Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-7
Francesco Sini
Sassari, Libreria
Dessì Editrice, 1991
pp. 304
Digesta
Iustiniani 1, 8, 6,
5
(Marcian. l. III inst.) ... sicut
testis
in ea re est Vergilius.
Capitolo Primo
Finis, Fines
Sommario:
1. Rilevanza delle
occorrenze di finis con valore locale.
– 2. Originario
carattere materiale del finis.
– 3. Impieghi
virgiliani in relazione allo spazio. – 4. Fines Latini.
Delimitazioni del Latium in Virgilio.
– 5. Fines Itali. La terra Italia.
– 6. Imperium sine fine. Spazio e tempo.
[p. 47]
Sarà bene
chiarire, anzi tutto, che questo capitolo non vuole essere uno
studio lessicale sugli impieghi virgiliani della parola finis[1]. Si esamineranno, invece, con particolare attenzione
quelle occorrenze virgiliane in cui finis
assume specificamente significati
riferibili a distinzioni e definizioni dello spazio. Nell'uso del termine "definizione" si fa riferimento al significato originario di definire
- definitio (= "determinare")[2], quale risulta attestato anche dal lessico
giuridico romano[3]:
[p. 48]
Pomponio, Libr. sing. enchir.: 'Urbs'
ab urbo appellata est:
urbare est aratro definire. Et Varus ait urbum appellari curvaturam aratri, quod in urbe condenda adhiberi solet[4].
Ulpiano, Libr. LXIX ad edict.: Sed
fundus quidem suos habet
fines, locus vero latere potest, quatenus determinetur et
definiatur[5].
Precise ragioni giustificano questa scelta.
In primo luogo un dato di mera quantità, pur tuttavia significativo: su un totale
di 48 citazioni[6] il
termine viene utilizzato dal poeta 28 volte con valore locale. Ma il solo
fatto che tali occorrenze si presentino più numerose nel contesto delle
opere virgiliane non potrebbe, com'è ovvio, costituire
motivo determinante per una scelta; se ad esso non si
accompagnasse la constatazione che gli impieghi con valore locale, a differenza di quelli
più generici con valore temporale, offrono preziosi reperti alla
riflessione del giurista: si tratta di
rilevanti spunti ricostruttivi per chi
voglia indagare, attraverso le nozioni virgiliane, intorno alla concezione giuridica romana relativa allo
spazio.
Risulta invero assai difficile precisare ciò che il termine designasse in origine. Per quanto riguarda
l'etimologia i linguisti
[p. 49]
hanno
cercato, di volta in volta, di collegare finis
con figo[7], con findo[8], o con funis come
già proponeva Isidoro di Siviglia:
Fines dicti eo quod agri funiculis sint
divisi[9].
Nella dottrina più recente non si nutrono ormai dubbi sull'originario
carattere materiale del finis[10]. Pare quindi azzardata l'opinione di chi sostiene che finis «non è un concetto
[p. 50]
materiale, bensì matematico, al pari della linea e
del punto»[11].
Sovente erano, infatti, degli alberi a costituire i fines, come spiega Varrone dopo aver trascritto i concepta
verba della formula riferita all'auguraculum capitolino:
In terris dictum
templum locus augurii aut auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus. Concipitur verbis non isdem usque quaque, in aree sic: [i]tem(pla) tescaque
† me ita sunto quoad ego † eas te lingua[m] nuncupavero. Ullaber arbos quirquir
est, quam me sentio dixisse,
templum tescumque[m] † festo in sinistrum. Ollaner arbos quirquir est, quod me sentio dixisse,
te(m)plum tescumque[m] † festo
dextrum. Inter ea conregione
conspicione cortumione utique ea erettissime sensi. In hoc tempio faciundo arbores
constitui fines apparet et intra eas
regiones qua oculi conspiciant[12].
Mette conto sottolineare come l'importante
formula varroniana sulla cui autenticità
v'è un generale accordo fra gli studiosi[13] (sebbene permangano in
dottrina differenziazioni
[p. 51]
sul grado di
attendibilità tra chi afferma cautamente che «die Herkunft der
Formel aus der Primärquelle ist unberstreitbar»[14]
e chi sostiene in maniera più
esplicita che «il Reatino riporta letteralmente i concepta verba per
la delimitazione del templum così come erano scritti nei commentarii augurales»[15]),
induca a considerazioni più generali, che qui possono
[p. 52]
essere appena accennate, sul valore dei fines nella
disciplina augurale, e quindi nell'esercizio degli auspicia magistratuali[16].
Oppure si trattava di
una striscia di terreno quale il finis quinque
pedum tra due praedia rustica, oggetto dell'actio finium regundorum:
Finium regundorum
actio dicta eo, quod per eam regantur fines utrique, ne dissipentur,
dummodo non angustiore quinque pedum loco ea controversia sit[17];
la cui struttura originaria rimane incerta, per quanto si
sappia che l'azione era già prevista dalle XII Tavole[18].
[p. 53]
Forse proprio questo
carattere primitivo, così materialmente connotato, giustifica lo stretto rapporto del finis
con il terminus e con il culto del dio Termine[19] attestato da Varrone e Paolo
Diacono:
Hinc fines agrorum
termini, quod eae partis propter limitare iter maxime teruntur[20];
Termino sacra
faciebant, quod in eius tutela fines agrorum
esse putabant. Denique Numa Pompilius
statuit, eum, qui terminum
exarasset, et ipsum et boves sacros
esse[21].
[p. 54]
Di particolare interesse si presenta
l'associazione di finis a urbs e litora
in Aen. 7, 148-150:
Postera cum prima
lustrabat lampade terras
orta dies, urbem et finis et litora gentis
diversi explorant... [22],
che
viene utilizzata da Virgilio per indicare, con valore giuridicamente pregnante, lo spazio terrestre occupato, in
quel caso, dal popolo latino. Tale
associazione suggerisce, inoltre, un significativo
confronto con il passo liviano che ci tramanda l'antica
formula solenne, tratta a parere di autorevoli studiosi dagli
stessi documenti dei sacerdoti Fetiales[23], attribuita alla deditio della
città di Collazia:
[p. 55]
Deditosque Collatinos
íta accipio eamque deditionis formulam
esse; rex interrogavit: Estísne vos legati oratoresque missi a populo Collatino ut vos populumque Collatinum dederetis? Sumus. Estne populus
Collatinos in sua potestate? Est. Deditisne vos populumque Collatinum, urbem, agros, aquam, terminos, delubra,
utensilia, divina humanaque omnia in
meam populique Romani dicionem? Dedimus. At ego recipio[24].
[p. 56]
Di Collazia abbiamo peraltro menzione anche
in Virgilio[25], il quale la enumera tra le città fondate dai re
albani; della qual cosa dubita però Servio[26]: nel
suo commento ne attribuisce, infatti, la fondazione a Tarquinio il
Superbo, pur non escludendo una precedente fondazione. La
città comunque già nella prima età
repubblicana aveva perduto qualsiasi importanza[27], per poi scomparire senza
neppure lasciare traccia[28].
[p. 57]
In altri passi dell'Eneide è invece un
intero spazio terrestre ad essere indicato col solo termine finis. Questo vale per alcuni riferimenti a fines di città, di regioni e
di popoli:
Seu vos Hesperiam
magnam Saturniaque arva
sive Erycis finis regemque optatis
Acesten,
auxilio tutos dimittam opibusque iuvabo[29].
Venerar antiquis Corythi de finibus Acron,
Graius homo, infectos
linquens profugus hymenaeos[30].
[p. 58]
Nam nemini Hesionae visentem regna sororis
Laomedontiaden Priamum, Salamina petentem,
protinus Arcadiae gelidos invisere finis[31].
Punica regna vides,
Tyrios et Agenoris urbem;
sed fines Libyci, genus intractabile bello[32].
Est anticus ager Tusco mihi proximus amni,
longus in occasum, finis super usque Sicanos[33].
A proposito degli ultimi due passi citati,
tralasciando il problema dell'esatta ubicazione dell'ager di Latino, che già i commentatori
antichi variamente dibattevano[34],
(né la dottrina attuale sembra aver trovato soluzioni più
certe[35]), mette
[p. 59]
conto
notare che la concezione virgiliana si presenta del tutto conforme ai principi giuridici fondamentali del
sistema romano, in cui è stato dimostrato «come la nozione
giuridico-religiosa di fines si applichi fin da antico anche agli altri populi»[36]. Giova
ricordare, al riguardo, la formula della rerum
repetitio[37], che
i feziali pronunciavano ai confini del
territorio nemico, il cui testo
contiene la significativa associazione dei fines a Iuppiter[38] oltre che al fas. Una
ulteriore considerazione può essere fatta sui versi 1, 338-339: la
sequenza Punica regna vides, Tyrios et Agenoris urbem; / sed fines Libyci,
a parte il possibile senso metonimico di fines
Libyci[39], sembra infatti
richiamare la realtà dei fines populi Romani[40], all'interno dei quali
coesistevano
[p. 60]
spazi qualitativamente differenziati dal punto di vista giuridico[41].
Anche le espressioni fines patriae o patrii hanno in
Virgilio precisa connotazione giuridica:
nos patriae finis et dulcia linquimus area[42];
En unquam patrios longo post tempore finis,
pauperis et tuguri congestum caespite culmen,
post aliquot mea regna videns mirabor aristas?[43];
espressioni
non usate, peraltro, in riferimento alla totalità dello spazio romano,
ma alla "piccola patria"[44]: la città o il
[p. 61]
territorio natali del personaggio, secondo una
terminologia attestata anche dal giurista Q. Cervidio Scevola nei Digesta di
Giustiniano[45].
Implicazioni giuridiche e religiose
indiscutibili presenta l'impiego di finis in riferimento al Lazio e
all'Italia. Riguarda il Lazio l'espressione fines
Latini, utilizzata da
Virgilio nell'ottavo e nell'undicesimo libro dell'Eneide:
Silvano fama est veteres sacrasse
Pelasgos,
arvorum pecorisque
deo, lucumque diemque,
qui primi finis aliquando habuere Latinos[46].
[p. 62]
Verum age, quandoquidem fatis urguetur acerbis,
labere, nympha,
polo finisque invise Latinos,
tristis ubi
infausto committitur omine pugna[47].
Nei versi appena citati si percepisce, infatti, la padronanza da parte del poeta della nozione
giuridico-religiosa di Latium[48]. Per
la definizione della realtà territoriale di questo arcaico Lazio dell'Eneide[49], Virgilio sembra
riferirsi al Latium
[p. 63]
antiquum (di cui abbiamo una dettagliata descrizione in Plinio)[50],
espressamente richiamato nel settimo libro dell'Eneide:
[p. 64]
Nunc age, qui reges,
Erato, quae tempora rerum,
quis
Latio antiquo fuerit status, advena classem
cum primum Ausoniis
exercitus appulit oris,
expediam et
primae revocabo exordia pugnae[51];
dove, peraltro, questo Latium antiquum si prospetta delimitato con estrema precisione
geografica:
Postera cum
prima lustrabat lampade terras
orca dies,
urbem et finis et litora gentis
diversi
explorant: haec fontis stagna Numici,
hunc Thybrim
fluvium, hic fortis habitare Latinos[52].
Nell'ultimo passo appare singolare, invero, la
delimitazione del Lazio tra Tevere e Numico: menzionando solo altre due volte in tutta l'Eneide[53] il
corso d'acqua lavinate, Virgilio mostra di discostarsi dalla
tradizione più antica su Enea, che
[p. 65]
notoriamente attribuiva al Numico un ruolo assai più
importante[54].
All'Italia si riferisce invece l'espressione fines Itali, presente nel
terzo, quinto e settimo libro del grande poema virgiliano:
Iunoni cane vota libens dominamque potentem
supplicibus supera donis; sic denique victor
Trinacria finis Italos mittere relicta[55].
Non liquit
finis Italos fataliaque area
nec tecum Ausonium, quicumque est, quaerere
Thybrim[56].
[p. 66]
Hunc mihi da proprium, virgo sata Nocte, laborem,
hanc operam, ne noster honos infractave cedat
fama
loco neu conubiis ambire Latinum
Aeneadae possint Italosve obsidere finis[57].
Non senza ragione è stata, anche di recente, sottolineata
«l'importanza che assume la storia della nozione ‘Italia’ in
età augustea»[58]; in
quest'età si compie, infatti, in maniera definitiva quel processo di progressiva unificazione politica e giuridica della penisola italiana, ormai
identificata nella sua totalità con la terra Italia[59]. Certamente a
tutta la penisola si riferiscono le laudes
Italiae del secondo libro delle Georgiche[60], in
perfetta adesione alla nuova realtà giuridica e sociale della
politica di Augusto[61].
[p. 67]
Più complessa
appare invece la terminologia dell'Eneide: va rilevato, al riguardo, come nella parte più
propriamente italiana del
grande poema, il quadro dell'azione sia quasi del tutto concentrato nel versante tirrenico della
penisola[62],
in singolare corrispondenza con una
più antica «intuizione della terra Italia come
"strutturata" dall'Appennino»[63], a cui Celti e Greci risultavano
estranei[64].
[p. 68]
Forse proprio ad una simile "intuizione" della terra
Italia rimanda il contesto di Aen.
7, 467-469:
[p. 69]
Ergo iter ad regem polluta pace Latinum
indicit
primis iuvenum et iubet arma parari,
tutari Italiam, detrudere finibus hostem[65];
in cui
Turno, ordinando ai suoi di approntare le armi per tutari Italiam e detrudere finibus hostem,
sembra richiamarsi ad un concetto unitario d'Italia, che, pur
comprendendo e superando i fines dei
singoli popoli, resta tuttavia ancorato alla realtà territoriale
dei Rutuli e dei loro alleati[66].
In senso più ampio sono da intendere,
in altri luoghi del poema, il riferimento alla Itala terra alma[67], l’invocazione
[p. 70]
Italiam
patriam[68], e infine, l'espressione tellus Italiae[69].
A proposito dell'espressione tellus
Italiae non appare del tutto
congruo il commento del Paratore:
«Italiae: nota
la singolarità dell'uso di questo nome per le coste
sicule»[70].
L'illustre studioso
sembra qui dimenticare che precise norme dello ius augurium escludevano
Illa disceptatio tenebat, quod consul in
Sicilia se M. Valerium
Messallam, qui tum classi praeesset, dictatorem
dicturum esse aiebat, patres extra Romanum agrum – eum autem in Italia terminari – negabant
dictatorem dici posse[71].
[p. 71]
Del testo liviano interessa la parte che riguarda la norma, ribadita
in quell’occasione dai patres (anno
[p. 72]
riferimento all’ager
Romanus, primo dei genera agrorum utilizzati dagli auguri per
la definizione esaustiva degli spazi terrestri[76].
Più correttamente, dunque,
l'espressione tellus Italiae è riferita invece da G.
Monaco[77]
alla terra calabra.
[p. 73]
Restano infine da esaminare i famosissimi versi Aen. 1,
278-279, che
costituiscono il nucleo centrale della solenne promessa
di Iuppiter[78] sul futuro potere
dei Romani:
His ego nec metas rerum nec tempora pono,
imperium sine fine dedi.
La forte carica ideologica e la precisa
connotazione religiosa del passo non sono
sfuggiti a P. Boyancé[79]: «Il est certain par contre – scrive
lo studioso francese – que le destin de I'Énéide est tout entier concentré sur Troie
et sur Rome, sur la mort de
[p. 74]
l'une comme condition de la naissance de
l'autre. Imperium sine fine dedi (ch. I, v. 279), c'est
sur l'annonce de l'Empire dans la bouche du
dieu supréme que repose pour ainsi dire toute l'oeuvre». Ciò risulterà ancora più evidente se
si accede alla tesi di M. Ruch, il quale ha dimostrato l'esistenza nell'Eneide di una
gerarachia di fata alla cui sommità si colloca il fatum Iovis[80].
Quanto all'interpretazione della parola finis
nel contesto del passo virgiliano e al significato da
attribuire all'espressione sine fine, prevale nella dottrina una lettura del verso 279, orientata
in senso decisamente temporale: aderisce a questa impostazione anche l'estensore della v. imperium dell'Enciclopedia Virgiliana: «È
invece più difficile – scrive V. Ilari – sostenere,
dato il contesto, che l'imperium sine fine accordato da Giove ai Romani (I 279) debba intendersi come infinitum
nello spazio»[81].
Del resto già i
commentatori antichi stabilivano un nesso ben
preciso tra l'imperium sine fine e l’eternità di Roma[82]:
[p. 75]
Nec metas rerum nec tempora pono
‘metas’ ad terras rettulit,
‘tempora’ ad annosa Lavinio enim et Albae finem statuit, Romanis
tribuit aeternitatem, quia subiunxit ‘imperum sine fine
dedi’[83].
Lo stesso orientamento si registra nella maggior parte della dottrina contemporanea, di cui basterà ora
ricordare soltanto alcuni esponenti.
In un saggio intitolato Roma Aeterna, Carl Koch
sostiene che, sebbene Virgilio
non sia stato il primo dei letterati dell'età di Augusto ad esaltare il dominio mondiale dei Romani, «niemand
hat es umfassender, autoritativer, hochgestimmter formuliert als er»[84].
[p. 76]
F.
Fabbrini, nel suo L'impero di
Augusto come ordinamento sovrannazionale, dedica un paragrafo a «La tematica di Roma aeterna.
L'imperium
sine fine»[85]. Non può sfuggire come già il titolo del paragrafo sottenda una interpretazione in
senso temporale
del verso 1, 279: «Unico fra gli imperi del mondo – conclude il Fabbrini – (tutti perituri, come
nella profezia danielina già penetrata anche in Roma) ad
essere sine fine, l'impero di Roma ha avuto dagli Dei garanzie sufficienti per non essere intaccato dalla vecchiaia e dalla
corruzione»[86].
Anche secondo E. Paratore[87] il testo virgiliano costituisce una «caratteristica formulazione del dogma augusteo dell'eternità del dominio di Roma». Mentre J. R. Fears[88] considera i due versi in questione genericamente legati al mito della «grandezza dell'impero di Roma».
All'interpretazione
del verso in senso temporale aderiscono, infine, K. D.
Bracher[89]
e J.-L. Pomathios[90].
Lo
[p. 77]
studioso tedesco, autore di un recente lavoro sulle idee
di decadenza e progresso nella prima età imperiale, sottolinea
maggiormente la valenza temporale del passo
virgiliano, trattandone nel contesto di un paragrafo intitolato
«Romidee und Ewigkeit»[91]. Poco
più di una breve notazione quella del Pomathios: in tema di «Rome et les
Romains» nel poema virgiliano[92], dopo
aver posto l'accento sul fatto che «les entreprises trovent leurs limites dans la volonté de forces supérieures», scrive quanto segue:
«même si, dans le temps, Jupiter a dit leur acorder un
“pouvoir sans fin” (I 279)»[93].
Tuttavia, ad un esame più attento,
l'espressione imperium sine
fine non sembra avere univoco senso temporale[94]. G. Piccaluga nel suo studio sul Terminus[95] sostiene con argomenti assai convincenti che sine fine, riferendosi a metas oltre
che a tempora, significa
"senza limiti" anche riguardo allo spazio[96]. La medesima interpretazione del passo è
proposta da R. Turcan nella relazione sul tema Roma eterna e le
concezioni greco-romane dell'eternità, presentata nel corso del I
Seminario
[p. 78]
Internazionale
di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, tenutosi in Campidoglio dal 21
al 23 aprile 1981[97]; in quell’occasione l'illustre studioso francese
ha evidenziato, con la consueta acutezza, come nel sine fine di Aen. 1,
279 coesistano in reciproca connessione
i valori spazio/tempo: di modo che «l'infinité
spatiale est connexe à l'infinité temporelle»[98]. Nello
stesso senso, spaziale e temporale, interpreta i versi C. Nicolet
nel suo “inventario del mondo”, pubblicato di recente in traduzione italiana[99].
Più decisamente rivolta allo spazio
è, invece, la lettura proposta da J. C. Mann[100] e A.
Mastino[101], peri quali i due versi attestano la propensione augustea a
superare tutti i limiti dello spazio:
«l'impero romano era ormai almeno teoricamente un imperium sine fine,
che non aveva frontiere»[102].
[p. 79]
Una tale accezione della parola non sarebbe
del resto infrequente
per Virgilio, poiché in vari altri luoghi il poeta impiega il singolare finis,
nell'accezione di "limite", con valore spaziale[103].
[1] Per quest'aspetto mi pare si possa fare riferimento
utilmente a I. GUALANDRI, v. Finis, in Enciclopedia Virgiliana, II, Roma 1985, p. 527.
[2] Cfr. R. LEONHARD, v. Finis, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft 6, 2, Stuttgart 1909, col. 2325; I. BAUER, v. Finis, in Thesaurus Linguae Latinae, VI, 1 (1927), col. 788; A. WALDE - J. B. HOFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, 3a ed., I, Heidelberg 1938, p.
503; A. ERNOUT
- A. MEILLET, Dictionnaire
étymologique de la langue latine. Histoire des mots, 4a ed., Paris 1967, pp. 236 s.
[3] Vocabularium Iurisprudentiae Romanae, II, 1, col. 133. Per una discussione
più ampia sui diversi significati di definire e definitio nelle
opere della giurisprudenza e nelle altre fonti giuridiche romane, vedi anche A.
CARCATERRA,
Le definizioni dei giuristi romani. Metodo,
mezzi e fini, Napoli 1966, pp. 39 ss.; R. MARTINI, Le
definizioni dei giuristi romani, Milano 1966, pp. 61 ss.
[6] Cfr. H. MERGUET, Lexikon zu Vergilius, Leipzig 1912 (rist. an. Hildesheim
- New York 1969), p. 249; D. FASCIANO, Virgile Concordace, I.
Églogues, Géorgiques, énéide, Roma - Montréal 1982, p.
345.
[7] Vedi, in tal senso, ERNOUT-MEILLET, Dictionnaire
étymologique de la langue latine, cit., p. 237.
[9] Orig. 15, 14, 1. Il titolo del brano
è de finibus agrorum: non è dunque azzardato supporre che Isidoro
abbia ricavato la notizia dalla tradizione degli agrimensori. Che in Orig. 15, 14 il vescovo di
Siviglia conservi «les restes d'art
gromatique» è sostenuto da J. FONTAINE, Isidore de
Séville et la culture classique dans l'Espagne wisigothique, I,
Paris 1959, p. 402 n. 3; e di recente da O.
BEHRENDS, La mancipatio nelle XII Tavole, in Iura 33, 1982
(ma 1985), p. 88 e n. 87.
Il collegamento finis-funis già sostenuto
appunto da Isidoro di Siviglia, ha trovato consensi fra i linguisti
moderni: M. BRÉAL, Étymologies latines
et grecque, in Mémoires de
[10] «Il est difficile de dire ce que finis
désignait primitivement, mais le caractère matériel de
finis n'est pas douteux»: così ERNOUT-MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue
latine, cit., p. 236; cfr. anche
I. BAUER, v. Finis, in Thesaurus Linguae Latinae, VI. 1,
cit., col. 788; R. LEONHARD, v. Finis, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft 6, 2, cit., col. 2325.
[11] A. SCHULTEN, v. Finis, in Dizionario epigrafico di antichità romane 3,
Roma 1922, p. 89. Nello stesso senso P. CIPRIANO, Templum, Roma
1983, p. 54.
[12] De ling. Lat. 7, 8-9. Il testo è conforme alla lezione
proposta dall'edizione teubneriana curata da
G. GOETZ
e F. SCHOELL, M. Terenti Varronis
De lingua Latina quae supersunt, Lipsiae
1910; non rilevano agli effetti
del nostro discorso le correzioni introdotte da E. NORDEN, Aus altrömischen
Priesterbüchern, Lund-Leipzig 1939, p. 97.
[13] La formula augurale trascritta da Varrone è
stata, peraltro, oggetto di numerosi
studi: F. A. BRAUSE, Librorum de disciplina
augurali ante Augusti mortem
scriptorum reliquiae, I, Lipsiae 1875, pp. 30 ss.; C. O. THULIN, Italische sakrale Poesie und Prosa, Berlin 1906, pp. 66 s.; S. WEINSTOCK, Templum,
in Mitteilungen des Deutschen Archälogischen Instituts
(Röm. Abt.) 47, 1932, pp. 95 ss.; A. VON BLUMENTHAL, Templum, in Klio 27, 1934, pp. 1 ss.; G. GOIDANICH,
Del templum augurale nell'Italia antica, in Historia 8,
1934, pp. 579 ss.; K. LATTE, Augur und templum in der varronischen
Auguralformel, in Philologus 97, 1948,
pp. 143 ss. (= ID., Kleine Schriften, München 1968, pp. 91 ss.); G. B. PIGHI, La poesia religiosa romana, Bologna 1958, p. 86;
A. CENDERELLI, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica
nelle opere di M. Terenzio Varrone, Milano
1973, pp. 54, 101; P.-Y. CHANUT, Les "tesca" du Capitole, in Revue de Philologie 54, 1980, pp. 295 ss.; J. LINDERSKI, The Augural Law, in Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt, II. 16, 3, Berlin-New York
1986, pp. 2267 ss.
Più
in generale sul tempio augurale, vedi P. CATALANO, Aspetti spaziali del
sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt, II. 16, 1, Berlin-New York 1978, pp. 467 ss.; P. CIPRIANO, Templum, cit. in n. 11 (ma sul lavoro di questa studiosa, vedi le riserve di G. FREYBURGER, in Latomus 44, 1986, pp.
896 s.).
[15] E. PERUZZI, La formula augurale di Varrone l. l.
VII
[16] Sui rapporti tra fines e diversi aspetti della disciplina augurale, vedi Varrone, De ling. Lat. 5, 143; 6, 53 (Hinc
effata dicuntur, qui augures finem auspiciorum caelestum extra urbem
agri<s> sunt effati ut essent; hinc effari templa dicuntur: ab auguribus
effantur qui in his fines sunt); Livio 1, 18, 9 (uti tu signo nobis adclarassis inter eos fines quos feci); Gellio, Noct.
Att. 13, 14, 1; Festo, p.
[18] XII Tab. VII, 2-6 (= Fontes Iuris Romani Antejustiniani, pars prima, ed.
S. RICCOBONO, Florentiae 1941, pp. 48-49). Sull'actio finium regundorum nell'età
decemvirale vedi, da ultimo, O.
BEHRENDS, La
mancipatio nelle XII
Tavole, cit., pp. 92 ss.
Conosciamo invece con maggiore certezza la struttura dell'actio
in età classica e postclassica: Gaio in D. 10, 1, 13; Paolo in D. 10, 1, 1 e in
D. 10, 1, 4;
Ulpiano in D. 10, 1, 2;
Codex Th. 2, 26, 5;
Inst. Iust. 4, 17, 6. Per un rapido sguardo d'insieme, vedi, fra gli
altri: G. HUMBERT, v. Finium regundorum actio, in
Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 2, 2,
Paris 1896, pp. 1140 ss.; R. LEONARD, v. Finis, cit., coll. 2385 SS.; M. SARGENTI, v. Controversiae
agrorum, in Novissimo Digesto Italiano, IV, Torino 1959, pp. 737
ss.; M. TALAMANCA, v. Confini
(Regolamento di), in Enciclopedia
del diritto, VII, Milano
1961, pp. 954 ss.; G. CIULEI, Finium regundorum, in Zeitschrift
der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte 81, 1964, pp. 303
ss.; G. BROGGINI, v. Regolamento
di confini. Diritto romano, in Novissimo
Digesto Italiano, XV, Torino 1968, pp. 247 ss.
[19] Sul primo aspetto si vedano le penetranti intuizioni di
J. RYKWERT, L'idea
di città. Antropologia della forma urbana del mondo antico, trad.
it. a c. di G. Scottone, Torino 1981, pp. 130 ss. Sul culto del dio Termine vedi, per
tutti, G. WISSOWA, Religion
und Kultus der Römer, 2a ed., München 1912, pp. 136 s.;
G. Dumézil, La religion romaine arcbaique, 2a ed., Paris 1974, pp. 210 ss. (= trad. it. a c. di
F. Jesi, La religione romana arcaica, Milano 1977, pp. 185
ss.); G. PICCALUGA, Terminus.
I segni di confine nella religione romana, Roma 1974, pp. 99
ss.
[20] Varrone, De ling. Lat. 5, 21. Cfr. Isidoro, Orig.
15, 14, 3: Termini dicti quod
terrae mensuras distinguunt atque declarant. His enim testimonia finium
intelleguntur, et agrorum intentio et certamen aufertur.
[21] Paolo, Fest. epit., p.
Sul tempio di
Terminus e sulle feste celebrate in onore del dio, i Terminalia,
vedi anche Dionigi
d'Alicarnasso 2, 74, 2 ss.; Ovidio,
Fast. 2, 639
ss.; da ultimo D. SABBATUCCI, La
religione di Roma antica, dal calendario festivo all'ordine cosmico, Milano 1988, pp. 74
ss.
All'autenticità della lex
Numae, norma posta a
difesa della proprietà
privata, sembra
propenso a credere R. M.
OGILVIE, A
Commentary on Livy. Books
1-5, rist. Oxford
1970, p. 211; assai più decisa, appare la posizione di E. PERUZZI, Origini di Roma, II. Le lettere, Bologna 1973, p. 149 (a suo avviso,
nel testo di Paolo Diacono: «Possiamo intravedere il testo di quella norma, nelle sue
linee essenziali»), seguito nella sostanza da S. TONDO, Leges
regiae e paricidas, Firenze 1973, p. 135 n. 122.
Sull'arcaica legge di Numa vedi, infine, G. MAC CORNACK, Terminus motus, in Revue internationale des droits de l'antiquité 26, 1979, pp. 239 ss.
[22] Per l'inquadramento geografico del passo nel Lazio
virgiliano, cfr. F. DELLA CORTE, La
mappa dell'Eneide, Firenze 1972, p.
246.
[23] È quanto sostenuto da G. B. PIGHI, La poesia
religiosa romana, cit.,
pp. 46 s.; anche per F. DE MARTINO, Storia della costituzione
romana, II, 2a ed., Napoli 1973, p. 55, la formula della deditio,
come ci è riferita da Livio,
può collegarsi agli archivi della sodalítà, poiché
lo storico patavino con molta
probabilità attingeva dai formulari dei feziali.
[24] Livio 1, 38, 1-2; cfr. Polibio 36, 4, 2; Livio 7,
31, 3-4 (Quando quidem inquit, nostra tueri adversus vim atque
iniuriam iusta vi non vultis, vestra certe
defendetis; itaque populum Campanum urbemque Capuani, agros, delubra deum,
divina humanaque omnia in vestram, patres conscripti, populique Romani dicionem dedimus, quidquid deinde
patiemur dediticii vestri passuri). G. DUMÉZIL, La
religion romaine archaïque, cit.,
p. 428 (= trad. it., La religione
romana arcaica, cit., pp.
371 s.), ritiene il testo liviano di buona qualità
e abbastanza risalente; più cauta l'opinione di G. PUGLIESE, Appunti sulla 'deditio'
dell'accusato di illeciti internazionali, in Rivista italiana per le scienze giuridiche 18, 3a serie, 1974, pp. 8 s., il quale sostiene che la formula è
«tramandata certo dagli annalisti e quindi piuttosto antica (anche se, verosimilmente,
non coeva agli avvenimenti narrati in quel punto dallo storico)»; per
una discussione critica più recente, vedi D. NÖRR,
Aspekte des römischen Völkerrecht. Die Bronzetafel von Alcántara, München 1989, pp. 16 ss.
Sulla deditio la
letteratura giuridica è vastissima: Th. MOMMSEN, Römisches
Staatsrecht, 3a ed., III, 1, Leipzig 1887, pp. 55 ss. (= trad. franc. di
P. F.
Girard: Droit public romain, VI, 1, Paris 1889, pp. 61 ss.); E. TÄUBLER, Imperium Romanum.
Studien zur Entwicklungsgeschichte des römischen Reiches, I, Leipzig 1913, pp.
14 ss.; A. HEUSS, Die
völkerrechtlichen Grundlagen der römischen Aussenpolitik in
republikanischer Zeit, Leipzig 1933, pp. 60 ss.; P. FREZZA, Le forme federative e la struttura dei rapporti
internazionali nell'antico diritto
romano, in Studia et documenta historiae et iuris 4,
1938, pp. 412 ss.; B. PARADISI, Deditio
in fidem, in Studi Solmi, I, Milano 1940 (ma 1941), pp. 284 ss.; A. PIGANIOL, Venire in fidem, in Revue internationale des droits de l'antiquité 5, 1950 (= Mélanges Fernand De Visscher, IV), pp. 339 ss.; U. VON LÜBTOW, Das römische Volk. Sein Staat und sein Recht, Frankfurt a. M.
1955, pp. 643 s.; E. BADIAN, Foreign
Clientelae (264-70
B. C.), Oxford 1958, pp. 4 ss.; V. BELLINI, Deditio in fidem, in Revue
historique de droit français et
étranger 42, 1964, pp. 448 ss.; S. CALDERONE, PISTIS - Fides. Ricerche di storia e
diritto internazionale nell'antichità,
Messina-Roma 1964, pp. 59 ss.;
W. DAHLHEIM, Struktur und Entwicklung des römischen Völkerrecht in 3. und 2. Jahrhundert v. Chr., München 1968, pp. 5 ss.; K.-H. ZIEGLER, Das Völkerrecht der römischen Republik, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, I. 2, Berlin-New York 1972, pp. 94 ss.; F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, II, cit., pp. 54 ss.
[25] Aen. 6, 773-776: Hi tibi Nomentum et Gabios urbemque Fidenam, / hi Collatinas imponent montibus arces, /
Pometios Castrumque Inui Bolamque Coramque: / haec tum nomina erunt, nunc sunt
sine nomine terrae.
[26] Ad Aen. 6, 773: Hi tibi Nomentum hae civitates sunt priscorum Latinorum ab
Albanis regibus constitutae: quamquam Collatiam Tarquinius constituisse
dicatur, qui, ut erat superbus, eam ex collata pecunia constituit, unde et Collatia ditta est. Potest tamen fieri, ut ab Albanis fundata sit, aucta
a Tarquinio.
[28] Collazia compare, infatti, nel lungo elenco dei populi del Lazio
arcaico di cui scrive Plinio, Nat. hist. 3, 96: Ita ex antiquo Latio
LIII populi interiere sine vestigiis. Per
maggiori ragguagli cfr. CHR. HÜLSEN, v. Collatia, in
Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 4, 1,
Stuttgart 1900, col. 364; ma soprattutto L. QUILICI, Collatia, Forma
Italiae I, 10, Roma
[29] Aen. 1, 569-571. Commento in E. PARATORE, Virgilio, Eneide, I
(Libri 1-11), Milano 1978, pp. 214 s.; all'eroe eponimo sembra, invece, riferirsi
il verso Aen. 5, 630:
Hic Erycis fines fraterni atque hospes Acestes.
[30] Aen. 10, 719-720. Servio, Ad
Aen. 10, 719 ('Corythi de finibus' Corythus est et
civitas Tusciae, et mons, et rex, pater Dardani), rileva come il
genitivo Corythi possa riferirsi con gli stessi buoni motivi alla
città etrusca Cortona, al monte
omonimo o al re, padre di Dardano. Per quanto riguarda la localizzazione della città di Corito, cfr.,
con diverse soluzioni, N. HORSFALL, Corythus: the Return of Aeneas in Vergil and his Sources, in
Journal of Roman Studies 63,
1973, pp. 68 ss.; E. L. HARRISON, Virgil's
location of Corithus, in
Classical Quarterly 36, 1976, pp. 293 ss.; e da ultimo A. PALMUCCI, La
virgiliana città di Corico, in Atti e Memorie dell'Accademia
Virgiliana di Mantova 76, 1988, pp. 29 ss.
Sull'episodio di Acrone, vedi l'interpretazione di G. DUMÉZIL, Mariages indo-européens, suivi de quinze questions romaines, Paris 1979, pp. 226 s.: l'illustre studioso francese sostiene che Virgilio si sarebbe ispirato alla vicenda romulea di Acrone, re di Cenina (ucciso da Romolo, che dalle sue armi fece i primi spolia opima: Livio 1, 10, 4; Plutarco, Rom. 16, 1-3), e al ratto delle Sabine; ma contro E. PARATORE, Virgilio, Eneide, V (Libri IX-X), Milano 1982, p. 293.
[32] Aen. 1, 338-339. Riguardo alla
strutturazione del v. 339, vedi E. PARATORE, Virgilio, Eneide, I,
cit., p. 181: «Nota il passaggio dal sostantivo
fines all'inattesa apposizione genus, quasi che la frase suonasse
sed fines Libycae gentes incolunt, genus etc.».
[34] Servio, Ad Aen. 11, 316: 'Est antiquus ager mihi
proximus amni' hoc loco Donatus erravit dicens, agrum quem Latinus donare disponit,
esse in Campania iuxta Ufentem fluvium, quod
etiam Clanarius ait, cuius terras vicinas
Tusci aliquando tenuerunt, ut inde dictum sit 'Tusco mihi proximus
amni'. Agit etiam hoc
argumento, quod illic est locus qui hodieque pinetum vocatur. Sed
constat omnia illo loca esse campestria, nec procedit quod dicitur `celsi plaga
pinea montis'. Unde sequenda est potius Livii, Sisennae et Catonis auctoritas:
nam paene omnes antiquae historiae scriptores in hoc consentiunt. Cato enim in
originibus dicit Troianos a Latino accepisse agrum, qui est inter Laurentum et
castra Troiana.
[35] F. DELLA CORTE, La mappa
dell'Eneide, cit., p. 191 ss., ritiene di
poter identificare il sito dell'ager nelle vicinanze del Tevere, in una località tra Roma e
Ostia; al contrario E. PARATORE, Virgilio, Eneide, VI (Libri XI-XII), Milano 1983, pp. 163, pensa che il
Tuscus amnis non sia il
Tevere, in quanto una tradizione
antica di ottima provenienza (Catone) collocava
l'ager di Latino tra la
città di Laurento e i castra troiana: quindi vicino all'attuale sito di Lavinio.
[38] Il passo liviano, del resto, non
è l'unico testo in cui i fines si trovano associati a Iuppiter:
altri esempi in C.I.L. XIII, 7713. 7732; cfr. A. SCHULTEN, v. Finis, in Dizionario
epigrafico, cit., p. 92; I. BAUER, v. Finis, in Thesaurus Linguae
Latinae, cit., col. 788; G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine
nella religione romana, cit. p. 138.
[39] «Metonymice de hominibus fines
incolentibus»: così, a proposito
di Aen. 1, 339, I. BAUER, v. Finis, cit., col. 789.
[40] Su cui vedi TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, III, cit., pp. 825 ss.
(= Droit public romain, VI, 2, cit., pp. 477 ss.); A. SCHULTEN, v. Finis, in Dizionario
epigrafico, cit., 92 s.
Per la distinzione fra fines populi Romani e ager Romanus, vedi invece le puntualizzazioni
rispetto alla dottrina precedente di P. CATALANO, Linee del
sistema sovrannazionale romano, I, Torino 1965, pp. 274 ss.
[41] P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, Torino 1974, pp. 121 S.; ID., Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 548 ss.
[43] Ecl. 1, 67-69. La prima egloga, assieme alla nona, ha costituito per i
commentatori e i biografi di Virgilio la fonte principale per
ricostruire la vicenda dell'esproprio del podere mantovano del
poeta. Cfr. in questo senso K. BÜCHNER, Virgilio.
Il poeta dei Romani, trad. it., 2a ed., Brescia 1986, pp. 43 ss.; M. A. LEVI, Augusto e il suo tempo, Milano 1986, pp. 318. Contro,
vedi soprattutto le argomentazioni di R. SYME, La rivoluzione romana, trad. it. con introd. di A.
Momigliano, Torino 1962 (reprint 1974), p. 254 n. 1: «Le varie informazioni concernenti la
data e l'occasione in cui fu confiscata la tenuta di Virgilio, nonché la maniera e gli autori del recupero, che le Vite
antiche e gli
scolíasti ci forniscono con molti dettagli ma più con convinzione che con coerenza, sembrano
derivare da induzioni ricavate dalle Ecloghe
stesse e non da fatti accertati e ben documentati: non possono
perciò essere usate ai fini della ricostruzione storica».
Più sfumata è invece la posizione di C. CARENA (a cura
di), Opere di Publio Virgilio Marone, 2a ed., Torino 1976, pp. 10 s., 72 n. 1.
[44] Il rapporto tra "piccola patria" e civitas romana è stato oggetto dell'informato lavoro di M. BONJOUR, Terre natale. Études sur une
composante
affective du patriotisme romain, Paris 1975: soprattutto pp. 465 ss., dove la studiosa francese si
occupa in particolar modo di Virgilio.
[45] D. 32, 41, 6: Legaverat
per fideicommissum Maeviis ita: 'et quidquid in patria Gadibus possideo': quaesitum est, an, si quam
suburbanam adiacentem possessionem haberet,
baec quoque ex causa fideicommissi Maeviis debeatur. Respondit posse ad
hanc quoque verborum significationem extendi. Item quaesitum est, an, si
calendarii, quod in patria sua vel intra fines eius defunctus exercuit, instrumenta in domo, quam in patria sua habebat,
reliquit, an id quoque kalendarium propter verba supra scripta Maeviis
ex causa fideicommissi deberetur. Respondit
non deberi. Item quaesitum est, an pecunia, quae in arca domi Gadibus inventa
esset, vel ex diversis nominibus exacta et ibi deposita, ex fideicommisso
debeatur. Respondit supra responsum. Cfr. anche D. 47, 18, 1, 1.
[46] Aen. 8,
600-602. Sulla divinità dí cui si tratta in questi vv., cfr. per
gli aspetti generali, brevemente, G. RADKE, Die
Götter altitaliens,
Münster 1965, p. 287; in
rapporto alla 'saga' di Enea J. GAGÉ, Énée,
Faunus et le culte de Silvain
"Pélasge". A propos de quelques traditions de l'Étrurie
méridionale, in Mélanges de l'École
française de Rome 73, 1961, pp. 69 ss.; da ultimo F. TRISOGLIO, v. Silvano, in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma
1988, pp. 853 s.
[47] Aen. 11, 587-
[48] Sul Latium vedi
ora la trattazione sistematica di P. CATALANO, Aspetti
spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 506 ss.
[49] Per una rapida visione delle occorrenze di Latium, cfr.
H. MERGUET, Lexikon zu
Vergilius, cit.,
p. 373; per gli aspetti
archeologici, storici e topografici cfr.
invece: F. DELLA CORTE, La mappa
dell'Eneide, cit.,
pp.
121 ss.;
G. COLONNA, Preistoria e protostoria di Roma e del Lazio, in
Popoli e civiltà
dell'Italia antica, Roma 1974, pp. 283 ss.; J. PERRET,
Problèmes topographiques au royaume de Latinus
(Énéide VII-XII), in
Littérature greco-romaine et
géographie historique. Mélanges R. Dion, Paris 1974, pp.
167 ss.; A. GRANDAZZI, Virgile et
le Latium archaïque, in
Bulletin de l'Association G.
Budé, 1979, pp. 301 ss.; G.
DURY-MOYAERS, Énée et Lavinium. A propos des découvertes archéologiques
récentes, Bruxelles 1981; F.
CASTAGNOLI, Lazio
virgiliano, in
AA.VV., Itinerari virgiliani, Milano
1981, pp. 83 ss.; ID., La leggenda di
Enea nel Lazio, in Atti del
Congresso mondiale scientifico di studi
su Virgilio, II, Milano
1984, pp. 283 ss.; ID.,
v. Lazio, in
Enciclopedia Virgiliana, III, Roma
1987, pp. 159 ss.;
AA.VV., Enea nel
Lazio. Archeologia e mito, Roma 1981; E. PARATORE, Virgilio
e il Lazio, in Il Lazio
nell'antichità romana, Roma
1982, pp. 3 ss.; K. GALINSKY,
Aeneas in Latium. Archäologie, Mythos
und Geschichte, in AA.VV., 2000 Jahre Vergil. Ein Symposium, Wiesbaden 1983, pp. 37
ss.; G. D'ANNA, Virgilio e le recenti scoperte archeologiche
a Lavinium, in Virgilio nel bimillenario
(Università di Sassari. Convegno di studi 1982) = Sandalion 6-7, 1983-1984 (ma 1985), pp. 93 ss.
Più
in generale, sulle
strutture sociali e politiche del Lazio arcaico vedi gli importanti contributi di P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma 1959, pp. 90 ss.; ID., Variazioni su temi di preistoria romana, Roma
1974, pp. 35 ss.; A. BERNARDI, Dai
populi Albenses ai Prisci Latini nel Lazio arcaico, in Athenaeum
42, 1964, pp. 233 ss.; M. TORELLI, Tre studi di storia etrusca,
I. Terra e forme di dipendenza: Roma ed Etruria in età
arcaica, in Dialoghi d'Archeologia 8, 1974-1975, pp. 3 ss.; J. GAGÉ, Metius Fufetius: un nom ou
un double titre? Remarques sur les structures de l'ancienne
société albaine, in
Revue de droit français et étranger 53, 1975, pp. 201 ss.; G. COLONNA, Un
aspetto oscuro del Lazio antico: le tombe
del VI-V secolo a. C., in La parola del passato 32, 1977 (= Lazio arcaico e mondo
greco II. L'Esquilino e il comizio), pp.
131 ss.; ID., Nome gentilizio e società, in
Studi etruschi 45, 1977, pp.
175 ss.; C. AMPOLO, Le condizioni materiali della produzione.
Agricoltura e paesaggio agrario, in
Dialoghi d'Archeologia 2, nuova
serie, 1980 (= La
formazione della città nel Lazio), pp. 15 ss.; ID., Periodo IV B (640-30 -
[50] Plinio, Nat. hist. 3,
56-57: Latium antiquum a Tiberi Cerceios servatum est m. p. L longitudine:
tam tenues primordio imperi fuere radices. Colonis saepe mutatis tenuere alii
aliis temporibus, Alborigines, Pelasgi, Arcades,
Siculi, Aurunci, Rutuli et ultra Cerceios Volsci, Osci, Ausones, unde nomen
Lati processit ad Lirim amnem. In principio est Ostia colonia ab Romano rege
deducta, oppidum Laurentum, Lucus Iovis Indigetis, amnis Numicius, Ardea a
Danäe Persei matre condita. Dein quondam Aphrodisium, Antium colonia, Astura flumen et insula, fluvius Nymphaeus,
Clostra Romana, Cercei, quondam insula immenso quidem mari circumdata,
ut creditur Homero, et nunc planitie. A cui aggiungi 3, 54: (Anio), qui et ipse navigabilis
Latium includit a tergo.
Da questi testi P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., p. 510, ricava persuasive considerazioni sul valore dei fiumi per lo ius divinum: «Sono dunque menzionati fiumi come limiti del Latium antiquum a settentrione (il Tevere) e ad oriente (l'Aniene); non a mezzogiorno: tuttavia mi sembra evidente che il concetto territoriale di Latium, come poi quello di terra Italia, è connesso al valore, religioso, dei fiumi. Ciò è confermato dal fatto che per dire 'fuori dal Lazio', si usava l'espressione pregnante trans Tiberim».
[51] Aen. 7,
37-40; cfr. Servio, Ad. Aen. 7, 38: Latio
antiquo quia duos sunt, vetus et novum, sicut et in iure lectum est; peraltro lo stesso Servio precedentemente (Ad Aen. 1, 6) aveva riferito della espansione del Lazio: Latium
duplex est, unum a Tiberi usque ad Fundos, aliud inde usque ad Vulturnum. Denique ipse dixit veteresque
Latini ideo quia scit esse etiam novos, id est a Fundis usque ad Vulturnum.
[53] Cfr. F. CASTAGNOLI, v. Numico, in Enciclopedia Virgiliana, III, cit., pp. 974 s. F. DELLA CORTE, La mappa dell'Eneide, cit., pp. 128 ss., ritiene che questo fatto trovi la sua giustificazione nello
spostamento, operato da Virgilio, di tutta l'azione del poema verso la valle del
Tevere.
[54] Il Numico è ricordato in
numerosi testi antichi, variamente legato alla
leggenda di Enea. Sarebbe stato il luogo della costa laziale dove sbarcò l'eroe troiano: Cassio Dione, fragm. 1, 3;
non lontano da esso si sarebbe svolta l'ultima battaglia tra
Enea e Mezenzio: Dionigi d'Alicarnasso 1,
64, 5; in un'altra versione della leggenda, Enea scompare dopo essere caduto nel Numico: Livio 1, 2, 6; Tibullo, Carm. 2, 5, 43-44;
Servio, Ad Aen. 1, 259; infine abbiamo testimonianze della connessione
tra il fiume lavinate e il culto di Indiges: Arnobio, Adv. nat. 1, 36; Servio, Ad Aen. 7, 150.
Quanto alla dottrina moderna, vedi per tutti:
B. TILLY, Vergil's Latium, Oxford
1947, pp. 62 ss.; F. CASTAGNOLI, I luoghi connessi con l'arrivo di Enea nel Lazio (Troia, Sol Indiges, Numicus), in Archeologia classica 19, 1967, pp. 235 ss.; ID.,
Lavinium, I,
Roma 1972, pp. 91 s.; B. LIOU-GILLE, Cultes
héroïques romaines. Les
fondateurs, Paris 1980, pp. 120 ss.; G. DURY-MOYAERS, Énée et Lavinium, cit., pp. 232 ss.;
J. POUCET, Un culte
d'Énée dans la règion lavinate au quatrième
siècle avant Jésus-Christ?, in Hommages à Robert Schilling, Paris 1983, pp. 187 ss.
[55] Aen. 3, 438-440.
[57] Aen. 7, 331-334.
Per un rapido raffronto delle occorrenze virgiliane del
termine Italia, cfr. H. MERGUET, Lexikon zu Vergilius, cit., p. 356.
[58] A. BERNARDI, v. Italia (Mondo italico dalla guerra sociale
all'età augustea), in Enciclopedia Virgiliana, III, cit., p. 49.
[59] Sull'espressione tecnica terra
Italia,
fonti e definizione giuridica e religiosa in P.
CATALANO, Aspetti spaziali del
sistema giuridico-religioso romano,
cit., pp. 534 ss.
[60] Georg. 2, 136-176. Sulle
implicazioni di questi versi, vedi fra gli altri: A. ALFONSI, Laudes Italiae, in Studi romani 10, 1962, pp. 625 ss.; A. G.
McKAY, Vergil's glorification of
Italy (Georgics II 136-174), in Cicero and Virgil. Studies in honour of H. Hunt, Amsterdam 1972, pp. 149 ss.; M. C. J. PUTNAM, Italian
Virgil and the idea of Rome, in Janus. Essays in ancient and modem studies, Ann
Arbor 1975, pp. 171 ss. (ma sul saggio riserve e critiche di CH. WITKE, Response to Italian Virgil and the idea of Rome, ibid., pp. 201 ss.); C. GUITTARD, Saturnia terra, mythe et réalité, in
Caesarodunum 15 bis, 1980,
pp. 177 ss.; K. BÜCHNER, Virgilio, cit., pp. 346 s.
[61] P. GRIMAL, Virgile ou la seconde naissance de Rome, Paris 1985, pp. 119 s. (=
trad. it.: Virgilio. La
seconda nascita di Roma, Milano 1986, p. 129), insiste sulla spontaneità dell'adesione
virgiliana alla politica di Augusto: a suo avviso la lettura dei vv. Georg. 2, 126-130, in cui è possibile ravvisare un'allusione a Cleopatra
“matrigna” dei figli di Antonio, riporterebbe la
composizione della laus Italiae al
36 a. C.; quindi l'elogio dell'Italia avrebbe preceduto non seguito la politica
"italica" del giovane Cesare,
sfociata tre anni più tardi
nella famosa coniuratio. Più
in generale vedi R. SYME, La rivoluzione romana, trad. it., cit., pp. 277 ss.; per
una messa a punto della bibliografia recente G. VITUCCI, v. Augusto, in Enciclopedia Virgiliana, I, cit., pp.
405 ss.
[62] Cfr. F. DELLA CORTE, La
mappa dell'Eneide, cit., p.
104: «I Troiani approdano alle sponde del Mar Tirreno, sbarcano sul suolo
d’Italia; il precedente sbarco nella penisola salentina non
aveva avuto alcuna importanza, né lasciato traccia; l'odierna
Puglia non era considerata Esperia, e
cioè plaga occidentale dell'Italia».
[64] Una
simile concezione della terra Italia era quella corrente nell'età
della seconda guerra punica, come attesta la fonte di
Appiano, Annib. 8: Τὰ γὰρ Ἀπεννῖνα
κατέρχεται
μὲν ἐκ μέσων τῶν
Ἀλπείων ἐπὶ θάλασσαν,
ἔστι δ' αὐτῶν τὰ μὲν ἐπὶ δεξιὰ πάντα καθαρῶς
Ἰταλία, τὰ δὲ ἐπὶ θάτερα ἐς τὸν Ἰόνιον φθάνοντα
νῦν μέν ἐστι καὶ ταῦτα Ἰταλία, ὅτι καὶ Τυρρηνία
νῦν Ἰταλία, οἰκοῦσι
δ' αὐτῶν τὰ μὲν Ἕλληνες,
ἀμφὶ τὴν Ἰόνιον ἀκτήν, τὰ δὲ λοιπὰ Κελτοί, ὅσοι τῇ Ῥώμῃ τὸ πρῶτον ἐπιθέμενοι
τὴν πόλιν ἐνέπρησαν. Ne costituirebbe inoltre conferma, sul piano religioso, la
singolare cerimonia,
nel corso della quale si procedeva alla sepoltura rituale nel Foro
Boario di una coppia
di Galli e di
una di Greci, di cui abbiamo notizia in Livio 22, 57, 6 per l'anno 216 a. C.: inter quae [sacrificio extraordinaria]
Gallus et Galla, Graecus et Graeca in foro
bouario sub terra vivi dimissi sunt in locum saxo conseptum iam ante hostiis
humanis, minime Romano sacro, imbutum.
Per smentire la notazione minimalistica dello storico
patavino, mette conto
rilevare che nel corso della storia di Roma repubblicana il sacrificio risulta praticato altre due volte, sempre su indicazione
dei libri Sibyllini: Orosio,
Adv. pag. 4, 13, 3: Tertio deinceps anno miseram civitatem sacrilegis
sacrificiis male potentes funestavere pontifices; namque decemviri consuetudinem priscae superstitionis egressi Gallum virum et
Gallam feminam cum muliere simul
Graeca in foro boario vivos defoderunt. Cfr. Plutarco, Marc. 3, 6; Zonara 8, 19, 9. Quanto
poi all'epoca imperiale, Plinio il Vecchio ne scrive come di un
sacrificio ancora praticato nel suo tempo: Nat. hist. 28, 12: Boario vero in foro Graecum Graecamque
defossos aut aliarum gentium, cum quibus
tum res esset, etiam nostra aetas vidit. Cuius sacri precationem, qua solet
praeire XVvirum collegii magister, si quis
legat, profecto vim carminum fateatur, omnia ea adprobantibus DCCCXXX
annorum eventibus. Per l'inquadramento dell'importante passo di Plinio, vedi TH. KÖVES-ZULAUF,
Reden
und Schweigen. Römische Religion bei Plinius Maior, München 1972,
p. 153 n. 159; FR. MÜNZER,
Beitrage zur
Quellenkritik der Naturgeschichte des
Plinius, Berlin
1897, p. 177, sostiene che la fonte del paragrafo sarebbe M. Terenzio Varrone;
cfr. anche W. KROLL,
v. Plinius, in Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft 21, 1, Stuttgart 1951, coll. 376 ss.
Sull'origine e sulle finalità religiose di questa e
delle altre sepolture rituali della
religione romana, vedi, pur con posizioni diversificate: H. DIELS, Sibyllinische
Blätter, Berlin 1890, pp. 85 ss.; C. CICHORIUS, Staatliche
Menschenopfer, in ID., Römische
Studien, Leipzig-Berlin
1922, pp. 13 ss.; P. FABRE, 'Minime Romano sacro'. Note sur un passege de Tite-Live et
les sacrifices humains dans la religion romaine, in Revue des études anciennes 42, 1940, pp.
419 ss.; C. BÉMONT, Les enterrés vivants du Forum Boarium. Essai
d'interprétation, in
Mélanges de l'École
française
de Rome 72, 1960, pp. 133 ss.; K. LATTE, Römische
Religionsgeschichte, München 1960, pp. 256 s. Sul
significato del sacrificio in rapporto alla
concezione cisappenninica della terra Italia, vedi soprattutto S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, II. 1, cit., pp. 216 ss.; e da ultimo A. FRASCHETTI, Le sepolture rituali del Foro Boario, in Le délit religieux
(Table ronde, Rome, 6-7 avril 1978), Roma 1981, pp. 51 ss.
[65] Mette conto, peraltro, rilevare che la difesa dell'Italia è
motivo ricorrente dei libri Sibyllini
e che la nozione di terra Italia
compare nei carmina in essi contenuti: cfr. Livio 29, 10, 4-5: civitatem eo tempore
repens religio invaserat
invento carmine in libris Sibyllinis propter crebrius eo anno de caelo
lapidatum inspectis, quandoque hostis alienigena terrae Italiae bellum
intulisset, eum pelli Italia vincique posse, si Mater Idaea a Pessinunte Romani
advecta foret.
[66] Sulle
popolazioni medioitaliche alleate di Turno vedi, da ultimo, G. A. MANSUELLI, v. Italia (Etnologia), in Enciclopedia Virgiliana, III,
cit., pp. 42 s.; cfr. J.-L. POMATHIOS, Le pouvoir politique et sa
représentation dans l'Énéide de Virgile, Bruxelles 1987, pp. 88 ss.
Per quanto riguarda, invece, l'impiego virgiliano di Italia e la maggiore caratterizzazione del termine nell’Eneide rispetto alle Georgiche, si vedano le acute riflessioni di D. MUSTI, v. Italia (Storia del nome), in Enc. Virg., cit., p. 40: «Nel poema epico l'idea di I(talia) e di Itali dispiega tutta la sua forza di caratterizzazione, sul piano geografico, linguistico, etnico-culturale, svolgendo anche una funzione di distinzione dai popoli sopravvenuti come i Troiani».
[67] Aen. 7, 641-644: Pandite nunc Helicona, deae,
cantusque movete, / qui bello exciti reges, quae quemque secutae /
complerint campos acies, quibus Itala iam tum / floruerit terra alma
viris, quibus arserit armis. E. PARATORE, Virgilio, Eneide, IV
(Libri VII-VIII), Milano 1981, p. 205, vede nell'espressione terra alma «l’eco
del più famoso brano delle Georgiche, che del resto ha anche una movenza orgogliosamente
epica».
[68] Aen.
1, 378-380: Sum pius Aeneas,
raptos qui ex hoste penatis / classe veho
mecum, fama super aethera notus. / Italiam quaero patriam et genus ab
Iove magno.
[69] Aen. 3, 670-674: Verum ubi nulla datur
dextram adfectare potestas / nec potis Ionios fluctus aequare
sequendo, / clamorem immensum tollit, quo pontus et omnes / intremuere undae
penitusque exterrita tellus / Italiae curvisque immugiit Aetna cavernis.
[71] Livio 27,
5, 15. Gli aspetti politici e giuridici del passo sono stati
magistralmente descritti da F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, II, cit., p. 272; l’illustre studioso
ritiene infatti l'episodio di grande interesse «perché rivela un
contrasto di ordine costituzionale fra il Senato, appoggiato dai tribuni delle plebe, ed un console, il quale rivendicava l'antico potere consolare di procedere alla dictio del dittatore, senza necessità di sottoporsi al voto popolare.
Tuttavia il voto di per sè non era ancora giudicato sufficiente per la piena validità della nomina,
ma occorreva pur sempre l'atto del
console; singolare compromesso di poteri, che si reggevano più
sulla forza politica, che su rigorose norme costituzionali!».
[72] Sull'impossibilità di rendere Romanus un
ager non italico, vedi per tutti P.
CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 529 ss.
[73] Cfr.
Livio 27, 29,
5: Hi
nuntiare consuli iussi, ut, si ad comitia ipse venire Romam non
posset, dictatorem in agro Romano diceret comitiorum causa.
[74] F. SINI, A proposito del carattere religioso del `dictator' (note
metodologiche sui documenti sacerdotali), in Studia et documenta historiae et iuris 42, 1976, pp. 401 ss., in
part. 422 (= AA.VV.,Dittatura degli
antichi e dittatura dei moderni, a
cura di G. MELONI, Roma 1983,
pp. 111 ss., in part. 126 s.); alla cui impostazione aderisce, in parte, L. LABRUNA, "Adversus
plebem" dictator, in Index. Quaderni camerti di studi
romanistici 15, 1987, p. 295.
[75] Basterà
citare, a titolo esemplificativo, la dictio del dittatore M. Claudio Marcello (anno
[76]
Sui
cinque agrorum genera, vedi
Varrone, De ling. Lat. 5, 33:
Ut nostri augures publici disserunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus,
Gabinus, peregrinus, hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab Romo;
Gabinus ab oppido Gabis; peregrinus ager pacatus, qui extra Romanum et Gabinum,
quod uno modo in his servantur auspicia; dictus peregrinus a pergendo, id est a progrediendo: eo enim ex agro
Romano primum progrediebantur. Quocirca Gabinus quoque peregrinus, sed
quod auspicia habet singularia, ab reliquo
discretus; hosticus dictus ab hostibus; incertus is, qui de his quattuor
qui sit ignoratur.
Oltre che per la dictio dictatoris, l’ager Romanus era il luogo richiesto per una serie di atti solenni, quali ad esempio gli auspicia della partenza, la loro repetitio e le inaugurationes; inoltre non poteva esservi templum inauguratum al di fuori di esso. Sul concetto di ager Romanus e sulla sua connessione col diritto divino, si veda P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, I, Torino 1960, pp. 269 ss., 388; Linee del sistema sovrannazionale romano, I, cit., pp. 273 ss.; Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 492 ss., 499 ss.
[77] G.
MONACO, La Sicilia di Virgilio, in
AA.VV., Itinerari virgiliani, cit., p. 170:
«Inseguiti dall'urlo di Polifemo per cui trema il mare, è scossa l'Italia e muggisce l'Etna con le sue
caverne (III, 672 sgg., dove si tiene ancora presente che la terra calabra non è distante
da quella dei Ciclopi) i Troiani insieme con Achemenide lasciano in gran fretta
quella parte della Sicilia...».
[78] Cfr. Aen. 1, 272-282: Hic iam ter centum totos regnabitur
annos / gente sub Hectorea, donec regina sacerdos / Marte gravis geminam partu
dabit Ilia prolem. / Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus / Romulus
excipiet gentem et Mavortia condet / moenia
Romanosque suo de nomine dicet. / His ego nec metas rerum nec tempora pono, / imperium sine fine dedi. Quin aspera
Iuno / quae mare nunc terrasque metu caelumque fatigat, / consilia in
melius referet mecumque fovebit / Romanos rerum dominos gentemque togatam.
Per quanto riguarda invece gli aspetti ideologici della figura e del culto di Iuppiter nel periodo tardo repubblicano e nell'età augustea, si vedano: C. KOCH, Der römische Iuppiter, Frankfurt am Main 1937 (rist. an. Darmstadt 1968); J. R. FEARS, The Cult of Jupiter and Roman Imperial Ideology, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 17, 1, Berlin - New York 1981, pp. 3 ss. Sugli epiteti optimus e maximus attribuiti alla più importante divinità romana e sul loro significato giuridico vedi, da ultimo, G. RADKE, Iuppiter Optimus Maximus: dieu libre de toute servitude, in Revue historique de droit français et étranger 64, 1986, pp. 1 ss.
[80] M. RUCH, Le
destin dans l'Énéide: essence et réalité, in AA.VV., Vergiliana (Recherches sur Virgile publiées par H.
Bardon et R. Verdière), Leiden 1971, p. 314: «C'est à ce
privilège du dieu souverain que Virgile fait le plus souvent allusion et, chose
remarquable, c'est le seul cas où il lui arrive d'employer le singulier fatum.
Certe distinction explique
pourquoi les fata deum sont partiaux et restent subordonnés aux fata individuels, ceux de Jupiter. Or la volonté
personnelle du dieu suprême s'identifie avec la loi impersonnelle
qui n'est connue que de lui». Per l'analisi approfondita dei fata
Iovis, vedi soprattutto W. PÖTSCHER, Vergil
und die göttlichen Mächte. Aspekte
seiner Weltanschauung, Hildesheim-New York 1977, pp. 66 ss.
[82] Sul rapporto tra imperium
sine fine e l'eternità di Roma, vedi da ultimo R. TURCAN, v. Aeternitas, in
Enciclopedia Virgiliana,
I, cit., pp. 43 s.; più in generale su Roma Eterna si vedano,
fra gli altri: C. KOCK, Religio. Studien zu Kult und Glauben der Römer, Nürnberg 1960, pp. 142 ss.; F. PASCHOUD, Roma Aeterna. Études
sur le patriotisme romain dans l'Occident latin à
l'époque des grandes invasions, Neuchâtel 1967 (su cui vedi S. Di
SALVO, Il mito di
"Roma Aeterna", in
Labeo 16, 1970, pp. 95 ss.); M.
FUHRMANN, Die Romidee der
Spätantike, in
Historische Zeitscbrift 207,
1968, pp. 529 ss.; P. SINISCALCO, L'idea
dell'eternità e della fine di Roma negli autori cristiani primitivi, in Studi romani 25, 1977, pp. 1 ss.; ID., Roma e le concezioni cristiane del tempo e della storia nei
primi secoli della nostra era, in
AA.VV., Roma, Costantinopoli, Mosca, "Da
Roma alla Terza Roma", Studi, I, Napoli 1983, pp. 31 ss.; M.
Campolunghi, ‘Urbs
Aeterna’. Una ricerca su testi giuridici, in AA.VV., Popoli e spazio romano tra diritto e
profezia, “Da Roma alla Terza Roma”, Studi, III, Napoli 1986,
pp. 163 ss.
[83] Servio, Ad
Aen. 1, 278.
[84] C. KOCH, Religio, cit., p. 144 (il saggio dello studioso tedesco è
stato ripubblicato in Principat und
Freiheit, hrsg. von R.
KLEIN, Wege der Forschung 135,
Darmstadt 1969, pp. 23 ss., in part. p. 26): «Wir meinen die Worte aus dem Munde Juppiters, die Roms
Schicksal enthüllen und auf die Gründung der Stadt und die Benennung des
Volkes díe Verheissung folgen lassen: hic ego nec metas rerum nec tempora
pono, imperium sine fine dedi (1, 278
f.). Virgil ist nicht der erste Augusteer, der von Roms Weltherrschaft und
Ewigkeit gesprochen hat, aber niemand hat es umfassender, autoritativer,
hochgestimmter formuliert als er».
[86] F. FABBRINi,
L'impero di Augusto, cit.,
p. 348; e ancora ibid. n. 30:
«L'imperium sine fine della
profezia di Giove (Verg., Aen. 1, 278) corrisponde in modo sorprendente al "regnum
quod in aeternum non dissipabitur... et
ipsum stabit in aeternum" della profezia danielina».
[88] J. R. FEARS, The Cult
of Jupiter and Roman Imperial Ideology, cit. supra in
n. 78, p. 41: «The discovery of a head with the features intact was a
clear sign of the grandeur of Rome's empire and of the role of the Capitoline as the ímperial citadel of
the capitai city of the world. The teme received its most magisterial statemene in
Jupiter's speech to Venus in the "Aeneid": His ego nec metas rerum nec tempora pono, / imperium sine
fine dedi».
[89] K. D. BRACHER, Verfall und Fortschritt im Denken
der frühen römischen Kaiserzeit, Wien-Köln-Graz 1987.
[90] J.-L. POMATHIOS, Le pouvoir politique et sa
représentation dans l’Énéide de Virgile, cit. supra in n. 66.
[91] K. D. BRACHER, Verfall und
Fortschritt, cit., pp. 333 ss.; anche se a proposito dei versi in questione scrive (p.
335): «Es ist eine Überzeugung von religiöser Kraft, die in Vergils Worten über
zeitliche und räumliche
Unendlichkeít römischen Herrschaft Ausdruck gewinnt (Aen. 1, 278 f.)».
[94] In questo senso interpretava il testo virgiliano già R. SYME, La rivoluzione romana, cit., p. 443 («impero senza fine nel tempo e nello spazio»); cfr. K. BÜCHNER, Virgilio, cít., p. 421 («sotto di loro [i Romani] si avrà un dominio senza fine e senza limiti»).
[97] R.
TURCAN, Rome éternelle et les conceptions
gréco-romaines de l'éternité, in AA.VV., Roma, Costantinopoli, Mosca, cit., pp. 7 ss.
[98] R.
TURCAN, Rome éternelle, cit., p. 16; cfr. ID., Terminus et l'universalité
hétèrogène: idées romaines et chrétiennes, in AA.VV., Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, cit., p. 53.
[99] C. NICOLET, L'inventario del mondo. Geografia e
politica alle origini
dell'impero romano, trad.
it., Roma-Bari 1988, pp. 19 s.: «La celebre profezia del primo libro dell'Eneide pronunziata
da Giove promette a Roma un impero senza fine, nel senso spaziale e
temporale». Cfr. anche M. PAVAN, v. Roma (Storia), in
Enciclopedia Virgiliana, IV,
cit., p. 530: «l'impero che Giove preannunzia a Venere, sarà un
impero “senza fine”, impero senza limiti, di spazio e di
tempo».
[100] J. C. MANN, The Frontiers of the Principate, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 1, Berlin-New York 1974,
pp. 508 ss.
[101] A. MASTINO, 'Orbis', `kosmos', `oikoumene': aspetti spaziali dell'idea
dell'impero universale da Augusto a Teodosio,
in AA.VV., Popoli e
spazio romano tra diritto e profezia, cit., pp. 63 ss.
[102] A. MASTINO, 'Orbis', `kosmos', 'oikoumene', cit., p. 71; cfr. J. C. MANN, The Frontiers of the
Principate, cit., p. 510;
nello stesso senso, da ultimo, A. LUISI, Significato politico di
“confine” in Orazio e in Virgilio,
in Invigilata
Lucernis 9, 1987, p. 103:
«In definitiva per i poeti esisteva un impero senza confini».