Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-6
Riflessioni su Paul. D. 25.2.1
Sassari 1989
Cap. IV
"TORNIAMO"
A PAOLO.
UNA
IPOTESI DI INTERPRETAZIONE NON 'CORROSIVA'
Sommario:
1. Consenso generalizzato presso i
giuristi romani circa la esistenza e la rilevanza – anche –
patrimoniali della società coniugale.
a. La opinione di Nerva - Cassio: la uxor, in quanto socia vitae del marito e quindi con lui quodammodo domina, non può commettere furto a danno dello
stesso, sia nel matrimonio cd. cum manu
sia nel matrimonio cd. sine manu. b. La opinione di Sabino - Proculo:
non la societas vitae ma lo status di loco filiae è la ragione, natura rei, della - sola - mancanza di actio furti nei confronti della uxor
nel matrimonio cd. cum manu; nel
matrimonio cd. sine manu si continua
a non dare actio furti per ius constitum. c. Uxor in manu: socia, oltre
che loco filiae, del marito.
d. Non lo status di quodammodo domina
né il vincolo di società tra coniugi dividono Nerva - Cassio da
Sabino - Proculo, ma la applicazione alla
societas vitae coniugale del - nuovo - principio che «Potest enim socius communis rei furtum facere». 2. Trifonino (e Gordiano): conferma
del 'consenso generalizzato'; una opinione intermedia tra quelle di Nerva -
Cassio e di Sabino – Proculo. a. La societas (vitae) ragione
del cd. beneficium competentiae a
favore del marito nella actio rei uxoriae.
b. La societas (vitae) base del constitum ius.
[p. 165]
Torniamo dunque a
Paul. D. 25.2.1 e proviamo a leggerlo
senza pre-giudizi, senza il condizionamento della esigenza di farlo rientrare
ad ogni costo nello schema dogmatico-sistematico della assoluta separazione dei
beni tra marito e moglie nel matrimonio c.d. sine manu, schema pre-esistente alla lettura stessa. Onde tendere
-attraverso ulteriori ricerche- a concepire schemi interpretativi che si
facciano carico anche di Paul. D.
25.2.1 e, in particolare, della opinione, ivi conservata, di Nerva - Cassio.
Due sono i criteri cui dobbiamo, per tanto, attenerci in tale lettura.
a) Si deve supporre
(sino a prova del contrario) che entrambe le opinioni riportate siano
congruenti, abbiano cioè senso logico-giuridico, rispetto alle
situazioni nei cui confronti si pongono e per la cui interpretazione e/o disciplina
sono state formulate: entrambe le opinioni sono di giuristi che operano in un
contesto storico nel quale è oramai imperante il matrimonium cd. sine manu,
anche se continua a sussistere il matrimonium
cd. cum manu.
[p.
166]
b) Le due opinioni a
confronto vanno tenute distinte: non si deve prestare a Nerva - Cassio il
richiamo, fatto da Sabino - Proculo, alla situazione della filia familias, né integrare il constitum ius di Sabino -
Proculo con la societas vitae di
Nerva - Cassio. Al contrario: si deve supporre che gli elementi sinteticamente
richiamati da Paolo per qualificare ciascuna delle due opposte opinioni siano
proprio quelli sui quali si fonda e dei quali si alimenta la stessa
contrapposizione giurisprudenziale tra Nerva - Cassio e Sabino - Proculo.
La opinione di
Nerva - Cassio, che (la inesperibilità di actio furti a carico della uxor
e la sua sostituzione matrimonio soluto
con la actio rerum amotarum, per il
recupero delle cose da lei sottratte al marito in vista del divorzio, si spieghino
con il fatto che) la uxor non fa
furto in quanto la societas vitae con
il marito la rende quodammodo domina,
di per sé (e isolatamente considerata) appare potersi e doversi riferire sia al
regime del matrimonio cd. sine manu
sia al regime del matrimonio cd. cum manu.
Non si può
immediatamente stabilire se la impossibilità di furtum facere da parte della uxor
si fondi sulle specifiche caratteristiche del nesso potestativo tra marito e
moglie, proprio del matrimonio cd. cum
manu, e da qui si trasmetta (così come si afferma essere occorso per
altri istituti: ad esempio, la proprietà maritale della dote) al
matrimonio c.d. sine manu o se,
invece, quella impossibilità si fondi sulle caratteristiche del matrimonium in sé, cum o sine manu che esso sia, come - per altro - la definizione di
Modestino spinge a credere. Va tuttavia detto in generale che tale
questione non può
impiantarsi in maniera astratta dovendosi pensare che nella epoca di - quanto
meno - dominante matrimonio cd. cum manu
il regime e la nozione stessa del matrimonio difficilmente fossero
[p. 167]
concepiti e concepibili se non in osmosi
con il regime e la nozione della manus,
sembrando per altro difficile che la idea del matrimonium come di una societas
vitae sia nata o si sia affermata in una con il diffondersi del matrimonium cd. sine manu, ciò
che coincide -almeno cronologicamente- proprio con una fase storica di crisi
della solidità non soltanto istituzionale del vincolo coniugale in Roma.
Può inoltre, in particolare, fare credere ad un porsi del problema con
riferimento al matrimonium cd. cum manu il fatto stesso che esso venga
proposto come problema del furtum
della uxor e non del furto tra
coniugi, ciò che forse sarebbe
potuto invece essere
più logico fuori di tale riferimento[1].
In ogni caso la opinione di Nerva - Cassio comporta una spiegazione 'natura rei' della mancanza di furtum (e, quindi, della mancanza di actio furti) da parte della uxor e, in genere, tra coniugi, sia nel matrimonium cd. cum manu sia nel matrimonium
cd. sine manu.
La introduzione di quel iudicium singulare che è
l'istituto della actio rerum amotarum
viene a collocarsi su quello stesso terreno logico sul quale - a detta di Gellio
– Servio[2] -
nasce l'actio rei uxoriae. Sul
terreno cioè di una divisione patrimoniale che fa séguito alla divisione personale della società coniugale[3].
Senza volere qui approfondire e
[p. 168]
risolvere problemi di datazione della
introduzione della actio rerum amotarum,
può tuttavia già osservarsi che, per la logica della opinione di
Nerva - Cassio, nulla osta a credere che essi concepissero tale iudicium singulare come 'introdotto' in epoca di matrimonium
cd. cum manu dominante (sul piano
"statistico") e quindi con -prevalente- riferimento a questo (quale 'modello').
[p.
169]
Chiaramente
riferita allo specifico regime del matrimonium
cd. cum manu appare invece la
opinione di Sabino - Proculo, per la quale - nella sintesi propostane da Paolo
- il punto fondamentale è che la uxor
furtum facit sicut filia patri. E' dunque ovvio che, per questi autori, il
problema della mancanza di actio furti
nei confronti della uxor si radica
nel contesto del matrimonium cd. cum manu in cui la uxor è loco filiae.
Secondo Sabino - Proculo la uxor in manu
ha, almeno per quanto concerne la disciplina del furtum e della actio furti,
lo stesso statuto della filia e, come la filia fa furto se si appropria di cose del padre, così la uxor in manu fa furto se si appropria di
cose del marito presso il quale è loco
filiae. Con un 'salto' (spiegabile per esigenze di
stringatezza) di passaggi logici (per altro non difficilmente ricostruibili) il
'discorso' di Sabino - Proculo si porta quindi, dal terreno del matrimonium cd. cum manu, a quello del matrimonium
cd. sine manu, assolutamente
prevalente nella loro epoca. Non sarebbe del resto necessario soffermarsi sulle
conseguenze del furtum della uxor in manu, una volta assodato -o,
comunque, affermato- che il connesso regime giuridico è esattamente lo
stesso di quello della filia familias.
In ogni caso, in Paul D. 47.2.16
troviamo quello che è ritenuto il séguito (nel libro settimo di Ad Sabinum di Paolo) di Paul. D.25.2.1[4] e
che così recita:
[p.
170]
Ne cum filio familias pater furti agere
possit, non iuris constitutio, sed natura rei impedimento est, quod non magis
cum his, quos in potestate habemus, quam nobiscum ipsi agere possumus.
Inoltre, il diritto
alla azione, che non nasce al momento
in cui si perfeziona il delictum,
neppure può nascere successivamente per cambiamenti intervenuti nello status delle persone[5]
(nel caso della uxor in manu: per
morte del marito, se questi era sui iuris,
e, comunque, per ripudio-divorzio).
Nel matrimonium cd. sine manu sarebbe
potuto e dovuto invece sorgere, a
séguito del furtum della uxor (o, comunque, di un coniuge) il
diritto processuale del coniuge derubato
ad agire di furto 'natura rei',
di per sé implicando
l'effettivo ricorso alla actio furti
semmai soltanto una (concludente) volontà divorzista da parte del
coniuge attore (se si ritiene che
la sussistenza del requisito della affectio
maritalis sia in sé
incompatibile con l'esperimento di una tale azione processuale tra coniugi)[6].
Soltanto il constitutum ius
può dare allora ragione della inesperibilità della actio furti (e della sua sostituzione
con la actio rerum amotarum).
Il richiamo
iniziale al matrimonium cd. cum manu e il riferimento conclusivo al
matrimonium cd. sine manu fa intendere un nesso di consequenzialità tra le
due situazioni: la mancanza di actio
furti, originata
[p. 171]
natura
rei nel
contesto del matrimonium cd. cum manu, si conserva constituto iure nel nuovo contesto del matrimonium
cd. sine manu. Per ciò che
concerne la "introduzione" della actio
rerum amotarum vale quanto già detto a proposito della opinione
attribuita a Sabino - Proculo: nulla osta - nella formulazione di Paolo - a
ritenere che pure questi due giuristi la considerassero (già) connessa
alle esigenze del matrimonium cd. cum manu. Anche qui nel quadro del
moltiplicarsi dei divorzi 'senza
colpa', ma non come strumento di
regolamento di conti di fine società, sebbene come strumento per ovviare
- può presumersi - alla altrimenti sin troppo facile scappatoia legale
del furto muliebre in previsione del divorzio.
[p. 172]
La interpretazione
congiunta delle opinioni di Nerva - Cassio e di Sabino - Proculo, sul
presupposto che esse costituiscano i termini sostanziali di una controversia iuris, permette ora di
compiere un immediato passo innanzi nella comprensione di Paul. D. 25.2.1.
Se la ipotesi che
la opinione di Nerva - Cassio esprime una giurisprudenza più risalente
di quella espressa nella opinione di Sabino - Proculo presenta elementi di verisimiglianza,
non è in ogni caso, di per sé necessario né lecito porre
in sequenza meramente crono-logica ed evolutiva la opinione di Nerva - Cassio e
la opinione di Sabino - Proculo. Ma, sopra tutto, non si può estendere
la opinione di Nerva - Cassio
(impossibilità del furtum
da parte della uxor nei confronti del
proprio marito) alla disciplina della amotio
di beni della filia familias nei
confronti del proprio pater familias,
per fare così ricadere la
specifica situazione della uxor
(in manu) in quella generale delle
persone poste all'interno di una stessa potestas.
Anzi, la sintetica contrapposizione di opinioni deve fare pensare che il
richiamo o meno, per la disciplina del
furtum (meglio: della amotio) da
parte della uxor, alla disciplina del
furtum da parte della filia familias sia proprio uno degli
elementi della contrapposizione.
Ne consegue che,
sulla scorta di Paul. D. 25.2.1, non
soltanto non siamo autorizzati a - né ci occorre - ipotizzare una fase
storica in cui si fosse escluso il furtum
(oltre che la actio furti) tra i
componenti di una stessa familia (quindi,
anche tra i coniugi del matrimonium cd. cum manu) ma possiamo e dobbiamo ricavare che, secondo la opinione
di Nerva –
[p. 173]
Cassio (e qui sta la differenza con la
opinione di Sabino - Proculo), il fondamento della esclusione del furtum da parte della uxor deve avere un ambito di autonomia
rispetto alla situazione di loco filiae
della uxor in manu.
La strada
interpretativa sulla quale ci siamo così immessi non deve farci
dimenticare il nodo centrale del problema, sulla cui soluzione si
contrappongono le opinioni di Nerva - Cassio e di Sabino - Proculo. Occorre
tenere presente il filo logico della controversia, il cui punto di partenza
appare essere costituito dalla osservazione del 'dato', risalente e
insieme attuale, della mancanza di actio
furti (sostituita dalla actio rerum
amotarum) nei confronti della uxor
(«rerum amotarum iudicium singulare
introductum est adversus eam quae uxor fuit, quia non placuit cum ea furti
agere posse») e dalla conseguente esigenza di fornirne una
spiegazione.
Se si tralascia
questo criterio ermeneutico potremmo – seguendo il nostro stesso
ragionamento – arrivare a concludere che al fondo del contrasto di
opinioni tra Nerva - Cassio e Sabino - Proculo stia la questione se status e statuto giuridici della uxor in manu (quindi loco filiae) siano in generale uguali o,
invece, diversi da quelli della filia
familias. Dove, si badi, il dilemma non può comunque essere se la uxor in manu, dunque, sia o meno quodammodo domina, ma soltanto se sia o
meno socia vitae[7].
Va, infatti, ricordato
[p. 174]
– a integrazione del già di
per sé chiaro testo di D.
25.2.1[8]
– che Paolo, il quale prende partito a favore della opinione di Sabino -
Proculo contro quella di Nerva - Cassio, è anche il massimo assertore
(ancora più -almeno in termini di
formulazione- che Gaio: inst.
2.157) della condizione di quodammodo
domini dei figli di famiglia (D. 28.2,11). Per altro si è ritenuto
che sia D. 28.2.11 sia Gai. 2.157
risalgano a Sabino[9],
ciò che conferma come argomento proprio di
[p. 175]
Nerva - Cassio la specificità anche
funzionale dell'essere quodammodo domina
della uxor rispetto all'essere quodammodo domini dei filii familias.
Allora, alla
soluzione proposta da Nerva - Cassio, che lo status e il connesso statuto della
uxor in manu non si identifica con
quello della filia, pure essendo ella loco filiae, i n
q u a n t o è la societas vitae (propria del rapporto coniugale)
a farla quodammodo domina dei beni
anche del marito e ad inibire, per tanto, la ipotesi o la possibilità di
un suo furto ai danni dello stesso anche in una situazione di matrimonium cd. sine manu, si contrapporrebbe da parte di Sabino - Proculo, la
negazione di tale specifico status
(o, se si preferisce, della sua rilevanza): se la uxor in manu è quodammodo
domina lo è allo stesso titolo e allo stesso modo della filia. Di
conseguenza e quale mera manifestazione particolare di una più
[p. 176]
generale identità di status, come la filia può fare furtum
la uxor in manu che è loco
filiae del maritus può
fare furto a questo.
Potrebbero
così già intendersi (con un primo 'progresso' rispetto alla
interpretazione dominante) sia la contrapposizione di opinioni
giurisprudenziali in ordine alla possibilità o meno del furtum da parte della uxor in manu (a seconda, appunto, che si
consideri la uxor nella prospettiva
di loco filiae o in quella, invece,
di membro, insieme al maritus, della societas vitae coniugale), sia il
sopravvivere di tale seconda prospettiva, ancora durante il secolo II d.C.,
alla regola del matrimonium cd. cum manu.
[p. 177]
Se però
ricostruiamo i termini della contrapposizione tra Nerva - Cassio e Sabino -
Proculo prendendo le mosse dal 'dato' della mancanza di actio furti nei confronti della uxor,
vediamo che, ferma restando la opinione di Nerva - Cassio (non esservi actio furti per non esservi lo stesso furtum, essendo la uxor quodammodo domina in forza della sua societas vitae con il marito), non necessariamente ne consegue che
la contrapposta opinione di Sabino - Proculo vada letta (nella formulazione
paolina) come negazione a s s o l u
t a (della rilevanza) della societas vitae coniugale e nel matrimonium cd. cum manu e in quello cd. sine
manu. Sabino - Proculo possono avere sostenuto che la mancanza della actio furti deve farsi risalire alla
esclusione della stessa nel matrimonium
cd. cum manu come tra persone poste
all'interno di una stessa potestas
(e, quindi, a un mero constitum ius
nel matrimonium cd. sine manu) in quanto -più
limitatamente- negano che quella mancanza si possa spiegare con una
impossibilità di furtum
discendente dalla societas vitae e
dal connesso condominio; ciò
che - come ovvio - è ben diverso dal negare 'tout court' la esistenza
di tale societas vitae o, quanto
meno, la sua capacità giuridica di ingenerare uno specifico rapporto di
condominio.
Il problema che
divide Nerva - Cassio da Sabino - Proculo può dunque essere: (non se 'vi sia' o 'non vi sia' societas
-vitae- tra i coniugi ma) se la societas
-vitae- comporti o meno la reciproca esclusione del furtum.
[p. 178]
A sostegno di
questa ultima ipotesi mi appare militare D.
47.2.45 dove Ulpiano (si noti: ad Sab.
41) afferma:
Si socius communis rei furtum fecerit
(potest enim communis rei furtum facere), indubitate dicendum est furti actionem competere.
Infatti, la formula
"indubitate dicendum est"
è 'spia'[10]
abbastanza palese della esistenza di una controversia circa la spettanza o meno
della actio furti [179] tra soci, controversia che l'inciso tra
parentesi "(potest enim communis rei
furtum facere)" dimostra -laddove ve ne fosse bisogno- essere niente
altro se non la espressione processuale della controversia di diritto
sostanziale se il socio potesse o meno commettere furto sulla cosa comune.
Controversia che non è illecito pensare possa essere stata risolta
affermativamente proprio da Sabino.
Poiché
sarebbe da parte nostra un eccesso argomentativo supporre una motivazione
maggiore dove una minore è già sufficiente, possiamo (direi:
"dobbiamo") ritenere che il vero oggetto della disputa tra Nerva -
Cassio e Sabino - Proculo fosse dunque non la esistenza (o, il ché
è la stessa cosa, la rilevanza giuridica in assoluto) della societas vitae coniugale, ma piuttosto
se la uxor, in quanto socia vitae, potesse o meno commettere
furto ai danni del marito e se, quindi, il dato comunque certo della mancanza
di actio furti nei di lei confronti
dovesse spiegarsi facendo riferimento a quella societas o non piuttosto alla regola giuridica della
impossibilità di azioni processuali tra personae unius potestati subiectae.
Del resto, la
esistenza di una controversia iuris
circa la sussistenza del furtum
all'interno della societas in generale
e, quindi, in particolare, anche all'interno della societas vitae coniugale non è un fenomeno di cui sarebbe
comunque difficile darsi ragione (si pensi alla connessa problematica della
definizione, nell'ambito delle relazioni societario-condominiali delle parti,
del tutto e dei loro rapporti)[11].
Come è infatti ben noto a partire dal
[p. 180]
ritrovamento dei frammenti egiziani di
Gaio, oltre la e prima della societas
omnium bonorum di ius gentium esiste un aliud genus societatis (Gai.3.154 a.)
che è stato il consortium ercto
non cito[12],
il cui regime certamente doveva escludere la possibilità di furtum fra soci-consortes. Per altro, secondo la più famosa definizione
giurisprudenziale, la societas vitae
matrimoniale propriamente è un consortium:
consortium omnis vitae (Mod. D.
23.2.1)[13].
Si può,
inoltre, supporre che la questione della possibilità o meno del furtum tra coniugi-soci non fosse una
mera applicazione del più generale dibattito in ordine al regime della societas, ma che la discussione vertesse
sul conservarsi o meno tra i coniugi – sia pure parzialmente e in forma
specifica – di quel regime consortile[14]
che si abbandona invece più concordemente per e nelle 'nuove' societates a finalità meramente
economiche.
In questo ordine di
idee, il problema della eventuale innovazione di Sabino in materia di 'Furtumslehre' perde evidentemente importanza. Infatti, sia per chi (come il
Wacke) estende a Sabino - Proculo la opinione di Nerva - Cassio della origine
nella societas
[p. 181]
vitae della mancanza di actio furti a carico della uxor, sia per chi (come il Guarino)
estende a Nerva - Cassio la opinione di Sabino - Proculo della origine nella
condizione di loco filiae della uxor in manu di quella stessa mancanza,
soltanto la asserita novità sabiniana (la 'novità'
cioè di poter ammettere l'integrarsi della fattispecie del furtum anche in assenza di
esperibilità della corrispondente actio)
permette di distinguere fra le due contrapposte opinioni. Ma il problema
neppure si pone per chi (come noi) vede la differenza di opinioni tra Nerva -
Cassio e Sabino - Proculo nel rinvio da parte dei primi al regime della societas vitae e nel rinvio da parte dei
secondi a un indifferenziato -almeno in ordine all'istituto in esame- regime
potestativo ("furtum eam <uxor in
manu> facere, sicut filia patri").
[p. 182]
A quindici anni
dalla recensione allo scritto del Wacke sulla actio rerum amotarum e a tredici dal proprio contributo allo stesso
tema, il Guarino, in uno studio dedicato alla "condanna nei limiti del
possibile"[15],
si interroga circa la ragione che avrebbe giustificato la circoscrizione del beneficium della condanna nell'id quod facere potest al solo maritus (o al suo pater familias o ai suoi figli eredi) tra tutti i possibili
convenuti con l'actio rei uxoriae. Egli
rileva in merito la incapacità eziologica del criterio della reverentia uxoris (pure addotta a
giustificazione del 'beneficium' in
Pomp.15 Sab. apud Ulp.36 Sab. D. 24.3.14.1) sia perché l'actio rei uxoriae (esperibile soltanto soluto matrimonio) poteva essere
promossa, oltre che dalla uxor
("più o meno riverente"), dal pater familias di lei, dai suoi eredi nonché dal fisco nel
caso che la dos fosse stata
confiscata, sia - sopra tutto -
perché, se la limitazione della condanna del maritus fosse stata una conseguenza della reverentia uxoris, non se
ne comprenderebbe la esclusione nella ipotesi in cui il maritus (essendosi impegnato alla restituzione della dos) fosse convenuto con l'actio ex stipulatu anzi che con l'actio rei uxoriae.
[p. 183]
Il Guarino tende
perciò (in considerazione anche del fatto che quello della reverentia tra coniugi è un
motivo tipico della politica legislativa di Giustiniano in materia
matrimoniale) a credere interpolato D.
24.3.14.1. Poiché si rifiuta inoltre -e giustamente- di credere
parimenti interpolati tutti i testi che affermano la circoscrizione del beneficium dell'id quod facere potest
nella actio rei uxoria al solo maritus (nonché ai suoi pater familias e figli eredi) neppure
può accettare la tesi secondo cui la limitazione della condanna del
marito convenuto nell'actio rei uxoriae fosse una conseguenza del quod melius aequius erit proprio di quella azione, perché in tale caso
il cd. beneficium competentiae
avrebbe dovuto essere esteso a tutti i possibili convenuti dell'actio. Occorre dunque cercarne altrove la spiegazione. Tale
spiegazione il Guarino trova appunto nella concezione del matrimonium -propria ai giuristi 'classici'- in termini di
societas. «Tutto si spiega
– scrive questo autore – ... se riflettiamo che il matrimonium aveva istituito, fin che era
durato, una sorta di societas tra i
due coniugi e se supponiamo che i giuristi del sec. I si siano basati proprio
su questa analogia per sostenere che il marito convenuto con l'actio rei uxoriae meritasse, a
somiglianza del socio convenuto con l'actio pro socio, la limitazione della
condanna all'id quod facere potest[16].
Come l'actio pro socio, se esercitata soluta
societate, era relativa alla liquidazione della societas, così l'actio
rei uxoriae (esercitabile
[p. 184]
soluto
matrimonio)
era relativa alla liquidazione del matrimonium
sotto l'aspetto patrimoniale; come l'actio
pro socio, in considerazione del ius
quodammodo fraternitatis tra le parti, portava alla limitazione della
condanna del convenuto all'id quod facere
potest, così l'actio rei uxoriae, in considerazione di un
qualche ius fraternitatis del genere
intercorso tra marito e moglie, portava alla stessa limitazione; come la
limitazione della condanna del socio convenuto era beneficium personale (inestensibile e intrasmissibile ad altri) di
lui socio, così la condanna del marito convenuto era fondamentalmente beneficium personale di lui
marito». Il modello della societas
fornisce quindi la spiegazione della non applicabilità del beneficium dell'id quod facere potest alla richiesta dei beni dotali tramite l'actio ex stipulatu: in quanto si tratta
di obbligazione nata prima dell'insorgere del vincolo matrimoniale-societario e
non ricadente, quindi, nel connesso regime[17].
Orbene, il Guarino
ravvisa una prova testuale di questa spiegazione del regime del beneficium competentiae in materia di actio rei uxoriae in Triph.12 disp. D. 42.1.52
[p. 185]
Si rerum amotarum cum viro agatur, quamquam
videatur ea quoque actio praecedentis societatis vitae causam habuisse, in
solidum condemnari debet: quoniam ex male contractu et delicto oritur[18]
che egli
così interpreta: «Avvenuto il divorzio la moglie accusa il marito
di aver rubato durante il matrimonio (e divortii
causa, in vista del divorzio) ai suoi danni: pertanto propone contro di
lui, per la restituzione del maltolto, un'actio
rerum amotarum (termine equivalente, nel nostro caso, a condictio ex causa furtiva, l'azione
intesa alla restituzione delle cose rubate). Ma l'actio rerum amotarum
è un'azione nascente da delitto ... Siccome la condanna in id quod facere potest non spetta quando
si è convenuti ex delicto
(cfr., in subiecta materia, Paul 37 ed., D.
25.2.21.6), Trifonino conclude che il marito deve essere condannato nel solidum. Ma perché una disputatio a questo proposito?
Perché si è fatto leva da alcuni sul fatto che anche l'actio rerum amotarum... trova la sua
ragion d'essere (come l'actio rei uxoriae)
nella societas vitae[19],
cioè nel matrimonio ... Dal che si deduce che la limitazione della
condanna nell'actio
[p. 186]
rei
uxoriae
(azione non da delitto) è giustificata dal fatto che il matrimonium è una societas vitae, è qualcosa di
analogo alla societas».
Due osservazioni.
La prima – di totale adesione – è che nella applicazione del
limite dell'id quod facere potest alla
condanna del marito convenuto con la actio
rei uxoriae il Guarino rintraccia una ulteriore prova del carattere non
meramente, genericamente 'fattuale -
sociologico' (o, eventualmente, 'isolatamente' religioso), ma implicante invece precise conseguenze sul piano
del regime giuridico, della concezione del matrimonio come societas presso i giuristi (anche) 'classici'.
Una seconda –
più problematica – osservazione è che, in – parziale
– contrasto con la sua propria tesi, il Guarino sembra ritenere che
Trifonino – assieme ai più – non condivida la concezione
societaria del matrimonio. Il Guarino, infatti, postulando una – sia pure
marginale – manipolazione 'post-classica' del testo in esame, corregge la
espressione "quamquam videatur ea
quoque actio praecedentis societatis vitae causam habuisse" in: "quamquam quibusdam videtur etc." I
"quidam" così
evocati sono – pare senz'altro di capire – Nerva - Cassio e i loro (pochi)
seguaci. Il ragionamento del Guarino è chiaro: i giuristi che
riconnettevano la actio rerum amotarum alla societas vitae coniugale e, quindi, alla mancanza di furto tra
coniugi dovevano ritenere – a differenza di Trifonino[20]
– applicabile a tale actio il
cd. beneficium competentiae, dal
momento che non la consideravano ex
delicto orta. Con ciò, però, la concezione del matrimonio
come societas risulta, nella
complessiva ricostruzione del
[p. 187]
Guarino, per un verso diffusa e foriera di
conseguenze di regime giuridico universalmente accolte, ma al contempo, per
altro verso, appannaggio di pochi giuristi i quali le riconnettono conseguenze
di regime altrettanto tiepidamente condivise. Per di più tale discrasia
è ottenuta attraverso la correzione del testo di Trifonino trasmessoci
dal Digesto. Se invece teniamo ferma
la tesi (già anche a me apparsa più pianamente plausibile)[21]
della comune concezione del matrimonio come
societas (dalla quale, piuttosto, soltanto alcuni – Nerva e Cassio
– facevano discendere la conseguenza della impossibilità della
fattispecie del furto fra coniugi) non è necessario supporre distorsioni
'post-classiche' del testo di Trifonino e questo ultimo diviene anzi conferma
esplicita di quella tesi (dal momento che Trifonino afferma sia la societas vitae coniugale sia la natura
di furto delle amotiones uxoriae) risultandone anche rafforzata
– mi sembra – la medesima spiegazione del Guarino del fondamento
del cd. beneficium competentiae nella
actio rei uxoriae.
Val la pena
confrontare, ai fini di una valutazione delle tendenze dottrinali in atto, la
tesi del Guarino con quella espressa nella stessa materia, all'inizio del
secolo, dallo Zanzucchi: «accostare a questa <l'actio pro socio> l'actio
rerum amotarum per causa della societas
vitae che esiste tra coniugi è
un pensiero da far spiritare un giureconsulto di mente anche meno elevata di
Trifonino»[22].
[p. 188]
Per quanto concerne
lo specifico tema della origine e del fondamento del iudicium singulare della actio
rerum amotarum secondo i giuristi 'classici', i testi di Trifonino in questa
materia possono costituire qualche cosa di più della semplice conferma
della tesi che le opinioni di Nerva - Cassio e di Sabino - Proculo non si
contrapponessero tra loro sulla esistenza della societas vitae coniugale e del conseguente status di quodam modo domina
della uxor, bensì soltanto
sulle conseguenze discendenti, in ordine al regime del furto tra coniugi, da
tali societas vitae e status.
I testi di Trifonino
(D. 25.2.9 e 42.1.52 citt.)
permettono infatti la individuazione, nella discussione antica circa la origine
della actio rerum amotarum, di una
opinione 'terza' rispetto a quelle (sin'ora considerate nella contrapposizione
paolina) di Nerva - Cassio e Sabino - Proculo.
A differenza di
Sabino - Proculo, Trifonino richiama la societas
vitae a proposito (della inesperibilità della actio furti tra coniugi e) del conseguente ricorso alla actio rerum amotarum, ma mentre Nerva -
Cassio fanno discendere dalla societas
vitae (e dal connesso -con-dominio) la impossibilità del furtum, Trifonino afferma esservi la
possibilità di tale delitto.
Simile alla
posizione di Trifonino in materia di furto e conseguente actio rerum amotarum tra coniugi appare la posizione
dell'Imperatore Gordiano, il quale, in materia di expilatio hereditatis, ricorda essere assunta la uxor nella domus quale socia rei humanae
atque divinae onde giustificare la asserita impossibilità di
esperire contro la uxor la
corrispondente actio:
[p. 189]
Adversus uxorem, quae socia rei humanae
atque divinae domus suscipitur, mariti diem suum functi successores expilatae
hereditatis crimen intendere non possunt (CJ.
9.32.4 anno 242 d.C.).
L'orientamento
giurisprudenziale a ridurre ad una unica ratio
il regime della persecuzione del furtum
fra coniugi e quello della expilatio
hereditatis del coniuge defunto appare desumibile da Herm. D. 47.19.5[23]
e dalla costituzione emanata da Diocleziano circa 50 anni dopo quella di
Gordiano[24].
In realtà, il testo della costituzione di Gordiano non ci permetterebbe
di escludere in termini rigorosi addirittura un suo allineamento alla opinione
di Nerva - Cassio. Neppure però ci consente di affermarlo. La
espressione "crimen intendere",
propria del linguaggio processuale[25],
permette infatti di leggervi con certezza soltanto la negazione dell'actio, non del crimen expilatae hereditatis.
Il ragionamento
giuridico di Trifonino (e di Gordiano) può essere ricostruito
considerando che, pure non costituendo (più: nel III secolo d.C.)[26]
la societas
[p. 190]
anche coniugale impedimento alla
possibilità di realizzare la fattispecie del furtum nei confronti
della res communis, resti la memoria
di una epoca in cui la societas vitae
coniugale comportava invece quella conseguenza, la quale si sarebbe quindi
mantenuta -possiamo integrare- 'constituto
iure'. Si tratterebbe, allora, di una spiegazione della mancanza di actio furti e della sua sostituzione con
la actio rerum amotarum nel III secolo
d.C. che rammenta quella di Sabino - Proculo nel I secolo, con la -rilevante-
differenza di vedere quale precedente del constitum
ius non lo status di loco filiae della uxor bensì quello di una societas
con conseguenze funzionali diverse dalle contemporanee.
Si noti, infine,
che Trifonino va annoverato tra quei giuristi i quali affermano una sorta di
condominio coniugale sulla dos, vale
a dire su quel segmento patrimoniale specificamente destinato a sopportare gli onera matrimonii[27]:
quamvis in
bonis mariti dos sit mulieris tamen est (D. 23.3.75)[28].
[2] Gell. n.A. 4.3.2 Servius quoque Sulpicius in libro, quem composuit de dotibus, tum
primum cautiones rei uxoriae necessarias esse visas scripsit, cum Spurius
Carvilius, cui Ruga cognomentum fuit, vir nobilis, divortium cum uxore fecit,
quia liberi ex ea corpori vitio non gignerentur, anno urbis conditae
quingentesimo vicesimo tertio (M.Atilio,
P.Valerio Consulibus).
[3] Ulp. D. 25.2.17.1 Divortii causa res amotas dicimus non solum eas, quas mulier amovit,
cum divortii consilium inisset, sed etiam eas quas nupta amoveret, si, cum
discederet, eas celaverit.
[6] MARRONE, in Tijd. cit. 468 s.; LEMOSSE, in RHD cit. 470; contra LABRUNA, in Latomus cit. 24 (1965) 717.
[7] Oppure, se l'essere
quodammodo domina della uxor in manu dipenda, ovverossia sia
qualificato in maniera particolare rispetto a quello dei figli dalla sua societas vitae con il maritus. In altri termini, sotto un
profilo strettamente logico, è lecito pensare che si possa (si sia
potuto) sostenere la assoluta coincidenza dello status di quodammodo domina
della uxor rispetto a quello dei liberi pure ammettendo la di lei societas vitae con il maritus. A patto però che si
creda a una concezione della societas
vitae, da parte di Sabino - Proculo e di quanti ne seguono la opinione,
totalmente svuotata di significato giuridico. Ciò che per un verso
coinciderebbe nella sostanza giuridica con il mero rifiuto della idea stessa
della societas coniugale e per altro
verso implicherebbe un atteggiamento dei giuristi dinnanzi alle categorie
giuridiche del quale il Solazzi ha – giustamente – negato la
possibilità.
[8] Si noti che,
nell'esporre l'argomento di Nerva - Cassio, Paolo pone l'accento appunto sulla societas vitae "quia societas vitae quodammodo dominam eam
faceret".
[9] P.VOCI, Diritto ereditario romano. Parte
generale (Milano 1960) 36. Si noti che il Voci, così seguendo la
dottrina che registra tutt'ora il più alto numero di sostenitori crede
alla genuinità 'classica' dei testi in questione (tra gli
ultimi: A.MAGDELAIN, Les mots 'legare' et
'heres' dans les XII Tables in Hommages
Schilling - Paris 1983 - 172 s.). Vi ha, però, anche chi, considerandoli
inconciliabili con il complesso dogmatico-sistematico del Diritto romano li
crede di valore meramente sociale (ricordo in particolare P.BONFANTE, Corso di diritto romano IV Le successioni
- Città di Castello 1930 - 230 ss.), e chi invece, pure sulla scorta di
quella medesima premessa, li ritiene più o meno gravemente interpolati,
giudicando - per altro giustamente,
a mio avviso - che i giuristi romani non facessero affermazioni del
genere senza corpose implicazioni di regime giuridico (così soprattutto
S.SOLAZZI, Diritto ereditario romano
- Napoli 1932 -161 ss.; La comunione
domestica nei rescritti di Diocleziano in Iura 5 - 1954 - 151 ss. «Il mio argomento principale (e
oserei chiamarlo decisivo) è che Gaio, se voleva ricordare un principio
del diritto più antico ed evitare che i suoi lettori credessero alla
persistenza del concetto enunciato, avrebbe con olim o con altra locuzione definito il tempo a cui intendeva
riferirsi; se poi si trattasse di un concetto morale o sociale, sarebbe stato
necessario avvertirlo, perché altrimenti in un'opera giuridica la proposizione domini existimantur non potrebbe essere accolta con un valore
diverso da quello del diritto dominicale.»; 'Quodam modo' nelle Istituzioni
di Gaio in SDHI 19 -1953- 513 ss. ora in Id., Scritti di Diritto romano V (1947-1956) - Napoli 1972 -; cfr., supra, prgf.II 1). Per altre indicazioni
bibliografiche v. il mio 'Pater et filius
eadem persona'. Per lo studio della
'patria potestas' I (Milano 1984) 38 ss. Adde, tra i sostenitori della classicità
dei testi in argomento V.SCIALOJA, Diritto
ereditario romano (Roma 1934) 26 e C.FADDA, Concetti fondamentali del diritto ereditario romano I (Milano 1949)
357.
[10] Il Riccobono, ad
esempio- conclude addirittura per la certa interpolazione di tutta la frase da
"potest enim" ad "actionem competere": «In
questo passo <Ulp. D. 47.2.45>
era, invece, sicuramente negata l'a.furti
al socio della res communis»
(S.RICCOBONO, 'Stipulatio' ed 'instrumentum' nel Diritto giustinianeo in ZSS
r.A. 35 -1914- 287 nt.2; cfr. Id., Dalla 'communio'
del diritto quiritario alla comproprietà moderna in P.VINOGRADOFF -a
cura di-, Essays in legal history -
Oxford 1913 - 56; e Stipulation and the
theory of contract tr.ingl. di J.Kerr Wilie, note e "Introduzione"
di B. Beinart - Amsterdam, Cape Town 1957 - 699. Per una più limitata
alterazione si pronuncia l'Albertario ('Animus
furandi' -1922- quindi in Id., Studi
di Diritto romano III Obbligazioni
- Milano 1936 - 209, mentre l'Albanese (La
nozione di 'furtum' da Nerazio a Marciano in AUPA 25 -1956- 263) considera tutto D. 47.2.45 pr. «giustificatissimo in Ulpiano (e forse in Sabino)».
Già senza sospetti anche F.SCHULZ, Die
Aktivlegitimation zur 'actio furti' in klassischen römischen Recht in ZSS r.A. 32 (1911) 94. In realtà -a prescindere dalla
intrinseca opinabilità delle asserite interpolazioni- a favore della 'classicità' del testo in esame
depone il confronto con Ulp. D.
17.2.45 che non risulta sospettato,
almeno per la parte che ci interessa (in proposito, v. per tutti O.LENEL, Das Sabinussystem in Festgabe Rudolf von
Jhering zu seinem Doctor-Jubiläum - Strasburg 1892 - 3 ss.). Mia
ipotesi è che Ulpiano riporti la innovativa soluzione (sabiniana?) di
una controversia sulla possibilità di configurarsi furto da parte del
socio a carico della res communis.
[11] Su cui v. alcune
interessanti osservazioni nel recente contributo di O.BEHRENDS, Le due giurisprudenze romane e le forme
delle loro argomentazioni in Index 12
(1983-84) 205 s.
[12] Sui discussi nessi tra
consortium ercto non cito e societas v.,
tra i contributi recenti, M.BRETONE, 'Consortium'
e 'communio' in Labeo 6 (1960)
164 ss.; A.TORRENT, 'Consortium ercto non
cito' in AHDE 34 (1964);
M.G.BIANCHINI, Studi sulla 'societas'
(Milano 1967) 30 ss.; F. BONA,
Società universale e società questuaria generale in diritto
romano in SDHI 33 (1967) 366 ss.;
A. GUARINO, 'Societas consensu contracta'
(Napoli 1967) 7 ss.
[16] Qui il Guarino si
riferisce a Ulp.31 ed. D. 17.2.63 pr.: Verum est quod Sabino videtur, etiamsi non universorum bonorum socii
sunt, sed unius rei, attamen in id quod facere possunt quodve dolo malo
fecerint quo minus possint condemnari oportere. hoc enim summam rationem habet,
cum societas ius quodammodo fraternitatis in se habet.
[17] Il Guarino
considera tale aspetto della disciplina dell'actio
rei uxoriae un così importante elemento (probatorio) della analogia
con l'actio pro socio da ritenere che
il venire meno di esso nella legislazione giustinianea (CI. 5.13.1 -a.530.- passim
ma spec.7 che unifica l'actio rei uxoriae
e l'actio ex stipulatu sotto la
comune arcaizzante denominazione di actio
ex stipulatu per la quale è comunque ammesso il cd. 'beneficium competentiae') sia prova
bastante del venire meno in quella stessa legislazione del motivo della societas vitae fra coniugi, sostituito
con il motivo della reverentia.
[18] Il Guarino
introduce la seguente ipotesi di restituzione del testo 'classico', che presume
manipolato in maniera non grave da giuristi post-classici: Si rerum amotarum cum viro agatur, quamquam [videatur] <quibusdam
videtur> ea quoque actio precedentis societatis vitae causam habuisse, in
solidum condemnari debet, quoniam ex [male contractu et] delicto <actio>
oritur. V. appena più avanti circa la più importante di
queste correzioni.
[19] E' qui palese il
riferimento del Guarino alla opinione di Nerva e di Cassio riportata da Paolo
in D. 25.2.1.
[20] Cfr. id. D. 25.2.9 Rerum amotarum aestimatio ad tempus quo amotae sunt referri debet: nam
veritate furtum fit, et si lenius coercetur mulier.
[24] …hereditatis expilatae crimine promiscuus
usus exemplo actioni furti ream uxorem fieri non patiatur (CJ. 6.2.17, a.294 d.C.).
[25] V., V.I.R.
s.v. "Intendere"; cfr.
A.BERGER, Encyclopedic Dictionary of
Roman Law (Philadelphia 1953) s.v. "Intendere".
[26] Si noti che la
espressione "in veritate" di D.
25.2.29 lascia intravedere la presenza, alla mente di Trifonino, della discussione
circa la configurabilità del furtum
tra coniugi, mentre di discussione non vi è traccia semantica alcuna
in D. 42.1.52, a proposito della
sussistenza della societas vitae
coniugale.