N. 9 – 2010 –
Tradizione-Romana
Seconda
Università di Napoli
Phersu/Persona? Contributo per un’etimologia di prosōpon*
Sommario: 1. Premessa.
– 2. La pista etrusca. – 3. Il Phersu
della necropoli di Monterozzi di Corneto-Tarquinia. – 4. La fabula personata e le radici etimologiche di prosōpon.
– РЕЗЮМЕ
Oggi più che in altre epoche il tema
della persona (in greco prÒswpon), anche nel mondo antico, sembra sufficientemente
indagato[1]. Si conoscono le tappe principali della sua evoluzione
semantica[2], i dati quantitativi relativi alla sua presenza nelle
fonti tecniche e non, ma sulla questione etimologica studiosi di primissimo
piano non si sono ancora pronunciati in modo definitivo[3].
Un tema che ancora oggi appassiona gli
studiosi delle discipline antichistiche è quello del Phersu di Tarquinia che per alcuni
sembrerebbe poter rappresentare l’archètipo linguistico di prosōpon/persona. Una prospettiva molto suggestiva perché
consentirebbe di risalire per la storia di persona
ancora più indietro della fabula
personata etrusco campana. Vorrei dedicare qualche riflessione a questo
tema.
Nella necropoli di Monterozzi, in due
affreschi della Tomba degli Auguri
nella zona di Corneto-Tarquinia risalente al 530 a. C. è raffigurato un
uomo barbuto e mascherato, abbigliato con corsetto e cappello conico, accanto
al quale è posta la scritta fersu in caratteri maiuscoli e disposta alla maniera etrusca,
in senso bustrofedico, da destra verso sinistra. La raffigurazione parietale
della tomba è celeberrima.
Nella parete di destra Phersu tiene fra le mani un laccio lento che impaccia un altro uomo
posto davanti a lui che ha la testa chiusa in un sacco e tenta di difendersi
dall'assalto di un mastino che lo morde alla gamba sinistra. Nella parete di
sinistra, con un corsetto di colore diverso, Phersu sembra allontanarsi a passo di danza in un dipinto in cui si
intravedono anche un flautista e due pugilatori con un lebéte.
Molto si è scritto su questo Phersu della Tomba degli Auguri di Tarquinia[4]. L'impressionante affinità del termine latino persona con il morfema etrusco phersu (da dire Fersu) attestato come didascalia in queste famosissime figure
tombali ha portato molti studiosi a proporre un'etimologia recente di persona come derivato da un aggettivo
etrusco persuna, cioè di Fersu(=Fersu), ma letto alla latina, appunto, Persu[5].
Franz Altheim nel 1929 pensò che Phersu
fosse un nome proprio. La figura, una personificazione del dio infero etrusco Charun (come quello della tomba
François di Vulci)[6]. Altri hanno pensato a un demone
apparentato con fersipnai che regna sui morti a fianco di Eita e nell'azione della parete di destra si è ritenuto di
vedere un rito funerario[7]. Fulvio Maroi nel 1933 riprese l'idea
dell'origine funeraria del ruolo del phersu
e del nesso con la maschera degli antenati a Roma[8].
Nuove scoperte hanno alimentato la
discussione con ulteriori argomenti[9].
Enrico Montanari, tenendo conto delle
più recenti scoperte archeologiche, ha affrontato di nuovo ex professo il tema di Phersu e il suo rapporto con persona. Anche tale studioso non vede Phersu come una necessaria espressione
del mondo infero[10]. Anzi, per questi la figura rappresentata nella Tomba degli Auguri non sembrerebbe
neanche essere la 'replica scenica' di un demone, ma un 'operatore rituale'
che, nel caso di specie, avrebbe operato come tramite fra piano divino e umano,
assumendo anche tratti demoniaci[11]. Phersu non
sarebbe neanche espressione necessaria di un'azione cruenta. Di conforto in
questa direzione, sarebbe il riscontro di un personaggio analogo (vestito in
modo simile a Phersu) raffigurato
nella parete di sinistra della stessa camera sepolcrale, come mimo o danzatore.
Situazione analoga si rinviene nella Tomba
del Pulcinella di Tarquinia (510 a. C.), così chiamata dalla casacca
a losanghe bianche e nere del presunto phersu.
Addirittura, nella Tomba della Scimmia di Chiusi (480–470 a. C.), un personaggio
sempre vestito con un costume analogo è raffigurato in proporzioni tanto
ridotte da sembrare un bambino o un nano tenuto per mano da un'altra figuretta
con volto di sileno. Proprio questa circostanza ha indotto gli interpreti a valutare
con scettismo la tesi di Altheim, dato che la dimensione 'caricaturale' del phersu di Chiusi sembrerebbe far
escludere che questi fosse effettivamente la rappresentazione di un dio
infernale[12]. Tutto questo confuterebbe definitivamente l'ipotesi (di
Altheim) che il phersu etrusco sia un
nome proprio e fornirebbe argomenti per affermare che sia invece un nomen agentis[13].
Non la penso allo stesso modo.
Tenere in giusto conto la presenza delle altre maschere etrusche variamente
attestate iconograficamente non deve significare farsi fuorviare
dall'interpretazione più esatta che si può dare della
rappresentazione rinvenuta nella Tomba
degli Auguri.
Secondo una recente ipotesi abbastanza
suggestiva, e con buona verosimiglianza, il Phersu
dipinto sulle pareti tombali di Tarquinia potrebbe essere una versione etrusca
di Ade che, come la figura rappresentata nella parete tombale, portava un elmo[14].
Nel caso di specie Phersu potrebbe rappresentare il dio dell'Averno e trattarsi di un
dio della morte che si impadronisce delle teste, cioè delle anime dei
morti che sono le sue vittime[15].
Sulla parete di destra della Tomba degli Auguri, come è noto,
un uomo mascherato, che una didascalia definisce Phersu, tiene in mano una specie di guinzaglio per un cane, che
viene aizzato contro un uomo nudo con perizoma, che è in lotta con il
cane stesso. L'uomo nudo è intrappolato dalla stessa corda tenuta in
mano da Phersu ed è
raffigurato con la testa completamente coperta da un panno o da un sacco. La
circostanza che questa figura brandisca una clava, e che sia impegnata in una
aspra lotta con un cane, fa pensare ad Eracle, mitologicamente rappresentato in
lotta contro il cane Cerbero.
La testa è coperta perchè
l'uomo (che dovrebbe simboleggiare il defunto della tomba in cui si è
posta la raffigurazione) sta entrando nel regno dei morti e si può
cogliere in questo una similitudine tra questi e Eracle che operto capite entra nel regno dei morti
come puntualmente registra Servio il grammatico[16]. L'uso di compiere sacrifici religiosi con il capo
velato può essere considerato antichissimo (Verg. Aen. 3. 405: purpureo velare
comas adopertus amictu) e la
tradizione narra che questo fu introdotto in Italia sin dai tempi della saga d'Enea
con l'esortazione a conservare questo rito anche nelle generazioni future:
Verg. Aen. 409: hac casti maneant in religione nepotes[17]. Del culto di Ercole, e delle sue modalità,
parlano diffusamente anche Macrobio, Varrone e Gavio Basso, questi ultimi citati
come fonti dall'erudito della prima metà del V secolo d. C.[18]
La parete sinistra della tomba è
altrettanto indicativa perchè mostra Phersu
che corre via come faceva Ade ad
indicare che è l'uomo con il bastone a prevalere e bisogna anche tenere
conto del fatto che nelle arti figurative Eracle è spesso indicato con
un cane al guinzaglio[19]: Hom. Odyss.
11. 623: ka… potš m' ™nq£d' œpemye kÚn' ¥xont'oÙ g¦r œt' ¥llon fr£zeto toàdš gš moi kraterèteron
eŒnai ¥eqlon. tÕn mn
™gën ¢nšneika kaˆ ½gagon ™x 'AŽdao
`Erme…aj dš m' œpempen
„d glaukîpij 'Aq»nh[20].
Le scene dipinte nella Tomba degli Auguri, allora, non saprei dire a questo punto quanto
assimilabili a dei giochi funebri (Leichenspiele),
molto probabilmente ritraggono la fatica imposta da Euristeo ad Eracle (spesso
raffigurato con un cane al guinzaglio)[21], cioè l'uomo in perizoma che brandisce la clava,
che ha il compito di portare via il cane Cerbero dal regno di Phersu. Cerbero (forse dall'antico
assiro e babilonese qerbu='profondo','inferiore') era la prefigurazione del
mondo sotterraneo e il suo compito implicava la lotta con il Phersu che evocherebbe l'aspra contesa
tra Eracle e Thánatos,
l'equivalente della Morte dell'Alcesti
euripidea[22].
Sin qui abbiamo potuto identificare l'uomo
in perizoma che brandisce la clava con Eracle e il cane della raffigurazione
parietale con Cerbero. Ma non è tutto.
Esistono infatti labili (ma concordanti)
indizi che consentono forse di formulare un'ipotesi anche sull'identificazione
di Phersu. Questi, infatti, potrebbe
essere apparentato con Proserpina figlia di Demetra, ossia fers-ipnai (che è la versione etrusca di PersefÒnh, che nel pantheon
etrusco regnava sui morti al fianco di Eita[23]. Si tratta di un legame plausibile come mostra Verg. Aen. 4. 698 ss.: nondum illi flavum Proserpina vertice crinem/abstulerat Stygioque caput
damnaverat Orco.
Resta però una domanda. Perchè
l'uomo con il perizoma e la clava è raffigurato con un cappuccio?
Bisogna ritornare all'uso attestato presso etruschi, greci e romani di velare
il capo ai morti. Nei monumenti funerari etruschi e romani si scorgono infatti
dei demoni, anche alati, che si avvicinano al morto o al morente recando un
panno come per coprirlo o fasciarlo[24]. Questo fatto può essere collegato alla notizia
per cui a Feneo, in Arcadia, la dea madre del raccolto, Demetra (ma anche madre
di Persefone/Proserpina), era rappresentata da una testa[25]. Prassidiche, infatti, può essere identificata
con Persefone (Orph. Hymn. 29) che
era la vergine del grano, signora delle yuca… sepolte e delle teste degli uomini. Ed era
uno spirito vendicatore come una 'ErinÚw o
una fuk» adirata[26].
Questa dea veniva raffigurata semplicemente
con una testa e riceveva a sua volta delle teste in dono[27]. Ebbene, in una leggenda, Perseo taglia con una falce
(di qui l'immagine della morte come scheletro incappucciato con in mano la
falce[28]) la testa di Gorgone (Gorge…n kefal») di Persefone[29]. Il dettaglio è molto interessante perchè
Perseo, il cui nome significa forse 'distruttore', indossava l'elmo di Ade e
copriva la testa della sua vittima.
Potremmo ipotizzare allora che Phersu in luogo di indossare una
maschera portasse un elmo? Non saprei dire. Sappiamo però che gli
Etruschi chiamavano questo demone dell'aldilà con l'appellativo di Pherse[30]. Tutto questo mi pare che sia abbastanza per proporre
un'interpretazione dell'affresco della Tomba
degli Auguri che sia sufficientemente affidante[31].
Parrebbe in effetti che Phersu, piuttosto che essere degradato a semplice maschera rituale
o scenica, possa rappresentare, almeno nel dipinto della Tomba degli Auguri di Tarquinia, un'entità cosmica, e come
tale, qualcosa di analogo al dio italico dell'Averno.
Il nostro personaggio potrebbe proprio
rappresetare una versione etrusca di Ade che si impadroniva delle teste,
cioè delle anime delle sue vittime in procinto di andare nel mondo degli
inferi. Questo spiegherebbe il laccio o guinzaglio con cui la figura imbriglia
l'uomo con la clava. Ammesso poi che il personaggio ritratto nella tomba della
necropoli di Monterozzi, esplicitamente denominato Phersu, indossasse una maschera, possiamo pensare che si trattasse
veramente, e soltanto, di una maschera anonima? Come se questi fosse un mero
attore e Phersu soltanto un nomen agentis? La somiglianza con le
altre figure e figurette recensite dagli studiosi che hanno creduto di
risolvere l’enigma del Phersu
di Tarquinia proprio in base alle affinità di indumenti non può
certo essere considerata un'argomentazione decisiva. In attesa di ulteriori
approfondimenti direi, allora, che la tesi di Franz Altheim (che spiega Phersu come un nome proprio) sia quella
che oggi presenta ancora maggiori margini di plausibilità[32].
Tutto questo non toglie nulla alla
possibilità che figurette o maschere abbigliate in modo molto simile ai
personaggi delle pareti della Tomba degli
Auguri (penso alla ricca documentazione iconografica fornita dallo
Szilágyi) possano effettivamente rappresentare una prova del fatto che
un agente in veste 'polifunzionale'
fosse conosciuto dal pubblico etrusco e dai committenti delle anfore e dei
dipinti tombali, in una forbice temporale che va dall'ultimo quarto del VI
all'inizio del V secolo a.C.[33]
Non v'è dubbio che l'idea di una
conoscenza estesa anche al pubblico romano, visto che in questo periodo (tra
l'ultima fase della dominazione etrusca e la prima repubblica prima della
serrata del patriziato) l'influenza etrusca su Roma era ancora considerevole,
abbia anche un fondamento scientifico[34]. Pensando ai pugilatori di Tarquinia e ai cavalli della Tomba delle Olimpiadi viene in mente
infatti la tradizione riportata da Livio in 1. 35. 9 per cui Tarquinio Prisco
avrebbe introdotto a Roma i ludi
circenses facendo venire dall'Etruria pugili e cavalli: Ludicrum fuit equi pugilesque ex etruria
maxime acciti.
Sembrerebbe allora confermata l'ipotesi che
vede la Campania etruschizzata come la via attraverso cui l'attrezzo teatrale
potrebbe essere giunto fino a Roma.
Riferisce infatti Livio che i ludi scenici
sarebbero stati importati dall'Etruria (ludiones
ex Etruria acciti), con modalità (ad tibicinis modos saltantes, haud indecoros motus more Tusco dabant)
e gergo linguistico mutuati da quelli etruschi (quia ister Tusco uerbo ludio uocabatur, nomen histrionibus inditum).
Lo storico di età augustea, poi, attesta anche un legame diretto tra
questi e le fabulae Atellane (unde exodia postea appellata consertaque fabellis
potissimum Atellanis sunt; quod genus ludorum ab Oscis acceptum) di cui
parla anche la glossa festina[35]:
Fest. sv. Personata (L. 238,13): Personata fabula quaedam Naevi inscribitur,
quam putant quidam primum <actam> a personatis histrionibus. Sed cum post
multos annos comoedi et tragoedi personis uti coeperint, verisimilius est eam
fabulam propter inopiam comoedorum actam novam per Atellanos, qui proprie
vocantur personati; quia ius est is non cogi in scena ponere personam, quod
ceteris histrionibus pati necesse est[36].
Come chiaramente riferisce Festo, per molto
tempo commedianti e trágedi usarono rappresentare i loro spettacoli alla
stregua degli Atellani (le personae Oscae),
ossia 'mascherandosi' in un modo che secondo l'uso campano si soleva dire personare (qui proprie vocantur personati). Un'uso teatrale che sembrerebbe
essere stato adottato ancora dal capuano (non a caso) Gneo Nevio nelle sue
rappresentazioni[37].
Siamo di fronte ad una prima evidenza. Si
può sostenere in base a buone fonti che la storia di persona in latino sia cominciata allora
nel quarto secolo. E' la storia di un'espressione verbale che nella sua fase
più risalente indicava la 'maschera teatrale' come 'nome comune di cosa'
e che nella sua forma predicativa (forse originaria) servì ad indicare
molto probabilmente l'azione di chi 'rappresentava' qualcosa nei modi
ipostatizzati di una rappresentazione scenica o (come vedremo più
avanti), meglio ancora, di un antico rituale. Una presenza tanto antica quanto
almeno la recezione della fabula Atellana
a Roma che, stando alla tradizione, sarebbe stata introdotta nel 364 a. C.[38]
Sulle modalità di circolazione e
diffusione della parola persona in
ambiente arcaico è difficile essere più precisi perchè
mancano notizie dettagliate sull'impiego di attori mascherati in ambiente
etrusco/italico nello spazio di tempo che va dall'inizio del V alla prima
metà del IV secolo a. C. Questo vuoto di notizie (di oltre un secolo e
mezzo) potrebbe tuttavia essere colmato da quanto sappiamo sull'impiego delle
maschere teatrali nel teatro greco. Un tema che ci porta a ragionare anche
sull'etimologia di prosōpon.
Maria Michela Sassi a questo proposito nota
infatti che anche in lingua greca la linea di sviluppo che è possibile
ricostruire dai dati linguistici sulla parola è in qualche modo
parallela alla storia dell'oggetto
maschera e del suo uso nel teatro antico[39]. La studiosa è giustamente cauta sia sul rapporto
etimologico tra prosōpon e persona che su un'eventuale mediazione
etrusca[40]. Dal titolo del suo paragrafo dedicato al problema Dalla maschera al volto si capisce
però che l'autrice segue l'opinione corrente che vorrebbe persona/prosōpon nel significato di
'maschera teatrale' come significato originario. Ho fondato motivo di credere
invece che il rapporto tra sostantivo e forma verbale sia da invertire. Nel
caso della parola latina mi pare evidente.
Lo dimostra chiaramente, a mio avviso, Gavio
Basso (ripreso come è noto da Gellio e Boezio) quando parla di una
derivazione etimologica di 'persona' da personare[41].
Quanto alla parola greca, l'etimologia di prosopōn (da prós='accanto' + apum/appum=la 'parte alta di qualcosa')
spiega come la parola possa essere stata impiegata senza difficoltà per
indicare il 'capo' dell'uomo (Aristotele), il 'volto' (nei Septuaginta e ancora prima nella tradizione veterotestamentaria) e
la 'maschera' dell'attore che coprendo il viso sta pure in 'alto' rispetto alla
figura umana. Su questi aspetti centrali dell'etimologia della parola ho
intenzione di tornare molto più diffusamente in altra sede, ma vorrei
proporre sin da adesso come ipotesi di lavoro l’idea che possa essere
stato il nome dell'aggeggio teatrale (persona)
a derivare dalla forma verbale (personare),
che era l'azione svolta in teatro dall'attore che indossava il prosōpon, e non viceversa. Quindi
si potrebbe parlare nel caso di prosōpon
di un percorso semantico che va da ciò
che è accanto a ciò che è in apice, quindi l'attrezzo
teatrale che è sulla testa o sul volto, ovvero dal 'volto', 'testa' (in
latino arcaico anche giuridico caput),
alla 'maschera'; e, per il termine latino, dalla 'rappresentazione',
cioè da verbo usato per descrivere il rituale (personare), a 'ciò che serve per rappresentare', cioè
per compiere il rito, nel caso di specie, persona.
Ma vediamo meglio.
Sappiamo che il primo impiego della maschera
teatrale come antenata del coro nel dramma greco avvenne come modalità
di maschera animale collettiva[42]. Di qui la presenza di satiri con caratteristiche equine
o con tratti caprini, come vorrebbe anche la paretimologia di tragōidia da tragos='capro', ovvero la presenza di cori animali in più di
una commedia di Aristofane (Rane, Uccelli, Vespe)[43]. In questa fase, l'imitazione del mondo animale è
stata interpretata come una sorta di perpetuazione del legame tra l'uomo
primitivo e la natura. Nelle feste di propiziazione agraria e nelle cerimonie
iniziatiche, l'uomo infatti (siamo ancora prima di Tespi, quindi prima del VI secolo a. C.) celebrava il ritorno allo stato selvaggio
(‘personava’?), forse per convogliare e scaricare le tensioni e le
contraddizioni del vivere civile[44].
Sappiamo ancora troppo poco di come vivevano
gli individui del mondo mediterraneo antico in quest'epoca, ma trovano la loro
collocazione in questo quadro i travestimenti barbarici e i rituali di scambio
dei sessi largamente attestati nell'antichità, così come le
maschere nere e, ad esempio, l'abbigliamento esotico delle danaidi nelle Supplici di Eschilo[45]. A questa fase corrisponde certamente il carattere iperbolico della comicità di
Aristofane da cui Menandro (che muore nel 292 a. C.) saprà già
distaccarsi. Quasi come se l'aggressività e il grottesco potessero
rappresentarsi come uno sfogo contro un contesto sociale repressivo rispetto
alle manifestazioni individualistiche.
E' chiaro che qui si allude al contrasto tra
gruppi familiari e individui in un'epoca in cui il peso dei primi nella
società era molto forte[46]. Secondo il lessico bizantino Suida, Tespi, poeta tragico più antico a noi noto e
riportato dalle fonti anche come il mitico inventore della tragedia, avrebbe
prima recitato col viso cosparso di bianco e rosso, mentre solo in un secondo
momento avrebbe introdotto l'uso di una maschera di tela[47]. Considerato dagli specialisti come l'autore in cui si
espresse per la prima volta il passaggio tra i più primitivi culti
dionisiaci e la rappresentazione tragica come è da noi conosciuta, quale
che sia il valore storico di questa notizia, è significativo che si sia
stabilito un nesso tra l'inizio del teatro vero e proprio e l'uso di tingere il
viso e di usare pertanto in questo modo una maschera da parte degli attori[48].
Anche nel racconto mitologico sull'origine
della commedia la contraffazione del volto ha un ruolo importante. In uno
scolio di Dionisio il Trace si racconta di alcuni contadini ateniesi che
sarebbero accorsi di notte sotto le mura della città a commentare dei
torti subiti dagli abitanti della città. Essendo riusciti a far
ravvedere i responsabili, questi sarebbero stati invitati a ripetere in teatro
(o secondo un'altra versione nell'agorà stessa) le loro lagnanze e per
mantenere l'anonimato si sarebbero imbrattati il viso con la feccia del vino.
Questa fonte nota, anche se tarda, pone quindi all'origine della commedia
l'invettiva politica e l'uso di mascherarsi attraverso la contraffazione del
volto[49].
Potrebbe essere stato questo il modo
attraverso cui, nel caso di prosōpon,
può essersi verificato lo spostamento semantico dal 'volto' alla
'maschera'. Forse a questo periodo corrisponde ancora l'uso molto antico
rilevabile già in Omero ed Esiodo (anche però, ad esempio, in
condizioni di tempo e di luogo profondamente mutate, in Gregorio di Nissa e
prima ancora nella vulgata dei LXX e nella letteratura veterotestamentaria del
primo cristianesimo[50]) che vorrebbe prosōpon
indicare comunemente il viso umano[51].
In questo senso l'etimologia di prÒswpon come parola formata dalla preposizione prÒj (='accanto') più una base accadica āpum<appum nel significato di 'parte
superiore', e quindi di 'volto', se si pensa alla figura umana, sembra
trovare, proprio come si diceva prima, piena collocazione[52]. Così troviamo prÒswpon attestato
nel significato di ‘volto’ come detto in Hom. Odyss. 19. 361; 20. 352; Il.
7. 212; 18. 24; 18. 414; Esiod. op.
594 e Demost. or. 18. 283. Un
significato di 'aspetto', 'figura umana' o 'presenza' come in Eur. Med. 1198; Plut. Caes. 17; Pap. Oxy. VII. 1071. Un significato naturalmente di 'maschera' e un
significato di 'parte', 'personaggio' come in Luc. calumn. 6; 5[53]. Coerentemente nei Septuaginta
e poi in Filone Alessandrino e Giuseppe Flavio si riscontra ancora un
significato di prosōpon che
copre tutta l'ampiezza semantica di un possibile equivalente ebraico (panēh) impiegato per indicare il 'volto',
la 'faccia', la 'parte rivolta verso chi guarda', ovvero la 'parte anteriore di
un oggetto inanimato'[54]. La parola greca, quindi, sembrerebbe essersi
specializzata solo in un secondo momento in poesia per designare la 'maschera'
ovvero, in modo traslato, il 'ruolo drammatico' o il 'personaggio letterario'[55].
Grazie al ritrovamento di un ampio
repertorio di mascherette votive scavate nella necropoli di Lipari, abbiamo
oggi una documentazione abbastanza significativa invece sull'uso delle maschere
teatrali nel senso più pieno della parola (ossia come 'oggetto teatrale'
che si appone sul volto) fra IV e III secolo a. C.[56] Il dato che colpisce di più gli studiosi è
che questi documenti attestano per la loro epoca già il superamento
della fase delle maschere con tratti grossolani e caricaturali che furono
tipici della commedia antica (volti contratti in smorfie mostruose, bocche
aperte a un riso sguaiato e buffonesco, etc.). Nelle mascherette di Lipari si
osserva infatti un'accuratezza nella descrizione dei tipi psicologici che
sarà poi una caratteristica della commedia nuova che diventerà espressione
della commedia del vivere mondano dove non esistono più figure tipiche e
vengono meno i ruoli convenzionali[57].
A questo punto non è difficile
immaginare analoga diffusione di una fisiognomica dei caratteri antropologici,
così come attestata per le mascherette di Lipari, anche per il mondo
etrusco-romano. Anzi, in un certo senso, la fabula
personata di ambiente etrusco italico potrebbe rappresentarne la versione
campana.
Questo dato archeologico in fondo conferma
quanto già si sapeva sulla diffusione del modello retorico di paragonare
l'uomo all'attore. Un topos che
grazie ai cinici (quindi a partire dal IV secolo a. C.) come ad esempio in
Telete (2. 1), diventò un clichè
abituale come dimostra la sua frequente presenza nelle loro diatribe di tipo filosofico popolare[58].
Di qui a non molto la tradizione ci ha
lasciato traccia di un filosofo nato nel 325 e morto nel 255 a. C., Bione di
Boristene, che inaugurò la tradizione delle diatribe cinico stoiche.
Attraverso Diogene Laertio sappiamo che questo filosofo usò prÒswpon per
significare anche persona in senso
legale (Bion Borýsthenes in
Diog. Laert. 4. 46). Potrebbe essere questa la traccia più risalente di
un uso in gergo legale del termine greco, almeno stando all’indicazione
di Georg Liddell e Robert Scott[59].
L'evoluzione semantica di prosōpon da 'maschera' a 'ruolo' o
'parte' svolta da un individuo si concluderà nel II secolo. Elementi
significativi in questo senso si ricavano infatti dal trattato del linguista e
professore di retorica Giulio Polluce.
Nel suo trattato di fisiognomica della
maschera teatrale (all'interno però di un'opera lemmatica di respiro
molto più ampio scritta tra il 166 e il 176 e dedicata al futuro
imperatore Commodo)[60], questo egiziano di nascita, ma titolare di una pubblica
cattedra di retorica ad Atene (conferitagli dall'imperatore Commodo), fa nel
suo Onomastikón, una
descrizione di maschere teatrali (usando il termine latino persona come traduzione di prÒswpon) che mostra notevoli punti di contatto con la
trattatistica fisiognomica[61]. Lo scopo era quello di ricondurre i tratti individuali
a ruoli tipici, definiti da classi di età e valori sociali[62]. Questa ipostatizzazione dei ruoli teatrali è
stata letta dagli specialisti in funzione di una corrispondenza con la
terminologia stessa dei trattati fisiognomici (Arist. Physiogn. 811 a24, b3; 808 a17; 811 a35; 812 a13)[63]. Anche questo era un tópos
del modo di pensare degli antichi[64]. Certamente però Polluce dimostra che, nel mondo
poliglotta e multiculturale romano del secondo secolo d. C., l'uso della
maschera teatrale come prÒswpon/persona appare già reificata in
una teoria dei ruoli sociali.
Sembrerebbe di poter dire allora che
un'impiego semantico di prosōpon
come maschera teatrale, quindi come qualcosa che sta 'avanti al viso di un
uomo', e come espressione di una retorica dei comportamenti sociali, sia
sicuramente ascrivibile al mondo greco-italico in una forbice temporale che va
dall'età delle diatribe filosofico/popolari dei cinici (con
l'attestazione dei reperti di Lipari risalenti al IV/III sec. a. C.), al II secolo
d. C., che è l'epoca dell'Onomastikón
di Iulius Pollux. In mezzo si rileva
l'avvento della retorica greca (e di una sua applicazione specifica che fu la
grammatica) e della precettistica filosofica di cui lo stoicismo di mezzo fu
uno dei massimi veicolatori. Dovremo invece esaminare necessariamente in altra
sede in che modo un uso nuovo di prÒswpon/persona che
Cicerone potrà mutuare da Panezio di Rodi potrà diventare
paradigma di una nuova visione antropologica dell'uomo e del suo ruolo anche
giuridico nella società[65].
Quanto alla retorica, Tito Flavio Clemente
offre un indizio molto significativo su quale potrebbe essere stato il percorso
semantico attraversato dalla parola greca quando stigmatizza nelle donne l'uso
di truccarsi il volto. Scrive l'Alessandrino che le donne dipingendosi il viso
trasformano i loro prósopa in prosopéia[66]. Nel gioco di parole dell'erudito dell'età
severiana si coglie tutta l'importanza che ebbe la retorica nella evoluzione
semantica di prosōpon dato che
la prosopopea era quella parte della
retorica che serviva proprio a rappresentare cose inanimate o astratte.
Ma anche su questo punto sarà
necessario ritornare in altra sede.
О. САККИ
PHERSU/PERSONA?
РАЗМЫШЛЕНИЯ
ПО
ЭТИМОЛОГИИ PROSŌPON
В
статье
говорится о
том, что,
несмотря на
изученность
темы
эволюции термина
persona, его
этимология
остается все
еще неясной.
Автор
отмечает, что
особое
внимание
вызывает
надпись Phersu на
знаменитой
фреске «Гробницы
авгуров» в
Тарквиниях,
датируемая 530
г. до н. э.
Рассматривая
различные
толкования
этой надписи,
он, в частности,
критикует
позицию
Фульвио
Марои, который
считал, что она
объясняет
происхождение
термина persona,
употреблявшегося
в
архаическом
римско-этрусском
мире для
обозначения
культа предков
(imagines maiorum).
Исследуя
различные
археологические
данные и религию
архаических
греческого,
этрусского и
римского
обществ,
автор делает
вывод, что
наиболее
близким к
истине
является
объяснение
Франца
Альтхайма,
согласно
которому Phersu
обозначало
личное имя.
Автор
считает, что этим
именем
обозначался
этрусский
бог ада,
забиравший
головы, т. е.
души умерших
людей.
Что
касается
термина persona,
то, опираясь
на данные
Феста (P. 238 L) и Ливия (VII. 2. 1–13), он
связывает
его
происхождение
с заимствованием
римлянами в 364
г. до н. э.
Ателлановских
представлений
из этрусской
Кампании.
Опираясь на
точку зрения
М. М. Сасси,
согласно
которой
первоначальным
значением греческого
prosōpon было
«театральная
маска», а
также на
данные Гавия
Басса (Gell. V. 7. 1), он
считает это
значение
первоначальным
и для
латинского persona. Вместе с
тем он
отмечает, что
греческое prosōpon
встречается
уже у
древнейших
авторов Гомера
и Гесиода со
значением
«человеческое
лицо»,
значение же
«театральной
маски» окончательно
утверждается
на рубеже IV и III вв. до н.
э. Впервые в
юридическом
значении
термин prosōpon
употребляет
Бион
Борисфенский
(Diog. Laert. IV. 46). В Риме же
термин persona (prosōpon)
впервые
использует в
юридическом
значении
Цицерон,
который мог
заимствовать
его у Панеция
Родосского.
Интересный материал
о значении
этого
термина дает
ритор и
лингвист II в. н. э. Юлий
Поллукс.
Автор
делает вывод,
что эволюция
понятия persona от
значения
«театральная
маска» до
юридического
понятия
«лицо»
происходила
в период
между
рубежом IV–III вв. до н. э. и II в. н. э.
[1] Senza pretendere di offrire un quadro completo della
sterminata bibliografia sul tema di persona,
mi limito a segnalare in part. A. Trendelenburg,
Zur Geschichte des Wortes Person, Kantstudien 13, (Berlin 1908); S. Mochi-Onory, Personam habere, in Studi
Besta III (Milano 1938) 417 ss.; M. Nédoncelle,
Prósopon et persona dans
l'antiquité classique. Essai
de bilan linguistique, in Revue des
Sciences réligieuses 22 (1948) 277–299; Id., Les variations de Boéce sur la
personne, in Revue des sciences
religieuses 29 (1955) 201–238[=(tr. in tedesco di Eva Beate Fuhrmann)
Variationen über das thema
«person» bei Boethius, in Wege
der Forschung 1583 (Darmstadt 1984) 187–231]; M. Zambrano, Persona y democracia. La historia sacrificial (1958, Barcelona
1988)[=tr. it. Persona e democrazia. La
storia sacrificale (Milano 2000)]; A. J. Ayer,
The Concept of a Person and other Essays
(London 1963); C. Carbonara, Persona e libertà e altri saggi
(Napoli 1973) 1–128; A. H. Armstrong,
Form, Individual and Person in Plotin,
in Dionysius 1 (1977) 49–68; S.
Cotta, sv. Persona (filosofia del diritto), in ED. 33 (Milano 1983) 159–169; B. Albanese, sv. Persona
(diritto romano), in ED. 33 (Milano
1983) 169–181; M. Bellincioni
Scarpat, Il termine persona da
Cicerone a Seneca 40–115; D. Parfit,
Reasons and Persons (Oxford 1984); P.
Catalano, Alle radici del problema delle persone giuridiche, in Rassegna di diritto civile 4 (1983)
941–962; G. Lobrano, Pater e filius eadem persona. Per lo studio
della patria potestas (Milano 1984) 1–167; R. Quadrato, La persona in
Gaio 1–33; O. Bucci, La formazione del concetto di persona nel
Cristianesimo delle origini: aventura semantica e itinerario storico, in Lateranum n. s. 54 (1988) n. 2,
383–450; F. P. Casavola, Persona: il primo dei diritti umani, Prolusione all'Anno Accademico 1994/95 per la Scuola di Specializzazione in
Istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani (presente sul WEB)
(Padova 1994) 3–22; P. Ricœr,
La persona (Brescia 1997); L. Turcescu, Prosopon and Hypostasis in Basil of Cesarea's Aganist Eunomius and the
Epistles, in VigChr 51 (1997)
374–395; Id., Gregory of Nissa and the Concept of Divine
Persons (New York 2005); J. Mosterín,
Persona: una famiglia di nozioni
interconnesse, in G. Duby
(cur.), Gli ideali del Mediterraneo. Storia,
filosofia e lettereatura nella cultura europea (Messina 2000) 195–217; Y. Thomas, Le sujet de
droit, la personne et la nature. Sur la critique contemporaine du sujet de
droit, in Le débat 100,
maggio-agosto, (1998) 85–107; Id.,
Le sujet concret et sa personne. Essai d'histoire
juridique rétrospective, in O. Cayla, Y. Thomas, Du droit ne pas naître (Paris
2002) 91–170; L. Peppe (a
cura di), Persone giuridiche e storia del
diritto (Torino 2004) VII–179; V. Possenti,
Il principio-persona (Roma 2006)
7–255; E. Peroli, Essere persona. Le origini di un’idea
tra grecità e cristianesimo (Brescia 2006) 5–119; G. Melillo, Personae e status in Roma antica (Napoli 2006) 1–157; O. Bucci, Persona. Una introduzione storico-giuridica alla civiltà
greco-romano-giudaico-cristiana (Roman 2006) 9–236; R. Esposito, Terza persona. Politica della vita e filosofia dell'impersonale
(Torino 2007) 3–184; S. Tafaro,
Centralità dell'uomo (persona), in Studi per Giovanni Nicosia 8 (Milano 2007) 97 ss.; L. Turcescu, sv. Persona, in Gregorio di
Nissa. Dizionario (Roma 2007) 452–457; G. Boniolo – G. De
Anna – U. Vincenti, Individuo
e persona. Tre saggi su chi siamo (Milano 2007); S. Rodotà, Dal
soggetto alla persona (Napoli 2007) 7–83.
[3] L'intera «questione etimologica resta
tuttora aperta» è una frase di Andrea Milano che si legge nella
seconda edizione di Persona e teologia.
Alle origini del significato di persona nel cristianesimo antico del 1996,
il quale, a sua volta, si rifà all’autorevolezza di Düll che
nel 1937 scriveva [R. Düll, Persona, in PWK 37 (1937) coll. 1036–1041]: «Die Lösung des
schwierigen Problems ist noch nicht gefunden». Cfr. A. Milano, Persona jn teologia 64, nt. 4; Ancora nel 1987 Virgilio Melchiorre [Per un'ermeneutica della persona, in A.
Pavan – A. Milano, Persona e
personalismi cit. 289, nt. 1] scrive: «La lettura etimologica della
persona è quanto di più travagliato si possa pensare, anche se
per diversi aspetti l'interpretazione che riporta il nome persona a quello
della maschera o di un danzatore mascherato rimane tra le più
consistenti».
[4] Status quaestionis in E. Montanari, Phersu e persona, in Categorie
e forme nella storia delle religioni (Milano 2001) 155–174.
Sull'etimologia remota di persona
cfr. G. Semerano, Il popolo che sconfisse la morte (Milano
2003) 13–20; A. D'Aversa, L'eredità della lingua etrusca
(Brescia 2003) 110 s.
[5]
Si v. con bibl. ivi J.-R., Jannot,
Phersu, phersuna, persona. À propos du masque étrosque, in Spectacles sportifs et
scéniques dans le monde étrusco-italique, Coll. de l'éc. franç. de Rome
172 (1993) 281–320; E. Montanari,
Phersu e persona 171–174. La
dottrina non specialistica sembra accettare l'ipotesi di una derivazione di persona da phersu. Si v. adesso per questo G. De Anna, 'Persona':
analisi storico-critica di una babele filosofica, in Individuo e persona. Tre saggi su chi siamo 85: «E' certo che
etimologicamente il termine 'persona' deriva dall'etrusco fersu, cioè maschera». Il quale si richiama a E. Berti, Genesi e sviluppo del concetto di persona nella storia del pensiero
occidentale, in D. Castellano,
Persona e diritto (Udine 1990)
17–34, part. 17, e A. Milano,
La trinità dei teologi e dei
filosofi. L'intelligenza della persona in Dio, in A. Pavan, A. Milano (a cura di), Persona e personalismi (Napoli 1987) 1–286. Lo stesso autore,
Andrea Milano [Persona in teologia 64, in nt. 4],
sebbene con molta cautela, sembra subire il fascino di tale interpretazione
quando scrive: «Ci sembra tuttavia che la derivazione da prósopon non sia per niente
provata neanche da questo A. e che ogni legame con phersu non sia semplicemente un retaggio da abbandonare».
Più cauti Bernardo Albanese
[sv. persona 170: «Il
più probabile significato originario di persona fu quello di maschera
teatrale (forse ebbe identico significato la parola etrusca fersu; ma la derivazione di persona da fersu è
incerta: il rapporto potrebbe essere stato o inverso, o più
complesso)»] e Generoso Melillo,
[Persona, status e condicio 11:
«Il termine persona – legato, forse per un imprestito, al vocabolo
etrusco fersu (...)»]. Decisamente
scettico sulla 'pista etrusca' F. Chiereghin,
Le ambiguità del concetto di persona
e l'impersonale, in V. Melchiorre
(a cura di), L'idea di persona
(Milano 1996) 66.
[6]
Secondo Franz Altheim [Persona, in Arch. f. Religionsw. 27 (1929) 35–52; Id., Terra Mater
(Giessen 1931)] Phersu sarebbe un
nome personale e l'azione raffigurata sulla parete tombale rappresenterebbe un
cerimoniale, letteralmente un gioco funebre (Leichenspiele), raffigurato in onore del defunto. Così come
per il demone infernale Charun
raffigurato nella Tomba François di Vulci, che sovraintende al
sacrificio dei prigionieri troiani, anche il Phersu di Tarquinia, posto alle spalle di un uomo destinato ad un
sacrificio cruento, avrebbe valore psicagogico [F. Altheim, Persona
47; Terra Mater 56]. Il latino persona avrebbe avuto però, sin
dall'inizio, soltanto il significato di maschera. Sul piano linguistico, per
tale studioso, persona si sarebbe
formato come diminutivo femminile originato dal maschile Phersu [come lacu-na da lacus e lanter-na dal greco lamptér]
acquistando così un significato di 'maschera impiccolita', in questo
modo ridotta ad oggetto in luogo dell'intera figura di maschera del Phersu vivente così come
raffigurato nella parete tombale. Cfr. F. Altheim,
Persona 44 ss.; Terra Mater 50; E. Montanari,
Phersu e Persona 158. Traendo origine
quindi dall'ideologia funeraria etrusca, Phersu
avrebbe così anticipato l'idea di persona
nel mondo romano, così come i canòpi (le maschere ritratto
etrusche) avrebbero anticipato l'imago
dei latini, ossia la maschera di cera dell'antenato. F. Altheim, Persona
48; Terra Mater 60 ss. La circostanza
è ben sottolineata da Montanari,
ibidem.
[7]
A. d'Aversa, L'eredità della lingua etrusca 112. Linguisticamente la
parola latina persona si sarebbe
formata allora come diminutivo femminile (la 'piccola maschera') dal maschile Phersu come lacu-na da lacus e lanter-na dal greco lamptér. Phersu
così avrebbe anticipato persona,
così come le maschere-ritratto etrusche, i cd. canòpi, avrebbero anticipato l'imago, ossia la maschera in cera dell'antenato a Roma. E. Montanari, Phersu e persona 158.
[8] F. Maroi, Elementi religiosi del diritto romano
arcaico, in Arch. Giur., 4a
serie, 25 (1933) 3–19 è stato fra i primi (forse ispirandosi alla
tesi ricostruttiva di Altheim) ad affrontare, da un'ottica giuridica, il
problema dell'origine di persona da phersu. Secondo l'autore italiano a Roma
persona avrebbe designato in origine
'il doppio del defunto'. Una rifrazione mistica dell'io del defunto che, in
ragione di credenze religiose molto risalenti, una volta distrutto il corpo,
avrebbe potuto sopravvivere con la sua anima in un simulacro (sembiante) o in
un immagine materiale del corpo stesso [Maroi,
Elementi religiosi del diritto romano
arcaico 14]. In questo quadro l'heres
suus, doveva portare l'immagine del defunto per rappresentare
un'unità simbolica con il de cuuis.
Questa era rappresentata dall'imago
di cera che era appunto una maschera (persona).
Questo costume sarebbe stato collegato anche all'uso repubblicano di far
sfilare le imagines degli antenati
dietro il carro del morto durante i funerali a Roma. Sul ius imaginum si v. F. Lucrezi,
«Ius imaginum», «nova
nobilitas», in Labeo 32
(1986) 131–179. Un segno di questo antichissimo retaggio è visto
anche in alcune testimonianze giuridiche molto più tarde che riprendono
il tema della unità tra filius
heres e pater defunto: CI. 6. 26.
11: pater e filius eadem persona paene
intelleguntur; Inst. 3. 19. 4: quia
vox tua tamquam filii sit, sicut filii vox tamquam tua intellegitur in his
rebus quae tibi adquiri possunt. Su queste fonti si v. G. Lobrano, Pater e filius eadem persona 30 ss. e passim; E. Montanari, Phersu e persona 159. Questa ipotesi ricostruttiva, pur suggestiva
e innovativa per l'epoca in cui fu formulata, si espone a critiche non di poco
momento. A parte molti travisamenti del rituale funerario romano puntualmente
riscontrati nella ricostruzione del Maroi (il feretro del defunto non precedeva ma seguiva i carri allegorici degli antenati; gli attori, e non quindi
l'heres, non indossavano l'immagine
del defunto, ma quelle degli antenati; l'heres
si limitava a pronunciare una laudatio
funebris del defunto; non è affatto dimostrato che il rituale
funerario delle imagines maiorum e il
rapporto de cuius/heres si fosse
formato già in Etruria). Si è rilevata poi l'idea evoluzionistica che vede persona scaturire da un sostrato molto
risalente caratterizzato da una primitiva
concezione animistica in cui come ben osserva Montanari [Phersu e persona 158 ss.] il rapporto
con phersu risulterebbe superfluo.
Inoltre, persona e imago non possono essere confuse. In
senso giuridico persona viene esteso
da Gaio (1. 8: Omne autem ius quo utimur,
vel ad personas pertinet vel ad res vel ad actiones) a tutti gli individui,
[così come in senso filosofico/giuridico il termine persona è riferito da Panezio/Cicerone a tutti gli uomini
(Cic. de off. 1. 30. 107; 1. 32.
115). Su questo però v. infra
] il diritto alle imagines riguarda
invece solo una élite di
individui ed era sottoposto ad un regime disciplinatorio assai rigido, anche
volendo estendere, a partire da una certa età, la possibilità del
ius imaginum anche alle famiglie
plebee. Ma poi, come si può essere sicuri che la procedura rituale delle
imagines maiorum e della persona ereditaria, espressioni
così tipiche del diritto romano arcaico, si fossero formate già in
Etruria? E che tutti questi istituti, ammesso e non concesso, si siano
trasferiti a partire dall'archetipo di phersu
dall'Etruria a Roma? Si v. E. Montanari,
Phersu e persona 159.
[9]
Nella Tomba delle Olimpiadi, risalente al 525 circa a. C. e scoperta nel 1958,
è raffigurato un phersu
intento allo stesso rito cruento della Tomba degli Auguri [cfr. per questo R. Bartoccini, La Tomba delle «Olimpiadi» nella necropoli etrusca di
Tarquinia, in Atti del VII Congresso
Internazionale di Archeologia Classica 2 (Roma 1961) 177–190, in
part. 187 ss.]. Vi sono poi le scoperte di Szilágyi che ha raccolto e
analizzato frammenti di raffigurazioni vascolari dove si rileva l'azione di un phersu [Impletae modis saturae, in Prospettiva
24 (1981) 2–23]. Cfr. E. Montanari,
Phersu e persona 160 e passim. Sempre
nella stessa necropoli, nella Tomba del
Pulcinella (510 a. C.), un personaggio è raffigurato come l'analoga
figura della parte sinistra della Tomba
degli Auguri (cioè come un danzatore o mimo) e indossa una casacca a
losanghe bianche e nere. Parimenti, nella Tomba
del Gallo, nella stessa necropoli, agisce una figura smascherata
assimilabile a quella della raffigurazione della parete di destra della Tomba degli Auguri. Si v. D'Aversa, L'eredità della lingua etrusca 112. Nella Tomba della Scimmia di Chiusi
(480–470 a. C.) è ritratto un phersu
(cioè una figura a questi assai somigliante) di tipo caricaturale,
tenuto per mano da un individuo adulto e dal volto di sileno, la qual cosa
porterebbe ad escludere la matrice infera e demoniaca del personaggio. Janos
Szilágyi [Impletae modis saturae,
in Prospettiva 24 (1981) 2–23]
ha raccolto e analizzato, redigendo un inventario aggiornato, frammenti di
raffigurazioni vascolari dove si rileva l'azione di un phersu. Un'anfora a figure nere risalente all'inizio del V secolo
a. C., conservata a Karlsruhe, reca invece un attore mascherato da satiro che
danza la sìkinnis di aspetto
pressocchè identico al phersu
etrusco. Lo stesso si può dire di due attori danzanti, in veste da
satiri, raffigurati su un'anfora risalente allo stesso periodo conservata al
Louvre. La stessa coppia nano-sileno è infine raffigurata nell'anfora
del Pittore di Micali conservata al British Museum. Szilágyi, Impletae modis saturae 8 ss.; J.-R., Jannot, Phersu, phersuna, persona 302; V. Jolivet,
Les jeux scéniques en Etrurie.
Premiers témoignages (VI–V siécle av. J.-C.), in Spectacles sportifs et
scéniques dans le monde étrusco-italique, in Coll. éc. franç. de Rome
172 (1993) 353 ss. Questo reperto è particolarmente significativo
perchè risale come la Tomba del
Pulcinella al 510 a. C.: è dunque coevo ai dipinti della Tomba degli Auguri e del Pulcinella e precede di circa
trenta/quaranta anni l'affresco della Tomba
della Scimmia. Inoltre, contestualizza la coppia all'interno di un ciclo
festivo che comprende giochi e una processione. E. Montanari, Phersu e
persona 162. Infine, risalgono al V secolo a. C. tre bronzetti etruschi
rappresentanti giocolieri e acrobati il cui costume e la barba sembrano
identici al phersu della Tomba degli Auguri. J. Szilágyi, Impletae modis saturae 7; J.-R., Jannot,
Phersu, phersuna, persona 296 e 312
ss.; E. Montanari, ibidem.
[10]
In questa direzione ha spinto certamente anche l'interpretazione di Massimo Pallottino [Etruscologia (7a ed., Milano 1984) 392]
che descrive Phersu, come
puntualmente precisa Montanari [Phersu e persona 160], 'sicuramente come un essere umano e non un
demone, come si credette in passato': «Un combattimento di tal genere
sembra rappresentato nella Tomba degli Auguri di Tarquinia: un personaggio
mascherato e barbato, designato con il nome di φhersu (corrispondente al
latino persona, 'la maschera'), con
un cappuccio, un giubbetto maculato ed un feroce cane al guinzaglio, assale un
avversario seminudo e con il capo avvolto in un sacco e armato di una clava.
Quest'ultimo è presumibilmente un condannato che lotta in condizioni di
inferiorità; ma è anche possibile che egli riesca a colpire il
cane con la clava e abbia quindi alla sua mercè l'assalitore. Sulla
natura e sulla funzione del personaggio con cappuccio, barba e giubbetto
maculato – sicuramente un essere umano e non un dèmone come si
credette in passato – esistono tuttavia notevoli incertezze dal momento
che egli ritorna più volte altrove in figurazioni pittoriche (tombe del
Pulcinella, delle Olimpiadi, del Gallo, forse della Scimmia: un nano o un
bambino) in atteggiamenti o in contesti che nulla hanno a che vedere con la
gara mortale della tomba degli Auguri. Sembra veramente che si tratti piuttosto
di una caratterizzazione generica, e che possa addirittura parlarsi della
più antica 'maschera' della storia dello spettacolo italiano».
[13] E. Montanari,
Phersu e persona 162. C. De
Simone, Die griechischen
Entlehnungen in Etruskischen 2 (München 1970) 293 ss., in part. a p.
312 dichiara che persona «has
nothing to do with Etr. phersu; it
derives from Greek prósopon
not, however, directly but, as schown by its beginning and end, throught
Etruscan». A. Milano,
Persona in teologia 64, nt. 4 non
condivide l'impostazione del De Simone e anzi sembra, sia pure abbastanza
dubitativamente (v. per questo retro
p.), avere maggiore propensione verso la prospettiva etrusca: (ibidem) «Ci sembra tuttavia che la
derivazione da prósopon non
sia per niente provata anche da questo A. e che ogni legame con phersu non sia semplicemente un miraggio
da abbandonare quanto prima». La polivalenza del phersu e la sua pertinenza con attori, mimi e satiristi,
cioè la sua riconoscibilità in almeno tre contesti agonali
diversi: cioè officiante nel gioco cruento, danzatore, mimo-giocoliere,
coincide con tre momenti essenziali dei riti festivi: quello agonistico, quello
coreutico e quello parodistico. Questo porta da ultimo Montanari [Phersu e persona 162 ss. e passim] ad escludere anche l'ipotesi di
un impiego esclusivo del phersu per i
riti sepolcrali nonostante la presenza di tale personaggio in pitture parietali
tombali.
[14]
Si v. per questo F. Poulsen, Etruscan Tomb Painting (Oxford 1922)[=Etruskiske Gravmaeler (København
1920)] 12 ss.; R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo intorno al
corpo, la mente, l'anima, il mondo, il tempo e il destino (Milano 2006)[=The Origins of European Thought about the
Body, the Mind, the Soul, the Word, Time, and Fate (1998)] 514, nt. 2.
[15]
Serv. ad Aen. 3. 407,11: sane sciendum sacrificantes diis omnibus
caput velare consuetos ob hoc, ne se inter religionem aliquid vagis offerret
obtutibus, excepto tantum Saturno, ne numinis imitatio esse videretur. et
Herculi in templo suo, quia et ipse capite operto est, vel quia haec arae ante
adventum Aeneae a Iano vel Evandro consecratae sint; Serv. ad Aen. 8. 288: lavdes hercvleas et facta fervnt senes
tantum voce laudes Herculis exsequebantur, iuvenes et gestu corporis eius facta
monstrabant. unde ibi inmorandum est 'hic iuvenum chorus', ut 'salii' iuvenibus
conveniant, carmina ad senes pertineant. et bene senes facta Herculis canunt,
quorum aetas scire et interesse gestis Herculis potuit, antequam is ab hominibus
transiret ad deos. sane quaeritur cur huic deo aperto capite sacrum fiat.
legitur enim in libris antiquioribus ipsius admonitio his verbis 'mihi detecto
vertice cuncti sacrificanto'. et fuit observatio ne quis in aede Herculis eius
habitum imitaretur: signum enim eius operto capite est. constat tamen ante
adventum in Italia Aeneae aram Herculi consecratam, ab Aenea vero morem
operiendorum capitum inductum, sicut ait «purpureo adopertus
amictu».
[16]
Si v. per questo F. Poulsen, Etruscan Tomb Painting (Oxford 1922)[= Etruskiske Gravmaeler (København
1920)] 12 ss.; R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo intorno al
corpo, la mente, l'anima, il mondo, il tempo e il destino (Milano 2006)[=The Origins of European Thought about the
Body, the Mind, the Soul, the Word, Time, and Fate (1998)] 514, nt. 2.
[17]
Secondo credenze antichissime l'anima degli uomini si trovava nella testa. Si
v. Lucr. 3. 959: mors ad caput adsistit.
Quindi coloro che si volgevano verso l'aldilà usavano coprire la testa
per proteggere la sede dell'anima vitale anche per la vita ultraterrena. Si v.
per questo ampiamente infra.
[18]
Macr. sat. 3. 6. 17: custoditur in eodem loco ut omnes aperto
capite sacra faciant. hoc fit nequis in aede dei habitum eius imitetur, nam
ipse ibi operto capite est. Varro ait Graecum hunc esse morem, quia sive ipse
sive qui ab eo relicti aram Maximam statuerunt, Graeco ritu sacrificaverunt.
hoc amplius addit Gavius Bassus. idcirco enim hoc fieri dicit quia ara Maxima
ante adventum Aeneae in Italia constituta est, qui hunc ritum velandi capitis
invenit.
[19]
Cfr. W. H. Roscher, sv. Kerberos, in Ausführliches Lexicon der Griechischen und römischen
Mythologie (Leipzig 1884–1937) col. 1121; R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo 514, nt. 2
[20]
Tr. it. Rosa Calzecchi Onesti [Omero, Odissea
(Torino 1963) 324 s.]: «Un giorno quaggiù mi mandò, a
prendergli il Cane: niente pensava sarebbe mai stato più grave di questa
fatica! Ma glielo portai, lo tirai fuori dall'Ade: Ermete mi fu guida, e Atena
occhio azzurro».
[22]
L'uomo con il bastone nella figura tombale prevale, così come anche
Eracle riuscì a prevalere e, coerentemente, la parete di sinistra
raffigura Phersu che corre via come
faceva Ade. Hom. Odyss. 11. 623 ss.;
Verg. Aen. 6. 395 ss. W. H. Roscher, sv. Kerberos 1121. Del resto, non va dimenticato che gli Etruschi
chiamavano il dio dell'Averno Aita
che si richiama al greco “Aidew che attingono alla
stessa radice babilonese hā'ita (nella forma più antica hā'itu)
che significa 'guardiano della notte'. Si v. G. Semerano, Il popolo che
sconfisse la morte 17.
[23]
Si tratta di una divinità ben attestata nel mondo mediterraneo e
testimoniata anche da Sofocle e Euripide nella forma Persef£ssa un teonimo che risulta formato dal suffisso
f£ssa
che in antico babilonese significa 'consistere', 'avere consistenza concreta'.
Cfr. sul punto G. Semerano, Il popolo che sconfisse la morte 15 e
17; A. d'Aversa, L'eredità della lingua etrusca
112.
[26]
Orphica Hymni 29: “Umnoj PersefÒnhj. /FersefÒnh, qÚgater meg£lou DiÒj, ™lqš, m£kaira,/mounogšneia qe£, kecarismšna d' ƒer¦ dšxai,/PloÚtwnoj polÚtime d£mar, kedn», biodîti,/¿ katšceij 'A…dao pÚlaj ØpÕ keÚqea ga…hj,/Praxid…kh, ™ratoplÒkame, Dhoàj q£loj ¡gnÒn, /EÙmen…dwn genšteira, Øpocqon…wn bas…leia, /¿n ZeÝj ¢rr»toisi gona‹j teknèsato koÚrhn,/mÁter ™ribremštou polumÒrfou EÙboulÁoj,/`Wrîn sumpa…kteira, faesfÒre, ¢glaÒmorfe,/semn», pantokr£teira, kÒrh karpo‹si brÚousa,/eÙfegg»j, kerÒessa, mÒnh qnhto‹si poqein»,/e„arin», leimwni£sin ca…rousa pnoÁisin,/ƒerÕn ™kfa…nousa dšmaj blasto‹j clook£rpoij,/¡rpagima‹a lšch metopwrin¦ numfeuqe‹sa,/zw¾ kaˆ q£natoj moÚnh qnhto‹j polumÒcqoij,/ FersefÒnh·
fšrbeij g¦r ¢eˆ kaˆ p£nta foneÚeij. /klàqi, m£kaira qe£, karpoÝj d' ¢n£pemp' ¢pÕ ga…hj /e„r»nhi q£llousa kaˆ ºpioce…rwi Øge…ai /kaˆ b…wi eÙÒlbwi liparÕn gÁraj kat£gonti /prÕj sÕn cîron, ¥nassa, kaˆ eÙdÚnaton PloÚtwna.
[28]
L'idea che l'anima e il seme della nuova vita risiedessero nella testa va messa
in relazione con la credenza che l'uomo fosse assimilato agli altri figli della
Madre Terra e in particolare al grano. Questa concezione era alla base dei riti
misterici non solo eleusini [su questo ampio ragguaglio di fonti in R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo 324, nt. 4]. Omero (Odyss. 14. 212; ma v. anche Arist. Rhet. 1410b 14) definisce kal£me (paglia) il corpo di un vecchio che ha
perduto ogni forza, come uno stelo di cereali ormai maturi privato della
virtù che aveva nella testa. Esiodo parla delle unghie di un uomo come
fossero legno morto sulla mano viva (Op.
742 ss.). Eschilo descrive il lamento degli anziani rimasti a vegliare sulla
loro terra senza i giovani partiti per la guerra di Troia usando la metafora
vegetale: (Ag. 76 ss.): «Il
giovane midollo (nearÕw muelÒw) che cresce con il
petto è simile alla vecchiezza, e Ares (i guerrieri, l'età
matura) non è al suo posto mentre il vecchio con il fogliame ormai secco
(full£dow ½dh katakarfomšnew) si muove su tre
piedi (con un bastone)». Aristofane (Eq.
392 ss.) descrive il 'raccolto' di prigionieri fatto da Cleone a Sfacteria e
dice dei soldati catturati che sono come 'spighe di grano' (st£cuw)
che egli fa seccare (ossia dimagrire). Nei misteri Frigi la suprema rivelazione
di Eleusi era che il dio era una spiga mietuta ricca di linfa: Hippol. Refut. 5. 9 [Dunker-Schneidewin(= 5. 9
Marcovich)]. L'assimilazione tra uomo e la testa del grano, cioè la
spiga, è nella storia di Litierse che intratteneva gli stranieri
invitandoli a mietere insieme a lui. Poi, mietendo il grano 'alto quanto l'uomo', con la falce
avvolgeva lo straniero nel mannello e gli tagliava la testa [Sosith. fr. 2. 19
ss. (Nauck2=Sn.) in A. Westermann (ed.), Mythographoi.
Scriptores poeticae historiae graeci (Brunsvigae 1843) 346, 16]: tÕn xšnon d dr£gmati/aÙtù kul…saw ÑrfanÕn fšsei.
Lo stesso appare nelle varie versioni del famoso consiglio dato da Trasibulo di
Mileto e riportato da Herod. 5. 92. 6 (ma v. anche Eur. Suppl. 448 ss.). Il tiranno di Mileto interpellato da Periandro,
tiranno di Corinto, che gli aveva inviato un messo per domandagli come avrebbe
potuto assicurare la saldezza della sua tirannide, non diede una risposta
esplicita al messo, ma condottolo in un campo di grano, ne aveva tagliato le
spighe più alte. Livio usa la stessa immagine per descrivere un episodio
della vita di Tarquinio che ad un messo che gli domandava, non gli rispose
esplicitamente, ma andò nel giardino del palazzo e con una bacchetta cominciò
a recidere le cime più alte dei papaveri: Liv. 1. 54. 6: rex uelut deliberabundus in hortum aedium
transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papauerum capita
dicitur baculo decussisse. Infine, due dei tre metodi descritti da Varrone
per tagliare il grano, cioè quello praticato nel Piceno e quello nel
suburbio di Roma (praticato anche nella maggior parte delle altre
località) presuppongono proprio l'uso di tagliare la 'testa del grano':
Varro r. r. 1. 50. 1–2: frumenti tria genera sunt messionis, unum,
ut in Vmbria, ubi falce secundum terram succidunt stramentum et manipulum, ut
quemque subsicuerunt, ponunt in terra. ubi eos fecerunt multos, iterum eos
percensent ac de singulis secant inter spicas et stramentum. spicas coiciunt in
corbem atque in aream mittunt, stramenta relincunt in segete, unde tollantur in
acervum. altero modo metunt, ut in Piceno, ubi ligneum habent incurvum
bacillum, in quo sit extremo serrula ferrea. haec cum comprendit fascem
spicarum, desecat et stramenta stantia in segeti relinquit, ut postea
subsecentur. tertio modo metitur, ut sub urbe Roma et locis plerisque, ut
stramentum medium subsicent, quod manu sinistra summum prendunt: a quo medio
messem dictam puto. Quest'uso è attestato anche in
Egitto [J. G. Wilkinson, The Manners and Customs of the Ancient
Egyptians 4 (London 1878) 85 ss., 95], in Israele (Gb. 24. 24) e in Gallia (Pallad. 7. 2. 2ss.). Per
tutto, le citazioni tra virgolette e le traduzioni dal greco, si v. R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo 263.
[30]
St. Weinstock, Etruscan demon, in Studi in onore di Luisa Banti (1965) 345–360 lo afferma
riferendosi ad una testimonianza di Porfirio di demoni visibili, talvolta
corporei, che possono soffrire, emettere sperma, bruciare e lasciare ceneri. Si
v. per questo anche G. Dumézil,
La religione romana arcaica. Miti,
leggende, realtà della vita religiosa romana con un'appendice sulla
religione degli etruschi (Milano 2001)[=La
religion romaine archaïque avec un appendice sur la religion des etrusques
(Paris 1974)] 586.
[31]
In alternativa all'ipotesi che vorrebbe il Phersu
di Monterozzi in qualche modo collegato al 'significato più antico
rinvenibile' (Urbedeutung) di persona [Cfr. L. Lombardi, Dalla 'fides'
alla 'bona fides' (Milano 1961) 7; Lubrano,
Persona e homo nell'opera di Gaio 40
s.] resterebbe comunque in piedi l'ipotesi formulata da Giacomo Devoto [cfr.
per questo A. Walde, sv. persona, in Lateinisches Etymologisches Wörterbuch (Heidelberg 1954) 291
s.; Oxford Latin Dictionary, sv. persona (Oxford 1968) 1356; F. Skutsch,
Archiv für lateinische Lexicographie
und Grammatik (in 15 voll.) (Leipzig
1884–1908) 145–146; A. Ernout, Les éléments étrusques du vocabulaire latin,
in BSL 30. 1 (1930) 88, nt. 1 = Philologica
1(1946) 23] sulla possibilità che un etrusco *phersu-na possa essere stato impiegato nella lingua etrusca
parallelamente alla forma Phersu. G. Devoto, L'etrusco come intermediario di parole greche in latino 315. Lo
studioso ha ipotizzato che al morfema phersu
potrebbe essersi aggiunta la desinenza afformante -na, come è accaduto per crumena
dal greco gruméa e per lanterna (che quindi non avrebbe senso
di diminutivo come voleva Altheim) che è derivata dal greco lamptér; o come può essere
accaduto per Macstarna da magister. Così E. Montanari, Phersu e persona 163. Dal canto suo, Mario Pallottino [Origini e storia primitiva di Roma
(Milano 1993) 245 s.] ha anche ritenuto il suffisso -na un indicatore di appartenenza. Quindi, il vocabolo latino persona='maschera', potrebbe essere
risultato dalla sostantivizzazione del morfema *phersu-na. Un aggettivo
etrusco, quindi, con il significato di 'attrezzo del phersu' (Ausrüstung).
TLE. 80; CIE. 5328; 5335. Si v. per questo E. Vetter,
sv. Phersu col. 2058; C. De Simone, Die Griechischen Entlehnungen in Etruskischen 297 ss.
Szemerényi [O. Szemerényi,
The Origins of Roman Drama and Greek
Tragedy 312, nt. 30] pensa oltretutto che la maschera non sia un elemento
di maggior rilievo rispetto agli altri dettagli del suo costume. Contra E. Montanari, Phersu e
persona 170 che scrive invece «che i Romani, nel definire la funzione
rituale di persona, abbiano tenuto
presente un termine derivato dal – o in qualche modo legato al – phersu, piuttosto che un generico *phersu-na privo di qualsiasi richiamo
alla 'Maschera' etrusca». E considera il tutto possibile già a
cominciare dalla fine del VI secolo a. C. dato che è lo stesso Livio,
fra l'altro, ad affermare che i Romani all'epoca della monarchia etrusca
conoscevano il personale officiante etrusco e come questo agiva nelle
celebrazioni ufficiali delle città etrusche: Liv. 5. 1. 4–5: Gravis iam is antea genti fuerat opibus
superbiaque, quia sollemnia ludorum quos intermitti nefas est violenter
diremisset, cum ob iram repulsae, quod suffragio duodecim populorum alius
sacerdos ei praelatus esset, artificies, quorum magna pars ipsius servi erant,
ex medio ludicro repente abduxit. Cfr. per questo J. Szilágyi, Impletae modis saturae 5 e nt. 38, 18 e nt. 170; E. Montanari, Phersu e persona 169. Si tratta di una soluzione certamente
congetturale (non meno di quella che però tende a generalizzare il Phersu della Tomba degli Auguri come mero personaggio rituale), ma che
può egualmente salvare il nesso semantico tra l'etrusco e il latino. E
questo indipendentemente dal Phersu
di Monterozzi. In realtà, se siamo disposti ad accettare un nesso tra persona e phersu potremmo anche sostenere con Semerano che il vocabolo persona in latino arcaico sia una parola
di derivazione diretta da una lingua di ceppo semitico impiegata nel gergo
teatrale, in alternativa alla parola greca pròsopon
che a partire da un'epoca è 'ciò che è posto avanti al
viso', ma non ne costituisce il sostrato linguistico originario (v. infra). Si collega molto bene
all'etrusco phersu (o il latino persona), infatti, anche l'ascendenza etimologica dall'antico babilonese parşu nel significato di 'parte'/'ufficio'.
Un valore semantico coerente con la numerosa ed evidente documentazione
iconografica che ritrae figure (o figurette) mascherate (o in costume) che
sembrano agire con i modi del Phersu
di Monterozzi (o delle figure vascolari) in funzione rituale.
[32]
Circoscrivono insieme a Franz Altheim l'azione del Phersu di Monterozzi ad una sfera rituale esclusivamente funeraria
V. Jolivet, Les jeux scéniques en Etrurie 361; D. Rebuffat, Le jeu de Phersu à Tarquinia 421 ss.; P. Blome, La prova nel processo romano arcaico, in Ius 11 (1986) 97 ss. In questo quadro si deve registrare la
proposta etimologica di Giovanni Senerano che considera come condizione originaria del nome proprio Phersu una derivazione
dall'accadico/babilonese persu nel
significato di 'fine', 'esito finale' che è anche la spiegazione
etimologica del nome del dio etrusco Pherse
corrispondente al greco Perseo di cui abbiamo detto sopra. Parimenti tale
ricostruzione mi pare congrua per spiegare anche il ruolo del Phersu della Tomba degli Auguri in senso
proprio, se è vero che questo sia effettivamente un dio degli Inferi.
Allora Phersu potrebbe avere la
stessa originaria base del greco pšrqo ='distruggo', dove la lettera greca q corrisponde alla lettera babilonese ş come il babilonese kişaru cui corrisponde il greco kiq£ra. Si v. per questo G. Semerano, Il popolo che sconfisse la morte 20.
[34]
Liv. 1. 35. 9: loca diuisa patribus
equitibusque ubi spectacula sibi quisque facerent; fori appellati; spectauere
furcis duodenos ab terra spectacula alta sustinentibus pedes. ludicrum fuit
equi pugilesque ex Etruria maxime acciti. sollemnes deinde annui mansere ludi, Romani
magnique uarie appellati.
[35] Liv. 7. 2. 1–13: et hoc et insequenti anno C. Sulpicio Petico C. Licinio Stolone
consulibus pestilentia fuit. eo nihil dignum memoria actum, nisi quod pacis
deum exposcendae causa tertio tum post conditam urbem lectisternium fuit; et
cum uis morbi nec humanis consiliis nec ope diuina leuaretur, uictis
superstitione animis ludi quoque scenici – noua res bellicoso
populo, nam circi modo spectaculum fuerat – inter alia caelestis
irae placamina instituti dicuntur; ceterum parua quoque, ut ferme principia
omnia, et ea ipsa peregrina res fuit. sine carmine ullo, sine imitandorum
carminum actu ludiones ex Etruria acciti, ad tibicinis modos saltantes, haud
indecoros motus more Tusco dabant. imitari deinde eos iuuentus, simul inconditis
inter se iocularia fundentes uersibus, coepere; nec absoni a uoce motus erant.
accepta itaque res saepiusque usurpando excitata. uernaculis artificibus, quia
ister Tusco uerbo ludio uocabatur, nomen histrionibus inditum; qui non, sicut
ante, Fescennino uersu similem incompositum temere ac rudem alternis iaciebant
sed impletas modis saturas descripto iam ad tibicinem cantu motuque congruenti
peragebant. Liuius post aliquot annis, qui ab saturis ausus est primus
argumento fabulam serere, idem scilicet – id quod omnes tum erant
– suorum carminum actor, dicitur, cum saepius reuocatus uocem obtudisset,
uenia petita puerum ad canendum ante tibicinem cum statuisset, canticum egisse
aliquanto magis uigente motu quia nihil uocis usus impediebat. inde ad manum
cantari histrionibus coeptum diuerbiaque tantum ipsorum uoci relicta. postquam
lege hac fabularum ab risu ac soluto ioco res auocabatur et ludus in artem
paulatim uerterat, iuuentus histrionibus fabellarum actu relicto ipsa inter se
more antiquo ridicula intexta uersibus iactitare coepit; unde exodia postea
appellata consertaque fabellis potissimum Atellanis sunt; quod genus ludorum ab
Oscis acceptum tenuit iuuentus nec ab histrionibus pollui passa est; eo
institutum manet, ut actores Atellanarum nec tribu moueantur et stipendia,
tamquam expertes artis ludicrae, faciant. inter aliarum parua principia rerum
ludorum quoque prima origo ponenda uisa est, ut appareret quam ab sano initio
res in hanc uix opulentis regnis tolerabilem insaniam uenerit.
[36]
Si capisce allora se, sulla base di tutte queste considerazioni, la dottrina
prevalente ritenga oggi possibile che Roma abbia assunto il termine persona dall'etrusco phersu nel senso di maschera e che il phersu
può aver ispirato anche le stesse maschere atellaniche, passate
così a Roma dalla Campania etruschizzata. L'evidenza iconografica di un phersu ritratto molte volte in ruolo
parodistico ne sarebbe in effetti una diretta conferma. Senonchè il
tentativo di stabilire un legame tra il Phersu
etrusco e la persona latina resta pur
sempre un'ipotesi, che rischia però di influenzare (forse anche
fuorviandola) la più corretta interpretazione del quadro iconografico
della Tomba degli Auguri e anche dei suoi forse corrispondenti delle Tombe
della necropoli di Monterozzi e di Chiusi.
[37] La prima rappresentazione di questo autore (nato tra il
161 e il 164) risale al 233 a. C. Ancora venivano rappresentate sue opere
all'età di Cicerone. Si v. per
questo F. Lübker, Lessico ragionato dell'antichità
classica (Roma rist. an. 1989) 804.
[38] Personatus era l'attore mascherato
come si legge in Festo (L. 238,13: a
personatis histrionibus) e anche in Cic. de or. 3. 221: quo melius
nostri illi seses, qui personatum ne Roscium quidem magno opere laudabant.
Parimenti, come abbiamo visto, la fabula
personata era una rappresentazione con gli attori mascherati. L'autore
della glossa festina fa proprio riferimento alla fabula Atellana del campano Nevio, il cui lessico è indicato
da Cicerone come un modello di lingua antica e purissima insieme a quello del
contemporaneo Plauto: de or. 3. 12.
44 (ut Platum mihi aut Naevium videar
audire. Puntualmente rileviamo in un
altro autore di fabulae Atellane,
Novio, vissuto come è noto al più tardi intorno al 90 a. C.,
(com. 2) un'uso di persona sempre per indicare la maschera
teatrale: Quid ita? quia enim
repuerascis, fugitas personas, pater. F. Lübker,
Lessico ragionato dell'antichità
classica 832. Lucrezio usa l'endiadi cretea
persona per indicare la 'maschera di
argilla' (r. r. 4. 297: cretea persona, adlidat pilaeve trabive)
e si possono fare anche altri esempi. Hor. ars
278: personae pallaeque repertor
honestae Aeschylus; Phaed. 1. 7. 1: personam
tragicam forte vulpem viderat;
Mart. 3. 43. 4: non omnes fallis; scit te
Proserpina canum: personam capiti detrahet illa tuo. In Cic. Mur. 6 si legge di un impiego del
termine in senso già non più letterale illam gravitatis severitatisque personam non appetivi per indicare
un uomo austero e severo. Un senso metaforico ed astrattizzante che ritroviamo
anche in Hor. ars 126: siquid inexpertum scaenae conmittis et audes
personam formare novam, servetur ad imum, qualis ab incepto processerit, et
sibi constet e in Sen. cl. 1. 1.
6: nemo potest personam diu ferre.
Addirittura come 'mascherone' in senso architettonico troviamo un impiego del
termine persona ancora in Ulpiano (lib. 32 ad ed.) D. 19. 1. 17. 9: Item constat sigilla, columnas quoque et
personas, ex quorum rostris aqua salire solet, villae esse; e Plin. n. h. 35. 152:
primus personas tegularum extremis
imbricibus inposuit. La scarsa ricorrenza del termine nel lessico
vitruviano fa pensare in ogni caso ad un uso tardo e comunque molto specifico
di tale vocabolo nel senso utilizzato in questa circostanza da Ulpiano. Per
completezza si deve rilevare anche un uso retorico attestato da Quintiliano:
Quint. inst. or. 1. 5. 41. 2: alio ponitur. Id per omnis orationis partis
deprendimus, frequentissime in uerbo, quia plurima huic accidunt, ideoque in eo
fiunt soloecismi per genera tempora personas modos siue cui 'status' eos dici
seu 'qualitates' placet uel sex uel ut alii uolunt octo nam totidem uitiorum
erunt formae in quot species eorum quidque de quibus supra dictum est diuiseris,
già però presente in Varrone l.
L. 8. 20. 3: cum item personarum
natura triplex esset, qui loqueretur, <ad quem>, de quo, haec ab eodem
verbo declinata, quae in copia verborum explicabuntur e Cicerone part. or. 18. 6: proposueris aut
redundes; consecutio autem, ne generibus, numeris, temporibus, personis,
casibus perturbetur oratio. Per testimonianze
analoghe si v. sv. persona, in Oxford Latin Dictionary 1356.
[41] Gell. 5. 7. 1: 'Personae'
uocabulum quam lepide interpretatus sit quamque esse uocis eius originem
dixerit Gauius Bassus. Lepide mi hercules et scite Gauius Bassus in libris,
quos de origine uocabulorum composuit, unde appellata 'persona' sit,
interpretatur; a personando enim id uocabulum factum esse coniectat. Nam
'caput' inquit 'et os coperimento personae tectum undique unaque tantum uocis
emittendae uia peruium, quoniam non uaga neque diffusa est, <set> in unum tantummodo exitum collectam
coactamque uocem ciet, magis claros canorosque sonitus facit. Quoniam igitur indumentum illud oris clarescere
et resonare uocem facit, ob eam causam «persona» dicta est
«o» littera propter uocabuli formam productiore. Boet. adv. Euty. 3, 11–13: Nomen enim personae videtur aliunde
traductum, ex his scilicet personis quae in comoediis tragoediisque eos quorum
interest homines repraesentabant. Persona vero dicta est a personando,
circumflexa paenultima. Quod si acuatur antepaenultima, apertissime a sono
dicta videbitur; idcirco autem a sono, quia concavitate ipsa maior necesse est
volvatur sonus.
[43]
Sul punto si v. A. Lesky, Storia della letteratura greca (in 3
voll.) (Milano 1962)[=Geschichte der Griechischen Literatur (in 3 voll.) (Bern
1957–58)] 2. 298 ss., 309 ss.
[45] L. Radermacher, Beiträge zur Volkskunde aus dem Gebiet
der antike, in Stzungsberichte der
Kais. Akademie der Wissenschaften in Wien, Philos.-hist. Klasse, 187 (Wien
1918) 86 ss.; A. Pickard-Cambridge,
Dithyramb, Tragedy and Comedy (Oxford
1927/19622) 151 ss.; Sassi, La scienza dell'uomo nella Grecia antica
63.
[46]
Sulla prevalenza dei gruppi familiari rispetto all'individuo nella
società antica v. G. Franciosi,
Clan gentilizio e strutture monogamiche.
Contributo allo studio della famiglia romana (6a ed., Napoli 1999) 261 ss.
e passim.
[47]
Tespi (che la tradizione narra avesse conosciuto Solone: Plut. Sol. 19; Diog. Laert. 1. 59) avrebbe
rappresentato per la prima volta una tragedia ad Atene come parte dei grandi
giochi dionisiaci del festival di Dionysius
Eleuthereus negli anni 535–533 a. C. Il carattere innovativo della
sua tragedia è riferito da Aristotele (in Themistum 26. 316d) e forse nel secolo precedente da Carone di
Lampsaco [FGH. 262 F15]. In Suida è riportato che avrebbe introdotto
l'uso della maschera nella tragedia greca, ma si tratta di affermazione molto
discussa [sv. Qšspis (283,1-2): Ônoma kiqarJdoà. 'Aristof£nhj·ÑrcoÚmenoj tÁj nuktÕj oÙdn paÚetai t¢rca‹' ™ke‹n', oŒj Qšspij ºgwn…zeto].
Si pensa infatti che l'uso della maschera fosse parte del rituale
dionisiaco da tempi ancora più risalenti. Cfr. su tutto N. G. L. Hammond, H. H. Scullard, sv. Thespis,
in The Oxford Classical Dictionary
(Oxford 1970) 1062; Id., sv. Tragedy, in The Oxford Classical Dictionary 1082–1088.
[48] H. Kenner, Das Theater und der Realismus in der
griechischen Kunst (Wien 1954) 18 ss.; M. M. Sassi, La scienza
dell'uomo nella Grecia antica 64.
[49] Dion. Thrax (Bekker 747. 25). Anche CGF [Comicorum Graecorum Fragmenta di G. Kaibel (cur.) (Berlin
1899, rist. 1958)], 12 ss.; Athen. 14 622B. Cfr. M. M. Sassi, La scienza
dell'uomo nella Grecia antica 199, nt. 72 ritiene fonte comune la Crestomazia di Proclo.
[51]
Hom. Il. 7. 212; 18. 414; Odyss. 19. 361. Anche Hes. Op. 594: ¢nt…on
¢krašoj ZefÚrou tršyanta prÒswpa. Gregorio di Nissa usa in molti casi prÒswpon indicando il volto anatomico [c. Eun.
1. 28, GNO 1. 145,22–26: «Se uno dovesse fare la descrizione di
come una malattia sfigura il volto umano (prÒswpon),
non ci sarebbe bisogno di parole quando l'occhio avesse visto come quello
guardava»]. Sebbene oscillando molto spesso tra il significato di 'volto'
e persona. Si v. per la
significazione di prósopon
come volto umano e poi di Dio v. A. Milano,
Persona in teologia 53 ss.
[52]
Per la bibliografia sul significato di prosōpon
cfr. H. Rheinfelder, Das Wort Persona. Geschichte seiner Bedeutung mit besonderer
Berüksichtigung des französischen und italienischen Mittelalters (Beihelf zur Zeitschrift fur romanische Philologie 77) (Halle 1928); M. Nédoncelle, Prosopon et persona 277 ss.; L. Malten,
Die Sprache des menschlichen Antlitzes in
der Antike, in FF. 27 (1953)
24–28; E. Lohse, sv. Prósopon
coll. 769–781; A. Milano, Persona in teologia 53 ss.; L. Turcescu, sv. Prosōpon 476; O. Bucci,
Persona 61 ss.
[53]
Per il significato di ‘maschera’ v. E. Lohse, sv. Prósopon
coll. 769–781; A. Milano, Persona in teologia 53 ss.; L. Turcescu, sv. Prosōpon 476; O. Bucci,
Persona 61 ss.
[55]
Per i relativi riscontri di significato rinvio a H. G. Liddell-R. Scott, sv. prÒswpon, in A Greek-English Lexicon
(Oxford 1966) col. 1533.
[56]
Si v. L. Bernabò Brea, Menandro e il teatro greco nelle terracotte
liparesi (Genova 1981) passim.
[57]
A. Pickard-Cambridge, The Dramatic Festivals of Athens (Oxford
1953, 2a ed. 1968) 177 ss., 229 ss.; G. Krien,
Der Ausdruck der antiken Theatermasken
nach Angaben im Polluxcatalog und in der pseudoaristotelischen
Physiognomik, in Jahreshefte des Österreichischen Archäologischen
Instituts in Wien 42 (1955) 84–117; T. B. L. Webster, Greek Theatre
Production (London 1956, 12a ed. 1970)
38 ss., 75 ss.; L. M. Stone, Costume in Aristophanic Comedy (New York 1981) 19 ss.; M. M. Sassi, Rec. a Bernabò Brea, Menandro
e il teatro greco nelle terracotte liparesi (Genova 1981), in Quaderni di storia 10 (1984) 275–80; M. M. Sassi, La scienza dell'uomo nella Grecia antica 665 e 199, nt. 73. Si fa
strada così l'idea del singolo come individuo, più che come parte
di un gruppo più ampio. Così M. M. Sassi, La scienza
dell'uomo nella Grecia antica 66. Del resto, con la fine del IV secolo,
finì il mondo arcaico e con esso un mondo mediterraneo fatto di
città-stato, intese come sistemi sociali organizzati secondo la logica
dei gruppi, e cominciò un lungo e difficile percorso verso l'affermazione
dell'individualismo.
[61]
Iul. Pull. Onom. 19. 3–4. [Uso
l'edizione cinquecentesca in latino del Tigurino Iulii Pollucis onomasticon, hoc est instructissimum rerum et
synonymorum Dictionarium, nunc primum Latinitate donatum, Rodolpho Gualthero
Tigurino Interprete (Basilaea 1541) 200–205].
[62]
Così troviamo all'interno della categoria delle personae tragicae (Iul. Pull. Onom.
19. 3, p. 200) la descrizione delle varie categorie di uomini: Personae porro tragicae sunt, vir tonsus,
albus, Spartopolius, vir niger, flavuus, vir flavior et hi quidem senes sunt;
e di quelle dei giovani: Praeterea
iuvenum personae sunt, perbenignus, crispus, tener, horridus, secundus
horridus, pallidus, subpallidus. Tra le personae
satyricae (Iul. Pull. Onom. 19. 3, p. 201) la distinzione
è la seguente: Preterea satyricae
personae, satyrus canus, satyrus barbatus, satyrus imperbis, silenus, anus.
Reliquiae vero personae similes sunt, nisi eorum quorum differentiae per nomina
exprimuntur quemadmodu Papposilenus, ipsa forma magis ferinus est. Tra le comicae (Iul. Pull. Onom. 19. 3, p. 203), infine, Polluce distingue tra commedia vecchia e nuova secondo lo schema presente: Comicae porro personae, veteris quidem comoediae plerumque hominibus,
quos suggillabant imiles erant, aut maiori cum ludibrio effingebantur. Novae vero comoediae, Pappus primus, Pappus
secundus, Dux, Senex, Barbatus vel barbam quatiens, Hermoneus, intorta barbam
habens, Lycomedeus, Leno, Hermoneus secundus hi quidem senes.
[63] Status quaestionis
in M. M. Sassi, La scienza dell'uomo nella Grecia antica
65. Per Teofrasto e la sua teoria fisiognomica si v. A. Romizi (a cura di), Teofrasto,
Edizione critica del testo greco, con versione italiana e note (Firenze
1899); G. Pasquali (a cura di), Teofrasto, I caratteri (Firenze 1919); V. Inama,
Letteratura greca 34 (1938) 302; G. Bodei Giglioni, Immagini di una società. Analisi storica dei
«caratteri» di Teofrasto, in Athenaeum 58 (1980) 73–102. Viene immediatamente da pensare
anche alla teoria dei gradus aetatis
di Varrone che precede di quasi due secoli il trattatello del professore di
retorica egiziano. Varro rer. hum.
(?) 17. 62 = Censor. de die nat. 14
(Semi 2. 133). Su cui v. G. Franciosi,
Clan gentilizio e strutture monogamiche.
Contributo alla storia della famiglia romana 344 ss. Naturalmente il
pensiero corre anche alle Institutiones
oratoriae di Vico dove a proposito della storia della lingua latina si
legge: «Latinae linguae vita ad
humane exemplum est comparata, ut ei et sua infantia, adolescentia, virilis
aetas, senectus et senium». Cfr. G.
Crifò (testo critico, versione e commento), Giambattista Vico, Institutiones oratoriae (Napoli 1989)
243 e commento critico 485 ss.
[64]
Tacito nel Dialogus de oratoribus ai
capp. 16, 17 e 25, si pone il problema della periodizzazione storica per mezzo
della parola antiqui. Secondo Orazio antiquus è un uomo morto
già da un centinaio di anni (epist.
2. 1. 20). Lo storico arriva alla conclusione che 120 anni sia l'età
massima cui può arrivare la vita umana. Si v. per tutto E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino 281.