Università
di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-6
Riflessioni su Paul. D. 25.2.1
Sassari 1989
Cap. I
IL CARATTERE "COMUNITARIO" DEL DIRITTO DI
FAMIGLIA
NEL SISTEMA GIURIDICO ROMANISTA E IL DIRITTO ROMANO
Sommario: 1. La famiglia elemento di
unità e di resistenza del sistema romanista. 2. Lo schema storico-dogmatico della natura germanica e
anti-romana degli elementi 'comunitari' nei moderni diritti di famiglia, anche
nel sistema romanista e presso i "popoli latini". Nessi ideologici
con il tema della 'libertà individuale'. Contradizioni. 3. Le ipotesi, sulla origine dei regimi di comunione nei
moderni diritti di famiglia, che si richiamano al Diritto romano. 4. Due argomenti oggettivi per la ascendenza romanistica
dei regimi di comunione coniugale. 5. Ulteriori
aperture in dottrina e prospettive di ricerca sul rapporto tra Diritto romano e
regimi di comunione di beni tra coniugi. 6. L'analoga
vicenda scientifica della "comunione tacita familiare".
[p.
5]
E'
stato osservato[1]
che uno degli aspetti più significativi della riflessione giuridica
contemporanea è la individuazione, al di là dei diritti statali e
nazionali, di 'sistemi giuridici', che quei diritti includono e
superano, e che sono basati su realtà etniche, ideologiche, economiche
nonché, come è ovvio, in una comunità di caratteri
giuridico — formali e dottrinali.
Nel
più ampio quadro della contrapposizione del sistema giuridico romanista
al sistema giuridico anglosassone, del quale una caratteristica fondamentale
è precisamente l' "ultraindividualismo"[2]
una più specifica contrapposizione si trova in ordine alla
organizzazione familiare. E', del resto, notoria la capacità di
caratterizzazione da parte dell'istituto familiare (con la sua forza di
autoconservazione) per
[p.
6]
qualsiasi
ordinamento e/o sistema giuridicosociale. Con particolare riferimento al
sistema romanista latinoamericano[3]
si è osservato essere la "unità sociale"
[p.
7]
la famiglia, non
l'individuo[4];
la penetrazione del 'common law' tende a invertire tale concezione[5].
Il
carattere comunitario della famiglia nel sistema romanista — e la sua
contrapposizione in ciò al sistema anglosassone — emerge in
particolare dai regimi legali dei beni nel matrimonio.
Da
uno studio di diritto comparato dell'inizio del secolo, che prendeva in esame i
codici brasiliano, messicano, venezuelano, peruviano, cileno, argentino,
uruguaiano, costarricense e guatemalteco (oltre che quelli del "Bas
Canada" <Quebec> e della Europa latina: Francia, Portogallo, Italia,
Spagna, Romania, Belgio) i regimi matrimoniali legali ivi diffusi (con le
uniche eccezioni, allora, dell'Italia e della Romania)
[p.
8]
risultavano
essere quelli della comunione, in luogo di quello della separazione dei beni
proprio degli ordinamenti "angloamericani". Per altro l'autore (il
magistrato francese Raoul De
Si
tratta di una dottrina affermatasi — almeno nella forma oggi più
diffusa — a partire dalla 2^ metà del secolo scorso. Questa
dottrina che viene oggi ripetuta in forma corrente come verità fuori
discussione è connessa, con reciproco sostegno, alla dottrina ugualmente
dominante nella materia della natura e dei regimi del matrimonio romano e,
più in generale, nella materia della natura e del regime della famiglia
romana, vale a dire la materia della patria potestas e dell'insieme delle
persone che si trovano in essa.
Credo
per tanto che revocare in dubbio la dottrina della origine esclusivamente
germanica e a-romana o addirittura anti-romana dei regimi della comunione dei
beni tra coniugi può contribuire a riaprire un dibattito su natura e
regime o regimi della famiglia e del matrimonio nel Diritto romano.
[p.
9]
Premesso
che, come osservava lo Hinojosa, «El problema de los orígenes de
la comunidad de bienes entre cónyuges es uno de los más dificiles
de la historia del derecho medioeval»[7],
appare abbastanza chiaro che la dottrina della origine germanica dei regimi di
comunione riceve una strumentale e incisiva alimentazione da due ordini di
ragionamenti, i quali risultano non soltanto di ispirazioni tra loro —
almeno parzialmente — opposte ma anche con elementi di aporia al loro
proprio interno.
Ernest Glasson, noto comparatista francese della seconda
metà del secolo XIX scriveva: «Les nations modernes ont toutes,
sauf l'Angleterre, préféré la propriété
romaine <alla "propriété collective des
Germains">, même celles qui n'appartiennent pas à la race
latine, comme, par réciprocité, à la famille romaine on a
substitué‚ chez les peuples d'origine latine l'organisation de la
famille germanique.» Ciò non costituerebbe —
secondo il Glasson — una contradizione ma «la consequénce
forcée, irresistible du progres sociale»[8],
[p.
10]
il cui motore
è costituito, sempre secondo il Glasson, dalla "libertà
individuale". Infatti
«Chez les Romains comme chez les Grecs, l'Etat ou la cité absorbe les
personnes. Les anciens n'ont pas connu la liberté individuelle. Si l'on
veut retrouver le germe de cette liberté, c'est en Germanie qu'il faut
se transporter. ... Le triomphe de la famille germanique sur la famille
romaine, celui de la propriété romaine sur la
propriété germanique et féodale ne s'expliquent pas
autrement. La famille romaine a succombé parce que elle était
incompatible avec l'indépendance de l'individu; au contraire, la
propriété romaine assurant mieux la libert‚ de l'individu
que la propriété collective des Germains, a
survécu.»[9]
In
epoca moderna dunque, in obbedienza — si direbbe — alla logica
evolutiva e/o a quella della tendenziale coincidenza tra razionale e reale, si
sarebbero combinati in un unico sistema elementi provenienti da sistemi
diversi, entrambi invece in sé contradittori: il sistema del Diritto
romano individualista nella proprietà e antiindividualista nella
famiglia e il sistema del diritto germanico individualista nella famiglia e
antiindividualista nella proprietà.
Si
tratta di una costruzione che appare sbilenca a colpo d'occhio in quanto,
mentre postula una esigenza di razionale reductio
ad unum della logica animante il sistema giuridico moderno, nega quella
stessa esigenza per i sistemi antichi; e ancora più se si considera che
il regime 'germanico' dei beni nel matrimonio sarebbe il regime niente affatto
individualista della comunione, che si imporrebbe su quello 'romano' della
dotalità e divisione.
[p.
11]
E' ben vero che
la vicenda giuridica affermata e spiegata dal Glasson è quella della patria potestas: «la puissance
paternelle était la base de la famille romaine, cette base a
été renversée, et partout aujourd'hui la famille ne repose
plus que sur le mariage»[10];
il sostituto della 'famiglia patriarcale romana' offerto dalla e per la
società individualista, magnificata e auspicata dal Glasson, è la
famiglia – coppia[11]
di cui si afferma la origine germanica. I temi del regime dei beni —
anche — nel matrimonio e della patria
potestas sono tuttavia strettamente connessi. La affermazione del Glasson che «La famille romaine
des Douze Tables est une institution politique, comme la cité. Le pater familias, magistrat et chef
suprême, absorbe tout en sa personne»[12] può — ad esempio — bene essere
integrata con quella coeva dell'Esmein: «Les anciens Romains, en effet,
ont eu l'idée
[p. 12]
de cette communauté‚ des biens dans la famille qui, chez les
Germains et les Slaves, produit parfois des effets si nets et si puissants:
mais, tant que vit le père, ils n'en ont fait naître aucun droit
des membres contre le chef.»[13]
Il
ragionamento del Glasson si inscrive nello schema storiografico e giuridico
liberale della contrapposizione della libertà degli antichi alla
libertà dei moderni[14];
questo ultimo quindi rielaborato nella formula del «cittadino romano
servo nello Stato e despota nella famiglia», con cui lo Hegel (in
ciò seguito dal Mommsen) costruisce il farsi (attraverso il superamento
di fasi meno perfette) della — sua — idea di Stato e della connessa
separazione pubblico — privato, dove il privato coincide, appunto, con il
familiare[15].
[p.
13]
La
concezione storico-dogmatica del diritto, sinteticamente rappresentata nelle
proposizioni del Glasson, è chiave di lettura e, al contempo, di
orientamento della realtà giuridica coeva: la 'famiglia patriarcale romana'
sarebbe venuta meno perché illiberale; ai fini del progresso
(cioè del necessario affermarsi del valore della libertà
individuale) è opportuno che la 'famiglia
patriarcale romana' scompaia[16].
Nella
stessa epoca si va però affermando, sopra tutto in ambiente germanico,
la idea del carattere individualista del Diritto romano "classico" 'tout court', del quale carattere anzi il regime familiare
[p.
14]
diviene prova
specifica, a ciò non ostando il potere del pater familias, in quanto inteso come manifestazione estrema di
egoismo e di scarso interesse per i 'sottoposti'[17].
Il regime romano del matrimonio cd. libero sarebbe la reazione estrema —
ma, per tanto, in qualche modo speculare — al regime cd. della manus[18].
La
tesi del carattere individualista, ai massimi livelli possibili del regime
coniugale romano 'classico',
troverà nella formulazione dello Schulz la asserzione più
autorevole e più fortunata[19].
In
questo contesto però la idea del carattere complessivamente
individualista del Diritto romano si tramuta da argomento a favore della
applicazione di tale diritto (specie nella sua configurazione 'classica') in argomento di suoi critica e ripudio.
[p.
15]
Ciò
si spiega con le novità del clima politico culturale europeo continentale
e specialmente tedesco post-quarantottesco, caratterizzato dalle dottrine
organiciste[20].
[p.
16]
Alla
fine del secolo, nei circoli 'progressisti' e riformatori tedeschi trovavano infatti
accoglienza le idee, alimentate dai germanisti, contrarie al Diritto romano. In
particolare, veniva rimproverato alla tradizione giuridica romanista, specie
nel recupero effettuatone dalla stessa Pandettistica tedesca, il carattere di
«strumento della società capitalistica organizzata nello stato di
diritto a egemonia borghese», con la conseguente esaltazione di tutti gli
aspetti individualistici[21].
Nel
1895 Max Weber osservava che gli istituti giuridici «che oggi, in una
prospettiva riformatrice risultano più impopolari, sono imputati in
blocco al diritto romano», mentre le idee nuove e le nuove esigenze
maturate «in campo politico e giuridico, o che sono consone alle
aspirazioni soggettive del riformatore, per una sorta di sciovinismo vengono
senz'altro attribuite al diritto tedesco[22].
[p.
17]
Anche
questa, pur diversa, ottica si avvale della — e alimenta la dottrina
della origine germanica del moderno diritto di famiglia nel sistema giuridico
romanista, con specifico riferimento ai regimi più diffusi della
comunione di beni tra coniugi.
Un altro comparatista e studioso dei regimi matrimoniali,
lo svizzero Ernest Roguin, scriveva nel 1905: «Comme il arrive dans
beaucoup de pays, mais spécialement en Allemagne, des
préoccupations contemporaines ont agi inconsciemment sur les
systèmes des historiens, malgré l'éminence de ceux-ci. A
la fin du dix-neuvième siècle, il s'agissait de doter l'Empire
allemand d'un code civil uniforme. Quelques juristes, au premier rang desquels
se trouvait Gierke, désiraient que l'on adoptât comme regime
légal la communauté. Mais, ils ne pouvaient songer à
arriver à ce résultat sans demontrer que ce régime
était essentiellement germanique ...»[23].
[p.
18]
La
fondatezza della connessa concezione individualista del Diritto romano nel suo
insieme (concezione che ha costituito, per un verso, il presupposto dottrinario
del famoso paragrafo 19 dell’"immutabile programma" del partito
nazionalsocialista tedesco contro il Diritto romano e 'per' un "deutsches
Gemeinrecht" e, per altro verso — in un periodo storico preciso
— , il presupposto della ostilità del campo marxista[24])
è stata contestata abbastanza per tempo[25].
Tuttavia è una concezione tutt'altro che sradicata e uno dei settori in
cui maggiormente continua a prosperare è proprio — un po'
curiosamente, tutto sommato — quello del regime familiare. Dando
brevemente notizia
[p.
19]
della apparizione[26]
dell'articolo di G.Gaudemet, Gli aspetti comunitari del matrimonio romano,
M.Bretone scrive[27]:
«Che i giuristi classici, riprendendo motivi diffusi nella coscienza del
loro tempo, parlino talvolta di una societas
fra gli sposi, è cosa che si deve ammettere (v., per quanto molto
discussi, D.23.2.1; D.25.2.1; D.42.1.52; v.anche CI.9.32.4
— Gord., a.242 — ); ma non riguarda, nemmeno indirettamente, il
regime giuridico dei beni. ... Nonostante l'acuto tentativo dello studioso
francese, rimane dunque ancora ferma la conclusione dello Schulz (I principii del diritto romano...):
"L'idea della comunione di beni fra coniugi è radicalmente esclusa,
quantunque corrisponda anche in Roma al sentimento giuridico popolare e
quantunque la massima 'uomo e donna non hanno beni separati' risponda
all'ideale romano"». La dottrina dello Schulz — integralmente
ripresa dal Bretone — mi appare esemplare, in maniera evidente, del
difetto di attenzione per il ruolo fondamentale del "costume" nella
formazione del diritto; difetto che, secondo la acuta osservazione del Gallo,
"l'esaltazione del ruolo verticistico dell'operatore giuridico" e la
"adesione ad un astratto principio della divisione dei poteri" hanno
provocato nella dottrina romanistica[28].
Per
altro, come succede con le coperte troppo corte, neppure in questa variante, la
logica dello schema delle origini, nel moderno sistema romanista (origine
germanica del diritto di famiglia con la specificità
[p.
20]
dei regimi di
comunione coniugale dei beni e origine romana del diritto di proprietà)
riesce a 'tenere tutto dentro'. Semplicemente, la aporia eliminata
dal sistema del Diritto romano antico (che sarebbe intieramente individualista)
riappare sul terreno della tendenza del sistema romanista moderno che
risulterebbe così per metà individualista (regime della
proprietà) e per metà comunitaria (regime della famiglia).
[p.
21]
In
realtà prima dell'impatto sulla dottrina delle preoccupazioni
germanistiche di cui parla il Roguin a proposito dei padri del BGB, vi ha una
notevole varietà di teorie sulla origine dei moderni regimi matrimoniali
della comunione dei beni.
Tra
quelle che cita lo stesso Roguin vi è la teoria della origine puramente
romana. Tale teoria si fonda su alcuni passi del Digesto che menzionano la costituzione di società di beni
tra i coniugi: D.34.1.16.3 e
24.1.32.24[29].
Vi sono anche coloro che vedono l'archetipo dei regimi di comunione nel
più antico matrimonio romano. Tra di essi ricordo in particolare il de
Mello Freire (autore del primo e fondamentale trattato di diritto civile
portoghese) il quale si rifà alle leggi regie di cui in Dion.Hal. 2.25.1
e Plut. Rom. 22. La dottrina del
Freire mi appare particolarmente indicativa in quanto egli, mentre afferma che
tale antica comunione non si sarebbe mantenuta nel Diritto romano e sarebbe
quindi risorta nel diritto portoghese (consuetudinariamente, per essere poi
sancita da Alfonso V nelle sue 'ordinazioni'), usa le categorie propriamente
romanistiche — specialmente quella della societas — sia per costruire nel 'diritto portoghese'
l'istituto della comunione sia per fondarlo sul piano della opportunità[30].
[p.
22]
Vi
è quindi la teoria della origine gallica, che si fonda invece su un
passo del De bello Gallico di Cesare
(4.19): «Viri quantas pecunias ab uxoribus
dotis nomine acceperunt, tantas ex suis bonis aestimatione facta cum dotibus
communicant. Huius omnis pecuniae conjunctim ratio habetur, fructusque
servantur; uter eorum vita superavit, ad eum pars utriusque cum fructibus
superiorum temporum pervenit.» Anche tale teoria postula comunque
l'intervento del Diritto romano. Un testo di Ulpiano (D. 23.3.9.3) dice che i Galli chiamano peculium ciò che i Greci chiamano paraferna. Esso viene ricordato per affermare che, all'epoca della
conquista romana, le donne dei Celti erano sottoposte quanto e più delle
mogli in manu al potere dei mariti,
nel cui patrimonio i loro beni venivano 'assorbiti'. E' allora per influsso del Diritto
romano che si sarebbe prodotta una evoluzione nel senso di riconoscere a una
parte dei beni femminili il regime del peculium,
ciò che avrebbe condotto, con il tempo, a un regime di natura
comunitaria[31].
[p.
23]
Anche
la teoria della origine germanica della comunione dei beni coniugali contempla
in una prima formulazione, l'intervento del Diritto romano. Secondo tale
formulazione, la base del regime comunitario starebbe nel sistema, proprio
delle leggi barbariche, del mundium
maritale e della dote femminile. Scrive a tale proposito il Ginoulhiac (uno dei
più eminenti sostenitori di questa formulazione) che[32]
«principe qui est l'expression du droit national, l'élement
germanique pur dans le mariage, c'est le mundium
marital.» Si tratta — anche qui, come per il diritto dei Celti
— di un potere sulla donna e sui suoi beni di grande estensione e
intensità[33]
che però, presso le città libere dei secoli XIV e XV, è
limitato nei confronti della dote femminile dall'obbligo della sua
conservazione e — eventuale
— restituzione: «Das Wieber Gut darf weder wachsen, noch
schweinen.»[34]
Nel XVI secolo le esigenze del commercio esaltano l'apporto economico femminile
e ne richiedono la possibilità di mobilizzazione, problema giuridico che
— occorre sottolinearlo — si risolverebbe grazie all'apporto di
sussidi romanistici: «Ajoutez à cela — dice il Ginoulhiac
— l'influence de la loi romaine, dont l'étude s'était
répandue en Allemagne, et qui fit appliquer lors de la révision
des statuts, les principes de la société à l'association
coniugale, et la communauté des biens fut constituée.»[35]
[p.
24]
Questo
insieme di dottrine cede quindi il campo, sotto la spinta — pare, come
già si è detto — di motivazioni ideologiche, a quella della
risalente origine germanica della comunità di beni fra coniugi.
Va
comunque ricordato che, secondo la variante più diffusa di tale ultima
dottrina, un ruolo importante nel definirsi — in ambiente e su radici
germaniche — del regime coniugale della comunione dei beni spetterebbe al
Cristianesimo[36].
Ora, anche per questa via si può ritrovare una presenza del Diritto
romano attraverso la influenza della concezione giuridico-religiosa romana del
matrimonio, che — secondo autorevoli opinioni — dura
ininterrottamente dalla epoca arcaica sino a quella giustinianea e che
condiziona fortemente la concezione cristiano — canonica[37].
[p.
25]
Ciò
che dunque — a un esame complessivo della dottrina — appare,
rifuggendo dalle posizioni estreme — più credibile è una
commistione di elementi giuridici germanici e romani nel formarsi del regime
della comunione legale dei beni, commistione nella quale neppure è detto
che l'elemento germanico abbia una parte leonina.
Sono
due gli argomenti che militano a favore di un ruolo quanto meno importante del
Diritto romano in questa materia; essi sono: la mancanza della comunione in
contesti dominati da tradizioni giuridiche germaniche e in cui il Diritto
romano è stato (o è divenuto) sostanzialmente ininfluente e, per
converso, la presenza della comunione in contesti in cui dominante è la
presenza del Diritto romano mentre è stato ininfluente l'elemento
germanico.
Il
Glasson divide i paesi europei a seconda che il Diritto romano vi domini, si
sia fuso con quello germanico oppure non vi si sia fatto sentire. Tra questi
ultimi il più importante è l'Inghilterra. Il diritto, la lingua e
i costumi romani erano stati adottati dalle popolazioni celtiche della Gran
Bretagna durante i quattro secoli di appartenenza all'Impero romano, dalle
campagne di Giulio Cesare nel 54-
[p.
26]
delle più
dure tra le invasioni germaniche, la invasione degli Anglosassoni a partire
dalla prima metà del V secolo. I falliti tentativi, nei secoli XI e XII,
dei re normanni successori di Guglielmo il Conquistatore di reintrodurre in
Gran Bretagna lo studio del Diritto romano (oltre che la lingua francese)
alimentarono quindi l'avversione anglosassone nei confronti di questo Diritto[39].
Il diritto civile inglese, o 'common
law'[40],
deriva per tanto da due fonti principali: l'una — più antica
— sassone e la seconda — che data dall'XI secolo — normanna,
le quali sembra non dovessero essere in principio troppo divergenti, anche se i
rispettivi confini sono incerti. Il regime familiare di 'common law', definito di
"absorption" della donna (caput
e beni) da parte del marito, sarebbe stato in origine diffuso — come
abbiamo ricordato — presso i popoli germanici in generale (nonché
presso i Celti), ed è stato accostato (sulla base anche di prospettive
storiche di tipo evoluzionistico) al regime romano della manus maritale[41].
Soltanto presso i popoli anglosassoni — ove cioè la influenza del
Diritto romano è mancata — tale regime ha però avuto una
lunghissima vita: sino alla 2^ metà del secolo scorso, quando —
prima presso alcuni Stati nord-americani e, quindi, nella stessa Inghilterra
— si è
[p.
27]
avviato un
processo legislativo che, in breve volgere di tempo, ha sancito invece il
regime della assoluta separazione di beni tra i coniugi[42].
Ma
la prova principale della infondatezza della diffusa nozione della origine
esclusivamente germanica — anche presso i popoli latini — della comunione
di beni fra coniugi è stata fornita, in svariati studi, da uno storico
italiano del diritto intermedio, M.Roberti, il quale ha documentato la presenza
di tale regime «in terre, come la Sardegna, che possiamo con ragione
ritenere libere dalla preponderante influenza straniera e dove istituti romani
e greco-romani continuano a svolgersi sotto la pressione più o meno
sensibile delle condizioni economiche locali»[43].
[p.
28]
Il
Roberti però — chiaramente condizionato dalla dottrina del
carattere 'individualista' del regime giuridico 'classico' del matrimonio romano — è in difficoltà a
spiegare positivamente il sorgere, in età medievale, di un "diritto
popolare romano" che sarebbe in ipotesi così radicalmente diverso
dal "diritto romano classico", se non presupponendo una altrettanto
radicale innovazione del regime matrimoniale già nello stesso Diritto romano: prima durante l'epoca
cd. post-classica e, quindi, con Giustiniano; sia per influenze orientali sia
per influenze cristiane[44]
[p.
29]
Ora,
se le considerazioni sin'ora svolte ci affrancano dall'obbligo di dovere
credere — un poco assurdamente — che un istituto (quale la
comunione coniugale dei beni) caratterizzante in varie forme gli attuali
sistemi fondati sul Diritto romano sia precisamente estraneo o, addirittura, opposto allo "spirito" di quel
diritto e soltanto penetrato nei sistemi romanisti odierni per influenza
germanica (come vuole la dottrina tutt'ora più diffusa), neppure
è necessario (come invece vorrebbe il Roberti) considerarlo uno
stravolgimento 'post-classico' di quel medesimo Diritto.
Per
altra via — con riferimento allo specifico della esperienza giuridica
spagnola — giunge ora a conclusioni assai simili a quelle del Roberti il
García Garrido. Questi afferma che il sistema «mas generalizado en
el derecho histórico español» il «sistema de los
gananciales», vale a dire la variante spagnola della comunione —
relativa — dei beni, trova «su origen en la tradición
romanística»[45]-[46].
[p.
30]
Anche
secondo il García Garrido, sarebbe stato sopra tutti Giustiniano,
riprendendo e perfezionando spunti della tarda legislazione imperiale[47],
a tracciare «las líneas maestras de un nuevo régimen
jurídico-patrimonial entre conyuges, susceptible de una nueva
evolución hacia la comunidad de bienes»[48]
che si trova — per quanto attiene la successiva, specifica esperienza
spagnola — nella comunità di acquisti del diritto visigoto[49].
Il
García Garrido compie tuttavia un ulteriore passo — significativo
di una nuova sensibilità nella dottrina — nel senso della
revisione già avviata dal Roberti. Le 'innovazioni' degli Imperatori del
V secolo e poi di Giustiniano sarebbero radicate nella
[p. 31]
"comunità
d'uso dei beni" propria già al Diritto romano 'classico'. Per altro, il
valore del riferimento operato dal García Garrido della vicenda della
comunità coniugale dei beni a questa fase del Diritto romano è
compromesso dalla contestuale citazione della tesi schulziana per cui non il ius ma la humanitas «hace que
de echo los cónyuges
vivan en comunión de bienes»[50].
In
realtà, non soltanto — come già osservava lo Jehring
— è comunitario il più antico regime patrimoniale del
matrimonio romano[51],
e — come si va ora notando in dottrina — è un regime
oggettivamente prossimo a una situazione di comunione il regime patrimoniale
coniugale quale emerge dal Corpus iuris.
Già
un generale esame delle fonti romane giuridiche e letterarie in materia di
matrimonio, ci consente di raccogliere una serie ampia e sostanzialmente
coerente di testimonianze, riferentisi sia alla epoca arcaica sia alla epoca 'classica' (serie su cui non appare avere un effetto di crisi il venire meno
della pratica della conventio in manum),
circa la natura societaria e comunitaria di tale matrimonio (nonché
— ma questo è tema che esorbita il presente studio — la sua
tendenziale durata 'per la vita' e il suo fulcro funzionale nella
procreazione e nella educazione dei figli)[52].
La gestione unica da parte del marito di
[p.
32]
un patrimonio in
parte recato da lui medesimo e in parte dalla donna, cui corrispondono una
serie di poteri femminili di controllo[53]
e di gestione che possiamo complessivamente chiamare 'potere delle chiavi'[54],
la divisione dei beni in caso di ripudio/divorzio sia nei matrimoni cd. cum manu[55]
sia nei matrimoni cd. sine manu[56],
in specie per questi ultimi la scarsa rilevanza dei beni parafernali (per altro
essi stessi tendenzialmente rientranti nella unificante amministrazione
maritale)[57],
la funzione di sostentamento degli onera
matrimoniali attribuita alla dote (ovvero a quella sezione del patrimonio su
cui più si era venuta formalizzando — a séguito anche della
[p.
33]
sopravvenuta
capacità ereditaria dei figli nei confronti della madre oltre che del
padre — [58]
la concorrenza di diritti uomo — donna)[59],
il concorso complementare delle funzioni economiche maschili e femminili nel
quadro della azienda familiare[60],
sono tutti elementi che continuano a fornire concretamente corpo alla antica
concezione romana del matrimonio come societas
coniugalis (o, più tecnicamente, come consortium omnis vitae) e che alla loro volta da quella concezione
traggono la organica ragione d'essere, vicendevolmente spiegandosi e
alimentandosi. In
particolare appare pregnante di implicazioni una di tali fonti: Paul. D. 25.2.1, il cui esame, se certamente
non può sostituire una lettura dogmatico-sistematica del complesso di
quelle fonti capace di contrapporsi alla lettura dominante, può —
quanto meno — aspirare a servirne di stimolo e premessa. Il titolo 25.2
del Digesto disciplina l'istituto
della actio rerum amotarum: è
a proposito di questo istituto[61]
che troviamo, nelle fonti, il più chiaro ricorso, in termini di fondazione
dei connessi regimi, alla natura societaria del matrimonio e, nella dottrina,
le maggiori aperture al valore giuridico di quella natura[62].
Questi elementi e questa concezione del matrimonio, nel quadro
[p.
34]
della
corrispondente concezione cristiana (i cui nessi di affinità
storicamente determinati con quella romana già abbiamo ricordato)[63],
convergendo (talvolta) con elementi dei regimi matrimoniali dei popoli
germanici, sono semplificati in quel regime di comunione a formazione mista
(maschile e femminile), a conduzione prevalentemente maritale e di divisione a
fine matrimonio che caratterizza i diritti romanisti moderni e che — non
casualmente — resta diffuso (pure con limiti: riduzione ai beni mobiliari
e agli acquisti) tra i "popoli latini".
[p.
35]
Se
si può, quindi, riprendere (nella ottica di uno studio del "Diritto
romano attuale", elemento di unità e di resistenza del sistema e dei
sub/sistemi romanisti) l'esame della organizzazione familiare e, in
particolare, del matrimonio: natura e regime/i, merita anche — nella
medesima chiave prospettica — segnalare gli aspetti di possibile
interesse di un istituto per più versi vicino a quello della comunione
coniugale e che, forse non casualmente, registra una analoga vicenda
scientifica. Si tratta della cd. "comunione tacita familiare" (o
"société taisible"), istituto diffuso in gran parte
dell'Europa ancora in epoca moderna ma che ha avuto scarsa fortuna nelle
codificazioni contemporanee[64].
Queste società, dette pure "fraterne" presentano le famiglie
agricole organizzate in società tacite ereditarie, comprendenti sotto
uno stesso tetto tutti i membri della famiglia senza distinzione di sesso (ma
vale la linea agnatizia), costituite attraverso la comunione di abitazione e di
mensa, durata per un anno e un giorno, lavorando sulla stessa terra per un
comune scopo di guadagno e compartecipando della cassa comune[65].
Anche per queste società si è sostenuta[66]
la esclusiva origine nella antica
[p.
36]
tradizione
germanica di una forma di collettivismo fondiario[67],
ma anche di esse si è accertata la diffusione in contesti, quali
l'Istria, la costa adriatica orientale e la Sardegna[68],
sostanzialmente immuni da influenze germaniche. Ciò ha costretto a
pensarne una origine nell'ambito del Diritto romano[69]
e anche qui ci si è però rivolti a un istituto tardo quale la societas fratrum colonica dell'ultima
epoca imperiale[70],
senza sostanzialmente approfondire la ipotesi di una qualche continuità
con l'istituto antico del consortium
ercto non cito. Tra l'altro è stata anche avanzata la ipotesi
(Leicht, Schupfer) che la comunione coniugale sia stata modellata sulla
fraterna compagnia,
[p.
37]
e — in
realtà — a comunione fra coniugi è detta
"agermanament" in Spagna e in Sardegna, mentre in Istria e nel Friuli
sono documentate, sempre allo stesso scopo, le espressioni "a fratello e
sorella" e "in fraterna compagnia"[71].
Ora è fin troppo facile il richiamo ai romani 'consortium' e 'consortes'
per indicare 'matrimonio' e 'coniugi'[72].
Per quanto occorra rammentare che la dottrina sulla 'comunione tacita
familiare' si è formata prima che sull'istituto del consortium si conoscesse la testimonianza di Gai.3.154[73],
pare senz'altro doversi capire che nel formarsi di tale dottrina un ruolo
importante è 'giuocato' dalla idea che tra l'antico consortium ercto non cito e l'avvento
delle societates fratruum si collochi
l''individualismo' del Diritto romano cd. classico in materia di proprietà
nonché la corrispondente nozione 'sovrana' di pater
familias[74].
Ha scritto però più recentemente una romanista italiana[75]
che: «Nella più antica <società generale> — la societas propria civium Romanorum,
[p.
38]
figura intermedia
fra la società in senso tecnico e gli altri genera societatum —
, una volta caduto definitivamente in desuetudine l'atto solenne che le
costituiva, confluiscono tutte quelle figure di consorzio familiare che, con
maggiore o minore fortuna, si erano mantenute nelle diverse fasi dell'impero,
dando vita alle società tacite familiari, alle fraterne di cui ci
parlano gli storici del diritto italiano».
[1]
P. CATALANO, Sistemas jurídicos,
sistema jurídico latinoamericano y Derecho romano in Revista de
legislación y jurisprudencia 131 — Madrid 1982 — 161
ss.; Id., Diritto romano attuale, sistemi
giuridici e diritto latinoamericano in Acta
Universitatis Szegediensis. Acta
juridica et politica 33 — 1985 — <=Acta E.Pólay>
167 ss.).
[2]
V.R.POUND, The spirit of the Common law
(Boston 1921) 37; J.J. SANTA PINTER, Sistema
de derecho anglosajón (Buenos Aires 1956) 17.
[3] Vi sono autori che individuano all'interno del
sistema romanista un gruppo (o «famiglia giuridica»)
«ibero-americano»: J.CASTAN TOBEÑAS, Los sistemas jurídicos contemporáneos del mundo
occidental (Madrid 1956) 45 ss.; J.M.CASTAN VAZQUEZ, El sistema de derecho privado iberoamericano in Estudios de derecho, Fac.de Der.y
C.políticas, Univ.de Antioquia, Medellín, Colombia (30 marzo 1969)
n.75.; H.EICHLER, Die Rechtskreise der Erde in Estudios Castán Tobeñas 4 - Pamplona 1969 - 307
ss. (cfr. ID., Gesetz und System -
Berlin 1970 - 76 ss.); cfr. F.DE SOLA CAÑIZARES, Iniciación al derecho comparado (Barcelona 1954) 233 ss.;
J.BASADRE, Los fundamentos de la Historia
del Derecho2 (Lima 1907) 131 ss.
Parla più
specificamente di «gruppo latino-americano» già C.
BEVILAQUA, Resumo das liçoes de
legislaçao comparada sobre o Direito privado2 (Bahía 1897) 101
ss.; nella stessa linea A. SARAIVA DE CUNHA LOBO, Curso de Direito romano III (Río de Janeiro 1931) 171 ss.
(il romanista brasiliano include la República de Haiti che il
Castán Tobeñas considera invece «pais latinoamericano, que
podemos conctar al sistema francés» — loc. cit. — );
H.VALLADAO, Le droit
latino-américain (Paris 1954); R.DAVID, L'originalité des droits de l'Amerique latine (Paris s.d.).
Sulla forte
caratterizzazione romanistica del sistema giuridico latinoamericano, si veda
A.DIAZ BIALET, La fortuna y el valor
práctico de la obra de Acursio en el derecho común americano
in Atti del Convegno Internazionale di Studi Accursiani (Bologna 21 — 26
ottobre 1963) III (Milano 1968) 1007 ss.; ID. La transfusión du droit romain in Revue Internationale des Droits de l'Antiquité 18 (1971) 471
ss.; ID., Influencia del Derecho Romano
en el derecho positivo de la Argentina. Acerca de la
transfusión del Derecho romano in Romanitas (1971) 235 ss.
Cfr. L.MOISSET DE ESPANES, Derecho
civil español y americano. Sus
influencias recíprocas (Córdoba — Argentina 1973); ID.,
Obligaciones naturales y deberes morales.
Estudio de derecho comparado (Córdoba 1968) 41 ss.; ID., Las obligaciones naturales en el derecho
civil argentino (Córdoba 1967); L.DE GASPERI, El régimen de las obligaciones en el derecho latinoamericano
(Buenos Aires 1960) 79 s. y 131 s.; H.A.STEGER, Die Bedeutung des römischen Rechts für die lateinamerikanische Universität im 19. und 20.
Jahrhundert in Index 4 (1973), e
dello stesso autore, Universidad de
abogados y universidad futura, ibid.;
nonché Lateinamerika, a cura
di G. SANDNER — H. A. STEGER (=Fischer
Landerkunde 7) (Frankfurt am Main 1973) 261 ss.
[4]
Ciò che è proprio del sistema romano antico (v. SUMNER MAINE, L'ancient droit, secondo il quale quella
prima società «non era una collazione di individui, come quella
del nostro tempo» ma «una aggregazione di famiglie»;
cfr.BRINI, Matrimonio e divorzio nel
Diritto romano I Il matrimonio romano — Bologna 1886 — 88) e
quindi dei sistemi romanistici (SAVIGNY, Sistema
del Diritto romano attuale,
tr.Scialoja, I prgf. 53, p.345 scrive «Lo Stato ha per elementi immediati
le famiglie, non gli individui»; cfr. A. CICU, 'Matrimonium seminarium rei publicae' in Archivio Giuridico "Filippo Serafini” 4^s. I 1
<1921> 128 nt.2; v. anche ibidem p. 127-142 continuità da Cicerone
a Proudhon <?>; Id. Il diritto di famiglia - Roma 1914 - riferimenti allo Jhering).
[5] P.J.EDER, Principios
característicos del 'common law' y del derecho latinoamericano
(Buenos Aires 1960) 149 ss.; V.C.MOUCHET — M. SUSSINI, Derecho hispánico y 'common law' en
Puerto Rico (Buenos Aires 1953).
[6] R.DE LA GRASSERIE, Des
regimes matrimoniaux chez les peuples latins in Revue général du droit de la législation et de la
jurisprudence en France et à l'étranger 27 (1903) 118 ss.;
313 ss.; 421 ss.; 529 ss.; 28 (1904) 40 ss.
[7]
HINOJOSA, Discursos leidos ante la Real
Academia de Ciencias (Madrid 1907); cfr. M.ROBERTI, Studi intorno alle origini della comunione dei beni fra coniugi in Studi senesi 34 (1918) 7 nt. 1.
[8] E.GLASSON, Le
Mariage civil et le divorce dans l'antiquité et dans les principales
législations modernes de l'Europe. Étude de législation
comparé‚ e précéde d'un aperçu sur les
origines du droit civil moderne2 (Paris 1880) 128.
[11]
Secondo il sociologo E.W.Burgess, le varie tipologie familiari si muovono tutte
tra i due poli opposti costituiti dai modelli della famiglia istituzione
("institution") e della famiglia cameratesca ("companionship").
L'Ardigò sintetizza così le differenze della seconda dalla prima:
«a. riduzione della composizione numerica della famiglia; b. diminuzione
del gruppo parentale sulla comunità esterna all'unità familiare
ed emancipazione individuale dei familiari; c. diminuzione dei fattori esterni
esercitante una pressione alla conformità dei comportamenti familiari,
cioè diminuzione del controllo esercitato dal costume e dall'opinione
pubblica della comunità» (E. W. BURGESS — H. J. LOCKE, The Family. From Institution to
Companionship — New York 1960 — 22 ss. in part. 24; A. ARDIGO',
Struttura della famiglia in G. BRAGA
— L. DIENA — F. LEONARDI, Elementi
di sociologia IV Gruppi e sistemi
sociali — Azzate, Milano 1967 — 65 s.).
[12]
E.GLASSON, Op.cit. 120.
[13]
ESMEIN, Le testament du mari in
Mélanges (1886) 38 (cit. in M.ROBERTI, Studi intorno alle origini della comunione dei beni fra coniugi. Parte
seconda: L'elemento romano e cristiano nelle origini della comunione di beni
fra coniugi in Studi senesi 2^s.
8 <=33> — 1918 — 241 nt.1).
[14]
Circa la nota contrapposizione operata dal Constant e sul suo 'precedente'
costituito dall'Esquisse del
Condorcet, v. P. CATALANO, Tribunato e
resistenza (Torino 1970-71) 1 ss.; cfr. 69 ss. e 138 ss.
[15]
G.W.F.HEGEL, Lezioni di storia della
filosofia della storia, tr.it. di G.Calogero e C.Fatta (Firenze 1941-63)
III 173; cfr., sulla distinzione di compiti tra 'famiglia' e 'Stato', Id., Lineamenti di
filosofia del diritto ossia Diritto naturale e Scienza dello Stato in
compendio, tr.it. di F.Messineo (Bari 1965)3 prgf.178 (cfr.anche prgff. 170
e 243) e, per la 'traduzione' mommseniana, Th. MOMMSEN, Römisches Strafrecht (Leipzig 1899)
[16]
E' bene ricordare — a titolo d'esempio — che Rousseau e Marat
proponevano lo schema, di chiara ispirazione romana, di un popolo sovrano
costituito di famiglie riunite ciascuna intorno al proprio pater familias (S.MORAVIA, Filosofia
della storia e testi II — Firenze 1984 — 355 «L'assemblea
di tutto il popolo, o almeno (come si esprimeva il Rousseau) dei "padri di
famiglia"»; cfr., sempre in forma esemplare, il Progetto di costituzione per la Corsica nella edizione italiana del
Garin degli Scritti politici del
Rousseau III — Bologna 1971 — 137 e 145; l'Ami du Peuple: «Le donne e i bambini non devono prendere
parte alle decisioni perché sono rappresentati dai capi di
famiglia» cit. di N.ASPESI, Il
pugnale orgoglioso di una giovane normanna in AA.VV., 1789-1799. I dieci
anni che sconvolsero il mondo. I giorni del Terrore — Roma 1989 —
52). S. SCHIPANI, Andres Bello romanista istituzionista
definisce il ius civile più
antico «espressione e regola dell'assetto storico di quella
società di patres familiarum
uguali sovrani e possidenti». Lo Schipani si richiama a posizioni
dottrinarie del Grosso e del De Martino (G. GROSSO, Tradizione e misura umana del diritto — Milano 1976 —
87; F. DE MARTINO, Individualismo e
diritto romano privato cit. 256).
[17]
In questo contesto si precisa e consolida la idea (contraria alle fonti: Cic. ad Brut. 1.17.6 dominum ne parentem quidem maiores nostri voluerunt esse; cfr.
Paul. D. 50.16.215) che, nel Diritto
romano, «la patria potestas poté essere riassunta, giuridicamente,
nel concetto di ‘proprietà’». Così, per tutti,
la recente riepilogativa monografia di A.M.RABELLO, Effetti personali della 'patria potestas' I
Dalle origini alla età degli Antonini (Milano 1979) 73; cfr., in
proposito, ancora G.LOBRANO, 'Pater et
filius' cit. 16 ss., in part., 21 nt.58.
[18] V., ad es., in questo senso, Ch.LEFEBVRE, Le mariage et le divorce à travers
l'histoire romaine in Nouvelle Revue
Historique de Droit Française et étranger 42 (1918) 102 ss.,
in part.110.
[19]
F.SCHULZ, I principii del diritto romano,
tr.it.a cura di V. Arangio-Ruiz (Firenze 1956) 127 ss.
Cfr., infra, prgf.II 1.
[20]
I costituzionalisti distinguono sul piano giuridico il liberalismo francese
pre-quarantottesco di ispirazione giusnaturalistica, dal liberalismo della
seconda metà dell'Ottocento, la cui patria diviene la Germania ed
esponente tra i più spiccati il Bluntschli e che comporta il rifiuto
delle teorie contrattualistiche (v., ad es., J.K.BLUNTSCHLI, Diritto pubblico universale tr. it. di
G.Trono dalla 4^ ed. ted., I — Napoli 1873 — 395 ss.; opera che G.
Cianferotti, Il pensiero di V.
— 46, definisce «specie di summa del costituzionalismo liberale
germanico»). Per le distinzioni tra liberali illuministi e liberali
organici, v. P.SCHIERA, "Introduzione" alla traduzione italiana da
lui stesso curata di E.W.BÖCKENFÖRDE, La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono.
Problematica e modelli dell'epoca, trad. e "Introduzione" di P.
Schiera dalla ed. ted. del 1961 (Milano 1970). e N.MATTEUCCI, Dal costituzionalismo al liberalismo in
AA. VV., L'età moderna II Illuminismo, rivoluzione, restaurazione <=
L. FIRPO (diretta da), Storia delle idee politiche economiche e sociali
IV/2> (Torino 1975). In generale, sul tema delle contemporanee teorie
organicistiche dello Stato v. O. KAUFMANN, Über
den Begriff des Organismus in der Staatslehre der 19. Jahrhundert
(Heidelberg 1908).
Le concezioni
organicistiche della società e dello Stato tuttavia sarebbero —
seppure diversamente e non dichiaratamente — egualmente 'individualiste'. La tesi che «l'interpretazione biologica del fatto sociale
conduce all'individualismo, anzi costituisce di questo la vera e unica
giustificazione» è formulata dal Solari (G.SOLARI, Filosofia del diritto privato Torino
1959 — "Prefazione" alla 1^ ed. 1911 — viii; cfr. Id., La formazione storica e filosofica dello
Stato moderno cit. 48 s. e 120 ss. e L'idea
individuale — Torino 1902 — passim). Cfr. però
G.PERTICONE, Liberalismo in Novissimo
Digesto Italiano IX (1957) 833: «In breve, lo svolgimento del
liberalesimo come rivendicazione della libertá dell'individuo, di fronte
allo Stato, si risolve nell'annullamento dell'individuo nello Stato» e
Th.JEANTET, L'individu collectif
(Paris 1983) cap.I "L'individu contre l'individualisme" p. 15 ss.
Per un
approccio, attraverso scritti recenti, al tema delle definizioni
storico-sistematiche delle categorie dell'individuale, v. ora E.P.HABA, La idea del totalitarismo y la libertad
individual. Autopsía de una noción mistificadora (Bogotà 1976); W.HEINE, Methodologischer Individualismus. Zur geschichtphilosophischen Begrndung eines
sozialwissenschaftlichen Konzepts (Würzburg 1983) e AA.VV., Formen
der Individualität im Verhältnis zur marxistisch-leninistischen
Kulturtheorie und Kulturgeschichte. Materialien des X. Kulturtheoretischen
Kolloquiums aus der Humboldt-Universität zu Berlin (Berlin 1982).
[21]
L.CAPOGROSSI COLOGNESI, Max Weber e le
società antiche I — Roma 1988 — 118 s., che cita tra
virgolette F. WIEACKER, Storia del
diritto privato moderno tr.it. dalla ed. Göttingen 1967 I (Milano 1980) 191.
[22] M.WEBER, 'Römisches'
und 'deutsches' Recht in Die christliche Welt. Evangelisch - lutheranisches Gemeindeblatt für Gebildete aller
Stände 9 (1895) 521 ss.; cfr. L.CAPOGROSSI COLOGNESI, Op.cit. 120. Una
traduzione italiana di B.Spagnuolo Vigorita del testo weberiano ora in M.WEBER,
Scritti (1895 1898) (Roma 1988) come
appendice al testo ora citato del Capogrossi. A proposito della
germanicità del patrimonio famigliare il Weber osserva: «l'idea
abbastanza meschina su cui si fonda il progetto di legge per la costituzione
dei cosiddetti "beni di famiglia" (Heimstätten) nel suo punto
nodale, la tutela da parte di un'autorità economicamente non
interessata, è di stampo non tanto germanico, quanto prussiano
burocratico.» (trad.ital.cit.
2).
[24]
V., in proposito, G.GROSSO, Premesse
generali al corso di Diritto romano4(Torino 1960) 11 ss. che ricorda gli
scritti fondamentali del Koschaker sulla "crisi" del Diritto romano e
del suo studio in particolare in Germania (Die
Krise des römischen Rechts und die romanistische Rechtswissenschaft
— 1939 — quindi rifuso e ampliato nel più noto Europa und das römische Recht
— München 1947 — ); cfr. P.CATALANO, Linee dell'indagine in Id. (a cura di), Diritto romano e Università dell'America Latina. Ricerca su
«Stato e metodi delle indagini e degli insegnamenti romanistici nei Paesi
della Europa orientale e nei Paesi extraeuropei» <=Index 3>
(napoli 1973) 1 s., in particolare la nt 4 sulla feconda ripresa degli studi
romanistici nei Paesi socialisti.
[25]
Ricordo ancora lo scritto or ora citato di Francesco De Martino; in particolare
sulla proprietà cfr. P.DE FRANCISCI, Appunti
intorno ai 'mores maiorum' e alla storia della proprietà romana in Studi in onore di A.Segni I —
Milano 1967 — 615 ss.; A.A.CORREA, Remarques
sur l'abus des droits en droit romain classique in Atti del Seminario
Romanistico Internazionale, Perugia-Spoleto-Todi 11-14 ottobre 1971,
— Roma 1972 — 141 ss.
[28]
F. GALLO, Interpretazione e formazione
consuetudinaria del diritto (Torino 1971) 7; 15 ss.; 24.
[30]
Ph. J. MELLII FREIRII, Institutiones
juris civilis Lusitani tum publici tum privati5 II De jure personarum (Conimbricae 1859) tit.VIII "De communione
bonorum inter coniuges",
prgff. 1 e 2 = p. 123 s. Su posizioni simili a quelle del Freire sembra anche
L.VAN DEN HANE il quale, nel commentare leggi e costumi della città di
Bruges, afferma (titolo III "Des
droits appartenant à gens mariés et de leur communauté", art.1) che tale
comunità rimonta alle prime leggi romane e sarebbe stata quindi
ripristinata dai Belgi (cit. in M.WOLOWSKI, De
la société coniugale in
Revue de législation et de jurisprudence 18 — 1852 — 343
ss.). La medesima tesi è sostenuta per la Francia da TYPALDO BASSIA, La communauté de biens conjugale
(1903) 10 che riprende portando a più avanzate conseguenze osservazioni
del GIDE, Cond.privée cit.
120; cfr.446 (cit. in M.ROBERTI, Studî
intorno alle origini della comunione dei beni fra coniugi in Studi senesi
33 (=s.2^ 8) (1917) 235 nt.1).
[37] J.GAUDEMET, La
définition romano — canonique du mariage in Festschrift Plöchl (Wien 1967) 107
ss.
[38] Dio Cass. 76.14.5; cfr. HASEBROEK, Untersuchungen zur Geschichte des Kaisers
Septimius Severus (Heidelberg 1921)
164 s.; FLUSS in PW II A 2 (1923)
1977; H.COEN, Description historique des
monnaies frappées sous l'Empire romain IV (Graz, 1955) 2 e 104; E.GLASSON,
Op.cit. 41.
[41] E.ROGUIN, Op.cit.
69 ss.; F.PUIG PEÑA, Comunidad de
bienes entre los conyuges in Nueva
enciclopedia jurídica IV (Barcelona 1952) 591; cfr.A.ESMEIN, La manus, la paternité‚ et le divorce.
Mélanges d'histoire du droit
(Paris 1886; r.a. Aalen 1970) 22 s., che cita a sostegno LONING, Geschichte des deutschen Kirchenrechts,
t.II, p.618.
[43]
M.ROBERTI, Studî intorno alle
origini della comunione dei beni fra coniugi cit. 228; cfr 10 ss.
Gli studi
del Roberti restano fondamentali anche nella specifica materia dei costumi
matrimoniali in Sardegna: v., dello stesso autore, Per la storia dei rapporti patrimoniali fra coniugi in Sardegna.
Capitoli matrimoniali sardi del XVI secolo in Archivio storico sardo ( ) 273 ss. Tra i contributi più
recenti posso segnalare come particolarmente utile la raccolta di scritti di
AA.VV., La famiglia e la società
sarda <=Studi sassaresi 2>
(1971). Si può inoltre vedere S.LOI, Matrimonio
e famiglia in Sardegna nei Sinodi e nelle prescrizioni della Chiesa sarda dal
Medioevo al Concordato del
[44]
Il Roberti parte dalla idea di natura dogmatica che «Nessuna relazione
può avere la comunione coniugale del medioevo sia coll'abbandono completo
dei beni della donna nelle mani del marito che aveva luogo nel matrimonio
solenne cum manu, sia con la forma
classica della dote nelle justae nuptiae
sine manu dove vigeva la separazione netta, assoluta dei beni appartenenti
agli sposi»; egli contesta quindi la tesi di chi vorrebbe quanto meno
vedere un precedente della comunione medievale e moderna nel regime
patrimoniale del matrimonio cum manu,
osservando che «Certo alla morte di uno dei due coniugi quella presunta
comunione <del matrimonio cd. cum manu>
non aveva effetto di conferire al superstite non già la metà, ma
neppure una minima parte del patrimonio famigliare» (op.cit.235). Questa
specifica visione del Diritto romano costringe il Roberti a pensare a un
"diritto volgare" o "diritto popolare" romano (p.7) che
avrebbe preso corpo fuori della "legge scritta" per influenza
decisiva della "idea cristiana" e che — nella nostra
materia— totalmente contrario
o almeno estraneo al Diritto romano 'classico’, avrebbe però già
avuto dei 'precedenti' nel Diritto romano 'post classico' e giustinianeo (p.230 ss.). In particolare, le
«Modificazioni del Diritto romano che possono aver influito sulle origini
della comunione coniugale» (titolo del cap.III p.237 ss.) sarebbero state
la decadenza della patria potestas, i
provvedimenti volti ad assicurare la costituzione della dote, l'istituto della donatio propter nuptias, l'obbligo della
convivenza (CI. 5.17.5.6 a.293;
ribadito e potenziato in una costituzione del 449: CI. 5.17.8.3; cfr. Nov.
117.8 5 del 541 e CI. 5.4.11), la
attribuzione al marito della direzione e amministrazione della societas nuptiarum, la ostilità
contro il divorzio, la tutela femminile dei figli minori, la rinuncia al
privilegio del S.C. velleiano
(costituzione di Anastasio del 508: CI. 4.29.21).
[45] M. J. GARCIA GARRIDO, El patrimonio de la mujer casada en el derecho civil I La
tradición romanística (Barcelona 1982) 2.
[46] F. PUIG PEÑA, Comunidad de bienes entre los conyuges in Nueva Enciclopedia jurídica IV (Barcelona 1952) 589,
esprime la sistematica corrente in questa materia ponendo all'interno del genus "Regímenes de
bienes" le species
"comunidad universal de bienes" e "comunidad relativa"
della cui ultima segnala la variante francese "comunidad de muebles y
adquisiciones" e la variante castigliana "sociedad de
gananciales". Anche secondo il Puig Peña, la
origine del "sistema de gananciales" sarebbe nella combinazione delle
tendenze comunitarie germaniche e del regime dotale romano.
[47]
Si tratta specialmente della novelle 35 (di Valentiniano III nel 452) e 4 (di
Maiorano nel 458) del Codex Theodosianus e della costituzione di Leone I (CJ.
5.14.9 a.468) che imponevano eguaglianza di apporti e di obblighi (dote,
donazione nuziale e patti nuziali) tra coniugi (GARCIA GARRIDO, Op.cit. 156 s. e 159).
[49] GARCIA GARRIDO, Op.cit.
186. Il Roguin, che distingue il regime dotale sia dal
regime della comunione sia da quello della separazione dei beni, afferma che
«c'est avec le régime de la communauté d'acquets que l'inalinabilité
dotale s'accorde mieux.» (E.ROGUIN, Traité de droit
civil comparé. Le régime matrimonial — Paris 1905
— 606).
[50] GARCIA GARRIDO, Op.cit.
78 nt.48. Circa la dottrina del García
Garrido, v. infra, prgf. II.6.a.
[51] R. von JHERING, Geist
des römischen Rechts auf den verschiedenen
Stufen seiner Entwicklung II 16(Leipzig 1921) 202 ss.; cfr., infra, prgf. II.1.
[52]
Si rammentino gli argomenti del ripudio da parte di Spurio Carvilio Ruga (Gell.
n.A. 4.3.1 s.; 17.21.44 Val.Max.
7.7.4 e altre fonti ove è parola di un giuramento dei cittadini innanzi
ai censori «uxorem se liberum
quaerendorum gratia habiturum»), la disponibilità da parte di
Turia, in quanto sterile, a farsi ripudiare dal proprio amatissimo sposo (Laudatio Turiae 2.44 s.) nonché la
stessa definizione Ulpianea del ius naturale in D. 1.1.1.3... hinc descendit
maris at feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum
procreatio, hinc educatio; cfr. Ulp. 3.3 Liberorum quaerendorum causa uxorem ducere.
Per la
dottrina v. invece la definizione del matrimonio romano proposta dal Volterra (La conception du mariage 368 e 373).
[61]
Nonché di quello, a sua imitazione regolato, dell'actio expilatae hereditatis;
cfr., infra, prgf. IV.2.b.
[64]
Diffuso, ad esempio, in tutta la Francia <BEAUMANOIR, Les coutumes de Beauvoisis, I — Paris 1842 — 305>
viene represso dal codice napoleonico <A.VERGA, Le comunioni tacite familiari — Padova 1930 — 7
ss.>.
[65] LEBRUN, Traité
des communautés ou sociétés tacites in appendice al Traité de la communauté entre
mari et femme — Paris 1754 — 23 ss.
[66]
SCHUPFER, Allodio in Digesto italiano
s.v. 456 ss.; Id., Il diritto privato dei
popoli germanici — Roma 1907 — vol.II lib.III tit.I c.II p.72
ss.; LATTES, Il diritto consuetudinario
delle città lombarde — Milano 1899— 267; Id., Il diritto commerciale nella legislazione statutaria delle città italiane —
Milano 1884— 124 ss.;
FUMAGALLI, Il diritto di fraterna
— Torino 1912 — 51 ss.
[67]
Testimoniata da Cesare De bello Gallico
4.1; 6.22 e da Tacito 26.12.19.46; Annali
1.50.56; 13.57.
[68]
SALVIOLI, Storia del diritto italiano
— Torino 1921— 400;
SOLMI, Carte volgari di Cagliari in Archivio italiano —
1906— 273 ss.; Id., Studi storici sulla Sardegna medioevale
— Cagliari 1917— 393
ss.; DI TUCCI, Il diritto pubblico della
Sardegna nel Medioevo — Cagliari 1924— 31 ss.; LEICHT, Note a documenti istriani di diritto privato in Miscellanea di studi in onore di Attilio
Hortis — Trieste 1910—
vol.I 198 ss.
[69]
TAMASSIA, La famiglia italiana nei secoli
xv e xvi — Milano 1909 — 105 ss.; cfr. Id., L'affratellamento — Torino
1886— passim.
[70] SALVIOLI, Le
capitalisme dans le monde antique, Essai sur l'histoire économique
romaine - Paris 1906 - 117; Id., Storia
cit. 395 s.
[73]
Sul ritrovamento del Gaio cd. 'di Antinoe, v. S. TONDO, Il consorzio domestico nella Roma antica estr. dagli Atti e Memorie dell'Accademia Toscana di
Scienze e Lettere "La Colombaria" 40 (1975) 134 ss. Sono,
tuttavia 'da sempre' note le fonti letterarie: Plut. Paul.Aemil. 5; cfr. Id. Moralia, perì adelfías
2 e 20; Liv. 41.27.2; Val. Max. 4.4.8; Cic. Verr.
2.3.23.57; Plin. ep. 8.18.4; Quint. decl. 321; Vell.1.10.6; nonché i
molti passi del Digesto in cui
è parola di una società universale tra fratelli: D. 17.2.52.8; 26.7.47.6; 29.2.78;
10.2.39.3; 31.89.1; cfr. P.BONFANTE, Note
alle Pandette del WINDSCHEID, VI 170.
[75]
M.G. BIANCHINI, Studi sulla
società (Milano 1967) 112.
Sul nesso consortium — societas molto
è stato scritto; cfr. V. ARANGIO-RUIZ, La società in diritto romano (Napoli 1950) 19 ss. e,
recentemente, L. GUTIERREZ MASSON, Del
'consortium' a la 'societas' I 'Consortium ercto non cito' (Madrid 1987) passim, in particolare 144 ss. Ivi anche
riferimenti alla dottrina pregressa.