IV
Seminario Internazionale di Studi
POTERI RELIGIOSI E ISTITUZIONI:
IL CULTO DI SAN COSTANTINO
IMPERATORE TRA ORIENTE
E OCCIDENTE
(Sassari-Sedilo-Oristano,
3-6 luglio 1999)
A
Sassari-Sedilo-Oristano, nei giorni 3-6 luglio 1999, si è svolto un ‘Seminario
internazionale di studi’ sul tema «Poteri religiosi e Istituzioni: il culto
di San Costantino Imperatore tra Oriente e Occidente». Il ‘Seminario’,
organizzato dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Sassari,
nel quadro del progetto strategico del Consiglio Nazionale delle Ricerche «I
sistemi giuridici del Mediterraneo», coordinato dall’ISPROM-Istituto di Studi e
Programmi per il Mediterraneo, è l’ultimo di una serie di ‘Seminari’ tenutisi,
fra il 1997 e il 1998, in Sardegna (Sassari-Sedilo-Pozzomaggiore) e a Roma,
sulla figura di San Costantino Imperatore.
Il culto di San Costantino, in Sardegna, è il più diffuso fra quelli di origine orientale, sebbene non compaia nel calendario liturgico latino. È probabile che esso sia stato introdotto nell’Isola, fra il IX-X secolo, da monaci o da militari bizantini. A Sedilo (in provincia di Oristano), ove si è svolta una parte dei lavori del ‘Seminario’, si trova un santuario, dedicato alla memoria di San Costantino Imperatore, meta di pellegrinaggio nei giorni della festa (5-7 luglio) in onore del Santo. In occasione della festa, si svolge l’‘Ardia’, una rievocazione equestre dello scontro fra l’esercito di Costantino e quello di Massenzio.
Nell’Aula
Magna dell’Università di Sassari, il pomeriggio del 3 luglio, si è svolta la
seduta inaugurale, dedicata al tema «L’Imperatore e il progresso del diritto».
Il prorettore, prof. Attilio Mastino, e il presidente della
Consulta d’Ateneo, prof. Giovanni Lobrano, hanno aperto i lavori
a nome dell’Università ospite. I professori Francesco Falchi,
vicepreside della Facoltà di Giurisprudenza, e Mauro Maria Morfino,
vicepreside della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, hanno portato i
saluti delle Facoltà di appartenenza. I professori Pierangelo Catalano
(Università di Roma «La Sapienza») e Francesco Sini (Università
di Sassari) hanno svolto interventi introduttivi. Il primo, coordinatore
nazionale del progetto strategico del Consiglio Nazionale delle Ricerche su «I
sistemi giuridici del Mediterraneo», ha illustrato le finalità del ‘Seminario’;
il secondo, direttore dell’unità di ricerca locale su «Poteri religiosi e
istituzioni», ha presentato le linee del progetto di ricerca in rapporto alle
specificità dell’Isola.
Nella sua relazione, sul tema «La
posizione religiosa dell’Imperatore Costantino», Manlio Sargenti
(Università di Pavia) ha sostenuto che Costantino, ancora in una fase avanzata
del suo governo, mantenne una posizione neutra di fronte alle controversie che
dividevano la società cristiana. Tale valutazione dell’attività dell’imperatore
è la sola possibile: non siamo, infatti, in grado di offrire, allo stato delle
fonti, una adeguata soluzione al problema della realtà e della sincerità della
scelta cristiana di Costantino, aspetti, questi, che comunque dovrebbero essere
considerati un «falso problema» o, perlomeno, «un problema insolubile». Gli
scritti, che, invece, sono attribuiti all’imperatore, sono il prodotto di un
‘entourage’ ecclesiastico, il cui maggior esponente è il vescovo di Cesarea,
autore di opere dall’intento agiografico e propagandistico. Neppure è produttivo
domandarsi se la scelta cristiana di Costantino risalga ai primi anni
dell’Impero o se l’atteggiamento religioso dell’imperatore sia andato
precisandosi nel tempo, sulla base di un monoteismo assai diffuso nella società
del tempo. È, però, possibile valutare l’opera di governo dell’imperatore nella
sua parte più «evidente», vale a dire nell’attività normativa, la quale mostra
un sostanziale «equilibrio» tra cultura ‘pagana’ e cultura cristiana, ancora
presente negli ultimi anni di governo. Non è privo di significato il fatto che
Costantino, ancora nel 321, disponendo in materia di festività, parli non di dies dominica,
ma di dies solis, né è priva di significato la circostanza che l’immagine del sol invictus
compaia nelle monete fino al 321. Ancora più significativa è la circostanza che
la nascita della nuova capitale sia segnata dai riti ‘pagani’ della limitatio, della inauguratio, della consecratio.
In conclusione, il relatore ha osservato che il vecchio giudizio di un
cristianesimo politico, per valutare l’opera dell’imperatore, appare sempre il
più appropriato.
Remo Martini (Università di
Siena) ha presentato una relazione dal titolo «Alcuni interventi legislativi
di Costantino a carattere sociale». Il relatore, prendendo le mosse
dall’osservazione di Lucio de Giovanni (Costantino
e il mondo pagano, Napoli 1982, pp. 88 ss.), secondo il quale l’imperatore avrebbe
fatto «assai poco … per eliminare le disastrose condizioni sociali» del suo
tempo e per «modificare le strutture portanti dell’impero ed i privilegi delle
classi dominanti», ha, invece, offerto alcuni esempi, presenti nella
legislazione costantiniana, di «protezione dei soggetti economicamente e
socialmente deboli». Per quanto riguarda il fenomeno della servitù, Remo
Martini, oltre a richiamare i provvedimenti, volti a reprimere gli abusi nella
punizione dei servi da parte dei loro
padroni (CTh. 9.12.1 e 9.12.2), e le norme dirette a introdurre le più agili
forme di manomissione da celebrarsi in chiesa (in sacrosanctis ecclesiis), ha soffermato l’attenzione sul
riconoscimento della famiglia servile come famiglia di fatto, riconoscimento
che prende il via da una costituzione dell’imperatore del 325 (CTh. 2.25.1). Le
costituzioni (CTh. 11.27.1 e 11.27.2), con le quali Costantino mirava ad
assicurare un sostentamento per quei padri, che, oppressi dalla povertà,
sarebbero potuti giungere alla vendita e alla uccisione dei propri figli, sono
degne «di uno stato sociale moderno». La costituzione CTh. 2.30.1, con la quale
Costantino stabilì che ai contadini indebitati non fossero portati via gli
schiavi e gli animali da lavoro, pur potendo essere originata dalla opportunità
di tutelare interessi pubblici, dovette però allo stesso tempo assicurare
notevoli benefici ai debitori. Ma è soprattutto con CTh. 9.3.1 che Costantino
introduce una tutela ante litteram dei
«diritti dell’uomo», stabilendo alcune misure più umane, a favore di chi «era
in attesa di giudizio». L’autore ha chiuso la sua relazione, osservando che la
costituzione CTh. 16.2.6, per l’ipotesi che fosse stato necessario sostituire un
clericus defunctus, sembrerebbe far
preferire un ‘successore’ privo di lignaggio e di facoltà finanziarie (opulentos enim saeculi subire necessitates
oportet, pauperes ecclesiarum divitiis sustentari), osservazione, anche
questa, che appare inconciliabile con la tesi sostenuta da Lucio de Giovanni.
Nella relazione su «La legislazione costantiniana in materia di sacrifici», Pietro Paolo Onida (Università di Sassari) si è soffermato sulle numerose testimonianze che attestano il progressivo rifiuto, da parte di Costantino, dei sacrifici cruenti. In tale quadro rientrano, anzitutto, le costituzioni che vietano il compimento di pratiche sacrificali da parte degli aruspici (CTh. 9.16.1; CTh. 9.16.2; CTh. 16.10.1) e quelle che introducono limiti ai riti cruenti in onore delle divinità romane (CTh. 16.10.2; rescritto di Spello). L’imperatore, nell’intento di formulare una sintesi fra cultura cristiana e cultura ‘pagana’, sembra essersi ispirato, da un lato, alla dottrina cristiana, per la quale il vero e unico sacrificio è quello di Cristo, e, dall’altro, ad una visione già ‘pagana’ delle relazioni uomo-animale, per la quale il primo, non è nei confronti del secondo soltanto un dominatore, ma è, invece, a questo legato da un rapporto simpatetico. Il relatore, concentrando la propria attenzione su questa seconda ispirazione, ha proposto una lettura del divieto di sacrifici nel quadro della più generale concezione filosofico-giuridica della condizione animale nell’antichità. La scelta dell’imperatore di esprimere il proprio distacco dai riti cruenti deve essere ricondotta a quegli autori che, già nella cultura greca e poi nella cultura romana, si erano levati contro il sacrificio cruento, in nome dell’affinità fra tutti gli esseri viventi. In tale prospettiva, le disposizioni emanate dall’imperatore in materia di sacrifici cruenti possono essere indizio di un progetto complessivo di ‘innesto’ della nuova religione cristiana nella precedente cultura romana, progetto per il quale egli privilegia alcune specifiche correnti di tale cultura, con conseguenze assai interessanti anche sul piano del sistema giuridico risultante.
Paola Ruggeri (Università di Sassari) con una relazione su «Costantino conditor urbis: la distruzione di Cirta da parte di Massenzio e la nuova Constantina», ha tracciato un quadro delle vicende relative alla c.d. «usurpazione africana» di L. Domizio Alessandro ed alla conseguente violenta reazione di Massenzio, culminata con la distruzione della colonia Iulia Iuvenalis Honoris et Virtutis Cirta, in Numidia. A partire dal 309, il fronte di opposizione creato da Massimiano, Costantino e Domizio Alessandro, nei confronti di Massenzio, si estese fino alla Sardegna, ove ad esso aderì il praeses Sardiniae, Papius Pacatianus. A tale proposito, la relatrice ha formulato l’ipotesi che la sollevazione delle province africane e della Sardegna sia stata pilotata da Massimiano, mentre Costantino avrebbe accettato passivamente l’iniziativa per opportunità politica. Dopo la distruzione di Cirta, da parte del prefetto del pretorio, Rufio Volusiano, inviato in Africa da Massenzio, Costantino avrebbe operato una sorta di «damnatio memoriae collettiva» dei personaggi coinvolti nella usurpazione. La città di Cirta, «teatro della vicenda», fu però premiata con il nome di Constantina.
Vincenzo Poggi (Pontificio Istituto Orientale) ha aperto la seduta pomeridiana del 4 luglio, svoltasi nell’Aula Magna dell’Università e dedicata al tema «Il Santo Imperatore», con una relazione su «Costantino secondo Rufino di Concordia». Rufino di Concordia fu autore di una traduzione in latino della Storia ecclesiastica di Eusebio, alla quale aggiunse una serie di notizie, particolarmente importanti per la storia dell’Oriente cristiano. Egli riferisce della prima evangelizzazione della Georgia e della Etiopia. Chiama Costantino religiosus princeps. Descrive le vicende del concilio di Nicea. Racconta del ritrovamento della croce di Cristo da parte di Elena. Il relatore ha sostenuto l’ipotesi che l’influsso di Rufino, originario di Concordia Sagittaria, nel territorio ecclesiastico di Aquileia, potrebbe spiegare l’esistenza del culto di San Costantino in Italia, anche al di fuori della Sardegna, (nonché della Sicilia e della Calabria), ove il dominio bizantino si è conservato più a lungo.
Nella relazione su «Costantino il Grande nella letteratura georgiana del VIII-X secolo», Gaga Shurgaia (Università «Ca’ Foscari» di Venezia) ha delineato un quadro del culto di Costantino nelle più antiche fonti della liturgia gerosolimitana. Si tratta di fonti (tra le quali, il relatore ha richiamato il diario di viaggio della pellegrina ispanica Egeria, i lezionari armeni e i lezionari-typika georgiani) andate perdute nella redazione in greco, ma conservate in latino, armeno e georgiano, le quali, sebbene contengano strati ed elementi liturgici di epoche differenti, consentono di ricostruire lo sviluppo della liturgia di Gerusalemme dal IV al X secolo. Nonostante una di queste fonti, l’Itinerario di Egeria, non faccia menzione di una festa dedicata a Costantino, i lezionari armeni, posteriori al diario di qualche decennio, commemorano l’imperatore il 22 maggio. Nello stesso giorno, i typika georgiani prevedono la Commemoratio Constantini regis magni.
Anna Maria Piredda (Università di Sassari), nella sua
relazione su «Il mito di Costantino nel
racconto dell’inventio delle reliquie
dei martiri turritani», ha analizzato la tradizione relativa al
ritrovamento delle reliquie dei martiri turritani, in particolare alla luce
dell’Officium dei santi, in latino, e
del ‘Condaghe’ della basilica di San Gavino di Torres, in sardo logudorese.
Entrambe le fonti raccontano della guarigione dalla lebbra del giudice di
Torres, Comita, al quale San Gavino chiese, in sogno, di ricercare le sue
reliquie e quelle dei martiri, Proto e Gianuario, per collocarle in una nuova
chiesa fatta edificare sul monte Agellu, presso l’antica città di Torres. La
relatrice ha messo in luce le differenti caratteristiche delle fonti
richiamate: mentre nell’Officium,
testo liturgico utilizzato dal clero per la festa dei martiri, prevalgono le
«citazioni scritturistiche» e gli «aspetti rituali», nel ‘Condaghe’ domina,
invece, l’elemento narrativo. Anna Maria Piredda si è poi soffermata sulla
omelia (di cui si ha notizia attraverso l’opera di Giovanni Arca – il De Sanctis Sardiniae – pubblicata a
Cagliari nel 1598), pronunciata in occasione della festa dei martiri turritani
dall’arcivescovo di Sassari, Salvatore Alepus, teologo della controriforma e
protagonista del Concilio di Trento, omelia nella quale la figura del pio
giudice è paragonata a quella di Costantino.
Ha presentato l’ultima relazione della seduta pomeridiana Raffaele Coppola, sul tema «Il ruolo dell’elemento popolare nel processo di beatificazione e canonizzazione. A proposito del culto di San Costantino Imperatore». Il relatore, nel porre in risalto la devozione dei Sardi per San Costantino, ha affermato che il culto fu probabilmente introdotto nell’Isola dalla Chiesa ortodossa, durante il periodo della conquista bizantina. Cinque chiese, oltre al santuario di Sedilo, testimoniano il culto di Costantino, culto che la Chiesa latina non respinge, sia sotto il profilo della «memoria storica», sia sotto il profilo della «valorizzazione della fede collettiva». La venerazione del Santo è testimoniata, anzitutto, da numerose feste popolari, tra le quali Raffaele Coppola ha ricordato quella di Sedilo, e poi ancora, dalla ricorrenza, per ben 19 volte, del toponimo Santu Antine (San Costantino) in vari luoghi dell’Isola. Per quanto concerne l’atteggiamento di Costantino nei confronti della Chiesa, il relatore ha sostenuto che l’imperatore non avrebbe mai cessato di ritenere che le istituzioni religiose dovessero essere libere da una «ingerenza statale», sebbene il corso degli eventi sia poi andato in senso opposto. Quanto al problema della conversione di Costantino, non si può essere certi della adesione dell’imperatore all’arianesimo. Il battesimo di Costantino, da parte di un vescovo ariano, si spiegherebbe sulla base della convinzione, allora assai diffusa, secondo la quale la salvazione ottenuta col sacramento avrebbe potuto essere perduta per sempre, qualora si fossero commessi in seguito altri peccati. D’altra parte, la Chiesa non faceva distinzione su chi avesse impartito il battesimo. Raffaele Coppola ha concluso la sua relazione, osservando che, per valutare la sincerità della conversione cristiana di Costantino, non si può fare riferimento alla legislazione da lui emanata: essa, infatti, non avrebbe potuto essere pienamente conforme a «presupposti confessionali».
La seduta antimeridiana del 5 luglio
si è svolta a Sedilo, presso il ‘Centro comunale polivalente’. Essa si è
aperta, dopo i saluti di rito del sindaco del Comune ospite, Giovanni Muredda,
e del prorettore della Università di Sassari, prof. Attilio Mastino,
con la relazione di Constantinos G. Pitsakis (Università della Tracia,
Komitini) sul tema «A propos du culte de Saint Constantin dans l’Eglise
catholique: nouvelles informations». In Grecia, le autorità ecclesiastiche
cattoliche del Paese hanno introdotto, con l’approvazione della Santa Sede,
alcune misure di integrazione liturgica e cultuale, fra le quali, ad esempio,
la celebrazione della Pasqua nello stesso giorno di quella ortodossa. In tale
prospettiva rientra anche la festa di San Costantino. Tale ricorrenza, in
Grecia, è sempre presente nei «calendari e nelle opere liturgiche cattoliche di
rito greco» ed è stata introdotta anche nel «calendario della Chiesa cattolica
di rito latino». San Costantino, ignorato dalla versione ufficiale dei
martirologi romani, non è completamente trascurato dalla agiografia
occidentale. Quanto alla legittimità di tale culto, il relatore ha rilevato
che, nella tradizione della Chiesa ortodossa, il culto dei santi trae
fondamento, anzitutto, dalla coscienza del popolo di Dio. L’autorità ecclesiastica
non fa che constatare l’esistenza del culto così originato e ordinare la
commemorazione del santo nel calendario. Per tali ragioni, senza dubbio, ha
concluso Constantinos G. Pitsakis, Costantino può essere legittimamente
considerato un santo.
Antoine-Emile N. Tachiaos (Associazione Greca di Studi Slavi,
Tessaloniki) ha affrontato il tema «Le culte de St. Constantine en Bulgarie
au XIVe siècle». Il culto di San Costantino ha acquistato, dopo
il IV secolo, una posizione particolarmente importante nella coscienza dei
fedeli della Chiesa d’Oriente. Soprattutto a partire dalla diffusione della
leggenda relativa al ritrovamento della Croce da parte di Elena, madre e figlio
hanno assunto una importanza particolare nell’anno liturgico di tale Chiesa: il
21 maggio, infatti, è giorno di festa e di commemorazione dei due personaggi.
Entrambi sono riconosciuti santi ed occupano un posto importante nel menologio
della Chiesa d’Oriente. Di provenienza bizantina, il culto di Costantino si è
diffuso presso i popoli slavi. Il relatore si è poi soffermato sul discorso
pronunciato da Eutimo, eletto patriarca di Tirnovo nel 1375. Il discorso,
pronunciato alla presenza dello Zar bulgaro, Ioann Shishman, costituisce la
prima opera letteraria di un autore slavo in onore dell’imperatore e di sua
madre. Si tratta di una biografia di Costantino alla quale Eutimo ha allegato
una corta relazione sulla scoperta della croce da parte di Elena. Lo studioso
ha richiamato l’attenzione sulle circostanze storiche durante le quali fu composta
l’opera. La Bulgaria si trovava, allora, in un momento assai critico per la sua
stessa esistenza. I Turchi avevano invaso una grande parte delle regioni
orientali e meridionali del Paese e l’unità del regno bulgaro era stata già
compromessa. La stessa città di Tirnovo era sotto la minaccia dell’invasione
turca. Fu, probabilmente, dopo la dolorosa sconfitta del Kosovo che il
Patriarca volle trovare il modo di ispirare coraggio allo Zar e ai suoi sudditi
nella lotta contro gli infedeli. L’immagine del grande imperatore Costantino,
fervente cristiano, doveva costituire un modello per lo Zar bulgaro. I
manoscritti, che riproducevano il discorso di Eutimo, anche dopo la dominazione
turca, continuarono a circolare nei paesi di lingua slava, attraverso i quali
il culto di Costantino è poi passato in Romania, ove è sopravvissuto fino al
XVIII secolo.
Antonio Francesco Spada (Direttore del periodico «Dialogo» della diocesi di Alghero-Bosa) ha letto l’ultima relazione della seduta sul tema «La conversione di Costantino e la nuova concezione del potere imperiale». Il relatore, prendendo il via dal significato cristiano della conversione, ha sostenuto che Costantino, nel periodo immediatamente successivo alla battaglia di Ponte Milvio, non avrebbe avuto nei riguardi di Cristo altro che un «debito di gratitudine». L’imperatore si sarebbe convertito solo dopo la vittoria su Licinio e la morte di Crispo e di Fausta. Egli, tuttavia, anche dopo tale decisione, avrebbe aderito al costume, allora assai diffuso, di rinviare il suo battesimo fino alla vigilia della morte. Costantino, anche negli ultimi anni di vita, dovette, però, assumere per necessità un «comportamento altalenante», mostrando indulgenza nei confronti del culto ‘pagano’.
Ha aperto la seduta antimeridiana
del 6 luglio, presso il Chiostro del Carmine, a Oristano, Attilio Mastino (Università di Sassari), con la relazione «Da
Roma pagana a Roma cristiana. La conversione secondo Augusto Fraschetti».
Il relatore, traendo spunto dalla recente monografia di Augusto Fraschetti (Da Roma pagana a Roma cristiana. La
conversione, Roma-Bari 1999), ha tracciato un quadro delle complesse vicende
relative all’abbandono del Campidoglio da parte di Costantino. Il relatore ha
criticato la tesi di Augusto Fraschetti, secondo il quale l’imperatore si
sarebbe rifiutato di recarsi al Campidoglio già all’indomani della vittoria di
Ponte Milvio. Nelle fonti mancano sicure testimonianze, che consentano di
datare a tale periodo il rifiuto di Costantino. È vero che il Panegirico
IX, pronunciato a Treviri nell’estate del 313, non accenna all’ascesa al Campidoglio
e al sacrificio a Giove, ma l’omissione potrebbe tradire la volontà di tacere
in merito a un episodio che poteva destare imbarazzo nell’imperatore, quando
ormai, dopo l’editto di Milano, il suo atteggiamento religioso era «profondamente
mutato» rispetto a quello assunto subito dopo la battaglia di Ponte Milvio.
Quanto alla osservazione di Augusto Fraschetti, in merito alla fretta che
Costantino avrebbe mostrato nell’attraversare Roma e alle anomalie relative
all’ingresso dell’imperatore nella città, Attilio Mastino ha rilevato che il 29
ottobre del 312 furono celebrati senz’altro «munera e ludi
tradizionali». La historia ecclesiastica di Eusebio, il Panegirico
IX del 313, che cita gli ioci triumphales, e il Panegirico X di Nazario del
321, che riporta la formula quis
triumphus inlustrior, non lasciano dubbi sulla celebrazione del trionfo di
Costantino. Una tabula marmorea inscritta
da Cesarea di Mauretania (CIL VIII
9356) raffigura tre personaggi togati e laureati, il primo dei quali ha in mano
un ramo d’ulivo, e quattro soldati, i quali portano una immagine raffigurante
un ponte ed una navicella. Tale documento attesta in modo inequivocabile la celebrazione
del trionfo. Quanto all’arco di Costantino, l’espressione arcus triumphis insignis, ivi
scolpita, impedisce, ancora una volta, di accogliere l’osservazione di Augusto
Fraschetti, secondo il quale il monumento sarebbe privo di un qualsiasi richiamo
al trionfo. L’attributo triumphator,
accompagnato spesso da altri titoli quali victor
o invictus, sembra alludere, invece,
ad un trionfo tradizionale. Con il passare del tempo, l’abbandono del Campidoglio
doveva però essere inevitabile. I decennali del 315 si caratterizzano, come
afferma Eusebio, per un maggiore senso di adeguamento allo spirito cristiano.
In relazione al terzo adventus,
avvenuto nel 326, Zosimo racconta che Costantino, giunto a Roma dopo avere
fatto uccidere Crispo e Fausta, per paura dei soldati, prese inizialmente parte
alle cerimonie per la celebrazione dei ventennali del regno, per poi
allontanarsi, cadendo così in odio al senato e al popolo, quando «un egizio gli
inviò contro una visione (phasma) che biasimava senza riserve l’ascesa al
Campidoglio». Il racconto sembrerebbe provare che l’imperatore si sarebbe
«conformato alle tradizioni pagane della città», in occasione dei due adventus precedenti, ma avrebbe poi
cercato di eliminare il ricordo di tali episodi.
Nella relazione su «Materiali per una storia della cristianizzazione in Sardegna: il IV secolo alla luce dei rinvenimenti epigrafici», Antonio Corda (Università di Cagliari) ha tracciato, per la Sardegna, un quadro del patrimonio epigrafico di origine cristiana. Il relatore ha rilevato che, secondo una proporzione normalmente riscontrata nelle aree periferiche, su un totale di 1400 epigrafi su supporto lapideo, solo circa 220 testi possono dirsi sicuramente cristiani. Dei quali, ben pochi, possono essere datati con certezza al IV secolo. Una di queste epigrafi è l’iscrizione funeraria del 394, rinvenuta a Turris Libisonis, nella quale sono menzionati i consoli Arcadio e Onorio, non ancora divenuti augusti. L’autore, prendendo spunto da tale fonte, si è soffermato sulla vicenda della usurpazione del retore Eugenio. Poiché l’iscrizione menziona i consoli nominati in Oriente da Teodosio, i figli Arcadio e Onorio, e non quello nominato in Occidente dall’usurpatore, Nicomaco Flaviano, è verosimile che l’Isola si sia schierata dalla parte di Teodosio. A differenza di quanto accade per Turris Libisonis, la maggior parte delle iscrizioni cagliaritane appartiene almeno all’ultimo decennio del V secolo. Per quanto riguarda la diffusione del cristianesimo nell’Isola, il relatore, pur riconoscendo una certa importanza alla partecipazione del vescovo cagliaritano Quintasius al concilio di Arelate del 314, indetto da Costantino per risolvere il problema dell’arianesimo, ha escluso l’esistenza sia di «comunità cristiane particolarmente numerose» nelle città, sia di un alto numero di proseliti nelle campagne.
Salvatore Berlingò (Università per Stranieri Dante
Alighieri, Reggio Calabria), con una relazione sul tema «Dal mare nostrum
al mare aperto. Contributo per un’ermeneutica ‘mediterranea’ dei sistemi
giuridici», ha concluso la seduta di Oristano. Il bacino del Mediterraneo è
caratterizzato da un ‘milieu’ culturale, nel quale sono confluite esperienze di
matrici differenti. L’identità della civiltà mediterranea passa attraverso il
confronto delle differenti tradizioni religiose e delle corrispondenti istituzioni
politiche. Il 31 marzo 1999, la V conferenza delle regioni del Mediterraneo-Mar
Nero, organizzata dal Consiglio d’Europa, ha approvato un documento conclusivo,
definito in termini significativi «Messaggio», nel quale si auspicava la formazione
di una «coscienza di una nuova mediterraneità, come motivo di aggregazione e di
appartenenza ad un bene comune da salvaguardare nell’interesse di tutti i Paesi
e i popoli africani e mediorientali rivieraschi dei due mari». Nella prospettiva
di sviluppo di tali regioni, le strategie relative non possono che essere
diverse, così come differenti sono le culture nelle quali operare. Nella
definizione del Mediterraneo come mare
nostrum non è presente solo il significato di dominio, ma anche quello di
«familiare», «conosciuto». E al Mediterraneo, scenario nel quale sono andate
realizzandosi l’«ingorgo» e il «rimescolio delle razze», che occorre, quindi,
guardare ancora per una nuova strategia dello sviluppo, non per un ritorno alle
origini, ma per «provocare all’Europa un salutare contraccolpo di
consapevolezza».
I lavori sono stati chiusi da un discorso di sintesi di Pierangelo Catalano e dai saluti di Francesco Sini.
Pietro Paolo Onida
(Università di Sassari)