Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-7

 

Francesco Sini

 

Bellum Nefandum. Virgilio e il problema

del “diritto internazionale antico”

 

Sassari, Libreria Dessì Editrice, 1991

 

pp. 304

 

 

 

Digesta Iustiniani 1, 8, 6, 5

(Marcian. l. III inst.) ... sicut

testis in ea re est Vergilius.

 

 

 

Capitolo Primo

 

Finis, Fines

 

Sommario: 1. Rilevanza delle occorrenze di finis con valore locale. – 2. Originario carattere materiale del finis. – 3. Impieghi virgiliani in relazione allo spazio. – 4. Fines Latini. Delimitazioni del Latium in Virgilio. – 5. Fines Itali. La terra Italia. – 6. Imperium sine fine. Spazio e tempo.

 

 

[p. 47]

1. – Rilevanza delle occorrenze di finis con valore locale

 

Sarà bene chiarire, anzi tutto, che questo capitolo non vuole essere uno studio lessicale sugli impieghi virgiliani della parola finis[1]. Si esamineranno, invece, con particolare attenzione quelle occorrenze virgiliane in cui finis assume specificamente significati riferibili a distinzioni e definizioni dello spazio. Nell'uso del termine "definizione" si fa riferimento al significato originario di definire - definitio (= "determinare")[2], quale risulta attestato anche dal lessico giuridico romano[3]:

 

[p. 48]

Pomponio, Libr. sing. enchir.: 'Urbs' ab urbo appellata est: urbare est aratro definire. Et Varus ait urbum appellari curvaturam aratri, quod in urbe condenda adhiberi solet[4].

 

Ulpiano, Libr. LXIX ad edict.: Sed fundus quidem suos habet fines, locus vero latere potest, quatenus determinetur et definiatur[5].

 

Precise ragioni giustificano questa scelta. In primo luogo un dato di mera quantità, pur tuttavia significativo: su un totale di 48 citazioni[6] il termine viene utilizzato dal poeta 28 volte con valore locale. Ma il solo fatto che tali occorrenze si presentino più numerose nel contesto delle opere virgiliane non potrebbe, com'è ovvio, costituire motivo determinante per una scelta; se ad esso non si accompagnasse la constatazione che gli impieghi con valore locale, a differenza di quelli più generici con valore temporale, offrono preziosi reperti alla riflessione del giurista: si tratta di rilevanti spunti ricostruttivi per chi voglia indagare, attraverso le nozioni virgiliane, intorno alla concezione giuridica romana relativa allo spazio.

 

 

2. – Originario carattere materiale del finis

 

Risulta invero assai difficile precisare ciò che il termine designasse in origine. Per quanto riguarda l'etimologia i linguisti

[p. 49]

hanno cercato, di volta in volta, di collegare finis con figo[7], con findo[8], o con funis come già proponeva Isidoro di Siviglia:

 

Fines dicti eo quod agri funiculis sint divisi[9].

 

Nella dottrina più recente non si nutrono ormai dubbi sull'originario carattere materiale del finis[10]. Pare quindi azzardata l'opinione di chi sostiene che finis «non è un concetto

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materiale, bensì matematico, al pari della linea e del punto»[11].

Sovente erano, infatti, degli alberi a costituire i fines, come spiega Varrone dopo aver trascritto i concepta verba della formula riferita all'auguraculum capitolino:

 

In terris dictum templum locus augurii aut auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus. Concipitur verbis non isdem usque quaque, in aree sic: [i]tem(pla) tescaque † me ita sunto quoad ego † eas te lingua[m] nuncupavero. Ullaber arbos quirquir est, quam me sentio dixisse, templum tescumque[m] festo in sinistrum. Ollaner arbos quirquir est, quod me sentio dixisse, te(m)plum tescumque[m] festo dextrum. Inter ea conregione conspicione cortumione utique ea erettissime sensi. In hoc tempio faciundo arbores constitui fines apparet et intra eas regiones qua oculi conspiciant[12].

 

Mette conto sottolineare come l'importante formula varroniana sulla cui autenticità v'è un generale accordo fra gli studiosi[13] (sebbene permangano in dottrina differenziazioni

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sul grado di attendibilità tra chi afferma cautamente che «die Herkunft der Formel aus der Primärquelle ist unberstreitbar»[14] e chi sostiene in maniera più esplicita che «il Reatino riporta letteralmente i concepta verba per la delimitazione del templum così come erano scritti nei commentarii augurales»[15]), induca a considerazioni più generali, che qui possono

[p. 52]

essere appena accennate, sul valore dei fines nella disciplina augurale, e quindi nell'esercizio degli auspicia magistratuali[16].

Oppure si trattava di una striscia di terreno quale il finis quinque pedum tra due praedia rustica, oggetto dell'actio finium regundorum:

 

Finium regundorum actio dicta eo, quod per eam regantur fines utrique, ne dissipentur, dummodo non angustiore quinque pedum loco ea controversia sit[17];

 

la cui struttura originaria rimane incerta, per quanto si sappia che l'azione era già prevista dalle XII Tavole[18].

[p. 53]

Forse proprio questo carattere primitivo, così materialmente connotato, giustifica lo stretto rapporto del finis con il terminus e con il culto del dio Termine[19] attestato da Varrone e Paolo Diacono:

 

Hinc fines agrorum termini, quod eae partis propter limitare iter maxime teruntur[20];

 

Termino sacra faciebant, quod in eius tutela fines agrorum esse putabant. Denique Numa Pompilius statuit, eum, qui terminum exarasset, et ipsum et boves sacros esse[21].

 

 

[p. 54]

3. – Impieghi virgiliani in relazione allo spazio

 

Di particolare interesse si presenta l'associazione di finis a urbs e litora in Aen. 7, 148-150:

 

Postera cum prima lustrabat lampade terras

orta dies, urbem et finis et litora gentis

diversi explorant... [22],

 

che viene utilizzata da Virgilio per indicare, con valore giuridicamente pregnante, lo spazio terrestre occupato, in quel caso, dal popolo latino. Tale associazione suggerisce, inoltre, un significativo confronto con il passo liviano che ci tramanda l'antica formula solenne, tratta a parere di autorevoli studiosi dagli stessi documenti dei sacerdoti Fetiales[23], attribuita alla deditio della città di Collazia:

 

[p. 55]

Deditosque Collatinos íta accipio eamque deditionis formulam esse; rex interrogavit: Estísne vos legati oratoresque missi a populo Collatino ut vos populumque Collatinum dederetis? Sumus. Estne populus Collatinos in sua potestate? Est. Deditisne vos populumque Collatinum, urbem, agros, aquam, terminos, delubra, utensilia, divina humanaque omnia in meam populique Romani dicionem? Dedimus. At ego recipio[24].

 

[p. 56]

Di Collazia abbiamo peraltro menzione anche in Virgilio[25], il quale la enumera tra le città fondate dai re albani; della qual cosa dubita però Servio[26]: nel suo commento ne attribuisce, infatti, la fondazione a Tarquinio il Superbo, pur non escludendo una precedente fondazione. La città comunque già nella prima età repubblicana aveva perduto qualsiasi importanza[27], per poi scomparire senza neppure lasciare traccia[28].

[p. 57]

In altri passi dell'Eneide è invece un intero spazio terrestre ad essere indicato col solo termine finis. Questo vale per alcuni riferimenti a fines di città, di regioni e di popoli:

 

Seu vos Hesperiam magnam Saturniaque arva

sive Erycis finis regemque optatis Acesten,

auxilio tutos dimittam opibusque iuvabo[29].

 

Venerar antiquis Corythi de finibus Acron,

Graius homo, infectos linquens profugus hymenaeos[30].

 

[p. 58]

Nam nemini Hesionae visentem regna sororis

Laomedontiaden Priamum, Salamina petentem,

protinus Arcadiae gelidos invisere finis[31].

 

Punica regna vides, Tyrios et Agenoris urbem;

sed fines Libyci, genus intractabile bello[32].

 

Est anticus ager Tusco mihi proximus amni,

longus in occasum, finis super usque Sicanos[33].

 

A proposito degli ultimi due passi citati, tralasciando il problema dell'esatta ubicazione dell'ager di Latino, che già i commentatori antichi variamente dibattevano[34], (né la dottrina attuale sembra aver trovato soluzioni più certe[35]), mette

[p. 59]

conto notare che la concezione virgiliana si presenta del tutto conforme ai principi giuridici fondamentali del sistema romano, in cui è stato dimostrato «come la nozione giuridico-religiosa di fines si applichi fin da antico anche agli altri populi»[36]. Giova ricordare, al riguardo, la formula della rerum repetitio[37], che i feziali pronunciavano ai confini del territorio nemico, il cui testo contiene la significativa associazione dei fines a Iuppiter[38] oltre che al fas. Una ulteriore considerazione può essere fatta sui versi 1, 338-339: la sequenza Punica regna vides, Tyrios et Agenoris urbem; / sed fines Libyci, a parte il possibile senso metonimico di fines Libyci[39], sembra infatti richiamare la realtà dei fines populi Romani[40], all'interno dei quali coesistevano

[p. 60]

spazi qualitativamente differenziati dal punto di vista giuridico[41].

Anche le espressioni fines patriae o patrii hanno in Virgilio precisa connotazione giuridica:

 

nos patriae finis et dulcia linquimus area[42];

 

En unquam patrios longo post tempore finis,

pauperis et tuguri congestum caespite culmen,

post aliquot mea regna videns mirabor aristas?[43];

 

espressioni non usate, peraltro, in riferimento alla totalità dello spazio romano, ma alla "piccola patria"[44]: la città o il

[p. 61]

territorio natali del personaggio, secondo una terminologia attestata anche dal giurista Q. Cervidio Scevola nei Digesta di Giustiniano[45].

 

 

4. – Fines Latini. Delimitazione del Latium in Virgilio

 

Implicazioni giuridiche e religiose indiscutibili presenta l'impiego di finis in riferimento al Lazio e all'Italia. Riguarda il Lazio l'espressione fines Latini, utilizzata da Virgilio nell'ottavo e nell'undicesimo libro dell'Eneide:

 

Silvano fama est veteres sacrasse Pelasgos,

arvorum pecorisque deo, lucumque diemque,

qui primi finis aliquando habuere Latinos[46].

 

[p. 62]

Verum age, quandoquidem fatis urguetur acerbis,

labere, nympha, polo finisque invise Latinos,

tristis ubi infausto committitur omine pugna[47].

 

Nei versi appena citati si percepisce, infatti, la padronanza da parte del poeta della nozione giuridico-religiosa di Latium[48]. Per la definizione della realtà territoriale di questo arcaico Lazio dell'Eneide[49], Virgilio sembra riferirsi al Latium

[p. 63]

antiquum (di cui abbiamo una dettagliata descrizione in Plinio)[50], espressamente richiamato nel settimo libro dell'Eneide:

 

[p. 64]

Nunc age, qui reges, Erato, quae tempora rerum,

quis Latio antiquo fuerit status, advena classem

cum primum Ausoniis exercitus appulit oris,

expediam et primae revocabo exordia pugnae[51];

 

dove, peraltro, questo Latium antiquum si prospetta delimitato con estrema precisione geografica:

 

Postera cum prima lustrabat lampade terras

orca dies, urbem et finis et litora gentis

diversi explorant: haec fontis stagna Numici,

hunc Thybrim fluvium, hic fortis habitare Latinos[52].

 

Nell'ultimo passo appare singolare, invero, la delimitazione del Lazio tra Tevere e Numico: menzionando solo altre due volte in tutta l'Eneide[53] il corso d'acqua lavinate, Virgilio mostra di discostarsi dalla tradizione più antica su Enea, che

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notoriamente attribuiva al Numico un ruolo assai più importante[54].

 

 

5. – Fines Itali. La terra Italia

 

All'Italia si riferisce invece l'espressione fines Itali, presente nel terzo, quinto e settimo libro del grande poema virgiliano:

 

Iunoni cane vota libens dominamque potentem

supplicibus supera donis; sic denique victor

Trinacria finis Italos mittere relicta[55].

 

Non liquit finis Italos fataliaque area

nec tecum Ausonium, quicumque est, quaerere Thybrim[56].

 

[p. 66]

Hunc mihi da proprium, virgo sata Nocte, laborem,

hanc operam, ne noster honos infractave cedat

fama loco neu conubiis ambire Latinum

Aeneadae possint Italosve obsidere finis[57].

 

Non senza ragione è stata, anche di recente, sottolineata «l'importanza che assume la storia della nozione ‘Italia’ in età augustea»[58]; in quest'età si compie, infatti, in maniera definitiva quel processo di progressiva unificazione politica e giuridica della penisola italiana, ormai identificata nella sua totalità con la terra Italia[59]. Certamente a tutta la penisola si riferiscono le laudes Italiae del secondo libro delle Georgiche[60], in perfetta adesione alla nuova realtà giuridica e sociale della politica di Augusto[61].

[p. 67]

Più complessa appare invece la terminologia dell'Eneide: va rilevato, al riguardo, come nella parte più propriamente italiana del grande poema, il quadro dell'azione sia quasi del tutto concentrato nel versante tirrenico della penisola[62], in singolare corrispondenza con una più antica «intuizione della terra Italia come "strutturata" dall'Appennino»[63], a cui Celti e Greci risultavano estranei[64].

[p. 68]

Forse proprio ad una simile "intuizione" della terra Italia rimanda il contesto di  Aen. 7, 467-469:

 

[p. 69]

Ergo iter ad regem polluta pace Latinum

indicit primis iuvenum et iubet arma parari,

tutari Italiam, detrudere finibus hostem[65];

 

in cui Turno, ordinando ai suoi di approntare le armi per tutari Italiam e detrudere finibus hostem, sembra richiamarsi ad un concetto unitario d'Italia, che, pur comprendendo e superando i fines dei singoli popoli, resta tuttavia ancorato alla realtà territoriale dei Rutuli e dei loro alleati[66].

In senso più ampio sono da intendere, in altri luoghi del poema, il riferimento alla Itala terra alma[67], l’invocazione

[p. 70]

Italiam patriam[68], e infine, l'espressione tellus Italiae[69].

A proposito dell'espressione tellus Italiae non appare del tutto congruo il commento del Paratore: «Italiae: nota la singolarità dell'uso di questo nome per le coste sicule»[70]. L'illustre studioso sembra qui dimenticare che precise norme dello ius augurium escludevano la Sicilia dalla terra Italia:

 

Illa disceptatio tenebat, quod consul in Sicilia se M. Valerium Messallam, qui tum classi praeesset, dictatorem dicturum esse aiebat, patres extra Romanum agrum – eum autem in Italia terminari – negabant dictatorem dici posse[71].

 

[p. 71]

Del testo liviano interessa la parte che riguarda la norma, ribadita in quell’occasione dai patres (anno 210 a. C.), che vietava di procedere alla nomina del dittatore extra Romanum agrum; da ciò il conseguente divieto al console M. Valerio Levino di compiere la dictio dictatoris in Sicilia, in quanto terra non italica e quindi non suscettibile di essere trasformata in ager Romanus[72]. Lo storico patavino non riporta una formula solenne, né menziona la sua fonte, tuttavia è certo che l'ostilità del Senato si fondava su una regola augurale costantemente rispettata[73]. Come ho avuto modo di dimostrare in un precedente lavoro[74], non mi pare si possano nutrire dubbi sul fatto che tale regola appartenesse alla disciplina augurale; ciò per due ordini di considerazioni: anzi tutto perché la dictio del dittatore, in quanto compiuta auspicato era soggetta alla generale azione di controllo sulla validità degli auspicia esercitata dagli auguri[75]; in secondo luogo perché appare fondamentale il

[p. 72]

riferimento all’ager Romanus, primo dei genera agrorum utilizzati dagli auguri per la definizione esaustiva degli spazi terrestri[76].

Più correttamente, dunque, l'espressione tellus Italiae è riferita invece da G. Monaco[77] alla terra calabra.

 

 

[p. 73]

6. – Imperium sine fine. Spazio e tempo

 

Restano infine da esaminare i famosissimi versi Aen. 1, 278-279, che costituiscono il nucleo centrale della solenne promessa di Iuppiter[78] sul futuro potere dei Romani:

 

His ego nec metas rerum nec tempora pono,

imperium sine fine dedi.

 

La forte carica ideologica e la precisa connotazione religiosa del passo non sono sfuggiti a P. Boyancé[79]: «Il est certain par contre – scrive lo studioso francese – que le destin de I'Énéide est tout entier concentré sur Troie et sur Rome, sur la mort de

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l'une comme condition de la naissance de l'autre. Imperium sine fine dedi (ch. I, v. 279), c'est sur l'annonce de l'Empire dans la bouche du dieu supréme que repose pour ainsi dire toute l'oeuvre». Ciò risulterà ancora più evidente se si accede alla tesi di M. Ruch, il quale ha dimostrato l'esistenza nell'Eneide di una gerarachia di fata alla cui sommità si colloca il fatum Iovis[80].

Quanto all'interpretazione della parola finis nel contesto del passo virgiliano e al significato da attribuire all'espressione sine fine, prevale nella dottrina una lettura del verso 279, orientata in senso decisamente temporale: aderisce a questa impostazione anche l'estensore della v. imperium dell'Enciclopedia Virgiliana: «È invece più difficile – scrive V. Ilari – sostenere, dato il contesto, che l'imperium sine fine accordato da Giove ai Romani (I 279) debba intendersi come infinitum nello spazio»[81].

Del resto già i commentatori antichi stabilivano un nesso ben preciso tra l'imperium sine fine e l’eternità di Roma[82]:

 

[p. 75]

Nec metas rerum nec tempora pono ‘metas’ ad terras rettulit, ‘tempora’ ad annosa Lavinio enim et Albae finem statuit, Romanis tribuit aeternitatem, quia subiunxit ‘imperum sine fine dedi’[83].

 

Lo stesso orientamento si registra nella maggior parte della dottrina contemporanea, di cui basterà ora ricordare soltanto alcuni esponenti.

In un saggio intitolato Roma Aeterna, Carl Koch sostiene che, sebbene Virgilio non sia stato il primo dei letterati dell'età di Augusto ad esaltare il dominio mondiale dei Romani, «niemand hat es umfassender, autoritativer, hochgestimmter formuliert als er»[84].

[p. 76]

F. Fabbrini, nel suo L'impero di Augusto come ordinamento sovrannazionale, dedica un paragrafo a «La tematica di Roma aeterna. L'imperium sine fine»[85]. Non può sfuggire come già il titolo del paragrafo sottenda una interpretazione in senso temporale del verso 1, 279: «Unico fra gli imperi del mondo – conclude il Fabbrini – (tutti perituri, come nella profezia danielina già penetrata anche in Roma) ad essere sine fine, l'impero di Roma ha avuto dagli Dei garanzie sufficienti per non essere intaccato dalla vecchiaia e dalla corruzione»[86].

Anche secondo E. Paratore[87] il testo virgiliano costituisce una «caratteristica formulazione del dogma augusteo dell'eternità del dominio di Roma». Mentre J. R. Fears[88] considera i due versi in questione genericamente legati al mito della «grandezza dell'impero di Roma».

All'interpretazione del verso in senso temporale aderiscono, infine, K. D. Bracher[89] e J.-L. Pomathios[90]. Lo

[p. 77]

studioso tedesco, autore di un recente lavoro sulle idee di decadenza e progresso nella prima età imperiale, sottolinea maggiormente la valenza temporale del passo virgiliano, trattandone nel contesto di un paragrafo intitolato «Romidee und Ewigkeit»[91]. Poco più di una breve notazione quella del Pomathios: in tema di «Rome et les Romains» nel poema virgiliano[92], dopo aver posto l'accento sul fatto che «les entreprises trovent leurs limites dans la volonté de forces supérieures», scrive quanto segue: «même si, dans le temps, Jupiter a dit leur acorder un “pouvoir sans fin” (I 279)»[93].

Tuttavia, ad un esame più attento, l'espressione imperium sine fine non sembra avere univoco senso temporale[94]. G. Piccaluga nel suo studio sul Terminus[95] sostiene con argomenti assai convincenti che sine fine, riferendosi a metas oltre che a tempora, significa "senza limiti" anche riguardo allo spazio[96]. La medesima interpretazione del passo è proposta da R. Turcan nella relazione sul tema Roma eterna e le concezioni greco-romane dell'eternità, presentata nel corso del I Seminario

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Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, tenutosi in Campidoglio dal 21 al 23 aprile 1981[97]; in quell’occasione l'illustre studioso francese ha evidenziato, con la consueta acutezza, come nel sine fine di Aen. 1, 279 coesistano in reciproca connessione i valori spazio/tempo: di modo che «l'infinité spatiale est connexe à l'infinité temporelle»[98]. Nello stesso senso, spaziale e temporale, interpreta i versi C. Nicolet nel suo “inventario del mondo”, pubblicato di recente in traduzione italiana[99].

Più decisamente rivolta allo spazio è, invece, la lettura proposta da J. C. Mann[100] e A. Mastino[101], peri quali i due versi attestano la propensione augustea a superare tutti i limiti dello spazio: «l'impero romano era ormai almeno teoricamente un imperium sine fine, che non aveva frontiere»[102].

[p. 79]

Una tale accezione della parola non sarebbe del resto infrequente per Virgilio, poiché in vari altri luoghi il poeta impiega il singolare finis, nell'accezione di "limite", con valore spaziale[103].

 

 



 

[1] Per quest'aspetto mi pare si possa fare riferimento utilmente a I. GUALANDRI, v. Finis, in Enciclopedia Virgiliana, II, Roma 1985, p. 527.

 

[2] Cfr. R. LEONHARD, v. Finis, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 6, 2, Stuttgart 1909, col. 2325; I. BAUER, v. Finis, in Thesaurus Linguae Latinae, VI, 1 (1927), col. 788; A. WALDE - J. B. HOFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, 3a ed., I, Heidelberg 1938, p. 503; A. ERNOUT - A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, 4a ed., Paris 1967, pp. 236 s.

 

[3] Vocabularium Iurisprudentiae Romanae, II, 1, col. 133. Per una discussione più ampia sui diversi significati di definire e definitio nelle opere della giurisprudenza e nelle altre fonti giuridiche romane, vedi anche A. CARCATERRA, Le definizioni dei giuristi romani. Metodo, mezzi e fini, Napoli 1966, pp. 39 ss.; R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, Milano 1966, pp. 61 ss.

 

[4] D. 50, 16, 239, 6.

 

[5] D. 50, 16, 60, 2.

 

[6] Cfr. H. MERGUET, Lexikon zu Vergilius, Leipzig 1912 (rist. an. Hildesheim - New York 1969), p. 249; D. FASCIANO, Virgile Concordace, I. Églogues, Géorgiques, énéide, Roma - Montréal 1982, p. 345.

 

[7] Vedi, in tal senso, ERNOUT-MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine, cit., p. 237.

 

[8] Così WALDE-HOFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, I, cit., p. 503.

 

[9] Orig. 15, 14, 1. Il titolo del brano è de finibus agrorum: non è dunque azzardato supporre che Isidoro abbia ricavato la notizia dalla tradizione degli agrimensori. Che in Orig. 15, 14 il vescovo di Siviglia conservi «les restes d'art gromatique» è sostenuto da J. FONTAINE, Isidore de Séville et la culture classique dans l'Espagne wisigothique, I, Paris 1959, p. 402 n. 3; e di recente da O. BEHRENDS, La mancipatio nelle XII Tavole, in Iura 33, 1982 (ma 1985), p. 88 e n. 87.

Il collegamento finis-funis già sostenuto appunto da Isidoro di Siviglia, ha trovato consensi fra i linguisti moderni: M. BRÉAL, Étymologies latines et grecque, in Mémoires de la Societé linguistique 15, 1909, p. 137; M. NIEDERMANN, Zur lateinischen und griechischen Wortgeschichte, in Glotta. Zeitschrift für griechische und lateinische Spache 19, 1931, pp. 5 ss.; V. BERTOLDI, Storia d'una tradizione mediterranea di lingua e cultura, in Museum Helveticum 5, 1948, pp. 69 ss.

 

[10] «Il est difficile de dire ce que finis désignait primitivement, mais le caractère matériel de finis n'est pas douteux»: così ERNOUT-MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine, cit., p. 236; cfr. anche I. BAUER, v. Finis, in Thesaurus Linguae Latinae, VI. 1, cit., col. 788; R. LEONHARD, v. Finis, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 6, 2, cit., col. 2325.

 

[11] A. SCHULTEN, v. Finis, in Dizionario epigrafico di antichità romane 3, Roma 1922, p. 89. Nello stesso senso P. CIPRIANO, Templum, Roma 1983, p. 54.

 

[12] De ling. Lat. 7, 8-9. Il testo è conforme alla lezione proposta dall'edizione teubneriana curata da G. GOETZ e F. SCHOELL, M. Terenti Varronis De lingua Latina quae supersunt, Lipsiae 1910; non rilevano agli effetti del nostro discorso le correzioni introdotte da E. NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, Lund-Leipzig 1939, p. 97.

 

[13] La formula augurale trascritta da Varrone è stata, peraltro, oggetto di numerosi studi: F. A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali ante Augusti mortem scriptorum reliquiae, I, Lipsiae 1875, pp. 30 ss.; C. O. THULIN, Italische sakrale Poesie und Prosa, Berlin 1906, pp. 66 s.; S. WEINSTOCK, Templum, in Mitteilungen des Deutschen Archälogischen Instituts (Röm. Abt.) 47, 1932, pp. 95 ss.; A. VON BLUMENTHAL, Templum, in Klio 27, 1934, pp. 1 ss.; G. GOIDANICH, Del templum augurale nell'Italia antica, in Historia 8, 1934, pp. 579 ss.; K. LATTE, Augur und templum in der varronischen Auguralformel, in Philologus 97, 1948, pp. 143 ss. (= ID., Kleine Schriften, München 1968, pp. 91 ss.); G. B. PIGHI, La poesia religiosa romana, Bologna 1958, p. 86; A. CENDERELLI, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica nelle opere di M. Terenzio Varrone, Milano 1973, pp. 54, 101; P.-Y. CHANUT, Les "tesca" du Capitole, in Revue de Philologie 54, 1980, pp. 295 ss.; J. LINDERSKI, The Augural Law, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 16, 3, Berlin-New York 1986, pp. 2267 ss.

Più in generale sul tempio augurale, vedi P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 16, 1, Berlin-New York 1978, pp. 467 ss.; P. CIPRIANO, Templum, cit. in n. 11 (ma sul lavoro di questa studiosa, vedi le riserve di G. FREYBURGER, in Latomus 44, 1986, pp. 896 s.).

 

[14] E. NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, cit., p. 6.

 

[15] E. PERUZZI, La formula augurale di Varrone l. l. VII 8, in Atti del Congresso internazionale di studi varroniani, II, Rieti 1976, p. 456; dello studioso italiano mi pare, tuttavia, da non condividere l'affermazione che la formula fosse contenuta nei commentarii augurales. Come ho cercato di dimostrare nel mio Documenti sacerdotali di Roma antica, I. Libri e commentarii, Sassari 1983, pp. 175 ss., la definizione degli spazi, e quindi del templum, era invece materia contenuta nei libri augurum.

 

[16] Sui rapporti tra fines e diversi aspetti della disciplina augurale, vedi Varrone, De ling. Lat. 5, 143; 6, 53 (Hinc effata dicuntur, qui augures finem auspiciorum caelestum extra urbem agri<s> sunt effati ut essent; hinc effari templa dicuntur: ab auguribus effantur qui in his fines sunt); Livio 1, 18, 9 (uti tu signo nobis adclarassis inter eos fines quos feci); Gellio, Noct. Att. 13, 14, 1; Festo, p. 488 L. (tesca). Cfr. anche I. BAUER, v. Finis, in Thesaurus Linguae Latinae, cit., col. 790; E. NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, cit., pp. 31 ss.

 

[17] Isidoro, Orig. 5, 25, 11.

 

[18] XII Tab. VII, 2-6 (= Fontes Iuris Romani Antejustiniani, pars prima, ed. S. RICCOBONO, Florentiae 1941, pp. 48-49). Sull'actio finium regundorum nell'età decemvirale vedi, da ultimo, O. BEHRENDS, La mancipatio nelle XII Tavole, cit., pp. 92 ss. Conosciamo invece con maggiore certezza la struttura dell'actio in età classica e postclassica: Gaio in D. 10, 1, 13; Paolo in D. 10, 1, 1 e in D. 10, 1, 4; Ulpiano in D. 10, 1, 2; Codex Th. 2, 26, 5; Inst. Iust. 4, 17, 6. Per un rapido sguardo d'insieme, vedi, fra gli altri: G. HUMBERT, v. Finium regundorum actio, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 2, 2, Paris 1896, pp. 1140 ss.; R. LEONARD, v. Finis, cit., coll. 2385 SS.; M. SARGENTI, v. Controversiae agrorum, in Novissimo Digesto Italiano, IV, Torino 1959, pp. 737 ss.; M. TALAMANCA, v. Confini (Regolamento di), in Enciclopedia del diritto, VII, Milano 1961, pp. 954 ss.; G. CIULEI, Finium regundorum, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte 81, 1964, pp. 303 ss.; G. BROGGINI, v. Regolamento di confini. Diritto romano, in Novissimo Digesto Italiano, XV, Torino 1968, pp. 247 ss.

 

[19] Sul primo aspetto si vedano le penetranti intuizioni di J. RYKWERT, L'idea di città. Antropologia della forma urbana del mondo antico, trad. it. a c. di G. Scottone, Torino 1981, pp. 130 ss. Sul culto del dio Termine vedi, per tutti, G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, 2a ed., München 1912, pp. 136 s.; G. Dumézil, La religion romaine arcbaique, 2a ed., Paris 1974, pp. 210 ss. (= trad. it. a c. di F. Jesi, La religione romana arcaica, Milano 1977, pp. 185 ss.); G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma 1974, pp. 99 ss.

 

[20] Varrone, De ling. Lat. 5, 21. Cfr. Isidoro, Orig. 15, 14, 3: Termini dicti quod terrae mensuras distinguunt atque declarant. His enim testimonia finium intelleguntur, et agrorum intentio et certamen aufertur.

 

[21] Paolo, Fest. epit., p. 505 L. Secondo la tradizione antica, sarebbe stato il re Numa Pompilio a introdurre il culto del dio Termine (ma Livio 1, 21, 4, menziona solo il culto di Fides) e ad edificare in Roma il primo tempio a lui dedicato: Plutarco, Num. 16, 1-2: Πρῶτον δέ φασι καὶ Πίστεως καὶ Τέρμονος ἱερὸν ἱδρύσασθαι. καὶ τὴν μὲν Πίστιν ὅρκον ἀποδεῖξαι Ῥωμαίοις μέγιστον, χρώμενοι μέχρι νῦν διατελοῦσιν· (2) δὲ Τέρμων ὅρος ἄν τις εἴη, καὶ θύουσιν αὐτῷ δημοσίᾳ καὶ ἰδίᾳ κατὰ τοὺς τῶν ἀγρῶν περιορισμούς, νῦν μὲν ἔμψυχα, τὸ παλαιὸν δὲ ἀναίμακτος ἦν θυσία, Νομᾶ φιλοσοφήσαντος ὡς χρὴ τὸν ὅριον θεὸν εἰρήνης φύλακα καὶ δικαιοσύνης μάρτυν ὄντα φόνου καθαρὸν εἶναι.

Sul tempio di Terminus e sulle feste celebrate in onore del dio, i Terminalia, vedi anche Dionigi d'Alicarnasso 2, 74, 2 ss.; Ovidio, Fast. 2, 639 ss.; da ultimo D. SABBATUCCI, La religione di Roma antica, dal calendario festivo all'ordine cosmico, Milano 1988, pp. 74 ss.

All'autenticità della lex Numae, norma posta a difesa della proprietà privata, sembra propenso a credere R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5, rist. Oxford 1970, p. 211; assai più decisa, appare la posizione di E. PERUZZI, Origini di Roma, II. Le lettere, Bologna 1973, p. 149 (a suo avviso, nel testo di Paolo Diacono: «Possiamo intravedere il testo di quella norma, nelle sue linee essenziali»), seguito nella sostanza da S. TONDO, Leges regiae e paricidas, Firenze 1973, p. 135 n. 122.

Sull'arcaica legge di Numa vedi, infine, G. MAC CORNACK, Terminus motus, in Revue internationale des droits de l'antiquité 26, 1979, pp. 239 ss.

 

[22] Per l'inquadramento geografico del passo nel Lazio virgiliano, cfr. F. DELLA CORTE, La mappa dell'Eneide, Firenze 1972, p. 246.

 

[23] È quanto sostenuto da G. B. PIGHI, La poesia religiosa romana, cit., pp. 46 s.; anche per F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, II, 2a ed., Napoli 1973, p. 55, la formula della deditio, come ci è riferita da Livio, può collegarsi agli archivi della sodalítà, poiché lo storico patavino con molta probabilità attingeva dai formulari dei feziali.

 

[24] Livio 1, 38, 1-2; cfr. Polibio 36, 4, 2; Livio 7, 31, 3-4 (Quando quidem inquit, nostra tueri adversus vim atque iniuriam iusta vi non vultis, vestra certe defendetis; itaque populum Campanum urbemque Capuani, agros, delubra deum, divina humanaque omnia in vestram, patres conscripti, populique Romani dicionem dedimus, quidquid deinde patiemur dediticii vestri passuri). G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., p. 428 (= trad. it., La religione romana arcaica, cit., pp. 371 s.), ritiene il testo liviano di buona qualità e abbastanza risalente; più cauta l'opinione di G. PUGLIESE, Appunti sulla 'deditio' dell'accusato di illeciti internazionali, in Rivista italiana per le scienze giuridiche 18, 3a serie, 1974, pp. 8 s., il quale sostiene che la formula è «tramandata certo dagli annalisti e quindi piuttosto antica (anche se, verosimilmente, non coeva agli avvenimenti narrati in quel punto dallo storico)»; per una discussione critica più recente, vedi D. NÖRR, Aspekte des römischen Völkerrecht. Die Bronzetafel von Alcántara, München 1989, pp. 16 ss. Sulla deditio la letteratura giuridica è vastissima: Th. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, 3a ed., III, 1, Leipzig 1887, pp. 55 ss. (= trad. franc. di P. F. Girard: Droit public romain, VI, 1, Paris 1889, pp. 61 ss.); E. TÄUBLER, Imperium Romanum. Studien zur Entwicklungsgeschichte des römischen Reiches, I, Leipzig 1913, pp. 14 ss.; A. HEUSS, Die völkerrechtlichen Grundlagen der römischen Aussenpolitik in republikanischer Zeit, Leipzig 1933, pp. 60 ss.; P. FREZZA, Le forme federative e la struttura dei rapporti internazionali nell'antico diritto romano, in Studia et documenta historiae et iuris 4, 1938, pp. 412 ss.; B. PARADISI, Deditio in fidem, in Studi Solmi, I, Milano 1940 (ma 1941), pp. 284 ss.; A. PIGANIOL, Venire in fidem, in Revue internationale des droits de l'antiquité 5, 1950 (= Mélanges Fernand De Visscher, IV), pp. 339 ss.; U. VON LÜBTOW, Das römische Volk. Sein Staat und sein Recht, Frankfurt a. M. 1955, pp. 643 s.; E. BADIAN, Foreign Clientelae (264-70 B. C.), Oxford 1958, pp. 4 ss.; V. BELLINI, Deditio in fidem, in Revue historique de droit français et étranger 42, 1964, pp. 448 ss.; S. CALDERONE, PISTIS - Fides. Ricerche di storia e diritto internazionale nell'antichità, Messina-Roma 1964, pp. 59 ss.; W. DAHLHEIM, Struktur und Entwicklung des römischen Völkerrecht in 3. und 2. Jahrhundert v. Chr., München 1968, pp. 5 ss.; K.-H. ZIEGLER, Das Völkerrecht der römischen Republik, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, I. 2, Berlin-New York 1972, pp. 94 ss.; F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, II, cit., pp. 54 ss.

 

[25] Aen. 6, 773-776: Hi tibi Nomentum et Gabios urbemque Fidenam, / hi Collatinas imponent montibus arces, / Pometios Castrumque Inui Bolamque Coramque: / haec tum nomina erunt, nunc sunt sine nomine terrae.

 

[26] Ad Aen. 6, 773: Hi tibi Nomentum hae civitates sunt priscorum Latinorum ab Albanis regibus constitutae: quamquam Collatiam Tarquinius constituisse dicatur, qui, ut erat superbus, eam ex collata pecunia constituit, unde et Collatia ditta est. Potest tamen fieri, ut ab Albanis fundata sit, aucta a Tarquinio.

 

[27] Cfr. Cicerone, De leg. agr. 2, 96.

 

[28] Collazia compare, infatti, nel lungo elenco dei populi del Lazio arcaico di cui scrive Plinio, Nat. hist. 3, 96: Ita ex antiquo Latio LIII populi interiere sine vestigiis. Per maggiori ragguagli cfr. CHR. HÜLSEN, v. Collatia, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 4, 1, Stuttgart 1900, col. 364; ma soprattutto L. QUILICI, Collatia, Forma Italiae I, 10, Roma 1974, in part. pp. 27 ss.; brevemente anche M. P. MUZZIOLI, v. Collatinae arces, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, pp. 840 s.

 

[29] Aen. 1, 569-571. Commento in E. PARATORE, Virgilio, Eneide, I (Libri 1-11), Milano 1978, pp. 214 s.; all'eroe eponimo sembra, invece, riferirsi il verso Aen. 5, 630: Hic Erycis fines fraterni atque hospes Acestes.

 

[30] Aen. 10, 719-720. Servio, Ad Aen. 10, 719 ('Corythi de finibus' Corythus est et civitas Tusciae, et mons, et rex, pater Dardani), rileva come il genitivo Corythi possa riferirsi con gli stessi buoni motivi alla città etrusca Cortona, al monte omonimo o al re, padre di Dardano. Per quanto riguarda la localizzazione della città di Corito, cfr., con diverse soluzioni, N. HORSFALL, Corythus: the Return of Aeneas in Vergil and his Sources, in Journal of Roman Studies 63, 1973, pp. 68 ss.; E. L. HARRISON, Virgil's location of Corithus, in Classical Quarterly 36, 1976, pp. 293 ss.; e da ultimo A. PALMUCCI, La virgiliana città di Corico, in Atti e Memorie dell'Accademia Virgiliana di Mantova 76, 1988, pp. 29 ss.

Sull'episodio di Acrone, vedi l'interpretazione di G. DUMÉZIL, Mariages indo-européens, suivi de quinze questions romaines, Paris 1979, pp. 226 s.: l'illustre studioso francese sostiene che Virgilio si sarebbe ispirato alla vicenda romulea di Acrone, re di Cenina (ucciso da Romolo, che dalle sue armi fece i primi spolia opima: Livio 1, 10, 4; Plutarco, Rom. 16, 1-3), e al ratto delle Sabine; ma contro E. PARATORE, Virgilio, Eneide, V (Libri IX-X), Milano 1982, p. 293.

 

[31] Aen. 8, 157-159.

 

[32] Aen. 1, 338-339. Riguardo alla strutturazione del v. 339, vedi E. PARATORE, Virgilio, Eneide, I, cit., p. 181: «Nota il passaggio dal sostantivo fines all'inattesa apposizione genus, quasi che la frase suonasse sed fines Libycae gentes incolunt, genus etc.».

 

[33] Aen. 11, 313-317.

 

[34] Servio, Ad Aen. 11, 316: 'Est antiquus ager mihi proximus amni' hoc loco Donatus erravit dicens, agrum quem Latinus donare disponit, esse in Campania iuxta Ufentem fluvium, quod etiam Clanarius ait, cuius terras vicinas Tusci aliquando tenuerunt, ut inde dictum sit 'Tusco mihi proximus amni'. Agit etiam hoc argumento, quod illic est locus qui hodieque pinetum vocatur. Sed constat omnia illo loca esse campestria, nec procedit quod dicitur `celsi plaga pinea montis'. Unde sequenda est potius Livii, Sisennae et Catonis auctoritas: nam paene omnes antiquae historiae scriptores in hoc consentiunt. Cato enim in originibus dicit Troianos a Latino accepisse agrum, qui est inter Laurentum et castra Troiana.

 

[35] F. DELLA CORTE, La mappa dell'Eneide, cit., p. 191 ss., ritiene di poter identificare il sito dell'ager nelle vicinanze del Tevere, in una località tra Roma e Ostia; al contrario E. PARATORE, Virgilio, Eneide, VI (Libri XI-XII), Milano 1983, pp. 163, pensa che il Tuscus amnis non sia il Tevere, in quanto una tradizione antica di ottima provenienza (Catone) collocava l'ager di Latino tra la città di Laurento e i castra troiana: quindi vicino all'attuale sito di Lavinio.

 

[36] P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 549 s.

 

[37] Livio 1, 32, 6.

 

[38] Il passo liviano, del resto, non è l'unico testo in cui i fines si trovano associati a Iuppiter: altri esempi in C.I.L. XIII, 7713. 7732; cfr. A. SCHULTEN, v. Finis, in Dizionario epigrafico, cit., p. 92; I. BAUER, v. Finis, in Thesaurus Linguae Latinae, cit., col. 788; G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella religione romana, cit. p. 138.

 

[39] «Metonymice de hominibus fines incolentibus»: così, a proposito di Aen. 1, 339, I. BAUER, v. Finis, cit., col. 789.

 

[40] Su cui vedi TH. MOMMSEN, Römisches  Staatsrecht, III, cit., pp. 825 ss. (= Droit public romain, VI, 2, cit., pp. 477 ss.); A. SCHULTEN, v. Finis, in Dizionario epigrafico, cit., 92 s.

Per la distinzione fra fines populi Romani e ager Romanus, vedi invece le puntualizzazioni rispetto alla dottrina precedente di P. CATALANO, Linee del sistema sovrannazionale romano, I, Torino 1965, pp. 274 ss.

 

[41] P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, Torino 1974, pp. 121 S.; ID., Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 548 ss.

 

[42] Ecl. 1,3.

 

[43] Ecl. 1, 67-69. La prima egloga, assieme alla nona, ha costituito per i commentatori e i biografi di Virgilio la fonte principale per ricostruire la vicenda dell'esproprio del podere mantovano del poeta. Cfr. in questo senso K. BÜCHNER, Virgilio. Il poeta dei Romani, trad. it., 2a ed., Brescia 1986, pp. 43 ss.; M. A. LEVI, Augusto e il suo tempo, Milano 1986, pp. 318. Contro, vedi soprattutto le argomentazioni di R. SYME, La rivoluzione romana, trad. it. con introd. di A. Momigliano, Torino 1962 (reprint 1974), p. 254 n. 1: «Le varie informazioni concernenti la data e l'occasione in cui fu confiscata la tenuta di Virgilio, nonché la maniera e gli autori del recupero, che le Vite antiche e gli scolíasti ci forniscono con molti dettagli ma più con convinzione che con coerenza, sembrano derivare da induzioni ricavate dalle Ecloghe stesse e non da fatti accertati e ben documentati: non possono perciò essere usate ai fini della ricostruzione storica». Più sfumata è invece la posizione di C. CARENA (a cura di), Opere di Publio Virgilio Marone, 2a ed., Torino 1976, pp. 10 s., 72 n. 1.

 

[44] Il rapporto tra "piccola patria" e civitas romana è stato oggetto dell'informato lavoro di M. BONJOUR, Terre natale. Études sur une composante affective du patriotisme romain, Paris 1975: soprattutto pp. 465 ss., dove la studiosa francese si occupa in particolar modo di Virgilio.

 

[45] D. 32, 41, 6: Legaverat per fideicommissum Maeviis ita: 'et quidquid in patria Gadibus possideo': quaesitum est, an, si quam suburbanam adiacentem possessionem haberet, baec quoque ex causa fideicommissi Maeviis debeatur. Respondit posse ad hanc quoque verborum significationem extendi. Item quaesitum est, an, si calendarii, quod in patria sua vel intra fines eius defunctus exercuit, instrumenta in domo, quam in patria sua habebat, reliquit, an id quoque kalendarium propter verba supra scripta Maeviis ex causa fideicommissi deberetur. Respondit non deberi. Item quaesitum est, an pecunia, quae in arca domi Gadibus inventa esset, vel ex diversis nominibus exacta et ibi deposita, ex fideicommisso debeatur. Respondit supra responsum. Cfr. anche D. 47, 18, 1, 1.

 

[46] Aen. 8, 600-602. Sulla divinità dí cui si tratta in questi vv., cfr. per gli aspetti generali, brevemente, G. RADKE, Die Götter altitaliens, Münster 1965, p. 287; in rapporto alla 'saga' di Enea J. GAGÉ, Énée, Faunus et le culte de Silvain "Pélasge". A propos de quelques traditions de l'Étrurie méridionale, in Mélanges de l'École française de Rome 73, 1961, pp. 69 ss.; da ultimo F. TRISOGLIO, v. Silvano, in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma 1988, pp. 853 s.

 

[47] Aen. 11, 587-589. A proposito del v. 588 E. PARATORE, Virgilio, Eneide, VI, cit., p. 185, nota – anche sulla base dei richiami registrati dal Conington – come questo verso possa considerarsi «un tessuto di espressioni ricorrenti altrove» e cita gli esempi di Aen. 8, 159 (Arcadiae... invisere fines), Aen. 8, 602 (finis... Latinos), Georg. 1, 366 (caelo labi).

 

[48] Sul Latium vedi ora la trattazione sistematica di P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 506 ss.

 

[49] Per una rapida visione delle occorrenze di Latium, cfr. H. MERGUET, Lexikon zu Vergilius, cit., p. 373; per gli aspetti archeologici, storici e topografici cfr. invece: F. DELLA CORTE, La mappa dell'Eneide, cit., pp. 121 ss.; G. COLONNA, Preistoria e protostoria di Roma e del Lazio, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, Roma 1974, pp. 283 ss.; J. PERRET, Problèmes topographiques au royaume de Latinus (Énéide VII-XII), in Littérature greco-romaine et géographie historique. Mélanges R. Dion, Paris 1974, pp. 167 ss.; A. GRANDAZZI, Virgile et le Latium archaïque, in Bulletin de l'Association G. Budé, 1979, pp. 301 ss.; G. DURY-MOYAERS, Énée et Lavinium. A propos des découvertes archéologiques récentes, Bruxelles 1981; F. CASTAGNOLI, Lazio virgiliano, in AA.VV., Itinerari virgiliani, Milano 1981, pp. 83 ss.; ID., La leggenda di Enea nel Lazio, in Atti del Congresso mondiale scientifico di studi su Virgilio, II, Milano 1984, pp. 283 ss.; ID., v. Lazio, in Enciclopedia Virgiliana, III, Roma 1987, pp. 159 ss.; AA.VV., Enea nel Lazio. Archeologia e mito, Roma 1981; E. PARATORE, Virgilio e il Lazio, in Il Lazio nell'antichità romana, Roma 1982, pp. 3 ss.; K. GALINSKY, Aeneas in Latium. Archäologie, Mythos und Geschichte, in AA.VV., 2000 Jahre Vergil. Ein Symposium, Wiesbaden 1983, pp. 37 ss.; G. D'ANNA, Virgilio e le recenti scoperte archeologiche a Lavinium, in Virgilio nel bimillenario (Università di Sassari. Convegno di studi 1982) = Sandalion 6-7, 1983-1984 (ma 1985), pp. 93 ss.

Più in generale, sulle strutture sociali e politiche del Lazio arcaico vedi gli importanti contributi di P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma 1959, pp. 90 ss.; ID., Variazioni su temi di preistoria romana, Roma 1974, pp. 35 ss.; A. BERNARDI, Dai populi Albenses ai Prisci Latini nel Lazio arcaico, in Athenaeum 42, 1964, pp. 233 ss.; M. TORELLI, Tre studi di storia etrusca, I. Terra e forme di dipendenza: Roma ed Etruria in età arcaica, in Dialoghi d'Archeologia 8, 1974-1975, pp. 3 ss.; J. GAGÉ, Metius Fufetius: un nom ou un double titre? Remarques sur les structures de l'ancienne société albaine, in Revue de droit français et étranger 53, 1975, pp. 201 ss.; G. COLONNA, Un aspetto oscuro del Lazio antico: le tombe del VI-V secolo a. C., in La parola del passato 32, 1977 (= Lazio arcaico e mondo greco II. L'Esquilino e il comizio), pp. 131 ss.; ID., Nome gentilizio e società, in Studi etruschi 45, 1977, pp. 175 ss.; C. AMPOLO, Le condizioni materiali della produzione. Agricoltura e paesaggio agrario, in Dialoghi d'Archeologia 2, nuova serie, 1980 (= La formazione della città nel Lazio), pp. 15 ss.; ID., Periodo IV B (640-30 - 580 a. C.), ibidem, pp. 165 ss.

 

[50] Plinio, Nat. hist. 3, 56-57: Latium antiquum a Tiberi Cerceios servatum est m. p. L longitudine: tam tenues primordio imperi fuere radices. Colonis saepe mutatis tenuere alii aliis temporibus, Alborigines, Pelasgi, Arcades, Siculi, Aurunci, Rutuli et ultra Cerceios Volsci, Osci, Ausones, unde nomen Lati processit ad Lirim amnem. In principio est Ostia colonia ab Romano rege deducta, oppidum Laurentum, Lucus Iovis Indigetis, amnis Numicius, Ardea a Danäe Persei matre condita. Dein quondam Aphrodisium, Antium colonia, Astura flumen et insula, fluvius Nymphaeus, Clostra Romana, Cercei, quondam insula immenso quidem mari circumdata, ut creditur Homero, et nunc planitie. A cui aggiungi 3, 54: (Anio), qui et ipse navigabilis Latium includit a tergo.

Da questi testi P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., p. 510, ricava persuasive considerazioni sul valore dei fiumi per lo ius divinum: «Sono dunque menzionati fiumi come limiti del Latium antiquum a settentrione (il Tevere) e ad oriente (l'Aniene); non a mezzogiorno: tuttavia mi sembra evidente che il concetto territoriale di Latium, come poi quello di terra Italia, è connesso al valore, religioso, dei fiumi. Ciò è confermato dal fatto che per dire 'fuori dal Lazio', si usava l'espressione pregnante trans Tiberim».

 

[51] Aen. 7, 37-40; cfr. Servio, Ad. Aen. 7, 38: Latio antiquo quia duos sunt, vetus et novum, sicut et in iure lectum est; peraltro lo stesso Servio precedentemente (Ad Aen. 1, 6) aveva riferito della espansione del Lazio: Latium duplex est, unum a Tiberi usque ad Fundos, aliud inde usque ad Vulturnum. Denique ipse dixit veteresque Latini ideo quia scit esse etiam novos, id est a Fundis usque ad Vulturnum.

 

[52] Aen. 7, 148-151.

 

[53] Cfr. F. CASTAGNOLI, v. Numico, in Enciclopedia Virgiliana, III, cit., pp. 974 s. F. DELLA CORTE, La mappa dell'Eneide, cit., pp. 128 ss., ritiene che questo fatto trovi la sua giustificazione nello spostamento, operato da Virgilio, di tutta l'azione del poema verso la valle del Tevere.

 

[54] Il Numico è ricordato in numerosi testi antichi, variamente legato alla leggenda di Enea. Sarebbe stato il luogo della costa laziale dove sbarcò l'eroe troiano: Cassio Dione, fragm. 1, 3; non lontano da esso si sarebbe svolta l'ultima battaglia tra Enea e Mezenzio: Dionigi d'Alicarnasso 1, 64, 5; in un'altra versione della leggenda, Enea scompare dopo essere caduto nel Numico: Livio 1, 2, 6; Tibullo, Carm. 2, 5, 43-44; Servio, Ad Aen. 1, 259; infine abbiamo testimonianze della connessione tra il fiume lavinate e il culto di Indiges: Arnobio, Adv. nat. 1, 36; Servio, Ad Aen. 7, 150.

Quanto alla dottrina moderna, vedi per tutti: B. TILLY, Vergil's Latium, Oxford 1947, pp. 62 ss.; F. CASTAGNOLI, I luoghi connessi con l'arrivo di Enea nel Lazio (Troia, Sol Indiges, Numicus), in Archeologia classica 19, 1967, pp. 235 ss.; ID., Lavinium, I, Roma 1972, pp. 91 s.; B. LIOU-GILLE, Cultes héroïques romaines. Les fondateurs, Paris 1980, pp. 120 ss.; G. DURY-MOYAERS, Énée et Lavinium, cit., pp. 232 ss.; J. POUCET, Un culte d'Énée dans la règion lavinate au quatrième siècle avant Jésus-Christ?, in Hommages à Robert Schilling, Paris 1983, pp. 187 ss.

 

[55] Aen. 3, 438-440.

 

[56] Aen. 5, 82-83.

 

[57] Aen. 7, 331-334. Per un rapido raffronto delle occorrenze virgiliane del termine Italia, cfr. H. MERGUET, Lexikon zu Vergilius, cit., p. 356.

 

[58] A. BERNARDI, v. Italia (Mondo italico dalla guerra sociale all'età augustea), in Enciclopedia Virgiliana, III, cit., p. 49.

 

[59] Sull'espressione tecnica terra Italia, fonti e definizione giuridica e religiosa in P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 534 ss.

 

[60] Georg. 2, 136-176. Sulle implicazioni di questi versi, vedi fra gli altri: A. ALFONSI, Laudes Italiae, in Studi romani 10, 1962, pp. 625 ss.; A. G. McKAY, Vergil's glorification of Italy (Georgics II 136-174), in Cicero and Virgil. Studies in honour of H. Hunt, Amsterdam 1972, pp. 149 ss.; M. C. J. PUTNAM, Italian Virgil and the idea of Rome, in Janus. Essays in ancient and modem studies, Ann Arbor 1975, pp. 171 ss. (ma sul saggio riserve e critiche di CH. WITKE, Response to Italian Virgil and the idea of Rome, ibid., pp. 201 ss.); C. GUITTARD, Saturnia terra, mythe et réalité, in Caesarodunum 15 bis, 1980, pp. 177 ss.; K. BÜCHNER, Virgilio, cit., pp. 346 s.

 

[61] P. GRIMAL, Virgile ou la seconde naissance de Rome, Paris 1985, pp. 119 s. (= trad. it.: Virgilio. La seconda nascita di Roma, Milano 1986, p. 129), insiste sulla spontaneità dell'adesione virgiliana alla politica di Augusto: a suo avviso la lettura dei vv. Georg. 2, 126-130, in cui è possibile ravvisare un'allusione a Cleopatra “matrigna” dei figli di Antonio, riporterebbe la composizione della laus Italiae al 36 a. C.; quindi l'elogio dell'Italia avrebbe preceduto non seguito la politica "italica" del giovane Cesare, sfociata tre anni più tardi nella famosa coniuratio. Più in generale vedi R. SYME, La rivoluzione romana, trad. it., cit., pp. 277 ss.; per una messa a punto della bibliografia recente G. VITUCCI, v. Augusto, in Enciclopedia Virgiliana, I, cit., pp. 405 ss.

 

[62] Cfr. F. DELLA CORTE, La mappa dell'Eneide, cit., p. 104: «I Troiani approdano alle sponde del Mar Tirreno, sbarcano sul suolo d’Italia; il precedente sbarco nella penisola salentina non aveva avuto alcuna importanza, né lasciato traccia; l'odierna Puglia non era considerata Esperia, e cioè plaga occidentale dell'Italia».

 

[63] S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, II. 1, Roma-Bari 1966, p. 214.

 

[64] Una simile concezione della terra Italia era quella corrente nell'età della seconda guerra punica, come attesta la fonte di Appiano, Annib. 8: Τὰ γὰρ Ἀπεννῖνα κατέρχεται μὲν ἐκ μέσων τῶν Ἀλπείων ἐπὶ θάλασσαν, ἔστι δ' αὐτῶν τὰ μὲν ἐπὶ δεξιὰ πάντα καθαρῶς Ἰταλία, τὰ δὲ ἐπὶ θάτερα ἐς τὸν Ἰόνιον φθάνοντα νῦν μέν ἐστι καὶ ταῦτα Ἰταλία, ὅτι καὶ Τυρρηνία νῦν Ἰταλία, οἰκοῦσι δ' αὐτῶν τὰ μὲν Ἕλληνες, ἀμφὶ τὴν Ἰόνιον ἀκτήν, τὰ δὲ λοιπὰ Κελτοί, ὅσοι τῇ Ῥώμῃ τὸ πρῶτον ἐπιθέμενοι τὴν πόλιν ἐνέπρησαν. Ne costituirebbe inoltre conferma, sul piano religioso, la singolare cerimonia, nel corso della quale si procedeva alla sepoltura rituale nel Foro Boario di una coppia di Galli e di una di Greci, di cui abbiamo notizia in Livio 22, 57, 6 per l'anno 216 a. C.: inter quae [sacrificio extraordinaria] Gallus et Galla, Graecus et Graeca in foro bouario sub terra vivi dimissi sunt in locum saxo conseptum iam ante hostiis humanis, minime Romano sacro, imbutum.

Per smentire la notazione minimalistica dello storico patavino, mette conto rilevare che nel corso della storia di Roma repubblicana il sacrificio risulta praticato altre due volte, sempre su indicazione dei libri Sibyllini: Orosio, Adv. pag. 4, 13, 3: Tertio deinceps anno miseram civitatem sacrilegis sacrificiis male potentes funestavere pontifices; namque decemviri consuetudinem priscae superstitionis egressi Gallum virum et Gallam feminam cum muliere simul Graeca in foro boario vivos defoderunt. Cfr. Plutarco, Marc. 3, 6; Zonara 8, 19, 9. Quanto poi all'epoca imperiale, Plinio il Vecchio ne scrive come di un sacrificio ancora praticato nel suo tempo: Nat. hist. 28, 12: Boario vero in foro Graecum Graecamque defossos aut aliarum gentium, cum quibus tum res esset, etiam nostra aetas vidit. Cuius sacri precationem, qua solet praeire XVvirum collegii magister, si quis legat, profecto vim carminum fateatur, omnia ea adprobantibus DCCCXXX annorum eventibus. Per l'inquadramento dell'importante passo di Plinio, vedi TH. KÖVES-ZULAUF, Reden und Schweigen. Römische Religion bei Plinius Maior, München 1972, p. 153 n. 159; FR. MÜNZER, Beitrage zur Quellenkritik der Naturgeschichte des Plinius, Berlin 1897, p. 177, sostiene che la fonte del paragrafo sarebbe M. Terenzio Varrone; cfr. anche W. KROLL, v. Plinius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 21, 1, Stuttgart 1951, coll. 376 ss.

Sull'origine e sulle finalità religiose di questa e delle altre sepolture rituali della religione romana, vedi, pur con posizioni diversificate: H. DIELS, Sibyllinische Blätter, Berlin 1890, pp. 85 ss.; C. CICHORIUS, Staatliche Menschenopfer, in ID., Römische Studien, Leipzig-Berlin 1922, pp. 13 ss.; P. FABRE, 'Minime Romano sacro'. Note sur un passege de Tite-Live et les sacrifices humains dans la religion romaine, in Revue des études anciennes 42, 1940, pp. 419 ss.; C. BÉMONT, Les enterrés vivants du Forum Boarium. Essai d'interprétation, in Mélanges de l'École française de Rome 72, 1960, pp. 133 ss.; K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, München 1960, pp. 256 s. Sul significato del sacrificio in rapporto alla concezione cisappenninica della terra Italia, vedi soprattutto S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, II. 1, cit., pp. 216 ss.; e da ultimo A. FRASCHETTI, Le sepolture rituali del Foro Boario, in Le délit religieux (Table ronde, Rome, 6-7 avril 1978), Roma 1981, pp. 51 ss.

 

[65] Mette conto, peraltro, rilevare che la difesa dell'Italia è motivo ricorrente dei libri Sibyllini e che la nozione di terra Italia compare nei carmina in essi contenuti: cfr. Livio 29, 10, 4-5: civitatem eo tempore repens religio invaserat invento carmine in libris Sibyllinis propter crebrius eo anno de caelo lapidatum inspectis, quandoque hostis alienigena terrae Italiae bellum intulisset, eum pelli Italia vincique posse, si Mater Idaea a Pessinunte Romani advecta foret.

 

[66] Sulle popolazioni medioitaliche alleate di Turno vedi, da ultimo, G. A. MANSUELLI, v. Italia (Etnologia), in Enciclopedia Virgiliana, III, cit., pp. 42 s.; cfr. J.-L. POMATHIOS, Le pouvoir politique et sa représentation dans l'Énéide de Virgile, Bruxelles 1987, pp. 88 ss.

Per quanto riguarda, invece, l'impiego virgiliano di Italia e la maggiore caratterizzazione del termine nell’Eneide rispetto alle Georgiche, si vedano le acute riflessioni di D. MUSTI, v. Italia (Storia del nome), in Enc. Virg., cit., p. 40: «Nel poema epico l'idea di I(talia) e di Itali dispiega tutta la sua forza di caratterizzazione, sul piano geografico, linguistico, etnico-culturale, svolgendo anche una funzione di distinzione dai popoli sopravvenuti come i Troiani».

 

[67] Aen. 7, 641-644: Pandite nunc Helicona, deae, cantusque movete, / qui bello exciti reges, quae quemque secutae / complerint campos acies, quibus Itala iam tum / floruerit terra alma viris, quibus arserit armis. E. PARATORE, Virgilio, Eneide, IV (Libri VII-VIII), Milano 1981, p. 205, vede nell'espressione terra alma «l’eco del più famoso brano delle Georgiche, che del resto ha anche una movenza orgogliosamente epica».

 

[68] Aen. 1, 378-380: Sum pius Aeneas, raptos qui ex hoste penatis / classe veho mecum, fama super aethera notus. / Italiam quaero patriam et genus ab Iove magno.

 

[69] Aen. 3, 670-674: Verum ubi nulla datur dextram adfectare potestas / nec potis Ionios fluctus aequare sequendo, / clamorem immensum tollit, quo pontus et omnes / intremuere undae penitusque exterrita tellus / Italiae curvisque immugiit Aetna cavernis.

 

[70] E. PARATORE, Virgilio, Eneide, II, cit., p. 176.

 

[71] Livio 27, 5, 15. Gli aspetti politici e giuridici del passo sono stati magistralmente descritti da F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, II, cit., p. 272; l’illustre studioso ritiene infatti l'episodio di grande interesse «perché rivela un contrasto di ordine costituzionale fra il Senato, appoggiato dai tribuni delle plebe, ed un console, il quale rivendicava l'antico potere consolare di procedere alla dictio del dittatore, senza necessità di sottoporsi al voto popolare. Tuttavia il voto di per sè non era ancora giudicato sufficiente per la piena validità della nomina, ma occorreva pur sempre l'atto del console; singolare compromesso di poteri, che si reggevano più sulla forza politica, che su rigorose norme costituzionali!».

 

[72] Sull'impossibilità di rendere Romanus un ager non italico, vedi per tutti P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 529 ss.

 

[73] Cfr. Livio 27, 29, 5: Hi nuntiare consuli iussi, ut, si ad comitia ipse venire Romam non posset, dictatorem in agro Romano diceret comitiorum causa.

 

[74] F. SINI, A proposito del carattere religioso del `dictator' (note metodologiche sui documenti sacerdotali), in Studia et documenta historiae et iuris 42, 1976, pp. 401 ss., in part. 422 (= AA.VV.,Dittatura degli antichi e dittatura dei moderni, a cura di G. MELONI, Roma 1983, pp. 111 ss., in part. 126 s.); alla cui impostazione aderisce, in parte, L. LABRUNA, "Adversus plebem" dictator, in Index. Quaderni camerti di studi romanistici 15, 1987, p. 295.

 

[75] Basterà citare, a titolo esemplificativo, la dictio del dittatore M. Claudio Marcello (anno 327 a. C.) annullata da una decisione del collegio degli auguri, i quali consulti vitiosum videri dictatorem pronuntiaverunt, seguita da forti polemiche dei tribuni della plebe. Sull'episodio possiamo leggere il dettagliato racconto in Livio 8, 23, 13-16: L. Cornelio, quia ne eum quidem in Sammium iam ingressum revocari ab impetu belli placebat, litterae missae, ut dictatorem comitiorum causa diceret. Dixit M. Claudium Marcellum; ab eo magister equitum dictus Sp. Postumius. Nec tamen ab dittatore comitia sunt habita, quia, vitione creatus esset, in disquisitionem venit. Consulti augures vitiosum videri dictatorem pronuntiaverunt. Eam rem tribuni suspectam infamemque criminando fecerunt: nam neque facile fuisse id vitium nosci, cum consul oriens de notte silentio diceret dictatorem, neque ab consule cuiquam publice privatimve de ea re scriptum esse, nec quemquam mortalium extare, qui se vidisse aut audisse quid dicat, quod auspicium dirimeret, neque augures divinare Romae sedentes potuisse, quid in castris consuli vitii obvenisset. Cui non apparere, quod plebeius dictator sit, id vitium auguribus visum?

 

[76] Sui cinque agrorum genera, vedi Varrone, De ling. Lat. 5, 33: Ut nostri augures publici disserunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus, Gabinus, peregrinus, hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab Romo; Gabinus ab oppido Gabis; peregrinus ager pacatus, qui extra Romanum et Gabinum, quod uno modo in his servantur auspicia; dictus peregrinus a pergendo, id est a progrediendo: eo enim ex agro Romano primum progrediebantur. Quocirca Gabinus quoque peregrinus, sed quod auspicia habet singularia, ab reliquo discretus; hosticus dictus ab hostibus; incertus is, qui de his quattuor qui sit ignoratur.

Oltre che per la dictio dictatoris, l’ager Romanus era il luogo richiesto per una serie di atti solenni, quali ad esempio gli auspicia della partenza, la loro repetitio e le inaugurationes; inoltre non poteva esservi templum inauguratum al di fuori di esso. Sul concetto di ager Romanus e sulla sua connessione col diritto divino, si veda P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, I, Torino 1960, pp. 269 ss., 388; Linee del sistema sovrannazionale romano, I, cit., pp. 273 ss.; Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., pp. 492 ss., 499 ss.

 

[77] G. MONACO, La Sicilia di Virgilio, in AA.VV., Itinerari virgiliani, cit., p. 170: «Inseguiti dall'urlo di Polifemo per cui trema il mare, è scossa l'Italia e muggisce l'Etna con le sue caverne (III, 672 sgg., dove si tiene ancora presente che la terra calabra non è distante da quella dei Ciclopi) i Troiani insieme con Achemenide lasciano in gran fretta quella parte della Sicilia...».

 

[78] Cfr. Aen. 1, 272-282: Hic iam ter centum totos regnabitur annos / gente sub Hectorea, donec regina sacerdos / Marte gravis geminam partu dabit Ilia prolem. / Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus / Romulus excipiet gentem et Mavortia condet / moenia Romanosque suo de nomine dicet. / His ego nec metas rerum nec tempora pono, / imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno / quae mare nunc terrasque metu caelumque fatigat, / consilia in melius referet mecumque fovebit / Romanos rerum dominos gentemque togatam.

Per quanto riguarda invece gli aspetti ideologici della figura e del culto di Iuppiter nel periodo tardo repubblicano e nell'età augustea, si vedano: C. KOCH, Der römische Iuppiter, Frankfurt am Main 1937 (rist. an. Darmstadt 1968); J. R. FEARS, The Cult of Jupiter and Roman Imperial Ideology, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 17, 1, Berlin - New York 1981, pp. 3 ss. Sugli epiteti optimus e maximus attribuiti alla più importante divinità romana e sul loro significato giuridico vedi, da ultimo, G. RADKE, Iuppiter Optimus Maximus: dieu libre de toute servitude, in Revue historique de droit français et étranger 64, 1986, pp. 1 ss.

 

[79] La religion de Virgile, Paris 1963, p. 54.

 

[80] M. RUCH, Le destin dans l'Énéide: essence et réalité, in AA.VV., Vergiliana (Recherches sur Virgile publiées par H. Bardon et R. Verdière), Leiden 1971, p. 314: «C'est à ce privilège du dieu souverain que Virgile fait le plus souvent allusion et, chose remarquable, c'est le seul cas où il lui arrive d'employer le singulier fatum. Certe distinction explique pourquoi les fata deum sont partiaux et restent subordonnés aux fata individuels, ceux de Jupiter. Or la volonté personnelle du dieu suprême s'identifie avec la loi impersonnelle qui n'est connue que de lui». Per l'analisi approfondita dei fata Iovis, vedi soprattutto W. PÖTSCHER, Vergil und die göttlichen Mächte. Aspekte seiner Weltanschauung, Hildesheim-New York 1977, pp. 66 ss.

 

[81] V. ILARI, v. Imperium, in Enciclopedia Virgiliana, II, cit., p. 928.

 

[82] Sul rapporto tra imperium sine fine e l'eternità di Roma, vedi da ultimo R. TURCAN, v. Aeternitas, in Enciclopedia Virgiliana, I, cit., pp. 43 s.; più in generale su Roma Eterna si vedano, fra gli altri: C. KOCK, Religio. Studien zu Kult und Glauben der Römer, Nürnberg 1960, pp. 142 ss.; F. PASCHOUD, Roma Aeterna. Études sur le patriotisme romain dans l'Occident latin à l'époque des grandes invasions, Neuchâtel 1967 (su cui vedi S. Di SALVO, Il mito di "Roma Aeterna", in Labeo 16, 1970, pp. 95 ss.); M. FUHRMANN, Die Romidee der Spätantike, in Historische Zeitscbrift 207, 1968, pp. 529 ss.; P. SINISCALCO, L'idea dell'eternità e della fine di Roma negli autori cristiani primitivi, in Studi romani 25, 1977, pp. 1 ss.; ID., Roma e le concezioni cristiane del tempo e della storia nei primi secoli della nostra era, in AA.VV., Roma, Costantinopoli, Mosca, "Da Roma alla Terza Roma", Studi, I, Napoli 1983, pp. 31 ss.; M. Campolunghi, ‘Urbs Aeterna’. Una ricerca su testi giuridici, in AA.VV., Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, “Da Roma alla Terza Roma”, Studi, III, Napoli 1986, pp. 163 ss.

 

[83] Servio, Ad Aen. 1, 278.

 

[84] C. KOCH, Religio, cit., p. 144 (il saggio dello studioso tedesco è stato ripubblicato in Principat und Freiheit, hrsg. von R. KLEIN, Wege der Forschung 135, Darmstadt 1969, pp. 23 ss., in part. p. 26): «Wir meinen die Worte aus dem Munde Juppiters, die Roms Schicksal enthüllen und auf die Gründung der Stadt und die Benennung des Volkes díe Verheissung folgen lassen: hic ego nec metas rerum nec tempora pono, imperium sine fine dedi (1, 278 f.). Virgil ist nicht der erste Augusteer, der von Roms Weltherrschaft und Ewigkeit gesprochen hat, aber niemand hat es umfassender, autoritativer, hochgestimmter formuliert als er».

 

[85] F. FABBRINI, L'impero di Augusto come ordinamento sovrannazionale, Milano 1974, pp. 346 ss.

[86] F. FABBRINi, L'impero di Augusto, cit., p. 348; e ancora ibid. n. 30: «L'imperium sine fine della profezia di Giove (Verg., Aen. 1, 278) corrisponde in modo sorprendente al "regnum quod in aeternum non dissipabitur... et ipsum stabit in aeternum" della profezia danielina».

 

[87] E. PARATORE, Virgilio, Eneide, I, cit., p. 173.

 

[88] J. R. FEARS, The Cult of Jupiter and Roman Imperial Ideology, cit. supra in n. 78, p. 41: «The discovery of a head with the features intact was a clear sign of the grandeur of Rome's empire and of the role of the Capitoline as the ímperial citadel of the capitai city of the world. The teme received its most magisterial statemene in Jupiter's speech to Venus in the "Aeneid": His ego nec metas rerum nec tempora pono, / imperium sine fine dedi».

[89] K. D. BRACHER, Verfall und Fortschritt im Denken der frühen römischen Kaiserzeit, Wien-Köln-Graz 1987.

 

[90] J.-L. POMATHIOS, Le pouvoir politique et sa représentation dans l’Énéide de Virgile, cit. supra in n. 66.

 

[91] K. D. BRACHER, Verfall und Fortschritt, cit., pp. 333 ss.; anche se a proposito dei versi in questione scrive (p. 335): «Es ist eine Überzeugung von religiöser Kraft, die in Vergils Worten über zeitliche und räumliche Unendlichkeít römischen Herrschaft Ausdruck gewinnt (Aen. 1, 278 f.)».

 

[92] J.-L. POMATHIOS, Le pouvoir politique, cit., pp. 133 ss.

 

[93] J.-L. POMATHIOS, Le pouvoir politique, cit., p. 136.

 

[94] In questo senso interpretava il testo virgiliano già R. SYME, La rivoluzione romana, cit., p. 443 («impero senza fine nel tempo e nello spazio»); cfr. K. BÜCHNER, Virgilio, cít., p. 421 («sotto di loro [i Romani] si avrà un dominio senza fine e senza limiti»).

 

[95] G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella religione romana, cit. supra in n. 19.

 

[96] G. PICCALUGA, Terminus, cit., p. 209.

 

[97] R. TURCAN, Rome éternelle et les conceptions gréco-romaines de l'éternité, in AA.VV., Roma, Costantinopoli, Mosca, cit., pp. 7 ss.

 

[98] R. TURCAN, Rome éternelle, cit., p. 16; cfr. ID., Terminus et l'universalité hétèrogène: idées romaines et chrétiennes, in AA.VV., Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, cit., p. 53.

 

[99] C. NICOLET, L'inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell'impero romano, trad. it., Roma-Bari 1988, pp. 19 s.: «La celebre profezia del primo libro dell'Eneide pronunziata da Giove promette a Roma un impero senza fine, nel senso spaziale e temporale». Cfr. anche M. PAVAN, v. Roma (Storia), in Enciclopedia Virgiliana, IV, cit., p. 530: «l'impero che Giove preannunzia a Venere, sarà un impero “senza fine”, impero senza limiti, di spazio e di tempo».

 

[100] J. C. MANN, The Frontiers of the Principate, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 1, Berlin-New York 1974, pp. 508 ss.

 

[101] A. MASTINO, 'Orbis', `kosmos', `oikoumene': aspetti spaziali dell'idea dell'impero universale da Augusto a Teodosio, in AA.VV., Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, cit., pp. 63 ss.

 

[102] A. MASTINO, 'Orbis', `kosmos', 'oikoumene', cit., p. 71; cfr. J. C. MANN, The Frontiers of the Principate, cit., p. 510; nello stesso senso, da ultimo, A. LUISI, Significato politico di “confine” in Orazio e in Virgilio, in Invigilata Lucernis 9, 1987, p. 103: «In definitiva per i poeti esisteva un impero senza confini».

 

[103] Aen. 4, 480; Oceani finem iuxta solemque cadentem; 5, 225: Solus iamque ipso superest in fine Cloanthus; 5, 327-328: Iamque fere spatio extremo fessique sub ipsam / finem adventabant.