V SEMINARIO INTERNAZIONALE
DI STUDI
TRADIZIONI RELIGIOSE E ISTITUZIONI GIURIDICHE DEL POPOLO SARDO:
IL CULTO
DI SAN COSTANTINO IMPERATORE TRA ORIENTE E OCCIDENTE
(Sassari-Sedilo,
4-6 luglio 2001)
Nei
giorni 4-6 luglio 2001 si è svolto, a Sassari-Sedilo, sotto gli auspici della Regione
Autonoma della Sardegna, il “V Seminario internazionale di studi” sul tema «Tradizioni
religiose e istituzioni giuridiche del popolo sardo: il culto di San Costantino
imperatore tra Oriente e Occidente». Il ‘Seminario” è stato organizzato dal
Dipartimento di Scienze Giuridiche e dalla Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Sassari, nel quadro del Progetto strategico del Consiglio
Nazionale delle Ricerche «I sistemi giuridici del Mediterraneo»,
coordinato dall’ISPROM-Istituto di Studi e Programmi per il Mediterraneo.
Prima di occuparci delle relazioni, occorre premettere che il culto di San Costantino, in Sardegna, è il più diffuso fra quelli di origine orientale, benché esso non figuri nel calendario liturgico latino. Il culto del Santo fu introdotto nell’Isola, probabilmente fra il IX-X secolo, da monaci o da militari bizantini. Successivamente, si estese a tutta la Regione, ove è largamente attestato nella onomastica delle famiglie giudicali e nella toponomastica. La celebre ‘reggia’ nuragica di Torralba, fra l’altro, è dedicata a Santu Antine (San Costantino). A Sedilo (in provincia di Oristano), ove si è svolta una parte dei lavori del presente seminario, il culto per l’imperatore è particolarmente vivo. Nel paese, si trova un santuario, dedicato alla memoria di San Costantino, meta di pellegrinaggio nei giorni della festa (5-7 luglio) in onore del Santo. Momento fondamentale della festa è l’‘Ardia’, una rievocazione equestre dello scontro fra l’esercito di Costantino e quello di Massenzio.
La
seduta inaugurale, dedicata al tema «Il progresso del diritto», si è tenuta il
pomeriggio del 4 luglio nell’Aula Magna dell’Università di Sassari. Ha aperto i
lavori, a nome dell’Università ospite, il rettore, prof. Alessandro Maida;
sono poi seguiti i saluti dei professori Francesco Falchi,
direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche, e Giovanni Lobrano,
preside della Facoltà di Giurisprudenza.
L’intervento
introduttivo del Seminario è stato svolto dal prof. Francesco Sini
(Università di Sassari), direttore dell’unità operativa «Poteri religiosi e
istituzioni» del Progetto strategico CNR «I sistemi giuridici del
Mediterraneo», il quale si è soffermato
sull’importanza del progetto di ricerca in rapporto alle specificità
dell’Isola, osservando che il ‘Seminario internazionale di studi’ si inserisce
in un progetto di ricerca finalizzato «allo studio dei molteplici rapporti tra
poteri religiosi e istituzioni giuridico-politiche, in un’area geografica che,
dalla fine dell’evo antico, si è caratterizzata quale luogo privilegiato di
confronto – e di scontro – tra Oriente e Occidente». Lo studio di tali rapporti
si propone anche il fine di offrire un contributo alla storia dell’identità religiosa
e giuridica della Sardegna, isola che, secondo il relatore, è «troppo spesso considerata
periferica per la geografia dell’Europa, ma assolutamente centrale (per lo sviluppo
delle sue istituzioni) nel Mediterraneo, nella dinamica storica dei grandi
sistemi giuridici mediterranei e nel confronto tra le Chiese Cristiane
d'Oriente e d'Occidente». Francesco Sini ha messo poi in rilievo come «l’unità autonomistica
e resistenziale (socio-linguistica, culturale, religiosa) del Popolo Sardo» sia
il prodotto di «contaminazioni» e degli «incontri/scontri» tra i poteri e le
istituzioni delle Cristianità Orientale e Occidentale, auspicando che le
particolarità della storia istituzionale della Sardegna possano servire oggi
per comprendere meglio la Sardegna e valorizzare la lingua sarda e le culture
tradizionali della Isola.
Nella sua relazione, sul tema «Aspetti e problemi della normativa costantiniana», Manlio Sargenti (Università di Pavia) ha sostenuto che Costantino, ancora in una fase avanzata del suo governo, mantenne una posizione neutra di fronte alle controversie che dividevano la società cristiana. Tale valutazione dell’attività dell’imperatore è la sola possibile: non siamo, infatti, in grado di offrire, allo stato delle fonti, una adeguata soluzione al problema della realtà e della sincerità della scelta cristiana di Costantino, aspetti, questi, che comunque dovrebbero essere considerati un «falso problema» o, perlomeno, «un problema insolubile». Gli scritti, che, invece, sono attribuiti all’imperatore, sono il prodotto di un ‘entourage’ ecclesiastico, il cui maggior esponente è il vescovo di Cesarea, autore di opere dall’intento agiografico e propagandistico.
Nella
relazione su «La legislazione costantiniana in materia di sacrifici», Pietro
Paolo Onida (Università di Sassari) si è soffermato sulle numerose
testimonianze che attestano il progressivo rifiuto, da parte di Costantino, dei
sacrifici cruenti. In tale quadro rientrano, anzitutto, le costituzioni che
vietano il compimento di pratiche sacrificali da parte degli aruspici (CTh.
9.16.1; CTh. 9.16.2; CTh. 16.10.1) e quelle che introducono limiti ai riti
cruenti in onore delle divinità romane (CTh. 16.10.2; rescritto di Spello).
L’imperatore, nell’intento di formulare una sintesi fra cultura cristiana e
cultura ‘pagana’, sembra essersi ispirato, da un lato, alla dottrina cristiana,
per la quale il vero e unico sacrificio è quello di Cristo, e, dall’altro, ad
una visione già ‘pagana’ delle relazioni uomo-animale, per la quale il primo,
non è nei confronti del secondo soltanto un dominatore, ma è, invece, a questo
legato da un rapporto simpatetico. Il relatore, concentrando la propria
attenzione su questa seconda ispirazione, ha proposto una lettura del divieto
di sacrifici nel quadro della più generale concezione filosofico-giuridica
della condizione animale nell’antichità. La scelta dell’imperatore di esprimere
il proprio distacco dai riti cruenti deve essere ricondotta a quegli autori
che, già nella cultura greca e poi nella cultura romana, si erano levati contro
il sacrificio cruento, in nome dell’affinità fra tutti gli esseri viventi. In
tale prospettiva, le disposizioni emanate dall’imperatore in materia di
sacrifici cruenti possono essere indizio di un progetto complessivo di
‘innesto’ della nuova religione cristiana nella precedente cultura romana,
progetto per il quale egli privilegia alcune specifiche correnti di tale
cultura, con conseguenze assai interessanti anche sul piano del sistema
giuridico risultante.
Esperanza Osaba (Universidad del País Vasco) ha presentato una relazione dal titolo «Influsso delle leggi costantiniane in tema di relazioni fra donne libere e schiavi nella Lex Visigothorum». La relatrice ha rilevato l’influenzato del diritto romano postclassico sulla legislazione visigota. La Lex Visigothorum fu lo strumento fondamentale di trasmissione del diritto romano in Spagna fino alla ricezione del Corpus iuris a partire dal dodicesimo secolo. La studiosa ha preso in esame la disposizione contenuta nella Lex Visigothorum con la quale si proibiva alla donna di mantenere relazioni sessuali o di contrarre matrimoni con schiavi o liberti, rilevando come tale disposizione trovi i suoi precedenti nella legislazione costantiniana.
Vincenzo Poggi (Pontificio Istituto Orientale, Roma) ha presentato una relazione su «Costantino, la purificazione della memoria e la libertà religiosa». Il relatore, ritenendo autentici i documenti imperiali citati nella Vita Constantini di Eusebio, ha preso in esame la lettera di Sapore II, regnante dal 310 al 379, riportata nella Vita Constantini, IV, 9-13, nella quale lettera l’imperatore riconosce le colpe degli imperatori precedenti e manifesta l’intento di voler riparare. L’intento dell’imperatore, per descrivere il quale Vincenzo Poggi ricorre alla espressione “purificazione della memoria”, si trova già nell’editto del 324 agli eparchi di Palestina, in Vita Constantini, II, 26, 1-2 e in II, 27, 1-2. Costantino, nell’editto agli eparchi di Palestina, menziona un elenco di casi in cui è necessaria una riparazione: si tratta, fra l’altro, di coloro i quali siano stati costretti a fuggire e ad andare in esilio, ai condannati ai lavori forzati o ridotti in schiavitù. Particolare attenzione l’imperatore rivela nei confronti dei barbari che hanno mostrato umanità nei confronti di coloro la cui crudeltà imperiale ha costretto all’esilio. Nell’editto agli eparchi di Oriente, Costantino esprime la propria concezione in tema di libertà religiosa, stabilendo, come base essenziale di tale libertà, l’idea della pace fra ebrei, pagani e cristiani.
Il
5 luglio il Seminario si è spostato a Sedilo, dove si è tenuta la sessione
dedicata al tema «Aspetti religiosi». Presieduta dal prof. Francesco Sitzia,
preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, la seduta
ha avuto inizio con i saluti del sindaco del Comune di Sedilo, e dell’Assessore
della Pubblica Istruzione, Beni culturali, Informazione, Spettacolo e Sport
della Regione Autonoma della Sardegna. Il sindaco Renato Nieddu ha messo
in rilievo l’importanza che nella cultura della Sardegna ha assunto la
celebrazione annuale della figura di Costantino. L’Assessore On. Pasquale
Onida ha manifestato l’apprezzamento della Regione Sardegna per
l’iniziativa assunta dalla Università di Sassari nella ricerca delle tradizioni
culturali dell’Isola e del Mediterraneo; si è altresì soffermato sulla volontà
politica delle istituzioni regionali di contribuire anche finanziariamente alle
attività di indagine e di valorizzazione culturale ed economica delle
tradizioni locali.
Antonio
Francesco Spada
(Direttore del periodico «Dialogo» della diocesi di Alghero-Bosa) ha letto una
relazione sul tema «Gli scritti di Costantino e la sua evoluzione religiosa».
Il relatore, prendendo il via dall’esame del Vita Constantini di Eusebio,
ha osservato che durante i primi cinque anni di regno, (306-311), Costantino avrebbe
espresso una sorta di sincretismo religioso, dal quale, però, già a partire
dalla battaglia di Ponte Milvio, avrebbe iniziato a distaccarsi nel solco della
religione cristiana. Un passo decisivo verso tale direzione sarebbe stato
compiuto dall’imperatore in occasione del concilio di Arelate, nel 314, quando
egli «riconobbe valide anche civilmente le sentenze dei vescovi e ordinò la
distruzione delle chiese degli eretici». Il distacco dell’imperatore dalla
religione ‘pagana’ si sarebbe poi accentuato nel periodo compreso fra il 318 e
il 320, con alcune disposizione fra le quali il relatore ha ricordato quelle in
tema di aruspicina e di festività della domenica. Antonio Francesco Spada ha
infine preso in esame i documenti costantiniani che compaiono nella Vita
Constantini di Eusebio, osservando che l’esame di tali documenti induce a
ritenere che l’imperatore, dichiarando “apertamente la sua fede” proprio in
tali documenti, sia passato “da una forma di panteismo incentrato sul culto del
dio Sole alla fede cristiana”.
Ivan Biliarski (Accademia delle Scienze di
Bulgaria) con una relazione su i «Santi imperatori Costantino e Nicola II.
L’Ecclesia e l’Impero cristiano», ha tracciato un quadro delle vicende
relative alla concezione del potere imperiale durante il regno di Nicola II. Il
culto di Costantino è uno dei più importanti per i popoli ortodossi. La venerazione
per i Santi imperatori Costantino e
Nicola II è stato un elemento fondamentale per l’ideologia imperiale in
Bulgaria.
Nella relazione su «La leggenda dell’inventio crucis e la sua rielaborazione nella apocrifa Dottrina di Addai», Antonio Piras (Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, Cagliari) ha delineato un quadro della tradizione vulgata attorno alla figura di Costantino e al suo legame con il simbolo della croce. Completamento della relazione fra l’imperatore e la croce è la nota leggenda relativa al ritrovamento della croce da parte della madre Elena. Una delle tre versioni del ritrovamento della croce è quella di Protonice, la quale costituisce una digressione all’interno della Dottrina di Addai, un apocrifo in lingua siriana giunto a noi attraverso quattro manoscritti. Il relatore ha osservato che, se il racconto della inventio crucis della Dottrina di Addai dipende dalla leggenda di Elena, il suo cliché deve essere identificato con il ramo della tradizione, rappresentato dal codice oxonienese e da qualche altro canale, secondo i quali Costantino avrebbe partecipato direttamente al ritrovamento della croce.
Ha
presentato l’ultima relazione Margarita Evgen’evna Byckova (Accademia delle
Scienze, Mosca), sul tema «La croce dell’imperatore Costantino nella
simbologia statale dello stato russo nei secoli XV-XVII», nella quale la
relatrice ha tracciato un quadro delle complesse vicende relative alla
tradizione russa sul ritrovamento della croce da parte dell’imperatore.
A
Sassari, presso l’aula Eleonora d’Arborea dell’Università di Sassari, si è
tenuta la seduta conclusiva del 6 luglio. Dopo l’intervento introduttivo del
prof. Attilio Mastino, prorettore dell’Università di Sassari, è
seguita la relazione di Mauro M. Morfino (Pontificia Facoltà Teologica
della Sardegna, Cagliari) su «Il sito archeologico del Golgota e
dell’Anastasis e le costruzioni costantiniane». Il relatore ha tracciato
una descrizione dei luoghi costantiniani alla luce di Eusebio di Cesarea. Il vescovo
racconta che Costantino volle realizzare un «grandissimo monumento», per cui
ordinò di demolire gli edifici del Capitolium adrianeo e di rimettere
alla luce il Calvario e la tomba di Cristo. Tale ambizioso progetto viene definito
come la “Nuova Gerusalemme”. Marjia Ivanovna B’lchova (Accademia delle
Scienze, Mosca) ha presentato una relazione su «Costantino il Grande e i
Balcani», nella quale ha messo in luce la tradizione relativa al culto
dell’imperatore nelle regioni dell’Europa orientale. Nella relazione su «Un
insuccesso di Costantino: la politica antidonatista», Paola Ruggeri
(Università di Sassari) ha delineato un quadro della genesi della Pars
Donati, il movimento scismatico che prese il nome da Donato di Negride, in
Algeria, e dal quale movimento la chiesa africana fu divisa per tutto il IV
sec. d.C. La relatrice ha evidenziato le fasi attraverso le quali il movimento
scismatico da movimento religioso assunse un carattere socio-economico, fino a
generare al suo interno una ala ancora più radicale, quelle dei circumcelliones,
che divenne interprete della “base sociale contadina”. In tale ottica, il
concilio di Cirta, convocato nel 305, divenne uno dei momenti fondamentali del
scisma donatista, perché fu nell’ambito di questa assemblea che prese il via
quel gruppo rigorista che capeggiato da Secundus e Silvanus, si farà interprete
delle proteste contro le gerarchie ecclesiastiche, che negli anni della
persecuzione si erano mostrati più arrendevoli nei riguardi della “dirigenza
romana”. Ha presentato l’ultima relazione su «La figura agiografica di
Costantino negli scrittori sardi del Cinquecento» Anna Maria Piredda
(Università di Sassari). In particolare la relatrice ha preso il via dal primo
libro del De rebus Sardois dello storico sassarese Giovanni Francesco
Fara, nel quale si trova la notizia che l’imperatore avrebbe donato la Sardegna
alla chiesa dei santi martiri Marcellino e Pietro, chiesa da lui fatta
edificare sulla via Labicana. Giovanni Francesco Fara, ha osservato Anna Maria
Piredda, appare in sintonia con la cultura cattolica del tempo nell’affermare
una linea di continuità dell’agiografia costantiniana con gli Actus
Sylvestri. L’utilizzo da parte dello storico sassarese dell’exemplum
costantiniano gli consente di dimostrare, attraverso le vite dei santi, la
presenza nell’isola della ortodoxa fides e della “sanctitas gloria”.
I
lavori sono stati chiusi da un discorso di sintesi e dai saluti di Francesco
Sini.
Pietro Paolo Onida
(Università
di Sassari)