposito il Casula – che l’autore della nota Carta de Logu sia più la juighissa
che il padre, tutti hanno cercato di stabilire l’anno della versione emendata
del Codice adottato, poi, anche dai governanti iberici e piemontesi del regno
di Sardegna dal 1421 al 1827, proponendo le date più disparate in base a
ragionamenti più o meno cervellotici. Ammesso che il problema sia importante,
fra le date proposte quella che ci sembra la meno improbabile è la Pasqua del
1392, perché, almeno, trova qualche riscontro nella situazione
politico-istituzionale dell’Arborea e nei riferimenti interni al testo»[45].
[p
23]
Finalità
dichiarate nel prologo della Carta de
Logu[46]
furono, principalmente, quelle di affrenare
e constringhere
[p.
24]
«sa superbia dessos reos et malvagios hominis»,
al fine di consentire «quisos bonos et
puros et innocentes pozant viver et istare inter issos reos ad seguritades pro
paura dessas penas»[47].
In
tal modo Eleonora d’Arborea, «per issos
bonos capidulos» della Carta de Logu,
si proponeva di porre fermo ed efficacissimo rimedio alla deteriore condizione
della sua
[p.
25]
epoca,
in cui – come ancora oggi, del resto – «ciaschuno
est plus inquenivili assu malu fageri qui non assu bene dessa re plubigha
sardischa»[48].
Mette
conto rilevare, a questo proposito, come il citato richiamo «assu bene dessa re plubigha sardischa»
lasci intravedere, una volta di più, il solido riferimento alla cultura giuridica
coeva da parte degli ignoti compilatori della Carta de Logu d’Arborea; mi pare, infatti,
possibile percepire distintamente, per quanto riguarda l’utilizzazione del
concetto di respublica, sia la
consapevolezza della
[p.
26]
relazione
sintagmatica fra populus e respublica, già postulata dai glossatori
più antichi[49];
sia la conoscenza dei vari significati della parola respublica, così come risultavano schematizzati nella Glossa
accursiana[50].
La
legislatrice arborense volle altresì ricollegare le norme della Carta de Logu ai motivi ispiratori
dell'opera riformatrice del padre, Mariano IV di Arborea[51];
fra i quali
[p.
27]
primeggiava
la difesa intransigente delle attività agricole[52]
contro le frequenti invasioni dei pastori[53],
perseguita da
[p.
28]
questo
giudice con l'emanazione del cosiddetto "Codice rurale"[54],
che non a caso fu poi introdotto, a partire dalla prima edizione a stampa,
nella Carta de Logu di Eleonora[55]:
«L’economia terriera sarda, nella “Carta” di
[p.
29]
Eleonora
– scriveva al riguardo Carlo Guido Mor – ci appare imperniata, quasi, sul
duello fra cultura e pastorizia, ma la legislatrice ci si palesa nettamente
favorevole alla prima, difesa energicamente di fronte all’invandenza degli
armenti»[56].
Fra
i motivi ispiratori del grande giudice arborense non trascurerei il riferimento
più generale alla suprema finalità del potere sovrano di legiferare, espresso
dalla frase «provvideri a su utili
cummoni et bonu istadu de sa gente nostra»[57],
che possiamo leggere nel prologo del citato “Codice rurale”[58].
Infatti, in questo puntuale riferimento
[p.
30]
a su utili cummoni,
quale finalità primaria della legislazione dei Giudici d’Arborea, mi pare
possibile intravedere sottesi quei quaedam
publice utilia[59],
che la giurisprudenza
[p.
31]
romana
aveva concepito come elementi caratterizzanti dello ius publicum :
D.
1, 1, 1, 2 (Ulpianus, libro primo
institutionum): Publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat,
privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia,
quaedam privatim[60].
Elementi
che furono poi recepiti anche dai compilatori costantinopolitani dei Digesta dell’imperatore Giustiniano, per
concettualizzare le due positiones
dello ius (pubblico e privato)[61].
[p.
32]
Prima
di affrontare la questione relativa agli influssi del diritto romano giustinianeo
sulla Carta de Logu, sarà bene
precisare chiaramente l'oggetto dell'esposizione e fissare dei limiti rigorosi
alla presente ricerca. Quindi, inizieremo col dire che cosa il lettore non deve
aspettarsi da questo libro.
Non rientra, ad esempio, fra le finalità della ricerca ripercorrere sul filo della storia e della storiografia giuridica un tema come quello delle origini delle istituzioni giuridiche e politiche della Sardegna medioevale. Questo
[p.
33]
tema,
peraltro, è stato indagato e discusso, fin dal XV secolo, da generazioni di
giuristi e di storici del diritto: a partire da quell’anonimo giurista sardo,
che proprio sul finire del XV secolo compose le cosiddette Questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu (Leges pro sas cales si regint in Sardigna)[62];
o da Gerolamo Olives, giureconsulto sassarese del XVI
secolo[63],
al quale si devono quei Commentaria et
glossa in Cartam de Logu, pubblicati a Madrid nell’anno 1567[64],
che rappresentano la prima riflessione
[p.
34]
scientifica
sulla legislazione di Eleonora d’Arborea[65].
Quanto
si è detto viene a ridurre sensibilmente l'ambito dell'indagine. Ma, nel corso della
ricerca non mi avventurerò – anche per mia evidente incompetenza in materia –
neppure fra i meandri di quella storiografia che, fondando nella continuità del
diritto romano pubblico e privato gli “elementi costitutivi”[66]
delle istituzioni giuridiche sardo-giudicali, presumeva poi da tale continuità
[p.
35]
il
carattere romano del diritto sardo del medioevo[67].
Infine,
non procederò ad una esposizione completa dei disparati elementi romanistici,
rilevabili nella Carta de Logu di
Arborea. Per quella via, infatti, non si aggiungerebbe quasi niente di nuovo
rispetto ai risultati già conseguiti da altri – e ben più validi – storici del
diritto nel campo delle istituzioni politiche, del diritto penale, del diritto
privato o dell'ordinamento processuale: penso, in particolare, ai contributi di
studiosi quali Giovanni Zirolia[68],
Francesco Brandileone[69],
Enrico Besta[70],
[p
36]
Arrigo
Solmi[71],
Raffaele Di Tucci[72],
Aldo Checchini[73],
Antonio Era [74]
e, in tempi a noi più vicini, Antonio Marongiu[75]
ed Ennio Cortese[76].
[p.
37]
La
mia sarà, dunque, una ricerca soprattutto di carattere essenzialmente
esegetico-comparativo. Mi limiterò, cioè, ad esaminare un piccolo numero di capitoli
della Carta de Logu d’Arborea,
mettendoli poi a confronto con alcuni testi giuridici romani: si analizzeranno,
in particolare, solamente i capitoli della Carta
in cui la legislatrice arborense si è richiamata in maniera esplicita al
diritto romano, con termini propri quali sa
lege o sa ragione (Capp. 3, 77,
78, 97, 98).
Nella
prospettiva strettamente romanistica di questa ricerca, infatti, per dimostrare
l’esistenza di influssi del diritto romano giustinianeo sulla Carta de Logu d’Arborea sarà giusto
sufficiente accertare in maniera incontrovertibile, mediante lettura sinottica
e analisi esegetica dei relativi frammenti del Corpus Iuris Civilis, quale grado di
[p.
38]
aderenza
i citati capitoli della Carta de Logu
abbiano conservato nei confronti di quei testi giuridici romani, che quasi per
certo costituirono i modelli di riferimento per la legislatrice arborense e per
i suoi non incolti compilatori[77].
[1]
Con questo titolo è stato pubblicato nei primo anni del Novecento l’unico manoscritto
esistente della Carta de Logu,
posseduto dalla Biblioteca Universitaria di Cagliari: E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con
Prefazioni illustrative, Estratto dagli “Studi Sassaresi” III, Sassari
1905.
Nelle
citazioni della carta arborense, ho seguito di norma il testo dell’edizione incunabola:
Carta de Logu. Riproduzione dell’edizione
quattrocentesca conservata nella Biblioteca Universitaria di Cagliari (a
cura di Antonina Scanu), Sassari 1991; confrontandolo
con Le Costituzioni di Eleonora
giudicessa d'Arborea intitolate Carta de Logu. Colla Traduzione Letterale dalla
Sarda nell'Italiana Favella e con copiose Note, del Consigliere di Stato e
Referendario Cavaliere Don Giovanni
Maria Mameli De' Mannelli, Roma 1805 [rist. an., Cagliari 1974]; col
citato manoscritto pubblicato dal Besta
e dal Guarnerio; nonché con la recentissima
edizione di F. C. Casula, La “Carta de Logu” del regno di Arborèa.
Traduzione libera e commento storico, Sassari 1995.
Per
la storia delle diverse edizioni, rinvio al saggio esaustivo e ben documentato
di Tiziana Olivari, Le edizioni a stampa della “Carta de Logu”
(XV-XIX sec.), in “Medioevo. Saggi e rassegne” XIX (1994), pp. 159 ss.; da
vedere anche Barbara Fois, Sulla datazione della ‘carta de Logu’, ibidem, pp. 133 ss.; e Giuseppina
Cossu Pinna, La Carta de Logu
dalla copia manoscritta del XV secolo custodita presso la Biblioteca
Universitaria di Cagliari alla ristampa anastatica dell’incunabolo:
bibliografia aggiornata e ragionata, in Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de
Logu.
Atti del Convegno internazionale di studi, Oristano 5-8 dicembre 1992, a
cura di G. Mele, Oristano 1996,
pp. 113 ss.
[2]
Mutuo l’espressione da E.
Blasco Ferrér, Storia linguistica della Sardegna, Tübingen 1984, p. 64, al quale
rinvio anche per una più puntuale definizione del concetto: «Preme rilevare,
dapprima, che il concetto stesso di sardo
antico, inteso come struttura linguistica volgare indipendente, non
aderisce ad una realtà letteraria autosufficiente, in quanto veicolo di una
larga tradizione orale; si tratta piuttosto di un complesso imponente, ma limitato,
di dati linguistici appartenenti ad un registro cancelleresco»; dello stesso autore cfr. inoltre La lingua sarda contemporanea. Grammatica
del logudorese e del campidanese, Cagliari 1986, pp. 70 s.
[3]
Sul tema «La Carta de Logu nella storia
del diritto italiano» si è tenuto a Cagliari, 9-11 dicembre 1993, un importante
convegno di studi, i cui atti sono ormai di imminente pubblicazione. Al tema
sono dedicate anche alcune pagine, assai ben informate, del recentissimo saggio
di A. Mattone, La storiografia giuridica dell’Ottocento e
il diritto statutario della Sardegna medievale, in “Materiali per una
storia della cultura giuridica” XXVI (1996), pp. 67 ss., più in particolare pp.
96 ss.
[4]
Al di là della valutazione complessivamente positiva – pur denunciandone una
«singolare arretratezza» compilatoria – espressa da G. Vismara, Momenti della
storia della famiglia sarda, in “Studi sassaresi”, III serie, II (1971),
pp. 190 ss.; la storiografia giuridica contemporanea ha dedicato, stranamente,
solo «qualche breve accenno», alla consolidazione feliciana: cfr., ora, M. Da Passano, Delitto e delinquenza nella Sardegna sabauda (1823-1844),
[Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Sassari.
Serie storica, 3] Milano 1984, pp. 1 ss. (con ampia rassegna della bibliografia
precedente).
[5]
Vedine l’orgoglioso compiacimento, che potremmo definire di stampo “nazionalistico”,
in G. M. Mameli de’ Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa
d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., p. 7: «Quanta compiacenza mai io
provo, ogni qualvolta rivolgo in mente il vantaggio, che ha recato alla mia
Patria la non interrotta osservanza delle sue leggi antiche, e particolarmente
di questo Codice, che conta già oltre a’ quattrocent’anni, dacchè sono
persuaso, che da ciò in gran parte dipenda l’uniformità de’ costumi
mantenutavisi fin ora pressochè interamente, e la venerazione pe’ suoi propj
Statuti, ed il più fedele attacamento a’ suoi legittimi Sovrani; le quali cose
l’anno preservata dal gettarvi radici lo spirito convulsivo, che in questa
nostra età ha invaso una gran parte dell’Europa, e l’anno animata ad opporre la
più valida resistenza a’ terribili sforzi della più imponente forza nemica, con
ammirazione fin di quelli, che non si son dati il pensiero d’imitarla».
[6]
Non è dunque da condividere, a questo proposito, il giudizio di F. Schupfer, Manuale di storia del diritto italiano, 4ª ed. riveduta e
riordinata, Città di Castello-Firenze 1908, p. 382, per il quale una così lunga
vigenza della Carta de Logu «fa fede
certamente della bontà intrinseca della legge, ma attesta eziandio l’indole
piuttosto stazionaria di cotesti insulani».
[7]
Per quanto attiene alle caratteristiche della lingua utilizzata dalla legislatrice
arborense (a parte il lavoro ormai classico di P. E. Guarnerio, La
lingua della «Carta de Logu» secondo il manoscritto di Cagliari, in E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con
prefazioni illustrative, cit., pp. 69 ss.) sono veramente fondamentali
alcuni saggi di A. Sanna, La lingua della Carta de Logu, in Id., Il dialetto di Sassari e altri saggi, Cagliari 1973, pp. 9 ss.; e
soprattutto Il carattere popolare della
lingua della Carta de Logu, in Aa.Vv.,
Il mondo della Carta de Logu,
Cagliari 1979, pp. 49 ss.
Nei
suoi lavori il Sanna ha dimostrato, fra l’altro, l’inconsistenza della tesi del
Guarnerio, il quale riteneva determinante nella lingua della Carta de Logu l’influenza della variante
linguistica logudorese, da lui considerata alla stregua di una sorta di volgare
illustre della lingua sarda del medioevo: «In conclusione – scriveva al
riguardo il Sanna (Il carattere popolare,
cit., p. 70) – si può affermare che la lingua della carta de Logu rispecchia la
lingua del Giudicato di Arborea, di un territorio posto fra l'area logudorese e
quella campidanese. L'arborense parlato in questa zona, era una varietà del
sardo, svoltosi in maniera autonoma, pur entro i limiti di una sostanziale
omogeneità di tutto il sardo, e, comunque, non logudorese, né campidanese, ma
varietà a sé stante, usata, in questo caso, in un'opera giuridica, un Codice di
leggi, quindi con una scelta precisa del registro linguistico che sottolinea,
necessariamente, la differenza fra lingua parlata e scritta senza, per altro,
modificare la genuinità della lingua reale, usata, è evidente, con una certa
eleganza e con maggiori pretese di stile. Superato anche l'antistorico concetto
del logudorese salito a “volgare illustre” che avrebbe esercitato un'azione
dominatrice sull'arborense e, specificamente, dell'influsso degli Statuti di Sassari
sulla lingua della Carta, si deve necessariamente concludere che la lingua
della Carta, pur nella scelta stilistica che può allontanarla in misura
limitata dal linguaggio parlato, riflette fedelmente e semplicemente la parlata
arborense con tutte quelle caratteristiche che si sono ritrovate nei documenti
provenienti da quest'area, anteriori, coevi e anche posteriori, e che si
ritrovano ancora oggi in molti dialetti popolari della zona».
Sul
tema vedi anche G. Paulis, Parole e storia nel
mondo della ‘Carta de Logu’ e del Giudicato di Arborea, in Studi in onore di Massimo Pittau, I,
Sassari 1994, pp. 11 ss.; pubblicato, ora, in Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de Logu,
cit., pp. 133 ss. Più in generale, sugli aspetti storico-linguistici del «sardo
antico del periodo giudicale e dei condaghi», vedi E. Blasco Ferrér, Storia
linguistica della Sardegna, cit., pp. 64 ss.
[8]
Questa peculiarità della Carta de Logu
non era sfuggita, del resto, ad A. Pertile,
Storia del diritto italiano dalla caduta
dell'impero romano alla codificazione, II.2. Storia del diritto pubblico e delle fonti, 2ª ed., a cura di P. Del Giudice,
Milano-Roma-Napoli 1898, pp. 88-91, il quale ne sosteneva, infatti, la vigenza
ben oltre l’abolizione formale: «essa non perdette ogni valore nell’isola che
allorquando vi fu introdotto il codice civile italiano, e con esso si ruppe
ogni filo della storia».
[9]
Sulla giudicessa-reggente e sulla sua attività legislativa (ancora
significativi i vecchi lavori di G. C. Del
Vecchio, Eleonora d'Arborea e la
sua legislazione, Milano 1872, con particolare riguardo al contenuto e al
valore giuridico della Carta de Logu;
M. Fuortes, Eleonora d'Arborea e la Sardegna medioevale del suo tempo, Firenze
1921), vedi l’ampia sintesi di F. C. Casula,
La Sardegna aragonese, 2. La Nazione sarda, Sassari 1990, pp.
413 ss. Buoni spunti per un ripensamento critico dei problemi storiografici
ancora aperti si leggono, ora, in A. Mattone,
v. Eleonora d’Arborea, in Dizionario Biografico degli Italiani,
XLII, Roma 1993, pp. 410 ss. (con la bibliografia più aggiornata sul
personaggio); dello studioso sassarese vedi anche il saggio Un mito nazionale per la Sardegna. Eleonora
d’Arborea nella tradizione storiografica (XVI-XIX secolo), in Società e cultura
nel Giudicato di Arborea e nella Carta de Logu, cit., pp. 17 ss.
Alla
vera effigie di Eleonora d’Arborea (assai diversa, invero dalla visione
agiografica tradizionale dell’eroina sarda) è dedicato il saggio di F. C. Casula, La scoperta dei busti in pietra dei re o giudici d’Arborea: Mariano IV,
Ugone III, Eleonora con Brancaleone Doria, in “Medioevo. Saggi e rassegne”
IX (1984), pp. 9 ss.; in cui si sostiene che Eleonora sarebbe da identificare
con la figura femminile «scolpita insieme a quella del padre, del fratello e
del marito, in uno dei peducci pensili – e precisamente quello di destra –
dell’arco trionfale dell’abside della chiesetta conventuale di San Gavino
martire, nell’antico villaggio di San Gavino Monreale, oggi in provincia di
Cagliari, ma che nel Medioevo era capoluogo della curatoria arborense di
Bonorzuli, vicino al castello di Monreale (Sardara)».
[10]
Cfr. G. Pazzaglia, L’istituto del barracellato e l’agricoltura
della Sardegna, in Atti del secondo
Congresso Nazionale di Diritto agrario, Mussolinia-Cagliari-Sassari 16-19
ottobre 1938, Roma 1939, pp. 95 ss., in particolare p. 96: «è certo [...]
che nelle carte d’Arborea, in una parte che riproduce le leggi rurali dettate
da Mariano IV, padre di Eleonora, ai jurados
de logu e jurados de padro o padrargios erano attribuite facoltà e
responsabilità non molto dissimili da quelle che vennero ad assumere
successivamente durante la dominazione spagnola i barracelli il cui nome pare derivare dallo spagnolo “barrachel”»;
ivi si cita anche la tesi di laurea di M.
Angioi, L’istituto del
barracellato in Sardegna sotto l'aspetto storico, giuridico e amministrativo,
Cagliari 1909 (che però non mi è stato possibile vedere).
[11]
Carta de Logu, cap. 38: ... Et icussu bestiamen, cant achaptare sos
iurados de pardu ispeciadu ade nocte, cio est covallu domado, ebba domada, boe
domadu et molent:, siant tenudos dellu tenne[r] et baturellu assa corte. et
issos iurados indi appant decussu qui ant a batire a sa corte, sa terza parte
dessas tenturas. Et cio si intendat pro boes domados qui in cussu tempus si
paschit a muda si tenerent pro qui debent giaghere in sa cort:, et appant indi
su tersu secundu quest naradu desupra. Cap. 142: ... Et icusso pubillu de vigna o ver orto o armentargiu o homini suo,
over iurado electu a sa guardia dessas vingnas et ortos et lavores, quillu
achaptarint in alcuna de sas dictas vignas et ortos siat tenudo de accusarellu,
comente et issu bestiamini, a sa pena chi si contenit de supra. Cap. 167: Item ordinamus qui sas ebbas qui sant
acatari intro dessu pardu desiidu, qui su maiori de pardu et issos iurados de
pardu siant tenudos de maxellari de sas dictas ebbas, over quillis fassat
tentura, de sa quali tentura depiant levari soddos X a su pubillu de sas ebbas.
Ma bolemus qui non deppiat maxedari si non abastat ad ebbas X insusu et si non
abastant ad ebbas X qui depiant levari su mayore de pardu cum sos compangios
soddos I per pegus. Cfr. anche i capp. 171 e 194.
[12]
Così sosteneva, ad esempio, G. Zirolia,
Ricerche storiche sul governo dei Giudici
in Sardegna e relativa legislazione, Sassari 1897, p. 174: «Il maggiore e i giurati avevano speciale
incarico di sorvegliare e di fare osservare le leggi agrarie di Mariano, ed
erano chiamati responsabili dei danni quante volte sfuggivano alla
responsabilità penale coloro che per le leggi vigenti avrebbero dovuto subire
condanna, o fossero scampati a sicura morte per inavvedutezza degli stessi majores che li avessero colti in
fragrante (sic!) reato. Vediamo adombrato in queste prescrizioni l’istituto dei
barracelli che vige tuttora in Sardegna e dal quale si hanno non pochi benefici
effetti». Ora, vedi anche il recente saggio di Eleonora Mura, Responsabilità e
garanzia collettive nella legislazione statutaria sarda, in “Archivio
storico e giuridico sardo di Sassari”, Nuova serie, III (1996), pp. 72 ss.
[13]
Di queste ordinanze, cfr. l’ultima in ordine di tempo: Regione Autonoma della Sardegna. Decreto del Presidente della Giunta 25
marzo 1997, n. 1 = Ordinanza Regionale antincendi 1997, dal cui prologo
traspare l’incombente presenza del fuoco nella quotidianità della nostra Isola:
«Il Presidente della Giunta Regionale, Considerato che nelle decorse stagioni
estive si sono verificati gravi danni causati dagli incendi nei boschi e nelle
campagne della Sardegna; Ritenuto necessario, per evitare ed attenuare la
recrudescenza del fenomeno, predisporre per tempo, approssimandosi la stagione
estiva, misure idonee atte a prevenire, per quanto possibile, l’insorgere e il
diffondersi degli incendi [...] DECRETA: Art. 1: Ai sensi dell’art. 9 della
Legge 1.3.1975, n. 47, dal 1° giugno al 15 ottobre vige lo “STATO DI GRAVE
PERICOLOSITÀ” di incendi per le zone boscate della Sardegna».
[14]
Sugli aspetti generali della repressione degli incendi nella Sardegna giudicale
(con puntuali riferimenti alla Carta de
Logu), vedi la rapida sintesi di R. Di
Tucci, Il diritto pubblico della
Sardegna nel Medio Evo, in "Archivio storico sardo" XV (1924), pp.
112 s.; ed ora anche F. Artizzu, La disciplina dell’acqua e del fuoco negli
Statuti medioevali sardi, in Id., Società e istituzioni nella Sardegna
medieovale, Cagliari 1995, pp. 133 ss.
[15]
Ordinanza Regionale antincendi 1997,
cit., art. 14: «L’ANAS, le Amministrazioni ferroviarie, le Province e i Comuni
dovranno provvedere entro il 30 giugno […] all’eliminazione di fieno, sterpi o
altro materiale infiammabile lungo la viabilità di propria competenza e nelle
rispettive aree di pertinenza e mantenere tale situazione per tutto il periodo
in cui vige lo Stato di Grave Pericolosità di cui al precedente art. 1».
[16]
Cfr. Carta de Logu, cap. 49: Constituimus et ordinamus qui sas villas qui
sunt usadas de faghere sa doha proguardia dessu foghu deppiant illa fagher sa
doha secundu qui fudi usadu per temporale. Ciaschaduna villa in sa habitationi
sua. Et qui nolat aviri fata per Sanctu Pedru de lampadas paghit soddos X per
homini et issa villa qui lat faghire: fazat illa qui foghu non la barighit sa
doha, et si foghu illa barighat et faghit perdimentu, paghit sa villa soddos X
per homini secundu quest usadu et issu curadore lliras X assa corte. Et si su curadore
comandarit assus iurados, o ver a sus ateros hominis dessa villa de faghere sa
dicta doha et non la fagherent paghint comonalimenti sa pena qui deviat paghare
su officiali et icussu officiali siat liberu.
[17] Cfr. Carta de Logu,
cap. 45: Volemus et ordinamus qui nexuna
persona deppiat ne pozat ponne foghu infini ad passadu sa festa de sancta Maria
qui est a dies VIII de capudanni et qui contra fagherit paghit de maquicia
liras XXV. Et ultra so paghit su dampnu cat fagher acuyu ad esser. Et dae cussa
die inantes ciaschaduna persona pozat ponne foghu a voluntadi sua guardando si
pero non fazat damnu ad atere, et si fagheret damno paghit per maquicia liras X
et issu dampnu ad cuilat aver factu. Et si non ad daechiteu pagare cussu qui ad esser
condemnadu in liras X istit in pregione ad voluntadi nostra. Et issus iurados
de sa villa hue sat ponne su foghu siant tenudos de provare et tenne sos
malefactores predictos et de representarellos assa corte nostra infra XV dies.
Et si non los tenint in su dictu tempus, sus dictos iurados cum sos hominis
dessa villa paghint de maquicia cio est sa villa manna liras XXX et issa villa
pizina liras XV et issu curadore de ciascuna de cussas villas paghint soddos C
et de sos benes cant lassari, cio est, sos cant essere fuidos et inculpados si
deppiant paghare su damnu ad cuy ad esser et issu remanente decussus benes si
deppiant contari in su pagamentu qui ant fagher sos hominis dessa villa.
[18]
Ordinanza Regionale antincendi 1997,
cit., art. 10: «I proprietari e i conduttori di terreni, non compresi tra i
boschi e le macchie di cui al precedente art. 2, possono, sotto la propria
diretta responsabilità penale e civile, procedere all’abbruciamento di stoppie,
frasche, cespugli, residui di colture agrarie e di altre lavorazioni, di
pascoli nudi, cespugliati o alberati, nonché di incolti, anche nel periodo dal
1° giugno al 30 giugno e dal 15 settembre al 15 ottobre, purché muniti di
apposita autorizzazione da rilasciarsi dalla Stazione Forestale e di V.A.
competente per il territorio nel quale dovranno effettuarsi gli abbruciamenti»;
da vedere anche gli artt. 11 e 12.
[19]
Carta de Logu, cap. 94: Volemus et ordinamus qui alcunu
terarmangiesu cat dare iuo suo assardu pro iuargiu o pro soci, non appat ad
cherre at perunu homini salvu aquillu ad aviri dadu. Ed issu iuargiu istit assa
usansa dessa terra. Brevi commenti al testo in G. M. Mameli De’ Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa
d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., p. 107 nt. 158; C. G. Mor, Le disposizioni di diritto agrario nella Carta de logu di Eleonora
d'Arborea, in Aa.Vv., Testi e documenti per la storia del Diritto
agrario in Sardegna, pubblicati e coordinati con note illustrative da Gino
Barbieri, Vittorio Devilla, Antonio Era, Damiano Filia, Carlo Guido Mor, Aldo
Perisi, Francesco Pilo Spada, Ginevra Zanetti, sotto la direzione di Antonio Era, Sassari 1938, p. 39; F. C. Casula, La "Carta
de Logu" del regno di Arborèa, cit., p. 266.
[20]
Sul punto, vedi in particolare C. G. Mor,
Sul commento di Girolamo Olives Giureconsulto
sardo del sec. XVI alla Carta de logu di Eleonora d'Arborea, in Testi e documenti per la storia del Diritto
agrario in Sardegna, cit., p. 66: «Il contratto di società (parziaria)
invece consiste nella cessione dell'uso di animali per l'aratura e la semina, e
in genere per i lavori agricoli, con partecipazione agli utili (1/2, 1/3, 1/4
secondo i patti) oppure ponendo in comune un socio la terra, l'altro il
bestiame o le opere manuali proprie e talvolta di altri (braccianti, famigli,
ecc.). E malgrado la lettera della legge, che parla solo di apporto da parte di
un forestiero del bestiame necessario al lavoro, questo capitolo ha valore
anche se il contratto intercorre fra sardi. La società, creata dal consenso, si
scioglie quando tutti i soci manifestano volontà univoca di recedere dai
reciproci impegni, mentre il dissenso di una parte non porta a queste
conseguenze, salvo che non appaia una giusta causa che legittimi il recesso di
un socio, come stabiliscono le leggi romane, nel tit. pro socio (D. 17, 2)».
[21] Cfr. Carta de
Logu, capp. 160-165 (Ordinamentos de
cumonis) [= capp. 132-137 ed. Besta-Guarnerio].
Su questi capitoli, resta ancora assai utile il commento di G. M. Mameli De’ Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa
d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., pp. 200 ss., in part. nnt.
299-306. Cfr. anche E. Besta, La Sardegna medioevale, 2. Le istituzioni politiche, economiche,
giuridiche, sociali, Palermo 1909 [rist. an. Bologna 1979], p. 206; C. G. Mor, Le disposizioni di diritto agrario nella Carta de logu di Eleonora
d'Arborea, in Testi e documenti per
la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. 39 s. Più in generale,
vedi ora G. G. Ortu, L’economia pastorale della Sardegna. Saggio
di antropologia storica sulla «soccida», Cagliari 1981.
[22]
A. Pigliaru, La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (Milano 1959),
ora in Id., Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento
giuridico, Nuova edizione, con una introduzione di L. M. Lombardi Satriani e altri scritti inediti dell’autore,
Milano 1993, pp. 85 s.; 168 ss.
[23]
Cfr. M. A.
Cattaneo, Antonio Pigliaru: la
figura e l’opera [testo della commemorazione tenuta il 25 giugno 1969
nell’Aula Magna dell’Università di Sassari], in Famiglia e società sarda = “Studi sassaresi”, Serie III, II
(1968-1969), Milano 1971, pp. XXV ss.; nello stesso volume: Bibliografia di Antonio Pigliaru, a cura
di F. Sechi, pp. 661 ss.
[24]
Il ruolo di “intellettuale sardo” svolto da Antonio
Pigliaru e la sua ferma coerenza nell’impegno civile, sono ben documentati nel
libro di S. Tola, Gli anni di ‘Ichnusa’. La rivista di Antonio
Pigliaru nella Sardegna della rinascita, Pisa-Sassari 1994.
[25]
Per una visione d’insieme sulla vita dell’insigne studioso, cfr. la
recentissima ed informata biografia di Mavanna
Puliga, Antonio Pigliaru. Cosa
vuol dire essere uomini, Pisa-Sassari 1996.
[26]
Al riguardo, basterà soltanto menzionare alcune altre sue opere, fra le più
significative: Persona umana e
ordinamento giuridico, Milano 1953; Meditazioni sul regime penitenziario italiano, in appendice Saggio
sul valore morale della pena, Sassari 1959; La piazza e lo Stato, Sassari 1961; Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto, Padova 1965; Scritti sul
fascismo, a cura di Marina Addis Saba e Mavanna Puliga,
Pisa-Sassari 1983.
A riprova della perdurante attualità delle sue opere, vedi, fra le
più recenti testimonianze, i saggi pubblicati in Unità dello Stato e pluralismo degli ordinamenti. Organizzazione del
potere, autonomie e comunità locali nella riflessione giuridica e filosofica di
Antonio Pigliaru. Atti del convegno
di Torino, 3-4-5 dicembre 1993, a cura di P.
A. Bianco, A. Ruzzu, S. Sechi, L. Tavera, Sassari 1994.
[27]
A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento
giuridico, cit., p. 85: «Ora è da dire che l’esperienza colta del diritto
sardo, che ebbe nella Carta de Logu
il suo dato fondamentale, è un’esperienza a sua volta influenzata
dall’esperienza romanistica, ma è un’esperienza che nella legge scritta
riprende visibilmente i termini di quell’esperienza fondamentale che era
l’esperienza consuetudinaria, seppure elevandola a forme giuridiche più
elaborate e più facilmente riducibili in termini colti».
[28]
A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico,
cit., pp. 85-86: «La Carta de Logu,
per dire il testo legislativo che più è stato presente alla storia del diritto
sardo, appare infatti, a vederla bene, come un testo legislativo interamente
pensato in rapporto alla necessità di articolare sistematicamente le consuetudini
giuridiche sarde, però opponendosi talvolta ad esse nello sforzo di certificare
ulteriormente l’azione giuridica, sottraendola ora al libito e alle dispersioni
cui l’abbandono a se medesimo pareva esporle e le aveva esposte mentre durava
quel periodo di torbidi interni ed esterni che aveva preceduto l’opera
giudicale di Mariano e quindi l’azione riordinatrice di Eleonora».
[29]
A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento
giuridico, cit., pp. 171 ss.
[30]
Carta de Logu, cap. 6: (De tenne su malefactore) Volemus et ordinamus qui si alcuna persona
esseret morta in alcuna villa deforas, o inconfines et habitationes de sa
villa, siant tenudus sus iuradus dessa dita villa, de provare et de tenne su
malufactore et dellu batire tentu assa corti nostra infra unu mese: pro
faghirende sa iusticia. Et in casu que su malu factore non tenerent et nolu
batirent assa corti nostra. Infra su dictu tempus, paghint sos iurados totu et
issos hominis dessa dita villa pro sa maquicia et prosa negligentia issoro pro
que non tensierunt su homini llrs. ducentas, si est sa villa manna. Et issa
villa pixia paghit llrs. C. Et si cussu homini qui avirit mortu su homini
fuirit et non si poderet aviri infra su dito tempus de uno mese siat isbandidu
daesas terras nostras et issos benes suos totu siant confiscados assa corte
nostra. Reservando pro sas ragiones de sas mugeres et de sos figios que avirint
dae atera mugere qui non avirint appidu sa parti pertinenti ad issos pro parti
de sa prima mugheri. Et similimenti si intendat salvas sas ragiones de sos
creditores qui avirent ad ricivir supra sos benes decussos. Et si per alcuno
tempus cussu homini qui avirit mortu su homini beneret in forza nostra non
esendo fidado siat illi tagiada sa testa per modu quindi morgiat. Et niente de
minus ogne persona illu pozat offendere in persone et dareli morte senza
incurrere pena ne maquicia alcuna duranti su dictu tempus de su isbandimentu
suo.
[31]
A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento
giuridico, cit., p. 171.
[32]
A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento
giuridico, cit., p. 173; significativo, infine, anche quanto si legge alle pp.
175-176: «Così invece ciò che ora giova è prendere atto d’un’altra circostanza,
quella per cui nella Carta de Logu,
alla sottilissima costruzione del reato corrisponde una sottilissima
costruzione della pena, in questa pena prevedendosi di norma (e quando la
natura del rapporto reato-pena lo consente) una progressione in alternativa che
fa pensare molto da vicino al precetto barbaricino per cui la vendetta deve
essere adeguata proporzionata e progressiva, come ad un precetto appreso, oltre
che da un senso immediato della giustizia, fors’anche dall’esperienza che le
comunità sarde han fatto dentro lo schema della legislazione giudicale».
[33] Hieronymi Olives sardi, Commentaria
et Glosa in Cartam de Logu. Legum, et ordinationum Sardarum noviter recognitam,
et veridice impressam, Sassari MDCXVII, p. 5.
[34]
Cfr., per tutti, la classica opera del cavaliere Giuseppe Manno, Storia
di Sardegna, III, Torino 1826 [Rist. an. Bologna 1973], p. 126; ma anche F. Sclopis, Storia della legislazione italiana, II, Torino 1863, p. 190.
[35]
G. M. Mameli De' Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa
d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., p. 14 nt. 4.
[36]
Nello stesso senso vedi ancora G. Zirolia,
Ricerche storiche sul governo dei Giudici in Sardegna e relativa legislazione, cit., p. 175 nt. 1. Ma questa datazione è accettata
anche in qualche importante manuale del Novecento: F. Calasso, Lezioni di
storia del diritto italiano. Le fonti del diritto (sec. V-XV), rist.
riveduta, Milano 1948, p. 241: «la figlia, la giudicessa Eleonora, fu però
quella che riuscì a dare all’opera paterna quella sistemazione, che doveva
essere definitiva, ed imporsi col tempo come il codice generale di tutta
l’isola: fu la così detta Carta de logu
de Arborea, promulgata nella Pasqua del 1395».
[37]
E. Besta, La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, in E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con
prefazioni illustrative, cit., pp. 3 ss.; in particolare pp. 17 s.
[38]
E. Besta, La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, cit., p. 18;
cfr. inoltre Id., La Sardegna medioevale, 2. Le istituzioni politiche, economiche,
giuridiche, sociali, cit., p. 154.
[39]
Alla datazione proposta dal Besta mostrava di aderire, fra gli altri, A. Marongiu, Sul probabile redattore della Carta de Logu, in “Studi
economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di
Cagliari” XXVII (1939), ora in Id.,
Saggi di storia giuridica e politica
sarda, Padova 1975, p. 70; Delitto e
pena nella Carta de logu d’Arborea, in Studi
in onore di Carlo Calisse, I (Milano 1940) = Saggi, cit., p. 76 e nt. 10.
[40]
A. Era, Le così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu,
in Studi di storia e diritto in onore di
Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento, II, Milano 1939, p. 395:
«Come però avevo conchiuso nel mio Corso di storia delle istituzioni sarde, effettivamente
queste questioni giuridiche non sono affatto esplicative della Carta de Logu. Occorreva
però chiarire la constatazione e precisare, come preciserò qui con una
limitazione, per poi discuterla ed eliminarla, che le questioni non spiegano
affatto la Carta de Logu a noi pervenuta
e cioè quella di Eleonora di Arborea dell’a. 1386 circa».
[41]
A. Era, Le ‘Carte de logu’, in Università
degli Studi di Sassari. Annuario per l’anno accademico 1959-60, Sassari
1960, pp. 17 ss.; il testo, integrato con apparato critico di note, fu
ripubblicato conservando il medesimo titolo in “Studi sassaresi”, II serie,
XXIX (1962), pp. 1 ss.
[42]
A. Era, Le ‘Carte de logu’, in “Studi sassaresi” XXIX, cit., p. 12. Nello
stesso senso, vedi ora Barbara Fois, Sulla datazione della ‘carta de Logu’, cit., pp. 141 ss.
[43]
E. Cortese, L’opera di Antonio Era nella storiografia giuridica. - Nel ricordo di Antonio
Era: una proposta per la datazione della “Carta de Logu” d'Arborea,
Università degli Studi di Sassari - Facoltà di Giurisprudenza, Sassari, 9
dicembre 1982, p. 29.
[45]
F. C. Casula, La “Carta de Logu” del regno di Arborèa,
cit., p. 240; può essere di un qualche interesse leggere le restanti
argomentazione proposte dallo studioso nel seguito della nota: «Secondo noi, i
precisati “sedici anni” si riferiscono alla data di morte di Mariano IV nel
1376 (mentre gli “oltre sedici anni” sarebbero l’indicazione generica
dell’ultima edizione mariana che, in nota al capitolo I, individuiamo intorno
al 1369). Per cui, sommando i 16 anni dichiarati da Eleonora d’Arborea all’anno
del decesso di Mariano IV nel 1376, si giunge all’ipotizzato 1392. A sostenere
questa probabile datazione, interviene la fine del governo luogotenenziale di
Eleonora che rende impossibile un’edizione posteriore della Carta de Logu della juighissa de fattu, in quanto nel 1392/93 il figlio Mariano V,
raggiunta la maggiore età, assunse la pienezza dei poteri giudicali relegando
la madre a vita privata. Altrettanto dubbia sarebbe un’edizione precedente il
1391/92, perché solo in questo periodo siamo in armonia col quadro politico del
regno indigeno, dal momento che Brancaleone Doria, marito di Eleonora, era
nuovamente libero dopo più di sei anni di prigionia a Castel di Cagliari, ed
aveva ripreso la guerra irredentista contro i Catalano-Aragonesi del regno di
Sardegna, estendendo a quasi tutta l’isola gli istituti giuridici arborensi,
come si evince dall’afflato generale del Codice legislativo».
Peraltro
lo studioso aveva espresso tale convinzione anche in alcuni lavori precedenti:
cfr. Cultura e scrittura nell'Arborea al
tempo della Carta de Logu, in Aa.Vv.,
Il mondo della Carta de Logu, cit.,
pp. 107 ss.: «Certamente, l'edizione principe del 1392 era un codice
pergamenaceo scritto in bella gotica libraria, con iniziali miniate o, quanto
meno, ornate; non dissimile, per esempio, dal "Breve di Villa di
Chiesa" conservato nella Biblioteca del Comune di Iglesias» (p. 108); La Sardegna aragonese, 2. La Nazione sarda, cit., pp. 457 («Il
1392 fu caratterizzato da altri due avvenimenti importanti: l’impresa siciliana
del fratello del re, Martino, e la promulgazione della famosa Carta de logu di Arborea») e
458 («Secondo il parere degli storici più accreditati, in quell’anno, forse il
giorno di Pasqua, uscì pure l’edizione principe
del codice manoscritto voluto da Eleonora “per
issa gracia de Deus juyghissa de Arboree, contissa de Gociani e biscontissa de
Basso”»).
[46]
Cum ciò siat causa qui su acrescimentu et
exaltamentu dessas provincias, rexiones et terras descendent et bengiant dae sa
iusticia et qui per issos bonos capidulos sa superbia dessos reos et malvagios
hominis si affrenent et constringhant ad cio quisos bonos et puros et
innocentes pozant viver et istare inter issos reos ad seguritades pro paura
dessas penas eissos bonos prossavertudi dessu amore siant tottu hobedientes
assos capidulos et ordinamentos de custa carta de loghu. Impero, Nos Elionora
proissa gracia de deus iuyghissa de Arbaree, contissa de Ghociani et
biscontissa de Basso. Desiderando qui sos fideles et subdictos nostros dessu
rennu nostru de Arbaree, siant informados de capidulos et ordinementos prossos
quales pozant vivere et si pozant conservare in sa via dessa viridadi et dessa
iusticia et in bono pacifichu et tranquillu istadu. Ad honore de deus
omnipotente et dessa gloriosa virgini Madonna sancta Maria mama sua, et pro
conservare de iusticia et pacifichu tranquillu et bonu istadu dessu pobulu
dessu rennu nostru predicto et dessas ecclesias, regiones ecclesiastigas et
dessos lieros et bonos hominis et pobulu tottu dessa dicta terra nostra et dessu
rennu de Arbaree, fachimus sas ordinationes et capidulos infra scriptos sos
qualis bolemus et comandamus expresamenti qui si deppiant attenne et osservare
pro legie per ciaschaduno dessu iuyghadu nostru de Arbaree perdittu in iudiciu
et extra. Sa cartha de loghu sa quali cum grandissimo et providimento fudi
facta per issa bona memoria de iuyghi Margiani padre nostru in qua directu
iuyghi de Arbaree, non essendo correcta per ispaciu de XVI annos passados,
commo per multas varietadis de tempus bissognando de necessitadi corrigirela et
mendari. Considerando sa veridadi et mutacione dessos tempos qui suntu istadus
seghidus poscha et issa conditione dessos hominis qui est istadu dae tandu
innoghi multu per mutada, et plus per qui ciaschuno est plus inquenivili assu
malu fageri qui non assu bene dessa re plubigha sardischa. Cum deliberadu
consigiu illa corrigemus et fagemus et mutamus dae bene in megius et comandamus
qui si deppiant observare integramente daessa sancta die innantes per issu modo
infra scripto cio est.
[47]
Sui principi fissati dalla sovrana arborense e sulla partizione del citato
prologo, vedi A. Era, Lezioni di storia delle istituzioni
giuridiche ed economiche sarde. Parte I e II § 1, Roma 1934, pp. 326 s.; Id., Le ‘Carte de logu’, in “Studi sassaresi” XXIX, cit., pp. 15 ss. Dello
studioso è da vedere anche la traduzione italiana del prologo della Carta de Logu, predisposta per il
manuale di F. Calasso, Medioevo del diritto, Milano 1954, p.
449 nt. 69.
[48]
All’analisi del concetto di res publica, nelle fonti romane e nella
scienza giuridica del periodo che precede la nascita dei Comuni, è dedicato il
saggio di F. Crosara, Republica e respublicae. Cenni terminologici
dall’età romana all’XI secolo, in Atti
del Congresso Internazionale di diritto romano e di storia del diritto, Verona
27-29 XI 1948, a cura di G.
Moschetti, IV, Milano 1953, pp. 227 ss. Sull’uso del termine in rapporto
a Civitas e a Commune, vedi fra gli altri: P.
Costa, Iurisdictio. Semantica del
potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Firenze 1969,
pp. 232 ss.; M. Staszków, ‘Civitas’ et ‘Respublica’ chez les
glossateurs, in Studi in onore di
Edoardo Volterra, III, Milano 1971, pp. 605 ss.; O. Banti, «Civitas» e
«Commune» nelle fonti italiane dei secoli XI e XII, in Id., Studi di storia e di diplomatica comunale, Roma 1983, pp. 1 ss. Cfr. inoltre J.
Gaudemet, La contribution des
romanistes et des canonistes médiévaux à la théorie moderne de l’état, in Diritto e potere nella storia europea. Atti in onore di Bruno Paradisi,
I, Firenze 1982, pp. 17 ss.; da ultimo anche I.
Birocchi, v. Persona giuridica nel
diritto medioevale e moderno, in Digesto.
Delle discipline privatistiche, XIII, Torino 1996, pp. 407 ss.; Id., Contratto e persona giuridica pubblica. Spigolature su “causa”,
“communis utilitas” e diritto dei privati nell’età del diritto comune, in I rapporti contrattuali con la pubblica
amministrazione nell’esperienza storico-giuridica. Atti del Congresso internazionale della Società Italiana di storia del
diritto, Torino 17-19 ottobre 1994, Napoli 1997, pp. 239 ss.
[49]
Cfr. Irnerio, Glo. ad l. Lex est, ff. De legibus, v.
reipublicae (ed. E. Besta, L’opera d’Irnerio. Contributo alla storia
del diritto italiano, II. Glosse inedite
d’Irnerio al Digestum Vetus, Torino 1896, p. 5): (reipublicae) scilicet populi, quod unum et idem est re ipsa; secundum
diversas inspectiones hec nomina recipit; populus universitatis iure precipit.
[50]
Glossa, Reipublicae, in Authenticum,
De haeredibus et Falcidia, v. reipublicae
(Reipublicae, idest totius imperii. Sic
in prooemio ff. in princip. Et nota quod tribus modis respublica dicitur. Primo
Romanorum, ut hic. Item pro civitate Romana tantum: et tunc proprie: ut ff. de
verbo. signific. l. eum qui. Item pro qualibet civitate: et tunc improprie: ut C. de
offic. eius qui vicem al. iu. obt. l. j.
Ponitur et quarto pro quolibet municipio: ut ff. de pub. et vec. l. sed et hi. § penult.).
[51]
Per una visione d’insieme sul personaggio, presenta ancora non poco interesse
la consultazione del libro di R. Carta
Raspi, Mariano IV, conte del
Goceano, visconte di Bas, giudice d'Arborea, Cagliari 1934, in particolare
pp. 149 ss.: «L’opera legislativa»; in appendice il testo del Codice rurale di Mariano IV, pp. 197 ss.
Più
di recente, alla figura e all'opera del grande giudice arborense sono state
dedicate molte pagine dei due volumi di F. C. Casula, La Sardegna aragonese, 1. La Corona d’Aragona, Sassari 1994, pp.
263 ss.; 2. La Nazione sarda, cit.,
pp. 377 ss.; cfr., sempre del Casula, anche Cultura
e scrittura nell'Arborea al tempo della Carta de Logu, cit., pp. 88 ss. Da
vedere, inoltre, il bel lavoro di G. Mele,
Un manoscritto arborense inedito del
Trecento. Il codice 1bR del Monastero di Santa Chiara di Oristano, Oristano
1985; in particolare, pp. 22 ss.
[52]
Sulle caratteristiche intrinseche della protezione giuridica riservata ai
terreni coltivati, vedi le penetranti osservazioni di I. Birocchi, La consuetudine nel diritto agrario sardo, riflessioni sugli spunti
offerti dagli Statuti sassaresi, in Gli
Statuti sassaresi. Economia, Società, Istituzioni a Sassari nel Medioevo e
nell'Età Moderna. Atti del convegno
di studi. Sassari, 12-14 maggio 1983, a cura di A. Mattone e M. Tangheroni,
Sassari 1986, p. 344: «A questo punto si può forse comprendere come sia falsata
l'ottica di chi ricerchi nei documenti antichi le prove “dell'esercizio del
diritto di proprietà”, sebbene sia agevole trovare testimonianze di forme di
proprietà, individuale e collettiva, espresse in epoca risalente, come già nei
condaghi; ma quell'ottica è fuorviante perché proietta nel passato la moderna
prospettiva che vede il diritto come un'emanazione del soggetto e non come un
prodotto che scaturisce dall'oggetto. In realtà l'ordinamento tutelava non
tanto il diritto di proprietà, bensì la destinazione agraria della terra, ossia
la sua utilitas nell'ambito del
sistema dato: prima che il diritto astratto sul fondo proteggeva il fondo
stesso. Ed ecco, allora, la spiegazione della maggior severità stabilita a
protezione delle terre coltivate rispetto alle altre terre che si riscontra
nelle fonti legislative a noi note ma che costituisce già un corollario
implicito dell'ordinamento agrario: e infatti già i condaghi esprimevano una
tale maggiore protezione».
[53]
Bisogna, tuttavia, sottolineare che in Sardegna le radici del conflitto
agricoltura/pastorizia sono assai più antiche dell’epoca giudicale. Già durante
la dominazione romana, ad esempio, contrasti anche violenti tra pastori e
contadini si verificavano con una certa frequenza nelle campagne della Sardegna
centrale, come attesta la documentazione epigrafica di età imperiale: cfr. La Tavola di
Esterzili. Il conflitto tra pastori e contadini nella 'Barbaria' sarda. Convegno di Studi. Esterzili 13 giugno 1992,
a cura di A. Mastino, Sassari 1993; con particolare riferimento, fra i
saggi ivi pubblicati, alle relazioni del curatore: ‘Tabularium principis’ e ‘tabularia’
provinciali nel processo contro i ‘Galillenses’ della 'Barbaria' sarda, pp. 99-117; e di S.
Schipani, La repressione della ‘vis’ nella sentenza di ‘L. Helvius
Agrippa’ del 69 d.C. (Tavola di Esterzili),
pp. 133-155.
Per la “continuità” di tale conflitto nel corso dell’età moderna e
contemporanea, vedi le pagine dedicate alla Sardegna centrale da M. Le
Lannou, Pâtres et paysans de la Sardaigne, Tours 1941, qui citato in
traduzione italiana: Pastori e contadini
di Sardegna, a cura di M. Brigaglia,
Cagliari 1979, pp. 167 ss.
[54]
Edizioni critiche di A. Era, Il codice agrario di Mariano IV d'Arborea,
in Testi e documenti per la storia del
Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. 15 ss.; e Barbara Fois, Il "Codice rurale" di Mariano IV
d'Arborea, in "Medioevo. Saggi e rassegne" VIII (1983), pp. 41
ss.
[55]
Significativamente il citato “codice rurale” non compare nel manoscritto
cagliaritano della Carta de Logu:
cfr. E. Besta, La Carta de Logu quale monumento
storico-giuridico, cit., p. 13: «E già da questa esposizione risulta una
prima differenza importantissima a paragone della forma sotto la quale la Carta de logu ci fu tramandata nelle
precedenti edizioni, che tutte offrono infatti una serie di 198 capitoli. Il
ms. cagliaritano s’accorda bensì con le edizioni nei primi 130 capitoli … ma
poi i capitoli 132-140 del ms. corrispondono ai cap. 160-168; i capitoli 144,
145 ai cap. 172, 173; i cap. 146-156 ai capitoli 183-193 e non hanno raffronto
con le edizioni i capitoli 142, 145, 158, 161 del ms. mentre d’altro canto
quelle offrono in più i cap. 131-159, 170, 171, 174-182, 194-198»; A. Era, Il codice agrario di Mariano IV d'Arborea, cit., p. 5: «è certo, più che probabile, che
Eleonora non volle inserirlo nella sua Carta de logu, poiché altrimenti avrebbe
coordinato con esso le disposizioni date per l’agricoltura, evitando
ripetizioni e, tanto per non scendere a particolari, avrebbe, ad esempio,
pretermesso di dettare il suo cap. CXII»; da ultimo, E. Cortese, Il diritto
nella storia medievale, II. Il basso
medioevo, cit., p. 350
[56]
C. G. Mor, Le disposizioni di diritto agrario nella Carta de logu di Eleonora
d'Arborea, in Testi e documenti per
la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., p. 35; cfr. anche pp.
36-37: «Statuizioni così severe valgono più che una esplicita affermazione che nella
seconda metà del XIV secolo l'agricoltura stava acquistando una notevole
importanza nell'economia sarda, e che i giudici di Arborea vedevano in essa una
precipua fonte di benessere: il che non è in contrasto con quanto ci
documentano anche i condaghi più
antichi, se pur ci presentino un'economia ancora ad uno stadio arretrato».
[57]
Più in generale, sulla definizione di questi concetti, assimilabili a quelli di
causa publica utilitas e di bonum commune, nella scienza giuridica coeva, vedi alcuni rapidi cenni in
I. Birocchi, Contratto e persona giuridica pubblica. Spigolature su “causa”,
“communis utilitas” e diritto dei privati nell’età del diritto comune, in I rapporti contrattuali con la pubblica
amministrazione nell’esperienza storico-giuridica, cit., pp. 260 ss.
[58]
Nelle edizioni a stampa della Carta de
Logu di Eleonora, il prologo del “Codice rurale” segue il cap. 132: Nos Marianus proissa gracia de deus iuyghi
de Arbaree, conpte de Gociano et bisconti de Basso, considerando sos multos
lamentos continuamente sunt istados et sunt per issas terras nostras de Arbaree
et de Loghudore prossas vignas ortos et lavores que si disfaghint et consumant
perissa pocha guardia et cura qui si dat a su bestiamen cussos de qui est et
quillu at in guardia, prossa quali causa multas vignas et ortos sunt eremadas
et multas personas si romanent de lavorare qui lavorari ant pro dubidu qui ant
de non perdere cusso quillo ant fagheri et bolendo nos providere a su utili
cummoni et bonu istadu de sa gente nostra amus deliberado de faghere et
faghemus sos infrascriptos ordinamentos pro qui cussos observando et mantenendo
sas vignas et ortos et lavores ant romane[r] et istare in su gradu issoro et
megiorare et avansare cussas de qui ant essere, et issu bestiamen indat esser
megius gubernadu mantesidu et guardadu.
[59]
Più in generale sull’utilitas, con
ampia raccolta di testi giuridici romani, vedi F. B. Cicala, Il concetto di
"utile" e sue applicazioni in diritto romano, Milano-Torino-Roma
1910; per lo studioso «il concetto dell'utilitas
signoreggia in tutto il campo del diritto romano» al punto da potersi affermare
«senza tema di esagerare, che una delle rappresentazioni generali meglio
delineate e più vive nella coscienza di tutta la giurisprudenza romana, è
appunto quella, che poggia l'intero edifizio del diritto sulle profonde basi
dell'utile individuale e collettivo» (p. 9).
Cfr.
inoltre A. Steinwenter, Utilitas publica - utilitas singulorum,
in Festschrift Koschaker, I, Weimar
1939, pp. 84 ss.; U. von Lübtow, De iustitia et iure, in “Zeitschrift der
Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (Rom. Abt.)” LXVI (1948), pp. 458 ss.; J. Gaudemet, Utilitas publica, in "Revue historique de droit français et
étranger" XXIX (1951), pp. 465 ss.; H. Ankum, Utilitatis causa receptum. Sur la méthode pragmatique des juristes
romains classiques, in “Revue internationale des droits de l'antiquité” XV
(1968), pp. 119 ss.; G. Longo,
Utilitas publica, in
"Labeo" XIX (1972), pp. 7 ss.; da ultima Pia Fiori Maciocco, D. 1, 3, 16 = Paulus liber singularis de iure singulari, in “Archivio storico e giuridico sardo di Sassari”, Nuova
serie, III (1996), pp. 31 ss.
[60]
Riguardo al frammento di Ulpiano, mi pare che possano ormai considerarsi superate
sia le affermazioni contrarie alla genuinità del testo (F. Schulz, I principii
del diritto romano, trad. it. a cura di V.
Arangio-Ruiz, Firenze 1949, p. 23 nt. 33; U. von Lübtow, Das
römische Volk. Sein Staat und sein
Recht, Frankfurt am Main 1955, p. 618), sia dubbi e perplessità (B. Albanese, Premessa allo studio del diritto privato romano, Palermo 1978, p.
192 nt. 295); cfr., fra gli altri, G.
Nocera, Ius publicum (D. 2, 14,
38). Contributo alla ricostruzione storico-esegetica delle regulae iuris,
Roma 1946, pp. 152 ss.; F. Wieacker,
Doppelexemplare der Institutionen
Florentins, Marcians und Ulpians, in Mélenges
De Visscher, II, Bruxelles 1949, p. 585; P.
Catalano, La divisione del potere
in Roma (a proposito di Polibio e di Catone), in Studi in onore di Giuseppe Grosso, VI, Torino 1974, p. 676; C. Nicolet, Notes complémentaires, in Polybe, Histoires, Livre VI, a cura di R.
Weil, Paris 1977, pp. 149 s.; F.
Sini, Documenti sacerdotali di
Roma antica, I. Libri e commentarii, Sassari 1983, pp. 213 s. Per una
rassegna completa degli studi, cfr. Giuseppina
Aricò Anselmo, ‘Ius publicum’ -
‘ius privatum’ in Ulpiano, Gaio e Cicerone, in “Annali del Seminario
giuridico dell’Università di Palermo” XXXVII (1983), pp. 455 ss.
[61]
Cfr. nello stesso senso anche le Istituzioni di Giustiniano (Inst. 1, 1, 4: Huius studii duae sunt positiones, publicum et privatum. Publicum ius
est, quod ad statum rei Romanae spectat, privatum, quod ad singulorum
utilitatem pertinet. Dicendum est igitur de iure privato, quod est tripertitum:
collectum est enim ex naturalibus praeceptis aut gentium aut civilibus).
Per l’analisi del frammento ulpianeo nella prospettiva che qui interessa, vedi F. Stella Maranca, Il diritto pubblico romano nella storia delle istituzioni e delle
dottrine politiche, in Id., Scritti vari di diritto romano, Bari
1931, pp. 102 ss.; Silvio
Romano, La distinzione fra ius publicum e ius privatum nella giurisprudenza
romana, in Scritti giuridici in onore
di Santi Romano, IV, Padova 1940, pp. 157 ss.; A. Carcaterra, L’analisi del ‘ius’ e della ‘lex’ come elementi primi. Celso, Ulpiano, Modestino, in “Studia et documenta historiae et iuris” XLVI
(1980), pp. 272 ss.; H. Ankum, La noción de
"ius publicum" en derecho romano, in “Anuario de historia del
derecho español” LIII (1983), pp. 524 ss.; F. Sini, Bellum
nefandum. Virgilio
e il problema del “diritto internazionale antico”,
Sassari 1991, p. 223 nt. 112; fra la letteratura più recente, vedi ora P. Stein, Ulpian and the Distinction between ius publicum and ius privatum,
in Collatio iuris Romani. études dédiées à Hans Ankum à l’occasion de son 65ème
anniversaire, II, Amsterdam
1995, pp. 499 ss.
[62]
Cfr. V. Finzi, Questioni giuridiche esplicative della Carta
de Logu, in “Studi sassaresi” I (1901), pp. 125 ss.; A. Era, Le così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu,
in Studi di storia e diritto in onore di
Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento, II, cit., pp. 377 ss.
[63]
Su Gerolamo Olives (1505-1571?), giurista di elevata cultura e avvocato fiscale
presso il Consiglio Superiore d’Aragona, sono davvero scarne le notizie
biografiche che ci sono pervenute: cfr.
P. Martini, Biografia Sarda,
II, Cagliari 1837-38, pp. 339 ss.; e P.
Tola, Dizionario biografico degli
uomini illustri di Sardegna, ossia storia della vita pubblica e privata di
tutti i sardi che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti,
III, Torino 1838, pp. 29 ss.
[64]
Hieronimi Olives sardi utriusque
censurae doctoris et militis Regii Consiliari ac in sacro supremo Regio
Consilio domini nostri Regis Hispaniarum Fisci et regii patrimonii advocati. Commentaria et glosa in Cartam de logu legum
et ordinationum Sardarum noviter recognitam et veridice impressam cum
repertorio operis et tabula propria capitolorum quae erat in impressione veteri
quod repertorium et tabula habentur infra post finem operis. Matriti in
aedibus Alonsi Gomezii et Petri Gosun Typographorum MDLXVII. Per le citazioni
ho seguito l'edizione sassarese del 1617, cit. supra in nt. 33. Quanto alla qualità del testo della Carta de Logu stabilito dall’Olives,
vedi brevemente E. Besta, La Carta de Logu quale monumento
storico-giuridico, in E. Besta - P.
E. Guarnerio, Carta de Logu de
Arborea. Testo con prefazioni illustrative, cit., p. 7: «l’editore si valse
oltre che della vetus impressio di un manoscritto,
disgraziatamente infetto da una assai mendosa
litera e spesso capricciosamente corretto e supplito».
[65]
Più in generale, sulle peculiarità della cultura romanistica dell'Olives, cfr.
C. G. Mor, Sul commento di Girolamo Olives Giureconsulto sardo del sec. XVI alla
Carta de logu di Eleonora d'Arborea, in Testi
e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. 57 s.:
«Singolare è la sua cultura giuridica, solidamente fondata sui testi
romanistici del Corpus Iuris, sulla glossa, sui dottori del secolo XIV e del
principio del XV: ma, fatto degno di nota, nelle sue citazioni non compaiono,
invece, giuristi quasi contemporanei, del XVI, che come Alciato, Cuiacio ecc.,
dovevano essere noti anche nelle scuole spagnole, e salvo il Simancas, nessun
giurista iberico: ciò può esser segno di una cultura arretrata non tanto del
nostro scrittore, quanto dell'ambiente in generale, e fors'anche della scuola».
[66]
I. Birocchi, La consuetudine nel diritto agrario sardo, riflessioni sugli spunti offerti
dagli Statuti sassaresi, in Gli
Statuti sassaresi. Economia, Società, Istituzioni a Sassari nel Medioevo e
nell'Età Moderna, cit., p. 336: «Nelle differenti visioni emerge così quella
che è stata definita la teoria degli “elementi costitutivi”, apertamente
presente nel Brandileone, ma che solca le opere del Solmi, con particolare
riferimento al tema dell'influenza pisana sugli istituti del diritto sardo, e,
seppure in minor misura, i lavori dello stesso Besta e del Leicht».
[67]
Cfr. A. Solmi, Prefazione, in Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. VII-VIII, riteneva
invece che nella Sardegna giudicale si fossero conservate sostanzialmente
intatte le forme del diritto romano. Contro, invece, F. Brandileone, Lezioni di
storia del diritto italiano, Roma 1922, pp. 136 s.
[68]
G. Zirolia, Ricerche storiche sul governo dei Giudici in Sardegna e relativa legislazione,
cit., supra in nt. 4. Sul
personaggio, vedi A. Era, Necrologio, in “Studi sassaresi”, Serie
II, XIV (1937), pp. 175 ss.
[69]
F. Brandileone, Note sull'origine di alcune istituzioni
giuridiche in Sardegna durante il medioevo, in “Archivio storico italiano”,
V Serie, XXX (1902), pp. 275-325 = Id.,
Scritti di storia giuridica dell'Italia
meridionale, a cura di C. G. Mor,
Bari 1970, pp. 163 ss. Commossa rievocazione della figura dell’illustre
studioso in F. Calasso, Storicità del diritto, Milano 1966, pp.
25 ss.
[70]
E. Besta, Il diritto sardo nel medioevo, cit. in nt. 3; Nuovi studi sulle origini, la storia, l'organizzazione dei Giudicati
sardi, in “Archivio storico italiano”, Ser. V, XXVII (1901), pp. 24 ss.; La Carta de Logu quale monumento
storico-giuridico, in E. Besta - P.
E. Guarnerio, Carta de Logu de
Arborea. Testo con prefazioni illustrative, cit., pp. 5 ss.; Per la storia d'Arborea nella 1ª metà del
secolo decimoterzo, in “Archivio storico sardo” III (1907), pp. 323 ss.; Legislazione medioevale di Sardegna,
Palermo 1908; La Sardegna medioevale,
2 voll., Palermo 1908-1909 [rist. an. Bologna 1979].
[71]
A. Solmi, La Sardegna e gli studi storici, in “Archivio storico sardo” I
(1905), pp. 5 ss.; Sulla storia della
Sardegna nel medioevo, in “Archivio storico sardo” IV (1908), pp. 56 ss.; Studi storici sulle istituzioni della
Sardegna nel medio evo, Cagliari 1917.
[72]
R. Di Tucci, L'organismo giudiziario sardo: la Corona, in “Archivio storico
sardo” XII (1916-1917), pp. 87 ss.; Le
leggi agrarie di Sardegna dal sec. XIV al XX, Cagliari 1922; Nuove ricerche e documenti sull'ordinamento
giudiziario e sul processo sardo nel Medio Evo, Cagliari 1923; Il diritto pubblico della Sardegna nel Medio
Evo, in “Archivio storico sardo” XV (1924), pp. 3 ss.; “Cicero pro Scauro”. Elementi giuridici romani e consuetudini locali
nella Società medioevale Sarda, in “Archivio storico sardo” XXI (1938), pp.
26 ss.
[73]
A. Checchini, Note sull'origine delle istituzioni
processuali della Sardegna medioevale, Aquila 1927 = Id.,
Scritti giuridici e storico-giuridici, II. Storia del processo - Storia del diritto privato, Padova 1958, pp.
207 ss.
[74]
A. Era, Lezioni di Storia delle istituzioni giuridiche ed economiche sarde.
Parte I e II § 1, Corso litografato, Roma 1934; Le così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu,
in Studi di storia e diritto in onore di
Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento, II, cit., pp. 377 ss.; Le ‘Carte de logu’, in Università degli Studi di Sassari. Annuario
per l’anno accademico 1959-60, cit., pp. 17 ss.; Le “Carte de Logu”, in “Studi sassaresi” XXIX, cit., pp. 1 ss.
[75]
Fra i lavori di A. Marongiu,
espressamente dedicati a temi di storia giuridica sarda dell’età giudicale,
vedi: Aspetti della vita giuridica sarda
nei Condaghi di Trullas e di Bonarcado (sec. XI-XIII), in “Studi
economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di
Cagliari” XXVI (1938), pp. 624 ss.; Sul
probabile redattore della Carta de Logu,
Ibidem XVII (1939), pp. 19 ss.; Delitto
e pena nella Carta de logu d’Arborea, in Studi in onore di Carlo Calisse, I, cit., pp. 107 ss.; Saggi di storia giuridica e politica sarda,
Padova 1975; Il matrimonio alla
“sardesca”, in “Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei”, Classe di Scienze
morali, storiche e filologiche, VIII serie, 1980 (ma 1981), pp. 471 ss.
[76]
Di E. Cortese, mette conto
ricordare, soprattutto, la raccolta di saggi intitolata: Appunti di storia giuridica sarda, Milano 1964; ivi,
particolarmente importante il saggio Diritto
romano e diritto comune in Sardegna (pp. 119-143). Dello studioso vedi
anche il più recente lavoro di interesse “sardo”: L’opera di Antonio Era nella storiografia giuridica. - Nel ricordo di
Antonio Era: una proposta per la datazione della “Carta de Logu” d'Arborea,
cit.in nt. 11 = Nel ricordo di Antonio
Era. Una proposta per la datazione della “Carta de Logu” d'Arborea, in
“Quaderni sardi di storia” III (1983), pp. 25 ss.; infine la mirabile sintesi
dedicata alle istituzioni della Sardegna nel suo recentissimo manuale: Il diritto nella storia medievale, II. Il basso medioevo, cit., pp. 341 ss.
[77]
Per gli aspetti generali della cultura (principalmente di stampo italiano) del
Giudicato di Arborea nell’età della compilazione di Eleonora, vedi F. C. Casula, La cancelleria sovrana dell’Arborea dalla creazione del “Regnum
Sardiniae” alla fine del giudicato (1297-1410), in “Medioevo. Saggi e
rassegne” III (1977), pp. 75 ss.; Id.,
Cultura e scrittura nell'Arborea al tempo
della Carta de Logu, in Aa. Vv., Il
mondo della Carta de Logu, cit., pp. 71 ss.; da ultimo, alcuni saggi
pubblicati nel 1996 in Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de
Logu.
Atti del Convegno internazionale di studi, cit., con particolare
riferimento ai contributi di L. Cicu,
Il latino nel Giudicato d’Arborea
(pp. 121 ss.) e di G. Mele,
Culto e cultura nel Giudicato d’Arborea.
Aspetti storici e tradizione manoscritta (pp. 253
ss.).